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Un percorso interattivo diapprendimento organizzativo
Dipartimento dell’AmministrazionePenitenziaria
Giugno 2008
Istituto Superiore di Studi Penitenziari
Il progetto I.T.A.C.A.
Quaderni ISSPNumero 6
Un percorso interattivo diapprendimento organizzativo
Il contenuto del presente volume e del CD Rom allegato è scaricabile alle pagine internet dell’ISSP
http://www.giustizia.it/ministero/struttura/dipartimenti/dirgen/istit_studi_penit.htm
INDICE
Presentazione ....................................................................................... 5
Capitolo 1L’organizzazione per processi ............................................................. 11
Modelli organizzativi a confronto..................................................... 11La logica organizzativa per processi................................................. 17La cultura organizzativa..................................................................... 28La costruzione dell’organizzazione per processi ............................. 29
Capitolo 2La formazione come leva per il cambiamento ................................. 37
Gestire insieme .................................................................................. 37L’integrazione fra formazione d’aula e counseling.......................... 40Il corsista protagonista del percorso formativo ............................... 48Dall’individuo al gruppo: l’outdoor come strumento di coesione ..... 54Consolidare il cambiamento: la valutazione come garanzia diqualità ................................................................................................ 60
Capitolo 3Il cambiamento possibile...................................................................... 63
L’apprendimento organizzativo ........................................................ 63Know how e cambiamento............................................................... 66La circolarità del cambiamento......................................................... 68
Capitolo 4Il cambiamento realizzato .................................................................... 75
Ringraziamenti....................................................................................... 81
Indice delle figure .................................................................................. 83
Bibliografia ............................................................................................. 85
Contenuti del CD Rom allegato............................................................ 91
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Il progetto I.T.A.C.A.
Presentazione
Il progetto I.T.A.C.A., acronimo di Insieme Tutte le Aree in CollaborazioneAttiva, è stato realizzato nel Provveditorato Regionale dell’AmministrazionePenitenziaria della Toscana su apposita direttiva dell’Istituto Superiore diStudi Penitenziari che, per l’anno 2004/2005, aveva dato mandato aiProvveditorati di proseguire e/o approfondire le iniziative intraprese con ilprogramma Co.Ra.M. DAP (Consolidare e rafforzare il Management nelDap), denominando tale programma “Prospettive Co.Ra.M.” per indicarnela ideale prosecuzione, evoluzione ed espansione.A seguito della circolare, il Provveditorato della Toscana ha ritenuto di pro-muovere nelle realtà della Regione un’attività di sperimentazione, con laprospettiva di dare concreta trasferibilità pratica agli elaborati prodotti informazione nei precedenti percorsi. Nell’ambito delle attività formative organizzate dal Provveditorato, eraperaltro già in precedenza emersa l’esigenza di una maggiore comunicazio-ne tra le diverse aree degli Istituti ed UEPE attraverso la quale sviluppare ilsenso di appartenenza e la collaborazione responsabile e partecipata, alfine di costituire dei team di lavoro, superando così la rigida distinzione trasuddette aree. In quest’ottica I.T.A.C.A. ha applicato sia il principio, contenuto nellaDirettiva Frattini del Dicembre 2001, della formazione intesa come leva stra-tegica per il cambiamento - in quanto ha offerto strumenti concreti perripensare e migliorare i processi lavorativi individuati - sia ha fatto propriele indicazioni della raccomandazione R(97)12 del Comitato dei Ministri delConsiglio d’Europa nella parte in cui sostiene che, “per assicurareun’elevata qualità dei servizi in ambito penitenziario, l’aggiornamentodovrebbe comprendere dei programmi comuni per le varie categorie dipersonale, di ogni grado e funzione, così da migliorare la cooperazione frai vari operatori”. L’obiettivo che con l’azione formativa si voleva perseguire era pertantoquello di evolvere la cultura ed il sistema organizzativo verso la logica dellavoro per processi superando la rigida suddivisione in aree, responsabiliz-zando tutti gli attori coinvolti nel processo di lavoro esaminato secondo il
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Il progetto I.T.A.C.A.
ruolo e la posizione rispettivamente rivestiti nell’organizzazione e promuo-vendo al contempo il senso di appartenenza e lo spirito di squadra. Di I.T.A.C.A. vanno sottolineati alcuni particolari aspetti che ne fanno unprogetto riproponibile in altri contesti organizzativi:a) la caratteristica di “laboratorio aperto” per l’analisi dei processi lavora-
tivi, grazie alla quale la formazione è stato il luogo nel quale speri-mentare i possibili miglioramenti da apportare agli stessi nonchénuove modalità operative fondate sulla reciproca collaborazio-ne/integrazione e sul senso di responsabilità personale di ogni opera-tore;
b) il ruolo di facilitatori svolto dai docenti che, sotto forma di counsellingorganizzativo, hanno accompagnato lo svolgimento di tutta l’attivitàformativa;
c) la metodologia outdoor, particolarmente efficace per riflettere come“soggetti terzi” sull’attività quotidiana, che ha consentito di mettere ingioco le risorse del gruppo di lavoro;
d) il metodo adottato, trasferibile ad altri processi lavorativi e struttureorganizzative;
e) la collaborazione instaurata, attraverso protocolli d’intesa, con vari entidel territorio per l’utilizzo e nello stesso tempo la valorizzazione dellastruttura penitenziaria dismessa dell’isola di Pianosa quale sede disvolgimento del modulo outdoor.
Altro elemento caratterizzante il progetto è stata la diffusione di una sorta di“bando” nel quale sono stati indicati a grandi linee i contenuti, i tempi ed iluoghi di svolgimento dell’attività formativa, gli obiettivi e le modalità diadesione. Queste ultime prevedevano che la scelta di partecipare nonpotesse essere effettuata dal singolo operatore ma dovesse essere manife-stata in maniera collettiva dall’intero staff direzionale di ogni struttura(Direttori e Capi area). Le singole Direzioni sono state quindi messe in condizione di aderireall’azione formativa in maniera unitaria e volontaria e di farsi coinvolgereresponsabilmente nella ricerca delle criticità presenti nei processi di lavoroprescelti, di quali cause le generano e di quali alternative porre in essereper migliorarli.La partecipazione degli staff ha inoltre accresciuto la possibilità diun’effettiva trasferibilità dell’azione formativa nell’operatività consentendoanche una proficua attività di valutazione dei risultati effettivamente rag-giunti.Una programmazione operativa frutto delle elaborazioni avvenute nel con-testo formativo, condivisa dal Provveditorato Regionale, può infatti valerecome un vero e proprio patto per rinforzare il nesso tra la formazione e il
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processo del cambiamento/miglioramento organizzativo.Di seguito si illustrano le fasi attuative del progetto nella convinzione chetale descrizione, unitamente alla lettura dei materiali inseriti nel cd rom alle-gato, possano consentire una migliore comprensione dei contenuti del pre-sente volume che sono stati elaborati prendendo spunto dall’esperienza diI.T.A.C.A. e resi fruibili da parte di coloro che operano nell’ambito della for-mazione.Il Provveditorato di Firenze, sulla base delle risultanze delle precedentiesperienze formative, ha ritenuto di analizzare in particolare cinque proces-si significativi dell’organizzazione penitenziaria:1) l’attivazione di un piano pedagogico di Istituto;2) la programmazione annuale delle spese;3) il lavoro detenuti;4) la promozione all’inserimento lavorativo dei volontari nelle singole real-
tà operative;5) l’attivazione di procedure per i casi a rischio; quest’ultimo non è stato
però trattato nell’ambito di I.T.A.C.A. divenendo poi oggetto di specificiprogetti realizzati dal Provveditorato per la prevenzione dell’autolesioni-smo e del suicidio (Reintegrare, Help to help).
Del lavoro detenuti si sono occupati gli Istituti di Porto Azzurro, SanGimignano, Siena e l’UEPE di Siena; dell’immissione al lavoro dei volontarila Casa Circondariale (CC) di Empoli e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna(UEPE) di Firenze; della programmazione delle spese gli Istituti di Prato eGrosseto, mentre del piano pedagogico la C.C. di Pisa e l’OspedalePsichiatrico Giudiziario (OPG) di Montelupo.La prima fase, rivolta ai Direttori e Capi Area, è consistita in una giornatad’aula per ciascuna delle quattro edizioni volta a trattare in chiave teorico-pratica ciò che poi si sarebbe andati ad osservare nelle realtà operative,ovvero metodologia dell’analisi di processo, elementi distintivi dei processi,criteri per analizzare le anomalie e per individuare le ipotesi di migliora-mento, metodologia per descrivere le singole attività e per ridisegnare ilprocesso. Alla seconda fase, una giornata per ogni Istituto o Ufficio, hanno potutoaltresì partecipare tutti i soggetti istituzionali e non (volontari, insegnanti,privato sociale) comunque coinvolti nel processo preso in esame. E’ statacondotta un’osservazione sistematica dello svolgimento dei processi lavora-tivi scelti, sono stati registrati gli eventuali cambiamenti dopo il lavoro fattoin aula, evidenziando ciò che era possibile rivedere ancora per ridisegnareil processo e per attuare procedure facilitanti.La terza fase, rivolta ai Direttori e Capi Area, si è svolta per tre giorni aPianosa con modalità residenziali, è stata finalizzata a socializzare
l’esperienza vissuta ed a codificare le prassi operative ritenute più idoneeper il conseguimento degli obiettivi che ogni realtà ha ritenuto di dover rag-giungere nel processo lavorativo prescelto. La metodologia outdoor utiliz-zata nell’ambito di queste giornate, lontano dalla operatività frenetica eframmentaria del quotidiano, è stata funzionale alla condivisione degliobiettivi ed a sottolineare la responsabilità individuale di ciascun operatorenel raggiungimento degli stessi. Anche la quarta fase è stata rivolta a tutti gli operatori coinvolti nei proces-si studiati, si è svolta nelle singole realtà operative ed ha avuto la durata diuna giornata per ogni struttura. Si sono sperimentate nella pratica, all’inter-no delle proprie organizzazioni, le ipotesi di miglioramento individuate aPianosa e si sono monitorate le eventuali criticità: quante volte si sonoripresentate, con quale incidenza, le cause da rimuovere, i correttivi da met-tere in atto, le capacità da potenziare sotto il profilo organizzativo-culturale.La valutazione di ITACA ha evidenziato la riuscita dell’iniziativa sia sotto ilprofilo del gradimento dei partecipanti che del miglioramento dei processiindividuati.Gli obiettivi affidati alla valutazione erano sia di rilevare la qualità della for-mazione erogata, verificando l’andamento della realizzazione del progettorispetto a quanto programmato, sia di ricavare una visione articolata deglieffetti di questo particolare processo formativo intrapreso sull’organizzazio-ne: la creazione di un nuovo modello di lavoro, non più per adempimentima per processi, l’avvio ed il mantenimento di una “collaborazione attiva”tra le aree.Nella rilevazione dell’impatto, secondo le percezioni di tutti i partecipanti edei rispettivi Capi area su eventuali effetti già prodotti e visibili conl’osservazione, entrambi hanno riferito che tale percorso ha indotto deicambiamenti positivi individuali e di gruppo nelle rispettive modalità dilavoro in termini di efficienza, utilizzo delle risorse e risultati raggiunti. Lamaggior parte poi ha riscontrato una maggiore motivazione nei singoli non-ché un cambiamento nella percezione del ruolo di ognuno nell’organizza-zione, pur nella consapevolezza che i tempi complessivi dell’esperienza for-mativa non coincidono con quelli della pratica. Diffusa è comunque sem-brata la convinzione che l’input offerto dal progetto fosse servito a rilancia-re un nuovo modus operandi dal quale non è più possibile tornare indietro.Il monitoraggio dei processi lavorativi attivati con I.T.A.C.A. è stato ottenu-to nel 2006 attraverso un follow-up volto a misurare i livelli di efficacia edefficienza raggiunti sul piano dell’organizzazione. La verifica del livello diimplementazione della logica per processi in ambito organizzativo è stataattuata per tutte e dieci le strutture coinvolte attraverso focus group finaliz-zati alla valutazione dell’impatto che il progetto ha ottenuto sull’organizza-
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Ministero della Giustizia - DAP - Istituto Superiore Studi Penitenziari
zione nel suo complesso relativamente allo specifico processo. Inoltre, intre strutture, il follow-up è stato altresì realizzato attraverso visite finalizzatealla valutazione dello stato di avanzamento delle azioni di cambiamento edallo sviluppo di un nuovo piano di miglioramento.Successivamente - nell’ottica della formazione continua in materia di mana-gement organizzativo dell’Amministrazione Penitenziaria - è stato emanatodal Provveditorato della Toscana un ulteriore bando, con le medesimecaratteristiche del precedente, rivolto alle Direzioni degli Istituti e UEPE chenon avevano partecipato ad I.T.A.C.A., finalizzato ad aderire alla secondaedizione del progetto denominata I.T.A.C.A. Osa (Insieme Tutte le Aree inCollaborazione Attiva a Pianosa) sulle stesse tematiche e relativi processi oanche su tematiche e processi diversi se ritenuti di maggiore interesse dalleDirezioni. Si sono candidate cinque realtà che hanno individuato due pro-cessi lavorativi su cui lavorare.Nello specifico, si sono occupate di Piano Pedagogico d’Istituto le CaseCircondariali Gozzini, di Lucca e di Pistoia - quest’ultima ponendo attenzio-ne soprattutto al lavoro detenuti - mentre gli UEPE di Massa e di Livornohanno analizzato un processo di lavoro di servizio sociale con particolareriferimento alla giustizia riparativa.Una modifica ha riguardato il criterio di individuazione del gruppo target: inquesta edizione, le figure comunque coinvolte nel processo analizzatohanno seguito, per un massimo di dieci unità a struttura, l’intero percorsoformativo. La metodologia out-door è stata invece riproposta come impor-tante strumento per conoscere e sperimentare sulla propria persona gliatteggiamenti e i comportamenti discussi in aula.Il progetto I.T.A.C.A. ha costituito l’oggetto di un Piano OperativoTerritoriale presentato dal PRAP Toscana per realizzare l’obiettivo n. 6 delladirettiva 2005 del Ministro della Giustizia, ovvero “La formazione, la valoriz-zazione e lo sviluppo della professionalità di tutti gli operatori civili, togatie di Polizia Penitenziaria, addetti ai servizi inerenti la giustizia”. Occorre sottolineare infine che I.T.A.C.A. ha vinto nel 2006 il quinto premioassoluto per la sezione progetti formativi nell’ambito del “Premio FilippoBasile per la formazione nella P.A.” promosso dall’Associazione ItalianaFormatori (AIF). Questa esperienza formativa viene proposta e condivisa attraverso i“Quaderni ISSP” come testimonianza di “formazione concreta”. Capace cioèdi trasferire non solo conoscenze e arricchire le persone coinvolte, maanche di dare risalto alle persone in azione coinvolgendo in modo partico-lare le figure chiave e complementari della struttura operativa nella qualeesse operano.
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Il progetto I.T.A.C.A.
Capitolo 1L’organizzazione per processi
MODELLI ORGANIZZATIVI A CONFRONTO
L’approccio per processi è un sistema di gestione che valorizza l’apportodelle singole professionalità nella realizzazione del mandato dell’organizza-zione che lo adotta.L’orientamento per processi supera i limiti di quello gerarchico - funzionaleove le Aree e le Risorse Umane tendono a operare in modo autonomo maseparato.La strategia connessa all’introduzione di Aree trova la sua piena applicazio-ne nell’adozione di un sistema organizzativo basato su processi lavorativiche prevedono la correlazione tra la pianificazione, l’operatività e il control-lo, secondo un andamento ciclico.
Figura 1: La ciclicità della logica per processi
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Diagnosi Programmazione Pianificazione
Valutazione
Monitoraggio
Svolgimento attività
Verifica
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Nel concetto di ciclicità sono insite due competenze fondamentali del siste-ma organizzativo. La prima riguarda la capacità comunicativa e la secondaè la tendenza al miglioramento continuo.Se intendiamo l’organizzazione come una struttura complessa, data dallasomma delle competenze e delle motivazioni delle singole Risorse Umane,possiamo essere certi che sarà gestita in modo gerarchico-funzionale.I compiti e le responsabilità saranno frammentati, l’utente finale (nel casodelle strutture penitenziarie il detenuto, l’internato e per l’UEPE l’affidato)non sarà “visibile” a tutte le unità funzionali, gli obiettivi e le strategie delladirezione non saranno comprese né, tantomeno, condivise.Ciò solitamente induce all’isolamento, all’abbandono a una motivazionebasata sul mero senso del dovere, alla prevalenza della gestione della“emergenza” piuttosto che della “pianificazione”, alla cultura della “soprav-vivenza”.Il clima tende alla passività, all’adattamento nei confronti dell’autorità e aifamosi atteggiamenti “scaricabarile”, “il sistema non funziona”, “non ci ven-gono date abbastanza risorse”, “non è affar mio”. Utilizzando un linguaggiotecnico, potremmo dire che il personale tende al “locus of control1 esterno”,ossia la responsabilità di inefficienze e ritardi è attribuita ad altri (colleghi,superiori, P.R.A.P., Ministero, sistema della pubblica amministrazione…) equasi mai a se stessi.Le grandi organizzazioni passano così a dotarsi di strategie che prediligonoil controllo anziché la diffusione delle responsabilità, la burocrazia piuttostoche la risoluzione dei conflitti, la convulsa attenzione alla legittimità dell’at-to invece di incanalare le energie nella visione di sistema.La gestione a orientamento gerarchico - funzionale si costringe dentro unoschema predefinito e il personale, insieme ai suoi interlocutori, percepiscel’eccessiva complessità dell’ambiente e l’impossibilità di poter cambiare lostatus quo.Si può quindi facilmente intuire il motivo per cui la società parli della real-tà detentiva in termini di “pianeta carcere”. In modo analogo potremmoriferirci al personale come le “miriadi di satelliti che orbitano intorno al pia-neta carcere”. L’isolamento che caratterizza la detenzione può quindi sten-dersi a macchia d’olio e inondare l’intera organizzazione, il cui mandato isti-tuzionale e costituzionale prevede l’apertura a nuove prospettive.Proviamo ora ad alzare lo sguardo e a vedere l’organizzazione come unsoggetto sociale, unico e irripetibile, caratterizzato da una storia e una cul-tura originale, da un insieme di norme e valori specifici, da particolari
1 Di seguito LoC.
Il progetto I.T.A.C.A.
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espressioni emotive, modalità di problem solving2, aspettative, bisogni,desideri, linguaggi e procedure.Come una totalità dinamica, in continua evoluzione, ogni organizzazione èqualcosa di più e di diverso rispetto alla somma delle singole unità. Ciò checostituisce l’essenza dell’organizzazione quindi non è, come nel caso dellagestione gerarchico – funzionale, la somiglianza o la diversità delle sueRisorse Umane, ma la loro capacità di interdipendenza.Quando parliamo di interdipendenza ci riferiamo alla competenza dell’or-ganizzazione di favorire processi comunicativi e decisionali fondati sullacoesione, la collaborazione e la comunicazione efficace. Il singolo operato-re e l’intera organizzazione assumono quindi diversi valori e significati inrelazione al livello di interdipendenza che intraprendono: in un ambientedinamico un cambiamento più o meno significativo di una parte, si riper-cuote sullo stato di tutte le altre3.Il percorso di interdipendenza è tutt’altro che semplice da realizzare; neces-sita di un assetto organizzativo e culturale idoneo poiché deve integrare ibisogni degli operatori con quelli del soggetto “organizzazione”.I bisogni delle Risorse Umane riguardano l’autostima, l’autorealizzazione,l’identità, la sicurezza, l’appartenenza, il senso di utilità, il benessere; quellidell’organizzazione sono invece connessi al raggiungimento di adeguatilivelli di efficacia4 ed efficienza5, all’ottimizzazione e allo sviluppo dellerisorse, all’innovazione dei processi.Svariate sono le osservazioni che a questo punto sorgeranno nella mentedel lettore che quotidianamente lavora nell’ambito della realtà penitenzia-ria. Le più comuni solitamente sono due:
❑ è illusorio pensare che questo sistema riesca a favorire strategie ecomportamenti volti alla negoziazione e all’aggregazione di bisognitanto complessi e diversificati!
❑ e, anche se fosse teoricamente possibile, come potrebbe (il sistema)trasferire questo modello nella pratica lavorativa?
Facciamo notare che le suddette osservazioni pongono il LoC nuovamenteall’esterno del soggetto, ma il germe del dubbio apre sempre nuove scena-ri, che in questo caso lasciano intravedere un atteggiamento che tiene inconsiderazione il LoC interno.
2 È il processo tramite cui il soggetto o l’organizzazione elaborano la soluzione di un problema eintraprendono un’azione per attuarla.
3 Lewin K., Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, tr. it. ed. Il Mulino, Bologna, 1972.
4 L’efficacia è il rapporto tra risultati ottenuti e risultati attesi.
5 L’efficienza è il rapporto tra risultati ottenuti e risorse investite.
Le risposte a queste domande, pertanto legittime e legate a uno spiccatosenso di realtà, risiedono nella mente, nella cultura e negli atti normativi delsoggetto organizzazione e nella motivazione dei suoi membri a vivereun’esperienza lavorativa gratificante e significativa.Pensiamo a una barca a vela di 12 metri. Ha uno scafo sempre più grandedelle apparenze, costruito e organizzato ad arte per accogliere molte personee per garantire la soddisfazione dei bisogni essenziali. Certo, se vi sono moltiospiti l’interno non è molto comodo e non garantisce alti livelli di privacy.La barca a vela ha un motore che viene normalmente utilizzato quando sitrova nei pressi di un porto e nel caso in cui il vento sia assente o troppoforte.Passiamo alle vele: enormi e sproporzionate rispetto al resto dell’imbarca-zione. Sono mosse unicamente dal vento e dall’abilità dello skipper.C’è poi una serie infinita di cime, larghe, strette, corte, lunghe e lunghissi-me, tutte colorate in modo diverso, che devono essere sempre sbrogliate. Illivello di tensione di ognuna di esse serve per orientare la rotta.Colui che gestisce la barca è una persona di indubbia competenza, data dal-l’integrazione di studio, esperienza e intuizione. Non naviga mai a vista eper questo si dota di carte nautiche e di una bussola. Conosce a menaditole leggi che regolano il mare, i fenomeni atmosferici, la prestanza tecnicadella barca e sa leggere le carte. Lo skipper è il primo garante della sicurez-za del suo equipaggio e della sana convivenza a bordo; cerca sempre ilvento perfetto, reinventando continuamente la rotta.Chi ha avuto la fortuna di fare un viaggio in barca a vela sa quanto è com-plicato condividere per molti giorni spazi angusti con persone che spessonon hanno un buon livello di intimità. Un bravo skipper cerca di minimiz-zare questo inconveniente attraverso l’intuizione e l’esperienza, visto chespesso non conosce il suo equipaggio. Fornisce regole di comportamento eassegna compiti e responsabilità adeguati alle capacità individuali che rie-sce a intravedere. Fornisce le competenze tecniche in modo che ognunopossa rendersi e sentirsi realmente utile e, magari, indispensabile. Sotto lasua supervisione e in totale sicurezza, spinge e addestra i suoi compagni aguidare per brevi tratti l’imbarcazione.Lo skipper assume quindi un ruolo importante: da un lato governa e dall’al-tro delega alcuni compiti, fornendo all’equipaggio gli strumenti per rita-gliarsi reciproci spazi di autonomia e riposo. Ha un volto autorevole e unatteggiamento “paterno” di cura e protezione e non tralascia mai i dettagli.Se è anche empatico e coinvolgente riuscirà a trasferire in poco tempo ilsuo amore per il mare e l’avventura diverrà memorabile. Un buono skipperè insomma colui che porta il suo equipaggio a destinazione rendendo latraversata piacevole, interessante e formativa.
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Passiamo all’equipaggio. Normalmente è composto da persone più espertee da coloro che non sono mai saliti prima su una barca. Alcuni sarannospregiudicati, altri entusiasti e disinvolti, qualcuno sarà intimidito o addirit-tura impaurito. La diversità degli approcci al mondo della barca a vela puòdiventare un ostacolo alla sana convivenza ma, se tutti hanno il desiderio direndere speciale l’esperienza, i problemi possono essere risolti con un po’di buona volontà. Ognuno si porrà in una posizione di ascolto dello skip-per e dei bisogni dei compagni, svolgerà i propri compiti secondo le indi-cazioni assegnate in modo da garantire la sicurezza e la qualità delle mano-vre e potrà decidere se guidare per brevi tratti. Dovrà quindi mettere daparte alcune delle proprie aspirazioni per agevolare il raggiungimento dellameta e una navigazione tranquilla e piacevole.In barca si crea una relazione di interdipendenza fra i tutti componenti del-l’equipaggio, skipper compreso. Ed è proprio la consapevolezza dell’impor-tanza del proprio apporto a rendere possibile e piacevole il viaggio.Lo skipper e il suo equipaggio forse non lo sanno, ma la gestione dellabarca si basa sul modello dell’organizzazione per processi.Se un equipaggio eterogeneo di 8 persone che non ha niente in comune, senon l’essere in vacanza insieme, impara a gestirsi secondo una logica perprocessi in pochi giorni, come può non riuscirci una struttura organizzativa?È possibile che nella vostra organizzazione si abbia una pur piccola espe-rienza di lavoro per processi, magari in piccoli settori o gruppi di lavoro,ma che non se ne abbia consapevolezza? Non avete mai notato che quandovi affidate ad atteggiamenti di apertura e collaborazione (interdipendenza) irisultati si raggiungono con miglior efficacia ed efficienza?Uscendo dalla metafora potremmo identificare:
❑ il mare, il cielo, le stelle e le leggi della natura con la società intera,❑ lo skipper con chi ha il compito di guidare le strutture (Direttore e
Responsabili delle Aree),❑ l’equipaggio con le Risorse Umane (agenti, amministrativi, contabili,
educatori, medici, infermieri, psicologi, terapeuti, cappellano, inse-gnanti, volontari),
❑ lo scafo con il sistema dei processi e delle procedure,❑ le carte nautiche e le regole del mondo marinaresco con le norme e le
regole proprie dell’amministrazione penitenziaria e specifiche di ognirealtà,
❑ i bisogni integrati di sicurezza, protezione, autonomia, apprendimen-to, benessere e del senso di utilità con la cultura organizzativa,
❑ le vele con la tendenza naturale al dinamismo e all’apprendimentoche inducono alla motivazione di tutte le Risorse Umane al cambia-mento.
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I lettori più attenti si chiederanno che ruolo assume il motore in questametafora.Lo skipper adora svolgere le vele e giocare con il vento, ma per la sicurez-za dell’equipaggio e per rispettare la tabella di marcia in alcuni casi si rasse-gna, prende il totale comando e accende il motore. La decisione è sempreponderata e non ha mai il sapore della sconfitta. L’accensione del motoreincide sul budget del viaggio e talvolta induce a cambi di programma pernuovi rifornimenti di carburante.È possibile prevedere che l’organizzazione scelga una gestione più orienta-ta a un modello gerarchico – funzionale (navigazione sicura) nei momentidi reale difficoltà ed emergenza (che non devono coincidere con la quoti-dianità!). In questi periodi però è bene esplicitare la decisione e orientarlaal miglioramento dei processi che compongono il sistema.L’organizzazione per processi offre svariati vantaggi a tutti gli attori delsistema: il personale si percepisce e agisce come risorsa motivata, detenuti,internati e affidati sono “utenti” che acquisiscono la reale possibilità di frui-re del diritto alla rieducazione, i servizi territoriali sono agevolati nella rea-lizzazione di interventi integrati e la comunità può ben sperare in adeguatilivelli di sicurezza e di protezione sociale.L’approccio per processi può quindi supportare il percorso che conduce alraggiungimento dei risultati attesi garantendone un adeguato livello qualita-tivo (efficacia), il benessere organizzativo e la contemporanea ottimizzazio-ne delle risorse (efficienza).In particolare l’organizzazione gioverà della gestione per processi in termi-ni di risultati migliori, consistenti e prevedibili:
❑ adeguati processi decisionali❑ processi pianificatori basati sull’analisi dell’operato, sull’apertura a
nuove opportunità, sul miglioramento continuo delle prestazioni esulla definizione delle priorità
❑ integrazione degli aspetti decisionali con le attività operative per per-mettere il raggiungimento dei risultati così come pianificati
❑ controllo dei processi per garantire l’apprendimento organizzativo❑ concentrazione delle energie sui risultati evitando la dispersione delle
risorse❑ ottimizzazione delle Risorse Umane, economiche, strutturali, strumen-
tali e del tempo❑ fiducia del personale, degli utenti e delle altre parti interessate (stake-
holder) sulla costanza delle prestazioni dell’organizzazione❑ trasparenza dell’operato pubblico❑ coinvolgimento delle Risorse Umane per lo sviluppo della motivazio-
ne, del senso di responsabilità e la creatività.
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LA LOGICA ORGANIZZATIVA PER PROCESSI
Il “processo” è definito come una sequenza logica di attività, tra loro inter-dipendenti e finalizzate al perseguimento di un obiettivo comune.Ogni processo riceve alcuni input (elementi in ingresso), ai quali sonoapportate alcune trasformazioni, che ne aumentano il valore, per realizzareun output (elementi in uscita).Tali trasformazioni sono realizzate mediante l’impiego di risorse (umane,strutturali, strumentali, economiche) e sottintendono a specifici vincoli(normativi, ambientali, strutturali…).
Figura 2: Rappresentazione grafica del processo
elementi in uscita
(output)
elementi in entrata(input)
vincoli
vincoli
vincoli
attività interdipendentie di controllo
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Ministero della Giustizia - DAP - Istituto Superiore Studi Penitenziari
Gli input e gli output possono essere tangibili o intangibili.Nel primo caso riguardano materiali, documenti, strutture, strumenti, opera-tori, circolari… Sono intangibili le informazioni, le programmazioni, le stra-tegie, la motivazione degli operatori, le nuove idee progettuali, il climaorganizzativo.È importante distinguere la natura degli input e degli output per poter svol-gere un’analisi realistica rispetto allo stato dell’arte e attivare progettazioniche verosimilmente possano concretizzarsi, evitando di porsi obiettivi spro-porzionati (sia in difetto che in eccesso).Inoltre gli elementi in uscita possono essere anche indesiderati come, adesempio, la necessità, in corso d’opera, di aumentare la sorveglianza ol’assunzione di un rischio economico.L’output di ogni processo può, e in alcuni casi deve, entrare come input inaltri processi. In altre parole attività apparentemente distanti possono reci-procamente produrre valore aggiunto o limitarsi.Il soggetto organizzazione è quindi costruito da processi coerenti con ilsistema e interdipendenti tra loro, così come interdipendenti sono le sueRisorse Umane e le sue Aree. Ogni processo deve essere progettato peraggiungere valore all’intero sistema e articolarsi in sottoprocessi i quali, aloro volta, si compongono di attività tra loro interdipendenti e finalizzate alperseguimento di un obiettivo comune.L’implementazione della logica per processi è paragonabile alla manovrache si esegue per cambiare direzione alla barca a vela, passando con lapoppa nella direzione del vento. La strambata deve essere preparata edeseguita con cura. I movimenti si svolgono con una dinamica piuttostorapida e sono scanditi secondo un ordine, una logica e un’armonia bendefiniti.Inizialmente lo skipper distribuirà i compiti in base alle capacità tecnichee psicologiche dei singoli (competenze, tolleranza alla stress, sicurezza inse stesso, capacità di problem solving, autonomia) e, se le condizioni lopermettono, coinvolgerà anche persone poco pratiche che avrannomodo di acquisire nuove competenze. Guiderà i compagni con tonoautorevole ma non autoritario, a meno che non vi sia un pericolo contin-gente.Normalmente a conclusione della manovra ognuno propone uno sguardofiero, un commento, una domanda o una lamentela e lo skipper avrà mododi condividere l’analisi dell’esperienza. A conclusione del viaggio lo skipperchiede ai compagni di scrivere un messaggio sul diario della barca: in ter-mini tecnici chiede un “feedback”, una valutazione, un’idea di miglioramen-to. Tali feedback saranno gelosamente conservati a bordo ed entreranno afar parte dell’esperienza dello skipper.
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Il progetto I.T.A.C.A.
Figura 4: Rappresentazione grafica dei sottoprocessi del processo“Lavoro detenuti” - Casa di Reclusione di Porto Azzurro - progettoITACA
A sua volta il “Lavoro detenuti” è caratterizzato dai seguenti sottoprocessi,legati da input che possono provenire da altri processi interni o dall’esterno(Piano Pedagogico di Istituto, programmazione delle spese, richieste deidetenuti…) o dagli output interni (potenziamento delle richieste di lavoro,tabelle lavoranti…).Se il lavoro dei detenuti è un processo strategico per la rieducazione dellepersone, è chiaro che deve connettersi e integrarsi con altri: sorveglianza,gestione delle mercedi, sviluppo delle risorse, rapporto con il tessuto pro-duttivo territoriale… Il processo “lavoro dei detenuti” non può prescinderedagli altri e allo stesso tempo non può essere limitato eccessivamente daulteriori esigenze organizzative. In termini pratici, se il contratto con i dete-nuti prevede sei ore giornaliere, non è concepibile che ne lavorino quattro.Ciò non è un comportamento organizzativo efficace rispetto alla rieducazio-ne e alla gestione delle risorse. Sarebbe più opportuno contrattare quattroore lavorative oppure modificare le altre procedure.
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Ministero della Giustizia - DAP - Istituto Superiore Studi Penitenziari
Sottoprocesso1:Programmazione lavoro
detenuti
Sottoprocesso 2:Assegnazione e avvio all’attivitàlavorativa
Sottoprocesso 3:Svolgimento dell’attività
lavorativa interna
PROCESSO “LAVORO DETENUTI”
Sottoprocesso 4:Monitoraggio, Verifica, Valutazione e sistema di
controllo
Sottoprocesso1:Programmazione lavoro
detenuti
Sottoprocesso 2:Assegnazione e avvio all’attività lavorativa
Sottoprocesso 3:Svolgimento dell’attività
lavorativa interna
Sottoprocesso 4:Monitoraggio, Verifica, Valutazione e sistema di
controllo
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Il progetto I.T.A.C.A.
I processi, sottoprocessi e attività sono realizzati per soddisfare i bisogni ele aspettative di un utente particolare o di una classe di utenti. Possonocoinvolgere molti soggetti fisici o istituzionali.
Figura 6: Rappresentazione grafica del processo
Anche le risorse ed i vincoli che caratterizzano i processi sono da conside-rarsi appartenenti al sistema organizzativo e non a completo appannaggiodi una serie limitata di attività.Per “vincolo” intendiamo l’insieme di norme, regole, valori, modus operan-di, consuetudini e quant’altro contribuisca a definire e delimitare il campod’azione del processo. Il vincolo non rappresenta necessariamente una limi-tazione, anzi, può essere visto come un’occasione per evitare la dispersionedelle energie e la confusione dei ruoli.I vincoli contribuiscono al buon andamento del processo se non sono vis-suti come muri invalicabili. Un atteggiamento del tipo “questa è l’unicasoluzione al problema ma siamo vincolati” solitamente non può essereaccettabile. Il vincolo protegge dall’intraprendere strade sbagliate, tortuoseo troppo dispendiose ma non è, se non in rari casi, una chiusura del siste-ma.Il vincolo della spesa, ad esempio, induce le strutture all’ottimizzazionedelle risorse, a una programmazione oculata, all’apertura al territorio. Il vincolo della spesa può avere risvolti positivi per l’intero sistema peniten-ziario. Ne sono dimostrazione le cooperative di detenuti e la programma-zione intergrata.La programmazione integrata a livello di Zona Socio Sanitaria, infatti, che
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PROCESSO outputinput
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PROCESSO
vede coinvolte le strutture penitenziarie, si sostanzia nella necessità di otti-mizzare le risorse territoriali e al contempo induce la diffusione di una cul-tura dei servizi in ottica sistemica. È proprio in quest’ambito che sono natenumerose esperienze di interventi che sostengono le persone nel delicatomomento della riacquisizione della libertà. Viceversa l’assenza di vincoli rischia di produrre una scarsa attivazione dellerisorse individuali e non favorisce il processo rieducativo volto all’autono-mia, alla responsabilizzazione e all’autodeterminazione.Per “risorsa” si intende l’insieme delle opportunità che concretamente per-mettono la realizzazione del mandato istituzionale.Spesso il personale delle organizzazioni si lamenta della scarsità di risorse,dell’eccesso di vincoli e si riconosce grandi capacità creative indispensabiliper il raggiungimento dei risultati, a dispetto della difficile situazione. Ancorpiù spesso, a seguito di un progetto di riassetto organizzativo, la maggiorparte delle persone si esprime dicendo “dobbiamo imparare a non inventar-ci i limiti, a utilizzare al meglio le risorse e a collaborare sia internamenteche esternamente, per reperire nuove risorse”.Il problema della scarsità delle risorse e della rigidità delle strutture sonoelementi voluti unicamente dal sistema (locus of control esterno) oppureesiste anche una responsabilità degli operatori (locus of controllo interno)?L’esperienza ci dice che la verità sta sempre nel mezzo.Ad esempio, potremmo intavolare una riflessione molto interessante rispon-dendo alla domanda “Nel lavoro vivo il tempo come un vincolo o comeuna risorsa?”. Di getto, la maggior parte degli operatori tende a rispondere:“un vincolo”. Proviamo adesso a vedere il tempo come una risorsa.Il tempo diviene una risorsa nei momenti in cui “investiamo del tempo perstrutturare il tempo”, ossia quando:
❑ esiste una programmazione annuale delle attività e questa prevede uncronogramma, la chiara definizione degli obiettivi, dei compiti e delleresponsabilità
❑ è utilizzato e implementato un sistema di controllo dei risultati rag-giunti rispetto all’impegno delle risorse e sulla base delle risultanze sicostruiscono le nuove priorità
❑ viene inviato qualche giorno prima delle riunioni l’ordine del giornodi modo che i partecipanti possano preparare i loro interventi e quan-do il verbale è trasmesso a tutti i convenuti
❑ chi conduce gruppi di lavoro condivide la programmazione tempora-le delle attività, oltre che gli obiettivi, i compiti e le responsabilità
❑ all’inizio della settimana e ogni mattina si dedicano 5 minuti nell’ela-borare una lista realistica delle priorità da evadere entro la settimana ola giornata
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Il progetto I.T.A.C.A.
❑ il lavoro è prodotto con un adeguato livello di approfondimento, evi-tando la superficialità e l’iperdettagliamento, se non richiesto
❑ la comunicazione, a tutti i livelli è diretta, chiara e univoca❑ i flussi informativi contengono messaggi selezionati, sintetici e chiari❑ i problemi sono affrontati e non evitati❑ le Risorse Umane sono abituate e motivate a lavorare secondo criteri
di efficienza e si sentono una parte importante del sistema.Se la maggior parte dei suddetti comportamenti sono messi in pratica elamentate ancora mancanza di tempo nello svolgere alcune attività, allora ècorretto assumere un “locus of control esterno”, accettare l’evidenza e cer-cate le strategie migliori di sopravvivenza. Contrariamente è necessario ela-borare un diverso modo di programmare le attività personali, quelle delgruppo di lavoro e dell’organizzazione.Potremmo proporre la stessa riflessione per quanto riguarda gli aspetti eco-nomici: i soldi costituiscono un vincolo oppure una risorsa? Le strutture, glistrumenti, la normativa, le regole, i gruppi di lavoro sono più un vincolo ouna risorsa?Ogni singolo elemento organizzativo rappresenta sia un vincolo che unarisorsa. Una cultura organizzativa efficace riesce a prendere in considerazio-ne tutte le opzioni per agevolare i processi di cambiamento organizzativoche siano volti a minimizzare i vincoli, a evitare di costruirne dove non esi-stono, a valorizzare, ottimizzare e reperire le risorse.Le risorse e i vincoli di un processo possono essere sia interni che esterniall’organizzazione.
Tabella 1: Vincoli e Risorse del processo “Lavoro detenuti” – CR PortoAzzurro
L’organizzazione è articola in tre tipologie di processi e sottoprocessi:❑ gestionali;
• Normativa• Carenza Risorse Umane • Detenuti (posizione giuridica, professionalità,
salute)• Strutture per attività industriali• Tipologia di lavori per soggetti con deficit fisici• Limitata necessità di lavoro interno• Ripartizione dei capitoli di spesa
• Caratteristiche dei detenuti e della detenzione• Conferenza dei Servizi• Commissione lavoro (ex art.20)• Risorse strutturali• Risorse finanziarie• Normativa• Risorse Umane (motivazione e professionalità)• Cooperativa San Giacomo
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❑ per la gestione delle risorse;❑ realizzativi e di misura analisi e miglioramento.
I processi gestionali sono direttamente connessi alla definizione delle poli-tiche e delle strategie, alla pianificazione delle attività di sistema, all’indivi-duazione degli obiettivi e dei risultati attesi, alla caratterizzazione dei flussiinformativi, ad assicurare le risorse necessarie per la concreta realizzazionedelle politiche e delle strategie e a garantire idonei sistemi di monitoraggio,verifica, valutazione, nonché controllo dell’andamento delle attività.La “Programmazione lavoro detenuti” può essere considerato un(sotto)processo gestionale.I processi orientati alla gestione delle risorse governano le risorse dispo-nibili per la vita dell’organizzazione, la realizzazione del mandato istituzio-nale e il perseguimento dei risultati attesi.I processi relativi alla gestione delle Risorse Umane presidianol’organigramma, il mansionario, la valutazione della performance professio-nale, la formazione, la turnazione, la gestione amministrativa del persona-le... Quelli relativi alla gestione dei beni immobili permettono il buono statodelle strutture, la manutenzione ordinaria e straordinaria, la sicurezza,l’igiene, l’ottimizzazione e il decoro degli spazi e degli arredi e tutto ciò cheè connesso al patrimonio strutturale.I processi che gestiscono le strumentazioni assicurano il buon funziona-mento delle attrezzature necessarie per l’organizzazione: caldaie, condizio-natori, computer, stampanti, fax, connessioni telefoniche, internet…“Assegnazione e avvio all’attività lavorativa” potrebbe essere considerato unprocesso relativo alla gestione delle risorse.I processi realizzativi riguardano gli aspetti pratici che inducono all’attua-zione di ciò che è stato pianificato. Ad esempio, uno dei processi realizzati-vi potrebbe essere “svolgimento dell’attività lavorativa interna”. Tale proces-so potrebbe descrivere le modalità di lavoro, le norme di sicurezza, la for-mazione.I processi di misura, analisi e miglioramento si concentrano sulla misu-razione del livello di efficacia e di efficienza dell’organizzazione e delle sin-gole attività.Forniscono dati e informazioni utili alla pianificazione del sistema e allaprogrammazione delle attività e consentono di sviluppare la capacità diapprendere dall’esperienza. Pongono le basi per potenziare le buone pras-si, per prevenire e non reiterare nell’errore, per accogliere le lamenteledegli stakeholders e si pongono a controllo di tutti gli altri processi.Si dotano di criteri di qualità e di indicatori per restituire informazionioggettive e utili all’attivazione di percorsi di miglioramento continuo e diottimizzazione delle risorse.
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Il progetto I.T.A.C.A.
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Un esempio di processo di misura, analisi e miglioramento potrebbe essereil processo “Monitoraggio, verifica, valutazione e sistema di controllo”.La struttura organizzativa basata sulla logica per processi prevede la costru-zione di un sistema articolato di processi. A loro volta i processi sono com-posti da sottoprocessi i quali si suddividono in attività.Ogni livello organizzativo si integra e si connette con gli altri nella defini-zione del soggetto “organizzazione”.I processi e i sottoprocessi si compongono secondo
Figura 7: Logica organizzativa per processi
Le attività sono le unità minime che compongono i processi e che concor-rono a trasformare specifici elementi in entrata in elementi in uscita dal pro-cesso.I sottoprocessi dovranno essere descritti e tenuti sotto controllo per garanti-re lo svolgimento del relativo processo. Normalmente vengono rappresen-tati mediante i diagrammi di flusso (flow chart) che mettono in evidenza leprocedure, ossia la relazione tra input, output, attività, responsabilità,tempi, risorse, vincoli e documentazione.
Processi per la gestione delle
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Processi gestionali
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Il progetto I.T.A.C.A.
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L’implementazione dell’organizzazione per processi è ottenibile seguendodue percorsi diversi che conducono al medesimo risultato. Possiamo proce-dere secondo la logica top – down o bottom – up.Nel primo caso (top – down) si scompone l’organizzazione in processi, sot-toprocessi, attività con un arricchimento progressivo dei dettagli. I sottopro-cessi descrivono le principali procedure che includono le attività, articolatenei diagrammi di flusso.Nel caso in cui si scelga di utilizzare il metodo bottom – up si proseguiràcon l’aggregazione di attività che ricevono gli stessi input e producono glistessi output e che siano individuabili nello stesso sottoprocesso. I sottopro-cessi saranno poi riuniti nei processi e dopo aver costruito la mappa gene-rale dei processi, si andranno a descrivere le procedure e le attività.In ogni caso l’organizzazione è descritta mediante la mappa dei processi,che si articolano in sottoprocessi i quali sono descritti da diagrammi di flus-so.
LA CULTURA ORGANIZZATIVA
L’introduzione di un approccio per processi nella gestione organizzativanon richiede solo l’individuazione di input, output, risorse e vincoli, la rap-presentazione grafica dei processi e delle procedure e la definizione di “chifa che cosa, come”. Occorre infatti operare un cambiamento culturale del-l’organizzazione nella direzione del miglioramento continuo, di una visioneglobale del sistema e dei suoi obiettivi, di un maggior coinvolgimento delleRisorse Umane e della responsabilità diffusa a tutti i livelli organizzativi.Non è particolarmente impegnativo attivare il lavoro per processi nell’ambi-to della produzione di beni. Per quanto riguarda gli enti che erogano servi-zi intervengono invece alcune complicazioni:
❑ l’impossibilità di standardizzare tutte le procedure: la personalizzazio-ne degli interventi richiede un livello buono ma controllato di flessibi-lità. Nel caso dei servizi parliamo di “erogazione custom”
❑ l’erogazione del servizio è contestuale alla sua fruizione: “erogazionejust in time”. Un servizio non adeguato non è sostituibile e spesso pro-voca danni irrimediabili o difficilmente arginabili. Agli operatori èrichiesto un alto livello di attenzione e di dedizione al lavoro sia dalpunto di vista tecnico che della relazione
❑ la “qualità del processo” è fortemente influenzata dalla partecipazioneattiva dell’utente. L’utente ha il potere di contribuire a realizzarel’obiettivo atteso o di ostacolare una parte o l’intero processo.L’efficacia e l’efficienza non dipendono quindi solo dalla qualità orga-
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nizzativa, ma anche dalle caratteristiche psicofisiche e motivazionalidegli utenti
❑ la “qualità delle Risorse Umane” è un elemento che concorre allabuona riuscita di un servizio. La formazione, la professionalità, lamotivazione le competenze trasversali, la capacità comunicativa e direlazione influenzano direttamente il processo.
La cultura dei processi è quindi un obiettivo importante e faticoso da rag-giungere ma sicuramente non impossibile, considerati gli enormi vantaggiche produce nel breve – medio periodo.In sostanza è necessario abbandonare la vecchia cultura penitenziaria del-l’isolamento, dell’incomunicabilità, della forza che prevale sulla ragione, delconflitto non gestito tra figure professionali. Si tratta di affermare una nuovacultura della comunicazione, dell’integrazione fra operatori e con il mondoesterno dei servizi e della partecipazione degli utenti al loro percorso riabi-litativo.Il cambiamento culturale necessita di un impegno corale che parta dai ver-tici e che si diffonda a tutto il personale.La legislazione può sostenere il cambiamento ma sfortunatamente non puòrealizzarlo. Sono gli uomini e le donne impegnati nel raggiungimento degliobiettivi ad avere il potere di trasformare il “copione” dell’organizzazioneda banale a vincente.
LA COSTRUZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE PER PROCESSI.
Il percorso che conduce all’implementazione della logica per processi èanch’esso un processo che deve essere disegnato come un vestito sullafisionomia dell’organizzazione. Richiede infatti un approccio sistemico chetenga conto di una cultura orientata al raggiungimento della mission, diprocedure chiare e condivise e di flussi comunicativi efficaci. Si basa sullespecificità della struttura, sulle sue caratteristiche intrinseche, sulla sua mis-sione istituzionale e sulla sua storia evolutiva.Revisionare l’impianto organizzativo necessita della determinazione degliorgani direttivi e manageriali nel coinvolgimento di tutti gli operatori. Granparte del personale potrà esser motivato strada facendo se, e solo se, ladirezione saprà condurlo con decisione ed entusiasmo.La costruzione di questo nuovo modo di lavorare si avvia nell’identificazio-ne dei processi e, successivamente, si concentra sulla pianificazione deiprocessi stessi.L’identificazione dei processi dell’organizzazione parte dalla consapevolez-za del mandato istituzionale per definirne le politiche, gli obiettivi e, in ulti-
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Il progetto I.T.A.C.A.
ma analisi, descriverne l’integrazione dei processi.La pianificazione dei processi si dedica alla descrizione delle attività e deisistemi di controllo, monitoraggio, verifica e valutazione.
DEFINIRE LO SCOPO DELL’ORGANIZZAZIONE
Definire lo scopo significa individuare gli outcome (risultati a lungo perio-do) nell’ambito di confini delineati che aiutano a focalizzare l’energia e lerisorse e a prendere visione dei limiti reali. In altre parole è necessario chetutto il personale condivida, con dovizia di particolari, la mission e la vision.La mission descrive la “filosofia dell’organizzazione” e i valori ai quali siispirano le persone che ne fanno parte; la vision illustra il fine ultimo che siintende raggiungere, immagina l’ente nel futuro e ne delinea il ruolo nelsistema dei servizi alla persona e alla comunità.A supporto del processo di condivisione della mission e della vision, ènecessario identificare gli utenti dei servizi e le altre parti interessate o por-tatrici di interessi per l’organizzazione (personale, famiglie, terzo settore,imprenditoria locale…). Conoscere i requisiti degli stakeholder, le loro esi-genze e aspettative, aiuta l’organizzazione a sviluppare una visione sistemi-ca e a progettare interventi di ottimizzazione e reperimento di risorse.
DEFINIRE LE POLITICHE E GLI OBIETTIVI DELL’ORGANIZZAZIONE
Le politiche e gli obiettivi dell’organizzazione scaturiscono dal mandato isti-tuzionale, dalla mission e dalla vision.Le politiche e gli obiettivi a breve – medio termine (output) sono contenu-te nel Piano Pedagogico di Istituto che diviene uno strumento di program-mazione integrata.Le circolari ministeriali raccomandano di costruire il Piano con il contributoattivo di tutte le Aree e di includere:
– la valutazione dei risultati delle precedenti esperienze di PianoPedagogico di Istituto;
– l’analisi delle risorse strutturali, strumentali, umane ed economiche;– l’analisi della popolazione detenuta (bisogni e priorità);– la pianificazione: obiettivi, risultati attesi, ricadute auspicate, destinata-
ri, Risorse Umane necessarie (ruoli, compiti, livelli di integrazione),azioni, modello trattamentale;
– il dettaglio delle attività: obiettivi, risultati attesi, metodologia di inter-vento, modalità per il coordinamento delle risorse interne e del terri-torio, tempi;
– la definizione di compiti e gli spazi d’integrazione tra le diverse pro-fessionalità interne e con le risorse esterne;
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– il sistema di monitoraggio, verifica e valutazione: criteri di qualità,indicatori di risultato, tempi e risorse impegnate per la valutazione.
DEFINIRE I PROCESSI DELL’ORGANIZZAZIONE
Le politiche e gli obiettivi individuati dall’organizzazione trovano la declina-zione nei processi relativi alla gestione, alle risorse, alla realizzazione e allavalutazione degli interventi per garantire percorsi di apprendimento emiglioramento.I processi sono descritti mediante gli elementi in ingresso, gli elementi inuscita, i vincoli e le risorse e sono tutti connessi tra loro secondo unasequenza logica che delinea il sistema organizzativo.
DEFINIRE I RUOLI ORGANIZZATIVI
A fronte dell’analisi delle Risorse Umane e dei profili professionali inseriti èopportuno elaborare un organigramma e un mansionario che chiariscano iruoli, le responsabilità, i compiti e i livelli di integrazione di ogni persona.Per ogni processo deve essere definito il così detto “process owner”. Ilresponsabile del processo è una persona che, in relazione alla posizioneprofessionale, competenza, formazione e ruolo, assume il compito di assi-curare il buon andamento del processo e ne cura il percorso di migliora-mento continuo in relazione al sistema.Nel caso di processi trasversali è utile prevedere un gruppo di gestione delprocesso che garantisca al process owner una visione integrata dell’organiz-zazione. In questa circostanza il gruppo includerà i rappresentanti dei pro-cessi interagenti.Ne è un esempio il Gruppo di Osservazione e Trattamento che ha un ruolofondamentale nel processo relativo al Piano di TrattamentoIndividualizzato, il cui process owner è l’educatore anche se, ovviamente,la responsabilità del trattamento è del Direttore.L’educatore coordina la gestione del singolo caso ed ha compiti propri,esclusivi, connessi alla peculiarità professionale. È altresì il perno di tutte leattività connesse all’osservazione ed alla realizzazione dei progetti indivi-dualizzati di trattamento.
DEFINIRE LE PROCEDURE E LA DOCUMENTAZIONE DEI PROCESSI
È necessario identificare i processi che richiedono di essere documentati.Lo scopo principale della documentazione risiede nel permettere una con-duzione stabile e conforme dei processi in termini di memoria storica e diflusso comunicativo e informativo.
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Esistono molte modalità per documentare le attività: rappresentazionigrafiche, liste di riscontro, schemi di flusso, relazioni…Al fine di ottimizzare i tempi e le risorse è necessario scegliere le moda-lità più ottimali di predisposizione ed archiviazione della documentazio-ne.
DEFINIRE LE ATTIVITÀ INTERNE AI PROCESSI
Nell’ambito di ogni processo si descrivono le attività principali che concor-rono a realizzare gli obiettivi auspicati (che trasformano gli input in output),la loro sequenza logica e le loro interazioni.Al fine di mantenere sotto controllo i processi è opportuno indicare, perogni attività ritenuta strategica o particolarmente significativa, le risorse e iltempo necessario.
DEFINIRE I REQUISITI PER IL CONTROLLO E IL MONITORAGGIO DEI PRO-CESSI
Per garantire percorsi di miglioramento continuo è opportuno implementa-re un sistema di controllo, monitoraggio, verifica e valutazione sia dei sin-goli processi che dell’intero impianto organizzativo.Tale sistema dovrà prevedere:
– criteri di qualità: diffondere la conoscenza delle opportunità rieduca-tive, curare la fase di accesso e quella di dimissione, garantire la cono-scenza delle procedure, migliorare la fornitura del servizio6, controlla-re e correggere il servizio7, innovare e far evolvere il servizio8 e facili-tare l’accesso alla fruizione delle opportunità (GU n.4/1996) e miglio-rare la qualità del servizio9 (Carta dei servizi previdenziali e assisten-ziali)
– detentori delle informazioni: i detentori delle informazioni dovrannoessere coinvolti sin dall’inizio in modo da garantire la corretta e pun-tuale rilevazione dei dati e delle informazioni
– indicatori empirici: quantitativamente misurabili, reali ed effettivi,
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6 Esempi: rendere più rapidi i tempi di risposta alle domandine, agevolare l’utente negli adempi-menti, usare un linguaggio chiaro e comprensibile…
7 Esempi: ridurre e prevenire gli errori, assicurare la costanza qualitativa del servizio, gestire i dis-servizi e gli imprevisti, coinvolgere gli utenti nella valutazione del servizio…
8 Esempi: arricchire il servizio, ridurre le recidive, aumentare le risorse e le opportunità di lavoro,di apprendimento, di svago e di socializzazione…
9 Esempi: comunicazione (informazione, accoglienza), affidabilità e tempestività (organizzazione,procedure, formazione, sistema premiante), trasparenza (informazione all’utente e accesso alla docu-mentazione)
validi, verificabili e sensibili (capaci di segnalare i mutamenti dellasituazione). Gli indicatori possono essere classificati sulla base dellaloro natura (di servizio, di supporto, di rapporto) e dell’apporto albuon andamento delle attività. Distinguiamo gli indicatori che fannoacquisire agli utenti fiducia nell’operato dell’organizzazione, gli indica-tori essenziali, gli indicatori impliciti del servizio e quelli non conside-rati importanti dall’utente ma che il servizio deve soddisfare
– tecniche di ricerca: indagine campionaria, indagine documentaria,intervista in profondità, osservazioni partecipate, interventi di esperti(brainstorming, focus group, metodo delphi10)
– procedure di sintesi: i risultati dell’analisi sono un patrimonio conosci-tivo per l’organizzazione. Devono essere elaborati con un linguaggiochiaro ed una sinteticità complessiva
– pianificazione delle azioni: obiettivi, modalità e tempi.
STABILIRE LE RISORSE NECESSARIE
Stabilire le risorse necessarie per l’efficace funzionamento di ciascun pro-cesso garantisce la concreta applicabilità dell’impianto progettuale del siste-ma.Di solito sono analizzate le Risorse Umane, strutturali, informative, materia-li e finanziarie.Ulteriore attenzione deve essere riservata alla risorsa “ambiente di lavoro”inteso come luogo fisico dotato di attrezzature dedicate allo svolgimentodelle attività.
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10 Il brainstorming tende a sviluppare la creatività e l’immaginazione dei partecipanti e a produrrecomunicazioni più libere ed immediate possibili, ampliando la discussione anche in ambiti imprevisti edoriginali. Tale tecnica è usualmente utilizzata nella fase programmatoria, quando occorre tracciare i con-fini della situazione in esame, identificando i fenomeni più rilevanti e le connessioni significative tra glieventi. Il brainstorming prevede la partecipazione di soggetti, individuati sulla base di alcune specifichevariabili discriminanti, e di un facilitatore che ha il compito di agevolare il dibattito. Al termine della fasecreativa ai partecipanti è richiesto di classificare le indicazioni emerse sulla base di alcuni principi ordi-natori.
Il focus group prevede la partecipazione di 6/12 soggetti, individuati sulla base di alcune specifichevariabili discriminanti, un facilitatore che ha il compito di condurre il dibattito ed un collaboratore che(video)-registra l’interazione e prende nota degli elementi salienti. Il focus group è orientato a promuo-vere un confronto guidato sugli argomenti sollecitati. È particolarmente utile nella fase di avvio dellaprogrammazione in quanto fornisce una prima analisi di sfondo e nella fase conclusiva, ove aiuta a siste-matizzare le conoscenze acquisite e ad accertarsi che le dinamiche prevalenti del fenomeno indagatosiano state trattate con la giusta rilevanza.
Il metodo delphi, a differenza dei precedenti non prevede la diretta interazione degli stakeholder.Gli intervistati forniscono, in forma scritta, il proprio punto di vista riguardo il tema oggetto d’indagine.Il ricercatore elabora un documento sintetico sul complesso delle indicazioni espresse da tutti gli altri, incui viene chiesto agli intervistati di esprimere il livello di accordo.
VERIFICARE E VALUTARE I PROCESSI E LE RELATIVE ATTIVITÀ A FRONTEDEGLI OBIETTIVI
Se le caratteristiche dei processi sono coerenti, allineate e non dispersiverispetto al perseguimento della mission, della vision e delle finalità dell’or-ganizzazione, è possibile avviare un periodo di sperimentazione del nuovomodello gestionale.Il processo organizzativo dovrebbe quindi configurarsi come un ciclo cheprevede il progressivo miglioramento delle prestazioni sulla base di verifi-che “scientifiche” dei livelli di efficacia e di efficienza dei risultati raggiunti.Intorno agli anni ’60 in Giappone venne introdotto il PDCA, meglio cono-sciuto come Ruota di Deming.Tale strumento indica che il miglioramento della qualità avviene attraversoun ciclo continuo che può essere applicato in tutte le situazioni e fasi lavo-rative: pianificare (plan), fare (do), verificare (check), agire (action).
Figura 9: Ciclo PDCA
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PLANpianificare
DOfare
CHECKverificare
ACTagire
Il “Plan” risponde alle domande “Cosa fare?” e “Come fare?”. In questa fasedi pianificazione si stabiliscono gli obiettivi e i processi necessari a garanti-re il raggiungimento degli obiettivi in accordo con la mission e la vision, lapolitica e le strategie, i requisiti dell’utente, le risorse e i vincoli.Successivamente si attua (“Do”) ciò che è stato pianificato: si implementanoi processi.Nel corso della fase del “Check” si controllano e si monitorano i processi inrelazione a quanto pianificato. Si misurano le prestazioni mediante indicato-ri e indici individuati nella fase pianificatoria.Il “Check” è propedeutico all’“Act” in cui l’esperienza si trasforma in buonaprassi, procedure e comportamenti organizzativi. Facendo girare in continuo il Ciclo PDCA si ha il presidio della qualità attra-verso il consolidamento del know how: l’organizzazione “impara facendo”.Si decide così, in modo consapevole, di scrivere un nuovo capitolo alla sto-ria dell’organizzazione.
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Capitolo 2La formazione come leva per il cambiamento
GESTIRE INSIEME
La formazione è uno degli strumenti più indicati per acquisire quella consa-pevolezza che favorisce il cambiamento.In un percorso formativo la buona integrazione del gruppo di conduzione,spesso costituito da professionalità afferenti a diversi ambiti, costituiscequel valore aggiunto che può consentire di individuare il metodo più effica-ce per quello specifico percorso. Il consulente che offre il suo servizio presso una Pubblica Amministrazione,e nello specifico presso una struttura penitenziaria o un UEPE, necessitadella collaborazione attiva dello staff interno che ha familiarità con i bisognidel contesto, ne conosce punti di forza e criticità ma può mancare al con-tempo di obiettività e di specifiche competenze tecniche. Questi sono gliaspetti dei quali deve essere forte il consulente ed ecco quindi chel’integrazione e l’interdipendenza tra le due parti di staff (interno ed ester-no) consentono di coprire tutte le necessità.E’ basilare che la collaborazione prenda forma fin dall’ideazione del percor-so di modo che si possa parlare di una vera progettazione integrata, nellaquale non solo ci si confronta rispetto alle idee ed ai contenuti ma si inte-grano conoscenze e competenze nell’ottica di una partecipazione attiva,propositiva e al contempo orientata all’ascolto attivo dell’altro. Ciò consen-te di rispondere alle esigenze del cliente con soluzioni innovative, in termi-ni di flessibilità, di qualità (professionalità dell’intervento) e di costo (ilcoinvolgimento dello staff interno consente un risparmio sui costi). In una situazione di questo tipo è importante che le diverse figure coinvol-te (consulenti esterni, progettisti interni etc..) si integrino senza perdere laloro specificità e che ci sia una suddivisione di ruoli e compiti esplicitata econdivisa. L’avventura del percorso ITACA ci ha portato alla sperimentazione di unmodello formativo nel quale il team di conduzione era caratterizzato dallapresenza di personale interno al P.R.A.P. e consulenti provenienti da impre-se private. Nello specifico ai consulenti era affidata tutta la parte di analisi
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dei processi di lavoro e di supporto al cambiamento organizzativo, agliinterni oltre che parte della progettazione era affidato il ruolo di tutoraggiointeso però in senso molto più ampio rispetto al classico tutoraggio d’aula. Il tutor interno assumeva infatti la funzione di tutor di processo, monitoran-do il clima del gruppo, osservandone le dinamiche e soprattutto svolgendoun ruolo di connessione tra il mondo penitenziario e quello esterno. Inmaniera sintetica possiamo sostenere che il tutor facilitava l’adattamento deicontenuti teorici al contesto penitenziario. Il tutor ha la responsabilità di garantire la tenuta del percorso formativo, dimotivare il partecipante e di supportarlo da un punto di vista metodologicoe contenutistico. Nel processo formativo il tutor può essere visto come unesperto della metodologia, esperto dei contenuti, animatore o esperto delledinamiche relazionali. Il ruolo ed i compiti che si assegnano al tutor devono essere coerenti congli obiettivi formativi e, più in generale, con il metodo reputato migliore perquel percorso. Il metodo più efficace per lo specifico percorso formativo solitamenteprima che utilizzato va creato e modellato sulla base di due grandi aree diinformazioni:
❑ quelle provenienti dagli obiettivi e dalle finalità del percorso❑ quelle provenienti da ciò che il gruppo ti restituisce.
Il motivo ispiratore dell’azione formativa può essere espresso e sintetizzatodalla centralità della nozione di cambiamento inteso come processo nonriconducibile alla sola dimensione del sistema di conoscenze o competenzeprofessionali ma esteso all’ambito più propriamente riguardante il sistemadi comprensione/costituzione della realtà, gli atteggiamenti, la struttura omappa dell’organizzazione del rapporto individuo/realtà esterna.La formazione raggiunge il suo obiettivo di cambiamento quando intervie-ne sulle persone prima che sui professionisti e quando si concretizza in unoscambio, non tanto di saperi quanto di esperienze, tra chi la eroga e chi neusufruisce. Se chi la eroga non tiene conto della specificità della realtà cheha di fronte il percorso formativo rischia di essere sterile, fine a se stessoperchè astratto e difficilmente trasferibile. In questi casi la formazione sislega dalla cultura organizzativa, prescinde da questa e, da luogo d’intesa diobiettivi e valori, diviene un luogo per il mero trasferimento di contenuti.L’osservazione e l’ascolto attivo del gruppo e della realtà organizzativa chequesto costituisce sono gli unici strumenti che il formatore può affiancarealla sua professionalità per offrire una formazione di qualità che davvero siafinalizzata al cambiamento.Osservare ed ascoltare quindi..ma non è luogo comune che è la parola ildono più prezioso del formatore? Un antico proverbio danese dice che
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“abbiamo due orecchie ed una sola bocca perché dovremmo ascoltare ildoppio di quanto parliamo”.Questa è forse la risposta alla domanda precedente.Troppo spesso questo concetto sfugge ai formatori che si recano in aulacarichi di parole e di modelli da applicare e proporre.L’organizzazione è un sistema complesso costituito da strutture11, persone eprocessi12
Ogni tipo di consulenza organizzativa si origina dall’acquisizione della con-sapevolezza di questa complessità da parte del consulente. La Pubblica Amministrazione in generale e le strutture penitenzia-rie/UEPE in particolare rappresentano contesti con una struttura organiz-zativa formalmente rigida e con uno spazio di autonomia decisionalepiuttosto ristretto; in un ambiente di questo tipo le ipotesi di cambiamen-to generano resistenze profonde e radicate soprattutto se formulate dal-l’esterno. Il percorso formativo di ITACA è rivolto all’analisi ed al miglioramento dispecifici processi di lavoro ritenuti strategici dalle singole strutture. Il cam-biamento costituisce pertanto un elemento chiave del percorso. E’ il gruppoin questi casi che deve decidere se e che cosa cambiare acquisendo consa-pevolezza di quello che c’è attraverso un esame di realtà (della loro realtà)e l’individuazione di obiettivi realistici. In questa fase il formatore si pone come facilitatore stimolando e guidandoil processo di analisi e riflessione.In ogni percorso formativo, che abbiamo prima definito luogo d’intesa diobiettivi e valori, c’è comunque bisogno di definire e condividere metodi esignificati. La metodologia contrattuale, che tratteremo in seguito, è sicuramente unostrumento basilare in questo processo ma anche l’integrazione con la for-mazione d’aula è un elemento che consente di fornire una base teorica edegli strumenti di riflessione che i partecipanti possano fare propri e calarepoi nella loro realtà.
11 La struttura organizzativa si divide in Macro e Microstruttura:– La Macro Struttura è l’insieme di:❑ Struttura Organizzativa: è il risultato dell’applicazione dei criteri di divisione del lavoro e di
aggregazione dei compiti in unità organizzative.❑ Meccanismi Operativi: sono le regole e le procedure che collegano e coordinano l’attività delle
varie unità organizzative.La Microstruttura è l’insieme dei ruoli e delle mansioni svolte all’interno della macro struttura.
12 Un processo è un insieme di attività, sviluppate all’interno di una organizzazione, collegate traloro e finalizzate al raggiungimento di un obiettivo condiviso.
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L’INTEGRAZIONE FRA FORMAZIONE D’AULA E COUNSELING
La complessità del percorso formativo ITACA, e più in generale di una con-sulenza in una struttura penitenziaria/UEPE, rende necessaria l’analisi didue diversi livelli:
❑ il livello MACRO, costituito dal “sistema penitenziario” in toto, dallesue risorse e dai suoi vincoli, dai suoi obiettivi di cambiamento e dallesue realistiche potenzialità
❑ il livello MICRO, costituito dal “sistema carcere” o “sistema UEPE” spe-cifico, con le sue di risorse, vincoli, obiettivi di cambiamento e realisti-che potenzialità.
In ITACA sono state così individuate fasi strategiche che si collocano nellaprima o nella seconda area e che alternano momenti di formazione ad altridi counseling organizzativo.
Figura 10: Fasi del progetto ITACA
Avvio sperimentazione
(visite nelle strutture)
Outdoor
Formazione(workshop)
Verifica (visite nelle strutture) Conclusione del
progetto Follow up
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Fase Obiettivo soggetti coinvolti modalità di svolgimentoe contenuti
1. Formazione(Workshop)
- elaborazione schedadi contratto;- definizione di ogniprocesso ideale (input,output, vincoli, risorse,tempi)- elaborazione schedaper analisi dello statodei processi
- Direttori- Capi area e di settore- Coordinatori progetto- 1 tutor di processo- Facilitatori di PerFormatsrl
Una giornata di formazione.Contenuti:- “contratto”- presentazione del progetto- aspettative- teoria e tecnica dell’analisi per pro-cessi 13
- definizione del processo e procedure- elaborazione scheda per analisi dellostato dei processi
2. Avvio sperimentazione:visite nelle strutture
- stato dell’arte deiprocessi- individuazione distrategie e modalità dimiglioramento deiprocessi- avvio della sperimen-tazione
- Direttori- Capi area e di settore- Coordinatori progetto- RU implicate nei processi- 1 tutor di processo- facilitatori di PerFormat srl
Visita di 6 ore per ogni struttura.Contenuti:- “contratto”- revisione scheda per analisi dellostato dei processi- definizione di strategie perl’implementazione del processo
3. Outdoor - condivisione dellasperimentazione
- Direttori- Capi area e di settore- 1 tutor di processo- facilitatori di PerFormat srl
Fase residenziale (outdoor).Contenuti:- “contratto”- revisione scheda per analisi dellasperimentazione: criticità e punti diforza del processo e delle procedureadottate- ridefinizione del processo e piano dicambiamento- criteri di qualità e indicatori
4. Verifica:visite nelle strutture
- stato dell’arte deiprocessi- individuazione distrategie e modalità dimiglioramento deiprocessi- avvio della sperimen-tazione
- Direttori- Capi area e di settore- Coordinatori progetto- RU implicate nei processi- 1 tutor di processo- facilitatori di PerFormat srl
Visita di 6 ore per ogni struttura.Contenuti:- verifica del percorso di sperimenta-zione- definizione di azioni correttive e pre-ventive
5. Conclusione delprogetto
- presentazione pub-blica della sperimenta-zione e modalità diampliamento dellasperimentazione adaltre strutture regionali- follow up del proget-to
- Direttori e Capi area e disettore della regione- Coordinatori progetto- tutor di processo- facilitatori di PerFormat srl
Seminario
6. follow up
- consolidamento delcambiamento e del-l’apprendimento orga-nizzativo nella logicadel miglioramentocontinuo.
- Direttori- Capi area e di settore- Coordinatori progetto- RU implicate nei processi- 1 tutor di processo- facilitatori di PerFormat srl
Focu group
13 La metodologia dell’analisi per processi – Gli elementi distintivi dei processi – I criteri per analiz-zare le anomalie di processo e per individuare le ipotesi di miglioramento – Le metodologie per ridise-gnare il processo
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Il progetto I.T.A.C.A.
Tabella 2: Struttura organizzativa del progetto ITACA
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Il modello formativo sperimentato in ITACA si caratterizza anche perl’ambiente fisico in cui le diverse fasi si sono svolte:Lo workshop teorico (livello MACRO) può svolgersi in un luogo “neutro” epossono partecipare contemporaneamente tutte le strutture che hanno scel-to di analizzare lo stesso processo di lavoro. E’ sufficiente che ci sia la pos-sibilità di disporre il gruppo in semicerchio e di dividere i partecipanti perstruttura di provenienza nella seconda parte della giornata (quella in cui ini-zia la scomposizione del processo).La fase sperimentale, nella quale prende vita la descrizione tecnica del pro-cesso di lavoro, viene solitamente svolta direttamente nella struttura.Questo ha i suoi lati positivi e quelli negativi. Da una parte infatti è rischioso lasciare i corsisti nel proprio luogo di lavo-ro perché questo rende loro più difficile staccarsi dal vortice della quotidia-nità e concentrarsi sulla formazione.Al contempo però l’essere in sede consente al consulente di “vivere” lo spa-zio dove il processo analizzato viene svolto, al corsista di avere la percezio-ne di agire sulla sua realtà lavorativa standoci metaforicamente “dentro”.La fase di outdoor, come dice il nome, viene svolta “fuori porta” per permet-tere al gruppo di “guardare dall’alto” il lavoro svolto ed il processo studiato.Ora il gruppo è pronto per lavorare su stesso. Durante l’outdoor il team hamodo di rileggere il lavoro svolto nella fase sperimentale e di riflettere sullepossibili azioni di miglioramento individuando nuove soluzioni organizzati-ve. In questa fase è importantissimo mantenere il contatto con la realtà perevitare di stabilire obiettivi troppo ambiziosi, impossibili da raggiungere,che andrebbe soltanto ad alimentare il LoC esterno. Per evitare questo èbasilare stabilire, insieme agli obiettivi, le modalità e i tempi con cui rag-giungerli nonché le risorse, umane e strutturali, necessarie.La fase di verifica, da svolgersi circa 2 mesi dopo quella di outdoor, preve-de invece il ritorno in struttura che metaforicamente simboleggia un “rien-tro in sé stessi”. Il piano di miglioramento ipotizzato va a confrontarsi con ilcontesto di riferimento. Gli obiettivi previsti sono stati raggiunti? Se sì qualiconseguenze hanno portato sul piano organizzativo? Se no, perché? Qualigli ostacoli incontrati?Questa fase non deve risultare un esame o una resa dei conti ma un con-fronto con il ritorno nella quotidianità con l’obiettivo di individuare azionipreventive e/o correttive al piano di miglioramento ipotizzato durantel’outdoor.Il convegno finale è una sorta di restituzione globale. E’ il momento in cuitutte le strutture coinvolte nel progetto si incontrano confrontandosi rispet-to al prodotto finale ma soprattutto rispetto all’esperienza svolta. È impor-tante che questo momento sia percepito come una sorta di celebrazione
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Il progetto I.T.A.C.A.
del lavoro svolto e che quindi questa fase si tenga in un luogo idoneo.Il follow up prevede il ritorno nelle strutture per consentire ai team di con-solidare l’apprendimento e di attivare, tramite un processo circolare, strate-gie volte al miglioramento continuo.Al di là dei contenuti di ogni specifica fase, quello che è importante sottoli-neare per la trasferibilità del metodo, è il valore aggiunto portato dall’inte-grazione della formazione d’aula e del counseling. Il counseling organizza-tivo di gruppo è lo strumento principe del progetto ITACA, utilizzato perpromuovere nei corsisti l’acquisizione di consapevolezza rispetto alla pro-pria realtà lavorativa, ai suoi punti di forza ed alle aree di miglioramento.In linea generale il counseling può essere definito come una relazione diaiuto, mirata all’acquisizione di consapevolezza di sé e volta alla promozio-ne del processo di cambiamento individuale che parte dal recupero delladecisionalità consapevole.Il counseling si concentra sul qui–e–ora, accresce la capacità di autoesplo-razione, aiuta a comprendere meglio gli altri e ad individuare strategie con-crete per superare le situazioni problematiche.All’interno del percorso di ITACA il counseling ha l’obiettivo di stimolare lariflessione sui comportamenti individuali e del gruppo, al fine di individua-re nuove soluzioni organizzative. Tramite il counseling organizzativo di gruppo, infatti, il singolo ha modo dianalizzare i propri comportamenti e valutare le conseguenze, positive enegative, che questi hanno sul resto del gruppo e sull’organizzazione intoto. Nell’esperienza di ITACA il counseling ha consentito ai corsisti di porsialcune domande e cercare le relative risposte:
❑ quanto i miei comportamenti organizzativi incidono sul gruppo?❑ quanto quelli del gruppo sui miei?❑ quanto dell’efficacia dei processi organizzativi dipende proprio da
questi singoli comportamenti?Affrontare queste tematiche permette di responsabilizzare i partecipanti e distimolare il locus of control interno, portandoli alla percezione che la quali-tà del lavoro dipende in gran parte da loro e che possono incidere positiva-mente sui processi organizzativi. Abbiamo più volte fatto cenno al concetto di locus of control che richiedeadesso qualche approfondimento.Il locus of control (LoC) è una variabile psicologica che indica il grado dipercezione rispetto al controllo del proprio destino e degli eventi .Un LoC “esterno” attribuisce prevalentemente al destino o agli “altri” il con-trollo di quanto accade. Un LoC “interno” vede invece il soggetto molto piùindirizzato a considerare ciò che accade come un effetto delle proprie azio-ni e quindi una variabile “interveniente”.
In altre parole, il LoC rappresenta l’atteggiamento mentale con cui noi sen-tiamo di essere in grado di determinare le nostre azioni, e i relativi risultati,rispetto al controllo esercitato dal caso e dalle circostanze esterne. Alcuni sintomi di locus of control esterno sono:
❑ sentire gli eventi come imprevedibili e che sfuggono al nostro control-lo
❑ dipendere continuamente dagli altri (esempio: chiedendo continua-mente “come si fa...”) anziché attivarsi nel problem-solving e nell’au-tonoma ricerca di soluzioni
❑ ritenere che le variabili esterne siano eccessive e opprimenti rispettoalle proprie capacità
❑ lo sviluppo di un senso di impotenza rispetto agli eventi❑ l’attribuzione di risultati negativi sempre e comunque al destino, agli
altri o a variabili esterne❑ la rapida perdita di motivazione, a fronte di ostacoli e difficoltà.
Calando questi aspetti al contesto penitenziario, è inevitabile sottolineareche esistono delle variabili effettivamente “pesanti” e difficili da controllare(la burocrazia, la mancanza di fondi, il sott’organico…) che portano inmaniera quasi automatica al LoC esterno. La chiave di volta sta nel partireda se stessi, individuando quello spazio di autonomia e di azione che tal-volta è anche comodo nascondere.Gli indicatori di un locus of control interno sono invece:
❑ la ricerca attiva di strumenti, conoscenze e skills che permettono diaffrontare meglio le situazioni e i problemi
❑ ritenere che ciascun problema possa essere risolto o perlomeno ana-lizzato, che ciascun obiettivo sia raggiungibile (con le risorse adegua-te), senza darsi per vinti, e debbano sempre essere ricercate e tentatesoluzioni
❑ credere nei propri potenziali, attivarsi per aumentarli e svilupparli;essere convinti e perseverare, non temere la fatica, non arrendersi
❑ la “visione” delle possibili alternative alla risoluzione di un problema eil tentativo di determinare le probabilità di successo.
Il LoC è una variabile psicologica individuale ma il concetto è facilmentetrasferibile al contesto organizzativo.Il LoC può assumere connotazioni estreme, oppure gradi intermedi. Laposizione lungo il continuum varia infatti in funzione della personalità edella cultura organizzativa. In particolare, il “rinforzo” dei comportamenti eatteggiamenti sviluppa oppure inibisce la possibilità di assumere unapproccio propositivo, basato su un LoC interno.L’organizzazione può agire sul LoC delle Risorse Umane tramite rinforzipositivi all’assunzione di responsabilità.
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Figura 11: Aspetti che influenzano il LoC
Il sistema di riconoscimenti dell’organizzazione incide moltissimo sul LoCdelle sue Risorse Umane.Un rinforzo positivo ad un’assunzione di responsabilità (ad esempio pren-dere una scelta difficile ed esserne premiati) porterà al rafforzamento delLoC interno. Rinforzi negativi (ad esempio un clima troppo accondiscendente verso glierrori o privo di un sistema premiante) porteranno invece a rafforzare ilLoC esterno.Le aziende private, alla ricerca della competitività, introducono sistemi dirinforzo (premi) proprio per favorire l’assunzione di responsabilità, stimola-no con incentivi (remunerazione e benefit) e promuovono la gestione perobiettivi. Nella Pubblica Amministrazione il processo è più complesso erichiede un lavoro sui singoli e sul gruppo.Il LoC esterno tende a generare un circolo vizioso di disorganizzazione eabbandono che spesso conduce al senso di sconfitta ed alla passività.Questo rinforza ulteriormente il LoC esterno creando un meccanismo per-verso di retroazione e perdita di spirito competitivo, un meccanismo deltipo “te lo dicevo che non ce l’avrei fatta, era meglio se nemmeno ci prova-vo, non posso farci niente, non ci proverò più”.
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Rinforzi culturali positivi
Differenze individuali
Differenze culturali
LoC interno LoC esterno
Posizione del soggetto
lungo il continuum Rinforzi culturali negativi
Al contrario, il LoC interno, genera auto-motivazione, sviluppa il senso delleproprie possibilità, rafforza il ragionamento “se mi impegno abbastanza cela posso fare, non mi tiro indietro”.
Figura 12: Il ciclo virtuoso del LoC interno e il ciclo vizioso del LoCesterno
Iniziare a porsi obiettivi, magari ambiziosi e impegnativi, oppure semplici eminimali, e chiedersi quali linee di azione impostare per raggiungerli, costi-tuisce un ottimo punto di partenza per l’attivazione del LoC interno.Raggiungere piccoli obiettivi è il prerequisito per poi guardare più in alto.Questo principio, nel percorso intrapreso con le strutturedell’Amministrazione penitenziaria, si è concretizzato nella scomposizionedel processo di lavoro scelto e nella graduale individuazione delle azioni dimiglioramento. La metodologia guida del percorso ITACA prevede di lavorare sul LoC, esu quelle domande prima formulate15 tramite una sorta di approccio
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Ciclo virtuoso del Loc interno
LoC esterno Autosconfitta LoC interno Automotivazione
AbbandonoRinuncia
Vittimizzazioneimpotenza
Impegnoe attivazione
Aumentoautostima
Ciclo vizioso del Loc esterno
15 Quanto i miei comportamenti organizzativi incidono sul gruppo, quanto quelli del gruppo suimiei? quanto dell’efficacia dei processi organizzativi dipende proprio da questi singoli comportamenti?
maieutico-socratico, per il quale nessuno è portatore di risposte e veritàma al massimo di un metodo attraverso cui favorire il raggiungimento ditale verità.Il paragone con la maieutica socratica è forse ambizioso ma calzante se sipensa che nel counseling organizzativo di gruppo l’obiettivo è stimolare neicorsisti queste domande e aiutarli a trovare le loro risposte confrontandosi“in tempo reale” con il gruppo. Questo è il presupposto che ha guidatol’intero percorso e che ha portato a presentare i consulenti con il nome di“facilitatori” più che formatori.Intendiamo con facilitatore la persona che, forte di un metodo e di una teo-ria (in questo caso la metodologia del lavoro per processi), facilita appuntola discussione, il confronto, che stimola l’analisi di realtà e l’individuazionedi aree di criticità e di possibili azioni di miglioramento. Questi erano gliobiettivi di tutte le fasi successive alla prima, focalizzata invece sulla forma-zione d’aula.La formazione d’aula che in percorsi di questo tipo precede la fase speri-mentale e di counseling organizzativo, si pone diversi obiettivi:
❑ consentire, a livello cognitivo, la comprensione del metodo, (nellospecifico quello del lavoro per processi);
❑ creare un substrato teorico su cui poi andare a costruire (“non esisteniente di più pratico di una buona teoria” diceva Lewin16);
❑ permettere ai corsisti e ai formatori la condivisone di un linguaggio edei suoi significati.
A questi obiettivi aggiungerei poi il concetto di “protezione”.In un percorso di questo tipo, così complesso (nel senso etimologico deltermine), finalizzato ad un cambiamento profondo delle modalità lavorativedell’individuo prima che dell’organizzazione, la formazione d’aula assumeinfatti anche una funzione protettiva. Per quanto sempre più spesso si sot-tolinei la validità delle metodologie interattive, è importante precisare cheanche la stessa formazione d’aula può essere coinvolgente e interattiva.Questo purché si accompagnino i corsisti verso un approccio che li rendagradatamente e progressivamente attori del percorso formativo e protagoni-sti del cambiamento senza “costringerli” a mostrarsi fin dal primo momento.Il formatore ha il dovere di esporsi per primo e se vuole erogare realmenteuna formazione di qualità che, come abbiamo detto, incida prima sulla per-sona e poi sul professionista, deve trasmettere ai corsisti il messaggio chepossono mettersi in gioco e lasciare loro il tempo di fidarsi di lui e del resto
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Il progetto I.T.A.C.A.
16 Psicologo tedesco, vissuto nella prima metà del ‘900, fu uno dei pionieri della psicologia sociale.Fu tra i sostenitori della psicologia della Gestalt e tra i primi ricercatori a studiare le dinamiche dei grup-pi e lo sviluppo delle organizzazioni.
del gruppo. Questo percorso non ha un tempo predefinito e passa da unasorta di esame o di test che ogni corsista, più o meno consapevolmente, faal suo formatore.La formazione d’aula permette al partecipante proprio di testare il formato-re – facilitatore anche valutandolo rispetto alla padronanza dei contenutiteorici, alla qualità dell’esposizione, alla chiarezza delle spiegazioni ed allamodalità di gestione dell’aula e delle dinamiche di gruppo.
IL CORSISTA PROTAGONISTA DEL PERCORSO FORMATIVO
Ogni corso di formazione si prefigge di promuovere un cambiamento edabbiamo sottolineato quanto sia importante che il cambiamento sia volu-to e deciso da chi poi deve attuarlo in prima persona e rendersene pro-tagonista.Un potente strumento di cambiamento ben utilizzabile nel contesto dellaformazione è il contratto. Il concetto si sviluppa in Analisi Transazionale,metodologia psicologica che attraverso l’analisi delle relazioni umanepotenzia il benessere nei luoghi di lavoro, negli ambienti formativi e neirapporti interpersonali. Eric Berne17, padre fondatore dell’Analisi Transazionale, definisce il contratto:
“un esplicito impegno bilaterale per un ben definitocorso d’azione18”.
Questa definizione nella sua brevità tocca i due aspetti fondamentali delcontratto:
❑ il cambiamento inteso come percorso❑ l’impegno inteso come volontà di intraprendere quel percorso.
La definizione di un contratto richiede l’attivazione di soggetti che siano ingrado di porsi degli obiettivi e di raggiungerli stabilendo i modi e i mezziche utilizzeranno.Alla base di ogni contratto sta un imprescindibile esame di realtà, che con-senta di avere chiaro il punto di partenza nonché di individuare mete con-crete e realistiche di cambiamento delle quali poter monitorare l’effettivoraggiungimento.
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17 Eric Berne, medico psichiatra, psicologo e psicoterapeuta di matrice psicanalitica vissuto tra il1910 e il 1970.
18 E. Berne, Principles of Group Treatment, Oxford University Press, New York, 1966; trad. it.Principi di terapia di gruppo, Astrolabio 1986.
In ogni contratto deve essere specificato19:❑ Chi sono entrambe le parti❑ Che cosa faranno insieme❑ Quanto tempo ci vorrà❑ Quale sarà l’obiettivo e l’esito di questo processo❑ Come faranno a sapere quando l’avranno raggiunto❑ Come questo sarà vantaggioso.
Nella stipulazione del contratto è necessario che le parti coinvolte sicostruiscano un quadro mentale dell’esito desiderato del loro lavoroinsieme. Nel caso in cui le parti siano più di due si parla di contrattotriangolare.Il contratto triangolare è tipico dei contesti formativi e più in generale dellaconsulenza organizzativa dove si distinguono sempre tre elementi in gioco:
❑ il committente❑ i consulenti/formatori❑ il gruppo
Ognuno di questi tre soggetti stipula un contratto con l’altro e la coerenzatra i vari contratti è un elemento imprescindibile per il buon esito del per-corso formativoQuando si offre un servizio ad un’organizzazione che presenta comeclienti le persone che ne fanno parte, non è sufficiente infatti rispettare ilcontratto stipulato con l’organizzazione ma è necessario ridefinire il qua-dro insieme alle persone che usufruiscono direttamente della formazio-ne.Quando il consulente arriva in aula il committente (l’organizzazione che harichiesto l’intervento) è già stato protagonista della stipula di due contratti:quello con il suo personale e quello con i consulenti, tuttavia questo per ilconsulente che si trova con gli utenti in aula non è sufficiente.Lui stesso deve saper scindere i suoi due contratti: quello con il committen-te e quello col gruppo.La condivisione degli obiettivi generali e delle strategie formative deveavvenire con il committente (contratto A) e rientra nel livello di analisi cheabbiamo definito MACRO, quella invece degli obiettivi specifici, conl’individuazione delle azioni di miglioramento delle singole strutture (con-tratto B), rientra nel livello MICRO.
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Il progetto I.T.A.C.A.
19 I. Stewart-V. Joines, L’Analisi Transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani, Garzanti1990, p. 331
Figura 13: Il contratto triangolare
Nel caso di consulenze a più strutture, come l’esperienza di ITACA, il con-tratto A viene stipulato una sola volta mentre ci sarà un contratto B conogni gruppo coinvolto.
La stipula di un contratto efficace richiede un obiettivo di cambiamentoconcreto, osservabile e verificabile.
Per questo nel livello di MICRO analisi, per la definizione del contratto conla singola struttura è consigliabile l’utilizzo di una scheda di questo tipo checonsenta di esplicitare e concordare aspettative ed obiettivi.
Figura 14: Scheda di contratto
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Ministero della Giustizia - DAP - Istituto Superiore Studi Penitenziari
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1. Qual è il tuo obiettivo di cambiamento rispetto al progetto?
2. Come intendi raggiungerlo?
3. Come farai a sapere che hai raggiunto l’obiettivo?
4. Quali risorse ti saranno utili?
5. Come ti può aiutare il gruppo di lavoro?
6. Come potresti boicottarti?
Il boicottaggio è un processo che porta la persona o il gruppo a ridefinirela realtà per la paura di affrontare la situazione diversa di fronte allaquale si troverebbe qualora il cambiamento venisse attuato. Tale processoinduce a mantenere comportamenti e strategie familiari che in passatonon hanno prodotto soluzioni efficaci e che quindi ostacolano il cambia-mento.Si richiede ai soggetti di riflettere e rispondere individualmente alle doman-de per poi passare al confronto con il gruppo.In questa fase è importante mantenere i corsisti su un piano di realismo equesto è possibile soltanto stimolandoli ad individuare obiettivi concreti.
“Nei gruppi di formazione presso le organizzazioni,[...] i partecipanti, sono frequentemente spinti [...] adaccarezzare aspettative non realistiche 20”.
Il contratto è anche lo strumento che consente il passaggio dall’uno all’altrodei due livelli a cui abbiamo fatto riferimento. La fase teorica rientra infattinel livello MACRO mentre attraverso il contratto con la singola struttura sientra nell’analisi dello specifico contesto e quindi nel livello MICRO.Per quanto efficace, la metodologia contrattuale non è mai sufficiente adattivare i corsisti. Perché questo avvenga è basilare che l’idea di renderliprotagonisti del percorso di cambiamento sia a monte della progettazione.Nell’esperienza di ITACA i gruppi di lavoro aderiscono volontariamente alpercorso scegliendo il processo di lavoro ritenuto strategico per la lorostruttura.In particolare i processi di lavoro individuati riguardano:
❑ La programmazione della spesa❑ Il Piano Pedagogico d’Istituto❑ L’inserimento a lavoro dei detenuti❑ La gestione del personale volontario
Il fatto che i singoli gruppi di lavoro possano scegliere quale dei processianalizzare fa sì che la motivazione di partenza sia elevata e poi rinforzatadall’analisi di fattibilità che segue lo workshop teorico. La scelta del processo da analizzare è dettata dalla percezione del suo livel-lo di problematicità.I gruppo quindi arrivano in aula con la consapevolezza di andare a lavora-re su qualcosa che è per loro familiare e con la speranza di riuscire ad inci-dere positivamente sulla qualità organizzativa.In un percorso di questo tipo la scomposizione in input, output, vincoli erisorse segue immediatamente lo workshop teorico e consente di calare
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Il progetto I.T.A.C.A.
20 F. English, Analyse transactionelle ed emotions, EPI, Desclée de Brouwer, 1992. Trad. it: SimonaMunari.
subito gli aspetti teorici al proprio contesto lavorativo passando dal livellodi analisi MACRO a quello MICRO. Dalla scomposizione del processo si procede poi con l’individuazione deisottoprocessi e delle relative attività per poi coglierne punti di forza e areedi miglioramento.Una delle caratteristiche più salienti di questa metodologia riguarda la tipo-logia del materiale didattico fornito: se si esclude la bibliografia sul lavoroper processi, il materiale didattico viene interamente costruito dai corsisti.L’analisi progressiva del processo di lavoro scelto richiede infatti di ripartireogni volta da dove si è lasciato, rinforzando la consapevolezza dei passifatti.A questo proposito si rivela molto efficace l’idea di rielaborare gradualmen-te il materiale prodotto in aula dai corsisti ed inviarlo loro per prepararliall’inizio della fase successiva.Questo ha permesso di mettere davvero i corsisti al centro del percorso for-mativo e di sottolineare l’importanza del loro mettersi in gioco e in discus-sione. L’accurata analisi svolta in aula è successivamente rielaborata dai facilitatorie restituita ai corsisti in un report che aumenta di volume col procedere delpercorso.Possiamo riprendere parte dell’analisi del processo che abbiamo utilizzatocome esempio nel capitolo precedente: l’inserimento dei detenuti a lavorodella Casa di Reclusione di Porto Azzurro.Già nella seconda fase, quella di sperimentazione, si è proceduto conl’individuazione delle criticità delle singole attività che costituivano i sotto-processi. Di seguito una parte dell’analisi.
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La descrizione dello specifico processo di lavoro, che si svolge in particola-re durante le prime due fasi del progetto, viene sempre affiancata dal lavo-ro sulla cultura organizzativa i cui tratti distintivi emergono spontaneamen-te durante l’analisi dal confronto e dalla discussione tra i dipendenti.In un percorso formativo di questo tipo finalizzato all’analisi ed al migliora-mento di specifici processi di lavoro è importante che i gruppi siano costi-tuiti da soggetti afferenti alle diverse famiglie professionali. Questo permet-te di prendere in considerazione tutti gli aspetti di quel processo e facilita lavisione sistemica dell’organizzazione e dei suoi utenti. Il coinvolgimentodell’intero gruppo di lavoro è una condizione basilare per il buon esito delpercorso formativo e, nel dettaglio, per una corretta descrizione del proces-so nel quale tutte le professionalità (Area amministrativa-contabile, educati-va, trattamentale e sicurezza) sono chiamate a collaborare.L’analisi della cultura organizzativa avviene trasversalmente alle diverse fasie viene facilitata dalla discussione continua che si autoalimenta con il pro-cedere dell’approfondimento relativo agli aspetti tecnici.Anche la disposizione dei corsisti in aula gioca un suo ruolo ed è consiglia-bile disporre il gruppo in semicerchio per facilitare il coinvolgimento.
DALL’INDIVIDUO AL GRUPPO: L’OUTDOOR COME STRUMENTO DICOESIONE
Il lavoro sugli aspetti culturali dell’organizzazione non può prescinderedalla riflessione sui comportamenti organizzativi attivati dal gruppo e sullereciproche influenze individuo/gruppo – gruppo/organizzazione.Per l’avvio di questa attività è importante che il gruppo sia pronto a lavora-re su se stesso e che il passaggio dagli aspetti di analisi a quelli trasversali,incentrati sulle modalità di comunicazione, collaborazione e condivisionedelle informazioni, non sia troppo brusco. È perciò necessario che anche laparte tecnica venga condotta tramite “facilitazione” più che docenza e chesia continuamente alternata da momenti di counseling organizzativo che sti-molino la riflessione e la rilettura di quanto agito nell’organizzazione.Nel momento in cui il gruppo si trova nel vivo dell’analisi del processo dilavoro, emergono inevitabilmente aspetti legati alle dinamiche del gruppoche meritano di essere approfonditi possibilmente in un ambiente diversoda quello dove si è svolta l’analisi tecnica. Da qui l’idea di inserire nel pro-getto una fase di outdoor.L’outdoor assume solitamente carattere residenziale.Il gruppo si allontana, fisicamente e mentalmente, dalla quotidianità dellavoro per acquisire il distacco necessario a individuare le azioni di miglio-ramento e per lavorare sugli aspetti gruppali.
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L’analisi del processo porta inevitabilmente i soggetti a riflettere sul proprioruolo lavorativo e sul proprio sé professionale ma ciò che sfugge alladescrizione tecnica è la dimensione psicosociale di questo ruolo, la suaconnessione con gli altri e la dinamicità del gruppo inteso in senso gestalti-co23, come qualcosa di più della somma delle parti. Nei giorni di outdoor, vengono condotte in parallelo due macrotipologie dilavori.Da un lato si procede con gli aspetti tecnici di analisi, volti all’individuazio-ne delle azioni di miglioramento, dall’altro si stimola il gruppo a sperimen-tarsi come tale in una serie di attività (apparentemente molto distanti dalcontesto di lavoro ma che vengono poi rilette in chiave organizzativa).Per lo svolgimento della prima parte possono essere utilizzate come supportodelle schede, costruite ad hoc, volte a facilitare la stesura del piano di miglio-ramento. La rielaborazione costante da parte dei consulenti del materiale pro-dotto dai corsisti consente loro di arrivare alla fase di outdoor consapevolidello stato di avanzamento dell’analisi e degli aspetti da approfondire.Le schede, che vengono utilizzate come griglia di riferimento, sono orienta-te alla identificazione di:
❑ criteri di qualità del processo;❑ indicatori (qualitativi e quantitativi) del processo;❑ tecniche di rilevazione.
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Il progetto I.T.A.C.A.
23 La psicologia della Gestalt (dove la parola tedesca Gestalt significa forma) detta anche psicolo-gia della forma è una corrente psicologica che nacque agli inizi del XX secolo in Germania e continuòpoi negli USA. Fondatori della psicologia della Gestalt sono di solito considerati Kurt Koffka, WolfgangKöhler e Max Wertheimer. Per la psicologia della Gestalt non è giusto dividere l’esperienza umana nellesue componenti elementari e occorre invece considerare l’intero come fenomeno sovraordinato rispettoalla somma dei suoi componenti. “L’insieme è più della somma delle sue parti” è il concetto di fondodella teoria gestaltica ripreso poi dalla psicologia sociale per lo studio dei gruppi e delle loro dinamiche.
Figura 15: Il monitoraggio dei processi
La finalità di questo dettagliato lavoro di analisi sta ancora nel mantenere ilcontatto con la realtà e con i vincoli che questa impone. Chiedere infatti aipartecipanti esclusivamente quali aspetti del processo di lavoro voglionomigliorare stimolerebbe richieste irrealistiche ed ostacolerebbe il LoC inter-no. In questo modo invece si chiede loro di riflettere su che cosa intendono per“qualità” (lavorando di nuovo sulla condivisione dei significati) e soprattut-to di individuare precisi indicatori (che cosa mi dirà che quel processo stafunzionando bene?). Possiamo riprendere come esempio l’inserimento alavoro dei detenuti della Casa di Reclusione di Porto Azzurro
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Per quanto riguarda invece la parte di outdoor non inerente gli aspetti dianalisi tecnica è importante individuare specifiche attività di gruppo orien-tate alla diffusione della cultura per processi. In particolare, l’obiettivo è far acquisire ai partecipanti la necessità di orga-nizzare la struttura secondo una logica per processi per accrescere la quali-tà del servizio, mediante lo sviluppo della soddisfazione degli utenti el’ottimizzazione delle risorse. Nello specifico le attività di outdoor sono finalizzate a:
❑ promuovere comportamenti collaborativi;❑ incoraggiare l’adozione di procedure per l’ascolto dell’utente;❑ facilitare la diffusione della mission e l’orientamento ad obiettivi
comuni;❑ favorire l’apertura al cambiamento e alla flessibilità nella logica del
miglioramento continuo.La fase di outdoor si caratterizza per una serie di attività pratiche e diverten-ti, in cui si chiede ai partecipanti un certo livello di impegno fisico ed emo-tivo. Quindi è importante che questo step avvenga in una fase di buonamaturazione del gruppo in cui si sia instaurato anche un rapporto di reci-proca fiducia con i consulenti/facilitatori.I partecipanti sono chiamati a sperimentare alcune dinamiche di cambia-mento e di gruppo in situazioni nuove ed impreviste.In questa fase più che mai i consulenti assumono il ruolo di facilitatori del-l’autoapprendimento ed hanno il compito di:
❑ gestire la fase di briefing (spiegare, e in alcuni casi dimostrare, le atti-vità);
❑ supportare la fase attiva (assistere i partecipanti nelle attività secondogli obiettivi e le regole fornite nel briefing);
❑ orientare il debriefing (supportare la discussione che segue le attività,al fine di rielaborare cognitivamente le esperienze e riportarle nellapratica lavorativa rileggendole in chiave organizzativa).
Uno strumento di partecipazione attiva di tutte le risorse implicate nel pro-cesso che si rivela molto efficace in fase di outdoor è il teatro forum. Leattività che lo costituiscono sono in tutto 5 e caratterizzate da diversi obiet-tivi.I attività di outdoor
• obiettivo: promozione di comportamenti collaborativi e integrazionedelle competenze;
• briefing: presentazione di un regista che indente formare 10 compa-gnie teatrali per mettere in scena una forma di teatro che preveda lapartecipazione attiva degli “spetta-attori”. Inoltre vengono fornite leistruzione per reperire il materiale necessario;
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• debriefing: Come hai giocato? Come ha giocato il gruppo? II attività di outdoor
• obiettivo: lavoro per obiettivi;• briefing: istruzioni per la costruzione della scenografia in silenzio;• debriefing: Che cosa hai provato? Come ha giocato il gruppo? Quale
sintonia hai sperimentato con il resto del gruppo? III attività di outdoor
• obiettivo: progettazione integrata;• briefing: istruzioni per la preparazione della messa in scena della per-
formance utilizzando il teatro forum;• debriefing: Come avete giocato? Chi ha acquisito la leadership? Siete
stati attivi o passivi? Quale contributo ha fornito ognuno di voi? IV attività di outdoor
• obiettivo: capacità di ascolto e di coprogettazione;• briefing: avvio delle performance, strutturazione del tempo;• debriefing: Come hai giocato? Ti sei sentito coinvolto? Che cosa hai
provato salendo sul palco? Credi alle “alternative” proposte?V attività di outdoor
• obiettivo: rielaborazione cognitiva dell’esperienza di outdoor. Riletturain chiave organizzativa;
• attività: focus group con utilizzo di scheda.La rielaborazione cognitiva dell’outdoor costituisce un momento molto deli-cato. Dalle attività svolte i partecipanti hanno modo di acquisire consapevo-lezza di molte caratteristiche proprie e del gruppo e di rileggere il tutto inchiave organizzativa. Ciò significa individuare punti di forza e aree dimiglioramento del proprio team. È pertanto importante che non sia restituita nessuna “sentenza” sulle moda-lità di lavoro del gruppo e che il facilitatore guidi la rilettura dell’esperienzasospendendo il giudizio e stimolando la riflessione autonoma.
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Figura 16: Rielaborazione cognitiva dell’outdoor
CONSOLIDARE IL CAMBIAMENTO: LA VALUTAZIONE COMEGARANZIA DI QUALITÀ
Ogni tipo di cambiamento ha bisogno di essere metabolizzato e le personeche ne sono protagoniste hanno bisogno di essere supportate durante lafase dei “lavori in corso” e in quella immediatamente successiva che preve-de di “fare i conti” con i cambiamenti apportati e con le relative conseguen-ze. A questo proposito risulta fondamentale un buon sistema di monitoraggio,valutazione e verifica ed è importante distinguere i tre concetti contestualiz-zandoli al mondo della formazione.In un percorso come quello di ITACA il monitoraggio costituisce certamen-te un elemento basilare e se ne distinguono due tipi:
❑ il monitoraggio relativo agli specifici processi di lavoro❑ il monitoraggio relativo al processo formativo nel suo complesso.
Per quanto riguarda il primo punto abbiamo visto quanto sia importante lacostruzione di un sistema di monitoraggio costituito da criteri di qualità,indicatori e tecniche di rilevazione che consenta di monitorare l’efficacia el’efficienza dei processi di lavoro e di tenere le fila del tutto in un’otticasistemica, intervenendo con eventuali azioni correttive. Il monitoraggio dell’intero processo formativo invece è qualcosa di più
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Come hai giocato nelle varie fasi?
Che similitudine hai trovato tra il comportamento del gruppo nelle attività di outdoor e quello abituale tipico del contesto lavorativo?
Che cosa significa per te “cultura del processo”?
Quali sono gli aspetti da migliorare nell’ambito deltuo gruppo di lavoro?
Quali sono gli aspetti personali che senti di poter migliorare per accrescere la qualità del lavoro del tuo team di lavoro?
ampio che avviene tramite la richiesta costante di feedback da parte delgruppo che consentano una ristrutturazione in itinere degli obiettivi e dellalogica progettuale. Dicevamo all’inizio di questo capitolo che ciò che il gruppo restituisce alformatore è quanto di più prezioso egli possa utilizzare per migliorare laqualità della sua formazione. Il feedback costante consente al gruppo di esprimersi e al formatore di“calibrare il tiro” per consentire un effettivo apprendimento.Proprio intorno al concetto di apprendimento ruotano quelli di monitorag-gio, verifica e valutazione. Il sistema di valutazione, costituito da tutti e tregli elementi, deve essere esplicitato ed elaborato in fase di progettazioneproprio perché deve essere finalizzato a supportare e facilitarel’apprendimento.Nell’esperienza di ITACA la verifica è svolta tramite attività individuali e digruppo volte a valutare quanto i risultati ottenuti siano in linea conl’impianto progettuale iniziale e quanto invece se ne scostino. Nei momenti di verifica l’obiettivo non è “dare un voto” bensì condividereil processo di apprendimento individuale perché diventi prima apprendi-mento di gruppo e poi apprendimento organizzativo. A questo livello entra in gioco anche la valutazione che deve svolgersi siain termini di output che di outcome. L’outcome può essere definito come ilrisultato, l’impatto consolidato dell’output sulla realtà.In altri termini possiamo identificare nell’output il risultato del progetto for-mativo e nell’outcome la sua ricaduta.Per quanto concerne l’output, il gradimento e l’efficacia, è bene che lavalutazione sia affidata ad un soggetto terzo e che si avvalga sia di strumen-ti costruiti ad hoc che dell’osservazione diretta.In progetti di questo tipo infatti l’osservazione consente di cogliere aspettiche sfuggono a qualunque altro strumento quali il comportamento degliallievi, il loro atteggiamento, le loro reazioni di fronte all’approccio dei for-matori/facilitatori nonché tutto ciò che riguarda gli stessi facilitatori,l’affiatamento, lo stile dello staff di conduzione e il livello di integrazione.Valutare l’outcome significa rilevare il livello con cui l’apprendimento e ilcambiamento si sono consolidati all’interno dell’organizzazione e richiede ilcoinvolgimento di chi ha seguito in prima persona il percorso formativoA questo fine l’esperienza di ITACA ha sottolineato l’efficacia del follow upcome strumento di valutazione dell’outcome.Il follow up prende avvio dopo almeno sei mesi dalla fine del percorso for-mativo e richiede una metodologia coerente con quella che ha caratterizza-to le altre fasi del progetto. In ITACA si è optato per una metodologia forte-mente interattiva, orientata alla partecipazione attiva dei destinatari. È stato
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utilizzato come strumento un focus group per ogni struttura volto a:❑ verificare il livello di implementazione della logica per processi in
ambito organizzativo❑ valutare quanto il cambiamento sia entrato nella cultura e in quali
nuovi comportamenti organizzativi si concretizzi ❑ riflettere sulle conseguenze che i nuovi comportamenti organizzativi
hanno in termini di benessere dell’utente finale degli operatori e delsistema locale.
Il focus group è uno strumento potente che consente di chiudere un cicloprogrammatorio ed avviarne un altro. Inserito nel sistema di valutazioneagevola l’apprendimento organizzativo e riporta la riflessione sul livelloMACRO stimolando la visione d’insieme.
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Il progetto I.T.A.C.A.
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L’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO
L’apprendimento è alla base dell’esistenza umana. Quello che noi siamooggi è il frutto di ciò che ci ha preceduto ha imparato. Il percorso storico che ha caratterizzato l’evoluzione si è avviato in untempo immemorabile, quando per la prima volta la vita sbocciò e cominciòa trasmettere, per mezzo del DNA, i risultati delle sue esperienze ai discen-denti. Tale trasferimento chimico ha raggiunto il suo culmine con il ragnoche tesse intuitivamente la sua tela secondo una geometria perfetta, senzache nessuno glielo insegni. I geni gli forniscono i progetti per costruire leragnatele proprio negli angoli in cui le mosche abbondano e lo fa in modoripetitivo, senza alcuna possibilità di uscire dal programma ereditato o dimigliorare le sue creazioni. Può però peggiorare la sua esistenza se intervie-ne uno spiacevole incidente al di fuori della sua possibilità di controllo24.Per l’uomo e le sue organizzazioni la questione è diversa: i geni controllanoalcuni comportamenti fornendo le risorse e ponendo i limiti massimi alleaspirazioni individuali ma, in compenso, possiedono enormi possibilità diautodeterminare il proprio destino.La capacità di indirizzare la vita verso la soddisfazione delle proprie inclinazio-ni non è cosa da poco! Richiede uno sviluppo armonico della personalità,fiducia in se stessi e negli altri, un contesto sociale e culturale protettivo, unabuona dose di energia e determinazione e la capacità di apprendere. Non ci è data la possibilità di modificare il nostro passato ma abbiamo, inogni momento, la capacità di rileggerlo e dargli significati costruttivi chepossano influenzare le decisioni future: possiamo imparare dalle esperienzepositive e dai nostri errori.Possiamo ristrutturare le scelte che inducono a vivere copione banali onegativi per scrivere nuove trame costruttive e soddisfacenti per noi stessi eper la società. Per far ciò dobbiamo acquisire consapevolezza del nostroprogramma di vita, avere la pazienza di reiterare i comportamenti efficaci
Capitolo 3°Il cambiamento possibile
24 Witt P.N. e Reed C.F., Spider-Web building, Science 149: 1190-1197, September 10, 1965.
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(nonostante tutto) e dotarsi del coraggio di sperimentare nuove strategie.Aristotele sosteneva che “ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamofacendolo”: affermazione forse banale per alcuni ma intuitivamente rassicu-rante per tutti. I modelli di apprendimento di cui si dota il bambino contri-buiranno a farlo diventare una “guardia” o un “ladro”. La “guardia” ha impa-rato a sviluppare comportamenti auto ed etero protettivi e a raggiungere isuoi obiettivi di vita in modo etico. Per la soddisfazione dei suoi bisogni il“ladro” ha imparato a far un uso parsimonioso delle risorse a costo di con-dotte auto ed etero lesive.Anche le grandi organizzazioni hanno una storia che si integra con lo svi-luppo sociale, economico e culturale della società.Soffermandoci sull’excursus storico della cultura e dell’organizzazione peni-tenziaria ritroviamo interessanti spunti di riflessione riguardo i profondicambiamenti che si sono avvicendati nella concezione della pena e nelruolo e nei compiti degli operatori. Ad esempio oggi la detenzione non dovrebbe avere un carattere meramen-te retributivo ed afflittivo, ma una funzione essenziale di rieducazione. Gli agenti di polizia penitenziaria non hanno soltanto compiti di sorveglian-za come un tempo, ma sono chiamati a intervenire, con il ruolo di protago-nisti, nell’azione rieducativa collaborando con gli altri operatori e assicuran-do ai detenuti umanità, rispetto e speranza25.L’analisi storica ha indotto l’evoluzione legislativa del sistema giuridico peni-tenziario la cui pietra miliare è l’articolo 27, comma 3 della Costituzione:“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanitàe devono tendere alla rieducazione del condannato”.L’evoluzione all’attuale sistema giuridico si è poi espressa soprattutto nelleseguenti fonti legislative:
❑ Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misureprivative e limitative della libertà (Legge 354 del 26/7/1975) e succes-sive modifiche (Legge 6633 del 10/10/1986)
❑ Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sullemisure privative e limitative della libertà (d.P.R. 230 del 30/6/2000)
❑ Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura eriabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (Legge 162 del26/6/1990) e il successivo Testo unico delle leggi in materia di discipli-na degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabili-tazione dei relativi stati di tossicodipendenza (T. U. 309 del9/10/1990)
25 Di Paolo P., Colletti L., Raciti A., 1989, Origini storiche degli Agenti di Custodia, ed. E.P.I.C.A.,Roma.
❑ Ordinamento del corpo di polizia penitenziaria (Legge 395 del15/10/1990).
Il nuovo “copione” del sistema penitenziario si concretizza nell’orientamen-to a politiche organizzative che incentivano l’adozione di una gestione perprocessi e l’integrazione delle risorse territoriali.Ne sono un esempio lo stesso progetto ITACA ma anche i percorsi parteci-pati di costruzione delle carte dei servizi delle strutture carcerarie e degliU.E.P.E., la nascita di cooperative di detenuti, la programmazione integrataa livello territoriale (Accordi di programma, Piani di Zona / Salute…), i pro-getti del terzo settore che si affiancano alle attività di trattamento e reinseri-mento sociale a fine pena, i percorsi di prevenzione e sensibilizzazione del-l’opinione pubblica, i progetti di legalità nelle scuole, …Questi orientamenti sostengono il cambiamento auspicato dalla legislazionee le persone divengono la chiave per il successo dell’organizzazione e delsistema.Il percorso che induce al cambiamento integra aspetti organizzativi e cultu-rali e induce allo sviluppo della qualità globale del sistema, dei servizi ero-gati e della relazione interna e con l’esterno.
Figura 17: Sistema della qualità
Una buona strategia per affrontare le sfide future e sviluppare il livello qua-litativo delle organizzazioni sarebbe prevedere i bisogni e le competenzeche saranno necessarie per il futuro.Sappiamo bene che ciò è molto difficile o addirittura illusorio. Quindi: cosapossiamo fare per elevare la performance dell’organizzazione?
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QUALITA’ SISTEMICA
organizzazione basata sulla differenziazione e l’interdipendenza
indicatori:apprendimento, responsabilità, coesione,
controllo, creatività, miglioramento continuo, pianificazione, programmazione, efficienza
QUALITA’ DEL SERVIZIO
organizzazione orientata alla soddisfazione dei bisogni e delle aspettative delle parti interessate
indicatori:efficacia, personalizzazione degli interventi,
impegno, ascolto, problem solving
QUALITA’ della RELAZIONE INTERNA
organizzazione impegnata nel curare il clima, la comunicazione e la motivazione
indicatori:senso di appartenenza, partecipazione,
corresponsabilità, integrazione, differenziazione, positività, trasparenza
QUALITA’ della RELAZIONE ESTERNA
organizzazione che è coinvolta nello sviluppo del sistema dei servizi alla comunità
indicatori:autonomia, affidabilità, apertura, reperimento
risorse, concertazione, sviluppo locale, apertura all’esterno, punto di riferimento
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Innanzi tutto potremmo adottare una gestione per processi basata sulla cul-tura dell’interdipendenza, capace di valorizzare il capitale umano individua-le26 e quello sociale27 nella direzione dell’apprendimento organizzativo.
KNOW HOW E CAMBIAMENTO
“Una volta che la mente dell’uomo ha assorbito un’idea nuova non ritornapiù alle dimensioni originali” (Holmes).ino a qualche decennio fa, la forza delle organizzazioni risiedeva nel knowhow delle sue Risorse Umane.Oggi la conoscenza non offre più un vantaggio competitivo per le impresee un porto sicuro per il mondo dei servizi pubblici e del non profit: lenuove tecnologie e la formazione durante tutto l’arco della vita favorisconol’accesso alla cultura. Quindi, ciò che garantisce la sopravvivenza o lo svi-luppo sul mercato per alcuni e l’erogazione di servizi di qualità per altri, èla capacità di dotarsi di metodi e strumenti per sviluppare, in modo autono-mo, percorsi di miglioramento continuo.In questo contesto i progetti che meglio supportano la crescita organizzati-va riguardano non solo l’addestramento tecnico ma anche e soprattuttoaspetti connessi alla cultura organizzativa, basata sull’apprendimento dal-l’esperienza. In altre parole la formazione ha la missione principale di inse-gnare alle persone e all’organizzazione ad apprendere.La formazione diviene quindi un processo che avvia la capacità di rileggerela propria storia, di imparare dai propri errori e di consolidare comporta-menti, strategie, procedure e flussi comunicativi che si sono rilevati vincen-ti. La formazione è un laboratorio del fare e del sentire e deve produrrerisultati concreti in termini di idee e metodi di lavoro innovativi: deveincentivare il cambiamento.Solo l’ipotesi di attuare un possibile cambiamento, nell’ambito di un conte-sto organizzato, genera resistenze e pregiudizi, quali strategie normalmenteadottate da chiunque per “sopravvivere”.Il boicottaggio che tutte le Risorse Umane (inclusi gli organi direttivi) tende-ranno a mettere in atto saranno pertanto giustificati dal senso di disorienta-mento e di inquietudine. Ogni piccola questione di incomprensione potreb-be essere vista come un muro insormontabile, molte persone la utilizzeran-
26 Il capitale umano è il potenziale produttivo della conoscenza e delle azioni di un individuo (sape-re, saper fare).
27 Il capitale sociale è il potenziale produttivo risultante da relazioni forti, improntate alla fiducia ealla interdipendenza (saper essere con).
no per confermare “l’impossibilità di cambiare” (e quindi il copione perden-te o banale) e rinforzare il LoC esterno. Spesso tali ostacoli generano emo-zioni negative che non rispondono alla situazione del qui – e – ora ma aduna storia già vissuta e affrontata in modo non costruttivo. A questo puntoil rischio è di non attivare nuovi comportamenti organizzativi “tanto le cosenon cambieranno mai”. Nel momento in cui si crede che le “cose possonoandare diversamente”, il cambiamento è già in atto.È per questo motivo che è importante sostenere “psicologicamente”l’organizzazione in questo passaggio delicato, adottare comportamenti com-prensivi, evitare quelli normativi, rileggere la storia con occhi consapevoli edare fiducia alle persone. Il percorso che conduce al cambiamento puòessere percepito alla stregua di un processo: tutte le Risorse Umane devonosentirsi coinvolte e ascoltate e devono poter contare sulla fermezza e ladeterminazione di chi propone una nuova cultura.Di fronte alle difficoltà ognuno adotta una strategia diversa. Alcuni provanopaura, altri rabbia, altri ancora tristezza. Sono pochi coloro che affrontanol’ostacolo con grinta ed energia e tra questi devono esserci coloro che gui-dano l’organizzazione.La paura, la rabbia e la tristezza sono emozioni legittime: non possiamochiedere alle persone di smettere di provarle ma possiamo aiutarle a speri-mentare i comportamenti positivi che ne possono derivare.La paura può indurre al ritiro, alla fuga, al panico, ma può anche essere unagrande occasione per vivere, con il supporto dei colleghi, protezione e aiuto.La rabbia può indurre ad atteggiamenti auto ed etero distruttivi ma, se bengestita, può far esprimere l’energia, la determinazione e la forza necessarieper lottare in una direzione evolutiva.La tristezza può convogliare nell’isolamento e nella depressione oppurepuò agevolare la riflessione e la condivisione propositiva del malessere.Cosa accadrebbe se tali emozioni potessero essere espresse e condivise? Ese venissero riconosciute e accolte? E se scoprissimo che anche gli altri lecondividono? Cosa accadrebbe se per una volta chi comanda dicesse“anch’io ho paura, proviamo a unirci e uscire da questo empasse insieme”?L’esperienza ci dice che si attiverebbero cambiamenti profondi non solo alivello individuale ma anche nella motivazione al cambiamento.Secondo la ricerca “Cracking the Code of change”28 la performance dei pro-grammi di cambiamento organizzativo è molto deludente. Il 70% delle ini-ziative non raggiunge l’obiettivo per tre motivi principali: i percorsi intra-presi sono teorici, sono imposti dall’alto e non presidiano gli aspetti legatial clima e alle relazioni.
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28 Beer M. e Nohria N., Cracking the Code of change, Harvard Business Review, may 2000.
LA CIRCOLARITÀ DEL CAMBIAMENTO
I più recenti studi sul management, a cui si è ispirato il progetto ITACA,propongono un percorso di 7 fasi per portare a buon fine un obiettivo dicambiamento.
Figura 18: Circolarità del cambiamento
La prima fase prevede di mobilitare le energie e l’impegno di tutte leRisorse Umane nell’analisi del problema e delle possibili soluzioni. Ilcoinvolgimento è ottenibile mediante la somministrazione di questionari,interviste individuali o di gruppo, attività di brainstorming e di focus group,il metodo delphi.La seconda fase induce allo sviluppo di una visione condivisa di comeorganizzare e gestire la struttura nella direzione della mission istituzionale(e delle Aree) in modo che il personale percepisca un interesse personale.La terza fase si focalizza sulla costruzione del team dedicato allo sviluppoorganizzativo. Tutte le risorse devono avere ben chiaro chi avrà il doveredi incentivare e guidare il cambiamento.Il processo di team building che guida l’evoluzione da gruppo di professio-nisti a gruppo di lavoro non è spontaneo né naturale. Prevede un forteinvestimento di energie e di impegno da parte di tutti i suoi membri perchérichiede un cambiamento nei comportamenti dei singoli e delle posizioniche ogni membro presidia per la costruzione di un soggetto sociale che sia
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problemi esoluzioni
visioneglobale econdivisa
team per ilmiglioramento
obiettivi emetodo
sperimentare ilcambiamento
formalizzare ilcambiamento
valutazione eapprendimento
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riconosciuto dalle altre Risorse Umane. Tale evoluzione interessal’applicazione della logica processuale del team building alla struttura e allacultura del gruppo. Riguarda la definizione, il presidio e l’evoluzione conti-nua delle variabili strutturali (obiettivo, metodo, ruoli) e di quelle proces-suali (comunicazione, clima, sviluppo).Lo snodo fra aspetti strutturali e processuali è gestito dalla funzione di lea-dership. Normalmente la leadership è attribuita al Dirigente, ai responsabilidelle Aree o a chi ha potere decisionale ed è ritenuto autorevole e un buoncomunicatore.Nell’ambito del percorso di team building la leadership può assumere, intermini di ruolo, connotati più orientati agli aspetti strutturali (leadershipistituzionale e formale) e in termini di funzione, aspetti più processuali (lea-dership riconosciuta ed informale). È pertanto impensabile che un soloindividuo assuma il ruolo di leader: solitamente i leader sono molteplici,come diversificati sono i bisogni da soddisfare.Il leader è soprattutto colui che presidia e gestisce le relazioni, che attiva lerisorse per permetterne la vitalità, la sopravvivenza e il riconoscimento da partedel contesto sociale. Le potenzialità evolutive del gruppo sono garantite dallafunzione di leadership che si mette in evidenza per le sue competenze tecnichee professionali, per la capacità di stimolare il senso di appartenenza e per ledoti comunicative che favoriscono la creazione di reti interne ed esterne.La leadership efficace si pone al servizio dei colleghi, lavora con, e non pero sul gruppo: non si distingue dagli altri ma li aiuta a gestirsi e organizzarsiin modo corale.Un adeguato processo di team building è in primis sostenuto e incoraggia-to dalla “committenza”, che nel caso di ITACA corrisponde al P.R.A.P.. Lacommittenza deve essere visibile, affidabile in termini di riconoscimento edi assegnazione delle risorse idonee, sostenere il processo di cambiamentoculturale, esprimere un elevato livello di fiducia e concedere il giusto livel-lo di autonomia al gruppo.Questo team è strategico per la riuscita del percorso di cambiamento. Ha uncompito importante: rendere credibile il percorso di cambiamento e moti-vare tutte le Risorse Umane. È un’azione delicata che si snoda intorno a tredirettrici:
❑ conoscenza del sistema: potenzialità, vincoli, modalità di funziona-mento, risorse…;
❑ confronto con le altre strutture che hanno già intrapreso o intendanointraprendere un percorso di miglioramento organizzativo;
❑ negoziazione del risultato atteso e del cambiamento organizzativoattraverso la selezione delle risorse necessarie e l’integrazione deipunti di vista del personale.
Nel corso della quarta fase è necessario concentrarsi sulla definizionedegli obiettivi e della metodologia di lavoro e non sul fare. È il momen-to della programmazione e della riflessione.L’obiettivo di un gruppo di lavoro efficace è definito in termini di risultatiattesi, costruito sui fatti, sui dati osservabili e sulle risorse disponibili, artico-lato in compiti, perseguibile, monitorato, valutato e verificato.L’individuazione dell’obiettivo permette al gruppo di acquisire autonomia efiducia in sé e di estendere la motivazione e la partecipazione all’intero per-sonale.Il metodo adottato dal gruppo è la sintesi dei principi che guideranno leattività, le modalità procedurali e i comportamenti che strutturano il cambia-mento. È contrattato in relazione all’obiettivo, all’assetto attuale, ai principie alle norme (legislative, sociali, etiche) che regolano la vita della struttura.Rappresenta quindi, in contemporanea, una risorsa e un vincolo per il grup-po: definirlo in modo concertato permette di valorizzarne il potenziale e glispazi di discrezionalità.Il metodo di lavoro fa emergere le modalità per sperimentare il cambiamen-to e, in particolare l’analisi delle risorse e dei vincoli, il funzionamento, lapianificazione del tempo, l’uso di strumenti di problem solving.L’adozione di un metodo di lavoro concertato permette al gruppo di otti-mizzare le risorse, gestire i vincoli e le criticità, promuovere e valorizzare lapartecipazione attiva dei singoli.La definizione dei ruoli conduce alla valorizzazione delle differenze professio-nali, il riconoscimento delle specificità individuali, l’allocazione delle risorse. Ilruolo, definito sulla base di un insieme più o meno vincolante di prescrizioni,permette a ciascun membro di occupare una posizione definita nell’ambitodell’organizzazione. Esso richiede interdipendenza (ogni ruolo è definito inrelazione agli altri e quando uno di essi muta, variano anche gli altri), comples-sità di aspettative (comportamento, motivazione, opinioni, sentimenti, atteggia-menti, valori…) e flessibilità (discrezionionalità, libertà d’azione, creatività).È importante assegnare i ruoli (e i compiti) in relazione al sistema di com-petenze disponibili e finalizzare tale scelta alla valorizzazione del capitaleumano e di quello sociale.L’attività di precisazione e assunzione di ruoli chiari e definiti permette allesingole Risorse Umane e alla struttura di implementare l’autoconoscenza ela valorizzare dell’apporto individuale nella logica sistemica.Il modello comunicativo di cui si dota un organismo è finalizzato a favo-rire la cultura della partecipazione nel raggiungimento dei risultati attesi. Lacomunicazione orienta le relazioni interpersonali, inter e intra Area, contri-buisce a creare alleanze (o ostilità), alimenta l’accordo (o il conflitto).Nell’ambito organizzativo la comunicazione assume diversi caratteri: interat-
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tivo (quando predilige il dialogo e la contrattazione), informativo (quandogarantisce il flusso di dati e la condivisione delle conoscenze), trasformati-vo (quando induce creatività e cambiamento). Deve essere finalizzata alraggiungimento dell’obiettivo, pragmatica, trasparente e coerente.Un buon processo comunicativo si sviluppa quando siamo capaci di con-fronto e scambio, ossia di ascoltare, esporre, convincere e rispondere.29
Figura 19: Il processo comunicativo
Il “clima organizzativo” coincide con il livello emotivo del gruppo dilavoro. È una caratteristica ambientale che induce alla definizione deimodelli culturali della struttura organizzativa quali la motivazione, il ricono-scimento, la fiducia, la negoziazione e la partecipazione.Il clima è direttamente influenzato dalla fiducia delle Risorse Umane rispet-to alla direzione e al sistema in generale, dall’atmosfera coinvolgente, dalriconoscimento dei ruoli, dalla possibilità di esprimere pensieri, idee e sen-timenti senza censura o paura di essere fraintesi.È necessario prevedere un supporto alle Risorse Umane per favorire lo svi-luppo del sistema. Tale percorso può essere di tipo meramente formativo,consulenziale, di counselling o integrato come nel caso di ITACA.L’insieme di competenze necessarie al gruppo riguardano l’evoluzione delsaper, del saper fare e del saper essere idonei a raggiungere l’obiettivo e sisostanziano nella cultura che il gruppo esprime in termini strategici, innova-tivi, comunicativi e procedurali.Nella quinta fase si comincia ad avviare il cambiamento a partire dalla
29 Quaglino G.P., Casagrande S., Castellano A.M., Gruppo di lavoro. Lavoro di gruppo, ed. Cortina,Milano, 2003.
ASCOLTARE
lasciar parlare, dimostrare attenzione e coinvolgimento, verificare la
propria comprensione
COMUNICARE RISPONDERE
rimanere attinenti al tema, adattare il linguaggio agli
interlocutori, risolvere dubbi e incertezze
ESPORRE
essere chiari, essere completi,
esporre in modo logico e ordinato
CONVINCERE
suscitare interesse e attenzione, essere persuasivi, ottenere consenso
periferia e si lascia che contagi il resto dell’organizzazione. Questo momen-to è caratterizzato dall’attesa, dalla pazienza e dalla fiducia nei collaborato-ri. È necessario che emerga spontaneamente il bisogno e l’impegno al cam-biamento.La formalizzaione dei risultati raggiunti si ha nella sesta fase. A questopunto è necessario che l’organizzazione si doti di politiche, sistemi e strut-ture per consolidare le buone prassi.L’ultima fase si concentra sulla valutazione del percorso intrapreso erisponde alla domanda: “che cosa abbiamo imparato?” È necessariocelebrare i risultati e strutturare un’attività di rilettura dell’esperienza percapire quali siano stati gli errori e come siano stati risolti e per avere consa-pevolezza del potenziale dell’organizzazione.In strutture complesse e articolate è inoltre opportuno socializzarel’esperienza e diffonderla per renderla patrimonio dell’intero sistema e nonsemplicemente una buona prassi isolata. Da qui l’idea di inserire tra le fasi di ITACA il convegno finale, di presentare ilprogetto all’Associazione Italiana Formatori per la candidatura al Premio Basile(peraltro vinto) e di lasciare una testimonianza scritta dell’esperienza.Questa pubblicazione nasce con la consapevolezza di non essere il toccasa-na per il sistema nazionale delle strutture penitenziarie/UEPE ma vuole dareun segnale culturale forte e importante: “si può cambiare”.
Figura 20: Il cambiamento come processo
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PROCESSO di CAMBIAMENTO
Output• fiducia• autonomia• benessere organizzativo• miglioramento continuo• lavoro per processi• lavoro in gruppo
Input• bisogni e attese
utenza• obiettivi di
miglioramento• livello emotivo• analisi di clima
Risorse• storia• mandato istituzionale• formazione• etica• partecipazione attiva• utenti
Vincoli• pregiudizi• resistenze• routine• boicottaggio
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Il progetto I.T.A.C.A.
In sintesi, gli ingredienti che rendono possibile ed efficace qualsiasi proces-so di cambiamento organizzativo sono:
❑ assicurarsi che la direzione e i responsabili delle Aree siano davveroconvinti di intraprendere il percorso e garantire esplicitamente al per-sonale che daranno seguito ai cambiamenti auspicati
❑ condividere l’esperienza con coloro che hanno il potere di influenza-re il buon andamento del percorso (P.R.A.P., enti territoriali, detenu-ti…) e con altre strutture al fine di condividere i problemi e le soluzio-ni intraprese
❑ effettuare preliminarmente un’analisi di clima❑ motivare le Risorse Umane attraverso il metodo della partecipazione
attiva di tutti i livelli organizzativi❑ presidiare e curare il clima interno nella direzione della gestione dei
conflitti adottando un atteggiamento di ascolto❑ pianificare le azioni❑ stimolare l’attivazione delle risorse emotive per il cambiamento: la
capacità negativa (saper stare nel dubbio), la riparazione (saper riflet-tere e recuperare), la cura (saper proteggere se stessi el’organizzazione), essere permeabili al dubbio
❑ rendere trasferibile l’esperienza in altri comparti in modo da diffonde-re la nuova cultura organizzativa.
L’esperienza di ITACA infine ci ha dimostrato che i processi di cambiamen-to organizzativo richiedono anche risorse esterne, specializzate in analisi diclima e benessere organizzativo, che abbiano competenza nella consulenzaa strutture complesse e una visione scevra da pregiudizi del sistema.
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Nel corso di queste pagine abbiamo avuto modo di sottolinearel’importanza di una formazione che arricchisca prima la persona e poi ilprofessionista e che non sia un mero trasferimento di contenuti.La formazione è qualcosa di diverso e certamente di più complesso dell’ad-destramento: questo è il presupposto che ha guidato il percorso formativoITACA e che dovrebbe accompagnare ogni progetto finalizzato al cambia-mento della cultura organizzativa.Ogni cambiamento, d’altra parte, si origina dall’acquisizione di consapevo-lezza dello status quo: da qui è partito infatti, tanto il lavoro di analisi deiprocessi, quanto quello sugli aspetti di cultura. L’integrazione tra queste dueparti è certamente uno degli elementi più significativi di ITACA ed ha gioca-to un ruolo basilare sul conseguimento degli obiettivi che il progetto si pre-figgeva.Troppo spesso il lavoro sul gruppo e sulle sue dinamiche viene vissutocome “altro” rispetto al lavoro su aspetti più strettamente organizzativi. Inrealtà il miglioramento di questi ultimi passa dalla creazione del gruppoperchè sarà proprio quel gruppo a dover affrontare i problemi e la quotidia-nità dell’organizzazione. Intraprendere il cammino del miglioramento organizzativo a partire dal-l’analisi del gruppo e delle sue dinamiche, non è certo consueto e le reazio-ni “a caldo” dei corsisti ne hanno dato conferma.L’attività emblematica del progetto è senz’altro l’outdoor residenziale nel-l’isola di Pianosa. Quanto emerso da questa particolare esperienza è signifi-cativo nel trarre le conclusioni del percorso ed è manifestazione dell’impor-tanza dell’integrazione tra il lavoro sugli aspetti organizzativi e quello sulledinamiche di gruppo.Le attività di outdoor prevedono la messa in atto, da parte degli staff, dialcuni comportamenti altamente indicativi dello stile di lavoro. Durante larielaborazione cognitiva delle attività, l’obiettivo consiste nello stimolare icorsisti ad una riflessione sui comportamenti messi in atto e sulle similitudi-ni tra questi e quelli abituali in ambito lavorativo.Ogni gruppo infatti, tende a riproporre il proprio schema di comportamen-
Capitolo 4°Il cambiamento realizzato
“Si capisce di più di una persona in un’ora di giocoche in un anno di conversazione”
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to a prescindere dal contesto; gioca cioè i “giochi”30 che più gli appartengo-no, che gli sono familiari, confermando e rafforzando il proprio copione.L’attivazione spontanea dei comportamenti copionali del gruppo al di fuoridel contesto lavorativo, nel caso specifico durante le attività di outdoor, per-mette l’acquisizione di consapevolezza delle conseguenze indotte da talicomportamenti.Le prassi adottate in assenza di un preciso regolamento31, la modalità concui il gruppo (o i singoli) costruiscono i costumi per la rappresentazioneteatrale, quella in cui si cimentano nella creazione della scenografia, lascia-no emergere i tratti salienti di quel gruppo che, nella rielaborazione cogni-tiva, si rivelano essere aspetti copionali dello staff di lavoro e, spesso, dellastruttura di appartenenza. Alcuni esempi possono aiutarci a comprenderemeglio questo concetto.Durante la costruzione della scenografia32 i membri di una struttura hannolavorato in modo del tutto autonomo, disegnando ognuno la caratteristicaprincipale del proprio personaggio: al momento di attaccare il cartelloneper la rappresentazione scenica si evidenzia l’assenza di una direzione uni-voca verso cui indirizzare il foglio. Ognuno si era creato il proprio spazio,che era il “suo” personale punto di vista, e che non presentava alcunaforma di integrazione con quello degli altri.La rielaborazione cognitiva che ha fatto seguito all’attività, ha messo in evi-denza una profonda settorialità tra le Aree, la tendenza al lavoro a compor-tamenti stagni e la difficoltà nell’individuazione di una mission condivisa edi un obiettivo comune da perseguire.È fondamentale in questi casi, guidare la rielaborazione facendo moltaattenzione a non banalizzare, proponendo facili sillogismi.Ciò significa che non necessariamente ad una mancanza di collaborazionenel costruire il costume di scena, corrisponde un’assenza di comunicazioneed un individualismo nel contesto lavorativo. Ogni elemento emerso deveessere messo in relazione con gli altri, con approccio dialettico, in un’otticasistemica e soprattutto in sospensione di giudizio. Se opportunamente gui-dati, o meglio facilitati, i corsisti sono perfettamente in grado di cogliere gli
30 In Analisi Transazionale i giochi psicologici sono riproposizioni di strategie infantili che vengonoattuate al di fuori della consapevolezza. Si giocano giochi psicologici ogni volta in cui si ha la spiacevo-le sensazione che ci succedano sempre le stesse cose e che le situazioni vadano a finire sempre nellostesso modo.
31 Le attività di outdoor prevedono un ampio margine di autonomia, le regole dei giochi sonopochissime per lasciare il più ampio spazio possibile all’attivazione di comportamenti spontanei. La rea-zione di fronte all’assenza di regole può creare disorientamento o stimolare la creatività ed è altamenteindicativa di alcune caratteristiche salienti del gruppo.
32 Questa attività prevedeva la costruzione della scenografia, da utilizzare come sfondo per la rap-presentazione, su carta da pacchi, a lume di candela e in assoluto silenzio, tramite tempere e pennelli.
Il progetto I.T.A.C.A.
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aspetti di similitudine tra i comportamenti attuati nell’outdoor e quelli lavo-rativi e di avviare una riflessione spontanea.Questi sono gli obiettivi più significativi che un percorso sul lavoro per pro-cessi si prefigge e che sono stati conseguiti dal progetto I.T.A.C.A. Si trattacioè di acquisire consapevolezza delle dinamiche ricorrenti nel propriogruppo e del loro significato. Al contempo si sperimenta che, da un lato,non può essere solo la creazione di un bel gruppo a risolvere i concretiproblemi organizzativi, dall’altro che, un’esperienza di successo, rafforza ilgruppo, il suo senso di appartenenza, alimentandone l’autostima e facilitan-do una visione comune. Le attività di outdoor costituiscono esperienze di successo: la situazioneviene presentata come un gioco e come tale, divertendosi, il gruppo la vivecon tutta la spontaneità che caratterizzano situazioni inaspettate e inconsue-te.Il prodotto finale, in questo caso la rappresentazione teatrale, si rivela sem-pre e comunque ricco di spunti fantasiosi da valorizzare e questa esperien-za entra a far parte dello storico, del vissuto del gruppo, che torna poi aconfrontarsi con i problemi quotidiani con una ricchezza in più.Il follow up, orientato al supporto al cambiamento e alla valutazione delleazioni di miglioramento implementate, ha sottolineato con estrema chiarez-za questo aspetto.Di seguito vediamo alcuni esempi dei piani di miglioramento individuati daalcune strutture e del loro livello di implementazioni a distanza di circa 6mesi:
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Una lettura attenta di quanto sopra descritto, evidenzia che gli obiettivi dicambiamento vertono per lo più sul miglioramento della comunicazione trale Aree, da cui derivano, a cascata, diverse soluzioni organizzative.La creazione del gruppo ed il miglioramento delle relazioni interne ha con-sentito lo sbloccarsi del flusso comunicativo, promuovendo l’attivazione dicomportamenti collaborativi. Tutto ciò si è concretizzato nella programma-zione di incontri periodici focalizzati non solo su problemi specifici maanche su aspetti di strategia organizzativa, consentendo un maggiore coin-volgimento e facilitando lo sviluppo del senso d’appartenenza.Concludendo è doveroso sottolineare l’entusiasmo, crescente di fase infase, col quale le persone, hanno seguito questo percorso. E’ da valorizzareinfatti la loro disponibilità a cimentarsi con una metodologia del tuttonuova, che chiedeva loro di mettersi in gioco, rendersi protagonisti e rivela-re se stessi, invitandoli ad un’apertura che, per definizione, non appartienealla cultura penitenziaria.Tutto questo, e molto altro, ha reso ITACA non un corso, ma un viaggioattraverso i sentieri della valorizzazione del potenziale umano e ha resopossibile lo scambio, non tanto di saperi quanto di esperienze, tra chi erogae chi usufruisce della formazione.
Il progetto I.T.A.C.A.
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Il progetto I.T.A.C.A. ha ottenuto nel 2006 il premio Basile per la formazione nella PubblicaAmministrazione.
A tutti i responsabili e gli operatori delle strutture del Provveditorato della Toscanacoinvolti nel progetto e all’agenzia formativa PerFormat va l’apprezzamento per illavoro svolto e per il premio conseguito.
Si ringraziano in particolare:
• Il Provveditore Regionale
• Aldo Vitelli Responsabile del progetto
• Cecilia Mattioli Responsabile esecutivo del progetto
• Susanna Rollino Tutor del progetto
• Cristina Necchi Tutor del progetto
• Anna Gloria Corsi Tutor del progetto
• Paola Innocenti Responsabile contabile del progetto
• Katia Barcali Coordinatrice agenzia PerFormat
• Irene Massai Coordinatrice agenzia PerFormat
• Donatella Gambino Valutatore esterno
Ringraziamenti
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Questa pubblicazione è stata curata dall'Istituto Superiore Studi Penitenziari con la collaborazio-ne di:
• Sebastiano Zinna Dirigente Esecuzione Penale Esterna Coordinatore del Gruppo di lavoro
• Katia Barcali Coordinatrice dell'Agenzia PerFormat e autrice dei testi• Irene Massai Coordinatrice dell'Agenzia PerFormat e autrice dei testi
• F. Angelo Vacca Comunicatore
Il progetto I.T.A.C.A.
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Figura 1: La ciclicità della logica per processi.......................................... 11
Figura 2: Rappresentazione grafica del processo..................................... 17
Figura 3: Rappresentazione del processo “Lavoro dei detenuti” - Casa diReclusione di Porto Azzurro - progetto ITACA........................................ 18
Figura 4: Rappresentazione grafica dei sottoprocessi del processo “Lavoro detenuti” - Casa di Reclusione di Porto Azzurro - progetto ITACA ......................................................................................................... 20
Figura 5: Rappresentazione grafica delle connessioni tra i sottopro-cessi del processo “Lavoro detenuti” - Casa di Reclusione di Porto Azzurro - progetto ITACA ......................................................................... 21
Figura 6: Rappresentazione grafica del processo..................................... 22
Figura 7: Logica organizzativa per processi ............................................. 26
Figura 8: Diagramma di flusso del processo “Lavoro Detenuti” - Casa diReclusione di Porto Azzurro - progetto ITACA........................................ 27
Figura 9: Ciclo PDCA................................................................................. 34
Figura 10: Fasi del progetto ITACA........................................................... 40
Figura 11: Aspetti che influenzano il LoC ................................................ 45
Figura 12: Il ciclo virtuoso del LoC interno e il ciclo vizioso del LoC esterno ....................................................................................................... 46
Figura 13: Il contratto triangolare ............................................................. 50
Figura 14: Scheda di contratto .................................................................. 50
Figura 15: Il monitoraggio dei processi.................................................... 56
Figura 16: Rielaborazione cognitiva dell’outdoor .................................... 60
Figura 17: Sistema della qualità ................................................................ 65
Figura 18: Circolarità del cambiamento.................................................... 68
Figura 19: Il processo comunicativo......................................................... 71
Figura 20: Il cambiamento come processo .............................................. 72
Indice delle figure
Il progetto I.T.A.C.A.
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Documenti Progetto ITACA.pptLavoro per processi ITACA.pptdocumentazione.docBibliografia.docValutazione: Report Sintetico.docGalleria fotografica
Materiali strutture\gestione volontariCC Empoli.docUEPE Firenze.doc
Follow up\gestione volontariFollow up CC Empoli.docFollow up UEPE Firenze.doc
Materiali strutture\lavoro detenutiCC Siena.docCR Porto Azzurro.docCR San Gimignano.docUEPE Siena.doc
File contenuti nel CD Rom
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