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www.judicium.it MICHELE FORNACIARI L’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360-bis c.p.c. (scritto già pubblicato in Riv. trim. dir. dir. proc. 2013, 645 ss.) SOMMARIO: 1. Introduzione: la questione del «filtro» al ricorso per cassazione. 2. Il problema di fondo posto dall’art. 360-bis: la declaratoria di inammissibilità sulla base di valutazioni di merito. Inquadramento di quelle in que- stione, per entrambe le fattispecie contemplate dalla norma, quali valutazioni di (non) manifesta infondatezza. 3. Segue: possibilità che una valutazione di (non) manifesta infondatezza sfoci in una declaratoria di inam- missibilità. Non ricorrenza di tale ipotesi nella fattispecie in esame. Conclusione: si tratta non di inammissibili- tà ma esclusivamente di (non) manifesta infondatezza. 4. La lettura secondo la quale la valutazione ex art. 360-bis, comma 1°, dovrebbe avere riguardo al momento della formulazione del ricorso e non a quello della decisione. Confutazione. 5. Inefficacia, ed anzi nocività, del meccanismo introdotto in relazione all’obiettivo di semplificare ed accelerare il giudizio di cassazione. 6. Riferibilità della pronuncia ex art. 360-bis anche ai singoli motivi e non necessariamente all’intero ricorso. – 7. Portata normativa dell’art. 360-bis: esso non incide in alcun modo, né riduttivo, né ampliativo, sui motivi di ricorso per cassazione, e segnatamente su quello ex art. 360, comma 1°, n. 4. 8. Segue: eventuale possibile riflesso sulle sorti del ricorso incidentale tardivo. 9. Significato prevalentemente ideale della norma, nel senso di un richiamo al rigore nella formulazione dei ricor- si. 10. Le singole questioni interpretative poste dall’art. 360-bis: la fattispecie n. 1. 11. Segue: la fattispecie n. 2. 1. Nel panorama della giustizia civile, nel suo insieme sconfortante, il giudizio di cassa- zione rappresenta, come si sa, una nota particolarmente dolente. Oltre al problema generale dei tempi, per la Corte si aggiunge infatti anche quello, specifico, della sostanziale impossibilità di esercitare in modo realmente significativo la propria funzione principe, vale a dire quella di nomofi- lachia. Per questo da tempo si discute circa l’introduzione di un qualche tipo di filtro, tale da ridurre il carico di lavoro della Cassazione e da consentirle dunque di recuperare pienamente il ruolo asse- gnatole. Per un breve periodo, a tale scopo si trattasse poi di una delle ragioni d’essere della previ- sione, di un suo effetto collaterale, più o meno consapevolmente messo in conto, oppure di una de- riva inaspettata è servito il quesito di diritto, effimero istituto introdotto (art. 366-bis e relativa modifica dell’art. 366, comma 1°, n. 4) dalla riforma del 2006 e cancellato, dopo soli tre anni di non glorioso servizio, da quella del 2009. Al medesimo scopo e questa volta dichiaratamente quest’ultima ha peraltro coniato una nuova norma, l’art. 360-bis, con la quale, mutando strategia (laddove con il quesito di diritto era in questione la formulazione del ricorso, in questo caso si tratta della sua meritevolezza di esame), so- no state introdotte due nuove ipotesi di inammissibilità. A mente della nuova disposizione, il ricorso deve infatti essere dichiarato inammissibile: 1) quando, essendo il provvedimento impugnato in li- nea con la giurisprudenza della Cassazione, i motivi di censura addotti non offrono «elementi per confermare o mutare» tale giurisprudenza; 2) quando risulta «manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo». Questa novità rappresenta peraltro solo una parte dell’intervento riformatore sul punto. Ad essa il legislatore ne ha infatti affiancato un’altra, di carattere ordinamentale e procedimentale: tr a- mite la modifica degli artt. 375 e 376 e l’introduzione dell’art. 67 disp. att., la declaratoria di inam- missibilità in genere (vuoi cioè per i motivi appena riferiti, vuoi per qualunque altro), così come quella di manifesta fondatezza o infondatezza, sono state attribuite ad una nuova sezione (la c.d. se- zione filtro), appositamente creata. A séguito della novella, il meccanismo è cioè il seguente: salvo che il ricorso spetti alle sezioni unite, esso viene senz’altro assegnato alla nuova sezione, dopodi- ché, se questa riscontra la sussistenza di un motivo di inammissibilità, oppure lo ritiene manifesta-

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MICHELE FORNACIARI

L’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360-bis c.p.c. (scritto già pubblicato in Riv. trim. dir. dir. proc. 2013, 645 ss.)

SOMMARIO: 1. Introduzione: la questione del «filtro» al ricorso per cassazione. – 2. Il problema di fondo posto dall’art.

360-bis: la declaratoria di inammissibilità sulla base di valutazioni di merito. Inquadramento di quelle in que-

stione, per entrambe le fattispecie contemplate dalla norma, quali valutazioni di (non) manifesta infondatezza.

– 3. Segue: possibilità che una valutazione di (non) manifesta infondatezza sfoci in una declaratoria di inam-

missibilità. Non ricorrenza di tale ipotesi nella fattispecie in esame. Conclusione: si tratta non di inammissibili-

tà ma esclusivamente di (non) manifesta infondatezza. – 4. La lettura secondo la quale la valutazione ex art.

360-bis, comma 1°, dovrebbe avere riguardo al momento della formulazione del ricorso e non a quello della

decisione. Confutazione. – 5. Inefficacia, ed anzi nocività, del meccanismo introdotto in relazione all’obiettivo

di semplificare ed accelerare il giudizio di cassazione. – 6. Riferibilità della pronuncia ex art. 360-bis anche ai

singoli motivi e non necessariamente all’intero ricorso. – 7. Portata normativa dell’art. 360-bis: esso non incide

in alcun modo, né riduttivo, né ampliativo, sui motivi di ricorso per cassazione, e segnatamente su quello ex

art. 360, comma 1°, n. 4. – 8. Segue: eventuale possibile riflesso sulle sorti del ricorso incidentale tardivo. – 9.

Significato prevalentemente ideale della norma, nel senso di un richiamo al rigore nella formulazione dei ricor-

si. – 10. Le singole questioni interpretative poste dall’art. 360-bis: la fattispecie n. 1. – 11. Segue: la fattispecie

n. 2.

1. – Nel panorama della giustizia civile, nel suo insieme sconfortante, il giudizio di cassa-

zione rappresenta, come si sa, una nota particolarmente dolente. Oltre al problema generale dei

tempi, per la Corte si aggiunge infatti anche quello, specifico, della sostanziale impossibilità di

esercitare in modo realmente significativo la propria funzione principe, vale a dire quella di nomofi-

lachia. Per questo da tempo si discute circa l’introduzione di un qualche tipo di filtro, tale da ridurre

il carico di lavoro della Cassazione e da consentirle dunque di recuperare pienamente il ruolo asse-

gnatole.

Per un breve periodo, a tale scopo – si trattasse poi di una delle ragioni d’essere della previ-

sione, di un suo effetto collaterale, più o meno consapevolmente messo in conto, oppure di una de-

riva inaspettata – è servito il quesito di diritto, effimero istituto introdotto (art. 366-bis e relativa

modifica dell’art. 366, comma 1°, n. 4) dalla riforma del 2006 e cancellato, dopo soli tre anni di non

glorioso servizio, da quella del 2009.

Al medesimo scopo – e questa volta dichiaratamente – quest’ultima ha peraltro coniato una

nuova norma, l’art. 360-bis, con la quale, mutando strategia (laddove con il quesito di diritto era in

questione la formulazione del ricorso, in questo caso si tratta della sua meritevolezza di esame), so-

no state introdotte due nuove ipotesi di inammissibilità. A mente della nuova disposizione, il ricorso

deve infatti essere dichiarato inammissibile: 1) quando, essendo il provvedimento impugnato in li-

nea con la giurisprudenza della Cassazione, i motivi di censura addotti non offrono «elementi per

confermare o mutare» tale giurisprudenza; 2) quando risulta «manifestamente infondata la censura

relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo».

Questa novità rappresenta peraltro solo una parte dell’intervento riformatore sul punto. Ad

essa il legislatore ne ha infatti affiancato un’altra, di carattere ordinamentale e procedimentale: tra-

mite la modifica degli artt. 375 e 376 e l’introduzione dell’art. 67 disp. att., la declaratoria di inam-

missibilità in genere (vuoi cioè per i motivi appena riferiti, vuoi per qualunque altro), così come

quella di manifesta fondatezza o infondatezza, sono state attribuite ad una nuova sezione (la c.d. se-

zione filtro), appositamente creata. A séguito della novella, il meccanismo è cioè il seguente: salvo

che il ricorso spetti alle sezioni unite, esso viene senz’altro assegnato alla nuova sezione, dopodi-

ché, se questa riscontra la sussistenza di un motivo di inammissibilità, oppure lo ritiene manifesta-

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mente fondato o infondato, emette la relativa pronuncia in camera di consiglio; in caso contrario, il

fascicolo ritorna al primo presidente e viene assegnato ad un’ordinaria sezione semplice.

Fermo restando che anche a questo meccanismo occorrerà di far riferimento, ciò che qui in-

teressa è in particolare la previsione contenuta nell’art. 360-bis.

Tale previsione, involuta ed ambigua, rappresenta il risultato di un iter normativo assai tra-

vagliato. Nella sua versione originaria (quella approvata dalla Camera dei Deputati il 2.10.08), essa

era infatti formulata in modo totalmente differente: per un verso prevedeva, in positivo, le ipotesi

nelle quali il ricorso sarebbe stato ammissibile (in negativo era formulata esclusivamente la previ-

sione del secondo comma, relativa al ricorso per vizio di motivazione); per altro verso contemplava

un maggior numero di ipotesi; per altro verso ancora conteneva direttamente al suo interno la dispo-

sizione in merito al collegio – dalla composizione differente rispetto a quella della speciale sezione

introdotta poi, nella versione definitiva, dai citati artt. 376 e 67 disp. att. – incaricato del vaglio pre-

liminare dei ricorsi. Questo il testo di tale originaria versione:

«Il ricorso è dichiarato ammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le

questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della Corte; 2) quando il ricorso ha per

oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per con-

fermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella

giurisprudenza della Corte; 3) quando appare fondata la censura relativa a violazione dei principi

regolatori del giusto processo; 4) quando ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi dell’art.

363.

Non è dichiarato ammissibile il ricorso presentato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, avverso la

sentenza di appello che ha confermato quella di primo grado.

Sull’ammissibilità del ricorso la Corte decide in camera di consiglio con ordinanza non im-

pugnabile resa da un collegio di tre magistrati».

In questa formulazione, la norma era in effetti assai chiara. La sensibile restrizione

dell’accesso alla Cassazione, che essa produceva, suscitava però non pochi dubbi di costituzionalità,

a fronte di un art. 111, comma 7°, cost., il quale garantisce tale accesso in modo generalizzato. Pa-

rimenti, ingenerava poi perplessità il fatto che la pronuncia fosse affidata, senza possibilità di rie-

same, ad un collegio di tre soli magistrati.

Così, mutato segno, ridotte le ipotesi prese in considerazione1 e accantonata la soluzione del

collegio ridotto2, quello che rimane è una disposizione, di difficile e problematica lettura, la quale

contempla non più le condizioni generali di ammissibilità del ricorso dal punto di vista dei motivi

spendibili, vale a dire l’indicazione delle uniche censure sollevabili avverso il provvedimento im-

pugnato, ma si limita ad aggiungere, alle altre già previste (soccombenza, rispetto del termine, ecc.),

altre due fattispecie di inammissibilità; mentre, per altro verso, viene introdotto un nuovo iter pro-

cedimentale per la loro declaratoria – iter peraltro comune, come detto, a tutte le ipotesi di inam-

missibilità ed alla manifesta fondatezza/infondatezza – bensì semplificato, ma senza riduzione del

numero dei magistrati componenti il collegio3 4.

1 L’attuale fattispecie n. 1 rappresenta in qualche modo una maldestra sintesi parziale, in negativo, delle precedenti nn.

1 e 2, mentre la n. 2 riprende (parimenti in negativo e non meno maldestramente) la precedente n. 3. 2 Per la dettagliata ricostruzione dell’iter parlamentare v. DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile commentato,

diretto da Consolo, La riforma del 2009, curato da Consolo assieme a de Cristofaro nonché a Zuffi, Milano 2009, p. 236

ss.; RAITI, Note esegetiche a prima lettura sul «filtro» in Cassazione secondo la legge di riforma al codice di rito civile

n. 69 del 18 giugno 2009, in www.judicium.it, § 1; REALI, in La riforma del giudizio di cassazione. Commentario al D.

Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, capo I e alla L. 18 giugno 2009, n. 69, capo IV, a cura di Cipriani, Padova 2009, p.126 ss. 3 In assenza di indicazioni in merito al numero dei componenti dell’apposita sezione, non vi sono evidentemente appigli

per sostenere che essa presenterebbe una compagine più ristretta rispetto a quella ordinaria (in tal senso v. RAITI, Note

esegetiche, cit., § 6 in fine).

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Non per questo l’idea del filtro è venuta meno tout court. Anche in relazione alla nuova ver-

sione, ed a maggior ragione a causa della sua sibillina formulazione, proprio questo è risultato infat-

ti, fin da sùbito, al centro del dibattito: se ed in quale misura l’art. 360-bis abbia introdotto uno sbar-

ramento per l’accesso al giudizio di legittimità. In particolare, due sono i punti di vista dai quali, a

questo proposito, esso può venire in considerazione: a) per un verso in quanto fonte di due nuovi

motivi di rigetto in rito, vale a dire di due nuovi presupposti processuali, tali da precludere, ove as-

senti, l’esame nel merito del ricorso; b) per altro verso in quanto fonte di una restrizione dei possibi-

li motivi di ricorso. Ben si comprende, dunque, come questo aspetto sia destinato a rivestire un ruo-

lo di primo piano nell’analisi della norma. Non, beninteso, che per il resto essa non ponga problemi

interpretativi. Tutt’altro. Per un verso, però, tali problemi risultano comunque secondari, rispetto a

quello, di fondo, del quale si è appena detto. Per altro verso, una volta risolto quest’ultimo (in senso

negativo, si può già sin da ora anticiparlo), e più in generale appurata l’effettiva portata della dispo-

sizione (pressoché nulla, sia detto anche questo fin da sùbito), essi, come vedremo, sono destinati a

perdere, in concreto, gran parte della loro rilevanza.

Ciò premesso, per quanto concerne l’ordine della trattazione, come prima cosa ci concentre-

remo in particolare sul punto di vista sub a) (quello secondo il quale l’art. 360-bis avrebbe introdot-

to due nuovi motivi di rigetto in rito), la cui analisi, come riscontreremo, risulta in effetti assai arti-

colata. Del punto di vista sub b) (quello secondo il quale l’art. 360-bis avrebbe prodotto una restri-

zione dei motivi di ricorso in cassazione), che del resto si riferisce esclusivamente alla seconda del-

le due fattispecie contemplate dalla norma (quella relativa alla manifesta infondatezza della censura

relativa alla violazione dei princìpi del giusto processo)5 e che, per quanto potenzialmente assai di-

rompente, ad una lettura non forzata si rivela in realtà innocuo, ci occuperemo invece in un secondo

tempo.

2. – Come detto, l’art. 360-bis, nella versione concretamente introdotta, prevede due ipotesi

di inammissibilità del ricorso. L’inquadramento di tali ipotesi risulta peraltro problematico. La dif-

ficoltà che esse pongono è evidente: essa consiste nel fatto che da un lato la norma parla espressa-

mente di inammissibilità, dall’altro quelle in questione sono però, altrettanto espressamente, valuta-

zioni di merito. Da qui l’immediata, istintiva, sensazione di un’intrinseca contraddittorietà. La cate-

goria dell’inammissibilità evoca infatti una sfera, quella delle valutazioni di rito, che non solo è di-

versa da quella delle valutazioni di merito, ma le si contrappone tout court. Com’è dunque possibile

– questo l’interrogativo che non può non porsi [ed a maggior ragione si pone, dal momento che le

sezioni unite, fin dal loro primo intervento sulla nuova disposizione6, hanno espressamente statuito

4 Per quanto concerne l’àmbito operativo della nuovo meccanismo, la Cassazione lo ha ritenuto applicabile anche al re-

golamento di competenza [Cass., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, in Foro it. 2010, I, c. 3333, con osservazione di

COSTANTINO e nota di SCARSELLI, Circa il (supposto) potere della Cassazione di enunciare d’ufficio il principio di di-

ritto nell’interesse della legge; in Giur. it., 2010, p. 1991; ivi, 2011, p. 885 (solo massima), con nota di CARRATTA,

L’art. 360 bis c.p.c. e la nomofilachia «creativa» dei giudici di cassazione; in Giust. civ., 2011, I, p. 123; ivi, p. 403 (so-

lo massima), con nota di TERRUSI, Il filtro di accesso al giudizio di cassazione: la non soddisfacente risposta delle se-

zioni unite; in Giusto proc. civ., 2010, p. 1131, con nota di LUISO, La prima pronuncia della Cassazione sul c.d. filtro;

in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 167, con nota di CARNEVALE, La Corte di Cassazione ridimensiona il «filtro»

dell’art. 360 bis cod. proc. civ.; in Guida dir., 38/2010, p. 32, con nota di FINOCCHIARO, La valutazione rispetto ai pre-

cedenti va compiuta al momento della decisione; Cass., (ord.) 16 giugno 2011, n. 13202; Cass., (ord.) 8 febbraio 2011,

n. 3142, in Riv. dir. proc., 2012, 490, con nota di FERRARIS, Primi orientamenti giurisprudenziali sul c.d. «filtro» in

Cassazione]. 5 La cosa è invero abbastanza intuitiva. Sul punto v. comunque infra n. 7.

6 Cass., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, cit. Per la successiva applicazione di tale indirizzo v. Cass., sez. un., 19

aprile 2011, n. 8923, in Riv. dir. proc., 2012, p. 490, con nota di FERRARIS, Primi orientamenti, cit., e Cass., (ord.) 8

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che quella in questione, e segnatamente quella concernente la prima delle due fattispecie contem-

plate (inidoneità dei motivi di censura ad indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza

della Cassazione, con la quale il provvedimento impugnato sia in linea), è una pronuncia non di

inammissibilità, bensì di manifesta infondatezza] – com’è possibile, dicevamo, che una valutazione

del secondo tipo (di merito) possa tradursi in un giudizio di ammissibilità/inammissibilità del ricor-

so, anziché, come logica vorrebbe, in uno circa la sua fondatezza/infondatezza? Com’è possibile,

detto in termini più semplici ed immediati, che un ricorso possa essere dichiarato inammissibile in

quanto infondato7?

Per cercare di venire a capo del problema, il primo passo consiste intanto nel capire di che

tipo di valutazioni di merito si tratti.

Per quanto concerne la seconda – quella relativa alla manifesta infondatezza della censura

relativa alla violazione dei princìpi del giusto processo – la risposta (impregiudicati gli altri proble-

mi interpretativi sollevati dalla disposizione) è invero scontata: in questione è, appunto, una valuta-

zione di (non) manifesta infondatezza. Per quanto concerne questa ipotesi, il precetto della norma

consiste cioè in questo: laddove la Cassazione (l’apposita sezione di cui all’art. 376) ritenga che la

censura, sollevata dal ricorrente in punto di violazione dei suddetti princìpi, sia manifestamente in-

fondata, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Per quanto concerne la prima – quella relativa all’inidoneità dei motivi di censura ad indurre

la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione, con la quale il provvedimento im-

pugnato sia in linea – il discorso risulta invece meno intuitivo. Ad una prima lettura, la norma non

offre infatti elementi tali da far pensare ad una valutazione sommaria, e dunque alla mera delibazio-

ne circa la non manifesta infondatezza dei motivi addotti. Ad una più attenta riflessione, emerge pe-

rò che proprio questo è, anche qui, ciò di cui si tratta. In particolare, a convincere in tal senso è la

considerazione dinamica della fattispecie.

Non bisogna infatti dimenticare che, in virtù del meccanismo di cui all’art. 376, all’apposita

sezione, ivi contemplata, spetta esclusivamente la valutazione circa l’ammissibilità/inammissibilità

del ricorso, mentre poi, se tale valutazione sortisce esito positivo, il ricorso passa ad un’ordinaria

sezione semplice, la quale, anche ammesso che sia vincolata alla valutazione della prima, nel senso

che non può più, laddove dissenta da tale valutazione, dichiarare l’inammissibilità del ricorso8, di

certo rimane però totalmente libera di giudicarne la fondatezza o meno nel merito. Essa ben può

cioè, a dispetto dell’opinione dell’apposita sezione circa l’idoneità dei motivi, ritenere viceversa la

loro infondatezza ed emettere pertanto una pronuncia di rigetto. Detto in termini più immediati,

l’apposita sezione non può insomma, con la propria valutazione positiva, «ordinare» alla sezione

semplice di accogliere il ricorso. Ebbene, salvo accettare che la fondatezza dei motivi sia sottoposta

ad una duplice valutazione piena, prima per valutarne l’ammissibilità, poi per valutarne la fondatez-

za – ciò che è manifestamente assurdo9 – non resta dunque, quale unica lettura plausibile, se non

quella per la quale quella dell’apposita sezione è una valutazione sommaria, relativa esclusivamente

alla (non) manifesta infondatezza dei motivi, ferma poi restando la valutazione piena, da parte della

sezione semplice.

Tale conclusione va peraltro meglio precisata. La disposizione in esame fa infatti riferimen-

to, com’è noto, non solo al mutamento dell’orientamento della Cassazione, ma anche alla sua con-

febbraio 2011, n. 3142, cit. Diversamente, per la declaratoria di inammissibilità, v. invece Cass., 27 gennaio 2011, n.

2018, in Giust. civ., 2011, I, p. 885, con nota di DIDONE, Il «rasoio di Guglielmo da Ockham» e l’inammissibilità del

ricorso per cassazione ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c.: frustra per plura quod potest fieri per pauciora. 7 Sull’incongruenza in questione v. per tutti CARRATTA, L’art. 360 bis, cit., 889, ed ivi ulteriori indicazioni.

8 La questione non riveste, ai presenti fini, particolare rilevanza e può dunque rimanere impregiudicata.

9 Sul punto v. anche infra n. 3.

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ferma. Questo riferimento (frutto infelice della semplicistica ed acritica fusione parziale, nel testo

definitivo, delle ipotesi nn. 1 e 2 di quello originario, senza mettere in conto gli effetti del mutamen-

to di segno della previsione e dell’ingresso in campo dei motivi del ricorso10

) risulta infatti alquanto

misterioso. Per dargli un senso – posto che, com’è ovvio, i motivi addotti dal ricorrente non posso-

no che essere in direzione della riforma della sentenza impugnata, e dunque del mutamento

dell’orientamento della Cassazione alla quale essa si è allineata – l’unico modo sembrerebbe quello

di ipotizzare che tali motivi (o magari quelli della controparte11

), pur non risultando fondati nel sen-

so voluto dal loro autore, offrano comunque lo spunto per precisare o meglio motivare il suddetto

orientamento12

.

Anche in quest’ottica, si ripropone però, a quanto mi pare, il problema «dinamico» del quale

si è detto sopra: così come l’apposita sezione non può «ordinare» alla sezione semplice di accoglie-

re il ricorso, modificando la precedente giurisprudenza, neppure può «ordinarle» di precisarla o di

meglio argomentarla. In questione, anche in questa prospettiva e per gli stessi motivi, non può dun-

que essere se non una valutazione sommaria, in merito alla presumibile necessità, alla luce dei mo-

tivi addotti, di una conferma migliorativa della suddetta giurisprudenza.

Così stando le cose, è però allora abbastanza evidente che la lettura più ragionevole è in real-

tà un’altra. Proprio perché in questione è necessariamente una valutazione sommaria – ed a maggior

ragione in quanto essa non può in alcun modo condizionare il giudizio della sezione semplice – non

ha molto senso che essa sia già orientata in direzione della modifica oppure della conferma miglio-

rativa del precedente orientamento. Piuttosto, ciò di cui si tratterà, abbassando per così dire

l’asticella, sarà, più genericamente, un giudizio in merito alla meritevolezza di un più attento esame

del ricorso, al fine di valutare, alla luce dei motivi addotti, se il precedente orientamento sia da con-

10

Per un rilievo analogo v. NELA, Per una interpretazione dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., in Riv. dir. proc., 2012, p. 143

nota 15. 11

Per tale ipotesi v. RAITI, Note esegetiche, cit., § 4 in fine, testo e nota 22 (sia pure evidenziando l’effetto paradossale

per il controricorrente, le cui argomentazioni, volte al rigetto dell’impugnazione, finirebbero tutto all’opposto per con-

sentire a quest’ultima di superare il vaglio di ammissibilità) e RORDORF, Nuove norme in tema di motivazione delle sen-

tenze e di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 140. 12

In tal senso l’opinione dominante [v. ad es. CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze

dopo la legge n. 69 del 2009, Padova 2009, p. 517; GENOVESE, Ricorso per cassazione, in Nuovo processo civile, Il ci-

vilista, luglio-agosto 2009, p. 50 s.; GIORDANO, Giudizio di cassazione, in ASPRELLA-GIORDANO, La riforma del pro-

cesso civile, dal 2005 al 2009, supplemento a Giust. civ., 6/2009, p. 77; MENCHINI, in BALENA-CAPONI-CHIZZINI-

MENCHINI, La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, To-

rino 2009, p. 117; NAPPI, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione2, Torino 2011, p. 66; ROR-

DORF, Nuove norme, cit., p. 140 s.; SALMÈ, Il nuovo giudizio di cassazione, in Foro it., 2009, V, c. 441 (il quale pro-

spetta anche l’opportunità/necessità di ribadire l’orientamento della Cassazione in presenza di un persistente contrasto

fra tale orientamento e quello della giurisprudenza di merito)].

Diversamente RICCI, Ancora insoluto il problema del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 110, e

ID., La riforma del processo civile – Legge 18 giugno 2009, n. 69, Torino 2009, p. 66 ss., il quale ipotizza il riferimento

della previsione all’impugnazione di provvedimenti difformi dall’orientamento della Cassazione. Si tratta peraltro di

una lettura che appare difficile condividere, alla luce della chiara indicazione, contenuta nella norma, circa il fatto che il

provvedimento impugnato deve essere in linea con tale orientamento (i ricorsi avverso i provvedimenti difformi, come

vedremo, devono invece ritenersi senz’altro ammissibili, a prescindere dai motivi addotti dal ricorrente). Ancora diver-

samente NELA, Per un’interpretazione, cit., p. 143 ss., per il quale la previsione si riferisce al caso dell’inesistenza di un

orientamento univoco della Corte, ciò che risulta però a sua volta in contrasto con il chiaro tenore della norma. Ulte-

riormente, secondo REALI, in La riforma, cit., p. 136 ss., dovrebbe pensarsi al caso nel quale «la sentenza impugnata ha

deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, ma l’esame dei motivi offra elementi

per ritenere che il principio di diritto, correttamente enunciato dal giudice di merito, sia stato però applicato male o in

modo diverso rispetto a come la Cassazione l’aveva sino a quel momento applicato», come ad esempio nel caso in cui

«il principio di diritto, seguito dal giudice a quo, sia corretto in astratto, tanto da dover essere riaffermato dalla S.C., ma

non sia applicabile alla fattispecie concreta dedotta in giudizio».

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fermare (se del caso precisandolo o meglio motivandolo) oppure da modificare. Quella affidata

all’apposita sezione va cioè intesa come una delibazione a carattere per così dire neutrale, vale a di-

re riferita esclusivamente al fatto che i suddetti motivi siano o meno tali da giustificare l’esame del-

la sezione semplice, non solo, ciò che è ovvio, impregiudicato l’esito di tale esame, ma anche senza

alcun tipo di prognosi in merito ad esso13

.

Il precetto contenuto nella norma consiste dunque in questo: laddove la Cassazione

(l’apposita sezione di cui all’art. 376) ritenga che i motivi addotti dal ricorrente non siano tali da

sollecitare una riconsiderazione, possibilmente anche confermativa, del proprio orientamento, il ri-

corso deve essere dichiarato inammissibile14

.

Ciò chiarito, ed appurato in tal modo che, da questo punto di vista, le due fattispecie con-

template dall’art. 360-bis sono omogenee, che in entrambi i casi ciò di cui si tratta è cioè una valu-

tazione di (non) manifesta infondatezza, sia pure con oggetto differente (nella fattispecie n. 1 circa

la meritevolezza di riconsiderazione dell’orientamento della Cassazione, nella fattispecie n. 2 circa

la violazione dei princìpi del giusto processo), l’analisi del problema principale dal quale siamo par-

titi, vale a dire quello relativo alla quantomeno apparente contraddittorietà di un giudizio di ammis-

sibilità/inammissibilità sulla base di una valutazione circa il merito del ricorso, può essere svolta

unitariamente.

3. – In relazione al problema appena rammentato, il discorso deve prendere le mosse da due

considerazioni ovvie, e che nondimeno è a mio avviso utile ricordare.

La prima è quella per la quale il fatto che una certa circostanza rappresenti un requisito di

ammissibilità, o, detto diversamente, un presupposto processuale, significa che, per accogliere la

domanda, occorre da un lato che sussista tale requisito (valutazione di rito), dall’altro che la do-

manda sia fondata (valutazione di merito). La seconda, conseguente e del resto già incontrata15

, è

che non ha alcun senso fare della fondatezza della domanda un requisito di ammissibilità. Sulla ba-

se di quanto appena detto, ciò significherebbe infatti che, per accogliere la domanda, occorrerebbe

da un lato (valutazione di rito) che essa fosse fondata, dall’altro (valutazione di merito) che essa

fosse … fondata. Il che, anche senza bisogno di scomodare Occam, non ha evidentemente alcun

senso, essendo semplicemente assurdo.

Detto questo, quello che dobbiamo successivamente chiederci è se altrettanto valga anche

laddove in questione sia non già la fondatezza tout court della domanda, bensì la sua non manifesta

infondatezza (in generale o riferita ad un qualche specifico aspetto di essa). E’ cioè possibile, detto

in termini più espliciti, fare della non manifesta infondatezza un requisito di ammissibilità?

13

In quest’ottica, pare di poter affermare, BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento

della legge n. 18 giugno 2009, n. 69, in Giusto proc. civ., 2009, p. 789 ss. e www.judicium.it, § 18; DE CRISTOFARO, in

Codice di procedura civile, cit., p. 248 ss.; GRAZIOSI, Riflessioni in ordine sparso sulla riforma del giudizio di cassa-

zione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 47 s.; LUISO, La prima pronuncia, cit., § 1. 14

La lettura di cui al testo potrebbe risultare (non senz’altro smentita, ma comunque) non necessitata, nell’ottica secon-

do la quale la valutazione in discorso dovrebbe limitarsi all’idoneità dei motivi a sollecitare una riconsiderazione

dell’orientamento della Cassazione al momento della proposizione del ricorso, impregiudicati i possibili mutamenti nel-

la giurisprudenza della Cassazione medesima intervenuti medio tempore e dunque l’eventualmente sopravvenuta dif-

formità del provvedimento impugnato da tale, sopravvenuta, giurisprudenza; differenziando cioè sotto il profilo tempo-

rale la valutazione dell’apposita sezione da quella che, superato in ipotesi il giudizio di ammissibilità, dovrebbe essere

poi compiuta dalla sezione semplice (per tale lettura cfr. TERRUSI, Il filtro). In quest’ottica, in effetti, la prima di tali va-

lutazioni, in quanto differente – quanto al parametro temporale, appunto – dalla seconda, potrebbe anche essere piena.

Come vedremo più avanti (n. 4), tale interpretazione non può tuttavia essere condivisa. 15

V. retro n. 2.

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In generale, la risposta deve essere senz’altro negativa. Ragionando come abbiamo fatto so-

pra, questo significherebbe infatti che, per accogliere la domanda, occorrerebbe che essa fosse non

manifestamente infondata e poi fondata. Il che non è meno assurdo di quanto visto nell’ipotesi pre-

cedente.

In questo caso il discorso non può però arrestarsi qui. La risposta fornita vale infatti, come

appena detto, in generale. Essa non è cioè assoluta, potendo darsi che, in casi particolari, le cose

stiano diversamente. Il che in effetti avviene, per la precisione in due ipotesi: la prima è quella nella

quale la valutazione di non manifesta infondatezza sia affidata ad un organo differente da quello al

quale spetta, una volta superato il vaglio rappresentato da tale valutazione, la cognizione piena (si

pensi al giudizio di costituzionalità); la seconda è quella nella quale, pur trattandosi dello stesso

giudice, il processo abbia però una struttura bifasica, con una prima fase a cognizione sommaria ed

una seconda, destinata ad aprirsi solo in caso di esito positivo della prima, a cognizione piena [si

pensi al giudizio di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione dello stato di paternità o di mater-

nità naturale (art. 374 c.c.), prima della sua declaratoria di incostituzionalità]. In questi casi, data la

particolare struttura del processo, ha in effetti senso configurare la non manifesta infondatezza qua-

le requisito di ammissibilità.

Ciò chiarito, e venendo a questo punto all’art. 360-bis, il quale, secondo quanto poc’anzi ap-

purato, contempla per l’appunto due valutazioni di non manifesta infondatezza (relative a due aspet-

ti specifici: la meritevolezza di riconsiderazione dell’orientamento della Cassazione e la violazione

dei princìpi del giusto processo), con riferimento a questo è senz’altro fuori gioco la prima delle due

ipotesi appena riferite. Senz’altro più vicina è viceversa la seconda. In un certo senso, il passaggio

dall’apposita sezione e poi, nel caso in cui questa non ritenga sussistente l’una o l’altra fattispecie, il

ritorno al primo presidente e l’assegnazione ad una sezione semplice, potrebbe infatti essere letto

nell’ottica di un processo bifasico. A tale lettura ostano tuttavia, pare di poter affermare, almeno

due considerazioni.

La prima è quella per la quale il ritorno al primo presidente – vale a dire la chiusura

dell’ipotetica prima fase, laddove le due fattispecie non vengano ritenute sussistenti – non è scandi-

to da alcuno specifico provvedimento, il quale attesti (la non manifesta infondatezza e dunque)

l’ammissibilità (tanto che, come accennato16

, si pone il problema se a tal punto la sezione semplice

sia vincolata alla valutazione dell’apposita sezione oppure possa, andando di diverso avviso, dichia-

rare ugualmente l’inammissibilità per la sussistenza di una delle suddette fattispecie).

La seconda è quella per la quale l’iter procedimentale in discorso vale non solo per l’art.

360-bis e per gli altri requisiti di ammissibilità, ma anche per la manifesta infondatezza della do-

manda in genere ed inoltre – e soprattutto – per la sua manifesta fondatezza, il che rende la lettura

in chiave bifasica decisamente improponibile. Infatti, essa ancora potrebbe reggere con riferimento

alla manifesta infondatezza in genere, anche se, in tale ottica, anche quest’ultima, al pari di quella

riferita ai due specifici aspetti di cui all’art. 360-bis, dovrebbe a tal punto essere letta in chiave di

requisito di ammissibilità (tale sarebbe giocoforza, a prescindere dalla sua qualificazione in tal sen-

so, dato che la non manifesta infondatezza rappresenterebbe la condizione per il passaggio – vale a

dire per l’ammissione – alla seconda fase)17

. Di certo la lettura in chiave bifasica risulta però in-

compatibile con la possibilità che l’apposita sezione chiuda il processo, non già rigettando la do-

manda, bensì accogliendola per manifesta fondatezza. Tale evenienza manifesta dunque in modo

16

V. retro n. 2. 17

E’ peraltro importante notare che, anche in tal caso, si assisterebbe comunque ad un’assimilazione fra la previsione

dell’art. 360-bis e la non manifesta infondatezza in genere, sia pure in direzione opposta rispetto a quella che qui si sta

prefigurando: laddove la conclusione alla quale perverremo è che neppure la prima dà vita ad un requisito di ammissibi-

lità, nella prospettiva del processo bifasico si avrebbe, all’opposto, che tale sarebbe anche la seconda.

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incontrovertibile che in questione non è la prima fase di un processo bifasico, bensì, più semplice-

mente, una modalità semplificata di decisione. In buona sostanza, nient’altro che una variante del

modello della decisione in camera di consiglio; un arricchimento, per così dire – ma in realtà, come

vedremo18

, un appesantimento – di tale modello, consistente nel coinvolgimento, possibilmente solo

interlocutorio (questo l’inconveniente), di una particolare sezione.

Su tale base, diventa allora inevitabile concludere che l’art. 360-bis, a dispetto della termino-

logia utilizzata, non introduce due nuove ipotesi di inammissibilità. Al contrario, in questione sono

e rimangono esclusivamente due casi di (non) manifesta infondatezza. Posta la loro natura di valu-

tazioni di merito, e segnatamente, appunto, di (non) manifesta infondatezza, in tanto, come visto, le

valutazioni in discorso potrebbero infatti dar luogo ad ipotesi di inammissibilità, in quanto il mec-

canismo processuale che le concerne potesse essere inteso quale prima fase di un processo bifasico.

Così però, come appena riscontrato, non è: il processo di cassazione, anche nella sua attuale struttu-

razione, rimane comunque un processo monofasico, sia pure con un iter diversificato a seconda del

tipo di decisione da adottare, e questo preclude la lettura delle fattispecie in esame in chiave di ipo-

tesi di inammissibilità. Tutt’al più, potrà semmai parlarsi di «inammissibilità ai sensi dell’art. 360-

bis»; con questo intendendo però appunto che in realtà si tratta non di un’inammissibilità reale, ben-

sì di una solo convenzionalmente qualificabile come tale, vuoi a fini pratici di sintesi, vuoi, soprat-

tutto, in funzione dell’applicazione degli artt. 375, n. 1 e 376, comma 1°, e dunque della definizione

del giudizio da parte dell’apposita sezione di cui al secondo di tali articoli.

Alla luce di tale conclusione, ne consegue inoltre che parimenti scorretta, quantomeno da

questo punto di vista, risulta la qualificazione della previsione in discorso in termini di «filtro»19

.

Tale qualificazione, propriamente intesa, rimanda infatti per l’appunto a profili di inammissibilità,

che, come appena detto, nel caso di specie sono però assenti. Di «filtro», anche qui convenzional-

mente, potrà dunque semmai parlarsi in un altro senso, vale a dire con riferimento al fatto che nelle

ipotesi contemplate dall’art. 360-bis il processo viene definito secondo un meccanismo semplifica-

to, con conseguente riduzione delle ipotesi nelle quali la Cassazione deve seguire il rito ordinario.

Ciò detto, un interrogativo non si può peraltro a questo punto fare a meno di porlo, per quan-

to non strettamente riferito alla norma qui in esame, bensì più in generale al suddetto meccanismo

(il problema è di carattere più generale in quanto, come detto, tale meccanismo non si applica solo

alle ipotesi di cui all’art. 360-bis, ma più in generale a tutti i casi di inammissibilità ed inoltre alla

manifesta fondatezza/infondatezza). Vale a dire se esso sia realmente efficace nella direzione volu-

ta, e cioè quella di determinare una semplificazione, e dunque un’accelerazione, del giudizio di

Cassazione, o se invece non rischi di rivelarsi, a seconda dei casi, un elemento di ulteriore compli-

cazione, e dunque di rallentamento, di tale giudizio.

Prima di affrontare questo interrogativo, occorre peraltro dare atto di una possibile differente

lettura dell’art. 360-bis.

4. – Le sezioni unite, nella loro già citata prima pronuncia sulla norma20

, oltre a sancire, co-

me riferito21

, che quella relativa alla prima delle fattispecie ivi contemplate (inidoneità dei motivi di

censura ad indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione, con la quale il

provvedimento impugnato sia in linea) è una pronuncia di manifesta infondatezza e non di inam-

18

V. infra n. 5. 19

Sul fatto che con la formulazione adottata il filtro è venuto totalmente meno, v. PROTO PISANI, La riforma del proces-

so civile: ancora una legge a costo zero (note a prima lettura), in Foro it., 2009, V, c. 222. 20

Cass., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, cit. 21

V. retro n. 2.

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missibilità, hanno anche statuito che la valutazione in questione deve essere riferita «allo stato della

giurisprudenza della Corte al momento della decisione sul ricorso, non al momento della decisione

di merito né a quello in cui il ricorso è proposto». In particolare, è con riferimento a tale momento

che deve essere verificata la conformità o meno del provvedimento impugnato alla giurisprudenza

della Cassazione; con la conseguenza che, sebbene esso risultasse, all’epoca, conforme

all’orientamento allora in essere, laddove questo sia successivamente mutato il ricorso deve essere

ritenuto senz’altro ammissibile, a prescindere dai motivi spesi, in quanto diretto contro una pronun-

cia allo stato difforme dalla propria, modificata, giurisprudenza.

Criticamente rispetto a tale pronuncia, si è osservato che, proprio perché è la stessa Cassa-

zione a ragionare nell’ottica per la quale l’art. 360-bis avrebbe introdotto un «filtro», la valutazione

in discorso dovrebbe viceversa essere riferita al momento della proposizione del ricorso e non a

quello della decisione. Più precisamente, il giudizio circa la conformità o meno del provvedimento

impugnato all’orientamento della Cassazione andrebbe riferito al tempo della sua emissione; il giu-

dizio circa l’idoneità o meno dei motivi spesi ad indurre una riconsiderazione di tale orientamento

andrebbe riferito al tempo della proposizione del ricorso. Con la conseguenza che, laddove così non

sia, la pronuncia dovrebbe essere nel senso dell’inammissibilità, a prescindere dal fatto che

l’orientamento sia nel frattempo mutato ed il provvedimento impugnato risulti allo stato in contrasto

con esso22

.

In tale ottica, è evidente che quanto detto sopra, a proposito della natura della valutazione di

cui all’art. 360-bis, risulterebbe smentito. In questo modo, tale valutazione avrebbe infatti un conte-

nuto, bensì relativo alla fondatezza del ricorso, ma differente, sotto il profilo temporale, rispetto a

quello al quale, superato il vaglio da parte dell’apposita sezione, è poi chiamata la sezione semplice.

Dunque, nulla osterebbe alla sua configurazione in termini di giudizio di ammissibilità e non di

(non) manifesta infondatezza.

Non pare però che la lettura in questione possa essere ritenuta corretta.

In primo luogo va intanto chiarito che una cosa è trarre le conseguenze della concezione del-

la previsione in discorso quale «filtro», un’altra sostenere che questa sia senz’altro la corretta inter-

pretazione della norma. Finché ci si limita alla prima operazione, evidenziando la contraddittorietà

della decisione delle sezioni unite, nulla quaestio. Laddove viceversa ci si volesse più incisivamente

spingere nella seconda direzione, si cadrebbe in una petizione di principio abbastanza evidente. Una

siffatta visione darebbe infatti per scontato che quelle in questione siano ipotesi di inammissibilità,

con funzione di «filtro», laddove, alla luce della contraddittorietà fra la loro qualificazione in tali

termini ed il trattarsi di valutazioni relative alla fondatezza del ricorso, questo rappresenta invece

proprio ciò che occorre dimostrare. Detto più chiaramente, il punto è cioè il seguente: posto che la

qualificazione in termini di inammissibilità ed il trattarsi di valutazioni relative alla fondatezza del

ricorso, essendo reciprocamente contraddittorie, si escludono a vicenda, è evidente che, per supera-

re il conflitto, occorre «sacrificare» uno dei due termini di questo, e dunque o escludere che quelle

in questione siano effettivamente ipotesi di inammissibilità, oppure (non escluderne il riferimento

alla fondatezza del ricorso, ciò che è impossibile, ma) modulare il loro contenuto e/o l’iter proces-

suale in termini tali da rendere sensato che esse possano comunque svolgere un ruolo di «filtro» di

ammissibilità; tanto l’una quanto l’altra soluzione sono astrattamente possibili; di certo, però, nes-

suna di esse può essere sostenuta semplicemente dando per scontata una certa interpretazione relati-

vamente all’altro termine del contrasto; come non potrebbe cioè sostenersi che, dovendo la valuta-

zione essere riferita al momento della decisione, in questione non possono essere ipotesi di inam-

missibilità23

, così, specularmente, non può neppure sostenersi, come appunto la lettura in esame,

22

In tal senso TERRUSI, Il filtro, cit. 23

Questo in effetti, nella sostanza, il ragionamento delle sezioni unite.

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che, trattandosi di ipotesi di inammissibilità, la valutazione deve essere riferita al momento della

proposizione del ricorso.

In secondo luogo va poi osservato che tutto questo concerne esclusivamente la prima delle

due fattispecie contemplate dall’art. 360-bis (quella relativa all’inidoneità dei motivi di censura ad

indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione, con la quale il provvedi-

mento impugnato sia in linea), laddove la lettura in chiave di effettiva inammissibilità, essendo tale

qualificazione riferita anche alla seconda fattispecie (quella relativa alla manifesta infondatezza del-

la censura relativa alla violazione dei princìpi del giusto processo), dovrebbe coinvolgere anche

quest’ultima; ciò di cui la ricostruzione in esame invece non si preoccupa.

In ultimo non si può infine non rilevare che tale ricostruzione non produrrebbe comunque

alcun reale vantaggio, in termini di riduzione del carico di lavoro della Cassazione. È bensì vero,

infatti, che, per questa via, verrebbero eliminati (in assenza di validi motivi di impugnazione) tutti i

ricorsi rivolti contro provvedimenti che, pur essendo allo stato in contrasto con il sopravvenuto

orientamento della Cassazione, al momento della loro proposizione erano viceversa conformi a

quello allora in essere. Specularmente, e dunque con risultati complessivamente nulli, ne risultereb-

bero però ammessi tutti quelli rivolti contro provvedimenti che, pur essendo allo stato conformi

all’orientamento sopravvenuto, al momento della loro proposizione erano viceversa in contrasto con

quello allora in essere.

Con peraltro un’incongruenza, tutt’altro che secondaria, che fa a mio avviso inclinare deci-

samente in senso contrario rispetto alla prospettazione in discorso; vale a dire che, dal punto di vista

del compito primario della Cassazione, vale a dire la nomofilachia, risulta assurdo che, sia pure in

funzione di filtro, ci si misuri con l’orientamento superato anziché con quello attuale: a parità di

funzione filtrante, secondo quanto appena visto, appare decisamente preferibile eliminare i ricorsi

avverso pronunce conformi all’attuale orientamento piuttosto che quelli avverso pronunce difformi

da esso24

.

Ciò detto, e confermata dunque la conclusione precedentemente raggiunta, circa il fatto che

quelle introdotte dall’art. 360-bis sono ipotesi non di inammissibilità, bensì di manifesta infonda-

tezza del ricorso, possiamo a questo punto passare all’interrogativo che avevamo posto in coda a ta-

le conclusione, vale a dire quello, riferito in generale al meccanismo di definizione del processo ad

opera dell’apposita sezione, circa la funzionalità o meno di tale meccanismo nella direzione della

semplificazione, e dunque dell’accelerazione, del giudizio di Cassazione.

5. – Quello appena ricordato essendo l’interrogativo da affrontare, non pare eccesso di di-

sfattismo affermare che ben difficilmente esso potrebbe ricevere risposta positiva. Certo, laddove

l’apposita sezione dichiari l’inammissibilità, respinga per manifesta infondatezza o accolga per ma-

nifesta fondatezza, il giudizio si chiude rapidamente. Ma intanto tale rapidità non è maggiore di

quella che si avrebbe, a parità di decisione in camera di consiglio, laddove, in assenza dell’apposita

sezione, il ricorso venisse assegnato direttamente ad una sezione semplice. In questa evenienza,

l’istituzione dell’apposita sezione non produce cioè alcuna accelerazione e risulta dunque, dal punto

di vista della semplicità e della durata del processo, totalmente ininfluente. Soprattutto, poi, occorre

mettere in conto anche l’altra evenienza, vale a dire quella che l’apposita sezione non chiuda il giu-

24

Sul fatto che all’eventuale difetto di argomenti, nel ricorso o nel controricorso, in relazione al mutato orientamento

della Corte, potrà essere ovviato mediante la memoria o in sede di discussione, v. LUISO, La prima pronuncia, cit., § 2.

Nel senso che il ricorso deve essere ritenuto ammissibile tanto in caso di contrarietà originaria quanto in caso di contra-

rietà sopravvenuta, e dunque sempre, in presenza di un mutamento di giurisprudenza, ciò che però dilata forse un po’

troppo le maglie della norma, NAPPI, Il sindacato, cit., p. 68 s.

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dizio, ed in tale ipotesi il meccanismo del doppio passaggio – prima da tale sezione e poi dalla se-

zione semplice – non si limita a risultare ininfluente, ma determina una complicazione ed un rallen-

tamento della vicenda processuale nient’affatto marginali e decisamente improvvidi.

Anche a prima impressione, è infatti del tutto evidente che quello che si determina in tale

evenienza è un iter processuale macchinoso25

, inevitabilmente più inefficiente di ciò che accadrebbe

con la diretta assegnazione del ricorso alla sezione semplice. Più in dettaglio, sia pur nei limiti di

quanto qui rilevante e senza pretendere di procedere ad un’analisi puntuale dell’art. 376, quattro so-

no, a quanto pare di poter affermare, i profili sotto i quali si manifesta tale macchinosità ed ineffi-

cienza.

Da un primo punto di vista viene in considerazione il problema, già incontrato26

, se la sezio-

ne semplice sia o meno vincolata al giudizio di non inammissibilità (per quelli di non manifesta

fondatezza/infondatezza il vincolo non può neppure essere ipotizzato, dato che la decisione circa la

fondatezza o meno della domanda rappresenta il compito precipuo della sezione semplice). Quale

che sia la relativa risposta, è evidente che già il porsi di tale problema non può non rappresentare un

inconveniente, che l’assegnazione del ricorso direttamente alla sezione semplice consentirebbe di

evitare. Inutile poi dire che, laddove la soluzione dovesse essere nel senso dell’inesistenza del vin-

colo, l’inconveniente sarebbe ancora maggiore. In tal caso, il passaggio dall’apposita sezione risul-

terebbe infatti sostanzialmente inutile – e pertanto tempo perso – dal momento che la sezione sem-

plice potrebbe senz’altro ripetere, con il segno invertito, la valutazione già compiuta dalla prima.

Da un secondo punto di vista, anche ammesso il vincolo al giudizio di non inammissibilità,

rimane nondimeno, per quanto specificamente concerne le ipotesi di cui all’art. 360-bis, la duplica-

zione della valutazione già compiuta. Al di là del riferimento alla categoria dell’inammissibilità, ri-

mane infatti che quella operata dall’apposita sezione, con riferimento alle suddette ipotesi, è una va-

lutazione di non manifesta infondatezza, come tale destinata inevitabilmente a venire ripetuta dalla

sezione semplice, più approfonditamente, al momento della decisione circa l’accoglimento o meno

del ricorso.

Da un terzo punto di vista occorre considerare il problema dei rapporti fra l’apposita sezione

e la sezione semplice per quanto concerne l’assurda divisione fra di esse delle materie di cui all’art.

375. Anche in questo caso, quale che sia la risposta da fornire all’interrogativo circa la competenza

dell’una o dell’altra nei casi dubbi, il solo porsi del problema rappresenta evidentemente un intral-

cio. Nella fattispecie oltretutto particolarmente deplorevole, dato che esso non è imprescindibilmen-

te connesso all’introduzione del vaglio da parte dell’apposita sezione, ma rappresenta più specifi-

camente il frutto di una regolamentazione (la suddetta divisione delle materie di cui all’art. 375 fra

tale sezione e la sezione semplice) che nulla, anche una volta introdotto tale vaglio, imponeva di

adottare. Ma non basta. Sempre a questo proposito occorre infatti tenere presente che le due compe-

tenze sono fatalmente destinate ad incrociarsi, in modo tale da ostare all’effettivo rispetto della divi-

sione tracciata sulla carta. In particolare, in presenza di un difetto di contraddittorio l’apposita se-

zione non potrà definire il processo per la manifesta fondatezza, che pur dovesse riscontrare (quanto

alla manifesta infondatezza la cosa è più dubbia). La sanatoria di tale difetto spetta infatti alla se-

25

Il rilievo è diffuso: cfr. CARRATTA, Il «filtro» al ricorso in cassazione fra dubbi di costituzionalità e salvaguardia del

controllo di legittimità, in Giur. it., 2009, p. 1564 s. e 1567; DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 243

ss.; MENCHINI, in La riforma, cit., p. 124 testo e nota 290; PROTO PISANI, La riforma, cit., p. 222; RASCIO, in AULETTA-

BOCCAGNA-CALIFANO-DELLA PIETRA-OLIVIERI-RASCIO, Le norme sul processo civile nella legge per lo sviluppo eco-

nomico, la semplificazione e la competitività, Napoli 2009, p. 77 s.; REALI, in La riforma, cit., p. 145; RICCI, La rifor-

ma, cit., p. 75 ss.; SASSANI-TISCINI, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile (legge 18 giugno 200,

n. 69), a cura di Saletti-Sassani, con la collaborazione di Giorgetti-Salvaneschi-Tiscini, Torino 2009, p. 175. 26

V. retro nn. 2 s.

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zione semplice, alla quale il ricorso dovrà dunque essere rimesso27

. Dopodiché, regolarizzato il con-

traddittorio, quid iuris: il ricorso dovrà tornare all’apposita sezione per il completamento dell’esame

a questa spettante oppure esso deve a tal punto ritenersi definitivamente assegnato alla sezione

semplice e sarà dunque questa, se del caso, ad accogliere per manifesta fondatezza? Il buon senso

imporrebbe ovviamente la seconda soluzione. Ma da un lato non ci sarebbe purtroppo da stupirsi

dell’affermarsi della prima. Dall’altro, ancora una volta, rimane comunque il fatto

dell’inconveniente derivante dal porsi del problema, quale che ne sia la soluzione.

Da un quarto punto di vista bisogna infine mettere in conto l’interrogativo se la pronuncia

dell’apposita sezione si riferisca ai singoli motivi oppure al ricorso nel suo complesso. Se, detto

meglio, l’apposita sezione possa pronunciare soltanto laddove l’intero ricorso risulti inammissibile

o manifestamente fondato/infondato, oppure possa farlo anche con riferimento ai singoli motivi, il

ricorso passando poi alla sezione semplice per quelli non definiti28

. Intanto, al solito, già il solo por-

si del problema, essendo fonte di incertezza, rappresenta un danno in sé (è forse il caso di notare

che, nell’ottica dell’assegnazione del ricorso direttamente alla sezione semplice, tale interrogativo

risulterebbe sostanzialmente privo di rilevanza; davanti a tale sezione, in questione è infatti esclusi-

vamente l’alternativa fra la decisione in camera di consiglio e quella in udienza, e nella contempo-

ranea presenza di alcuni motivi inammissibili o manifestamente fondati/infondati e di altri che tali

non sono non c’è dubbio che la scelta non potrebbe che orientarsi unitariamente nel secondo senso).

Ma non si tratta solo di questo. Laddove dovesse ritenersi che la risposta all’interrogativo sia la se-

conda (vale a dire quella secondo la quale l’apposita sezione può pronunciare solo sull’intero ricor-

so), il problema della duplicazione delle valutazioni – e dunque l’inutilità del passaggio davanti

all’apposita sezione – risulterebbe drammaticamente amplificato. In buona sostanza, ogni volta che

non potesse ritenersi l’inammissibilità o la manifesta fondatezza/infondatezza dell’intero ricorso, la

pur riscontrata inammissibilità o manifesta fondatezza/infondatezza, possibilmente anche della

maggior parte dei motivi, non vincolerebbe in alcun modo la sezione semplice. Con la conseguenza

che tutto il lavoro in proposito dell’apposita sezione risulterebbe solo tempo perso. Inutile poi ag-

giungere che, in questa prospettiva (quella della possibilità per l’apposita sezione di pronunciare so-

lo sull’intero ricorso), anche il terzo dei problemi sopra illustrati è fatalmente destinato ad accre-

scersi, essendo sufficiente che esso insorga anche per un solo motivo per coinvolgere l’intero ricor-

so, anche con riferimento ai motivi per i quali esso non si porrebbe.

Tutto questo, si noti, al netto degli ulteriori problemi che, come vedremo nel prosieguo, po-

ne l’interpretazione della maldestra formulazione dell’art. 360-bis; problemi che, sommandosi ai

precedenti, contribuiscono a fare della trovata del legislatore, dal punto di vista della finalità accele-

ratoria perseguita, un vero e proprio boomerang.

In sostanza, e riepilogando, il punto è che, laddove l’apposita sezione definisca il giudizio,

non si guadagna nulla, dato che un risultato del tutto analogo, in termini di rapidità della decisione,

si sarebbe ottenuto anche assegnando il ricorso direttamente alla sezione semplice. Laddove vice-

versa ciò non accada, il doppio passaggio serve solo a complicare le cose, e pertanto, inevitabilmen-

te, ad allungare l’iter processuale. Anche al netto dei problemi derivanti dall’infelice introduzione

dell’art. 360-bis, sarebbe stato dunque molto meglio evitare di creare passaggi intermedi, lasciando

l’assegnazione direttamente alla sezione semplice, con facoltà poi, per questa, di decidere in camera

di consiglio i ricorsi che, vuoi per ragioni processuali, vuoi per ragioni sostanziali, apparissero di

più semplice definizione.

27

Diversamente COSTANTINO, Il nuovo processo in Cassazione, in Foro it., 2009, V, c. 305, secondo il quale l’apposita

sezione deve ragionevolmente poter valutare anche i profili di cui all’art. 375, nn. 2 e 3. 28

Il problema verrà affrontato nel n. 6.

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6. – Il discorso, per quanto concerne il meccanismo in questione, non è peraltro ancora ter-

minato. Ulteriore questione da affrontare, in merito ad esso, è infatti quella relativa

all’interrogativo, poc’anzi incontrato, circa l’oggetto della pronuncia dell’apposita sezione. Ciò che

occorre chiarire, come detto, è cioè se questa possa pronunciare solo laddove l’intero ricorso risulti

inammissibile o manifestamente fondato/infondato29

, oppure la sua pronuncia possa riferirsi anche

ai singoli motivi30

, riducendo così il numero di quelli sui quali è destinata ad incentrarsi la pronun-

cia della sezione semplice.

Per la verità, in astratto è prospettabile anche una terza ipotesi, vale a dire quella per la qua-

le, fermo restando che la decisione dell’apposita sezione ha carattere generale, sarebbe sufficiente

l’inammissibilità o la manifesta infondatezza di un solo motivo per attrarre alla relativa pronuncia

l’intero ricorso. Tale soluzione va però senz’altro esclusa. Essa risulta infatti totalmente priva di

qualunque plausibile giustificazione, che non sia quella – della quale non c’è ovviamente bisogno di

argomentare l’inconsistenza – per la quale qualunque scusa è buona pur di sfoltire il numero dei ri-

corsi. Che si tratti di una via non percorribile risulta del resto anche dal fatto che, come diremo me-

glio fra breve, a proposito della prima ipotesi (pronuncia dell’apposita sezione solo laddove l’intero

ricorso risulti inammissibile o manifestamente fondato/infondato), in presenza di alcuni motivi di

ricorso inammissibili e di altri manifestamente infondati, la pronuncia unitaria risulterebbe impossi-

bile.

Tolta dunque senz’altro di mezzo tale improbabile soluzione, e ristretta l’alternativa alle

precedenti due, va detto che la lettera della legge è indubbiamente a favore della prima, vale a dire

della possibilità di pronuncia solo laddove l’intero ricorso risulti inammissibile o manifestamente

fondato/infondato. In tal senso sono infatti sia l’art. 360-bis (che riferisce l’inammissibilità al «ri-

corso»), l’art. 375, nn. 1 e 5 (che fa riferimento alla dichiarazione di inammissibilità ed alla dichia-

razione di manifesta fondatezza/infondatezza del «ricorso» principale e di quello incidentale), l’art.

376, comma 1° (secondo il quale gli atti sono rimessi al primo presidente se l’apposita sezione «non

definisce il giudizio»), l’art. 380-bis, comma 1° (secondo il quale il relatore dell’apposita sezione

deposita la propria relazione «se appare possibile definire il giudizio»), l’art. 380-bis, comma 3° (il

quale disciplina l’iter davanti alla sezione semplice per l’ipotesi nella quale «il ricorso non è dichia-

rato inammissibile»).

Unico, minoritario, elemento in contrario, da tale punto di vista, è la descrizione delle ipotesi

di inammissibilità contenuta nell’art. 360-bis (il quale fa all’uopo riferimento ai «motivi» ed alla

«censura»).

Ciononostante, non mi pare che la suddetta soluzione possa dirsi realmente imposta.

Volendosi attenere strettamente al disposto normativo, e segnatamente a quello dell’art. 375,

si rischia infatti di incorrere in risultati difficilmente tollerabili. Per cogliere il problema, occorre

considerare che l’articolo in questione contempla, distintamente fra loro, da un lato la declaratoria

di inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale, dall’altro il loro accoglimento o ri-

29

In tal senso BRIGUGLIO, Ecco il «filtro»! (l’ultima riforma del giudizio di cassazione), in Commentario alle riforme

del processo civile, a cura di Briguglio-Capponi, III, 1, Ricorso per cassazione, Padova 2009, p. 50 ss. e

www.judicium.it., § 2; BUCCI-SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova 2009, p. 148; CARRATTA, Il «filtro»,

cit., p. 1565; DAMIANI, in La riforma del giudizio di cassazione. Commentario al D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, capo I

e alla L. 18 giugno 2009, n. 69, capo IV, a cura di Cipriani, Padova 2009, p. 276; NAPPI, Il sindacato, cit., p. 73 s.;

REALI, in La riforma, cit., p. 131 ss.; SASSANI-TISCINI, in Commentario, cit., p. 161 s. 30

In tal senso DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 248 (solo però per l’inammissibilità, non anche per

la manifesta fondatezza/infondatezza, dovendo questa riferirsi all’intero ricorso); MONTELEONE, Il punto sul nuovo art.

360 bis c.p.c. (sull’inammissibilità del ricorso alla cassazione civile), in Giusto proc. civ., 2010, p. 974; RAITI, Note

esegetiche, cit., § 3; RORDORF, Nuove norme, cit., p. 139.

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getto per manifesta fondatezza/infondatezza. Già dunque sembrerebbe che la pronuncia fosse con-

sentita solo laddove la sorte del ricorso principale e quella del ricorso incidentale fossero identiche.

Ma anche volendosi limitare al solo ricorso principale (od al solo ricorso incidentale), è sufficiente

prospettare le varie ipotesi possibili, per rendersi conto che la norma non può essere seguìta in mo-

do realmente rigoroso.

Infatti: in presenza di alcuni motivi manifestamente fondati e di altri manifestamente infon-

dati, non sussistono problemi, dato che il risultato è comunque l’accoglimento del ricorso, con pie-

no rispetto, dunque, della lettera del n. 5; in presenza, con riferimento ai diversi motivi, di più cause

di inammissibilità, stesso discorso, la pronuncia essendo comunque di inammissibilità, con rispetto,

dunque, della lettera del n. 1; ancora nessun problema si presenta nella contemporanea presenza di

alcuni motivi inammissibili e di altri manifestamente fondati, dato che in questo caso, al pari di

quanto visto nel primo, il risultato è comunque, nel rispetto della lettera del n. 5, l’accoglimento del

ricorso; altrettanto non può però dirsi laddove alcuni motivi risultino inammissibili ed altri manife-

stamente infondati; in questo caso, infatti, non è possibile una pronuncia unitaria, ma occorre di-

chiarare in parte l’inammissibilità ed in parte l’infondatezza; dunque, in questa ipotesi, posto che

non si integra né il n. 1 né il n. 5, volendo rispettare rigorosamente la legge il ricorso dovrebbe esse-

re rimesso alla sezione semplice.

Posto che tale risultato è manifestamente incongruo e che il buon senso si ribella ad una pro-

spettiva di questo tipo, è giocoforza ammettere che la pronuncia può anche avere contenuto diffe-

rente per i singoli motivi di ricorso.

Se così è, non pare però allora che il passaggio ulteriore, vale a dire quello di ritenere am-

missibile una pronuncia – non solo con contenuto differente per i singoli motivi, ma – limitata solo

ad alcuni di essi, con rimessione alla sezione semplice quanto agli altri, rappresenti una prospettiva

così improponibile. Se poi si considera che, come già sopra argomentato31

, volendo ammettere la

pronuncia dell’apposita sezione solo a condizione che essa riguardi l’intero ricorso il risultato sa-

rebbe la totale inutilità, in un grandissimo numero di casi, del lavoro della sezione medesima, non

avrei dubbi sulla necessità di ammettere senz’altro la possibilità di una pronuncia concernente solo

alcuni motivi. Pronuncia, si aggiunga, avverso la quale non mi pare del resto che, concettualmente,

si frappongano ostacoli particolari.

7. – Chiarito questo, e tornando a questo punto più specificamente all’art. 360-bis, ciò su

cui, riprendendo il filo del discorso, occorre continuare ad interrogarsi è quale sia l’effettiva portata

normativa della disposizione.

A tale proposito, appurato, alla luce della trattazione precedentemente svolta32

, che quelle in

questione altro non sono se non manifestazioni specifiche della (non) manifesta infondatezza, e dato

dunque che, come tali, esse rientrerebbero senz’altro nella relativa, preesistente e più generica, valu-

tazione ex art. 375, n. 5, la suddetta portata è affidata a due possibili aspetti: da un lato la riduzione,

o al limite l’ampliamento, dei motivi di ricorso in cassazione, eventualmente ricollegabile alla pre-

visione; dall’altro le conseguenze, diverse da quelle della manifesta infondatezza, eventualmente

derivanti dal fatto di aver classificato, sia pure impropriamente, secondo quanto detto, le ipotesi in

discorso in termini di inammissibilità.

Quanto al primo aspetto, il problema si pone, abbastanza manifestamente, solo con riferi-

mento alla seconda fattispecie (quella relativa alla manifesta infondatezza della censura relativa alla

violazione dei princìpi del giusto processo). Quanto infatti alla prima (quella relativa all’inidoneità

31

V. retro n. 5, in fine. 32

V. retro nn. 2 s.

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dei motivi di censura ad indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione,

con la quale il provvedimento impugnato sia in linea), la norma da un lato non pone alcuna limita-

zione con riferimento all’ipotesi, espressamente contemplata, del provvedimento impugnato in linea

con la giurisprudenza della Cassazione, dall’altro lascia chiaramente intendere che, laddove il prov-

vedimento medesimo si sia viceversa discostato da tale giurisprudenza, il ricorso è senz’altro am-

missibile, a prescindere dai motivi addotti (si tratta di un dato che emerge in modo del tutto eviden-

te, per quanto implicitamente, dalla semplice lettura del testo normativo). Per quanto concerne

l’aspetto in questione (possibile riduzione/ampliamento dei motivi di ricorso in cassazione), ciò che

occorre chiedersi, alla luce della novella, è dunque questo: se la violazione delle norme processuali

non debba oggi ritenersi denunciabile in cassazione non più in presenza di una qualunque nullità,

ma solo laddove sia implicato il rispetto dei princìpi del giusto processo; o, in direzione opposta, se,

in tale evenienza, essa non sia denunciabile anche in assenza di una specifica nullità.

Per il vero, anche a questo proposito la lettura del testo normativo, per quanto indubbiamen-

te involuto ed infelice, difficilmente potrebbe indurre ad ipotizzare l’una o l’altra interpretazione. Se

il dubbio è insorto è più che altro in conseguenza e sull’inerzia della primitiva formulazione, la qua-

le, secondo quanto riferito sopra33

, sanciva, in positivo, che il ricorso fosse ammissibile (per ciò che

qui interessa) «quando appar[isse] fondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori

del giusto processo». In tale versione, la portata restrittiva era in effetti difficilmente dubitabile. La

norma aveva infatti quale proprio fine ed oggetto precipuo proprio l’indicazione delle sole ipotesi

nelle quali il ricorso sarebbe stato ammissibile. La limitazione dei vizi processuali denunciabili alle

sole violazioni dei princìpi regolatori del giusto processo non poteva dunque non implicare

l’esclusione della ricorribilità in cassazione per tutte le altre. Poi però la norma è stata modificata.

In particolare, ha mutato segno. Essa non è dunque più volta ad indicare, restrittivamente, le ipotesi

di ammissibilità: più modestamente, si limita a sancire, fermi per altro verso i vizi denunciabili, due

casi di inammissibilità. Ciononostante, per inerzia, appunto, la questione ha continuato a porsi.

Non per questo essa possiede peraltro, come accennato, un effettivo fondamento, ed in tal

senso si è in effetti espressa la maggior parte dei commentatori34

.

Iniziando dalla prospettiva della riduzione dei motivi di ricorso (che è poi il vero problema),

più di uno sono gli argomenti che confliggono con essa.

Innanzitutto non può intanto non rilevarsi che appare azzardato ricollegare un’innovazione

così incisiva, per non dire rivoluzionaria, ad una norma tanto sibillina ed ambigua, ed in assenza,

33

V. retro n. 1. 34

Cfr. BALENA, La nuova pseudo-riforma, cit., § 18; BOVE, in BOVE-SANTI, Il nuovo processo civile tra modifiche at-

tuate e riforme in atto, Matelica 2009, p. 66 ss.; DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., pp. 240 s. e 258 ss.;

GRAZIOSI, Riflessioni, cit., p. 54 ss.; LUISO, La prima pronuncia, cit., § 4; MENCHINI, in La riforma, cit., p. 114 ss.;

MONTELEONE, Il punto, cit., pp. 971 s. e 976; NAPPI, Il sindacato, cit., p. 70; POLI, Il c.d. filtro di ammissibilità del ri-

corso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, pp. 374 ss. e 380; RAITI, Note esegetiche, cit., § 5; RICCI, Ancora insolu-

to, cit., p. 113 s.; ID., La riforma, cit., p. 69 ss.; SASSANI-TISCINI, in Commentario, cit., p. 167 s.

Per la riduzione v. invece BUCCI-SOLDI, Le nuove riforme, cit., p. 147 s.; CARRATTA, Il «filtro», cit., p. 1566

(ipoteticamente); CONSOLO, Il processo di primo grado, cit., p. 516 (dubitativamente); ID., Una buona «novella» al

c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Cor-

riere giur., 2009, p. 740; D’ASCOLA, La riforma e le riforme del processo civile: appunti sul giudizio di Cassazione, in

www.judicium.it, § 4; GIORDANO, Giudizio di cassazione, cit., p. 77 ss.; RORDORF, Nuove norme, cit., p. 142 s. (dubita-

tivamente); SALMÈ, Il nuovo giudizio, cit., p. 441. V. anche COSTANTINO, Il nuovo processo, cit., p. 309 s., secondo il

quale il senso della norma consiste nell’imporre una più rigorosa valutazione dell’interesse ad agire, tale che la cassa-

zione della sentenza dovrebbe avvenire solo in caso di concreta lesione al diritto di azione o di difesa.

Per il possibile ampliamento v. poi LUISO, Diritto processuale civile, II5, Milano 2009, p. 429 s. e ZANUTTIGH,

Rischio confusione nel procedimento camerale, in Guida dir., 28/2009, p. 25. V. anche MONTELEONE, Il punto, cit., p.

976 s., secondo il quale la norma assumerebbe rilevanza con riferimento al ricorso straordinario avverso provvedimenti

resi nell’àmbito di processi non soggetti alla regolamentazione ordinaria del codice di procedura civile.

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per altro verso, di alcun tipo di intervento sull’art. 360, comma 1°, n. 4. Sempre, ma a tanta maggior

ragione quanto più radicale sia la rottura con il sistema precedente, è logico aspettarsi – e dunque

richiedere – che la manifestazione della relativa volontà, da parte del legislatore, risulti chiara ed

univoca, in caso contrario prudenza imponendo di adottare interpretazioni di portata più ridotta.

Ancor più questo vale, poi, se si considera che, in questa prospettiva, il criterio selettivo dei

ricorsi ammissibili sarebbe affidato ad una formula – l’essere in questione i princìpi del giusto pro-

cesso – talmente vaga e generica, da rendere la sua concretizzazione incerta, imprevedibile e vero-

similmente ondivaga, e pertanto l’accesso al giudizio di legittimità totalmente aleatorio.

Ciò premesso, va poi comunque detto, riprendendo gli accenni poc’anzi fatti, che la norma,

per come concretamente formulata, vale a dire alla luce per un verso dell’intervenuto mutamento di

segno, per altro verso del suo tenore letterale, non sancisce affatto – ciò che sarebbe necessario per

avvalorare l’interpretazione in chiave limitativa – che il ricorso è ammissibile solo laddove lamenti

la violazione dei princìpi del giusto processo (e non sia manifestamente infondato), o che è inam-

missibile laddove non lamenti tale violazione (e non sia manifestamente infondato): ad una lettura

non preconcetta, è abbastanza evidente che essa si limita a dire che, nell’ipotesi nella quale operi

una siffatta lamentela – ed impregiudicato quali siano, più in generale, le violazioni denunciabili – il

ricorso è inammissibile se la censura sia manifestamente infondata.

D’altronde, se il riferimento alla violazione dei princìpi del giusto processo, in tale formula-

zione, dovesse essere inteso nel senso di ammettere l’impugnazione solo in relazione alla violazione

in discorso, parallelamente, e con la medesima logica, nella fattispecie di cui al n. 1 essa dovrebbe

essere consentita solo in presenza di un provvedimento in linea con la giurisprudenza della Cassa-

zione; ciò che è manifestamente assurdo e che nessuno, a quanto consta, ha mai prospettato35

, tant’è

che anche qui, poco sopra, abbiamo dato per scontato che in tal caso il ricorso è senz’altro ammissi-

bile, indipendentemente dai motivi addotti.

Ulteriormente, sempre muovendoci nella logica in discorso, laddove il legislatore avesse

sancito l’inammissibilità del ricorso qualora sia manifestamente infondata la censura relativa alla

violazione delle norme in tema di giurisdizione o, sul piano sostanziale, di quelle in tema di tutela

del consumatore, se ne dovrebbe dedurre che queste, la giurisdizione o la tutela del consumatore,

sono le uniche materie in relazione alle quali, rispettivamente sul piano processuale o su quello so-

stanziale, è dato accesso alla Cassazione; ciò che nessuno, credo, in assenza di modifiche dell’art.

360, si sognerebbe mai anche solo di ipotizzare.

In ultimo, è poi difficilmente dubitabile che una tanto drastica restrizione della possibilità di

denunciare la violazione delle norme processuali risulterebbe incostituzionale per violazione

dell’art. 111, comma 7°, cost., il quale, com’è noto, garantisce la generalizzata possibilità di ricorso

in Cassazione, per qualunque violazione di legge, e dunque anche per quella delle norme processua-

li, senza distinzioni di sorta. Del resto, proprio questo, in generale, e dunque anche per questo aspet-

to, è, come detto36

, il motivo per il quale l’originaria formulazione della norma è stata sostituita dal-

la presente.

In realtà, l’unico argomento spendibile, a sostegno dell’interpretazione in chiave limitativa,

è quello per il quale, diversamente ritenendo, ne deriverebbe, incongruamente, un assetto per il qua-

le l’inammissibilità per manifesta infondatezza si riferirebbe solo alle violazioni più gravi, vale ap-

35

Espressamente contrario, in parallelo con la contestazione dell’interpretabilità in chiave restrittiva dell’ipotesi di cui

al n. 2, DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., pp. 241 e 259. 36

V. retro n. 1.

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punto a dire quelle relative ai princìpi del giusto processo, laddove, per converso, per tutte le altre,

meno gravi, non vi sarebbe alcuno sbarramento37

.

Tale argomento, a parte che lascia comunque intatti gli altri, contrari, sopra illustrati, è però

solo apparentemente valido. Intanto occorre infatti ricordare che, ex artt. 375, n. 5, 376 e 380-bis,

anche le altre violazioni processuali sono comunque sottoposte al vaglio da parte dell’apposita se-

zione, sotto il profilo della (non) manifesta infondatezza, sì che, in sostanza, l’unica differenza con-

cerne la qualifica di inammissibilità (la cui effettiva portata, come stiamo appurando, è in effetti as-

sai marginale, se non nulla tout court), nella quale sfocia, per le violazioni dei suddetti princìpi e

non per le altre, la valutazione negativa da parte della suddetta sezione. In secondo luogo, poi, come

vedremo38

, tale differenza ha in realtà una spiegazione, sia pure in un’ottica diversa (non cioè sul

piano della maggiore o minore gravità della violazione, bensì su quello della maggiore o minore

genericità della denuncia).

Ciò detto con riferimento alla prospettiva della riduzione dei motivi di ricorso, e passando

ora a quella, opposta, del loro ampliamento, con riferimento a questa il discorso risulta assai più

breve.

Per un verso vale infatti anche in questo caso la considerazione svolta sopra, a proposito

dell’altra prospettiva, relativamente alla formulazione della norma; e cioè che la portata di questa si

esaurisce nel sancire che, impregiudicate le violazioni denunciabili, laddove venga lamentata quella

dei princìpi del giusto processo, il ricorso è inammissibile se la censura sia manifestamente infonda-

ta. Ad essa, così come non può farsi dire che il ricorso è ammissibile solo in presenza di una siffatta

denuncia, neppure può dunque farsi dire, all’opposto, che in presenza di quest’ultima lo è sempre.

In secondo luogo poi – e decisivamente – in realtà non pare che per un ampliamento dei mo-

tivi di ricorso vi sia realmente spazio. Salvo voler ammettere ricorsi meramente accademici, è evi-

dente, infatti, che in tanto la violazione dei princìpi del giusto processo può essere denunciata, in

quanto concretamente si traduca in una (asserita) nullità; e però, laddove ciò accada, non c’è dubbio

che la fattispecie rientri nell’àmbito della previsione dell’art. 360, comma 1°, n. 4, il quale ha ri-

guardo a qualunque tipo di nullità, quale che ne sia la causa.

Ciò detto, in questa seconda prospettiva vi è nondimeno un fondo di verità, che si ricollega

poi alla ragion d’essere della previsione, per come verrà qui individuata39

, nella misura nella quale

evidenzia la peculiarità della denuncia della violazione dei princìpi del giusto processo senza rife-

rimenti a più specifiche nullità.

Prima di passare alla ricerca di tale ragion d’essere, vuoi con riferimento alla fattispecie di

cui al n. 2, vuoi con riferimento a quella di cui al n. 1, ancora dobbiamo però occuparci dell’altro

aspetto, sotto il quale, come si disse, deve essere verificata l’effettività della portata normativa

dell’art. 360-bis, vale a dire quello relativo alle conseguenze della pur impropria qualificazione in

termini di inammissibilità di tali due fattispecie.

8. – Fondamentalmente, in questione, a questo proposito, è la sorte del ricorso incidentale

tardivo.

37

Su tale assurdità (ma nella diversa prospettiva di argomentarne la coincidenza dei princìpi del giusto processo con

l’intera disciplina processuale, sulla quale impostazione v. il § 11) BALENA, La nuova pseudo-riforma, cit., nota 53 e

RAITI, Note esegetiche, cit., § 5. V. inoltre POLI, Il c.d. filtro, cit., p. 374 (anch’egli peraltro contrario alla prospettiva

della limitazione dei motivi di ricorso). 38

V. infra n. 9. 39

V. infra n. 9.

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Pur fermo restando tutto quanto detto, e dunque preso atto per un verso che in questione non

è l’inammissibilità del ricorso ma, a pieno titolo, la sua manifesta infondatezza, per altro verso che

le due fattispecie contemplate dall’art. 360-bis rientrerebbero senz’altro nella manifesta infondatez-

za ex art. 375, n. 5, per altro verso ancora che esse non determinano alcuna riduzione, né, per con-

verso, alcun ampliamento, dei motivi di ricorso, il significato precettivo della norma potrebbe infatti

essere rinvenuto proprio in questo: nel travolgimento del ricorso incidentale tardivo, nel caso in cui

venga riscontrata l’«inammissibilità» in discorso.

La tesi è stata in effetti sostenuta40

. Proprio perché in questione non è, in realtà,

un’inammissibilità, essa non è tuttavia affatto scontata41

. A tal uopo occorrerebbe infatti che proprio

questo fosse, manifestamente, l’intento perseguito dal legislatore. Che la qualifica in questione fos-

se stata cioè scientemente adoperata a tal fine. Così però non è. Essa è infatti esclusivamente il pro-

dotto della travagliata genesi della norma42

e la sua ragion d’essere, nelle originarie intenzioni del

legislatore, era quella di introdurre un filtro all’accesso alla Cassazione. Questo originario intento si

è poi però concretizzato riduttivamente e maldestramente, traducendosi in una formula, nell’àmbito

della quale il riferimento all’inammissibilità appare in effetti più il risultato dell’inerzia che di una

consapevole scelta, mirata alle conseguenze della sua adozione, e segnatamente a quella, riferita, in

tema di ricorso incidentale tardivo.

Ferma restando la possibilità della lettura in esame, e pertanto di rinvenire nella suddetta

conseguenza la portata normativa dell’art. 360-bis, quantomeno altrettanto plausibile risulta dunque

che anche da questo punto di vista la norma risulti viceversa sterile ed ininfluente.

9. – Così stando le cose, posto cioè, all’esito della trattazione sin qui svolta, che in buona so-

stanza l’unico margine di possibile rilevanza dell’art. 360-bis – margine oltretutto, come appena vi-

sto, niente affatto certo – deve essere rinvenuto nei riflessi della qualifica in termini di inammissibi-

lità sul ricorso incidentale tardivo, deve dunque concludersi, passando all’individuazione della ra-

gion d’essere della norma, che essa risulta sostanzialmente priva di significato, o quasi?

Be’, che non si tratti di una previsione rivoluzionaria non pare potersi dubitare. Cionono-

stante, un senso, sia pure di diverso tipo, prettamente ideale o, se si preferisca, «pedagogico», può

essergli riconosciuto, in una prospettiva oltretutto sostanzialmente unitaria, o comunque parallela,

per entrambe le due fattispecie contemplate.

Per quanto in particolare concerne la prima, tale senso si coglie ragionando sul fatto che, con

la riforma del 2006, a fronte dell’introduzione del vincolo delle sezioni semplici al precedente delle

sezioni unite (art. 374, comma 3°), nessun analogo vincolo era stato viceversa introdotto per i giu-

dici di merito. In tale contesto, il 360-bis può allora essere visto nell’ottica di colmare in qualche

misura il vuoto e di ribadire, anche nei confronti dei secondi, il ruolo guida della Cassazione, da un

lato sancendo l’automatica ammissibilità, a prescindere dai motivi addotti, dei ricorsi contro i prov-

vedimenti difformi dall’orientamento della Corte, dall’altro sanzionando con l’inammissibilità quel-

li non adeguatamente motivati contro i provvedimenti viceversa in linea con tale orientamento43

, ed

ammonendo dunque le parti, che vogliano indurre un mutamento di giurisprudenza, ad essere parti-

40

In tal senso DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 252 s. (peraltro criticamente); MENCHINI, in La ri-

forma, cit., p. 120; NAPPI, Il sindacato, cit., p. 69; RORDORF, Nuove norme, cit., p. 141. 41

In senso contrario v. FARINA, Note minime sul «filtro» in Cassazione, in www.judicium.it, nota 8 e LUISO, La prima

pronuncia, cit., § 2. 42

V. retro n. 1. 43

Per uno spunto in tal senso v. SASSANI-TISCINI, in Commentario, cit., p. 162 s.

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colarmente stringenti e in sostanza ad evitare di «provarci», tentativi siffatti essendo destinati a ve-

nire stoppati immediatamente44

.

Per quanto concerne poi la seconda ipotesi, il senso emerge considerando che i principi del

giusto processo, per quanto fondamentali, sono nondimeno assai generali e come tali, rispetto alla

concreta vicenda processuale, generici. A fronte di tale dato, la novella può dunque essere inquadra-

ta quale segnale – certo alle parti, ma, alla luce di alcune recenti sortite, anche alla stessa Cassazio-

ne – circa la necessità di una particolare precisione e di una particolare concretezza, allorché si pre-

tenda di derivare una certa nullità, non espressamente sancita o comunque non ricollegabile alla ca-

renza di un requisito specificamente previsto, direttamente dalla violazione dei suddetti princìpi. In

buona sostanza, ciò di cui si tratta è cioè, anche in questo caso, al pari che nel precedente, di un ri-

chiamo al rigore e, quanto in particolare alle parti, all’astensione, pena un insuccesso tanto sicuro

quanto rapido, da tentativi fumosi ed approssimativi45

.

10. – Questo essendo, in definitiva, il significato reale dell’art. 360-bis, e ribadito che, dal

punto di vista pratico, il suo unico, dubbioso, spazio di possibile rilevanza concerne le conseguenze

sul ricorso incidentale tardivo della (impropria) qualificazione in termini di inammissibilità delle

fattispecie contemplate, ben si comprende che, per quanto concerne le singole questioni interpreta-

tive poste dalla norma, la trattazione è destinata a perdere gran parte della propria rilevanza. E per

fortuna, si aggiunga, ché alcune di tali questioni, in caso contrario, renderebbero veramente proble-

matica la sua applicazione.

Andando con ordine, ed iniziando dunque dalla prima fattispecie, con riferimento ad essa le

questioni da affrontare, al netto di quelle già chiarite, sono tre, e precisamente: in primo luogo quali

dei motivi di cui all’art. 360, comma 1°, vi rientrino; in secondo luogo quando debba ritenersi sussi-

stente un orientamento; in terzo luogo quando il provvedimento impugnato debba ritenersi confor-

me ad esso.

Quanto alla prima questione, la risposta è abbastanza semplice. A primo istinto, considerato

il riferimento della fattispecie n. 2 ai vizi processuali, verrebbe in effetti fatto di pensare che la fatti-

specie n. 1 concerna solo le questioni relative al diritto sostanziale, e pertanto, in pratica solo il mo-

tivo di cui all’art. 360, comma 1°, n. 3. Non occorre però molto a rendersi conto che così non è.

L’ipotesi n. 1 si riferisce infatti alla soluzione di una «questione di diritto» e tale è sicuramente an-

che quella relativa al diritto processuale. Non c’è dunque dubbio che in questa fattispecie rientrino,

ovviamente per i soli aspetti per i quali può configurarsi una questione di diritto, vale a dire con ri-

44

Nel senso della necessità di una specifica e chiara formulazione dell’impugnazione, laddove con essa si persegua un

mutamento dell’orientamento della Cassazione, v. POLI, Il c.d. filtro, cit., p. 368 ss. Nel senso della necessità di «ripor-

tare ed allegare nel corpo del ricorso la giurisprudenza della S.C. sulla questione di diritto sollevata ed esporre elementi

logici e giuridici per un riesame della stessa», MONTELEONE, Il punto, cit., p. 974. Nel senso della necessità di illustrare

innanzitutto l’esistenza o meno di un orientamento della Cassazione e quindi, a seconda dei casi, perché la decisione del

giudice di merito se ne discosti oppure perché esso necessiti di essere rivisto, VITTORIA, in Commentario alle riforme

del processo civile, a cura di Briguglio-Capponi, III, 1, Ricorso per cassazione, Padova 2009, p. 241. Nel senso che il

ricorso ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1 è inammissibile laddove non individui le decisioni che esprimono l’orientamento

della Corte, la cui revisione viene sollecitata, e non prenda in considerazione gli argomenti sui quali tale orientamento si

fonda, v. Cass., (ord.) 8 febbraio 2011, n. 3142, cit. Nel senso della necessità di «offrire argomenti che siano univoca-

mente rivolti a provocare un superamento dell’orientamento contestato attraverso valutazioni critiche dell’indirizzo pre-

detto, non essendo sufficiente il riferimento ad altri non uniformi orientamenti della Corte stessa», v. Cass., (ord.) 11

giugno 2011, n. 13202, cit. Per un accenno alla necessità di dimostrare la difformità del provvedimento impugnato

dall’orientamento della Cassazione (in alternativa alla spendita di argomenti idonei a sollecitare un riesame di tale

orientamento, laddove il provvedimento vi si sia viceversa uniformato), v. Cass., 27 gennaio 2011, n. 2018, cit. 45

Per una lettura in qualche modo analoga, o comunque vicina, v. POLI, Il c.d. filtro, cit., p. 380 ss.

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ferimento all’attività interpretativa, anche i motivi di cui all’art. 360, comma 1°, nn. 1, 2 e 446

(ov-

viamente ne è invece escluso il vizio di motivazione, che – tanto nel vigore del precedente testo del

n. 5, tanto alla luce della modifica introdotta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modi-

fiche in l. 7 agosto 2012, n. 134 – concerne esclusivamente le questioni di fatto e non anche quelle

di diritto47

). Né, d’altro canto, questo confligge con il fatto che tali motivi rientrino anche nella fat-

tispecie n. 2. Come vedremo48

, diverso è infatti l’àmbito applicativo delle due previsioni.

Passando dunque alla seconda questione (quand’è che può ritenersi sussistente un orienta-

mento), qui il problema è, sulla carta (come visto, in concreto la cosa finisce per non rivestire parti-

colare importanza), assai arduo e la relativa soluzione incerta.

Non sempre, ovviamente. Anzi, alcune ipotesi non creano alcuna difficoltà. In particolare,

non c’è dubbio: che un orientamento debba senz’altro ritenersi sussistente in presenza di una pro-

nuncia delle sezioni unite; che in presenza di più precedenti difformi, sempre delle sezioni unite,

debba tenersi per fermo l’ultimo; che, in assenza di pronunce delle sezioni unite, debba ugualmente

riconoscersi la sussistenza di un orientamento in presenza di una giurisprudenza costante nel tempo

delle sezioni semplici, anche se non necessariamente monolitica, poche, rare e magari vecchie pro-

nunce contrarie non essendo sufficienti a far ritenere il contrario; che, per converso, non possa rite-

nersi sussistente un orientamento in presenza di un significativo numero di decisioni delle sezioni

semplici discordanti fra loro, più o meno uniformemente distribuite sotto il profilo temporale.

Quid iuris però nelle situazioni meno univoche? E cioè: laddove sia in effetti presente un in-

dirizzo maggioritario, ma le pronunce contrarie non siano né del tutto isolate, né particolarmente

remote; laddove, sebbene in tempi recenti si abbia la significativa prevalenza di un indirizzo, fino a

non molto tempo prima regnasse un’effettiva incertezza; laddove i precedenti siano tendenzialmente

univoci, ma essi siano pochi, sporadici, e magari non troppo recenti.

In questi casi, la risposta risulta in effetti difficile ed in ogni caso disputabile. Senza attardar-

si nell’analisi di tutti i singoli scenari, anche perché, come detto, la questione possiede scarsa rile-

vanza pratica, in generale la soluzione più ragionevole, applicando alla materia una sorta di regola

dell’onere della prova, è probabilmente quella di ritenere che in presenza di situazioni dubbie la

sussistenza di un orientamento debba essere esclusa49

.

Quanto infine alla terza questione (quand’è che il provvedimento impugnato può ritenersi

conforme all’orientamento della Cassazione), la situazione è sostanzialmente analoga, nel senso

che, al di là delle ipotesi più eclatanti, rappresentate dalla piena adesione all’orientamento della

Cassazione e, per converso, dall’esplicito dissenso da esso, anch’essa risulta di soluzione difficile e

controvertibile.

Più esattamente, e cercando di schematizzare, i problemi che possono porsi sono di due tipi,

uno legato alle peculiarità della fattispecie, l’altro alla distinzione fra il principio di diritto e la sua

giustificazione.

Dal primo punto di vista, occorre tenere presente che le singole fattispecie non sono mai, o

comunque non sono sempre, totalmente coincidenti. A causa di questo, nel caso concreto può essere

dunque difficile stabilire: se affermazioni giuridiche, pur apparentemente analoghe, non esprimano

in realtà princìpi differenti; se, specularmente, affermazioni giuridiche, pur apparentemente diffe-

46

Per l’applicabilità della fattispecie in discorso al ricorso alle sezioni unite per motivi attinenti alla giurisdizione v.

Cass., sez. un., 19 aprile 2011, n. 8923, cit. 47

Contra POLI, Il c.d. filtro, cit., pp. 370 e 372 s., peraltro ammettendo la forzatura (nota 32) e MONTELEONE, Il punto,

cit., p. 973 s. 48

V. infra n. 11. 49

In tale ottica RICCI, Ancora insoluto, cit., p. 107.

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renti, non esprimano in realtà il medesimo principio; se ed in quale misura l’introduzione di varian-

ti, specificazioni, eccezioni, reagisca sull’identità o meno del principio.

Dal secondo punto di vista, si tratta di stabilire se ciò che conta sia la conclusione del ragio-

namento giuridico oppure anche le argomentazioni che ad essa conducono.

Questi essendo i problemi, quanto al secondo, non foss’altro alla luce della possibilità, per la

Cassazione, di correggere la motivazione della sentenza (art. 384, comma 4°), non sembra dubbio

che la soluzione corretta debba essere la seconda, vale a dire quella di conferire rilevanza anche alle

argomentazioni a monte dell’affermazione giuridica. Quanto invece al primo, ben poco può dirsi in

linea generale: si tratta, com’è evidente, di questioni che vanno valutate in concreto, caso per caso,

e la cui soluzione è peraltro fatalmente destinata a rivelarsi opinabile.

11. – Per quanto concerne la seconda fattispecie contemplata dall’art. 360-bis, le questioni

che, anche qui al netto di quelle già chiarite, rimangono da affrontare sono due, e cioè: in primo

luogo quale sia l’àmbito applicativo di tale ipotesi; in secondo luogo quali siano i princìpi del giusto

processo. La prima questione, a sua volta, possiede due versanti: da un lato, quanto ai motivi di cui

all’art. 360, comma 1°, nn. 1, 2 e 4, quello relativo ai rapporti, e segnatamente alla possibile so-

vrapposizione, con la prima ipotesi; dall’altro quello relativo ai rapporti con il vizio di motivazione.

Per quanto concerne il primo di questi due versanti, il problema si pone in ragione del fatto

che, come detto50

, i motivi di cui all’art. 360, comma 1°, nn. 1, 2 e 4 rientrano anche nella prima

fattispecie.

Per rinvenire la soluzione, occorre innanzitutto considerare che tale fattispecie, come pari-

menti detto, si riferisce esclusivamente all’attività interpretativa. Dunque, intanto nessuna sovrap-

posizione si determina laddove non sia implicata una siffatta attività e la censura concerna esclusi-

vamente l’aspetto applicativo del diritto processuale. Per quanto concerne poi l’attività interpretati-

va, non c’è dubbio che, laddove si rientri nella fattispecie n. 1, la n. 2 sia fuori gioco: in presenza di

un ricorso, privo di adeguati argomenti, contro una sentenza che fa applicazione dell’orientamento

della Cassazione su una qualche questione di diritto processuale, l’inammissibilità derivante

dall’integrazione della prima fattispecie assorbe evidentemente quella per manifesta infondatezza. E

d’altra parte, laddove il ricorso sia invece adeguatamente argomentato, o il provvedimento impu-

gnato si discosti dal suddetto orientamento, non c’è dubbio che la manifesta infondatezza del ricor-

so sia esclusa per definizione. Questo non vale tuttavia in ogni caso. Può ben darsi, infatti, che, pur

non esistendo un orientamento della Cassazione, la censura contro l’interpretazione della norma

processuale operata dal giudice di merito risulti manifestamente infondata, ed in tal caso non vi so-

no ragioni per le quali non dovrebbe applicarsi la previsione di cui al n. 2.

Si tratti di casi più o meno rari, non c’è dunque dubbio che, con riferimento ai motivi di cui

all’art. 360, comma 1°, nn. 1, 2 e 4, sussista un margine applicativo anche della seconda fattispecie

contemplata dall’art. 360-bis, autonomo rispetto a quello della prima.

Passando al secondo versante della questione relativa all’àmbito applicativo di tale seconda

fattispecie, vale a dire quello relativo ai rapporti con il vizio di motivazione, il problema non ha in

realtà ragion d’essere. Esso si era posto, infatti, nel senso di interrogarsi se la disposizione in esame,

interpretata in un’ottica riduttiva dei motivi di ricorso, cancellasse tout court la ricorribilità per tale

vizio, o comunque la confinasse alla sola ipotesi del suo difetto assoluto (motivazione inesistente o

meramente apparente). Respinta tale interpretazione, e ferma dunque restando la censurabilità del

vizio di motivazione, semplicemente non si vede come, nell’àmbito del relativo motivo, possa con-

figurarsi una censura relativa ai princìpi del giusto processo. Una cosa è infatti chiedersi se, poten-

50

V. retro n. 10.

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dosi ricorrere in cassazione, per motivi processuali, solo lamentando la violazione di uno di tali

princìpi, il vizio di motivazione rientri ancora nel novero dei possibili motivi di ricorso; se la sussi-

stenza di una motivazione adeguata integri cioè uno dei princìpi del giusto processo51

. Un’altra,

completamente differente, è invece chiedersi se, posta la lamentabilità del vizio in discorso, possano

darsi, nell’àmbito di esso, casi che integrino la violazione di uno dei predetti princìpi; quesito que-

sto al quale non pare possa essere data se non risposta negativa.

Né, si aggiunga, le cose sono in alcun modo destinate a mutare a séguito della modifica

dell’art. 360, comma 1°, n. 5 ad opera del citato art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modi-

fiche in l. 7 agosto 2012, n. 134. Quali che siano le sorti del vizio di motivazione, successivamente

a tale modifica [sia cioè – come ritengo – che esso conservi le caratteristiche che, a dispetto delle

ripetute modifiche normative intervenute nel corso del tempo, ha avuto fin dal codice di rito del

1865 (che pure non lo contemplava per nulla), sia viceversa che esso subisca un qualche, più o me-

no incisivo, ridimensionamento52

], in nessun caso il vizio in questione è infatti destinato a mutare

natura. Sia il suo controllo più o meno penetrante, rimane dunque fermo che esso non coinvolge

l’applicazione dei princìpi del giusto processo.

Riprendendo quanto detto sopra53

, a proposito della prima fattispecie contemplata dall’art.

360-bis, la conclusione, per quanto concerne il vizio di motivazione, è dunque nel senso che esso

rimane totalmente estraneo all’art. 360-bis medesimo54

.

Per quanto concerne infine l’altra questione posta dalla seconda fattispecie contemplata da

quest’ultimo, e cioè quella relativa all’identificazione dei princìpi del giusto processo, non pare

francamente verosimile la tesi – in effetti dettata soprattutto dalla preoccupazione di scongiurare la

riduzione dei motivi di ricorso – secondo la quale in essi rientrerebbe in sostanza l’intera regola-

mentazione del processo55

. In realtà, sia anche semplicemente a senso56

, sia a maggior ragione alla

51

Per ciò che può contare, la risposta non pare poter essere se non incondizionatamente positiva. La riconoscibile ed

adeguata giustificazione dei provvedimenti del giudice rappresenta infatti, indiscutibilmente e certo assai più di tanti

requisiti formali, una componente primaria, essenziale e caratterizzante, dell’esercizio della giurisdizione in uno stato di

diritto (sul punto v. anche, se vuoi, FORNACIARI, Ancora una riforma dell’art. 3601 n. 5 cpc: basta, per favore, basta!,

in www.judicium.it, e in corso di pubblicazione in Riv. dir. proc., §§ 2 e 4). 52

Sulla riforma v. BOVE, Giudizio di fatto e sindacato della corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5.

c.p.c., in www.judicium.it; CAPONI, La riforma dell’appello civile dopo la svolta nelle commissioni parlamentari, ivi, §

9; CONSOLO, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze?, ivi; DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla pro-

va dell’ennesima «riforma urgente»: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n.

83/2012), ivi, § 1.1; FORNACIARI, Ancora, cit. 53

V. retro n. 10. 54

In tal senso BOVE, in Il nuovo, cit., p. 70; DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 264 s.; MENCHINI, in

La riforma, cit., p. 116; REALI, in La riforma, cit., p. 139 s. (con riferimento alla prima fattispecie); RORDORF, Nuove

norme, cit., pp. 141 s. e 144. Nel senso che il motivo in questione potrebbe forse risultare incluso, «pur con non lieve

forzatura», nella seconda delle fattispecie contemplate dall’art. 360-bis, v. invece BALENA, La nuova pseudo-riforma,

cit., § 18. Nello stesso senso v. inoltre BRIGUGLIO, Ecco il «filtro», cit., § 7; CARPI, Il tormentato filtro al ricorso in

Cassazione, in Corriere giur., 2009, p. 1446; ID., L’accesso alla Corte di cassazione ed il nuovo sistema di filtri, in Riv.

trim. dir. proc. civ., 2010, p. 776 s.; GRAZIOSI, Riflessioni, cit., p. 59; ZANUTTIGH, Rischio confusione, cit., p. 25, se-

condo i quali il vaglio di cui alla fattispecie in discorso dovrebbe avere riguardo alla (non) manifesta infondatezza della

censura relativa al vizio di motivazione. 55

In tale ottica BALENA, La nuova pseudo-riforma, cit., § 18; BRIGUGLIO, Ecco il «filtro», cit., § 6; DAMIANI, in La ri-

forma, cit., p. 278; DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 261 s.; NAPPI, Il sindacato, cit., p. 70 s.; RAI-

TI, Note esegetiche, cit., § 5; SASSANI-TISCINI, in Commentario, cit., p. 167. Nel senso che la valutazione di ammissibi-

lità in questione debba concernere la denuncia di qualunque violazione di legge processuale, anche non riconducibile ai

princìpi del giusto processo, BOVE, in Il nuovo, cit., p. 67. Contra v. per tutti POLI, Il c.d. filtro, cit., p. 380. 56

È innegabile che il riferimento ai princìpi del giusto processo evoca l’idea di alcune, poche, regole fondamentali: se si

fosse voluto sancire l’inammissibilità delle censure manifestamente infondate relative alla violazione della disciplina

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luce della ratio della previsione, sopra identificata57

, è abbastanza evidente che, se non necessaria-

mente solo quelli menzionati nell’art. 111 cost. (soluzione che se non altro avrebbe dalla sua il pre-

gio della certezza), in questione sono comunque i princìpi generali del processo (soluzione della

quale non si può per converso non segnalare l’indeterminatezza). Per non portare che un solo esem-

pio, la concessione di un termine a difesa di un giorno più breve di quello positivamente sancito,

pur concretando indubbiamente un vizio processuale, difficilmente potrebbe essere ritenuta integra-

re la violazione di uno dei princìpi del giusto processo.

Certo, a fronte del pericolo che la nuova norma potesse implicare la non censurabilità in

Cassazione di questo tipo di vizi, e più in generale di tutti quelli non ricollegabili alla violazione dei

princìpi del giusto processo strettamente intesi, aveva effettivamente senso l’ampliamento della re-

lativa categoria e la riconduzione ad essa dell’intero diritto processuale. Ma una volta scongiurato

questo pericolo, ed identificata (nei termini appena ricordati) una plausibile ratio per la speciale ri-

levanza, solo apparentemente discriminatoria, conferita alla violazione di tali princìpi, di una siffat-

ta forzatura non vi è più evidentemente alcun bisogno ed essa può dunque essere senz’altro abban-

donata.

del processo in generale, non vi sarebbe stato motivo di non parlare, più latamente, di «censure relative alla violazione

del diritto processuale» (o simili). 57

Richiamo al rigore, allorché si assuma la sussistenza di una nullità, non espressamente sancita o non ricollegabile alla

mancanza di un requisito specificamente previsto, sulla sola base della violazione di uno dei princìpi del giusto processo

(v. retro n. 9).