michela nacci - recensioni e interventi

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    MICHELA NACCI

    Recensioni e interventi suLOccidentale

    (2007-2010)

  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Sartre e la sua idea dell'intellettuale non sonosopravvissuti al Sessantotto

    diMichela Nacci

    Devo premettere unavvertenza per chi legge: per chi mi legge in generale, non per chi legge questo

    pezzo. Sono stata abituata dai miei Maestri, fra i quali Dino Cofrancesco, a scrivere in modo

    comprensibile e, se possibile, piacevole, per il maggior numero possibile di persone senza peraltro

    snaturare tesi e argomenti di cui discuto. Sono stata abituata a esprimere con la maggiore chiarezza

    possibile le tesi altrui per poterne ragionare rispettandone il significato. Sono anche stata abituata a

    esprimere le mie tesi personali, le mie osservazioni o critiche, con schiettezza e sobriet. Se queste

    caratteristiche vengono intese come fare un Bignami, daccordo: mi vanto di essere unautrice di

    Bignami. Se invece con lespressione fare un Bignami si vuol dire che non capisco i testi che

    recensisco, che li semplifico in modo indebito, che ne tradisco e traviso il senso, voglio pagina e riga

    dei travisamenti, insieme al corretto significato del testo in discussione. Succede a tutti, ma occorreessere precisi: altrimenti le critiche diventano offese gratuite. In ogni caso, credo che i cultori della

    scrittura ermetica debbano rivolgersi altrove.

    La casa editrice Mimesis propone nella raccolta di scritti di Jean-Paul SartreLuniversale singolare.

    Saggi filosofici e politici 1965-1973un saggio famoso di questo autore che risale al 1972 ma deriva da

    una serie di conferenze tenute nel 1965 in Giappone:Plaidoyer pour les intellectuels, ovvero, come

    viene ora tradotto, In difesa degli intellettuali. Si tratta di un testo classico sulla figura dellintellettuale ed

    esprime su quella figura una posizione altrettanto classica. E stato uno dei testi pi influenti a sinistra

    sulla questione, e a sua volta mostra linfluenza esercitata su di esso dal Sessantotto che era gi

    nellaria e che, come sostiene Pier Aldo Rovatti nella Postafazione, ne costituisce il vero centro. Che

    cosa vi si sostiene? Che lintellettuale deriva la sua posizione e la sua azione dalla societ nella quale

    si trova e, in seno a quella societ, dalla classe che dominante. Visto che la borghesia la classe

    dominante della societ almeno dalla Rivoluzione industriale, lintellettuale legato dunque a nodo

    doppio con la borghesia. Nel senso che aiuta la borghesia a conoscere, farsi conoscere, svolgere

    attivit di vario tipo nel mondo. Nati dal chierico medievale e poi divenuti organici alla borghesia con gli

    illuministi, gli intellettuali sono dipendenti dalla borghesia che ne decide formazione, volto e funzioni:

    specialisti della ricerca e servi dellegemonia, vale a dire custodi della tradizione.

    Per Sartre, lintellettuale uno svelatore del mondo, ma fa questo mentre nega il mondo in una

    dialettica continua (nega con la sua critica il mondo, ma cos pone un altro mondo, e attraverso la

    negazione disvela il mondo com). Quando assume i panni del marxista, Sartre attribuisce alladivisione del lavoro che si verifica nelle societ industrializzate lo specifico ruolo che in esse occupa

    lintellettuale: essere esperto della pratica. Sempre, lintellettuale gioca fra universale e singolare: il

    singolare di quella specifica situazione storica in cui si trova, luniversale al quale attinge per

    comprendere la sua posizione e porsi degli scopi. Donde il titolo. Cos, lintellettuale il mostruoso

    prodotto di societ mostruose alle quali si poteva immaginare di porre fine con la societ senza classi

    del futuro comunista.

    Sartre ha rappresentato a lungo, in Francia e allestero, lintellettuale per definizione, in unepoca in cui

    lintellettuale poteva collocarsi solo a sinistra. E vero che la sua fama in Francia scomparsa molto in

    fretta quando era ancora vivo (allestero andata in modo un po diverso) per lasciare il posto ai variBarthes, Foucault, Derrida, Deleuze, Lacan che hanno occupato la scena e la occupano ancora con la

    loro eredit. Passato il Sessantotto e le sue onde pi lunghe, parve necessario sbarazzarsi, oltre che di

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    quel movimento, dellintellettuale che vi era legato pi di altri, che lo rappresentava in modo esemplare,

    un intellettuale-simbolo che di colpo appariva invecchiato e inattuale, che non aveva pi molto da dire.

    In effetti, a rileggere oggi la definizione che dellintellettuale Sartre offre, ci che accaduto non risulta

    incomprensibile. E una definizione, infatti, al tempo stesso troppo determinista e troppo filosofica,

    troppo legata a circostanze concrete e troppo astratta, troppo dialettica e troppo universalista, troppo

    hegeliana e troppo poco esistenzialista, troppo prescrittiva (chi ha detto che lintellettuale prefiguri

    sempre la libert? e tutti quelli, e sono molti, che hanno prefigurato la non-libert?) e alla fine troppo

    rispettosa del potere che fa s che lintellettuale esista e faccia quel che fa. Per Sartre il potere coincide

    con la borghesia, e tanto basta: non indaga oltre, non va a vedere come questo accade e perch.

    Magari le cose sono pi complicate, forse pi confuse, sicuramente meno lineari di cos.

    J.-P. SARTRE,Luniversale singolare. Saggi filosofici e politici 1965-1973, Milano, Mimesis 2009, pp.

    243, euro 17

    17 Gennaio 2010

    Source URL:http://www.loccidentale.it/articolo/intellettuali.0084656

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    Asor Rosa parla di "intellettuali in silenzio" ma nonsta zitto un momento

    diMichela Nacci

    C stato un libro, nel corso dellanno, che si sia distinto in modo particolare per la sua bruttezza?

    Ebbene s. C stato. Si trattadellintervista fatta ad Alberto Asor Rosa da Simonetta Fiori e intitolata Il

    grande silenzio. Intervista sugli intellettuali. Non solo un testo inutile, ripetitivo e confuso: pi di tutto

    imbarazzante. D limpressione, infatti, che il pi noto palindromo italiano non fosse presente negli anni

    cinquanta-sessanta, poi negli anni settanta, e poi negli ottanta e oltre, nella storia della cultura italiana,

    con tesi a grande diffusione, libri molto letti e discussi, posizioni che dettavano legge nelle ricerche e

    sulle pagine dei quotidiani, che davano la linea a chi si batteva contro il sistema.

    LAsor Rosa che oggi si richiama ai valori fondanti dellOccidente un Occidente tollerante, aperto,

    critico e sviluppato lo stesso che nel 1962 scriveva Scrittori e popolo: in quellopera utilizzava la

    categoria del populismo per fare le bucce a Gramsci (e a quasi tutti gli scrittori contemporanei di

    sinistra) e alla sua concezione dellintellettuale nazional-popolare. Era il populismo, cio unimmagine

    mitizzata e regressiva del popolo, a caratterizzare, a suo parere, sia il neorealismo dellimmediato

    dopoguerra sia tutta la successiva cultura di sinistra, fino a Pier Paolo Pasolini incluso (lo stesso Pier

    Paolo Pasolini oggi esaltato), rendendo impossibile che in Italia prendesse forma una politica, e una

    politica culturale, autenticamente rivoluzionaria.

    Ma il Palindromo capace di mutare opinione: lo stesso, infatti, nel 1975 dava alle stampe La cultura,

    un intero volume della Storia dItalia Einaudi,dove le sue stesse tesi venivano rovesciate come guanti.

    Qui faceva due mosse parallele: in primo luogo applicava alla storia della cultura italiana il progetto

    gramsciano recedendo dalla critica alla mitizzazione del popolo che aveva espresso in Scrittori epopolo; in secondo luogo ne identificavaproprio per realizzare quel progettoil protagonista

    intellettuale non pi nei grandi scrittori, negli intellettuali tradizionali, nella cultura dlite, ma in scrittori

    popolari i cui nomi sono legati nel nostro paese a due famosissimi libri per linfanzia, Cuoree Pinocchio.

    Cos, avanzava implicitamente una tesi importante relativa non solo alla sua ricerca, ma alla realt

    italiana di quellepoca: la cultura era divenuta progressivamente cultura di massa, lintellettuale si era

    trasformato in impiegato dellindustria culturale. Di particolare rilievo, in quelle pagine, era la figura

    dellintellettuale cos inteso come esponente del progetto culturale, politico ed educativo di realizzare

    davvero lunit italiana attraverso lesercizio di una egemonia da parte della borghesia settentrionale

    che, del resto, aveva riunito lItalia attorno a s.

    Poi. Poi molta acqua passata sotto i ponti. Dopo aver acquisito una posizione di primo piano nel seno

    della sinistra moderata (resa visibile dalla presenza allinterno del quotidiano La Repubblica), il

    Palindromo si staccato anche da quellapprodo, e ha finito per esprimere le sue opinioni sul

    Manifesto. Perennemente alla ricerca di un carisma da esercitare e perennemente in lite con la parte

    politica che lo accoglie, Asor Rosa si dedicato negli ultimi anni alla scrittura di brevi opere dedicate

    allattualit, al mondo e al suo futuro, e a grandi storie della letteratura molto criticate (in particolare la

    seconda). Dei pamphlet da ricordare soprattutto Fuori dallOccidente: una requisitoria senza appello

    contro i mali secolari che caratterizzano il nostro mondo e che saranno tali da portarlo a distruzione se

    non tentiamo di fuoriuscire da quel modello economico, politico, culturale.

    Divenuto, con il passare degli anni, uno tra i pi famosi intellettuali italiani, ma meno corrosivo di un

    tempo, il Palindromo viene ora intervistato da una giornalista esperta sulla sua storia personale e sulle

    sue opinioni sul presente. Il lettore non pu non stupirsi per il modo in cui Asor Rosa glissa sugli episodi

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    pi imbarazzanti (oggi) del suo passato ed enfatizza, invece, tutte le rotture con partiti e club di sinistra

    extra e intra-parlamentare, oltre alla recente svolta ecologista in favore dei piccoli paesi toscani nei

    quali passa lestate. Lintervista riguarda gli intellettuali, il loro ruolo rispetto al potere e rispetto al

    comunismo, e la parte specifica che hanno svolto nella storia del nostro paese: i giudizi che lo storico

    della letteratura italiana offre hanno presente la caduta del muro di berlino, la fine dellUnione Sovietica,

    ma stentano a riorganizzare una visione dinsieme che tenga conto di quegli eventi. Lautore si

    presenta come dissidente in pectore per aver apprezzato Buio a mezzogiornodi Koestler, ma poi

    invoca una maggiore comprensione delle circostanze di allora prima di emettere sentenze sugli

    stalinisti nostrani. Si rende conto che il progetto gramsciano fallito, ma non rinuncia a leggere la

    cultura italiana dal 1945 fino a tutti gli anni settanta come una cultura dopposizione, nitidamente

    orientata verso un mutamento degli assetti politici, sociali, economici e istituzionali dellItalia risorta sulle

    ceneri del fascismo.

    Un posto altrettanto grande lo occupa, in questa intervista, la democrazia: su di essa Asor Rosa si

    pronuncia a ripetizione e in modo inequivoco. La classe dei colti, infatti, ebbe un rapporto conflittuale

    con la democrazia di massa che si realizzava nel passaggio fra Otto e Novecento: proprio dalla lororeazione negativa contro quella democrazia che derivano i principali casi letterari del secolo appena

    finito, Thomas Mann in testa. E, in effetti, la democrazia si fa leggere in queste pagine in modo doppio

    e contrastante, come un approdo di realizzazione per tutti e come abbrutimento e massificazione. E

    attraverso la democrazia, ci ricorda Asor Rosa, che si sono affermati i totalitarismi. Cos, il passato non

    passa: quello di Asor Rosa per primo. Troviamo ancora, in questa intervista, che il Proudhon celebrato

    da Craxi era un ideologo confuso e pasticcione. Troviamo ancora laccettazione/rifiuto delle tesi pi

    apocalittiche di Pasolini sulla societ italiana. Troviamo ancorae sembra incredibile - la condanna di

    Vittorini, in modo appena pi sfumato rispetto ad anni lontani. Troviamo la santificazione (semmai ce ne

    fosse bisogno) di Italo Calvino. Troviamo la certezza del matre--penser di essere dalla parte giusta

    della storia. Troviamo la convinzione che la storia (quella italiana se non quella mondiale) marci alla

    stessa cadenza della propria vita, dalloperaismo alla caduta del Muro. Di nuovo rispetto al passato ci

    sono, oltre alla riscrittura del proprio percorso, le opinioni sulloggi, sulla civilt montante, il

    berlusconismo, lappiattimento della civilt planetaria, la presenza oppressiva dellimmagine e il

    totalitarismo del presente. Tesi talmente banali da farci rimpiangere laggressivit di un tempo.

    A. Asor Rosa, I l grand e silenzio. Intervista sug li intellettuali, a cura di S. Fiori, Roma-Bari,

    Laterza, 2009, pp. 181, euro 12

    3 Gennaio 2010

    Source URL:

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    parlato+moltissimo.0084055

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Il romanticismo spiegato da Berlin ci dice da doveveniamo e dove andiamo

    diMichela Nacci

    Ci stiamo avvicinando velocemente alla fine dellanno ed gi tempo di bilanci. Inevitabile la domanda

    su quale sia stato il pi bel libro letto questanno. Ho pochi dubbi, anzi, per una volta non ne ho affatto:

    Let romantica di sir Isaiah Berlin. Le ragioni sono poche ma di peso. Lasciamo stare la conoscenza

    profonda dei temi di cui parlava quello che dovette essere anche uno splendido insegnante: testi letti e

    riletti, citazioni perfette, le maggiori interpretazioni sulla punta delle dita. Berlin sapeva semplificare gli

    argomenti di cui parlava senza cadere nel semplicismo: riusciva cio a renderli comprensibili senza

    distorcerli, senza che la riduzione della difficolt a uso dellascoltatore o del lettore andasse a

    detrimento della fedelt con la quale una tesi veniva resa. Questo non un merito da poco.

    Sulla questione si distinguono infatti dallet della pietra due grandi e opposte scuole. Luna esoterica

    afferma: solo io, con decenni di letture ed esperienza alle spalle, ho accumulato un sapere tale da

    riuscire a capire questo testo (oppure: questo problema, questo autore, questa corrente di pensiero).

    Laltra essotericareplica: tutti, anche se con scarsa o nessuna pratica intellettuale, possono

    accostarsi a questo testo (oppure: questo problema, questo autore, questa corrente di pensiero) proprio

    come me. La prima scuola ha un punto di vista esclusivo, la seconda inclusivo. La prima ha un

    presupposto aristocratico, la seconda democratico. La prima scoraggia il lettore dallintraprendere

    personalmente la lettura di un testo (oppure: un problema, un autore, una corrente di pensiero), la

    seconda lo incita a farlo e ripone nel lettore ancorch digiuno di ogni sapere la massima fiducia. La

    prima ha una concezione autoritativa del sapere secondo la quale il sapere discende da una autorit (

    lattualizzazione dellipse dixit), la seconda una concezione aperta secondo la quale lintelligenza di

    ognuno (una dote distribuita piuttosto a caso nel genere umano) a dover sorreggere la lettura di untesto (oppure: un problema, un autore, una corrente di pensiero).

    Berlin, malgrado la sua sapienza formata in lunghi anni di studio e insegnamento, in tutte queste

    alternative si sarebbe schierato immancabilmente con il secondo corno del dilemma, e qualche volta lo

    avrebbe anche esagerato, come accade non di rado ai sostenitori della linea democratica: preferiscono

    affermare che tutti sono uguali davanti a un testo (oppure: un problema, un autore, una corrente di

    pensiero), anche se in cuor loro pensano che non proprio esattamente cos che stanno le cose.

    Certo, quando si legge un autore che la pensa in tal modo (e poco importa che lo creda fino in fondo),

    non si pu negare che ci se ne accorge: il lettore viene messo nelle condizioni di giudicare da solo gli

    autori e le teorie di cui si discute, le varie tesi in questione vengono esposte in breve e senzacontorcimenti inutili, le obiezioni sono avanzate in modo chiaro, lopinione dellautore espressa a

    chiare lettere senza nascondersi dietro il giudizio di qualche altro autore o studioso. Viene in mente che

    per diventare cos occorre una scuola in cui lo si impari: da noi, ad esempio, farlo prima di essere

    diventato ordinario o aver trovato un lavoro a tempo indefinito altamente sconsigliabile. Sai quanti

    potrebbero indispettirsi per questo stile di discussione che fa a meno di note pedanti e bibliografie

    erudite e va al cuore dei concetti! Roba da esser bocciati o licenziati. E soprattutto da questo punto di

    vista, credo, che luniversit italiana (e prima ancora la scuola) fa acqua: pensare con la propria testa

    qualcosa che viene considerato con sospetto in ogni ordine e grado di essa, pressoch in ogni campo

    disciplinare.

    Ma dicevo delle ragioni per le quali questo libro bello, anzi bellissimo. Stavolta Berlin si applica allet

    romantica: tema vasto e quasi inaffrontabile, a meno di sintesi indegne. Sceglie di indagare le idee

    politico-filosofiche che sono alla base dellet romantica: troviamo cos che al centro della trattazione

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    c Jean-Jacques Rousseau. Non ce lo saremmo aspettati. E invece Berlin crede che i temi maggiori

    del romanticismo siano tutti in Rousseau: lautenticit contrapposta alla artificialit, la democrazia

    diretta quale esempio massimo di partecipazione politica, lunit quasi mistica della volont generale, la

    sacralit e il mistero che circondano la stessa volont generale, lidea di una primigenia bont

    delluomo che si corrompe in societ, lidentificazione della propriet con lorigine di tutti i mali, la

    posizione centrale della libert dellindividuo, la festa contrapposta al teatro, il corpo sociale allindividuo

    isolato, lessere allavere. A occhio e croce ha decisamente ragione.

    Il volume serve a verificare quale sia la concezione della libert propria di Berlin: se quella negativa o

    quella positiva. Che sia luna o laltra, comunque, essa dipende e discende da una serie di autori che

    vanno grosso modo da Kant a John Stuart Mill. Ecco, lultima ragione che desidero segnalare per

    spiegare la grandezza di questo libro che giustamente Berlin osserva che quegli intellettuali come

    Rousseau, Mill, ai quali aggiunge Michelet, Mazzini, Carlyle, sono pi vicini a noi di quanto lo siano (e

    lo siano a loro) autori pure basilari quali Hobbes, Bayle, Spinoza, Locke, perfino Montesquieu: mentre

    linguaggio e mondo teoretico di questi sono separati da noi, le idee e il modo di esprimerle dei primi

    sono i nostri, senza fratture. Osserva Berlin: Fascisti e comunisti, imperialisti e totalitaristi, repubblicaniliberali e anche monarchici costituzionalisti, ancora oggi, parlano il linguaggio, non semplicemente di

    Burke ma di Hegel; sociologi di ogni corrente, pianificatori e tecnocrati, propugnatori del New Deal,

    storici della societ e delleconomia, tutti usano, magari senza saperlo, le nozioni e la terminologia di

    Saint-Simon praticamente senza alterazioni. E non sono soltanto i tradizionalisti irrazionalisti e i nemici

    della democrazia, e i discepoli di Charles Maurras, a frequentare il violento mondo creato da Joseph de

    Maistre quasi tutto da solo. N dovrebbe destare grande meraviglia, come invece potrebbe succedere,

    il fatto di scoprire quanta parte dellanti-intellettualsimo e dellesistenzialismo doggi (specie di tipo

    ateista), e quanta etica emotiva, vi siano, non gi solo in Kierkegaard o in Nietzsche o Bergson, ma

    negli scritti di Fichte e nei dimenticati trattati di Schelling. Ma la sua convinzione della presenza di

    quegli autori nel mondo contemporaneo non si declina in modo banale: non segue la categoria

    dellanticipazione o dellinveramento n ritiene gli autori responsabili della ripresa successiva e delluso

    politico del loro pensiero. Semplicemente, rintraccia le origini di alcune idee negli autori che ne hanno

    trattato per primi.

    Cercare le origini culturali del tempo in cui viviamo unimpresa che, quando viene tentata, viene

    realizzata in genere con risultati discutibili. E utile invece saper riconoscere da dove prendono origine

    concettualmente i fenomeni politici e le teorie maggiori della politica di oggi, di un ieri del quale ancora

    si discute: i totalitarismi, il consenso ai ditattori, le nostre concezioni della libert. Berlin ci fa con questo

    libro un regalo inaspettato: chi avrebbe detto che attraverso let romantica avremmo capito meglio il

    tempo che viviamo?

    I. BERLIN, Let romantica. Alle origini del pensiero politico moderno, a cura di H. Hardy, trad. it.

    Milano, Bompiani, 2009, pp. 431, euro 25

    27 Dicembre 2009

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    Se il matrimonio sopravvive da secoli vuol direqualcosa di buono ci sar

    diMichela Nacci

    Ha ancora qualcosa da dirci un libro sul matrimonio scritto nel 1929? Ebbene s: ha ottantanni e non li

    dimostra affatto "Matrimonio e morale" di Bertrand Russell. Non sembra affatto che sia trascorso tutto

    questo tempo da allora. Forse perch appare vincente (anche se ci sarebbe parecchio da discutere) la

    logica che sottende il libro: il matrimonio unistituzione vecchia di secoli; se esiste ancora, vuol dire

    che ci sar pur qualcosa di buono. Per Russell nel matrimonio non affatto impossibile essere felici:

    affermazione davvero importante per uno che, come lui, alla felicit, e alla possibilit di raggiungerla

    nella vita terrena, ci credeva. Per esserlo (felici) necessario che siano rispettate alcune condizioni.

    Marito e moglie devono avere una sfera di interessi comuni e una intimit fisica, mentale, spirituale, che

    li leghi. Devono dare spazio alla compagnia reciproca. Ma devono anche stare nel mondo del lavoro,

    delle relazioni, degli affetti, delle idee. Devono sentirsi legati da un patto che tuttavia possibile

    revocare quando le condizioni che rendono possibile la felicit non sussistono pi. Russell, cio,

    concepisce il matrimonio come un contratto che possibile sciogliere.

    Ma perch il geniale filosofo della matematica, lacuto interprete di Leibniz, il filosofo della politica che

    ha scritto almeno un piccolo capolavoro (Power), si dedica, e non negli ultimi anni della sua vita

    (quando ripete e ripete in ogni salsa le sue tesi), a scrivere su un tema cos lontano da quelli seriosi

    delle discipline che ha attraversato (ricordiamo, oltre a quelle citate, la filosofia della mente, la filosofia

    morale, la storia della filosofia, la letteratura, la pedagogia, il genere autobiografico e biografico)? La

    risposta sta tutta nel modo in cui Russell concepisce limpegno intellettuale: da quel modo discende che

    la trattazione pi rigorosa di un tema non esclude affatto (anzi) il mettere il naso nella vita comune degli

    esseri umani, nelle questioni dalle quali dipende la loro felicit o infelicit. Tali questioni possonoessere limpostazione etica della propria vita (ed ecco la filosofiamorale), il sistema economico-sociale

    (ed ecco la critica sociale e le proposte di riforma), il regime politico nel quale si vive (ed ecco le opere

    politiche), la guerra che c nel mondo e che incombe (ed ecco il pacifismo per il quale Russell stato

    famoso). E possono essere questioni piccole, leggere, dello stesso peso di un sospiro. In questo caso

    andranno affrontate con strumenti che siano alla loro altezza: il saggio, lapologo, lo scherzo. Ma anche

    in questi casi, tutti praticati dallautore, il fondo serio, serissimo. Di che si tratta, infatti? Della felicit,

    che la cosa pi importante alla quale possiamo dedicarci: nei libri e nella vita. E cos che Russell

    scrive "La ricerca della felicit" e questo "Matrimonio e morale". Ma si potrebbe ricordare anche "Elogio

    dellozio" e molti altri.

    Nel suo libro giovanile pi importante, "Roads to Freedom", Russell dedica spazio alle vie per la libert

    esistenti nella sua epoca: lanarchismo, il socialismo, il sindacalismo. Pur assegnando a ognuna una

    parte di verit, sceglie la terza come percorso attraverso il quale lumanit potr essere pi libera senza

    subire gli effetti negativi del capitalismo, del socialismo, dellanarchismo. Si tratta dellautogoverno delle

    industrie da parte dei lavoratori in forma cooperativa, non nazionalizzata e decentrata (come una parte

    del sindacalismo inglese aveva sperimentato tra fine Otto e inizio Novecento), secondo un modello di

    democrazia industriale teorizzato dai Webb che in Inghilterra aveva una lunga tradizione. Eppure,

    anche in quel contesto di teorie politiche e sociali, Russell non dimentica il tema della felicit. E buono,

    a suo parere, quellordinamento sociale che lascia agli uomini e alle donne la possibilit di raggiungere

    la felicit su questa terra. Anzi: non che lascia, che sollecita, spinge con forza, incita alla ricerca della

    felicit, a vivere bene. E migliore quella forma di governo che permette a uomini e donne di

    raggiungere la felicit nel modo pi adatto a ognuno. Non una felicit uguale per tutti, dunque, n una

    felicit imposta dallesterno, ma per ognuno la possibilit di trovare la sua propria vita felice.

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    "Roads to Freedom" si conclude, in modo inaspettato per chi non abbia familiarit con stile e temi

    dell'autore, con una esaltazione delle capacit creative dell'uomo. Leggiamo: Un sistema sociale

    dovrebbe essere giudicato in base alle conseguenze che provoca al di l delleconomia e della politica

    (..). E se mai il socialismo sar attuato, esso risulter benefico solo se verr dato valore ai beni non

    economici, e se a questi si aspirer. Il mondo che dobbiamo costruire un mondo in cui lo spirito

    creativo vivo, in cui la vita unavventura piena di gioia e di speranza, basata piuttosto sullimpulso a

    costruire che non sul desiderio di conservare ci che si possiede o di acquisire ci che gli altri

    possiedono. Devessere un mondo in cui laffetto abbia pieno corso, in cui lamore sia liberato

    dallistinto di dominio, in cui la crudelt e linvidia siano state dissolte dalla felicit e dallo svilupo degli

    istinti, scevro di repressioni, che costituiscono la vita e la riempiono di gioie intellettuali. Un mondo

    simile possibile: esso attende solo gli uomini che vogliano crearlo. Nel frattempo il mondo nel quale

    viviamo ha altri scopi. Ma scomparir, bruciato dal fuoco delle sue passioni roventi; e dalle sue ceneri

    sorger un mondo nuovo, pi giovane, pieno di viva speranza, con la luce del mattino nello sguardo.

    Questo tratto, gi presente nelle opere precedenti, un elemento che per sempre far parte della

    visione del mondo dell'autore, del suo taglio particolare che consiste nel guardare alla riforma dellaproduzione e delle istituzioni in modo non disgiunto dalla liberazione delle potenzialit creative insite in

    ogni essere umano, anzi che considera la prima solo come premessa necessaria alla seconda, che

    rimane lo scopo autentico da raggiungere. In questo taglio si pu rintracciare forse anche la sua

    impronta peculiare.

    Nel mondo che Russell immagina non ci sar lo spettro della povert, ma non ci sar neppure

    lambizione economica come molla unica del comportamento, lavidit sar sostituita dallo sviluppo

    libero delle qualit pi alte, generose e intelletualmente valide dellattivit umana. Larte si svilupper

    solo se lo Stato non si metter a voler stabilire che cosa arte e quali sono le attitudini di ognuno. Ma

    se lo Stato non controller larte, probabilmente si avr uno sviluppo straordinario. Le due parti che

    decidono della felicit degli uomini sono il lavoro e i rapporti umani. Ed ecco che, sistemata la prima

    parte con un po di equit e gioia creativa per tutti, Russell si volge alla seconda parte deprecando il

    modo in cui la merce entra in tutti i rapporti umani, ad esempio in quelli matrimoniali. Matrimonio e

    morale gi qui. In questo volume afferma: nella relazione di un uomo e di una donna che si amano

    con passione, con fantasia e con tenerezza risiede un valore inestimabile: non comprenderlo una

    grande sventura per ogni essere umano. Credo importantissimo che un sistema sociale sia tale da

    permettere questa gioia, anche se essa una parte della vita e non il suo scopo principale. In una

    affermazione come questaripetuta anche nelle opere politiche pi impegnate - c tutto Russell.

    Lidea di politica che ha in mente per tutta la sua (lunga) attivit infatti un po diversa da quella dei

    teorici continentali della politica, anche se la felicit talvolta evocata anche da questi: per Russell non

    valida alcuna riforma della societ se non si pone al centro lo spirito delluomo. Sar buona solo

    quella riforma che tirer fuori gli istinti di simpatia fra gli uomini, la creativit in tutte le sue forme,

    mettendo a tacere gli istinti alla lotta (che pure esistono, e possono essere ben utilizzati in campi

    specifici).

    E quanto, esattamente, al matrimonio? Una serie di consigli da uomo passato attraverso un certo

    numero di matrimoni e di incontri, curioso dellaltro sesso, rispettoso delle istituzioni ma

    anticonvenzionale, tanto saggio quanto spregiudicato. Critica il cristianesimo quando bigotto, si

    dichiara per la conoscenza del sesso fra i giovani, non condanna listituzione matrimoniale ma la

    desidera non costrittiva. Se ne esce con lidea che nei suoi matrimoni abbia fatto di tutto per non

    annoiarsi e non annoiare. Che non poco.

    B. RUSSELL, Matrimonio e morale, trad. it. Milano, TEA, 2009.

  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    22 Novembre 2009

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Il comunismo non c' pi da anni ma a Mosca laclasse media non esiste

    diMichela Nacci

    Dunque, eravamo rimasti a Tocqueville. Ma che centra si chiederanno i miei curiosi lettori - il grande

    scrittore politico con un viaggio in Russia che mi capitato di fare di recente e con le relative riflessioni

    in merito che mi sono messa a scrivere su incitamento di un grande amico? Centra eccome. Vediamo

    subito perch.

    Nella prima puntata ho raccontato limpressione ricevuta dal primo impatto con la Russia: un paese

    immusonito. Le uniche persone che sembrano modestamente soddisfatte sono i guardiani (tutte donne)

    dei grandi musei, che talvolta si spingono fino a rispondere con un pallido sorriso e in un inglese

    stentato ma comprensibile alle domande dei visitatori (s, perch i musei russi sono caotici, con

    percorsi illogici e scarsissime indicazioni, spesso solo in caratteri cirillici): sembra stiano perennemente

    congratulandosi con se stesse per essere riuscite a lavorare l, al caldo, a fare sostanzialmente niente,

    in mezzo al gelo che regna per tanti mesi sul paese.

    Dicevo poi, sempre nella prima parte del diario, della eclatante differenza fra i ricchi e i poveri. I ricchi in

    Russia, a Mosca in particolare, sono ricchissimi, e si differenziano con ogni evidenza da tutti gli altri,

    che sono invece poveracci: gente che si arrabatta per sopravvivere, che si concentra nella capitale per

    sfuggire alla mancanza di lavoro del resto del paese, che ha dovuto sostituire una occupazione agricola

    svolta per generazioni nello stesso luogo (e travolta dalla distruzione delle campagne che si

    accelerata negli anni dopo il 1989) con un lavoro urbano, industriale o impiegatizio, e che a volte porta

    ancora in faccia i colori della terra, latteggiamento di chi fino a poco tempo fa viveva in un contesto

    completamente diverso da questo.

    Fra i ricchissimi e i poveracci sembra non esserci niente: nessuna classe, ceto, gruppo, comunit

    intermedia, che abbia parte delle caratteristiche dei ricchissimi e parte delle caratteristiche dei

    poveracci, che sia cio in grado di sopravvivere con decenza e perfino, a momenti, con un certo agio,

    ma il cui reddito e stile di vita si caratterizzino pi per la virt del risparmio giudizioso che per quella del

    lusso esibizionista. Come si chiama il soggetto sociale dotato di queste caratteristiche? Sono le mitiche

    classi medie.

    E qui che entra in giocoTocqueville. Chi , infatti, nella prima met dellOttocento, a parlare, in un

    celeberrimo libro sulla democrazia americana, delle classi medie come autentica scoperta del Nuovomondo rispetto al Mondo vecchio? Il nostro Alexis, il quale, non diversamente dagli altri viaggiatori in

    quel paese ma con forza maggiore e grande incisivit, vede nella democrazia intesa come modo di vita

    il regno di una universale classe media: lAmerica, che non conosce laristocrazia non avendo

    conosciuto lancien rgime, gli appare composta da una sola classe diffusa in modo uniforme nel

    paese: la classe di chi lavora per vivere, di chi deve fare bene i conti quando si decide a un acquisto,

    ma anche la classe dei consumatori, anche la classe di chi pu fare qualche progetto per il futuro suo e

    per quello dei suoi eredi.

    Fra laltro, la polemica (implicita ma molto forte) di Tocqueville qui con il marxismo che sarebbe

    esploso da l a qualche anno: per il marxismo esistono borghesi e proletari, per Tocqueville la societ

    europea ancora molto piena di aristocratici (o meglio, di ex-aristocratici), ma la societ nuova (che

    sar anche quella europea del futuro) formata da una classe universale che ha fuso in s tutte le

    altre, che ha annullato e reso ininfluenti tutte le altre.

    http://www.loccidentale.it/autore/michela+naccihttp://www.loccidentale.it/autore/michela+nacci
  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    E una classe di eguali che, proprio perch molto simili quanto a reddito e stile di vita, sono

    caratterizzati da un atteggiamento che Tocqueville definisce come invidia: si osservan lun laltro, si

    misurano luno con laltro, cercano di primeggiare, didistinguersi. Tutto questo non affatto negativo: in

    questo modo si promuovono intraprendenza e operosit, differenziazione ed emulazione. Sono uomini

    e donne laboriosi, socievoli, che fanno lavori puliti e leggono i giornali, che vivono in famiglia e

    mandano i figli a scuola.

    Da Tocqueville in poi, le classi medie sono ritenute indispensabili per la democrazia. Tali sono state

    considerate da uno stuolo di autori; e tali si rivelano a una riflessione che metta a confronto, ad

    esempio, la composizione sociale e la storia delle societ che compongono lAmerica latina con quella

    degli Stati Uniti. Mentre per il marxismo ottocentesco la classe dei capitalisti e la classe dei lavoratori

    nullatenenti dovranno inevitabilmente giungere a uno scontro violento, la societ democratica che si

    mostra a Tocqueville in America fa del tutto a meno del conflitto: la classe media si rivela il cemento di

    quella societ pacifica, dal momento che non ha alcun interesse allinsorgere del conflitto sociale. Ha

    interesse, invece, al mantenimento della pace, che lambiente pi propizio per lo sviluppo economico.

    Lunico ma gravedifetto della classe media che, per il modo in cui si sviluppata in America,

    rischia di soffocare la cultura e i suoi produttori, gli intellettuali: di fatto, nella societ americana accade

    che le idee stentano a nascere e hanno poca fortuna, che il bello scarsamente apprezzato. Ma

    questo sembra derivare pi dalle caratteristiche che la colonizzazione da parte degli europei ha avuto

    che non dalla natura della classe media: nel Nuovo mondo la democrazia nata in una societ che di

    civile aveva ancora molto poco, e ha assunto necessariamente la forma mentis dei cow-boye dei

    coltivatori.

    Lexcursussu Tocqueville per dire che in Russia la classe media non esiste. E si vede. La sua

    mancanza si traduce, semplicemente, in mancanza di democrazia: Tocqueville aveva ragione da

    vendere sul nesso fra quella classe e la democrazia, in qualunque modo la si voglia intendere. L non

    solo la classe media manca oggi, ma la storia russa del Novecento sembra si sia accanita a

    distruggerla non appena spuntava. Gli effetti attuali di questa storia sono davvero pesanti. Il segno pi

    evidente di questa mancanza il consenso di cui gode il governo di quel paese: ha il merito, secondo

    la gente, di aver assicurato la fine della fame e di aver portato la pace sociale. Rispetto a questi

    successi, la repressione dellopinione pubblica pi libera e vivace solo un piccolo neo .

    Unabitudine storica dei russi quella del bagno pubblico: caldo, anzi caldissimo, consiste in uno

    stabilimento diviso generalmente fra maschi e femmine in cui si sta al caldo, poi ci si bagna (i pi

    coraggiosi ci si immergono) con lacqua fredda, si torna al caldo, ci si batte con le fronde di betulla e via

    di seguito per alcune ore. Unesperienza che potrei senzaltro definirla forte: altro che la dolcezzadellhammam! Qui ti senti un pollo che entra in forno e che poi si cerca allimprovviso di surgelare per

    picchiarlo alla fine senza piet: mentre, perplessa, mi percuotevo con la betulla chiedendomi

    mannaggia! chi me laveva fatto fare, una energumena mi strappa la frasca di mano e si mette lei a

    battermi con energia ben maggiore della mia. Ma guarda un po dove mi dovevo cacciare per questa

    ansia conoscitiva che caratterizza noi intellettuali!

    Ho evocato la banya, per, per dire unaltra cosa: mentre in Turchia lhammam se lo pu permettere

    chiunque, e infatti ci trovi chiunque, in Russia se lo pu permettere solo quella fetta della popolazione

    che coincide con i ricchissimi. Infatti, sbirciando fra i prodotti che quelle donne usavano, vedo che

    spopolano saponi e creme Chanel, Dior, Yves Saint-Laurent. Ora, questi prodotti non sono alla portatadi un russo che si arrabatta: si dirigono esclusivamente a chi pu e agli stranieri. Si vendono in negozi

    enormi che si ritrovano uguali in tutto il paese, senza personalit e con commesse istruite a placcare a

  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    uomo chi varca la soglia senza pi mollarlo fino ad acquisto effettuato. I russi dicono che i ricchissimi

    non hanno conquistato onestamente la posizione che occupano, cos come i politici. Da quel che ho

    visto, sono incline a crederlo anchio.

    Per tutto ci che ho appena detto, la Russia anche il regno dei tacchi. Tacchi, s, avete letto bene:

    quelli che possono essere alti o bassi, larghi o a spillo, e che fanno sembrare basse (ma disinvolte)oppure alte (e, salvo eccezioni, inteccherite) chi li indossa. Beh, le russe sembrano distinguersi nella

    societ a seconda dei tacchi che portano: se sono bassi o inesistenti, vuol dire che non puntano sul

    fascino femminile oppure che si povere. Man mano che crescono in altezza, cresce anche

    linvestimento di chi li indossa sulla sua carica erotica, in proporzione diretta con la sua disponibilit a

    spendere.

    Non ho mai visto una tale quantit di tacchi impossibili tutti insieme. A forma di torre, di spillo, di guglia,

    di ponte, di trapezio isoscele, di triangolo, perfino di cerchio, alti, impervi, in equilibrio instabile, ma

    portati con ferrea determinazione da questo esercito di giovani donne. Se io provassi anche solo a

    infilarmi in una cosa del genere, sarebbe la morte sicura: loro, invece, se ne vanno orgoglioseticchettando, fendono la folla sentendosi lincarnazione stessa della femminilit e un bellesempio di

    consumatrici facoltose. E pensare che proprio sulle donne, e sulla loro promozione nei lavori maschili,

    aveva puntato molte carte il governo bolscevico! Le donne sono, come sempre, uno degli indicatori pi

    sensibili dello stato di un paese. E lo stato di questo paese, decisamente, non un granch.

    8 Novembre 2009

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Viaggio nella Russia di Putin, il paese che nonsorride mai

    diMichela Nacci

    Il primo brusco impatto con la Russia, e la sensazione che non proprio tutto tutto andr per il verso

    giusto, lo si ha non appena si scende dallaereo a Mosca e, riavuti velocemente i bagagli, si aspetta in

    fila per unora buona al controllo passaporti: l dei funzionari (molti di questi, impareremo presto, sono

    donne, ovunque, e si caratterizzano sempre per non essere migliori dei maschi) controllano il

    passaporto. Si fermano con aria truce a esaminare foto, noi, le nostre facce, a controllare sul computer

    se siamo delinquenti internazionali segnalati. Il controllo riguarda con la stessa accuratezza tutti, russi e

    non russi. Non trapela un sorriso, uno sguardo annoiato o stanco o divertito: non trapela niente se non

    durezza e rigore, disciplina e inflessibilit. Mi chiedo se in un paese normale, civile, sviluppato, come

    vogliamo dire?, sia concepibile aspettare unora per il controllo del proprio passaporto e con tanto di

    invito a un convegno internazionale in tasca. Aspettare senza che nessuno ti dica neppure salve! o

    buon soggiorno! Forse semplicemente gli insegnano a fare cos, e loro lo fanno. Di fatto, ogni volta che

    qualcuno lavora o che si compie un lavoro, uno spostamento, una trasformazione, c qualcuno il cui

    compito consiste non nel lavorare o nellaiutare la gente, nel dirigere il processo o nel riparare eventuali

    disguidi, ma nel guardare duramente, freddamente, in modo ingrugnato, chi lavora oppure ci che

    accade. Scoprir ben presto che questa una regola di portata assolutamente generale. In Russia non

    si pu semplicemente lavorare: occorre che qualcuno (possibilmente dotato di una divisa) controlli

    mentre altri lavorano.

    Quella delle divise una vera e propria ossessione nazionale: chiunque fa o controlla, o comunque ha

    un ruolo istituzionalmente stabilito, dotato di divisa: dalla polizia onnipresente agli impiegati, dai

    venditori nei negozi allesercito, dal controllore dei biglietti alla maschera nel ristorante. Le divise nonsono quegli abiti freschi di lavanderia che potrebbero anche dare un senso di ordine e lindore: grigio-

    verdi, piuttosto stazzonate, di foggia che un understatement definire antiquata (ad esempio, i cappelli

    dei poliziotti e dei soldati sono altissimi, e questo li fa sembrare bassi: un effetto indesiderato, penso), le

    uniformi parlano del ruolo che si svolge, della qualifica che si ha, dellinserimento riuscito nella grande

    macchina della grande citt del grande paese dellex-grande sogno socialista. Leffetto complessivo

    quello di un campo di rieducazione nel quale siamo finiti per sbaglio, campo che possiede regole

    talmente rigide che neppure ai tempi delle colonie marittime di quando eravamo piccoli era cos: ad

    esempio, al mausoleo di Lenin, dopo aver visto il Corpo del Capo che sembra non nuovo ma lavato con

    Perlana sotto le luci gialline (e quindi sembra che abbia, poveraccio, un principio di ittero), mi venuto il

    dubbio se, fra le tombe degli statisti russi l sepolti ci fosse anche quella di Cruscev. Ecchediamine!, hopensato: c quella di Stalin e non c quella di chi lo ha denunciato al XX congresso? Impossibile.

    Eppure non lavevo notata. Sono tornata sui miei passi per controllare. Bene: un soldato mi ha spinta

    indietro invitandomi a proseguire nel senso previsto dalla visita, cio lontano dalle tombe e verso

    luscita. Spiegazione: al mausoleo di Lenin vietato avere ripensamenti, tornare indietro, controllare. Si

    pu solo procedere nel senso previsto dalla visita. E questo pi per stolida ottemperanza a una regola

    ovvia che per esigenze di controllo politico sui visitatori.

    In generale, questa una sensazione che si ha spesso: che la stolidit e lubbidienza cieca abbiano

    preso il posto che un tempo era del fanatismo politico, della repressione, dellaccanimento contro chi la

    pensava in modo diverso. Oggi la lentezza, il nessun desiderio di capire quello che si dice, si chiede, si

    osserva, la noncuranza, il pretesto della lingua per non fare, non rispondere, non aiutare, regnano

    sovrani e caratterizzano ogni aspetto del paese. E come aver messo milioni di persone lente,

    nientaffatto curiose, e spesso con le palle in giostra, tutte insieme in una citt totalmente smisurata:

    http://www.loccidentale.it/autore/michela+naccihttp://www.loccidentale.it/autore/michela+nacci
  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    immaginatevi leffetto. A parte la fretta in metropolitana e per le strade, quella nella quale ci si trova

    una folla atona, fiacca, svogliata, impassibile e chiusa, chiusissima verso lesterno, verso ogni

    impressione che giunga da fuori, verso ogni variazione rispetto alla norma.

    Limpressione quella di essere arrivati in un paese immusonito. Non triste, o depresso, o oppresso.

    Immusonito. I motivi di questa impressione: folle oceaniche senza chiacchiere o allegria, frettolose,sgarbate e silenziose di gente che si muove nella metropolitana (davvero indispensabile, ma ridotta

    allosso rispetto alle distanze enormi della citt di Mosca) a ogni ora del giorno e della sera; impiegati

    tutti (e tutte) invariabilmente con la faccia scura (se non peggio) che rispondono con un cenno vago

    (quando rispondono) alle domande che vengono loro poste; tassisti senza ironia che pretendono di

    discutere in russo, e non in inglese o in qualunque altra lingua, di qualunque problema si presenti nel

    percorso da compiere o nella transazione da effettuare; una massa compatta di automobili che occupa

    e blocca in file pressoch ferme i viali larghi due-tre volte i nostri che passano dentro e attorno alla

    capitale; risposte brusche da parte della stragrande maggioranza delle persone con cui si entra in

    contatto; nessuno che sorride: n le donne anziane che sorvegliano immobili chiuse dentro un

    gabbiotto lo scorrere delle scale mobili (e che rispondono con unalzata di spalle a una domanda daparte nostra) n i negozianti, n i camerieri n i passanti, n gli studiosi che ho incontrato n nessun

    altro. Nessuno sorride, davvero nessuno. Certo, non ho visto le scuole n gli asili: speriamo in bene.

    Ma certo, se devo dedurre dalle cose viste non immagino situazioni granch liete.

    Ma come!, pensavo fra me e me. Se la Russia comunista, lURSS modello dei partiti comunisti

    occidentali dei bei tempi andati, si caratterizzava, in anni lontani dalla rivoluzione ma pur sempre inseriti

    nella lunga marcia del socialismo, per essere il paese in cui governanti sorridentisullesempio

    intramontabile di Stalinprendevano in braccio bambini sorridenti! Ricordo un compagno che negli

    anni Settanta raccontava a mio padre, curioso, del viaggio che aveva fatto l: fiori ovunque, bambini

    ovunque, tutti che sorridono! Alla faccia! Deve essere accaduto qualcosa di molto grave per spazzar via

    completamente dai volti ogni traccia di allegria, spensieratezza, gioia di vivere. Mi sono chiesta, ci

    siamo chiesti con i colleghi e compagni di viaggio, che cosa esattamente fosse accaduto. Devo dire che

    abbiamo accumulato talmente tanto sulla storia russa anche precedente la rivoluzione bolscevica, che

    ce n pi che abbastanza per giustificare un immusonimento non transitorio dei russi. Mami si

    obietter -, mica la gente in metropolitana a Londra o a Parigi, a New York o a Praga, sempre allegra!

    Certo, ne convengo. Ma non ha la cupezza, la passivit, la durezza, dei moscoviti.

    Anche perch scopro subito che i moscoviti sono tanti, probabilmente troppi per star bene insieme:

    Mosca conta circa sette milioni e mezzo di abitanti ufficiali, ma gli abitanti complessivi, inclusi quelli non

    registrati, ammontano al doppio. Quindici milioni di abitanti si muovono frettolosamente da una parte

    allaltra della citt. La metropolitana sempre affollata, sempre. Per forza! Con queste cifre, soloovvio. Limpressione del troppo pieno costante, forte, e prende alla gola. Solo iristoranti un po pi

    cari sono (relativamente) tranquilli: costano. Credo che quando poi si passa nella sfera dei ristoranti e

    ritrovi molto cari (che non ho sperimentato di persona ma ho visto in gran quantit) la situazione

    precipiti di nuovo nellaffollato: i molto ricchi, infatti, sono molti. Sono evidenti, riconoscibili, si mostrano

    senza vergogna e senza imbarazzo. Esibiscono enormi Suv lucidi, ragazze giovanissime tirate

    anchesse a lucido, abiti sempre neri e sempre griffati, occhiali griffati, anelli griffati, profumi griffati,

    scarpe italiane. Una bella impressione? No, non fanno una bella impressione. La settimana prossima vi

    racconto perch, e raccontandovelo parler dellAmerica e di Tocqueville, che con i Suv e le ragazze

    giovanissime centrapochino, ma con la Russia e la democrazia (o la mancanza di democrazia) centra

    moltissimo.

  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    25 Ottobre 2009

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    La modernit? Roba da fine del mondo!

    diMichela Nacci

    Nel 1927 Ren Gunon aveva scritto La crisi del mondo moderno; nel 1945 pubblica Il Regno della

    Quantit e i Segni dei Tempi. Gli anni trascorsi fra il primo testo e il secondo confermavano, a suo

    parere, le previsioni che aveva fatto: la modernit si collocava a nel punto pi basso mai conosciuto

    dalla storia, e vi avrebbe potuto far seguito solo la fine dei tempi, una catastrofe finale che avrebbe

    chiuso definitivamente questepoca. La prospettiva di Gunon nellinterpretare il presente si caratterizza

    per luso della dottrina induista delle quattro et del mondo: secondo tale dottrina il presente si colloca

    in fondo a una discesa che inizia da altezze solari e quasi mitiche e sprofonda sempre pi gi

    attraversando la storia che conosciamo. In questo modo viene ribaltata la scala dei valori: la modernit

    non costituisce pi lapice dei tempi, come vuole la teoria del progresso, ma il punto pi basso

    raggiunto nello sviluppo delle epoche che si sono succedute fin qui.

    La coppia di concetti di cui Gunon si serve per comprendere il suo tempo modernit/tradizione. Nonsente il bisogno di definire la tradizione: la tradizione , e non ha bisogno di altro. La modernit, a sua

    volta, si spiega con la tradizione: , infatti, nientaltro che negazione della tradizione. Pure, mentre in

    questo testo della tradizione non viene detto niente, della modernit vengono dette molte cose. Del

    passaggio da tradizione a modernit Gunon offre una spiegazione che un atto di fede: egli crede

    infatti nellesistenza di un ordine generale, umano e cosmico ad un tempo, in cui, volenti o nolenti, tutti

    dobbiamo integrarci; le dottrine tradizionali ne tengono conto, mentre la conoscenza di tipo moderno si

    limita a scorgere negli eventi solo casi fortuiti. Lintento dellopera proprio quello di interpretare il

    tempo presente alla luce dei principi tradizionali mostrando la necessit di quanto oggi accade. Come

    appare la modernit se interpretata secondo i principi tradizionali? Tutti i suoi titoli di merito si

    rovesciano in difetti, errori, travisamenti della verit: ad esempio la scienza, della quale il mondo

    moderno si gloria tanto, risulta solo un estremo impoverimento della sapienza, un resto, un residuo,

    uno scarto. Altre caratteristiche, come il materialismo dei moderni, si spiegano perfettamente con i tratti

    che la fase del ciclo in cui lumanit si trova possiede. La tendenza a ridurre tutto al solo punto di vista

    quantitativo, cos nella scienza come nellorganizzazione sociale, traduce rigorosamente le condizioni

    della fase ciclica raggiunta dallumanit nei tempi moderni, tanto da poter essere definita

    complessivamente Regno della Quantit. Questo il grado zero della discesa dallalto che stata

    percorsa fin qui: e la discesa va letta come un progressivo allontanamento dal principio.

    La coppia modernit/tradizione si sovrappone perfettamente in questo autore a quella

    Occidente/Oriente. La dominazione del mondo da parte dellOccidente, e la conseguente

    modernizzazionem di tanta parte dellOriente, stata effettuata solo con la forza materiale, e dunque

    da considerare come espressione di quel Regno della Quantit che identifica puntualmente il

    presente. Daltra parte, lOccidentecoincide con la modernit, e cio con la fine di un ciclo poich

    lOccidente proprio il punto in cui il sole tramonta, dove esso arriva al termine del suo percorso

    diurno, e dove, secondo la simbologia cinese, il frutto maturo cade ai piedi dellalbero. Unaltra coppia

    sovrapponibile alla principale quella unit/molteplicit: il principio originario coincide con lunit,

    mentre la discesa porta verso una molteplicit non sorretta da alcun principio.

    La discesa si verifica come passaggio dal polo positivo al polo negativo, verso la fine del ciclo sempre

    pi veloce e conosce unaccelerazione simile alla forza di gravit: da un ciclo allaltro e nel corso di un

    ciclo si modificano non solo gli esseri umani, ma anche la natura, lambiente in cui essi vivono. Tutto,assolutamente tutto, determinato e prestabilito dalla dottrina delle quattro et. Malgrado il volgo

    ignorante e chi non vuol capire.

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Noi, francamente, non sappiamo a chi spetti la palma della verit: se allOccidente o allOriente, alla

    modernit o alla tradizione, allunit o al molteplice. Osserviamo solo che la visione di Gunon

    determinista e non lascia nessuno spazio alla variazione rispetto al piano cosmico, cio al caso: ci che

    non altro che ci che deve essere. Il piano cosmico, la sapienza tradizionale, sono necessitanti

    molto pi del sapere dei moderni: niente gli sfugge. Inoltre, il disegno dei cicli (che comprende tutta la

    storia) guidato da unidea perfettamente speculare a quella moderna di progresso ed caratterizzato

    anchesso dalla continuit: un progresso nellallontanamento dal principio, nellimperfezione, un

    progresso nella disgregazione e nel male. Fino allinizio di un nuovo ciclo.

    I difetti che emergono nella modernit letta in questo modo non sono diversi dai difetti della modernit

    interpretata secondo altre ottiche: sempre, a essere evidenziati sono il suo materialismo, la sua

    mancanza di principi alti, il suo affidarsi al sapere scientifico, il governo da parte della democrazia, la

    fede nellopinione della maggioranza, lindividualismo, una organizzazione sociale che d spazio solo

    agli aspetti quantitativi della vita, luniformit fra tutte le cose e tutte le persone, il macchinismo,

    legualitarismo e la dottrina antinaturale della democrazia, il livellamento e la scomparsa dei migliori,

    lestensione a tutto il mondo dei prodotti dellindustria, la fede nella trasformazione del mondo,lopposizione al mestiere, lanonimato nella massa,la scomparsa della religione, lavversione al

    segreto, la fine della privatezza, la regressione delluomo verso il modello collettivizzato dellalveare o

    del formicaio, il razionalismo, il disinteresse per tutto ci che fuoriesce dalla vita ordinaria, il dominio

    delleconomia, la concezione esclusivamente quantitativa della moneta, il carattere sempre pi

    artificiale del mondo, la sostituzione della religione con riti civili o laici destinati alle masse.

    Interessante come presentazione della concezione della storia della religione induista, il testo di

    Gunon non risulta meno interessante per chi nutre curiosit per la critica della modernit: qui essa

    viene effettuata sulla base del tradizionalismo. Il tradizionalismo di Gunon si distingue da altri

    tradizionalismi per il fatto che la tradizione a cui si richiama non qualcosa di umano, ma di

    sovrumano: un tradizionalismo che vede in azione nel mondo un piano superiore al quale gli eventi si

    conformano, una essenza delle cose di cui la manifestazione esteriore solo copertura, apparenza,

    schermo illusorio.

    Della dottrina del progresso la concezione della storia di Gunon rappresenta lesatto opposto: come

    quella, determinata da una legge sovrastorica, progressiva, si svolge senza interruzioni. La sola,

    ma significativa, differenza, che secondo la dottrine induista la fine dei tempi conduce a un

    ribaltamento che introduce improvvisamente il positivo nella storia: cos, la fine di una umanit coincide

    con linizio di unumanit nuova. Di fatto, per, il disegno storico al quale Gunon fariferimento coincide

    esattamente con la storia a noi nota: lumanit protagonista di essa sempre la stessa, e non si riesce

    a intravedere una umanit diversa che labbia preceduta in un ciclo di civilt precedente o successivo.Cos, mentre secondo lidea di progresso le epoche si dispongono secondo la loro sempre maggiore

    perfezione, in questa concezione le epoche si dispongono secondo la loro sempre maggiore

    imperfezione, fino al ribaltamento finale.

    Gunon legge nel mondo moderno e nella sua bassezza il germe di una altezza futura. Ci che lo

    salva dal pessimismo la fede in un ribaltamento radicale della storia che avviene proprio nel punto pi

    critico di essa. Vede il mondo moderno come un male, ma proprio nel male pu leggere un percorso di

    salvezza, di rinascita, di partenza della storia nuovamente da zero. In questo punto, la visione di

    Gunon si rivela anche profondamente ottimista ma senza dover rinunciare al suo pessimismo e alla

    critica della modernit: in fondo, alla pari dellidea di progresso a cui tanto si oppone, anche questarisulta essere una fede nel futuro che non richiede una particolare attivit allessere umano, dal

  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    momento che si verifica indipendentemente dai suoi sforzi e in modo incontrastabile. Una fede tanto pi

    tranquillizzante quanto pi il mondo moderno sprofonda nellimperfezione.

    R. GUENON, Il Regno della Quantit e i Segni dei Tempi, trad. it. Milano, Adelphi, 2009, pp. 272, euro

    14.

    13 Settembre 2009

    Source URL:

    http://www.loccidentale.it/articolo/e+se+la+modernit%C3%A0+fosse+solo+la+tradizione+rovesciata%3

    F.0077259

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Sono passati quasi settant'anni e l'Europa semprein crisi

    diMichela Nacci

    Viene pubblicato in edizione economica un libro che si fatto strada anche da noi in pochi anni fino a

    imporsi come un piccolo classico del Novecento. Si tratta di "Lagonia dellEuropa". Mara Zambrano vi

    si interroga, nel 1940, sullessenza dellEuropa di fronte alla sua crisi evidente da segni pi e meno

    grandi: la guerra, il risentimento diffuso, il culto del successo, la servit nei confronti dei fatti, la

    passivit verso la natura e verso quella seconda natura costituita dalla societ e divenuta un corpo

    pesante e oppressivo. Fra i segni della crisi nota ancora: Mancanza di solitudine, di spazio libero, puro

    e vuoto allinterno della coscienza; di quella solitudine e quella libert che possono aversi anche fra le

    zanne della belva.

    Zambrano scrive alla fine di un periodo fitto di diagnosi sulla crisi dellEuropa, come segnalasubito

    allinizio del testo: Da parecchi anni si va ripetendo: lEuropa in decadenza. Adesso non sembra pi

    necessario dirlo. La fenomenologia della crisi restituita in modo vivido: Ci toccato di vivere ore di

    dispersione. Le ultime creazioni europee erano tutte caratterizzate dallessere opere in cui si eseguiva

    una distruzione, in cui si verificava uno smarrimento. Lultima pittura era la distruzione implacabile della

    pittura; la letteratura negava se stessa, e perfino la filosofia naufragava in un vitalismo e in un

    esistenzialismo disperato. Nulla di integro, nulla di intero.

    Sotto la variet dei fenomeni con cui si mostra, necessario per cercare la causa che produce la crisi.

    La crisi dellEuropa era stata spiegata con i motivi pi diversi,ma generalmente con una scomparsa, un

    venire a mancare, un affievolirsi di qualcuno o tutti gli elementi che un tempo avevano fatto grande

    lEuropa: per Ortega y Gasset ci che scompariva con laffermarsi della societ di massa eralindividuo, per Huizinga era la stessa idea di cultura intesa come equilibrio e gratuit, per Husserl si

    trattava di una crisi delle scienze, cio della conoscenza, per Valry era crisi dello spirito, e si potrebbe

    continuare a lungo con lenumerazione. Nelle pagine di Zambranosi esprime invece unidea opposta:

    proprio ci che caratterizza di pi lEuropa a produrre la sua crisi, non il suo venire a mancare o il suo

    indebolirsi, ed lo stesso elemento a rappresentare anche la possibile salvezza. Quellelemento, in cui

    racchiusa lessenza dellEuropa, la violenza: LEuropa si era costituita nella violenza, in una

    violenza che abbracciava ogni possibile manifestazione, in una violenza di radice, di principio. La

    violenza era in tutti gli aspetti della sua vita. La violenza europea creazione: del mondo, di se stessi,

    dellEuropa, del futuro. Lo stesso Dio in cui crede lEuropa un Dio creatore.

    Ci che Zambrano chiama violenza pu essere anche definito come la nietzcheana volont di

    potenza filtrata dalla lettura di Heidegger: una volont che proviene da un soggetto che si contrappone

    a un mondo considerato come oggetto. Essa si esplica in varie manifestazioni, apparentemente diverse

    ma tutte unite da uno stesso fondamento: quando si tratta dellatteggiamento verso il mondo che ci

    circonda, il dominio della natura e il soggiogamento di essa attraverso la tecnica. Il contrario della

    violenza lamore: un atteggiamento rispettoso, compassionevole, simpatetico verso la realt, ma che

    al tempo stesso non si schiaccia su di essa e mantiene per mezzo del pensiero un distacco che

    necessario allessere umano.

    Nel successo delle opere di Zambrano, e di questa in particolare, si pu cogliere tutto linteresse che

    questa autrice, fino a qualche anno fa poco conosciuta in Italia, presenta anche per il lettore di oggi: per

    il suo collocarsi fuori da ogni schema e ogni scuola precostituita, per il suo distacco dallo spirito di

    sistema, per la contrapposizione fra una ragione astratta e una ragione comprensiva, per linserimento

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    in essa del corpo, per il richiamo ad Agostino, le influenze di Scheler e dellesistenzialismo, per la

    testimonianza di un pensiero nel quale lessere femminile non affatto un mero accessorio. Quello che

    non finisce di stupire il non risolversi di questa riflessione in modo banale: accade anche in questo

    libro. Coloro che hanno riflettuto sulla crisi dellEuropa hanno finito per auspicare un ritorno dellEuropa

    sui suoi passi, fino a recuperare ci che aveva perduto: a seconda dellautore spiritualit, valori,

    pensiero, disinteresse. Oppure hanno perorato la necessit di imboccare una strada diversa,

    indispensabile affinch il nucleo della civilt europea non andasse perduto. Zambrano, al contrario,

    crede che proprio continuando a essere ci che sempre s tata lEuropa forse ritrover se stessa dal

    momento che nelle sue corde c anche, poco utilizzato finora, lamore: Ma se tutto si tramuta nel

    contrario, se ogni cosa rimane incompleta, se tutto vacilla, resta ancora la guida dellamore. La fedelt

    a una realt che, forse, non abbiamo mai goduto; il non rassegnarci a perdere completamente qualcosa

    che forse non abbiamo avuto del tutto.

    Alle radici dellEuropa, infatti, c anche la figura di Agostino, che porta lattenzione sullinteriorit:

    Ritorna in te stesso; allinterno delluomo abita la verit. Luomo europeo nato con queste parole. la

    verit dentro di lui; si accorge per la prima volta della sua interiorit e perci pu riposarsi in essa;perci indipendente, e qualcosa di pi che indipendente: libero. Luomo di Agostino non puro

    spirito: luomo intero e vero, vale a dire luomo reale in carne e ossa. Centrale, in questo uomo, il

    cuore.

    Daltra parte Agostino, secondo Zambrano, contiene entrambi i motivi che segnano il percorso

    dellEuropa: linteriorit e la progettualit. Linteriorit per Agostino infatti un fondo inesauribile che

    vuole realizzarsi nel mondo, progettare, realizzare sulla terra la citt ideale. E qui ritroviamo il motivo

    della violenza: una violenza non contrapposta allinteriorit, ma collegata a essa in modo inestricabile,

    allo stesso modo in cui nella stessa figuraAgostinosono intrecciati la violenza (in questo senso di

    progetto, ansia di realizzare) e lamore. La crisi dellEuropa appare allora come il non riuscire ad

    accettare da parte delluomo che la sua volont e le sue realizzazioni possano andare incontro al

    fallimento: di fronte a questo, si preferisce adottare la scorciatoia che elimina lorizzonte ideale e getta

    luomo in balia dellimmediato.E una stanchezza della volont, una sfiducia di farcela a vivere la

    tensione che esiste fra la citt di Dio e la citt delluomo, stanchezza della lucidit e dellamore per

    limpossibile, e abbandono del sapere pi peculiare delluomo europeo: il saper vivere nel fallimento.

    La crisi dellEuropa anche distruzione delle forme e ritorno agli elementi primordiali, alla materia:

    scomparsa del volto umano e riapparizione della maschera. Proprio in questo si manifestano

    lapparente perdita e le possibilit enigmatiche, ma certo non solo negative per Zambrano, della crisi:

    un contatto con la materia come essa prima del concetto, prima del logos. Si tratta di un passaggio

    da un Dio dal volto umano al Dio che divora e che vuol essere divorato, un ritorno al primitivo. Qui laviolenza insita nellEuropa che si manifesta anche come logos che d forma al mondosi esprime al

    massimo delle sue potenzialit mostrando anche le vie alternative che contiene: una realt non ancora

    ingabbiata. Per Zambrano, cos, la crisi bene e male insieme, manifestazione estrema di ci che

    lEuropa pu essere, di ci che stata solo in germe, di ci che ha soffocato, di ci che potrebbe

    recuperare della sua essenza segreta.

    Una riflessione inusuale, realizzata con un linguaggio coltissimo e pieno di riferimenti alla tradizione

    filosofica, ma che riesce a essere semplice, suggestiva e a farsi comprendere. Chi gi conosce la

    filosofa spagnola trarr dalla lettura di questo libro lennesima soddisfazione intellettuale; chi non la

    conosce far una bella scoperta.

  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    M. ZAMBRANO, Lagonia dellEuropa, Venezia, tascabili Marsilio, 2009, pp. 102, euro 8.

    30 Agosto 2009

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Ma siamo sicuri che tanto brutto il Novecento?

    diMichela Nacci

    E difficile tenere il conto di quanti hanno descritto le malefatte del secolo appena concluso: una piccola

    folla di scrittori, di studiosi appartenenti a varie discipline, si applicata a mostrare quanto esso sia

    stato cattivo, sanguinario, razzista, classista, rivoluzionario, reazionario, omologante, differenziante,

    umano, antiumano, disumano, oggettivista, soggettivista, superficiale, abissale, volgare, materialista,

    economicista, volontarista, soggetto alle mode, globalizzante e localista, a seconda dei gusti, delle

    scuole, dei giudizi e pregiudizi di chi lo ha osservato. A questo compito si applica anche Alain

    Finkielkraut.

    Con una differenza rispetto a coloro che lo hanno preceduto: gli altri di norma avevano unidea in base

    alla quale giudicavano il Novecento non perfettamente riuscito, non allaltezza dei tempi alti della storia,

    oppure decisamente una catastrofe. Il nostro autore invece ne ha molte, tratte dai principali autori che

    si sono occupati di questo tema, e le mette insieme. Risultato? Un pot-pourri di tesi e controtesi sul XXsecolo frullate fino a che ognuna abbia perduto la sua specificit e si sia dissolta in una crema di

    banalit tale da ammorbidire e rendere irriconoscibili le tesi dei vari Martin Heidegger, Hannah Arendt,

    Zygmunt Bauman e degli altri autori che si sono occupati degli errori, dellessenza,del destino del XX

    secolo. Tutte queste sono tesi discutibili (come tutto ci che viene affermato lo ), ma hanno il pregio di

    essere ben individuate, inconfondibili con quelle di qualcun altro. Questi autori hanno legato il proprio

    nome alle loro diagnosi epocali: chi per la tecnica come destino dellOccidente, chi per il totalitarismo e

    le sue origini dottrinali, chi per la globalizzazione e le sue malefatte. Ci chiediamo che senso abbia,

    invece, prendere un po delluna e un po dellaltra rendendolo una lamentazione molto ampia ma anche

    molto generica sulla contemporaneit.

    La diagnosi dellautore la seguente: il Novecento ha perduto lidea di umanit. Tutto qui? - si chiede il

    lettore. Dopo funambolismi, giravolte e scavi, nel XX secolo sono stati rinvenuti gli elementi pi vari, e

    questa tesi appare gi letta, gi ascoltata, gi digerita, in qualche modo (pur nel suo essere terribile)

    prevedibile e scontata. A parere dellautore, venuta a cadere la nozione di umanit universale: questo

    accaduto proprio l dove lidea di tale umanit era sorta e aveva raggiunto il suo sviluppo pi

    spettacolare. Il riconoscimento nellaltro di un essere umano non affatto qualcosa che venga naturale,

    ma un risultato storico al quale si pervenuti attraverso i secoli. Finkielkraut ripercorre questo sforzo

    ricostruendolo da San Paolo fino a Primo Levi, attraverso Bartolomeo de Las Casas, Pascal,

    Montaigne, e fermandosi sulla tappa delluomo democratico descritto da Tocqueville. Il XX secolo, di

    contro, per eseguire i suoi stermini e portare a termine le sue infamie, ha bisogno di considerare coloro

    che stermina come non-uomini, utilizza luomo, lo applica al lavoro industriale, e poi lo fa fuori:

    Rendere redditizio, liquidare: nei due casi si applica lo stesso trattamento industriale. Il XX secolo

    dispiega la ragione strumentale sopra la morale e il senso comune. Cos, giunge a termine lunit del

    genere umano, la solidariet della specie, la comunanza di natura e di destino di tutti gli uomini

    indistintamente. Olocausto e sistema industriale hannosecondo Finkielkraut - la stessa matrice: per

    realizzare luno e laltro c bisogno di far scomparire lidea secondo la quale luomo il simile dellaltro

    uomo. Anche su questa tesi si scritto molto anni fa, e sempre tirando in ballo la ragione strumentale

    dei francofortesi: quel tipo di ragione che guida il mondo sviluppato al dominio della terra e alla

    sottomissione degli esseri umani, e che a questo scopo assume la forma ora di societ liberale e

    democratica, ora di sistema industriale avanzato, ora di nazismo.

    Sul tema della Shoah, che indubbiamente si verificata nel XX secolo, cos come si sono verificati in

    quellepoca lorrore delle purghe e dei gulag staliniani, abbiamo in questo libro la banalizzazione del le

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    opere sofferte e intelligenti di Jean Amry o dei dissidenti sovietici. Ma le pagine che sicuramente

    colpiscono di pi sono quelle finali, nelle quali, dopo aver scomodato Nietzsche e Freud, Marx e

    Dostoevkij, Lvinas e Aron, e tutto quellinsieme di tesi epocali che abbiamo ricordato, Finkielkraut

    scopre che siamo preda della globalizzazione, informatica prima di tutto. A questo punto i luoghi

    comuni si fanno valanga: Grazie al fatto che la tecnologia ha messo fuori gioco la topologia,

    lesperienza umana, troppo umana, del vicinato cede il posto allebbrezza olimpica di ununiversale

    equidistanza. Luomo non pi legato al suo dialetto, planetario. Il suo ambiente immediato non pi

    locale, digitale. Era legato a un territorio, ora collegato alla rete e non sa che farsene delle

    autoctonie. Linerenza al mondo era il suo destino, lo spettacolo e la convocazione del mondo segnano

    il suo accesso alla libert. Cibernauta e fiero di esserlo, egli abbandona loscena materialit delle cose

    per le delizie senza fine di uno spazio immateriale. (..) Era gravato da una memoria pi vecchia di lui,

    che lobbligava pur rendendolo particolare; ora, liberato dal fardello del passato, dallinvadenza dei

    gi l, da questa intima alterit, da questa ferita pregiudizialmente inflitta al sogno di autarchia e da

    questa presenza di morti allinterno di s, che si chiama senza dubbio per antifrasiidentit. Ora

    tutti possono scegliere che cosa essere, dove essere, in quellenorme supermercato che divenuto il

    mondo unico, il mondo a disposizione: assistere a qualunque cosa dalla propria poltrona, fare shoppingdallaltra parte del mondo, non essere pi radicati da nessuna parte in particolare. Questo significa che

    la qualit di turista sostituisce a poco a poconelluomo quella di abitante e che si annuncia unera in

    cui ciascuno, aboliti al tempo stesso distanze e destini, potr essere, in condizioni di eguaglianza, il

    visitatore di ogni cosa.

    Sulle tesi proprie dei vari grandi autori citati non leggiamo nessuna chiosa originale; sul nostro mondo

    globalizzato non impariamo niente di nuovo, se non il suo non gradimento da parte dellautore; sulla

    planetarizzazione dellio, sulla rete informatica, sulla smaterializzazione delle cose e la scomparsa dello

    spazio, sul divenire turista delluomo doggi, sulla disumanizzazione, sullinsorgere del germe totalitario

    - tesi tutte mischiate fra loro e unite solo dalla deprecazione del male novecentesco - troviamo una

    serie di commenti banali.

    A volte quello che ci sentiremmo di chiedere agli editori solo un po di cautela nelle traduzioni.

    A. FINKIELKRAUT, Lumanit perduta. Saggio sul XX secolo, trad. it. Torino, Lindau, 2009, pp. 149,

    euro 14.

    19 Agosto 2009

    Source URL:http://www.loccidentale.it/articolo/quant%E2%80%99%C3%A8+brutto+il+novecento%21.0076749

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  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    Elogio smisurato e un po' confuso delle minoranze(eticamente corrette)

    diMichela Nacci

    Nellintervista rilasciata a Oreste Pivetta che ripercorre tutta la sua vita, Goffredo Fofi teorizza la

    necessit delle minoranze etiche per la salute della societ, e in particolare della democrazia. Ma che

    cos una minoranza etica? Leggiamo: La minoranza il modo di vivere e di agire di quanti non si

    lasciano manipolare, di quanti vivono una tensione morale interna e sentono la responsabilit dellagire

    per e con gli altri, e in particolare con chi pi trascurato; di quanti sanno elaborare rapporti di gruppo,

    aperti ma solidi e coerenti e, quale che sia il campo in cui applicano le loro energie, portatori di

    unesigenza di verit e di giustizia, e dunque di morale. Nella definizione sono contenuti molti elementi:

    vediamoli uno per uno.

    Prima di tutto, Fofi afferma che sono minoranza coloro che non si fanno manipolare: eredi degli poti

    gobettiani (quelli a cui non la si d a bere), si autodefiniscono tali, ma non indicano il metodo da seguire

    perch altri possano imitarli. Risulta chiaro che la minoranza composta da intellettuali, anche se i

    produttori di cultura con cui Fofi ha lavorato nel corso degli anni non si identificano con lintellettuale

    classico, ma piuttosto con il regista, loperatore sociale, il cattolico di base, lo scrittore o lo scopritore di

    scrittori geograficamente anche molto lontani da noi. E, da parte sua, Fofi non tenero con gli

    intellettuali: Danilo Dolci e Aldo Capitini (le due figure dalle quali dichiara di avere imparato di pi) lo

    erano, ma in una forma certo molto particolare entrambi.

    In secondo luogo, troviamo lesaltazione della minoranza. A una condizione, per: che sia etica. Le

    minoranze non-etiche rappresentano solo, a parere di Fofi, interessi ristretti, lobby, minuscole parti

    della societ che si ergono a difendere in modo corporativo se stesse contro gli interessi generali. Laminoranza, ripete pi volte lintervistato nel corso del libro, deve restare minoranza, senza cercare di

    trasformarsi in maggioranza. Il suo compito quello di provocare, ricordare, lavorare per gli esclusi e i

    poveri, i dimenticati e gli svantaggiati. La distinzione fra minoranze dotate di etica e minoranze prive di

    etica, per, non chiarissima: che cosa distingue le prime, infatti, se non una forte autoconvinzione al

    riguardo? Come possibile osservare il possesso di etica dallesterno, da parte di un osservatore, cio,

    che non ne faccia parte? Anche in questo caso, si ha limpressione che si tratti di una autoinvestitura.

    Quando richiesto di indicare in che cosa consiste la motivazione etica, Fofi ricorre al kantiano Fai

    quel che devi, accada quel che pu che si preoccupa molto di chi fa, ma molto poco di ci che accade,

    e si risolve spesso (come viene rimproverato alla morale kantiana) nel sentirsi personalmente con la

    coscienza a posto e nel disinteressarsi delle conseguenze delle azioni compiute.

    In terzo luogo, le minoranze - afferma Fofisentono la responsabilit di agire per e con gli altri. Con

    gli altri indica la loro partecipazione a progetti comuni, seppure necessariamente di piccole dimensioni.

    Per gli altri, invece, indica il loro spirito altruista, missionario, lazione in nomedi chi non sa o non pu

    esprimersi. Agiscono al posto dei trascurati, che siano handicappati o carcerati, sottoproletari o

    baraccati, immigrati o extracomunitari. Ma non hanno sempre pensato di comportarsi cos gli

    intellettuali rivoluzionari? Ci che cambia qui solo il soggetto in nome del quale agire: per Fofi sono i

    marginali mentre per lintellettuale socialista o comunista classico era la classe operaia.

    Quarto: il gruppo. Sostiene Fofi: i membri della minoranza sanno elaborare rapporti di gruppo , aperti

    ma solidi e coerenti. Ora, come chiunque pu facilmente sperimentare anche senza essere psicologo,

    i rapporti di gruppo o sono aperti - e di conseguenza uniscono in modo debole e non costrittivo chi

    appartiene al gruppo consentendogli ad esempio di legarsi ad altri gruppi -, oppure, al contrario, sono

    http://www.loccidentale.it/autore/michela+naccihttp://www.loccidentale.it/autore/michela+nacci
  • 7/26/2019 Michela Nacci - Recensioni e interventi

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    solidi e coerentie di conseguenza impegnano i partecipanti alla fedelt al gruppo e a ci in cui il

    gruppo crede, vietandogli al contempo una curiosit eccessiva per la realt esterna. Diciamo che quello

    espresso pi un desiderio che una descrizione: sarebbe bello se accadesse, ma in genere non

    accade.

    Quinto: in qualunque campo nel quale operino, sostiene lintervistato, i membri della minoranza devonoessere portatori di unesigenza di verit e di giustizia, e dunque di morale. Vorremmo rivolgere una

    sola domanda a Fofi: chi decide se lesigenza portata dai membri della minoranza unesigenza di

    verit? Chi decide se unesigenza di giustizia? La morale, ci sembra, non equivale alla verit

    sommata alla giustizia: altra cosa, morale, appunto, e non ha niente a che fare con il vero e il falso.

    Dalla descrizione della minoranza che offre Fofi, il suo aspetto risulta pi quello di una setta di fanatici

    fondamentalisti convinti di essere nel giusto e sempre in bilico fra politica e antipolitica che non di una

    piccola comunit sollecita del bene degli umili: quando, infatti, un gruppo ritiene di avere dalla sua parte

    verit, giustizia e morale, meglio tenersene alla larga.

    La minoranze etiche trovano la loro giustificazione nella realt in cui viviamo: realt che orribile eprepara orrori ancora maggiori. Sono molto gustose tutte le pagine (molte) in cui Fofi se la prende con

    una zona grigia (un tempo si diceva maggioranza silenziosa) omo logata nella quale i ricchi hanno

    imposto ai poveri i loro valori e il loro stile di vita, con il modello americano che ha stravinto, con la

    politica della quale ha un giudizio tuttaltro che positivo, e in particolare, allinterno della politica, con le

    varie parti della sinistra, con tutti i suoi leader, partiti e partitini deludenti e ai quali gli elettori hanno per

    anni affidato voti che sono stati mal utilizzati.

    Ma ci che emerge una immagine del presente e del futuro senza scampo, senza speranza, nella

    quale il mercato ha trionfato su tutto il resto e anche le idee si trasformano in merci. Di contro, troviamo

    una idealizzazione degli anni che vanno dal dopoguerra agli anni sessanta, in particolare dal 1943 al

    1963. Lanti-populista Fofi scrive: Allora un popolo cera ed era bello sentirsene parte. E ancora: Gli

    anni tra il 43 e il 63 preludevano ad altro, furono belli perch lItalia era ancora bella, cera un popolo in

    cui credere, classi sociali in lotta o per cui lottare, e in politica cerano tante persone per bene con cui

    confrontarsi.

    Non un caso che il personaggio principale di queste pagine sia Pier Paolo Pasolini: quando il regista,

    scrittore e poeta era vivo, i due non andavano affatto daccordo. Fofi rimproverava a Pasolini la

    mancanza di analisi di classe, la mancanza di distinzione fra borghesi e proletari, limmagine

    oleografica dei sottoproletari e di un popolo mitizzato e inesistente, lincomprensione del presente e del

    Sessantotto; Pasolini rimproverava a Fofi una visione schematica e neo-zdanoviana della cultura.

    Ora le considerazioni svolte allepoca da Pasolini quelle che considerava radicalmente sbagliat