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Capitolo 7 Metodi generali di risoluzione: Lagrange e Vandermonde 7.1 Lagrange e la risoluzione algebrica delle equa- zioni Lagrange dedic` o diverse memorie alle equazioni algebriche ed i suoi contributi principali riguardano: 1) l’aver messo in luce i tratti comuni a tutti i metodi di soluzione algebrica delle equazioni fino allora escogitati riuscendo a mostra- re l’importanza delle permutazioni effettuate sulle radici di un’equazione come linea guida per decidere della risolubilit` a di un’equazione e come base di un metodo unificante di risoluzione; 2) lo studio di metodi per la risoluzione nu- merica delle equazioni algebriche. Il lavoro fondamentale di Lagrange per il primo aspetto ` e la corposa memoria eflexions sur la R´ esolution Alg´ ebrique des ´ equations [1] pubblicata in due parti tra il 1770 ed il 1771 mentre per la risolu- zione numerica, il testo pi` u importante ` e il Trait´ e de la R´ esolution numerique des equations [2] in cui Lagrange amplia il contenuto di memorie apparse sull’ar- gomento a partire dal 1769 e che pure dedica una Nota (la XIII) all’esposizione dei risultati pi` u originali delle eflexions. L’importanza del lavoro di Lagrange nel proporre un punto di vista nuovo ed unificante da cui sapr` a trarre profitto Galois ` e stata sottolineata in diversi lavori storici come [3], dedicato ad un’am- pia panoramica dei contributi di Lagrange, [4] che esamina, tra le altre cose, l’influenza dell’opera di Lagrange nello sviluppo della teoria di Galois e [5] dove si evidenzi` o il contributo pionieristico di Lagrange alla teoria delle permutazio- ni. Ci soffermeremo alquanto in questo capitolo sul contenuto delle eflexions che in effetti ha esercitato un influsso notevole sui matematici delle generazioni successive ed ` e stato fonte di ispirazione per molti. Le eflexions si articolano in quattro grandi sezioni: la prima e la seconda 165

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Capitolo 7

Metodi generali di

risoluzione: Lagrange e

Vandermonde

7.1 Lagrange e la risoluzione algebrica delle equa-

zioni

Lagrange dedico diverse memorie alle equazioni algebriche ed i suoi contributiprincipali riguardano: 1) l’aver messo in luce i tratti comuni a tutti i metodidi soluzione algebrica delle equazioni fino allora escogitati riuscendo a mostra-re l’importanza delle permutazioni effettuate sulle radici di un’equazione comelinea guida per decidere della risolubilita di un’equazione e come base di unmetodo unificante di risoluzione; 2) lo studio di metodi per la risoluzione nu-

merica delle equazioni algebriche. Il lavoro fondamentale di Lagrange per ilprimo aspetto e la corposa memoria Reflexions sur la Resolution Algebrique des

equations [1] pubblicata in due parti tra il 1770 ed il 1771 mentre per la risolu-zione numerica, il testo piu importante e il Traite de la Resolution numerique

des equations [2] in cui Lagrange amplia il contenuto di memorie apparse sull’ar-gomento a partire dal 1769 e che pure dedica una Nota (la XIII) all’esposizionedei risultati piu originali delle Reflexions. L’importanza del lavoro di Lagrangenel proporre un punto di vista nuovo ed unificante da cui sapra trarre profittoGalois e stata sottolineata in diversi lavori storici come [3], dedicato ad un’am-pia panoramica dei contributi di Lagrange, [4] che esamina, tra le altre cose,l’influenza dell’opera di Lagrange nello sviluppo della teoria di Galois e [5] dovesi evidenzio il contributo pionieristico di Lagrange alla teoria delle permutazio-ni. Ci soffermeremo alquanto in questo capitolo sul contenuto delle Reflexions

che in effetti ha esercitato un influsso notevole sui matematici delle generazionisuccessive ed e stato fonte di ispirazione per molti.

Le Reflexions si articolano in quattro grandi sezioni: la prima e la seconda

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166CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

trattano i metodi noti per la risoluzione di equazioni di terzo e quarto gradoesaminati alla luce di un nuovo principio guida: il comportamento delle radici diun’equazione ausiliaria sotto l’azione di permutazioni tra le radici dell’equazioneproposta. La terza sezione esamina il comportamento dei metodi piu generali perla risoluzione di equazioni algebriche—metodi di Tschirnhaus, Eulero e Bezout—di fronte alla risoluzione delle equazioni di quinto grado cercando di comprenderei motivi dei loro fallimenti. Infine la quarta sezione, la piu innovativa, considerail problema generale delle trasformazioni di equazioni di grado qualunque cheportano ad abbassarne il grado e quindi a permetterne la risolubilita algebrica.

Lagrange dichiara sin dall’introduzione delle Reflexions l’obiettivo che il suolavoro si prefigge: In questa Memoria mi propongo di esaminare i metodi dif-

ferenti trovati sino al momento presente per la risoluzione algebrica delle equa-

zioni, di ridurli a principı generali e di far vedere a priori perche questi meto-

di hanno successo per il terzo ed il quarto grado e sono in difetto per i gradi

maggiori.

Questo esame presenta un doppio vantaggio: da un lato servira a gettare piu

luce possibile sulle soluzioni note di terzo e quarto grado; d’altra parte esso sara

di aiuto a quanti vorranno occuparsi della soluzione dei gradi piu alti, fornendo

loro diversi punti di vista sull’argomento e soprattutto risparmiando loro un gran

numero di passi falsi e tentativi inutili.1 ([1], pp. 206-207)In questo passo si trova la parola chiave per comprendere l’approccio di La-

grange al problema della risoluzione algebrica delle equazioni: a priori. Occorrecomprendere a priori perche i metodi proposti funzionano e non limitarsi, co-me si era sempre fatto sino a quel momento, ad un’analisi a posteriori, cioe arisultato ottenuto, della validita del metodo proposto. Solo ponendosi seriamen-te la domanda del perche un certo metodo funzioni e possibile guidare i passisuccessivi della ricerca, volti alla risoluzione di equazioni di grado maggiore.

Vediamo l’esame che Lagrange opera di due metodi di soluzione per equazio-ni di terzo grado: il metodo di Viete e quello di Tschirnhaus. Mentre il primoe per sua natura limitato alla soluzione di equazioni di grado n = 3, il secondoricorre invece ad una trasformazione generalizzabile a valori piu grandi di n edunque promettente per ottenere una soluzione algebrica in generale. Se tor-niamo ai metodi esposti nel Capitolo 4 di queste dispense abbiamo visto comele radici dell’equazione da risolvere vengano espresse in termini delle radici diun’equazione ausiliaria (che Lagrange chiama ridotta, reduit, perche e l’equazio-

ne alla cui soluzione si riduce quella dell’equazione di partenza.2 ([1], p. 213),la cui soluzione e nota. Lagrange ha l’idea vincente di affrontare la strada insenso inverso, esprimendo le radici della ridotta in termini di quelle dell’equazio-

1Je me propose dans ce Memoire d’examiner les differentes methodes que l’on a trouveesjusqu’a present pour la resolution algebrique des equations, de les reduire a des principesgeneraux, et de faire voir a priori pourquoi ces methodes reussissent pour le troisieme et lequatrieme degre, et sont en defeaut pour les degres ulterieurs Cet examen aura un doubleavantage: d’un cote il servira a repandre une plus grande lumiere sur les resolutions connuesdu troisieme et du quatrieme degre; de l’autre il sera utile a ceux qui voudront s’occuper de laresolution des degres superieurs, on leur furnissant differentes vues pour cet objet et en leurepargnant surtout un grand nombre de pas et de tentatives inutiles.

2s’appelle la reduite (...) parce que c’est a sa resolution que se reduit celle de la proposee.

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7.1. LAGRANGE E LARISOLUZIONE ALGEBRICADELLE EQUAZIONI167

ne proposta per ricavare le proprieta della ridotta che permettono la soluzionedell’equazione proposta.

Per le equazioni di terzo grado Lagrange considera la forma completa

x3 +mx2 + nx+ p = 0 (7.1)

e chiama x1, x2 ed x3 le sue radici3. Effettuata la trasformazione x = x′ − m3,

(7.1) si trasforma, come e noto, in

x′3 + n′x′ + p′ = 0

dove i coefficienti n′ e p′ si esprimono in funzione di quelli dati attraverso lerelazioni

n′ = n− m2

3p′ = p− mn

3+

2m3

27.

A questo punto si effettua la trasformazione di Viete x′ = y − n′

3ye si ottiene la

ridotta

y6 + p′y3 − n′3

27= 0 (7.2)

che, detta

r :=3

−p′

2+

p′2

4+

n′3

27, (7.3)

e risolta day1 = r y2 = αr y3 = α2r = βr (7.4)

dove α e β = α2 sono le radici cubiche complesse dell’unita, distinte da 1.Grazie a (7.4) ed effettuando a ritroso le trasformazioni che hanno condotto alleyi, Lagrange e in grado di ricavare

x1 = −m3+ r − s

x2 = −m3+ αr − s

α

x3 = −m3+ βr − s

β

(7.5)

dove si e posto s := n′

3r. Lagrange mette in atto la sua idea di esprimere r come

funzione delle xi e per questo inizia ad osservare che, da (7.5), si ha

x1 − x2 = (1− α)(

r + sα

)

x1 − x3 = (1− β)(

r + sβ

)

da cui si ottiene dapprima

αr + s =α(x1 − x2)

1− αe βr + s =

β(x1 − x3)

1− β

3Nell’originale Lagrange indica le radici di (7.1) con a, b, c. Ho proferito adottare unanotazione piu vicina a quella attuale ed anche a quella impiegata da Lagrange nella Nota XIIIdel Traite.

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168CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

e poi, sottraendo tra loro queste equazioni con alcuni passaggi diretti

r =x1

(1− α)(1 − β)+

αx2

(α− 1)(α− β)+

βx3

(β − α)(β − 1).

Per semplificare ulteriormente quest’equazione Lagrange osserva che, dal mo-mento che 1, α e β sono radici di x3 − 1 = 0 si puo scrivere

x3 − 1 = (x− 1)(x− α)(x − β)

che, dopo una derivazione, fornisce

3x2 = (x− α)(x − β) + (x − 1)(x− β) + (x− 1)(x− α) :

calcolando questa derivata in x = 1, x = α ed x = β si ottengono le relazioni

3 = (1− α)(1 − β) 3α2 = (α − 1)(α− β) 3β2 = (β − 1)(β − α)

da cui e possibile infine ottenere

r =x1 + αx3 + βx2

3=: y1, (7.6)

che rappresenta la relazione tra la radice y della ridotta e le radici dell’equazionedi partenza. Lagrange e ora in grado di rispondere alla domanda che serve asvelare la ratio nascosta dietro questo metodo di soluzione delle equazioni diterzo grado. Perche, in primo luogo, la ridotta e un’equazione di sesto grado?E in questo momento che entrano in scena le permutazioni

Si vede allora da questa espressione perche la ridotta e necessariamente di

sesto grado; infatti, siccome tale ridotta non dipende immediatamente dalle ra-

dici x1, x2, x3 dell’equazione proposta ma solo dai coefficienti m, n e p nei

quali le tre radici entrano in modo equivalente, e chiaro che nell’espressione di

y deve essere possibile scambiare tra loro a piacere le quantita x1, x2, x3; di

conseguenza la quantita y dovra avere tanti valori distinti quanti se ne possono

formare con tutte le permutazioni possibili tra le tre radici x1, x2 e x3; e noto

dalla teoria delle combinazioni che il numero di permutazioni, cioe degli arran-

giamenti differenti di tre cose e 3 ·2 ·1; dunque anche la ridotta in y deve essere

di grado 3 · 2 · 1, cioe del sesto4 ([1], pp. 215-216). Dunuqe, permutando traloro x1, x2 ed x3 in (7.6), sono ugualmente radici della ridotta

y2 = x1+αx3+βx2

3, y3 = x2+αx1+βx3

3y4 = x2+αx3+βx1

3

y5 = x3+αx2+βx1

3, y6 = x3+αx1+βx2

3

4On voit d’abord par cette expression de y pourquoi la reduite est necessairement dusixieme degre; car comme cette reduite ne depend pas immediatement des racines x1, x2,x3, mais seulement des coefficients m, n, p, ou les trois rscines entrent egalement, il est clairque dans l’expression de y on doit pouvoir echanger a volonte les quantites x1, x2, x3 entreelles; par consequent la quantite y devra avoir autant de valeurs differentes que l’on pourraformer par toutes les permutations possibles dont les trois racines x1, x2, x3 sont susceptibles;or on sait par la theorie des combinaisons que le nombre des permutations, c’est-a-dire desarrangements differents des trois choses, est 3 · 2 · 1; donc la reduite doit etre aussi du degre ,c’est-a-dire du sixieme.

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7.1. LAGRANGE E LARISOLUZIONE ALGEBRICADELLE EQUAZIONI169

D’altra parte, che debba essere cosı e conseguenza della arbitrarieta con cui sonostate associate le xi alle radici della ridotta.

Chiarito dunque il motivo per cui la ridotta e di sesto grado, Lagrangerisponde alla seconda domanda cruciale: perche la ridotta si puo risolvere almodo di un’equazione di secondo grado o, meglio, perche si spezza nella soluzionedi un’equazione di secondo grado ed in una di terzo pura? Per rispondere,Lagrange richiama alcune proprieta fondamentali delle radici dell’unita α e β.Si ha infatti α = β2 e, dal momento che α3 = β3 = 1, si hanno sia αβ = 1 cheα2 = β. Grazie a queste relazioni si verifica che, moltiplicando y1 per α primae poi per β si ottengono y6 ed y4 mentre la stessa operazione eseguita a partireda y2 porta ad y3 ed y5 per cui

y6 = αy2 y4 = βy2 y3 = αy1 y5 = βy1

che dimostra come, note due radici della ridotta, tutte le altre siano ottenibilimoltiplicando queste per α e β. Lagrange puo ora proporre un metodo generaledi risoluzione per le equazioni di terzo grado che non dipende dalla particolaretrasformazione adoperata. Partendo da (7.1) si suppone di poter esprimere leradici della ridotta come funzioni lineari delle radici di (7.1),

r1 := Ax1 + Bx2 + Cx3

dove le quantita A, B, C sono al momento incognite ma indipendenti dalle xi.Eseguendo tutte le permutazioni possibili sulle {xi} si ottengono gli altri cinquevalori

r2 = Ax1 +Bx3 + Cx2 r3 = Ax2 +Bx1 + Cx3 r4 = Ax2 +Bx3 + Cx1

edr5 = Ax3 +Bx2 + Cx1 r6 = Ax3 + Bx1 + Cx2.

Si impone che la ridotta contenga solo potenze multiple di 3 dell’incognita percui, se r risolve la ridotta, anche αr e βr la risolvono. Ora, chiedendo cher2 = αr1 sia vera per tutti i possibili valori di {xi} equivale a chiedere αA = A

e dunque α = 1, mentre sappiamo che α 6= 1. Similmente, la richiesta αr1 = r3fornisce αC = C che ancora imporrebbe α = 1. Al contrario, se si imponeαr1 = r4 si ottiene αA = C, αB = A ed αC = B per cui

C = αA = α2B = α3C,

consistente con α3 = 1. Per semplicita e sempre possibile porre A = 1 e ricavarele due radici fondamentali della ridotta nella forma

r =: r1 = x1 + αx2 + βx3 s := r2 = x1 + αx3 + βx2. (7.7)

La ridotta, dovendo avere r, αr, βr = α2r, s, αs e βs = α2r come radici sifattorizza come

(y − r)(y − αr)(y − α2r)(y − s)(y − αs)(y − α2s) = (y3 − r3)(y3 − s3) = 0

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170CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

che si riscrive comey6 − (r3 + s3)y3 + r3s3 = 0. (7.8)

Tutto questo non sarebbe molto utile se non fosse possibile trovare espressionidi r3 ed s3 in funzione dei coefficienti di (7.1) e per questo entrano in giocole formule di Viete-Girard ed i teoremi newtoniani (per una dimostrazione diquesti teoremi, si veda la sezione 7.5). Da (7.7) Lagrange ottiene

r3 = x31+x3

2+x33+6x1x2x3+3α(x2x

21+x3x

22+x1x

23)+3β(x1x

22+x2x

23+x3x

21)

e, scambiando tra loro α e β,

s3 = x31+x3

2+x33+6x1x2x3+3α(x3x

21+x2x

23+x1x

22)+3β(x1x

23+x3x

22+x2x

21).

Seguendo alla lettera Lagrange, poniamo

L := x31+x3

2+x33+6x1x2x3 M := (x2x

21+x3x

22+x1x

23) N := x1x

22+x2x

23+x3x

21

si ottiener3 + s3 = 2L+ 3(α+ β)(M +N)

e siccome la somma delle tre radici di x3 − 1 = 0 e nulla, deve essere

1 + α+ β = 1 + α+ α2 = 0 (7.9)

sicche in definitiva

r3 + s3 = 2L− 3(M +N).

D’altro canto, sempre utilizzando (7.9), si verifica che

r3s3 = L[L− 3(M +N)] + 9[(M +N)2 − 3MN ].

Ora, i coefficienti L, M + N ed MN sono funzioni simmetriche delle radici di(7.1) e dunque sono esprimibili in funzione dei soli coefficienti dell’equazione(7.1) grazie al teorema fondamentale delle funzioni simmetriche (per una dimo-strazione, si veda la sezione 7.6). Infatti, dalle formule di Viete-Girard sappiamoche

m = −(x1 + x2 + x3) n = x1x2 + x1x3 + x2x3 p = −x1x2x3

da cui si deduce

x21 + x2

2 + x23 = (x1 + x2 + x3)

2 − 2(x1x2 + x1x3 + x2x3) = m2 − 2n

e

x31 + x3

2 + x33 =

= (x1 + x2 + x3)3 − 3(x1 + x2 + x3)(x1x2 + x1x3 + x2x3)− 3x1x2x3 = −m3 + 3mn− 3p

da cui anche segue

x31x

32 + x3

1x33 + x3

2x33 = n3 − 3mnp+ 3p2

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7.2. IL METODO DI TSCHIRNHAUS 171

e quindi, in definitiva,

L = −m3 + 3mn− 9p, M +N = 3p−mn MN = n3 + p(m2 − 6mn) + 9p2

che permettono di dedurre le espressioni di r3 + s3 ed r3s3 in funzione deicoefficienti della (7.1):

y6 + (2m3 − 9mn+ 27p)y3 + (m2 − 3n)3 = 0. (7.10)

Dunque, ponendo z := y3 occorre risolvere l’equazione di secondo grado

z2 + (2m3 − 9mn+ 27p)z + (m2 − 3n)3 = 0 : (7.11)

dette z1 e z2 le sue radici, poiche da (7.8) si ha che r ed s sono valori cherisolvono l’equazione in y si potra sempre scrivere

r = x1 + αx2 + βx3 = 3√z1

s = x1 + αx3 + βx2 = 3√z2

con−m = x1 + x2 + x3

(7.12)

che, sommate tra loro con il ricorso a (7.9), danno

x1 =−m+ 3

√z1 + 3

√z2

3;

similmente, se prima di sommare si moltiplica la prima delle (7.12) per β e laseconda per α o, viceversa, la prima per α e la seconda per β, si ottiene

x2 =−m+ β 3

√z1 + α 3

√z2

3x3 =

−m+ α 3√z1 + β 3

√z2

3:

siccome z1 e z2 sono funzioni dei coefficienti di (7.1), la risoluzione dell’equazionedi terzo grado con il metodo di Lagrange e completata. Osserviamo che ilmetodo di Lagrange non ha come scopo principale quello di semplificare altrimetodi quanto quello di trovare un principio comune a tutti i metodi escogitatiper la soluzione algebrica delle equazioni di terzo grado.

7.2 Il metodo di Tschirnhaus

Dopo essersi occupato di un metodo di soluzione per equazioni di terzo gradomodellato su di esse e dunque difficilmente esportabile ad equazioni di gradosuperiore, Lagrange dedica ampio spazio all’esposizione di altri metodi che, alcontrario, sufficientemente generali da essere applicati anche alle equazioni digrado superiore. Nel dettaglio, Lagrange esamina i metodi di Tschirnhaus, diEulero e di Bezout. Mi occupero dell’esposizione del metodo di Tschirnhausapplicato alla soluzione delle equazioni di terzo grado che viene analizzato daLagrange nei §§10-16 di [1]. Sugli Acta Eruditorum del 1683 era apparsa una

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172CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

breve nota [7] dello scienziato tedesco Ehrenfried Walter von Tschirnhaus (1651-1708) che proponeva un metodo generale per la risoluzione di equazioni di gradoqualunuqe. L’essenza del metodo e quella di generalizzare la trasformazione chepermette di eliminare da un’equazione il termine che segue immediatamentequello di grado massimo. In questa trasformazione si effettuava un cambiodi variabile x 7→ y = x + a in cui l’unico parametro libero presente a eradeterminato imponendo l’annullamento del termine di grado minore successivoa quello di grado massimo. Ora, Tschirnhaus ebbe l’idea di estendere la classedi trasformazioni in modo da poter eliminare quanti piu termini possibili inun’equazione di grado n. In estrema sintesi, se con una trasformazione del tipox = y + a dipendente da un solo parametro libero a e possibile eliminare untermine da un’equazione grazie ad una scelta opportuna di a, trasformazioni deltipo

x2 = bx+ y + a x3 = cx2 + bx+ y + a ecc.

possono essere impiegate per eliminare due, tre, ecc. termini da un’equazionee consentirne una semplificazione notevole. E chiaro che l’obiettivo del meto-do e quello di trasformare un’equazione completa di grado n in un’equazionebinomia del tipo yn = C le cui soluzioni, come dira Lagrange, sono note imme-diatamente (sur le champ). Ora, questo metodo condurra alla risoluzione di unsistema ausiliario di equazioni algebriche il cui grado, pero, e destinato a salireoltre a quello dell’equazione proposta come noto per primo Leibniz, poco dopola pubblicazione del lavoro di Tschirnhaus. Tuttavia, nel caso di equazioni diterzo grado la ridotta era di secondo grado e non di sesto grado e per Lagrangeoccorre considerare i motivi nascosti dietro questa riduzione per studiarne l’ef-fettiva applicabilita ad equazioni di grado superiore al quarto. Lagrange esponedapprima il metodo seguendo le linee indicate sommariamente da Tschirnhausper poi effettuarne l’analisi a priori. Si riparta dunque da (7.1) e si ponga

x2 = bx+ a+ y (7.13)

dove b ed a sono da determinare. Per questo, Lagrange moltiplica ambo i membridi (7.13) per x ottenendo

x3 = bx2 + ax+ xy

e sostituisce il valore di x2 dato da (7.13) ricavando infine

x3 = (b2 + a+ y)x+ b(a+ y) : (7.14)

sostituendo (7.13) e (7.14) in (7.1) si ottiene

(b2 +mb+ n+ a+ y)x+ (b +m)(a+ y) + p = 0

da cui si ricava x come funzione razionale di y, dei parametri della trasformazionee dei coefficienti dell’equazione proposta:

x = − (b +m)(a+ y) + p

b2 +mb+ n+ a+ y.

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7.2. IL METODO DI TSCHIRNHAUS 173

Inserito in (7.1) questo valore di x si ottiene un’altra equazione di terzo gradoin y

y3 +Ay2 +By + C = 0

in cui i coefficienti A, B e C sono legati ai parametri della trasformazione ed aicoefficienti dell’equazione proposta. In particolare,

A = 3a−mb−m2 + 2n

eB = 3a2 − 2a(mb+m2 − 2n) + nb2 + (mn− 3p)b+ n2 − 2mp

sono i coefficienti da annullare in modo da ottenere un’equazione trasformatadel tipo

y3 + C = 0, (7.15)

di soluzione immediata. Ora, da A = 0 si ottiene

a =mb+m2 − 2n

3

che, sostituito in B = 0, fornisce l’equazione

(m2 − 3n)b2 + (2m3 − 7mn+ 9p)b+m4 − 4m2n+ 6mp+ n2 = 0

per cui la determinazione dei parametri che individuano la trasformazione diTschirnhaus e ricondotta alla soluzione di un sistema di secondo grado. Sin quiLagrange non ha fatto altro che sviluppare, utilizzando il metodo di eliminazio-ne, i calcoli necessari a portare a termine la trasformazione. Per quale motivo laridotta e ora di secondo anziche di sesto grado? Lagrange affronta la questionea partire dal §15 di [1] ed osserva che (7.15) ha le soluzioni − 3

√C, −α

3√C e

−α2 3√C dove, al solito α 6= 1 e una radice cubica dell’unita. Ora, queste radici

debbono corrispondere alle radici x1, x2 ed x3 di (7.1) ed il legame e propriostabilito dalla trasformazione (7.13)

x21 = bx1 + a− 3

√C

x22 = bx2 + a− α

3√C

x23 = bx3 + a− α2 3

√C

(7.16)

da cui si ricavano i valori di a e b, eliminando C. Moltiplicando la seconda delleequazioni (7.16) per α, la terza per α2, sommando i risultati ed osservando cheα4 = α e α2 + α+ 1 = 0 si otterra

b = b1 =x21 + αx2

2 + α2x23

x1 + αx2 + α2x3

.

Ora, permutando tra loro le radici {xi}, questa quantita assume i valori

b2 =x21 + αx2

3 + α2x22

x1 + αx3 + α2x2

b3 =x22 + αx2

3 + α2x21

x2 + αx3 + α2x1

b4 =x22 + αx2

1 + α2x23

x2 + αx1 + α2x3

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174CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

e

b5 =x23 + αx2

1 + α2x22

x3 + αx1 + α2x2

b6 =x23 + αx2

2 + α2x21

x3 + αx2 + α2x1

ma ora, moltiplicando numeratore e denominatore di b1 per α prima e per α2

poi e servendosi ancora delle proprieta delle radici dell’unita si verifica che

b1 = b3 = b5 e b2 = b4 = b6

per cui l’equazione in b e ancora di sesto grado ma, precisamente, e il cubo diun’equazione di secondo grado: ancora una volta, l’analisi del comportamentodi certe funzioni delle radici di (7.1) ha permesso di conoscere a priori cosaaspettarsi da un metodo di risoluzione.

Per concludere, ricordo che il risultato forse piu importante ottenuto conil metodo di Tschirnhaus e la riduzione della piu generale equazione di quintogrado alla forma

x5 + ax+ b = 0 (7.17)

che sara effettuata indipendentemente da Bring [8] e Jerrard [9]5: piu in gene-rale, con lo stesso metodo si possono eliminare da un’equazione di grado m icoefficienti che moltiplicano xm−1, xm−2, xm−3.

7.3 La risolvente di Lagrange

Lagrange, dopo aver trovato gli ingredienti comuni a tutti i metodi noti disoluzione delle equazioni algebriche fino al quarto grado, e in grado di proporreun approccio generale ed uniforme alla soluzione algebrica di tutte le equazioniche sara destinato a funzionare per le equazioni fino al quarto grado e per leequazioni binomie. Per illustrare gli aspetti salienti del metodo di Lagrange miserviro della Nota XIII, Sur la resolution des equations algebriques dell’edizionedel 1808 del Traite [2] che appunto tratta dei principi generali del metodo. Ilpunto di partenza per la risoluzione algebrica di un’equazione generale del tipo

xm −Axm−1 +Bxm−2 − Cxm−3 + · · · = 0 (7.18)

le cui radici indicheremo con {x1, x2, · · ·xm−1, xm} e l’osservazione che in tutti imetodi di soluzione noti si effettuava il ricorso ad un’equazione ausiliaria (ridottao risolvente, nel Traite) le cui radici sono

t0 = x1 + αx2 + · · ·+ αm−2xm−1 + αm−1xm =

m∑

k=1

αk−1xk (7.19)

e tutte quelle che si ottengono da t0 permutando in un modo arbitrario le radicidi (7.18): dunque, a questo livello, la risolvente appare essere un’equazione di

5Erland Bring (1736-1798), matematico svedese e George Birch Jerrard (1804-1863), ma-

tematico britannico. E curioso osservare che Jerrard si occupo di questo problema perchenutriva dei dubbi sulla validita della dimostrazione di Abel circa l’impossibilita di risolvereequazioni algebriche di grado superiore al quarto.

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7.3. LA RISOLVENTE DI LAGRANGE 175

grado m! = m · (m− 1) · · · 3 · 2 · 1. In (7.19) α e una radice m-esima dell’unita,α 6= 1. Vi e una differenza tecnica tra il caso in cui m e un numero primooppure composto. Per brevita, ci soffermeremo nel seguito solo sul caso in cuim e primo. In questo caso, valgono una serie di proprieta di α che e benerammentare visto il ruolo che giocheranno tra poco. Anzitutto, tutte le potenzeαk con k intero compreso tra 1 ed m sono diverse tra loro quando lo sono gliesponenti. Come conseguenza di deduce che tutte le potenze αk, con k = 1, · · ·mrisolvono l’equazione binomia ym− 1 = 0. Lagrange si serve di queste proprietaper ricavare un metodo potenzialmente in grado di risolvere equazioni di ognigrado. Infatti, tornando alla (7.19), Lagrange osserva che, se si effettua lapermutazione ciclica x1 7→ x2 7→ x3 · · · 7→ xm−1 7→ xm 7→ x1, ecc.per la qualeLagrange non ha una specifica notazione, si ottiene

t1 = xm + αx1 + · · ·+ αm−3xm−3 + αm−2xm−2 + αm−1xm−1.

Allo stesso risultato tuttavia si perviene moltiplicando t0 per α, grazie ad αm =1. Similmente, la moltiplicazione di t0 per αk (k = 1, · · ·m) non fa usciredall’insieme ottenuto da t0 permutando le radici della (7.18). Si deduce inquesto modo che la risolvente, oltre ad avere il fattore (t− t0) dovra avere anchei fattori t− αt0,...,t− αkt0, t− αm−1t0 e dunque, in definitiva, potra conteneresolo il fattore tm − tm0 . Un attimo di riflessione porta a concludere che le m

permutazioni equivalenti alla moltiplicazione di t0 per una potenza di α sonodel tipo xh 7→ xh+k modm e che tutte le permutazioni che lasciano invariatox1 ma agiscono solo sulle rimanenti m − 1 radici non possono essere tra loroequivalenti. Dunque, le m! permutazioni tra le radici si fattorizzano in (m− 1)!gruppi di m permutazioni ciascuno, ed ogni gruppo porta in evidenza un terminetm: la risolvente conterra solo potenze di tm per cui, posto θ := tm, l’equazioneper θ sara di grado (m − 1)! ed avra come radici i diversi valori di θ che siottengono permutando tra loro le radici {x2, x3, · · · , xm}. Siccome αm = 1, aconti fatti θ si esprimera come

θ = ξ0 + αξ1 + α2ξ2 + · · ·αm−1ξm−1 (7.20)

dove ora le ξk sono funzioni razionali delle {x1, x2, · · · , xm−1, xm} invarianti

rispetto alle permutazioni del tipo xh 7→ xh+k modm. Lagrange compie l’osser-vazione cruciale che, note le ξk, le radici dell’equazione proposta (7.18) sarannonote anch’esse. Infatti, considerando t0 in (7.19) come funzione di α e delle{x1, x2, · · ·xm−1, xm} ed indicando t0 = t(α, {xk}) =: m

√θ1, si potra scrivere

t(1, {xk}) = x1 + x2 + · · · + xm = m√θ0

t(α, {xk}) = x1 + αx2 + · · · + αm−1xm = m√θ1

t(β, {xk}) = x1 + βx2 + · · · + βm−1xm = m√θ2

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·t(λ, {xk}) = x1 + λx2 + · · · + λm−1xm = m

θm−1

(7.21)dove 1, α, β, · · ·λ sono tutte le m radici m-esime dell’unita e dunque sono solu-zioni dell’equazione xm − 1 = 0 che avendo tutti i termini intermedi nulli gode,

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176CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

grazie ai teoremi newtoniani, delle seguenti proprieta:

1 + α+ β + · · ·+ λ = 0,

1 + α2 + β2 + · · ·+ λ2 = 0

e cosı via fino a1 + αm−1 + βm−1 + · · ·+ λm−1 = 0.

Se allora sommiamo tra loro le (7.21) ed utilizziamo queste proprieta otteniamo

x1 =m√θ0 +

m√θ1 +

m√θ2 + · · ·+ m

θm−1

m.

Similmente, se si moltiplica la seconda delle (7.21) per αm−1, la terza per βm−1

e cosı via fino all’ultima che viene moltiplicata per λm−1 e poi si sommano leequazioni cosı ottenute si ha

x2 =m√θ0 + αm−1 m

√θ1 + βm−1 m

√θ2 + · · ·+ λm−1 m

θm−1

m:

in generale,

xk =m√θ0 + αm−k+1 m

√θ1 + βm−k+1 m

√θ2 + · · ·+ λm−k+1 m

θm−1

m.

Il problema e ora ricondotto alla determinazione delle ξk, precisamente a stabili-re il grado dell’equazione soddisfatta da queste quantita ed alla determinazionedei coefficienti di queste equazioni. Per questo Lagrange osserva che, sostituireα ad un’altra radice m-esima dell’unita distinta da 1 in t(α, {xk}) equivale arimpiazzare x2 con una delle altre m − 2 radici x3, x4, ...., xm. Dunque le(m − 1)! permutazioni che danno luogo a fattori distinti nella ridotta si posso-no raggruppare ad (m − 1) ad (m − 1) ottenendo cosı un numero di (m − 2)!permutazioni non equivalenti tra le radici di (7.18). Si puo allora concludereche i coefficienti ξk sono radici di equazioni di grado m − 1 i cui coefficientipero dipendono da equazioni di grado (m− 2)!. Purtroppo, non appena m = 5,(m− 2)! = 3! = 6 > 5 e dunque non si puo sperare in una risolvente che sia piufacile da risolvere rispetto alla (7.18). Lagrange in effetti, trova direttamente icoefficienti dell’equazione in θ che ha come radici le θ1, ....,θm−1 ([2], pp. 305-307) ed uno di questi dipende da un’equazione di grado (m − 2)! mentre tuttigli altri sono determinabili grazie ai teoremi newtoniani. Il metodo permettepero di ottenere l’espressione in radicali delle equazioni ciclotomiche xm−1 = 0in modo diretto, indipendente dalla tecnica proposta da Gauss nelle Disquisi-

tiones Arithmeticae del 1801. Lagrange illustra l’applicazione del metodo alleequazioni ciclotomiche di grado m primo nella Nota XIV del Traite [2].

Questo e, in estrema sintesi, il cuore del lavoro di Lagrange sulla risoluzionealgebrica delle equazioni, un lavoro che influenzera molti studiosi come PaoloRuffini [10] che mutuera le tecniche di Lagrange per dimostrare, pur con qualchemancanza, l’impossibilita di risolvere algebricamente in generale un’equazione

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7.4. VANDERMONDE E LE EQUAZIONI CICLOTOMICHE 177

di grado superiore al quarto o come Louis-Augustin Cauchy che sviluppera apiu riprese nella sua carriera i risultati di Lagrange e Ruffini sul gruppo dellepermutazioni o, ancora, come Evariste Galois che dalla lettura di Lagrangetrarra spunto per gettare le basi della teoria che oggi porta il suo nome.

7.4 Vandermonde e le equazioni ciclotomiche

Il francese Alexandre-Theophile Vandermonde (1735-1796) fu un personaggioeclettico: matematico, musicista, studioso di economia politica [11]. Nella storiadelle equazioni algebriche egli entra a pieno titolo per una importante memoria,Memoire sur la resolution des equations [12], coeva alle Reflexions di Lagrangema apparsa qualche tempo dopo queste a causa di un notevole ritardo nellapubblicazione tra le Memorie dell’Accademia delle Scienze di Parigi. La memo-ria di Vandermonde si puo in effetti suddividere in due parti e contiene molteidee vicine a quelle contenute nelle Reflexions, come Lagrange stesso riconob-be nella Nota XIII del Traite [2] appena esaminata. Nella prima parte di [12],molto estesa, Vandermonde mira ad ottenere un’espressione di ciascuna radicedi un’equazione assegnata in funzione di tutte le radici dell’equazione stessa.Nella seconda parte, su cui concentriamo l’attenzione in questa sezione seguen-do l’esposizione di Tignol [13], egli trova l’espressione in radicali delle soluzionidell’equazione ciclotomica x11 − 1 = 0 servendosi di un metodo che contienein forma embrionale alcune delle idee che saranno sviluppate cinquant’anni piutardi ed in modo del tutto indipendente da Galois.

Vandermonde osserva come sia inevitabile la presenza di una certa ambiguitain ogni formula risolutiva che si voglia considerare in quanto, attraverso un’unicaformula, si vogliono ottenere tutte le radici di un’equazione assegnata. La viabattuta da Vandermonde per ottenere una formula risolutiva si snoda in treparti:

1) Trovare una funzione Fn(x1, x2, · · · , xn) delle radici {xi} ≡ {x1, x2, · · ·xn−1, xn}di un’equazione di grado n che permetta di esprimere tutte le radici.

2) Porre la funzione appena determinata in una forma invariante rispetto alloscambio delle radici.

3) Servirsi delle formule di Viete-Girard per esprimere la funzione trovata aipassi precedenti in termini dei coefficienti dell’equazione proposta. A questoproposito, ricordiamo che Vandermonde dimostro in generale che ogni funzionesimmetrica di {x1, x2, · · ·xn−1, xn} si puo esprimere in funzione dei coefficientidell’equazione proposta.

Vandermonde propose di considerare la funzione

Vi(x1, x2, · · · , xn) = i1x1 + i2x2 + · · ·+ in−1xn−1 + inxn (7.22)

che gioca un ruolo del tutto analogo rispetto alla risolvente di Lagrange. In(7.22) i = 1, 2, · · · , n − 1, le k sono le radici n-esime dell’unita e la formula

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178CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

risolutiva proposta da Vandermonde e

Fn(x1, x2, · · ·xn) =1

n

[

n∑

i=1

xi +n−1∑

i=1

n

V ni (x1, x2, · · · , xn)

]

(7.23)

dove tutte le singole radici vengono ottenute a patto di scegliere un’opportunadeterminazione delle radici n-esime delle funzioni V n

i . Ad esempio, se si vuoleottenere xk si sceglie n

V ni (x1, x2, · · · , xn) = −i

k Vi(x1, x2, · · · , xn) in quantoda (7.22) si ricava

n

V ni (x1, x2, · · · , xn) = xk +

j 6=k

(

j−1

k

)ixj

e dunque da (7.23) si ha

Fn(x1, x2, · · ·xn) = xk +∑

j 6=k

[

n−1∑

i=0

[

(

j−1

k

)i]

xj

]

(7.24)

dove l’indice nella sommatoria su i parte da 0 dal momento che si e riscritto

j 6=k

xj =∑

j 6=k

(

j−1

k

)0xj .

Si osserva ora che, quando j 6= k, j−1

k e anch’essa una radice n-esima dell’unitadistinta da 1 e dunque risolve l’equazione

xn−1 + xn−2 + xn−3 + · · ·+ x2 + x+ 1 =

n−1∑

i=0

xi = 0

che dimostra come la somma doppia in (7.24) sia nulla per cui, con questa de-terminazione di n

V ni (x1, x2, · · · , xn) si ha F (x1, x2, · · ·xn) = xk. Osserviamo

che, nonostante l’apparente diversita, la risolvente impiegata da Vandermondecoincide con quella introdotta da Lagrange.

Veniamo ora allo studio dell’equazione ciclotomica

x11 − 1 = 0 (7.25)

di cui Vandermonde mostra la risolubilita in termini di radicali algebrici. Que-st’ultima specificazione e essenziale dal momento che era noto da tempo comeottenere la rappresentazione trigonometrica complessa per le radici di equazionidel tipo xn − 1 = 0. Al contrario, la risolubilita in termini di radicali era di-mostrata solo fino ad n = 10 ed il grande merito di Vandermonde fu quello dirisolvere il caso n = 11 che, come vedremo tra poco, conduce ad un’equazionedi quinto grado per la quale non esiste in generale una formula risolutiva. Anzi-tutto ricordiamo che, liberata la (7.25) dalla radice evidente x = 1, l’equazioneda risolvere e

x10 + x9 + · · ·+ x2 + x+ 1 = 0. (7.26)

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7.4. VANDERMONDE E LE EQUAZIONI CICLOTOMICHE 179

Ora, quando n e un numero primo maggiore di 2, de Moivre aveva escogitatoun artificio che consentiva di ridurre il grado dell’equazione xn − 1 = 0 che,eliminata la radice x = 1 e posto n = 2p+ 1, diviene

x2p + x2p−1 + · · ·+ x+ 1 = 0. (7.27)

Dividendo tutti i termini per xp e raggruppando i termini a due a due proce-dendo simetricamente a partire dagli estremi, (7.27) si riscrive come

(

xp +1

xp

)

+

(

xp−1 +1

xp−1

)

+ · · ·+(

x2 +1

x2

)

+

(

x+1

x

)

+ 1 = 0. (7.28)

Posto

y := x+1

x(7.29)

non e difficile verificare che, definito

sp := xp +1

xp,

vale la relazione ricorsivasp+1 = ysp − sp−1. (7.30)

avendo cura di porre s0 = 2 ed s1 = y. Nel caso che ci interessa si ha p = 5 eduso ripetuto di (7.30) consente di ricavare

x2+1

x2= y2−2 x3+

1

x3= y3−3y x4+

1

x4= y4−4y2+2 x5+

1

x5= y5−5y3+5y

che permette di trasformare (7.26) in

y5 + y4 − 4y3 − 3y2 + 3y + 1 = 0.

Vandermonde, nell’applicare il metodo di de Moivre esprime (7.26) in terminidi X = −y per cui l’equazione ciclotomica da risolvere e

X5 −X4 − 4X3 + 3X2 + 3X − 1 = 0. (7.31)

Ora, e noto che le radici xk 6= 1 11-esime dell’unita, soluzioni di (7.26), si

esprimono come xk = e2kπi

11 , con k = 1, · · · , 10 e dunque le soluzioni di (7.31) sipossono scrivere come

X1 = −2 cos2π

11X2 = −2 cos

11X3 = −2 cos

11X4 = −2 cos

11X5 = −2 cos

10π

11,

come e facile verificare in quanto

xk +1

xk

= yk = −Xk = e2kπi

11 + e−2kπi

11 = 2 cos2kπ

11.

Vandermonde, applicando la formula di prostaferesi

2 cosα cosβ = cos(α + β) + cos(α− β) (7.32)

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180CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

al caso α = β = 2π11

ottiene

2 cos2(

11

)

= cos

(

11

)

+ 1

che si puo esprimere in termini delle radici di (7.31)

X21 = 2−X2 : (7.33)

similmente, se si riapplica (7.32) prendendo α = β coincidente con uno degliargomenti dei coseni che figurano nelle Xk si possono ottenere le relazioni

X22 = 2−X4 X2

3 = 2−X5 X24 = 2−X3 X2

5 = 2−X1. (7.34)

Quando invece si applica (7.32) prendendo valori distinti di α e β, entrambiargomenti di coseni che compaiono nelle Xk, si ottengono altre relazioni tra leradici

X1X2 = −(X1+X3) X2X3 = −(X1+X5) X3X4 = −(X1+X4) X4X5 = −(X1+X2).(7.35)

Vandermonde osserva ora che, se su queste relazioni si opera la permutazione

σ :=

(

X1 X2 X3 X4 X5

X2 X4 X5 X3 X1

)

,

le relazioni (7.34) vengono scambiate tra di loro mentre le (7.35) vengono muta-te in altre ancora valide. E importante osservare che, a differenza delle formuledi Viete-Girard che sono invarianti sotto l’azione di qualsiasi permutazione, lerelazioni appena trovate lo sono solo per un sottogruppo del gruppo di permu-tazioni di n elementi. La differenza e cruciale perche, come fara vedere piutardi Galois, la riduzione del gruppo che lascia invariate certe relazioni tra leradici e la chiave per decidere se un’equazione algebrica sia o meno risolubile intermini di radicali. In altri termini, mentre la simmetria insita nelle formule diViete-Girard impedisce di discriminare tra loro le radici, la presenza di relazionitra le radici di un’equazione che siano invarianti sotto l’azione di sottogruppisempre piu piccoli del gruppo delle permutazioni, permette di distinguere traloro le radici e dunque di condurre alla risolubilita per radicali di quest’ultima.

Per vedere come Vandermonde proceda nella risoluzione per radicali di (7.26)notiamo come relazioni del tipo (7.34) ed (7.35) permettono di abbassare ilgrado di un polinomio nelle Xk. Supponiamo infatti che in un polinomio figuriil termine X5

1 . Applicando (7.33), (7.34) ed (7.35) si puo scrivere

X51 = X2

1 ·X21 ·X1 = (2 −X2)

2X1 = (4− 4X2 +X22 )X1 =

4X1 + 4(X1 +X3)−X2(X1 +X3) = 10X1 + 5X3 +X5 :

seguendo un procedimento analogo e possibile sempre ridurre un polinomio nelleXk ad un altro polinomio di primo grado. Grazie a questa osservazione, Van-dermonde riesce a semplificare notevolmente l’espressione delle funzioni V 5

i che

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7.4. VANDERMONDE E LE EQUAZIONI CICLOTOMICHE 181

compaiono in (7.23). Infatti, per quanto appena esemplificato

Vi(X1, X2, X3, X4, X5)5 = (i1X1 + i2X2 + i3X3 + i4X4 + i5X5)

5

= A1({k})X1 +A2({k})X2 +A3({k})X3 +A4({k})X4 +A5({k})X5 +A6({k})(7.36)

dove i coefficienti Ai dipendono dalle radici quinte dell’unita {k} ≡ {1, 2, 3, 4, 5}.Se ora eseguiamo ripetutamente su V 5

i la permutazione σ otterremo

Vi(X2, X4, X5, X3, X1)5 = A1({k})X2 +A2({k})X4 +A3({k})X5

+A4({k})X3 +A5({k})X1 +A6({k})(7.37)

Vi(X4, X3, X1, X5, X2)5 = A1({k})X4 +A2({k})X3 +A3({k})X1

+A4({k})X5 +A5({k})X2 +A6({k})(7.38)

Vi(X3, X5, X2, X1, X4)5 = A1({k})X3 +A2({k})X5 +A3({k})X2

+A4({k})X1 +A5({k})X4 +A6({k})(7.39)

e

Vi(X5, X1, X4, X2, X3)5 = A1({k})X5 +A2({k})X1 +A3({k})X4

+A4({k})X2 +A5({k})X3 +A6({k}).(7.40)

Ora, le proprieta generali delle radici n-esime dell’unita con n numero primoimplicano che sia sempre possibile esprimere tutte le k come potenze di un’unicaradice n-esima ω 6= 1. Nulla impedisce di numerare le radici in modo che sia

1 = 1 2 = ω 4 = ω2 3 = ω3 5 = ω4

e dunque

Vi(X1, X2, X3, X4, X5) = X1 + ωiX2 + ω2iX4 + ω3iX3 + ω4iX5.

Se ora applichiamo la permutazione σ otteniamo

Vi(X2, X4, X5, X3, X1) = X2 + ωiX4 + ω2iX3 + ω3iX5 + ω4iX1 =ω−i[X1 + ωiX2 + ω2iX4 + ω3iX3 + ω4iX5] = ω−iVi(X1, X2, X3, X4, X5)

e quindi, siccome ω5i = ω−5i = 1 si ottiene, iterando la permutazione σ

Vi(X1, X2, X3, X4, X5)5 = Vi(X2, X4, X5, X3, X1)

5 = Vi(X4, X3, X1, X5, X2)5 =

= Vi(X3, X5, X2, X1, X4)5 = Vi(X5, X1, X4, X2, X3)

5

per cui, sommando tra loro (7.36)-(7.40), si ottiene

Vi(X1, X2, X3, X4, X5)5 =

1

5(A1+A2+A3+A4+A5)(X1+X2+X3+X4+X5)+A6

ovvero, ricordando che per (7.31) X1 +X2 +X3 +X4 +X5 = 1

Vi(X1, X2, X3, X4, X5)5 =

1

5(A1 +A2 +A3 +A4 +A5) +A6

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182CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

che risolve il problema della soluzione per radicali dell’equazione (7.25) vistoche le quantita A1 · · · , A6 sono funzioni note delle radici quinte dell’unita kche sono esprimibili per radicali (cfr. e.g. [1], p. 253):

1 = 1

2 =√5−1

4+

√10+2

√5

4i

3 =√5−1

4−

√10+2

√5

4i

4 = −√5+1

4+

√10−2

√5

4i

5 = −√5+1

4−

√10−2

√5

4i

Vandermonde, senza dare alcuna idea della dimostrazione, asserisce che quantmostrato in dettaglio per n = 11 vale anche per tutti i numeri primi maggioridi 11. Questo risultato sara ritrovato da Gauss, trent’anni piu tardi, nelle Di-

squisitiones Arithmeticae con tecniche di teoria dei numeri. Vandermonde nonsembra essersi occupato piu dell’argomento ed il suo lavoro non sembra avereinfluito su Gauss, che pure ne era a conoscenza [11]. Quanto a Lagrange, nellaNota XIII del Traite [2] egli attribuisce a Vandermonde la giusta lode. L’aspettopiu significativo che si puo cogliere dal lavoro di Vandermonde e l’osservazioneche, grazie all’esistenza di certe relazioni tra le radici invarianti rispetto ad unsottogruppo (terminologia sconosciuta a Vandermonde) del gruppo delle per-mutazioni, e non gia rispetto all’intero gruppo delle permutazioni, e possibilerisolvere per radicali l’equazione ciclotomica (7.25). Questa idea verra svilup-pata in modo organico da Galois, anche se questi non citera mai Vandermondeed appare dunque possibile che non conoscesse il suo lavoro se non forse perl’accenno che ne fa Lagrange nel Traite.

7.5 Appendice I

In questa sezione di complemento, dimostriamo i teoremi o formule newtonianeche consentono di trovare la somma delle potenze k-esime delle radici di un’e-quazione algebrica. La dimostrazione e condotta sulla falsariga di [14], Cap.VII. Consideriamo l’equazione a coefficienti reali

p(x) = xn + a1xn−1 + a2x

n−2 + · · · an−1x+ an = 0 (7.41)

e siano x1, x2,...,xn le sue radici, eventualmente complesse. Introduciamo lesomme delle potenze k-esime delle radici di p(x) = 0

sk =

n∑

i=1

xki . (7.42)

Per definizione di radice di un’equazione algebrica possiamo scrivere

p(x) = (x− x1)(x − x2) · · · (x− xn−1)(x− xn)

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7.6. APPENDICE II 183

ed osservare che

p′(x) =p(x)

x− x1

+p(x)

x− x2

+ · · ·+ p(x)

x− xn

.

Ora i quozienti che compaiono a destra di questa equazione possono essere de-terminati esattamente grazie al principio di identita dei polinomi per cui, adesempio,

p(x)

x− x1

= xn−1+(x1+a1)xn−2+(x2

1+x1a1+a2)xn−3+· · ·+(xk

1+a1xk−11 +a2x

k−21 +· · ·+ak)x

n−k−1+· · · .

Trovati similmente tutti gli altri quozienti e dopo aver sommato i risultati siottiene, grazie anche a (7.42),

p′(x) = nxn−1+(s1+na1)xn−2+(s2+s1a1+na2)x

n−3+· · ·+(sk+a1sk−1+a2sk−2+· · ·+nak)xn−k−1+· · · .

D’altra parte, se deriviamo partendo da (7.41), otteniamo

p′(x) = nxn−1 + (n− 1)a1xn−2 + (n− 2)a2x

n−3 + · · ·+ an−1

ed ugualiando le potenze ad ugual esponente di x nelle due espressioni di p′(x)otteniamo

s1 = −a1, s2 = −a1s1 − 2a2 = a21 − 2a2

e, per k < n

sk + a1sk−1 + a2sk−2 + · · ·+ ansn−k + · · ·+ kak = 0

che, ricorsivamente, si puo risolvere esprimendo sk in funzione dei coefficienti di(7.41). I casi k ≥ n o k < 0 possono essere trattati con opportuni artifici per iquali rimando a [14], pp. 85–86. E importante osservare che le sk sono funzionirazionali dei coefficienti di (7.41).

7.6 Appendice II

Mostriamo, ancora seguendo [14], §70, il teorema fondamentale sulle funzionisimmetriche delle radici di un’equazione algebrica come (7.41)Teorema Ogni funzione razionale simmetrica delle radici di un’equazione alge-

brica e in realta esprimibile in funzione dei coefficienti dell’equazione stessa.

Dim. Consideriamo il prodotto smsp nel caso m 6= p: da (7.42) abbiamo

smsp = xm+p1 + x

m+p2 + · · ·+ xm+p

n + xm1 x

p2 + xm

1 xp3 + · · ·+ xm

2 xp3 + · · ·

e dunque

smsp − sm+p =∑

xmj x

pk

dove la somma e intesa su tutti i valori di j e k, con j 6= k ed e dunque unafunzione simmetrica delle radici di (7.41). Dunque, nel caso m 6= p, somme del

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184CAPITOLO 7. METODI GENERALI DI RISOLUZIONE: LAGRANGE E VANDERMONDE

tipo∑

xmj x

pk sono esprimibili solo in termini di sk che sappiamo essere funzioni

solo dei coefficienti di (7.41). Se m = p allora e facile verificare che

xmj x

pk = 2

(xjxk)m = s2m − s2m

ed il teorema e ancora valido. Consideriamo ora somme del tipo

xmj x

pkx

qℓ

dove la somma e intesa su tutte le terne j 6= k 6= ℓ. Ora, ricordando (7.42),abbiamo

sq∑

xmj x

pk = x

m+q1 x

p2 + x

m+q2 x

p3 + · · ·+ x

m+q3 x

p1 + · · ·

+xm1 x

p+q2 ++xm

2 xp+q3 ++xm

3 xp+q1 + · · ·

++ xm1 x

p2x

q3 + · · ·

ed i termini su ogni riga a destra del segno di uguaglianza corrispondono, rispet-tivamente a

xm+qj x

pk,

xmj x

p+qk e

xmj x

pkx

qℓ . Usando i risultati ottenuti al

passo precedente possiamo concludere

xmj x

pkx

qℓ = smspsq − sm+psq − sm+qsp − smsp+q + 2sm+p+q

che ancora mostra il teorema, almeno nel caso j 6= k 6= ℓ. Se almeno due di questiindici coincidono, il risultato permane. Dovrebbe essere chiaro che, iterando ilprocesso e considerando funzioni simmetriche che coinvolgono ad ogni passouna radice in piu di quelle del passo precedente, il teorema e dimostrabile pertutte le funzioni simmetriche delle radici di (7.41) omogenee. Se la funzione none omogenea, basta applicare il teorema ad ogni termine omogeneo presente inessa. Infine, se si ha un quoziente tra funzioni simmetriche, sia il numeratore cheil denominatore debbono separatamente essere funzioni simmetriche e dunqueil teorema e dimostrato per tutte le funzioni razionali simmetriche delle radicidi (7.41).

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185

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