metafisica, a - aristotele critica platone

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Aristotele, Metafisica, A. Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pagg. 51 e segg. La serie delle critiche di Aristotele alle posizioni di Platone e dei Platonici. TESTO 990a 18 œti d pîj de‹ labe‹n a‡tia mn enai t¦ toà ¢riqmoà p£qh kaˆ tÕn ¢riqmÕn tîn kat¦ tÕn oÙranÕn Ôntwn kaˆ gignomšnwn kaˆ ™x ¢rcÁj kaˆ nàn, ¢riqmÕn d' ¥llon mhqšna enai par¦ tÕn ¢riqmÕn toàton ™x oá sunšsthken Ð kÒsmoj; Ótan g¦r ™n tJdˆ mn tù mšrei dÒxa kaˆ kairÕj aÙto‹j Ï, mikrÕn d ¥nwqen À k£- twqen ¢dik…a kaˆ kr…sij À m‹xij, ¢pÒdeixin d lšgwsin Óti toÚtwn mn ›kaston ¢riqmÒj ™sti, sumba…nei d kat¦ tÕn tÒpon toàton ½dh plÁqoj enai tîn sunistamšnwn megeqîn di¦ tÕ t¦ p£qh taàta ¢kolouqe‹n to‹j tÒpoij ˜k£stoij, pÒteron oátoj Ð aÙtÒj ™stin ¢riqmÒj, Ð ™n tù oÙranù, Ön de‹ labe‹n Óti toÚtwn ›kastÒn ™stin, À par¦ toàton ¥lloj; Ð mn g¦r Pl£twn ›teron ena… fhsin· ka…toi k¢ke‹noj ¢riqmoÝj o‡etai kaˆ taàta enai kaˆ t¦j toÚtwn a„t…aj, ¢ll¦ toÝj mn noh- toÝj a„t…ouj toÚtouj d a„sqhtoÚj. TRADUZIONE Inoltre, in che senso si deve intendere che le proprietà del numero e il numero sono cause delle cose che sono nell’universo e delle cose che in esso si producono dall’origine fino ad ora, e che d’altra parte non c’è altro numero fuori di questo numero del quale è costituito il mondo? Infatti, quando essi dicono che in questo dato luogo dell’universo si trovano l’opinione e il momento giusto e un poco al di sopra e un poco al di sotto si trovano l’ingiustizia e la separazione o la mescolanza e come dimostrazione affermano che ciascuna di queste cose è un numero (ma poi accade che in questo luogo del cielo si trovi già una moltitudine di grandezze riunite, per il fatto che queste proprietà del numero che le costituiscono corrispondono a particolari regioni dell’universo): ebbene, si deve forse intendere che questo numero che è nell’universo coincida con ciascuna di quelle cose, oppure che si tratti di un altro numero oltre questo? Platone afferma che è un numero diverso. Eppure, anch’egli ritiene che siano numeri e queste cose e le loro cause; egli, però, ritiene che le cause siano i numeri intelligibili, e che gli altri siano invece numeri sensibili. 9. [Critica di Platone e dei Platonici] Ora lasciamo da parte i Pitagorici, perché quanto COMMENTO 13

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Aristotele vs Platone.

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Page 1: Metafisica, A - Aristotele Critica Platone

Aristotele, Metafisica, A. Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pagg. 51 e segg. La serie delle critiche di Aristotele alle posizioni di Platone e dei Platonici.

TESTO

990a 18 œti d� pîj de‹

labe‹n a‡tia m�n e�nai t¦ toà ¢riqmoà p£qh kaˆ tÕn ¢riqmÕn

tîn kat¦ tÕn oÙranÕn Ôntwn kaˆ gignomšnwn kaˆ ™x ¢rcÁj

kaˆ nàn, ¢riqmÕn d' ¥llon mhqšna e�nai par¦ tÕn ¢riqmÕn

toàton ™x oá sunšsthken Ð kÒsmoj; Ótan g¦r ™n tJdˆ m�n tù

mšrei dÒxa kaˆ kairÕj aÙto‹j Ï, mikrÕn d� ¥nwqen À k£-

twqen ¢dik…a kaˆ kr…sij À m‹xij, ¢pÒdeixin d� lšgwsin Óti

toÚtwn m�n ›kaston ¢riqmÒj ™sti, sumba…nei d� kat¦ tÕn

tÒpon toàton ½dh plÁqoj e�nai tîn sunistamšnwn megeqîn di¦

tÕ t¦ p£qh taàta ¢kolouqe‹n to‹j tÒpoij ˜k£stoij, pÒteron

oátoj Ð aÙtÒj ™stin ¢riqmÒj, Ð ™n tù oÙranù, Ön de‹ labe‹n

Óti toÚtwn ›kastÒn ™stin, À par¦ toàton ¥lloj; Ð m�n g¦r

Pl£twn ›teron e�na… fhsin· ka…toi k¢ke‹noj ¢riqmoÝj o‡etai

kaˆ taàta e�nai kaˆ t¦j toÚtwn a„t…aj, ¢ll¦ toÝj m�n noh-

toÝj a„t…ouj toÚtouj d� a„sqhtoÚj.

TRADUZIONE

Inoltre, in che senso si deve intendere che le

proprietà del numero e il numero sono cause delle cose che sono nell’universo e delle cose che in esso si producono dall’origine fino ad ora, e che d’altra parte non c’è altro numero fuori di questo numero del quale è costituito il mondo? Infatti, quando essi dicono che in questo dato luogo dell’universo si trovano l’opinione e il momento giusto e un poco al di sopra e un poco al di sotto si trovano l’ingiustizia e la separazione o la mescolanza e come dimostrazione affermano che ciascuna di queste cose è un numero (ma poi accade che in questo luogo del cielo si trovi già una moltitudine di grandezze riunite, per il fatto che queste proprietà del numero che le costituiscono corrispondono a particolari regioni dell’universo): ebbene, si deve forse intendere che questo numero che è nell’universo coincida con ciascuna di quelle cose, oppure che si tratti di un altro numero oltre questo? Platone afferma che è un numero diverso. Eppure, anch’egli ritiene che siano numeri e queste cose e le loro cause; egli, però, ritiene che le cause siano i numeri intelligibili, e che gli altri siano invece numeri sensibili.

9. [Critica di Platone e dei Platonici] Ora lasciamo da parte i Pitagorici, perché quanto

COMMENTO

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Page 2: Metafisica, A - Aristotele Critica Platone

Perˆ m�n oân tîn Puqagore…wn ¢fe…sqw t¦ nàn (ƒka-

nÕn g¦r aÙtîn ¤yasqai tosoàton)· oƒ d� t¦j „dšaj a„t…aj

tiqšmenoi prîton m�n zhtoàntej twndˆ tîn Ôntwn labe‹n t¦j

a„t…aj ›tera toÚtoij ‡sa tÕn ¢riqmÕn ™kÒmisan, ésper e‡ tij

¢riqmÁsai boulÒmenoj ™lattÒnwn m�n Ôntwn o‡oito m¾ dun»-

sesqai, ple…w d� poi»saj ¢riqmo…h (scedÕn g¦r ‡sa–À oÙk

™l£ttw–™stˆ t¦ e‡dh toÚtoij perˆ ïn zhtoàntej t¦j a„t…aj ™k

toÚtwn ™p' ™ke‹na proÁlqon· kaq' ›kaston g¦r ÐmènumÒn ti

œsti kaˆ par¦ t¦j oÙs…aj, tîn te ¥llwn œstin �n ™pˆ pol-

lîn, kaˆ ™pˆ to‹sde kaˆ ™pˆ to‹j ¢�d…oij)· œti d� kaq' oÞj trÒ-

pouj de…knumen Óti œsti t¦ e‡dh, kat' oÙqšna fa…netai toÚtwn·

™x ™n…wn m�n g¦r oÙk ¢n£gkh g…gnesqai sullogismÒn, ™x ™n…wn

d� kaˆ oÙc ïn o„Òmeqa toÚtwn e‡dh g…gnetai. kat£ te g¦r

toÝj lÒgouj toÝj ™k tîn ™pisthmîn e‡dh œstai p£ntwn Óswn

™pistÁmai e„s…, kaˆ kat¦ tÕ �n ™pˆ pollîn kaˆ tîn ¢pof£-

sewn, kat¦ d� tÕ noe‹n ti fqaršntoj tîn fqartîn· f£n-

tasma g£r ti toÚtwn œstin. œti d� oƒ ¢kribšsteroi tîn lÒgwn

oƒ m�n tîn prÒj ti poioàsin „dšaj, ïn oÜ famen e�nai kaq'

si è detto a loro riguardo è sufficiente, e passiamo invece ai filosofi che pongono come principi le Forme e le Idee.

(1) In primo luogo, costoro, cercando di cogliere le cause degli esseri sensibili, hanno introdotto entità soprasensibili in numero eguale rispetto ai sensibili: come se uno, volendo contare degli oggetti, ritenesse di non poter far questo finché gli oggetti sono troppo poco numerosi, e, invece, di poterli contare dopo averne aumentato il numero. Le Forme, infatti, sono di numero pressoché uguale – o comunque non inferiore – rispetto a quegli oggetti dai quali questi filosofi, con l’intento di ricercarne quali ne fossero le cause, hanno preso le mosse per risalire a quelle. Infatti per ogni singola cosa esiste una corrispettiva entità avente lo stesso nome; ed è così, oltre che per le sostanze, anche per tutte le altre cose la cui molteplicità è riducibile ad unità: tanto nell’ambito delle cose terrestri, quanto nell’ambito delle eterne.

(2) Inoltre, l’esistenza delle Idee non risulta da nessuna delle argomentazioni che ne adduciamo a prova. Da alcune argomentazioni, infatti, l’esistenza delle Idee non scaturisce quale conclusione necessaria; da altre invece consegue l’esistenza di Forme anche di quelle cose delle quali non ammettiamo che ci siano Forme. Infatti, (a) dalle prove desunte dalle scienze risulterà l’esistenza di Idee di tutte quelle cose che sono oggetto di scienza; (b) dalla prova derivata dalla unità del molteplice, risulterà l’esistenza di Forme anche delle negazioni; (c) e dall’argomento desunto dal fatto che noi possiamo pensare qualcosa anche dopo che si sia corrotto, risulterà l’esistenza di Idee delle cose che

1. Aristotele critica Platone, che sulla scorta dei Pitagorici accetta, con la sua teoria dei numeri ideali, la distinzione fra l’astratto ed il concreto. E, soprattutto, fa dipendere il secondo dal primo. Platone, infatti, rende l’astratto concreto, nel momento in cui attraverso l’attribuzione del medesimo nome separa enti soprasensibili ed enti sensibili, riducendo entrambi a collettori univoci di determinazione (unità del molteplice).

2. Ma la prima attribuzione – quella agli enti soprasensibili - è infondata, perché le scienze presuppongono il loro oggetto e non lo possono considerare come il risultato di un ragionamento sillogistico (universale e necessario). Inoltre l’attribuzione avverrà non solo per i discorsi positivi, ma anche per quelli che contengono una negazione (e così il non-essere sarebbe, contraddittoriamente). Infine l’immaginazione soggettiva rende reale ciò che non lo è più (ciò che si è già corrotto), in maniera ancora contraddittoria (non è più, ma è ancora).

3. Il riferimento costruito con l’immaginazione – il termine univoco di determinazione – fa sì, poi, che anche della variabilità della relazione si istituisca un genere sommo, estremamente riduttivo, rispetto al quale tutto viene ordinato e catalogato. Senza variazione nell’apertura di riferimento – senza molteplicità possibile – la relazione verticale istituita rischia di cadere sotto i colpi della moltiplicazione immaginativa stessa, che concretizzando la relazione stessa crea prima un terzo elemento fra i due iniziali e poi un elemento che sempre si frappone fra quello nuovo e quello iniziale. L’argomento di Zenone spacca l’applicabilità reale della relazione, che non può così istituirsi. E le stesse idee scompaiono quali termini di riferimento superiore, che devono poter essere applicati nel giudizio e nella determinazione ulteriore.

4. Così però rischiano di scomparire pure i principi aristotelici per il giudizio e la determinazione: il principio d’identità e quello di non contraddizione. Se questo modo della relazione scompare, esso, infatti, rischia di trascinare con sé pure quel soggetto medio e mediano, che deve tenere in campo quegli opposti (diade), che sono funzionali alla determinazione stessa ed all’applicabilità del giudizio di identità ed identificazione. Una molteplicità (numero) senza identità e possibile identificazione sostituisce l’essere-

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Page 3: Metafisica, A - Aristotele Critica Platone

aØtÕ gšnoj, oƒ d� tÕn tr…ton ¥nqrwpon lšgousin. Ólwj te

¢nairoàsin oƒ perˆ tîn e„dîn lÒgoi § m©llon e�nai boulÒmeqa

[oƒ lšgontej e‡dh] toà t¦j „dšaj e�nai· sumba…nei g¦r m¾

e�nai t¾n du£da prèthn ¢ll¦ tÕn ¢riqmÒn, kaˆ tÕ prÒj ti

toà kaq' aØtÒ, kaˆ p£nq' Ósa tin�j ¢kolouq»santej ta‹j perˆ

tîn „deîn dÒxaij ºnantièqhsan ta‹j ¢rca‹j. –œti kat¦

m�n t¾n ØpÒlhyin kaq' ¿n e�na… famen t¦j „dšaj oÙ mÒnon

tîn oÙsiîn œstai e‡dh ¢ll¦ pollîn kaˆ ˜tšrwn (kaˆ g¦r tÕ

nÒhma �n oÙ mÒnon perˆ t¦j oÙs…aj ¢ll¦ kaˆ kat¦ tîn ¥l-

lwn ™st…, kaˆ ™pistÁmai oÙ mÒnon tÁj oÙs…aj e„sˆn ¢ll¦ kaˆ

˜tšrwn, kaˆ ¥lla d� mur…a sumba…nei toiaàta)· kat¦ d�

tÕ ¢nagka‹on kaˆ t¦j dÒxaj t¦j perˆ aÙtîn, e„ œsti me-

qekt¦ t¦ e‡dh, tîn oÙsiîn ¢nagka‹on „dšaj e�nai mÒnon. oÙ

g¦r kat¦ sumbebhkÕj metšcontai ¢ll¦ de‹ taÚtV ˜k£-

stou metšcein Î m¾ kaq' Øpokeimšnou lšgetai (lšgw d'

oŒon, e‡ ti aÙtodiplas…ou metšcei, toàto kaˆ ¢�d…ou metšcei,

¢ll¦ kat¦ sumbebhkÒj· sumbšbhke g¦r tù diplas…J

¢�d…J e�nai), ést' œstai oÙs…a t¦ e‡dh· taÙt¦ d� ™ntaàqa

sono già corrotte (infatti di queste rimane in noi una immagine).

(3) Inoltre, alcune delle argomentazioni più rigorose portano ad ammettere l’esistenza di Idee anche delle relazioni, mentre non ammettiamo che delle relazioni esista un genere per sé; altre di queste argomentazioni, invece, portano all’affermazione del <<terzo uomo>>.

(4) In generale, poi, gli argomenti che dimostrano l’esistenza delle Forme conseguono l’effetto di eliminare proprio quei princìpi la cui esistenza ci sta più a cuore che non l’esistenza stessa delle Idee. Infatti, da quegli argomenti risulta che non è anteriore la diade ma il numero e, anche, che ciò che è relativo è anteriore a ciò che è per sé; e risultano, anche, tutte quelle conseguenze alle quali sono pervenuti alcuni seguaci della dottrina delle Forme, in netto contrasto con i loro principi.

(5) Inoltre, in base ai presupposti in funzione dei quali noi affermiamo l’esistenza delle Idee, risulteranno esserci Forme non solo delle sostanze, ma anche di molte altre cose. (Infatti, è possibile ridurre la molteplicità ad una unità di concetto non solo se si tratta di sostanze, ma anche di altre cose; e le scienze non sono solo della sostanza ma anche di altre cose; e si possono trarre anche moltissime altre conseguenze di questi tipo). E invece, secondo la necessità delle premesse e secondo la dottrina stessa delle Idee, se le Forme sono ciò di cui la cose partecipano, devono esserci Idee esclusivamente delle sostanze. Infatti, le cose non partecipano delle Idee per accidente, ma debbono partecipare di ciascuna Idea come di qualcosa che non viene

determinato (per sé), con esiti che successivamente avrebbero potuto essere qualificati come scettici (qui deve essere ricordato il successivo viraggio scettico della Nuova Accademia platonica).

5. L’immagine svincolata di riferimento, creata attraverso l’applicazione e l’uso di un nome o di una predicazione, non troverebbe fondamento senza la sussistenza dell’identità della sostanza e della sua non-contraddizione. La variabilità d’applicazione dell’immagine deve quindi essere ridotta ed adeguata, tramite la necessità di una relazione diretta ed immediata all’oggetto considerato e trattato, con una specie di intuizione intellettuale (partecipazione necessaria, non accidentale). In questo modo la sostanza diviene il sostrato materiale ed intelligibile, il centro di applicazione e predicazione delle ulteriori forme categoriali, nella formazione e formulazione dei giudizi. Viene in tal modo eliminata prima la necessità di dividere l’Uno e la Diade – così come faceva la speculazione dell’ultimo Platone – poi la necessità stessa del loro uso, visto che l’essere-comune che li accosta e li congiunge nell’applicazione della determinazione non può non essere la relazione stabilita necessariamente da tale sostrato, a pena di vedere la determinazione stessa decadere nell’applicazione totalmente arbitraria di un nome o di un predicato.

6. L’idea separata non può essere causa né di movimento, né di trasformazione: di movimento per gli esseri astrali del cielo, di trasformazione per gli esseri sensibili. Infatti esterne alle cose sensibili, esse mancano la loro identità - sia dal punto di vista della conoscenza, che del loro stesso venire ad essere - invece stabilita con sicurezza necessaria dal precedente concetto della sostanza come sostrato, che quindi dimostra almeno larvatamente un certo valore finale o finalizzante.

7. Se anche venisse considerata immanente (Aristotele richiama le riflessioni di Anassagora ed Eudosso), l’idea avrebbe sempre su di sé il valore del principio, dal quale tutte le cose sensibili deriverebbero (secondo la relazione artistica sottesa fra modello ed ente partecipante). In questo modo l’idea sottrarrebbe la necessità di dimostrare la modalità e l’entità del rapporto, che lega ad essa l’ente derivato: la finalità che essa stessa rappresenta per l’operazione di costituzione dell’ente poi esistente dovrebbe assumere su di sé la funzione di causa produttiva, stabilendosi come termine produttivo per somiglianza. Ma per Aristotele la somiglianza non può avere valore causale:

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Page 4: Metafisica, A - Aristotele Critica Platone

oÙs…an shma…nei k¢ke‹· À t… œstai tÕ e�nai ti par¦

taàta, tÕ �n ™pˆ pollîn; kaˆ e„ m�n taÙtÕ e�doj tîn „deîn

kaˆ tîn metecÒntwn, œstai ti koinÒn (t… g¦r m©llon ™pˆ

tîn fqartîn du£dwn, kaˆ tîn pollîn m�n ¢�d…wn dš, tÕ

du¦j �n kaˆ taÙtÒn, À ™p… t' aÙtÁj kaˆ tÁj tinÒj;)· e„ d�

m¾ tÕ aÙtÕ e�doj, Ðmènuma ¨n e‡h, kaˆ Ómoion ésper

¨n e‡ tij kalo‹ ¥nqrwpon tÒn te Kall…an kaˆ tÕ xÚlon,

mhdem…an koinwn…an ™piblšyaj aÙtîn. –p£ntwn d� m£lista

diapor»seien ¥n tij t… pote sumb£lletai t¦ e‡dh to‹j

¢�d…oij tîn a„sqhtîn À to‹j gignomšnoij kaˆ fqeiromšnoij·

oÜte g¦r kin»sewj oÜte metabolÁj oÙdemi©j ™stˆn a‡tia aÙto‹j.

¢ll¦ m¾n oÜte prÕj t¾n ™pist»mhn oÙq�n bohqe‹ t¾n tîn ¥l-

lwn (oÙd� g¦r oÙs…a ™ke‹na toÚtwn· ™n toÚtoij g¦r ¨n Ãn), oÜte

e„j tÕ e�nai, m¾ ™nup£rcont£ ge to‹j metšcousin· oÛtw m�n

g¦r ¨n ‡swj a‡tia dÒxeien e�nai æj tÕ leukÕn memigmšnon

tù leukù, ¢ll' oátoj m�n Ð lÒgoj l…an eÙk…nhtoj, Ön 'Ana-

xagÒraj m�n prîtoj EÜdoxoj d' Ûsteron kaˆ ¥lloi tin�j

œlegon (·®dion g¦r sunagage‹n poll¦ kaˆ ¢dÚnata prÕj

attribuito ad un ulteriore soggetto (faccio un esempio: se qualcosa partecipa del doppio in sé, partecipa anche dell’eterno, ma per accidente: infatti è proprietà accidentale dell’essenza del doppio quella di essere eterna), pertanto (solo) delle sostanze dovranno esserci Forme. Ma ciò che significa sostanza in questo mondo significa sostanza anche nel mondo delle Forme; se così non fosse, che cosa potrebbe mai significare l’affermazione che l’unità del molteplice è qualcosa esistente oltre le cose sensibili? E se è la stessa la forma delle Idee e delle cose sensibili che di esse partecipano, allora ci dovrà essere qiualcosa di comune fra le une e le altre (perché, infatti, ci deve essere una unica ed identica diade comune alle diadi corruttibili e alle diadi matematiche – che sono pure molteplici, ma eterne -, e non comune alla diade in sé e ad una diade sensibile particolare?); e se, invece, la forma non è la stessa, tra le Idee e le cose verrà ad esserci di uguale solamente il nome: nello stesso modo che se uno chiamasse <<uomo>> tanto Callia quanto un pezzo di legno, senza aver osservato fra le due cose nulla di comune.

(6) Ma la difficoltà più grave che si potrebbe sollevare è la seguente: quale vantaggio apportano le Forme agli esseri sensibili, sia a quelli sensibili eterni, sia a quelli soggetti a generazione e a corruzione? Infatti le Forme, rispetto a questi esseri, non sono causa né di movimento né di alcuna mutazione. Per di più, le Idee non giovano alla conoscenza delle cose sensibili (infatti non costituiscono la sostanza delle cose sensibili, altrimenti sarebbero a queste immanenti), né

la somiglianza fra gli enti esistenti non ha un termine comune di riferimento ideale, che ne sia causa produttiva dall’esterno. Questo soprattutto perché sono molteplici la reciproche composizioni capaci di rendere la determinatezza dell’essere e dell’essere conosciuto di qualsiasi termine rappresentativo di un ente esistente (es: uomo come animale bipede implume). Poi in questa funzione terminale e produttiva le idee sarebbero sì produttive di altro, ma anche della propria stessa presenza e manifestazione, con una evidente doppiezza, che diventerebbe contraddizione qualora si continuasse ad utilizzare i termini di “modello” e “copia”. Esse finirebbero per diventare, appunto, nello stesso tempo “modello” e “copia”.

8. La relazione ideale viene dunque sostituita da Aristotele con la causa del movimento e della trasformazione produttiva (causa motrice), che non ha bisogno di un’entità separata, che funga da termine e da modello. Essa abbisogna solamente della sostanza come sostrato materiale ed intelligibile, per il divenire e l’essere della cosa stessa.

9. Nella critica al proporzionamento per somiglianza con valore causale Aristotele inserisce pure la demolizione della stessa relazione formale di proporzionamento, operazione immaginativa e razionale che sissiste fra elementi materiali (sensibili o intelligibili), che vengono presupposti come elementi che devono appunto essere reciprocamente composti in una unità variamente proporzionata. La stessa duplicazione platonica – esistente sensibile, idea - rischia poi di duplicare la medesima modalità pure per il mondo delle entità e dei numeri ideali.

10. Non c’è dunque proporzionamento o rapporto numerico fra quantità elementari a stabilire la realtà e la funzione della vera causa del divenire e dell’essere degli enti. Mentre le operazioni con i numeri finiscono ad un termine e ad una determinazione unica, la molteplicità delle forme resta invariabile. E se la determinazione numerica dovesse essere considerata al livello delle relazioni fra gli elementi unitari, l’accostamento e la somma degli elementi stessi – simili o dissimili che siano – o non avrebbe lo stesso valore della loro integrazione, o non potrebbe nemmeno dare alcuna composizione.

11. Se, poi, il numero dovesse essere mediazione – dovesse cioè assumere su di sé la funzione esplicitata dal soggetto medio e mediante aristotelico, logicamente e ontologicamente fondato ed espresso dal combinato-disposto del principio d’identità e di non-contraddizione –

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Page 5: Metafisica, A - Aristotele Critica Platone

t¾n toiaÚthn dÒxan)· ¢ll¦ m¾n oÙd' ™k tîn e„dîn ™stˆ t«lla

kat' oÙqšna trÒpon tîn e„wqÒtwn lšgesqai. tÕ d� lšgein

parade…gmata aÙt¦ e�nai kaˆ metšcein aÙtîn t«lla keno-

loge‹n ™stˆ kaˆ metafor¦j lšgein poihtik£j. t… g£r ™sti

tÕ ™rgazÒmenon prÕj t¦j „dšaj ¢poblšpon; ™ndšceta… te

kaˆ e�nai kaˆ g…gnesqai Ómoion Ðtioàn kaˆ m¾ e„kazÒmenon

prÕj ™ke‹no, éste kaˆ Ôntoj Swkr£touj kaˆ m¾ Ôntoj gšnoit'

¨n oŒoj Swkr£thj· Ðmo…wj d� dÁlon Óti k¨n e„ Ãn Ð

Swkr£thj ¢�dioj. œstai te ple…w parade…gmata toà aÙtoà,

éste kaˆ e‡dh, oŒon toà ¢nqrèpou tÕ zùon kaˆ tÕ d…poun,

¤ma d� kaˆ tÕ aÙto£nqrwpoj. œti oÙ mÒnon tîn a„sqhtîn

parade…gmata t¦ e‡dh ¢ll¦ kaˆ aÙtîn, oŒon tÕ gšnoj,

æj gšnoj e„dîn· éste tÕ aÙtÕ œstai par£deigma kaˆ

e„kèn. œti dÒxeien ¨n ¢dÚnaton e�nai cwrˆj t¾n oÙs…an kaˆ oá

¹ oÙs…a· éste pîj ¨n aƒ „dšai oÙs…ai tîn pragm£twn oâsai

cwrˆj e�en; ™n d� tù Fa…dwni oÛtw lšgetai, æj kaˆ toà

e�nai kaˆ toà g…gnesqai a‡tia t¦ e‡dh ™st…n· ka…toi tîn e„dîn

Ôntwn Ómwj oÙ g…gnetai t¦ metšconta ¨n m¾ Ï tÕ kinÁson,

all’essere delle cose sensibili, in quanto non sono immanenti alle cose sensibili che di esse partecipano. Se fossero immanenti, potrebbe forse sembrare che fossero causa delle cose sensibili, così come il bianco per mescolanza è causa della bianchezza di un oggetto. Ma questo ragionamento, che per primo Anassagora e poi Eudosso e altri ancora hanno fatto valere, è insostenibile: infatti, contro tale opinione è assai facile adunare molte e assai facili difficoltà.

(7) E, per certo, le cose sensibili non possono derivare dalle Forme in nessuno di quei modi che solitamente vengono indicati. Dire che le Forme sono <<modelli>> e che le cose sensibili <<partecipano>> di esse significa parlare a vuoto e far uso di mere immagini poetiche. (a) Infatti, che cos’è mai ciò che agisce guardando alle Idee? (b) È possibile, infatti, che ci sia o che si generi una qualunque cosa simile ad un’altra, pur senza essere stata modellata ad immagine di questa; sicché potrebbe ben nascere un uomo simile a Socrate, sia che Socrate esista sia che non esista. E sarebbe lo stesso, evidentemente, anche nel caso che ci fosse un <<Socrate eterno>>. (c) Inoltre, per una medesima cosa dovranno esserci numerosi modelli e, di conseguenza, anche numerose Forme: dell’uomo, per esempio, ci saranno le Forme di <<Animale>>, di <<Bipede>>, oltre che di <<Uomo in sé>>. (d) Inoltre, le Forme saranno modelli non solo delle cose sensibili, ma anche di sé medesime: per esempio, il Genere, in quanto Genere, sarà modello delle Forme in esso contenute. Di conseguenza, la medesima cosa verrà ad essere modello e copia.

(8) Inoltre, sembrerebbe impossibile che la

di esso si perderebbe facilmente la possibilità di comprensione e di determinazione/giustificazione, in quanto non mostrerebbe un orizzonte di spiegazione e di scopo, valendo così come medio inspiegato e non finalizzato, scisso e separato dalle entità che dovrebbe spiegare e da quelle dalle quali dovrebbe prendere giustificazione. Un medio quindi alla fine inerte ed inoperabile.

12. Un medio che, nel caso della diade platonica, avrebbe la necessità di riferirsi – contradittoriamente rispetto alla sua principialità – ad una diade ulteriore e superiore, astratta e separata.

13. Resta alla fine il problema massimo: come unire la diade all’Uno?

14. Che vi sia poi un’estensione in relazione alla quale vi siano degli elementi, come capi opposti (ad esempio fuoco e terra), oppure questi stiano nel vuoto, così come si afferma nel caso dei filosofi naturalisti od atomisti, i Platonici identificano l’elemento e l’unità, non aprendo alcuna differenza possibile e, dunque, impedendo alla variabilità del numero di coprire semanticamente quello stesso spazio, che loro stessi assegnavano all’identificazione della natura degli esseri. Senza questo orizzonte di molteplicità la stessa Unità superiore platonica, che sembra stare in se stessa, separata dall’interezza del mondo esistente, non riesce a collegarsi con la molteplicità particolare delle singole unità sostanziali o delle determinazioni d’essere esistenti, a meno di non considerare sussistente un quanto unitario d’essere (un punto ontologico), che proceda da essa stessa come determinazione e che successivamente si componga ulteriormente con le categorie dimensionali (con l’estensione del movimento, per la costituzione della linea, a propria volta determinativa in orizzontale della superficie ed in verticale, attraverso la superficie stessa, del solido tridimensionale). Forse allora è proprio dietro il suggerimento critico di Aristotele, che Platone assoggetta la propria teoria delle idee alla riformulazione critica presente nel Parmenide, mentre il Timeo avrebbe poi costituito la genesi e lo sviluppo delle idee iniziali di tipo geometrico (punto, linea, solido) nella definizione e costruzione deduttiva del mondo naturale, dei suoi soggetti e delle loro reciproche relazioni. Aristotele, però, sembra voler sottolineare qui l’impossibilità di vedere e considerare un’unica specie di unità: l’Unità superiore dei Platonici, se è principio – come principio onto-logico sono per lui l’identità e la non-contraddizione – deve ammettere

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Page 6: Metafisica, A - Aristotele Critica Platone

kaˆ poll¦ g…gnetai ›tera, oŒon o„k…a kaˆ daktÚlioj, ïn oÜ

famen e‡dh e�nai· éste dÁlon Óti ™ndšcetai kaˆ t«lla kaˆ

e�nai kaˆ g…gnesqai di¦ toiaÚtaj a„t…aj o†aj kaˆ t¦ ·h-

qšnta nàn. –œti e‡per e„sˆn ¢riqmoˆ t¦ e‡dh, pîj a‡tioi œson-

tai; pÒteron Óti ›teroi ¢riqmo… e„si t¦ Ônta, oŒon Ðdˆ m�n <Ð>

¢riqmÕj ¥nqrwpoj Ðdˆ d� Swkr£thj Ðdˆ d� Kall…aj; t…

oân ™ke‹noi toÚtoij a‡tio… e„sin; oÙd� g¦r e„ oƒ m�n ¢�dioi oƒ

d� m», oÙd�n dio…sei. e„ d' Óti lÒgoi ¢riqmîn t¢ntaàqa, oŒon ¹

sumfwn…a, dÁlon Óti ™stˆn ›n gš ti ïn e„sˆ lÒgoi. e„ d»

ti toàto, ¹ Ûlh, fanerÕn Óti kaˆ aÙtoˆ oƒ ¢riqmoˆ lÒgoi tin�j

œsontai ˜tšrou prÕj ›teron. lšgw d' oŒon, e„ œstin Ð Kall…aj

lÒgoj ™n ¢riqmo‹j purÕj kaˆ gÁj kaˆ Ûdatoj kaˆ ¢šroj,

kaˆ ¥llwn tinîn Øpokeimšnwn œstai kaˆ ¹ „dša ¢riqmÒj· kaˆ

aÙto£nqrwpoj, e‡t' ¢riqmÒj tij ín e‡te m», Ómwj œstai lÒgoj

™n ¢riqmo‹j tinîn kaˆ oÙk ¢riqmÒj, oÙd' œstai tij di¦ taàta

¢riqmÒj. œti ™k pollîn ¢riqmîn eŒj ¢riqmÕj g…gnetai, ™x

e„dîn d� �n e�doj pîj; e„ d� m¾ ™x aÙtîn ¢ll' ™k tîn ™n

tù ¢riqmù, oŒon ™n tÍ muri£di, pîj œcousin aƒ mon£dej; e‡te

sostanza esista separatamente da ciò di cui è sostanza; di conseguenza, come possono le Idee, se sono sostanze delle cose, esistere separatamente dalle cose? Ma nel Fedone viene affermato proprio questo: che le Forme sono causa dell’essere e del divenire delle cose. Eppure, posto anche che le Forme esistano, le cose che di esse partecipano non si produrrebbero se non ci fosse la causa motrice. E ci sono anche molte cose che si producono – per esempio una casa o un anello – delle quali non ammettiamo che esistano Idee. Di conseguenza, è chiaro che anche tutte le altre cose possono essere e generarsi per opera di cause dello stesso tipo di quelle che producono gli esseri sopra menzionati.

(9) Inoltre, se le Forme sono numeri, in che modo potranno essere cause? Forse perché gli esseri sensibili sono altri numeri? Per esempio, questo dato numero è l’uomo, quest’altro numero è Socrate, quest’altro ancora è Callia? E perché mai quei numeri sono cause di questi? In effetti, il fatto che gli uni siano eterni e gli altri no, non ha alcuna importanza. Se la ragione, invece, sta nel fatto che le cose sensibili sono costituite da rapporti numerici (come per esempio l’armonia), allora è chiaro che esiste un qualcosa di cui i numeri sono rapporto. E se c’è questo qualcosa – cioè la materia -, è evidente che gli stessi numeri ideali saranno costituiti da determinati rapporti di qualche altra cosa con qualcos’altro. Per esempio, se Callia è un rapporto numerico di fuoco, terra, acqua e aria, anche l’Idea dovrà essere un rapporto numerico di certi altri elementi aventi funzione di sostrato. E l’uomo in sé – sia esso un determinato numero o no – sarà similmente un

necessariamente una forma inferiore di unità molteplice, da essa derivata e distinta. Ma anche separata? Come si può pensare facilmente, ritornano qui tutti i problemi precedentemente enucleati da Aristotele stesso, sinteticamente enunciabili attraverso la domanda: <<Ciò che è distinto può anche essere separato?>>

15. L’applicazione della stessa funzione oppositiva di tipo immaginativo e dimensionale platonica – chiuso vs. aperto, ampio vs. ristretto, superiore vs. inferiore (corto/lungo, largo/stretto, alto/basso) – necessita di un ancoraggio iniziale, diagonale, appunto rappresentato da quella necessaria determinazione d’essere precedentemente sviluppata ed indicata. È qui che nasce quella tradizione speculativa occidentale che, accorpando necessità ed unità, offre un orizzonte di continuità, il quale a sua volta impedisce variazione (differenza e finalità) che non sia prevista e precostituita all’interno di un coro concorde di molteplicità determinative superiori. Basti qui ricordare le intelligenze superiori, poi angeliche medievali. Aristotele contrasta questa posizione platonica, giocando sin dal livello immaginativo ed estensivo sulla separazione fra il piano orizzontale e quello verticale: essi sono piani incomponibili, perché il medio aristotelico è altro rispetto a quello platonico. Quello platonico infatti è sdoppiato e diviso: deve tenere insieme quello che sarà il medio aristotelico – il soggetto ontologico e cosmologico, che tiene insieme l’alto con il basso – con la superiore determinazione d’essere, che diviene e si sviluppa secondo la propria finalità interna. Ma quest’<<interno>> e quell’<<esterno>> non riescono a stare insieme. G.W.F Hegel mostrerà come soluzione a questo problema la definizione della Natura come Spirito che è altro da se stesso. Ma per farlo dovrà precostituire il fine di una loro necessaria ricomposizione rovesciata: lo Spirito in sé e per sé come rirovesciamento del rovesciamento iniziale, come Altro dall’Altro che era prima, ricongiunto sì a sé, ma trasformato come Natura spirituale, ora razionalmente tesa a far valere l’interiorità immanente del potere collettivo (lo Stato). Qui, però, l’idea si farà rappresentazione e realtà astratta, divisa e separata, come bene K. Marx riuscirà a vedere e a criticare. Fichte e Schelling, manterranno invece il senso dell’apertura determinativa ideale e reale, mentre Schopenhauer e Nietzsche dirigeranno il proprio sguardo verso la causa originaria, creativa e dialettica. Ma Aristotele aggiunge un elemento argomentativo importantissimo per la storia della filosofia successiva – si

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g¦r Ðmoeide‹j, poll¦ sumb»setai ¥topa, e‡te m¾ Ðmoei-

de‹j, m»te aÙtaˆ ¢ll»laij m»te aƒ ¥llai p©sai p£-

saij· t…ni g¦r dio…sousin ¢paqe‹j oâsai; oÜte g¦r eÜloga

taàta oÜte ÐmologoÚmena tÍ no»sei. œti d' ¢nagka‹on ›teron

gšnoj ¢riqmoà kataskeu£zein perˆ Ö ¹ ¢riqmhtik», kaˆ

p£nta t¦ metaxÝ legÒmena ØpÒ tinwn, § pîj À ™k t…nwn

™stˆn ¢rcîn; À di¦ t… metaxÝ tîn deàrÒ t' œstai kaˆ

aÙtîn; œti aƒ mon£dej aƒ ™n tÍ du£di ˜katšra œk tinoj

protšraj du£doj· ka…toi ¢dÚnaton. œti di¦ t… �n Ð ¢riqmÕj

sullambanÒmenoj; œti d� prÕj to‹j e„rhmšnoij, e‡per e„sˆn

aƒ mon£dej di£foroi, ™crÁn oÛtw lšgein ésper kaˆ Ósoi t¦

stoice‹a tšttara À dÚo lšgousin· kaˆ g¦r toÚtwn ›kastoj oÙ

tÕ koinÕn lšgei stoice‹on, oŒon tÕ sîma, ¢ll¦ pàr kaˆ gÁn,

e‡t' œsti ti koinÒn, tÕ sîma, e‡te m». nàn d� lšgetai æj Ôntoj

toà ˜nÕj ésper purÕj À Ûdatoj Ðmoiomeroàj· e„ d' oÛtwj, oÙk

œsontai oÙs…ai oƒ ¢riqmo…, ¢ll¦ dÁlon Óti, e‡per ™st… ti �n

aÙtÕ kaˆ toàtÒ ™stin ¢rc», pleonacîj lšgetai tÕ ›n· ¥l-

lwj g¦r ¢dÚnaton. –boulÒmenoi d� t¦j oÙs…aj ¢n£gein e„j t¦j

rapporto numerico di certi elementi, e non semplicemente numero; e, per queste ragioni, non potrà essere un numero.

(10) Inoltre da molti numeri si produce un numero unico; ma come può prodursi da molte forme un’unica Forma? E se, invece, i numeri non sono formati dai numeri stessi ma dalle unità che sono contenute nel numero – per esempio nel diecimila -, allora come saranno queste unità? Infatti, se sono della stessa specie, si cadrà in assurde conseguenze. E se non sono della stessa specie né le unità appartenenti allo stesso numero considerate l’una rispetto all’altra né le altre appartenenti a numeri diversi paragonate tra loro, si cadrà ugualmente in assurde conseguenze. Infatti, in che modo potranno distinguersi l’una dall’altra, dal momento che non hanno determinazioni qualitative? Queste affermazioni non sono ragionevoli né coerenti.

(11) Inoltre, è necessario ammettere un secondo genere di numero: quello di cui tratta l’aritmetica e tutti quegli oggetti che alcuni denominano <<intermedi>>. Ma, questi, in che modo esistono e da quali princìpi derivano? E perché mai devono esistere <<intermedi>> fra le cose di quaggiù e le realtà in sé.

(12) Inoltre, le unità che sono contenute nella diade, dovrebbero derivare, ciascuna, da una diade anteriore. Ma questo è impossibile.

(13) Inoltre, in virtù di che cosa il numero, essendo composto, è qualcosa di unitario?

(14) Inoltre alle cose dette si deve aggiungere anche questo: se le unità sono differenti, bisognava parlare, a questo riguardo, nello stesso modo in cui

pensi solo alla speculazione di Plotino e alla funzione generativa e sovrabbondante portata dall’ipostasi dell’Uno: lo stesso concetto platonico di numero è esorbitante rispetto all’inscatolamento progressivo delle grandezze platoniche. Il numero esprime una potenza illimitata, infinita. Da qui al concetto dell’infinito potenziale, appunto della serie numerica, il passo sarà veramente breve … Come pure al concetto dell’infinito attuale, appunto divino. Lo stesso Cusano si incamminerà lungo questa strada, rimanendo però ancora intrappolato dalla prevalenza immaginativa del fattore estensivo e non procedendo – come avrebbe invece fatto Giordano Bruno – a dissolvere la relazione ipostatica fra infinito e finito, per la riscoperta dell’infinito insieme creativo e doppiamente dialettico (Spirito di una Natura razionale e materiale che diviene). Nello stesso tempo Aristotele pare prevenire questa soluzione – quando sostiene che il <<largo>> non è genere del <<profondo>> - in quanto preferisce comunque far assorbire dai platonici il proprio medio alla riduzione collettiva ed unitaria delle molteplicità, piuttosto che rischiare di riesumare quella soluzione presocratica, che ripristinerebbe l’attrazione del soggetto profondo (generativo) sull’orizzonte di senso e di significazione immaginativo e razionale, aperto da Platone e comunque seguito da Aristotele. Aristotele, quindi, cancella dalla visione intellettuale una possibile alternativa – quella presocratica – per mostrare il rischio negativo rappresentato dalle soluzioni apportate dalla scuola platonica: la riduzione del suo medio all’orizzonte collettivo retto dall’Unità distinta e separata. Il suo medio diverrebbe allora pienamente aderente e riempito dalla somma delle determinazioni collettive ed unitarie, rette dall’Uno in sé. Come sempre non è difficile notare la sorgente politica di questa, come delle altre argomentazioni filosofiche.

16. Resa scoperta la derivazione platonica, negata o nascosta da Platone stesso, Aristotele ha dunque buon gioco nel mostrare che la prima immagine estensiva platonica – quella della linea – è in realtà una partizione che sopraggiunge, dove il limite pone il contenuto, il quanto d’essere si estende sino a riempire tutto lo spazio - prima vuoto o privo di materia visibile - predisposto. Una materia invisibile che diventa quindi visibile: uno spazio dell’immaginazione distaccato, separato e prioritario, che orienta all’Unità superiore la propria stessa formazione e comparsa.

17. Ma l’essere ricorda Aristotele è il venire ad essere: è l’unità

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¢rc¦j m»kh m�n t…qemen ™k bracšoj kaˆ makroà, œk tinoj

mikroà kaˆ meg£lou, kaˆ ™p…pedon ™k platšoj kaˆ stenoà,

sîma d' ™k baqšoj kaˆ tapeinoà. ka…toi pîj ›xei À tÕ ™p…-

pedon gramm¾n À tÕ stereÕn gramm¾n kaˆ ™p…pedon; ¥llo

g¦r gšnoj tÕ platÝ kaˆ stenÕn kaˆ baqÝ kaˆ tapeinÒn·

ésper oân oÙd' ¢riqmÕj Øp£rcei ™n aÙto‹j, Óti tÕ polÝ kaˆ

Ñl…gon ›teron toÚtwn, dÁlon Óti oÙd' ¥llo oÙq�n tîn ¥nw

Øp£rxei to‹j k£tw. ¢ll¦ m¾n oÙd� gšnoj tÕ platÝ toà ba-

qšoj· Ãn g¦r ¨n ™p…pedÒn ti tÕ sîma. œti aƒ stigmaˆ ™k

t…noj ™nup£rxousin; toÚtJ m�n oân tù gšnei kaˆ diem£ceto

Pl£twn æj Ônti gewmetrikù dÒgmati, ¢ll' ™k£lei ¢rc¾n

grammÁj–toàto d� poll£kij ™t…qei–t¦j ¢tÒmouj gramm£j.

ka…toi ¢n£gkh toÚtwn e�na… ti pšraj· ést' ™x oá lÒgou gramm¾

œsti, kaˆ stigm¾ œstin. –Ólwj d� zhtoÚshj tÁj sof…aj perˆ

tîn fanerîn tÕ a‡tion, toàto m�n e„£kamen (oÙq�n g¦r lšgomen

perˆ tÁj a„t…aj Óqen ¹ ¢rc¾ tÁj metabolÁj), t¾n d' oÙs…an

o„Òmenoi lšgein aÙtîn ˜tšraj m�n oÙs…aj e�na… famen, Ópwj

d' ™ke‹nai toÚtwn oÙs…ai, di¦ kenÁj lšgomen· tÕ g¦r metšcein,

parlano quei filosofi che ammettono quattro o due elementi. Infatti ciascuno di questi filosofi non intende per elemento ciò che è comune, per esempio il corpo in generale, ma intende per elementi il fuoco e la terra, sia che esista qualcosa di comune fra loro – il corpo, appunto – sia che non esista. Ora, invece, i Platonici parlano come se l’unità fosse omogenea, come il fuoco o la terra. Se così è, i numeri non saranno sostanze; ma è chiaro che, se esiste una Unità in sé, e se questa è principio, allora l’unità si intende in molti significati diversi. Altrimenti sarebbe impossibile.

(15) Volendo ricondurre le sostanze ai nostri princìpi, noi facciamo derivare le lunghezze dal <<corto e lungo>> (cioè da una specie di piccolo e grande), la superficie dal <<largo e stretto>> e il corpo dall’<<alto e basso>>. Ma come potrà la superficie contenere la linea, e come il solido potrà contenere la linea e la superficie? Infatti <<largo e stretto>> costituiscono un genere diverso rispetto ad <<alto e basso>>. Dunque, così come il numero non è contenuto nelle grandezze geometriche, in quanto il <<molto e poco>> è un genere diverso da queste, è evidente che neppure nessun altro dei generi superiori potrà essere contenuto negli inferiori. E, invero, neppure si può dire che il <<largo>> sia genere del <<profondo>>, altrimenti il solido si ridurrebbe a una superficie.

(16) Inoltre, da che cosa deriveranno i punti contenuti nella linea? Platone contestava l’esistenza di questo genere di enti, pensando che si trattasse di una pura nozione geometrica: egli chiamava i punti <<principio della linea>>, e spesso anche usava

del divenire con l’essere. È quindi movimento, la cui causa non può essere ritrovata volgendo il nostro sguardo alla superiorità di quell’Unità, quanto piuttosto alla medietà delle ragioni reali di generazione, trasformazione (crescita, alimentazione, sviluppo) e corruzione degli enti esistenti stessi.

18. Ragioni reali che non possono essere separate dagli esseri che determinano alla vita, al movimento ed all’intelligenza. Con un riferimento alla tripartizione dell’anima (cfr. De Anima), qui il ragionamento di Aristotele pare implicare quei concetti, che la successiva speculazione stoica indicherà con l’espressione lÒgoi spermatikÒi.

19. Quindi, per riassumere, Aristotele presenta in rapida serie due delle sue cause o principi – la causa del movimento e la causa finale (sia naturale, che intelligibile) – per definire e determinare il proprio orizzonte di riferimento che, contrariamente ai Platonici, non prevede il processo di differenziazione quantitativa e qualitativa proposto attraverso la diade grande-piccolo, quanto invece – come si indicava in precedenza – la presenza di un soggetto medio e mediante – il sostrato materiale e intelligibile (la materia e la sostanza) - che operi e lavori per l’identificazione attraverso una ben precisa ed adeguata differenza distaccata. Anche qui Aristotele si preoccupa di smarcarsi però dalla posizione espressa dai presocratici, con la sua valenza oppositiva di apertura (il raro) e di concentrazione (il denso), preferendo oscurare la radice profonda del processo creativo e dialettico.

20. Se, infatti, il movimento sembra essere congiunto in maniera inscindibile alla radice originaria (creativa e dialettica) dei Presocratici, costituendo in tal modo un esempio – come direbbe Giordano Bruno – di stabilissimo moto metafisico, il movimento dei Platonici viene sussunto ed assorbito dalle idee, coinvolgendole dunque nel movimento stesso. Ma se le idee permangono nella loro condizione eterna di stabilità, allora – si chiede Aristotele – da dove proviene il movimento? Il movimento ha bisogno di una condizione prima di stabilità, dalla quale e rispetto alla quale il movimento possa essere generato ed alla quale possa essere poi anche rivolto? Si pensi qui all’azione produttiva per il mondo sub-lunare del calore e della luce solare. I Platonici determinano il mondo naturale dalla stabilità delle idee e dai numeri, proiettando dall’alto verso il basso questa forma di determinazione e definizione. Ma in questo modo non colgono il movimento naturale in sé: anzi, addirittura lo annullano. È invece in questo spazio in

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ésper kaˆ prÒteron e‡pomen, oÙqšn ™stin. oÙd� d¾ Óper ta‹j

™pist»maij Ðrîmen ×n a‡tion, di' Ö kaˆ p©j noàj kaˆ p©sa

fÚsij poie‹, oÙd� taÚthj tÁj a„t…aj, ¼n famen e�nai m…an

tîn ¢rcîn, oÙq�n ¤ptetai t¦ e‡dh, ¢ll¦ gšgone t¦ maq»-

mata to‹j nàn ¹ filosof…a, faskÒntwn ¥llwn c£rin

aÙt¦ de‹n pragmateÚesqai. œti d� t¾n Øpokeimšnhn oÙs…an

æj Ûlhn maqhmatikwtšran ¥n tij Øpol£boi, kaˆ m©llon

kathgore‹sqai kaˆ diafor¦n e�nai tÁj oÙs…aj kaˆ tÁj Ûlhj

À Ûlhn, oŒon tÕ mšga kaˆ tÕ mikrÒn, ésper kaˆ oƒ fusio-

lÒgoi fasˆ tÕ manÕn kaˆ tÕ puknÒn, prètaj toà Øpokeimšnou

f£skontej e�nai diafor¦j taÚtaj· taàta g£r ™stin Øperoc»

tij kaˆ œlleiyij. per… te kin»sewj, e„ m�n œstai taàta k…nhsij,

dÁlon Óti kin»setai t¦ e‡dh· e„ d� m», pÒqen Ãlqen; Ólh

g¦r ¹ perˆ fÚsewj ¢nÇrhtai skšyij. Ó te doke‹ ·®dion

e�nai, tÕ de‹xai Óti �n ¤panta, oÙ g…gnetai· tÍ g¦r ™kqšsei

oÙ g…gnetai p£nta �n ¢ll' aÙtÒ ti ›n, ¨n didù tij p£nta·

kaˆ oÙd� toàto, e„ m¾ gšnoj dèsei tÕ kaqÒlou e�nai· toàto d'

™n ™n…oij ¢dÚnaton. oÙqšna d' œcei lÒgon oÙd� t¦ met¦ toÝj

l’espressione <<linee indivisibili>>. D’altra parte, è necessario che ci sia un limite delle linee; e, di conseguenza, l’argomento che dimostra l’esistenza della linea, dimostra anche l’esistenza del punto.

(17) E, in generale, mentre la sapienza ha come oggetto di ricerca la causa dei fenomeni, noi abbiamo trascurato proprio questo (infatti, non diciamo nulla della causa da cui deriva il movimento) e, credendo di esprimere la sostanza di essi, affermiamo l’esistenza di altre sostanze. Ma quando si tratta di spiegare il modo in cui queste ultime sono sostanze di quelle, parliamo a vuoto. Infatti l’espressione <<partecipare>>, come già abbiamo detto sopra, non significa nulla.

(18) E neppure a quella che vediamo essere causa nelle scienze e in vista della quale agisce ogni intelligenza e ogni natura, neppure a questa causa (che noi affermiamo essere uno dei (quattro) princìpi) le Forme si riconnettono in alcun modo. Invece, per i filosofi d’oggi, sono diventate filosofia le matematiche, anche se essi proclamano che bisogna occuparsi di esse solo in funzione di altre cose.

(19) Inoltre, si potrebbe ben dire che la sostanza che funge da sostrato materiale – ossia il grande e il piccolo – è troppo matematica e che è piuttosto un attributo e una differenza della sostanza e della materia che non una materia, appunto come il <<raro>> e il <<denso>> di cui parlano i filosofi naturalisti e che essi considerano come le prime differenze del sostrato. (Queste sono, infatti, una specie di eccesso e di difetto).

(20) Per quanto riguarda il movimento, poi, se queste differenze sono movimento, è evidente che le

sé della Natura – ricorda la definizione della Natura come in sé da parte di G.W.F. Hegel - che Aristotele colloca il suo soggetto medio e mediante.

21. Essi infatti predispongono fuori ed in alto una forma di cuspide superiore – l’Uno-in-sé (cfr. il Parmenide platonico) – che progressivamente sembra comparire e scomparire, per lasciare alla fine lo spazio della libertà relativa. Aristotele richiama qui – credo - le singole e successive ipotesi presentate da Platone appunto nel suo dialogo intitolato Parmenide: 1. se l’Uno è uno; 2. Se l’Uno è; 3. Se l’Uno è e non è; 4. Se l’Uno non è. Il venire alla determinazione d’essere, che si raggiunge per Platone attraverso la coppia opposta di idee somiglianza/dissomiglianza, costituisce la base iniziale per la dimostrazione della funzionalità della teoria delle idee e della modalità della partecipazione ad esse degli enti che vengono ad esistere. Oltre le critiche alle idee ed alla modalità partecipativa, che saranno accolte dallo stesso Aristotele, Parmenide/Platone indica la sussistenza assolutamente negativa dell’Uno come uno, mentre assegna all’Essere la funzione di orizzonte di comprensione della molteplicità delle differenze di determinazione dell’Essere stesso. L’Essere stesso appare diviso fra il tutto che è e le parti che sono, differentemente. Questo processo dà luogo alla numerazione ed al riferimento superiore ed individuato delle differenze stesse (alle ragioni vere e reali delle cose nella loro stessa determinazione). L’identità molteplice raggiunta nell’orizzonte dell’Essere stabilisce lo spazio di limitazione e definizione all’interno del quale le cose sono chiamate a sussistere. Esse vengono dunque generate, mosse e finalizzate in questo stesso spazio, che diventa quindi spazio per la stabilità dell’orizzonte e per il divenire (divenire continuamente altro e diversamente) delle cose. È questo spazio – spazio della dialettica verticale - alla fine che consente l’inserimento della coppia opposta simile/dissimile, tramite la quale si organizza una dialettica ora anche orizzontale. L’unità d’orizzonte stabilisce quindi anche la reciproca estraniazione delle cose ed il reciproco raggiungimento di un’identità diversa (“contatto” e “distacco”). Come pure stabilirà il termine di riferimento comune per l’immediata eguaglianza o per la reciproca diversificazione. Sarà tutto il tempo nella sua continuità ininterrotta e nello stesso tempo tutte le possibili determinazioni di tempo (secondo la tendenza del futuro o la memoria del passato o secondo la presenza). Ma il divenire altro e diversamente richiede la possibilità di un

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¢riqmoÝj m»kh te kaˆ ™p…peda kaˆ stere£, oÜte Ópwj œstin À

œstai oÜte t…na œcei dÚnamin· taàta g¦r oÜte e‡dh oŒÒn te e�nai

(oÙ g£r e„sin ¢riqmo…) oÜte t¦ metaxÚ (maqhmatik¦ g¦r

™ke‹na) oÜte t¦ fqart£, ¢ll¦ p£lin tštarton ¥llo fa…-

netai toàtÒ ti gšnoj. Ólwj te tÕ tîn Ôntwn zhte‹n stoice‹a

m¾ dielÒntaj, pollacîj legomšnwn, ¢dÚnaton eØre‹n, ¥llwj

te kaˆ toàton tÕn trÒpon zhtoàntaj ™x o†wn ™stˆ stoice…wn.

™k t…nwn g¦r tÕ poie‹n À p£scein À tÕ eÙqÚ, oÙk œsti d»pou

labe‹n, ¢ll' e‡per, tîn oÙsiîn mÒnon ™ndšcetai· éste tÕ tîn

Ôntwn ¡p£ntwn t¦ stoice‹a À zhte‹n À o‡esqai œcein oÙk ¢lh-

qšj. pîj d' ¥n tij kaˆ m£qoi t¦ tîn p£ntwn stoice‹a;

dÁlon g¦r æj oÙq�n oŒÒn te proãp£rcein gnwr…zonta prÒte-

ron. ésper g¦r tù gewmetre‹n manq£nonti ¥lla m�n ™n-

dšcetai proeidšnai, ïn d� ¹ ™pist»mh kaˆ perˆ ïn mšllei

manq£nein oÙq�n progignèskei, oÛtw d¾ kaˆ ™pˆ tîn ¥llwn,

ést' e‡ tij tîn p£ntwn œstin ™pist»mh, o†an d» tinšj fasin,

oÙq�n ¨n proãp£rcoi gnwr…zwn oátoj. ka…toi p©sa m£qhsij di¦

progignwskomšnwn À p£ntwn À tinîn ™st…, kaˆ ¹ di' ¢pode…xewj

Forme si muoveranno. E se non lo sono, da dove è venuto il movimento? In tal modo verrà soppressa nella sua totalità l’indagine intorno alla natura.

(21) La dimostrazione, poi, che tutte le cose costituiscono una unità – dimostrazione che pur sembra essere facile – non raggiunge il suo scopo: infatti, dalla loro prova per <<ectesi>> non risulta che tutte le cose siano una unità, ma solo che c’è un certo Uno-in-sé, se si concede che tutti i loro presupposti siano veri; anzi, neppure questo risulta, se non si concede che l’universale sia un genere: questo, infatti, in alcuni casi è impossibile.

(22) Né sanno dar ragione degli enti che sono posteriori ai numeri – ossia le lunghezze, le superfici e i solidi -: né del perché esistono od esistettero, né della funzione che essi hanno. Infatti non è possibile che queste siano Forme (perché non sono numeri); né è possibile che siano enti intermedi (questi, infatti, sono oggetti matematici); né è possibile che siano cose corruttibili: pare, dunque, che si tratti di un nuovo genere di realtà, cioè di un quarto genere.

(23) In generale, ricercare gli elementi degli esseri senza aver distinto i molteplici sensi in cui si intende l’essere, significa compromettere la possibilità di trovarli, specialmente se ciò che si ricerca in questo modo sono gli elementi di cui gli esseri risultano costituiti. Non è certamente possibile ricercare di quali elementi sia costituito il fare o il patire o il dritto, ma, se mai questo è possibile, lo è unicamente per le sostanze. Sicché, cercare gli elementi di tutti gli esseri o credere di averli trovati è un errore.

(24) E come si potrebbero apprendere, poi, gli

duplice non-essere: di tendenza e reciprocamente laterale. L’apertura creativa resta libera di determinarsi relativamente alla molteplicità ideale. Siamo così giunti all’ultima delle ipotesi: se l’Uno non è. In quest’ultimo caso l’analisi dialettica indica la libera diversità in relazione al sopraggiungere della determinazione. Così l’essere che diviene – l’essere naturale secondo l’impostazione aristotelica – rimane racchiuso all’interno di un orizzonte stabile, che ne limita e finalizza i possibili movimenti di reciproca realizzazione e trasformazione. Nel caso invece che il non-essere dell’Uno sia assoluto (e non relativo come in precedenza), allora si ricadrebbe nella situazione della materia indifferenziata, dove tutto sembra ancora privo di quella determinazione che invece assumerebbe nel caso passasse all’essere. Oltre a questa situazione pare sussistere solamente un nulla assoluto. Essere e non-essere il tutto da parte delle singole determinazioni d’essere è quindi il destino necessario e fatale, nel momento in cui si abbandoni la posizione espressa comunemente dai pensatori che precedono i Sofisti e Socrate: la posizione che presentava un infinito immediatamente creativo e dialettico, che mantenesse sempre illimitatamente aperta la dimensione della libertà razionale e naturale. Platone invece pensa di concretizzare – dopo la figura del sapiente-re - attraverso la funzione d’orizzonte comune dell’Essere una relazione necessariamente determinativa, sia sul piano razionale che naturale. Tutto ciò avrebbe portato con il Filebo ed i suoi quattro generi dell’Essere – finito, infinito, misto e causa della mescolanza - a giustificare la critica di Aristotele, qui presentata. Se, infatti, l’orizzonte dell’Uno che si fa Essere deve trovare la sua determinazione propria – l’universale – attraverso il genere della de-terminazione, allora lo spazio dell’opposizione – l’in-finito – sarà conquistato da un rapporto verticale e finale univoco, da un essere <<misto>> e da una <<causa della mescolanza>> che non prevede differenza ed apertura. L’infinito come moltiplicazione soverchiante (cfr. l’Uno di Plotino) viene assoggettato ad un procedimento diairetico, che predispone la verticalizzazione e l’univocità delle determinazioni singole (individuazioni per genere e specie). Aristotele pare, invece, anticipare qui che l’Essere si debba dire in molti modi. L’infinito resterà per Platone non soverchiante, ma necessariamente organizzato. L’infinito in Aristotele, invece, tenderà ad assumere proprio la valenza della numerosità senza limite. In questo senso per Aristotele l’universale può non essere un genere, se l’essere un genere

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<kaˆ> ¹ di' Ðrismîn (de‹ g¦r ™x ïn Ð ÐrismÕj proeidšnai kaˆ

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elementi di tutte le cose? In effetti, è evidente che in precedenza non si dovrebbe possedere alcuna conoscenza. Infatti, nello stesso modo che chi impara geometria può ben avere altre conoscenze, ma di quelle cose di cui tratta questa scienza e che egli vuol imparare non ha in precedenza conoscenze, così avviene anche per tutte le altre scienze. Di conseguenza, se ci fosse una scienza di tutte le cose, quale alcuni affermano, colui che la impara dovrebbe, in precedenza, non sapere niente. Invece, ogni tipo di apprendimento ha luogo mediante conoscenze che precedono totalmente o parzialmente; e questo, sia che si proceda per via di definizione (occorre infatti che gli elementi di cui consta la definizione siano in precedenza conosciuti e noti); e così avviene anche per la conoscenza per via di induzione. Se, poi, questa conoscenza fosse innata, sarebbe cosa ben strana, perché possederemmo, senza saperlo, la più elevata delle scienze.

(25) Inoltre, come sarà possibile conoscere gli elementi di cui le cose sono costituite, e come ciò potrà risultare evidente? Anche questo è un problema. Si potrà sempre discutere su questo punto, così come a proposito di certe sillabe: alcuni dicono, infatti, che la sillaba ZA è composta da D, S, A: altri sostengono, invece, che si tratta di un suono distinto e che non è riducibile ad alcuno dei suoni conosciuti.

(26) Inoltre, come si potranno conoscere gli oggetti dati dalla sensazione, senza avere la sensazione stessa? Eppure dovrebbe essere così, se gli elementi di cui sono costituite tutte le cose sono gli stessi, così come tutti i suoni composti risultano dai suoni elementari.

comporta per lui la riduzione previa ad una determinazione prima, che escluda la sussistenza ben reale di altre ragioni determinatrici.

22. Queste altre ragioni determinatrici rendono conto del fatto che gli enti disposti in una condizione inferiore e successiva, non possano accogliere la determinazione quantitativa e combinatrice proposta dalla scuola platonica, così come si è già visto in precedenza.

23. Mentre, quindi, Platone è il filosofo della chiusura, Aristotele diventa il pensatore che salvaguarda una sorta di apertura, anche se certamente e con grande attenzione non quella precedentemente affermata dai Presocratici, che invece si perita quasi sempre di cancellare dal novero delle possibili alternative. Così l’apertura delle differenze aristotelica conserva una certa dose di restrizione privilegiata: la regolazione primaria costituita dalla serie delle principali categorie non può infatti essere assoggettata al sopraggiungere della determinazione, così come avrebbe invece voluto un filosofo, che seguisse la metodologia d’intervento razionale platonica.

24. Così la determinazione d’essere – che anche Aristotele accetta – deve provenire dall’applicazione dei due principi d’identità e di non-contraddizione e deve risolversi nella delimitazione e definizione di sostanze singole e non universali. Gli universali infatti restano fuori da ogni determinazione d’essere, perché prioritariamente funzionali - come categorie - alla determinazione astratta dei modi di esistenza delle sostanze singole. Senza questa prioritaria funzionalità non si potrebbe parlare della possibilità di un apprendimento, ovverosia del passaggio da una condizione di ignoranza ad una di conoscenza. In questo senso l’apprendimento aristotelico muove per primo dall’applicazione lineare e consequenziale dell’ordine delle categorie, per procedere al successivo uso dello strumento linguistico di nominazione e di primo giudizio (il genere e la specie nella “definizione”) e per concludersi – attraverso l’uso intermedio dell’induzione - nell’applicazione fondata e ragionata del meccanismo sillogistico. Non può dunque esistere una sapienza superiore e prima, univocamente determinante nei confronti di tutte le altre discipline scientifiche, proprio perché questa forma di sapienza avrebbe i connotati e le caratteristiche della sapienza platonica e, soprattutto, della sua modalità univocizzante. Resta in Aristotele la richiesta dell’universalità e della necessità per la conoscenza, ma decade la necessità di una forma primaria e cogente, costringente, per la conoscenza

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ti prÕj t¦j Ûsteron ¢por…aj. 993a 27

10. [Conclusioni] Dunque, da ciò che sopra si è detto, risulta

evidente che tutti i filosofi sembrano aver ricercato le cause da noi stabilite nella Fisica, e che non si può parlare di alcun’altra causa all’infuori di queste. Ma essi hanno parlato di queste cause in maniera confusa. E, in un certo senso, tutte da loro sono state menzionate, mentre in un altro senso non sono state affatto menzionate. La filosofia primitiva, infatti, sembra che balbetti su tutte le cose, essendo essa giovane e ai suoi primi passi.

Così Empedocle afferma che l’osso esiste in virtù di un rapporto (formale). Ora, questo non è altro che l’essenza e la sostanza della cosa. Ma, similmente, è necessario o che anche la carne e ciascuna delle altre cose sia in virtù di un rapporto, oppure che non lo sia nessuna. Allora, e carne e ossa e ciascuna delle altre cose saranno in virtù di questo rapporto, e non in virtù della materia che Empedocle ammette, ossia fuoco, terra, acqua e aria. Ma Empedocle avrebbe di necessità accettato questo, se altri glielo avessero detto; egli, però, non lo ha detto chiaramente. Intorno a questo si sono già dati chiarimenti sopra.

Ma dobbiamo tornare nuovamente su alcuni problemi che si potrebbero sollevare su queste stesse dottrine delle cause: forse, dalla soluzione di questi problemi potremo trarre qualche vantaggio per la soluzione di ulteriori problemi, che porremo più avanti.

in generale. Ciò non impedirà che Aristotele stesso argomenti intorno ad una Sostanza prima (Dio), o che la qualifichi – al termine del Libro Λ – attraverso l’immagine e la figura dell’unico comandante dell’esercito. Anche se, anche qui, il valore dovrebbe forse essere attribuito all’orizzonte di scopo ed alla sua potenza direttrice e regolativa, più che all’atto di un’unica invariabile determinazione.

25. Mentre i Platonici parlano, poi, di elementi, essi li devono intendere inclusi e nascosti nella relazione determinativa. Ma in questo modo essi li sottraggono all’apprensione ed alla verifica. Al confronto d’opinioni fra i saggi o gli esperti. Mentre la loro conoscenza sarà dogmatica, perché imposta secondo una pregiudiziale univocizzante di determinazione, quella suggerita da Aristotele conserverà l’apertura di un confronto sul giudizio e sull’argomentazione successivamente sviluppata.

26. Essendo soprattutto una conoscenza che muove insieme al movimento stesso della sensazione e che lo accompagna nel suo venire ad essere in modo determinato, essa manterrà sempre aperta la relazione osservativa e la dialettica sussistente fra il piano distinto delle definizioni e conclusioni e quello egualmente distinto delle sostanze singole e particolari (sensibili propriamente dette). Al contrario lo sviluppo diairetico e dialettico platonico conserva un carattere previamente inclusivo, che impedisce lo sviluppo e la trasformazione della conoscenza, così come degli enti esistenti.

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BREVE SINTESI RIASSUNTIVA. 1 2 Aristotele critica Platone, che sulla scorta dei Pitagorici accetta, con la sua teoria dei numeri ideali, la distinzione fra l’astratto ed il concreto. E, soprattutto, fa dipendere il secondo dal primo. Lo strumento grazie al quale si realizza questa scissione/comunione attributiva è il nome. Ma l’ipostasi linguistica rende reale la negazione, il relativo e l’immaginativo. 3 5 Aristotele procede quindi alla critica della trasformazione dell’immaginativo in reale, distaccato e distinto, con in più un valore prioritario di determinazione separata: l’orizzonte di determinazione costruito dai platonici toglie, infatti, il concetto di differenza e di apertura, fondamentale ed essenziale nella speculazione aristotelica, per il necessario passaggio e la considerazione dell’ente mediante (sia in senso verticale, che orizzontale). La relazione, verticale ed univocizzante, platonica corre, infatti, il rischio della moltiplicazione infinita e, dunque, quello della autodisintegrazione. Scompare il termine superiore e, quindi, non si sviluppa la determinazione stessa del giudizio. Senza una stabilità per l’essere mediante, scompare l’aggiunto essenziale della riflessione aristotelica: la sostanza, ideata ed applicata nella sua visibilità immaginativo-razionale tramite la combinazione dei principi logico-ontologici dell’identità e della non-contraddizione. Senza l’essere mediano-mediante scompare (in duplice verso) la possibilità della differenza e la possibilità del grado correlativo dell’intensità di determinazione, eventualmente collegata a rapporti di proporzione fra elementi (come sostengono i platonici). L’insieme unitario di queste due possibilità costituisce il campo semantico del concetto di materia come sostrato (immaginativo e nel contempo intelligibile). Esso diviene il perno della successiva applicazione categoriale. Esso, soprattutto, rende inutile l’applicazione problematica del doppio concetto di Uno e di Diade (elementi essenziali dell’ontologia platonica). 6 7 Aristotele ha così buon gioco nel demolire anche quella parte della riflessione platonica orientata alla identificazione e definizione delle cause del movimento. La scissione platonica viene ricomposta anche sul piano fisico/metafisico del movimento (non solo della reale conoscenza): l’essere ed il venire ad essere in Aristotele, infatti, si identificano. E la loro identificazione è data proprio dalla presenza – dalla trasformazione ulteriore - subita da quel concetto di soggetto medio/mediante: ora quella possibilità unitaria è il fondamento di una finalità interna necessaria o naturale, che sconfigge l’inutile e dannosa separazione/duplicazione platonica. Dell’essere e del divenire. Non solo: questa finalità intrinseca necesssaria o naturale - natura, semplicemente: in questo senso Aristotele riutilizza in modo moltiplicato ed immaginativo la “natura” dei presocratici – stando come impulso interno, toglie l’applicazione di qualsiasi altro tipo di relazione e spiegazione di movimento in senso estrinseco (la partecipazione o la produzione platonica per somiglianza o lo stesso rapporto di proporzionamento degli elementi). L’identità della sostanza. che si esprime nel movimento interno della sua natura, a e per divenire, stabilizza l’autonomia dell’ente esistente. Con l’impostazione platonica, invece, la scissione verrebbe portata sino all’estremo, con una disintegrazione dell’essere e del divenire, della razionalità e della necessità di entrambi (esito scettico e probabilistico).

Uno schema pitagorico

8 13 Movimento e trasformazione (propri del divenire come venire ad essere) hanno dunque una causa finale e produttiva interna indivisibile e inseparabile (come all’opposto era, invece, l’idea platonica): Aristotele rinnega l’alienazione platonica della potenza e dell’atto, riaffermando l’autonomia dell’ente esistente sulla base della differenza razionale e della necessaria individuazione dell’impulso soggettivo. L’applicazione del concetto pitagorico-platonico di numero, infatti, comporterebbe la necessaria diversità e contrapposizione fra la totalità d’orizzonte e di finalità, che vale come determinazione e definizione conclusiva per l’ente esistente e la costituzione stessa del medesimo, per parti integrate o disperse. Fra la sua infinitezza-definita e la sua reale definitezza (cfr. Platone, Filebo, i quattro generi dell’Essere). In questo senso il numero non potrebbe essere mediazione. Perché la mediazione con lui scomparirebbe (stante quella contrapposizione). 14 15 La stessa concezione platonica di materia deve essere demolita: l’unità secondo l’elemento impedisce la visione di una possibile composizione per differenza, fissandosi invece sul procedere di una differenziazione inferiore e decettiva, fondamentalmente basata su di una quantità originaria, che evolve attraverso la composizione successiva delle tre dimensioni spaziali. L’Uno-in-sé dei platonici non può trasferire la propria virtù determinativa e finalizzante agli enti inferiori – da lui prodotti e messi in movimento, ovvero finalizzati – perché non può sussistere un’unica specie di unità mediativa per tutte le differenze e, dunque, per tutti gli enti o soggetti esistenti. La stessa rivoluzione aristotelica nel concetto di materia bada bene a che quella possibilità unitaria precedentemente indicata non venga considerata in maniera astratta e separabile, cioè in maniera ancora tutta e sola immaginativa. Altrimenti prenderebbe il posto e la funzione della fonte unitaria degli esseri platonica (la materia come ricettacolo; cfr. il “rischio” della potenza d’infinito nella funzione genetica dell’Uno plotiniano). La materia aristotelica non viene fissata a e da una determinazione superiore ed univoca. Che orienti in maniera chiara, distinta e definitiva intorno ad uno scopo comune e necessario. Tutto ciò, infatti, toglierebbe l’assunto principale della speculazione aristotelica: l’apertura superiore delle differenze. Come si vede la filosofia platonica ed aristotelica smette i panni apparenti e neutrali dell’ontologia, per riacquisire la propria effettiva sostanza politica (o teologico-politica e razionale-naturale). Sostanza che preme Aristotele verso l’occultamento della soluzione presocratica: l’infinito profondo, insieme creativo e doppiamente dialettico.

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16 18 La limitazione platonica di un contenuto e di una finalità oggettivi impartiti dalla superiore sussistenza di un Uno-in-sé alla determinazione vivente e proiettata degli enti esistenti deve, quindi, essere capovolta da una concezione nella quale e per la quale si ravvisa l’esistenza inseparata di ragioni intrinseche alla generazione, trasformazione (crescita, alimentazione, sviluppo) e corruzione degli enti esistenti stessi. Ragioni reali e non ideali (cioè distinte e separate), che determinano alla vita, al movimento ed alla fine pure, nell’essere umano, all’intelligenza (cfr. Stoici, lÒgoi spermatikÒi). 19 21 Dopo avere, quindi, mostrato e dimostrato la necessità di non disgiungere il movimento dal proprio essere terminale – cosa che rende l’idea platonica, contraddittoriamente ai propri presupposti, instabile – Aristotele dissolve l’azione separata e superiore del movimento proposta dai Platonici, per considerare la valenza in sé del movimento. Qui il movimento viene considerato non nella sua trasmissibilità od impulso esterno, quanto invece in una sua propria determinazione e sviluppo interno, capace di superare la relativa libertà assegnata agli enti dalla posizione platonica (cfr. Platone, Parmenide). Contro la trasformazione platonica della coppia naturalistica “raro” e “denso” in “somiglianza” e “dissomiglianza”, Aristotele scioglie la triangolazione (di vita, movimento ed intelligenza) verso un Essere superiore, che riempia lo spazio delle differenze aristoteliche con la modalità determinativa univocizzante e finalistica dell’idea. La stessa relazione di differenziazione viene disciolta nel suo schematismo – unità ed opposizione di “contatto” e “distacco” – e nella sua applicazione insieme orizzontale e verticale. Questa applicazione, infatti, presuppone la sussistenza di una duplice negazione (una possibilità di non-essere assoluta, per l’essere nell’Uno e per l’essere singolare stesso nell’indifferenziato). Così l’orizzonte determinante e finalistico dell’essere platonico deve venire ridisciolto dell’apertura razionale delle differenze e delle necessarie ricomposizioni naturali dei soggetti materiali, proprio per restituire alla ragione del mvomento e della trasformazione la funzione di una opposizione solamente logica e non più ontologica, com’era invece nel caso di Platone e dei Platonici. L’universale aristotelico rimane aperto, quanto invece quello platonico pretende di ridurre in modo previo, originario ma preventivo, tutte le determinazioni d’essere e di movimento, nei suoi scopi oggettivi in quanto predeterminati. 22 26 Le categorie aristoteliche restano, quindi, nella loro applicazione, irriducibili ad un orizzonte di determinazione superiore ed univocizzante, sia per quanto riguarda la conoscenza, che il movimento e l’azione. Esse pervengono alla delimitazione ed identificazione di sostanze singolari, che possono venire apprese, prodotte e trasformate in modo naturale od artificiale. In questo senso l’apprendimento aristotelico muove per primo dall’applicazione lineare e consequenziale dell’ordine delle categorie, per procedere al successivo uso dello strumento linguistico di nominazione e di primo giudizio (il genere e la specie nella “definizione”) e per concludersi – attraverso l’uso intermedio dell’induzione - nell’applicazione fondata e ragionata del meccanismo sillogistico. Non può dunque esistere una sapienza superiore e prima, univocamente determinante nei confronti di tutte le altre discipline scientifiche, proprio perché questa forma di sapienza avrebbe i connotati e le caratteristiche della sapienza platonica e, soprattutto, della sua modalità univocizzante. Resta in Aristotele la richiesta dell’universalità e della necessità per la conoscenza, ma decade la necessità di una forma primaria e cogente, costringente, per la conoscenza in generale. Ciò non impedirà che Aristotele stesso argomenti intorno ad una Sostanza prima (Dio), o che la qualifichi – al termine del Libro Λ – attraverso l’immagine e la figura dell’unico comandante dell’esercito. Anche se, anche qui, il valore dovrebbe forse essere attribuito all’orizzonte di scopo ed alla sua potenza direttrice e regolativa, più che all’atto di un’unica ed invariabile determinazione. Ciò comporterebbe per la tradizione della posizione aristotelica anche l’intervento di una volontà/potenza divina atta a modificare gli assunti precedenti e a trasformare le eventuali disposizioni iniziali (del cosmo e degli “affari” umani). In ultimo Aristotele offre delle considerazioni epistemologiche. Mentre i Platonici parlano, poi, di elementi, essi li devono intendere inclusi e nascosti nella relazione determinativa. Ma in questo modo essi li sottraggono all’apprensione ed alla verifica. Al confronto d’opinioni fra i saggi o gli esperti. Mentre la loro conoscenza sarà dogmatica, perché imposta secondo una pregiudiziale univocizzante di determinazione, quella suggerita da Aristotele conserverà l’apertura di un confronto sul giudizio e sull’argomentazione successivamente sviluppata. Essendo soprattutto una conoscenza che muove insieme al movimento stesso della sensazione e che lo accompagna nel suo venire ad essere in modo determinato, essa manterrà sempre aperta la relazione osservativa e la dialettica sussistente fra il piano distinto delle definizioni e conclusioni e quello egualmente distinto delle sostanze singole e particolari (sensibili propriamente dette). Al contrario lo sviluppo diairetico e dialettico platonico conserva un carattere previamente inclusivo, che impedisce lo sviluppo e la trasformazione della conoscenza, così come degli enti esistenti.

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