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mente M SSONICA Rassegna quadrimestrale n.19 Sett.-Dic. 2020 Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia ISSN 2384-9312 Speciale “Altare e compasso” PRETI MASSONI NEL SETTE-OTTOCENTO

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menteM SSONICA

Rassegna quadrimestrale

n.19 Sett.-Dic. 2020 Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia

ISSN 2384-9312

Speciale “Altare e compasso”

PRETI MASSONI NEL SETTE-OTTOCENTO

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Sommario n.19 Sett.-Dic. 2020

Altare e compasso

Preti massoni nel sette-ottocento....................................1di Giovanni Greco

Saggi

La massoneria in val di Chiana nell’ottocento ............24di Paolo Buiarelli

Iscrizione Tribunale Roman.177/2015 del 20/10/2015

Direttore responsabileStefano Bisi

DirezioneGiovanni Greco

Art DirectorGianmichele Galassi

RedazioneIdimo CorteMarco Cuzzi

Bernardino FioravantiGiuseppe Lombardo

Marco Novarino

EditoreGrande Oriente d'Italia, ROC n.26027

via San Pancrazio 8, 00152 Roma

Direzione e RedazioneMASSONICAmente,

Grande Oriente d'Italia,via San Pancrazio 8, 00152 Roma

StampaConsorzio Grafico e Stampa Srls - Roma

Rassegna Quadrimestrale edita online suwww.grandeoriente.it

Le opinioni degli autori impegnano soltanto questi ul-timi e non configurano, necessariamente, l'orienta-mento di pensiero della rivista MASSONICAmente odel Grande Oriente d’Italia.La riproduzione totale o parziale dei testi contenutinella pubblicazione è vietata sotto qualsiasi forma,senza espressa autorizzazione scritta, secondo lenorme vigenti in materia.Tutti i diritti riservati. Manoscritti e illustrazioni, anchese non pubblicati, non si restituiscono.

Laboratorio di storiadel Grande Oriente d'Italia

n.19 Sett.-Dic. 2020

menteM SSONICAISSN 2384-9312 (online)

In Copertina: Vista topografica della piana di Arezzo e della Valdichiana.Leonardo Da Vinci. Carboncino rilavorato a penna a inchiostro mar-rone scuro e poi a pennello ad acquerello marrone. Collezione di SuaMaestà britannica Elisabetta II, Royal Library, Windsor.

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ALTARE E COMPASSO 1

MARCELLO PAPINIANO CUSANI 1690-1766

Marcello Papiniano Cusani nacque a Frasso Tele-sino, attualmente in provincia di Benevento, il 17febbraio 1690, figlio di un notaio. Nel 1709 scelselo stato clericale, puntando da subito verso il rin-novamento della chiesa. Nel 1713 venne ordinatosacerdote e da allora ebbe continui contatti con lacultura laica e filoaustriaca, tant’è che la corteviennese gli assegnò un robusto beneficio – comericorda Antonio Gisondi – la badia di san Filippodi Lauria in Calabria. Fu vescovo di Palermo, ar-ciprete di Altamura dal 1747 al 1752, sempre ispi-rato da un cattolicesimo illuminato, fu vescovo

assistente del Soglio pontificio. Insegnò presso leuniversità di Napoli e di Torino e si rivelò “unuomo di pieno stampo illuminista”, assai apprez-zato per i suoi studi giuridici.Fu il primo rettore dell’Università degli studi diAltamura, da lui fortemente voluta, unificando lesue due cariche di rettore e di arciprete della cat-tedrale di Altamura. Questa Università 1747-1812godette di un’ottima reputazione al punto che Ta-nucci definì Altamura l’Atene di Puglia. Altamuraebbe insegnamenti di botanica, diritto, ebraico,greco, latino, matematica, fisica, medicina, teolo-gia. Dopo Cusani, arciprete e rettore fu Gioacchino

PRETI MASSONI NEL SETTE-OTTOCENTO

di Giovanni Greco

Papa Leone XII contro la Massoneria, caricatura del 1891

Il rapporto fra la massoneria e la chiesa di Roma è stato sempre, come è ben noto, di particolare complessità. Anni fadecisi di cominciare a raccogliere e catalogare materiale specifico e qui propongo una parte relativa a preti massoni nelsette-ottocento italiano. Naturalmente si tratta solo di una prima traccia, tutt’altro che esaustiva, che va approfonditae ampliata negli anni anche grazie ai contributi dei fratelli dei vari Orienti, dei lettori e degli storici. Il presente articolo viene pubblicato per gentile concessione della casa editrice Mimesis ed è contenuto nel testo da me cu-rato NEL NOME DEL PADRE E DEI FRATELLI. Sacerdozio e massoneria, di imminente pubblicazione.

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De Gemmis che conferì ulteriore slancio all’uni-versità altomurana. In questa università si forma-rono, secondo Angelo Massafra, personalità dispicco della massoneria napoletana come Giu-seppe De Gemmis e Antonio Planelli della loggiadegli Illuminati di Baviera. Anche nella città diAltamura non mancarono i massoni e altri pretimassoni come il canonico Giambattista Manfredi.Per Cusani rappresentò un punto di riferimento ilgiusnaturalismo groziano, i fitti rapporti con Pie-tro Giannone e con l’intero milieu massonico delsuo periodo, fecondo di spunti culturali e di sti-moli fraterni. Sulle sue peculiarità massoniche cfr.Pietro Di Marco, Ruggiero di Castiglione e Anto-nio Gisondi.Afflitto da cecità fu accolto a Napoli dal generaledegli Agostiniani, suo amico, Ignazio Della Croce,e lì morì nel 1766 sepolto nella chiesa degli Ago-stiniani Scalzi di S. Maria della Verità.

BENEDETTO LATILLA 1710-1767

Benedetto Latilla, nato il 20 giugno 1710, “dal no-bile lignaggio de’ marchesi di Taurasi”, venne or-dinato sacerdote il 14 giugno 1733 nei CanoniciRegolari della Congregazione del santissimo Sal-vatore del Laterano. Assunse il nome di Bene-detto, lasciando il suo nome di Tommaso. Dal1749 ebbe la cattedra di teologia a Napoli. Fu va-lente oratore, abate generale e vescovo di Avellinoe Frigento e arcivescovo di Myra. Dal 1759 fu pre-cettore e confessore di re Ferdinando IV. Il suoprincipale consacratore fu il cardinale GiuseppeSpinelli, vescovo di Palestrina.Saverio Ricci lo dà per certo come massone, comein effetti fu: uno dei liberi muratori di maggior ri-lievo a Napoli con rapporti molto intensi con laGran Loggia d’Inghilterra e si ispirò al trattato diRaimondo di Sangro, scritto nel 1746, Relazionedella compagnia de’ liberi muratori.Non casualmente allorquando il principe di SanSevero venne insediato il 24 ottobre 1750 a Posil-lipo come Gran Maestro Nazionale di Napoli e diSicilia, nel Casino del principe Gennaro CarafaCantelmo Stuart di Roccella, si decise che il di-scorso d’insediamento fosse ad opera del GrandeOratore della loggia, il principe abate BenedettoLatilla. La loggia era un anagramma del nome diRaimondo di Sangro ed aveva quasi 30 membrisu un totale di 280 nel Reame di Napoli nel 1751.Le quote erano molto selettive perché si pagavaogni mese una capitazione di tre scudi d’oro, lapaga per un anno di un impiegato di medio li-vello, mentre le altre logge pagavano circa tre

scudi d’oro all’anno, ed aveva 12 maestri segreti,9 eletti dei nove e 9 dei sublimi filosofi. Le riu-nioni di questa loggia avvenivano “ogni mese inPalazzo Sansevero, ogni 24 del mese nell’apparta-mento della Fenice, passando attraverso un pon-ticello coperto sito nella vicina cappella diSansevero” (Michele Di Iorio dagli Arcana Arcano-rum di Napoli dal 1751 al 1790). Dato che la loggiavenne fortemente perseguitata, le riunioni ebberoa mutare spesso luogo, spostandosi nel palazzo aiVergini e poi nel palazzo dello Spagnuolo sotto laguida del Di Sangro e del Latilla che erano peruna massoneria fortemente esoterica. Sia il reCarlo III che il papa Benedetto XV erano moltopreoccupati per questo potente coinvolgimento al-l’interno della massoneria napoletana di prelati dicosì alto profilo, in particolare come il vescovo La-tilla. Alla sua morte quest’ultimo, il 28 dicembre1767, lasciò alla Mensa vescovile di Avellino 3000ducati per le “donzelle povere” a condizione che“il vescovo pro tempore ne impiegasse le renditeper l’assegnazione di maritali a donzelle poveredella diocesi”. Su di lui cfr. anche gli studi di G.Zigarelli, di F. Scandone e di E. Chiosi.

ANTONIO GENOVESI 1713-1769

Antonio Genovesi nacque a Castiglione dei Geno-vesi in provincia di Salerno, sacerdote, filosofo,economista e scrittore di vaglia. Il padre calzolaiodi nobile famiglia decaduta, intuitene le doti loindirizzò con grande energia verso gli studi in-viandolo nel convento dei Padri Agostiniani perricevere gli insegnamenti teologici e filosofici inparticolare dal rinomatissimo padre Giovanni Ab-bamonte. Lo studio presso l’Abbamonte e la sua“conoscenza fu al Genovesi grandissimamentevantaggiosa” dato che il maestro si spese moltonel “ripulire ed ornare il suo spirito”. Queste edaltre vicende sono state ricordate da GiuseppeMaria Galanti nel suo Elogio storico del signor abateAntonio Genovesi pubblico professore di civil economianella Università di Napoli. Antonio divenne così dia-cono, poi maestro di retorica e nel 1738 sacerdote.Recatosi a Napoli dove conobbe Giambattista Vicofondò prima una celebre scuola privata di metafi-sica e di teologia e dopo ebbe la cattedra di etica esuccessivamente quella di economia politicapresso il locale ateneo. Fra i suoi allievi FrancescoLongano e Giovanni Andrea Serrao, più avantiampiamente ricordati, Francescantonio Grimaldi,poi M.V. della loggia “Humanitè” di rito francese,Melchiorre Delfico di una loggia teramana, Fran-cesco Mario Pagano e Gaetano Filangieri iniziato

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in una loggia napoletana di rito inglese. Genovesiriteneva fra l’altro che anche le donne, i contadini,la povera gente avesse il diritto di essere istruita ei punti fermi del suo orizzonte culturale furonoquindi anche le virtù civiche, il tentativo di giun-gere alla felicità e che “la cultura delle cose” anchequelle ritenute piccole fosse indispensabile: “èinutile di pensare ad arte, commercio, a governo,se non si pensa di riformare la morale”. Gli Ele-menta Metaphycae che pubblicò nel 1743 destaronoenorme scalpore e vennero tacciate di contenereposizioni eretiche e di conseguenza venne accu-sato di ateismo e nei suoi Elementa la commissioneteologica riscontrò oltre cento tesi eretiche.L’estrosa personalità di Antonio Genovesi, a cui èdedicata una bella loggia a Salerno, aveva appieno“compreso la potenzialità politica della massone-ria, attiva nel Regno soprattutto come luogo di so-ciabilità nobiliare e capace di sedurre, pernebuloso sincretismo, anche personalità del clero”(S. Ricci). Non mancarono al riguardo anche arre-tramenti da parte del Genovesi come per esempioquando nelle sue Delle lezioni di commercio scrisseche una ”riunione occulta al legislatore, è un de-litto per tutte le buone leggi”. Certo è che il me-todo massonico fu costitutivo e centrale nel suoimpianto culturale tant’è che molti dei suoi allieviattraverseranno pienamente il sentiero libero-mu-ratorio pure grazie al fatto che la massoneria inquel periodo saprà coniugare sempre di più gliaspetti politici con quelli morali.Successivamente si utilizzò una sua minuscola tra-scuratezza per punirlo severamente, e ciò avvenneallorquando recitò in una privata commedia senzalicenza dell’arcivescovo di Conza che colse l’occa-sione per scomunicarlo.Antonio Genovesi è stato peraltro molto apprez-zato e studiato a fondo da uno storico di vaglia, ilprof. Augusto Placanica di Catanzaro, ordinario diStoria moderna. Nel 1769 venne seppellito a Na-poli nel monastero di Sant’Eramo Nuovo dal suosodale Raimondo di Sangro, principe di S. Severo,capo della massoneria napoletana dopo aver rice-vuto funerali massonici officiati da Domenico Ci-rillo, Donato Tommasi, Giuseppe Albanese eMario Pagano.

FILIPPO NAZARI PATTONI

Filippo Nazari Pattoni era un sacerdote piemon-tese di Savignano nei pressi di Cuneo, di una fa-miglia che proveniva dalla borgata di Moschieresvicino a Dronero. Partecipò alla loggia “Rosa d’or-dine Magno” pur essendo già primo sorvegliante

della loggia napoletana “Tschudy”, loggia delprincipe Guglielmo Moncada. Infatti a Napoli inquel tempo notevole era l’influenza di ClaudeHenry Theodor barone de Tschudy (1724-1769),massone e alchimista francese di una nobile fami-glia svizzera che studiò a lungo gli insegnamentiper un “Cenacolo iniziatico”. Successivamente perle pesanti persecuzioni nei suoi confronti dovettefuggire da Napoli facendo però ulteriori espe-rienze in logge francesi, olandesi e russe impe-gnandosi molto, come il sacerdote Filippo Pattoni,nelle scienze esoteriche. Alla loggia “Rosa d’or-dine Magno”, che poi cambiò denominazione in“La perfetta unione” in omaggio alla prima loggianapoletana in periodo austriaco, appartenneroanche il vescovo Benedetto Latilla, il reverendoPier Peggi, canonico di papa Benedetto XIV – lacui partecipazione è stata confermata anche da PierTulip nel contesto del “mistero della cappella San-severo” - il reverendo Giuseppe Orlando dellaCongregazione dei Celestini e il reverendo Anto-nio Sarao: quasi un quinto della loggia era costi-tuito da autorevoli sacerdoti.

FRANCESCO LONGANO 1728-1796

Francesco Longano, filosofo molisano, nacque aRipalimosani il 5 febbraio 1728 da Vito e DoroteaGentile, quarto di una modesta famiglia delmondo rurale. Carattere vivace, temperamento ribelle, con unainappagabile curiosità culturale, con la voglia diconoscere e di apprendere senza paura dei maripiù vasti, cominciò a studiare nel borgo natale epoi scelse il percorso religioso, studiando nei se-minari di Bojano e di Baranello, sotto la guida diOttavio e Giuseppe Zurlo, quest’ultimo giudicedella Gran Corte della Vicaria e Gran Maestro delGrande Oriente di Napoli. Fu ordinato sacerdotenel 1751 e a Campobasso ebbe il vescovo Can-giano come guida spirituale. Nel 1752 fu inviatoa Napoli per studiare geometria, aritmetica e lo-gica, ma già nel 1754 fece ritorno nella piccola pa-tria dove insegnò per poco tempo filosofia nelseminario di Cerreto Sannita, ma poi tornò ancoraa Napoli dove, per merito di Domenico Forges Da-vanzati, ebbe l’incarico di sostituire provvisoria-mente il Genovesi nella cattedra di commercio. Fuappunto proprio a Napoli che conobbe l’abate Ge-novesi che lo ammaliò culturalmente e lo indussea studiare le cause delle difficoltà economiche esociali della gente meridionale. Longano rimaseavvinto dalle strategie dialettiche del Genovesi,dall’elevatezza del profilo filosofico e persino dalle

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“frequenti lepidezze colle quali condiva le sue le-zioni”. In relazione all’opera del Genovesi annotòtutto ciò che venne a conoscere da lui, premet-tendo all’enorme mole di lavoro compiuto, un Di-scorso del notatore, con riflessioni ed appuntisull’evoluzione umana nella società e nell’econo-mia come componente di rilievo dell’evoluzionedella società. Non casualmente, due secoli dopo,lo storico Augusto Placanica, dedicava ad AntonioGenovesi il suo Centro studi sulla storia econo-mica e sociale. Nel 1764 Longano pubblicò il Pianodi un corso di filosofia morale, dedicato al vescovo diAvellino Benedetto Latilla, già valutato e poi nel1767 Dell’uomo naturale dove si diffuse sulla libertàe sull’uguaglianza tra gli uomini. In realtà via viache strutturava il suo pensiero, prima si avvicinòpoi pienamente condivise, i valori appartenentiall’universo massonico. E’ da quel periodo che co-minciarono a fioccare le accuse di irreligiosità, ac-cusato di aver portato alle estreme conseguenzespunti e riflessioni del suo maestro, con partico-lare riferimento alle valutazioni profondamentenegative nei confronti di talune caratteristiche disacerdoti appartenenti agli ordini regolari. Inispecie le riflessioni di Longano si fondavanoanche sugli studi di Montesquieu, di Spinoza e diVico, e riguardavano soprattutto le “disugua-glianze dovute alla differente distribuzione dellericchezze, al lusso smodato, alla crudezza della so-cietà” (A. Trampus) e alle soperchierie dell’aristo-crazia nobiliare ed ecclesiale. Certo è chel’influenza massonica fu poderosa nel suo pen-siero, in particolare di quella del milieu napole-tano, tant’è che il suo nome compare a piè di listanelle logge La parfaite union, l’ Harmonie di rito in-glese e nella Vittoria, all’obbedienza della GranLoggia delle Due Sicilie, nelle quali fu molto at-tivo negli anni sessanta e settanta. All’epoca entròanche in contatto con l’arciprete molisano Giu-seppe Zurlo appartenente alla loggia Vittoria e purecon lui si confrontò, maturando precise convin-zioni relative alla giustizia e alle virtù civili. Co-spicuo e prodigo di frutti, pure il rapporto fraLongano e Isidoro Bianchi, frate e massone, stu-dioso notevole come dimostrò lavorando sui mi-steri eleusini e le sue brillantissime Meditazioni,naturalmente ritenute “irreligiose e libertine”. Inparticolare Longano nel 1779 scrisse Sull’esistenzadel Purgatorio, limitato ai lumi della ragione, dove cercòdi riportare il cattolicesimo all’interno di un’ade-guata cornice storica e il tentativo di capire“l’eterno codice dell’umana ragione”, e che incon-trò enormi problemi in seno al clero antillumini-sta, che gli ostacolò la stampa dei suoi scritti inogni modo. In relazione al Purgatorio, che aveva ri-

cevuto un input da un suo amico libraio viennese,un certo van Laak, ricevette critiche distruttive edetrattori a iosa, fra cui Gian Francesco Conforti,professore di storia all’Università di Napoli, sacer-dote preposto alla revisione e alla valutazione deilibri dei sacerdoti, e che ritenne assolutamenteinaccettabili le considerazioni del Longano rela-tive all’efficacia delle preghiere e dei suffragi edegli ex voto. Maggiormente Longano, per usarele sue espressioni, subì la mannaia e gli attacchiferoci dei “preti messaioli e dei frati ignoranti” ca-paci solo di stendere “il velo nero della supersti-zione” per realizzare appieno la tutela dei propriinteressi. Il gesuita Francesco Antonio Zaccaria loaccusò di eresia e di essere “infettato di anticleri-calismo”, con attacchi durissimi che presuppone-vano il completo oscuramento del testo. Questifermi moniti sfociarono poi nelle Lettere critiche con-tro l’autore di un certo purgatorio politico, Siena 1779,ad opera dello stesso Zaccaria. Ma l’opera alla finefa comunque la sua strada, e da poco è stata recu-perata e meritoriamente acquisita dalla Biblioteca

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Trattato di Francesco Longano

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Vaticana, tant’è che Francesco Lepore ha curato nel2014 il trattatello, con una bella e brillante intro-duzione, nella Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Va-ticanae, e il 29 ottobre 2014 il G. M. Stefano Bisi aRoma, a casa Nathan, ha ricordato le caratteristi-che culturali ed umane di Francesco Longano. Ineffetti, intorno al 1780 poi Longano, anche per ral-lentare e far decantare le dure reazioni provenientidal mondo ecclesiastico nei suoi confronti, comin-ciò ad effettuare alcuni preziosi viaggi, che poi rac-contò in testi di notevole spessore civile, come ilViaggio per lo contado di Molise, 1788, poi perfezio-nato poco prima della morte, dove immaginò unluogo chiamato Filopoli, ipotesi di una societàperfetta, tesa ad una piena armonizzazione fra lasocietà e la gente della comunità “una città utopicadel matese” (V. Petrucci), una città che contem-plava l’eguaglianza dei beni, dei diritti e dei do-veri, dopo aver ormai perduto fiducia e speranzaverso percorsi moderati. La Filopoli di Longano,mi fa ricordare la piccola accademia dei Filomu-sini di Raffaele Spongano, professore di italiani-stica all’università di Bologna, originario diCellino San Marco, il salentino-tedesco, un uomodi ferro, maestro di tre generazioni di letterati ita-liani, che pure ebbe talune significative conso-nanze con l’abate molisano. Nel 1790 Longanoscrisse Viaggio per la Capitanata, ma viaggiò ancheper le paludi pontine, per Torino e per la Lombar-dia. Tutto questo fu possibile perché nel 1786 ac-cettò dalla diocesi di Muro Lucano, fiduciosa nelvalore della sua persona e delle sue idee, il bene-ficio di un cavallo che gli consentì appunto diviaggiare e di conoscere nuovi territori e nuove re-altà. Longano morì a Santopadre in Terra di La-voro il 28 aprile 1796, e secondo il Genovesi fu“profondo filosofo, ragionante e ben inteso dellastoria della natura umana”, fortemente teso versouna società fondata sul lavoro e su autentici dirittiper tutti. A fronte a volte di qualche denomina-zione un po’ “stravagante”, per usare una defini-zione pungente del nostro G.M., certamente nonmancheremo di ricordare, in Molise o altrove,anche ai fini di nuove costituende logge, il corag-gio e il pensiero di questo abate molisano del set-tecento, cuore pulsante della massoneriadell’epoca, che non intendeva dare in alcun mododispiaceri di sorta ai suo amici sacerdoti più tra-dizionalisti, per così dire, ma che pure con misuraed equilibrio, non poteva mai lesinare di dire ciòche veramente era per lui, dovendo quindi assue-farsi ad una vita di ristrettezze e di incertezze chenon gli fecero mai perdere la fede in Dio e nelGrande Architetto dell’Universo.

ANTONIO LANZA 1728-1775

Antonio Lanza nacque a Mussomeli in provinciadi Caltanisetta il 28 agosto 1728. Appartenne allaCongregazione dei Chierici regolari teatini evenne ordinato sacerdote il 3 settembre 1752. Nel1769 venne consacrato vescovo di Girgenti dal car-dinale Marcantonio Colonna. Numerosi gli indiziche portano a considerarlo appartenente alla mas-soneria, ma decisive risultano alcune lettere riser-vate di alcuni massoni inglesi da lui conosciutiquali Brydone, Fullarton e Glover che poi ne rac-conteranno anche le gesta latomistiche. Ebbe pro-ficui rapporti con Federico Moncada dei principidi Monforte e con Verecondo Maria Pepi, en-trambi ecclesiastici di Palermo e con CarmeloGuerra ecclesiastico di Messina, tutti appartenentialla massoneria siciliana. Fece molte opere di benefra cui pagare i pegni dei poveri presso il Montedei pegni. Morì ad Agrigento il 24 maggio 1775 equalche mese prima della morte esonerò dall’in-segnamento il teologo giansenista Giuseppe Can-nella in forza della sua posizione fortementeantigiansenista, contribuendo così a sostenere labolla papale “Unigenitus”.

CARMELO GUERRA 1729- s.d.

Carmelo Guerra, figlio di Ludovico nacque a Mes-sina dove studiò nel locale seminario prima di re-carsi a Napoli dove frequentò anche le lezioni diAntonio Genovesi e, secondo Scandone, parlavafrancese con accento messinese. Come raccontaRuggiero Di Castiglione fu negli anni ottanta cheil sacerdote aderì “alla massoneria di rito scozzese,dove si legò con profonda amicizia al cavaliere Fe-lice Vivenzio, medico di camera della famigliareale, e alla consorte Teresa Mauri dei baroni diPalma, ambedue membri di una loggia mista na-poletana”. Fu al seguito del ministro plenipoten-ziario Giovanni Battista Pignatelli, noto massonee frequentò assiduamente i circoli latomistici fran-cesi con particolare riferimento agli “Amici dellacostituzione” e al fratello Luigi Pio. Morì forse aNapoli ai primi dell’Ottocento dopo aver pubbli-cato lì nel 1781 Stato presente della città di Messina.

GIOVANNI SERRAO 1731-1779

Il vescovo di Potenza Giovanni Maria Serrao, mas-sone militante, cultore della purezza della reli-gione, accusato di giansenismo e trucidato daisanfedisti, era originario del paese di Castelmo-nardo completamente distrutto dal terremoto del

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1783. In età più avanzata fu assai avverso allacuria romana, mostrando il suo netto distacco raf-forzando il contatto con i suoi fedeli più modestisiti anche in piccole comunità di montagna dovesi recava a dorso di mulo. Castelmonardo verràriedificata dietro sua iniziativa in una località vi-cina, poi chiamata Filadelfia, Filadelfia di Cala-bria, in provincia di Vibo Valentia, in omaggio aBenjamin Franklin e agli aiuti da lui fornitiavendo sinanco indicato gli strumenti tecnici perimpostare la pianta della ricostituita comunità, se-condo lo schema della Filadelfia americana allafine del 1600, tipico di centinaia di città ameri-cane. Non casualmente la chiesa di S. Maria delCarmine ebbe l’ingresso principale nel retro dellapiazza centrale, a voler testimoniare la non inge-renza del potere ecclesiastico nella vita sociale ecivile. Lo stemma di Filadelfia è rappresentato dadue mani che si stringono in un simbolico e fra-terno patto speciale di affetto e solidarietà. Comericorda Elvira Chiosi ebbe anche molti aiuti e be-nefici da Alfonso Airoldi e dal noto massone sici-liano Giuseppe Beccadelli, mentre subì l’influenzadel grande cartesiano illuminato di Scalea Grego-rio Caloprese (1654-1715), filosofo, medico e ma-tematico, celebre per il suo ingegno – amato estudiato a lungo dal prof. Augusto Placanica - e

trasse spunti intellettuali assai proficui da GianVincenzo Gravina e da Gaetano Filangieri sempreall’interno del milieu massonico. A Filadelfia diCalabria, e non solo, è assai vivo il ricordo del ve-scovo Serrao tant’è che esiste una loggia a lui in-titolata. Nel 1799 il vescovo prese parte attiva allarepubblica romana e a Potenza fu lui a far alzarel’albero della libertà. In quella fase strinse forteamicizia con l’arciprete di Vaglio Matteo Catalano,di estrazione nobiliare, noto esponente filomonar-chico e massone che nel 1800 pubblicò una rac-colta di testi Opuscoli scritti in occasione della fataleanarchia del 1799, come ricordato da TommasoPedio e Angelo Massafra. Serrao finì assassinatoin modo atroce, nell’episcopio insieme ai fratelliGiovanni e Nicola Siani: le loro teste infisse in altipali e portate in corteo per la città di Potenza espo-nendole al pubblico ludibrio, ma anche alla pietàe al ribrezzo di tanta brava gente. Sull’apparte-nenza di Serrao alla massoneria si vedano gliscritti di E. Serrao, di R. Di Castiglione, di G. Cin-gari e di A. Pace.

ISIDORO BIANCHI 1731-1808

Il camaldolese Isidoro Bianchi, nato e morto aCremona, figlio di un sarto, battezzato col nomedi Pietro Martire. Frequentò le scuole dei gesuitie nel 1756 si fece frate ed entrò nell’ordine dei Ca-maldolesi. Fu nei monasteri di Classe a Ravenna,di San Gregorio a Roma e di Monreale. Professorea Ravenna di filosofia e di matematica, fu un po-ligrafo assai talentuoso, intensa la sua attivitàgiornalistica. Appartenne ad una loggia cremo-nese e per decenni fu un massone in piena attivitàcon forti relazioni culturali con l’ambiente rifor-matore meridionale e con altri eminenti massonicome Raimondo de Sangro, Gaetano Filangieri,Antonio Planelli, Giovanni Andrea Serrao e Sal-vatore Montaperto, principe di Raffadali, poi no-minato ministro presso la corte di Danimarca e dicui fu anche segretario per un certo tempo. Fuassai devoto e amico dell’arcivescovo di MonrealeF. Testa, dal camaldolese grandemente ammirato.Visitò le principali città europee in una specie ditour cultural-latomistico anche grazie ai buoni uf-fici e alla attività massonica del suo amico fra-terno, il libraio editore Lorenzo Manini diCremona. Dovette infatti molto alla massoneriacremonese che fu essenziale per i suoi percorsi inItalia e all’estero con particolare riferimento allaDanimarca. In urto con i suoi superiori fu trasfe-rito al monastero di Fonte Avellana, vicino Gub-bio “tra gli orrori solitari del più alto Appennino

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Giovanni Andrea SerraoPanteon dei Martiri della liberta italiana,

seconda ed., Torino, Gabriele d'Amato, 1852.

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d’Italia”. Grazie alla “sacra deportazione” scrissele sue belle Meditazioni: “se le mie meditazioni nonsaranno il frutto di un uomo di talento, lo sarannoalmeno di un uomo di cuore”. Combatté sempreper un’opera di riforma sociale e di incivilimento.Morì il 28 settembre 1808. Fu autore fra l’altro Del-l’istituto dei veri liberi muratori e Dei misteri eleusini edell’antico arcano.

NICCOLO’ LUBRANO DI VAVARIA 1733-1799

Niccolò Lubrano di Vavaria nacque a Martino nel1733 e fu vicario curato di S. Michele. “Luminosoesempio di dignità civica e di fierezza cristiana”,come ricordato anche dalla comunità del Santua-rio di S. Maria delle Grazie Incoronata di Procida.Fu giustiziato il 15 giugno 1799 insieme al preteischitano Antonio De Luca (1737-1799) e al sacer-dote procidano Antonio Scialoja (1748-1799)dopo essere stati sconsacrati, tutti e tre formati agliideali latomistici.

NICOLA PACIFICO 1734-1799

Nicola Pacifico nacque e morì a Napoli, prete e pa-triota partecipò alla rivoluzione napoletana del1799. Svolse l’apprendistato al sacerdozio nellaparrocchia dell’Avvocata e nel 1757 frequentò icorsi teologici del presbitero Bartolomeo Amo-roso. Studioso di matematica e di fisica - vennepersino elogiato da Antonio Genovesi nelle sueLezioni di commercio - fece parte dell’Accademiareale di scienze e belle lettere di Napoli dove, se-condo Diego Carnevale, tenne anche lezioni sui“fenomeni de’ tremuoti di Calabria del 1783”.Negli anni settanta divenne membro della loggia“L’amicizia” della Gran Loggia nazionale “LoZelo”, prima di passare alla loggia “La verità”. Nel1786 conobbe il teologo luterano e autorevolemembro della massoneria, Friederich Munter,contribuendo a fondare la loggia “Philantropia”,mentre a Catania, per sollecitazione di Diego Na-selli dei principi d’Aragona, creò la loggia “del-l’Ardore” insieme al matematico e naturalistaDomenico Tata dove ebbe come M.V. Ignazio Pa-ternò dell’Accademia degli Industriosi di Gangi.Come ricorda Diego Carnevale, fra gli altri, ebbeil merito di nascondere per alcuni mesi a casa sua,in strada dell’Infrascata, Francesco Saverio Salfi,accanitamente ricercato dalla polizia per il suo pa-triottismo sino all’aiuto essenziale per favorirne lafuga verso Genova. “Nel corso dell’attacco alla ca-pitale dalle truppe sanfediste, Pacifico guidò il suo

battaglione in diverse operazioni nei borghi diPianura, Soccavo, Bagnoli e infine al ponte dellaMaddalena” (D. Carnevale). Nicola Pacifico peraver comandato il battaglione “Affaitati” e per altrimotivi venne arrestato, portato nel carcere dellaVicaria e condannato a morte per impiccagione,condanna eseguita nella piazza del Mercato. Fran-cesco Paolo Pinello ne parla nel suo L’amore è il pesoche dà il moto all’anima (2015). Allorquando subì daparte della chiesa la messa allo stato laicale, la suadissacrazione avvenne contemporaneamente conquella del vescovo di Vico Equense Michele Na-tale.

ANTONIO PLANELLI 1737-1803

Nacque a Bitonto il 17 giugno 1737, di antica e no-bile famiglia, figlio di Livia Sylos e di Giovan Bat-tista. Studiò presso la ben nota università diAltamura e, a Napoli, con Giuseppe Vairo, famosoprofessore di chimica che poi lo presentò in mas-soneria. Nel 1767 fu ricevuto nel Sacro MilitareOrdine di S. Giovanni di Gerusalemme, assu-mendo il priorato di Barletta. Entrò poi nell’Or-dine di Malta e proprio al Gran Maestrodell’Ordine, Pinto de Fonseca, è dedicata la tradu-zione delle lettere di Jean-Henri-Samuel Formey.Socio della reale Accademia delle scienze e bellelettere. Musicologo e musicista, talento poliedrico,nel 1775 fu presso l’Abbazia di Montecassinodove prese i voti. Del 1772 il suo saggio di mag-gior rilievo Dell’opera in musica, in uno stile “armo-nioso e toccante” (Villarosa), entrò di buon dirittonella tradizione degli scrittori riformisti del suoperiodo, prendendo spunti da Angarotti e da Ar-teaga, mentre nel 1790 Ferdinando IV lo nominòmaestro della zecca. Ebbe anche il compito di rior-ganizzare il Museo Mineralogico di Napoli. Nel1794 venne accusato di sostegno a una rivolta gia-cobina, ma riuscì ad essere assolto. Secondo Raf-faele Mellace “cruciale per Planelli fu l’ambienteriformatore massonico”, massoneria a cui aderì nel1780 nella loggia “La vittoria” (risulta a piè di listaagli inizi degli anni ottanta). La comunità masso-nica fu decisiva negli anni più maturi di Planelli,con particolare riferimento a Ippolito Pindemonte,ad Aurelio de’ Giorgi Bertòla, ad Antonio e Do-menico De Gennaro, Isidoro Bianchi e MicheleEnrico Sagramoso. Nell’area barese, di un certo ri-lievo la loggia “L’Ospitalità” di Terlizzi di cui fe-cero parte l’arciprete di Leonforte GiuseppeTorallo e monsignor Giuseppe De Gemmis senior.Planelli morì a Napoli nel 1803 e la sua salmavenne inumata nella chiesa dell’Ordine gerosolo-

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mitano di S. Giovanni a Mare. Su di lui cfr. AMassafra, R. Di Castiglione, T. Pedio e A.M. Rao.

GIUSEPPE ANTONIO CERUTTI 1738-1792

Nacque a Torino il 13 giugno 1738, gesuita giaco-bino, Giuseppe Antonio Cerutti, ebbe una vitaassai avventurosa. Gesuita dal 1753, professore diretorica già solo a vent’anni nel collegio di Lione,dopo aver compiuto brillanti studi presso la Com-pagnia di Avignone e presso i gesuiti di Torino.Questo novizio fu considerato dai gesuiti un’au-tentica provvidenza a maggior ragione che Ceruttiscrisse anche una splendida apologia dei gesuiti.Già però nel 1767 fu considerato un apostataanche perché decise di partecipare attivamenteall’azione rivoluzionaria. Divenne poi deputato al-l’Assemblea legislativa. Appartenne alla celebreloggia delle “Nove sorelle” fondata da Lalande nel1776 e lì si legò fortemente ad altri patrioti diquella comunità. Numerose furono le sue consi-derazioni relative alla necessità di nazionalizzarei beni del clero e di ritenere illogico qualunqueprivilegio onorifico a favore dei nobili, pur nonessendo un partigiano dell’eguaglianza totale chegli appariva comunque “une funeste extremité”.Per il complesso delle sue opere meritò grande ri-spetto e stima da parte dei francesi, qualificandosicome uno degli scrittori capaci di strappare al po-polo il velo dell’ignoranza alla stregua di un Bris-sot o di un Condorcet. Morì a Parigi il 4 febbraio1792 colto da una malattia che i medici non riu-scirono a diagnosticare.

ANTONIO JEROCADES 1738-1803

Sul sacerdote e poeta massone Antonio Jerocades,cofondatore delle prime logge calabresi, vi è, fragli altri, il saggio di Davide Monda che ampia-mente ne descrisse la sua vita e il suo operato An-tonio Jerocades, massone militante, educatore e poeta inSarastro e il serpente verde. Sogni e bisogni di una masso-neria ritrovata, Bologna 2003 del sottoscritto e di D.Monda. Antonio Jerocades nacque a Parghelia neipressi di Catanzaro e da ragazzino “odiava impla-cabilmente la scuola e il maestro”. Destinato al sa-cerdozio, studiò nel seminario di Tropea e fuallievo di Giovanni Andrea Serrao. Era un “bril-lante improvvisatore in versi e in musica” (M.L.Perna) e fu costantemente convinto che i sacerdotiavrebbero dovuto essere “i dottori del popolo enon i divoratori delle umane sostanze”. Insegnònel collegio Tuziano di Sora da dove venne peròallontanato per una brillante satira sulle abitudini

clericali. Nel periodo giovanile scrisse il primo ri-voluzionario progetto di riforma della scuola“Saggio dell’umano sapere ad uso de’ giovanettidi Peralia”. Trascorse alcuni periodi in Francia, efu proprio a Marsiglia che entrò nella loggia“Saint-Jean d’Ecosse” che, come lui stesso disse“fu mia madre”. Una volta rientrato nella nostrapenisola, come ricorda compiutamente VittorioGnocchini, cominciò ad operare in modo totaleper la massoneria, fondando anche diverse loggesotto l’egida marsigliese fra cui “L’amor di patria”a Tropea e “La buona speranza” di Parghelia e fudecisivo per la costituzione de la “Fratellanza ita-liana” di Maida. Al riguardo si vedano i lavori diA. Piromalli che lo definì un abate poeta in loggiae che scrisse sul suo illuminismo massonico, e gliscritti di P. Minervini e G. Giarrizzo. Convinto cheai giovani si dovessero conferire gli strumenti peresprimere la loro creatività, nel 1792 fondò la So-cietà massonico-giacobina a Napoli, una deriva-zione dell’Accademia di scienze e lettere distampo francese, che riunendosi a casa di Jeroca-des divenne rapidamente per tutti la “Societàdegli Jerocades”, “il Giardino del lieto lavoro”prendendo poi la denominazione di “Società pa-triottica napoletana”. Questa Società, di stampoprevalentemente latomistico, era composta da re-ligiosi, aristocratici ed esponenti di rilievo delmondo borghese. Scrisse diverse opere di rilievoe molto bello è anche un suo manoscritto su sestesso “Un filosofo in solitudine”. Per lui “il viverdi preda e di rapina è vita da belva, il viver di fa-tica e d’industria è il vivere umano”. Il suo cata-strofismo millenaristico sfociò nel terremoto del1783 interpretato, da lui come altri, come un ca-stigo divino per le colpe degli uomini. Arrestato,venne poi relegato nel convento di san Pietro aCeserano. Una volta libero fu un protagonistadelle vicende della repubblica napoletana e, dopola sua caduta, venne di nuovo arrestato e confinatoprima nel convento dei frati alcantarini di Pigna-taro e poi nel convento del SS. Redentore di Tro-pea e fu qui nel convento dei Liguorini che morì.

MARCELLO EUSEBIO SCOTTI 1740-1800

Marcello Eusebio Scotti grazie allo zio, il sacer-dote Nicola Scotto, fu dapprima convittore delCollegio dei cinesi e poi prese i voti divenendo sa-cerdote nel 1763. Insegnò eloquenza e filosofia nelCollegio dove si era formato. Pur trascorrendomolta parte della sua vita a Napoli, si consideròsempre un clericus insulae Procidae. Massone dal1785, tre anni dopo pubblicò il primo volume di

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un Catechismo nautico che si diffuse molto fra i pe-scatori di Napoli, di Procida e i corallieri di Torredel Greco. Su di lui cfr. S. Fevola, Un abate anticu-rialista del XVIII secolo: Marcello Eusebio Scotti, Napoli1915.

GIOVANNI MELI 1740-1815

Giovanni Meli nacque e morì a Palermo, poeta edrammaturgo, figlio di un orefice. Educato pressole scuole dei Gesuiti presso il Collegio Massimo,mentre a Terrasini in una grotta a lui molto cara,compose molte delle sue poesie nelle quali con-dannava l’avarizia e le perversioni degli uominiche non vivono secondo i consigli della natura,pubblicate poi in cinque volumi e di recente tra-dotte da Gaetano Cipolla. Il poemetto La fata galantedel 1762 gli diede celebrità. Divenne medico nel1764 esercitando come medico condotto a Cinisi,dove veniva chiamato l’abate. E’ l’unico di questalista che in realtà non è mai stato sacerdote, mal’ho voluto inserire egualmente perché per tuttiera “l’abate” traendo tutti in un gustoso inganno.Vestì da abate per poter visitare le case dei nobilie soprattutto entrare nei conventi delle suore damolte delle quali fu attratto: “l’abito per avere ac-cesso nei monasteri e simpatizzare con le mona-che”. Per lo scrittore catanese Salvatore Camilleri,il maggiore esponente del trinacrismo, Meli èstato “il più siciliano dei poeti siciliani, perchépensa in siciliano, perché è siciliano lo spirito cheinforma la sua opera, perché insomma sente in si-ciliano”. Usava il frasario del popolo palermitano,quello delle zone più popolari raggiungendo cosìuna efficacia notevolissima e risultando, per Giu-seppe Pitré, “il più schietto pittore dei costumi deltempo” e rappresentando ottimamente l’essenzadello spirito dei siciliani: “occhiuzzi niuri, si ta-liati, faciti cadiri, jeu muru debuli, di petri e taju,consideratilu, si allora caju!”. Merita altresì di es-sere ricordato anche il poeta catanese DomenicoTempio (1750-1821) perché pure lui fu un magni-fico poeta dialettale, anch’egli massone che avevatentato di intraprendere la carriera ecclesiasticasenza riuscirvi e che rivisitò la terra siciliana conprofondo realismo. Giovanni Meli fu massone emembro di una loggia di costituzione inglesecome segnalato da Giordano Gamberini. Sulla sciadi Meli poi anche Federico Moncada e VerecondoMaria Pepi.

TROIANO ODAZI 1741-1794

Nacque ad Atri e fu un sacerdote, economista e pa-

triota. Professore di etica alla Nunziatella di Na-poli, assunse la cattedra di Economia e commerciogià del suo maestro Antonio Genovesi, autore diuna bella opera Delle lezioni di commercio o sia d’eco-nomia civile. Fu a Livorno, a Genova, a Milano dalsuo protettore il massone Bartolomeo Calderara, aPisa sempre in cerca di migliori opportunità, sinquando non ricevette l’insegnamento alla Nunzia-tella che gli consentì “molta proprietà, casa pro-pria e servitori” risultando secondo FerdinandoGaliani “benissimo situato”. Partecipò alla costi-tuzione di una Gran Loggia nazionale napoletanadal 1773 e per diversi anni si impegnò nella vitalatomistica. Nel 1785 decise di scrivere un gustosoopuscolo contrario alla richiesta di un gruppo dispeculatori stranieri che intendevano prendere inappalto il gioco del lotto Riflessioni umiliate a suamaestà sull’affitto progettato della lotteria de’ 90 numeria cui seguì una Memoria sul gioco del lotto. Fu coin-volto nei fatti rivoltosi del 1794, arrestato si tolsela vita nel carcere della Vicaria il 20 aprile 1794,forse suicida, forse avvelenato. Su Osazi cfr. glistudi di Giovanni Beltrani e Anna Maria Rao.

ALBERTO FORTIS 1741-1803

Nacque a Padova nel 1741 e morì a Bologna nel1803. La morte prematura del padre indusse la fa-miglia a fargli frequentare gratuitamente il semi-nario vescovile di Padova. Studiò retorica, teologiae fu in contatto con studiosi e protagonisti delmondo scientifico e letterario dell’epoca. Nel 1757entrò nell’ordine degli Eremitani di S. Agostino efu perciò, come ricorda Luca Ciancio, in numerosiconventi agostiniani, a Padova, Verona, Bologna,Vicenza ispirandosi alla tradizione baconiana. Haeffettuato numerosi viaggi in vari paesi come peresempio a Parigi o a Strasburgo o in Dalmazia, inun’abazia “abitata da frati zoccolanti, benemeriticoltivatori della Vigna del Signore, dove un pretesecolare difficilmente vorrebbe darsi a così labo-riosa vita” (cfr. Viaggio in Dalmazia dell’abate AlbertoFortis, Venezia 1774). Luana Giurgevich, in qualitàall’epoca di dottoranda dell’Università di Triestescrisse sul “Viaggiatore ideale di Alberto Fortis”nel 2007 sottolineando soprattutto che si era re-cato “in terre poco considerate nella gerarchia eu-ropea dei luoghi degni di osservazione”. Fu anchea Bologna dove curò il patrimonio della bibliotecauniversitaria. Nel 1770 scrisse una lettera “di unprete montagnuolo sopra la questione del batte-simo degli aborti”, non lesinando anche attacchi agiornali dell’epoca “pieni di vane ciance e il piùdelle volte di mordaci ingiuriose parole”. Nei suoi

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soggiorni napoletani ebbe contatti col Filangieri econ gli ambienti massonici nei quali si inserì con-vintamente. Fu proprio la massoneria napoletanache riuscì a farlo nominare dal Sovrano consulenteminerologico col compito di organizzare la produ-zione di salnitro. E’ stato ricordato anche nelleopere di Ruggiero Di Castiglione.

DOMENICO FORGES DAVANZATI 1742-1810

Domenico Forges Davanzati “patrizio tranese” -come amava autodefinirsi - nacque a Palo delColle il 3 novembre 1742, economista, sacerdote,massone. Il padre gli morì a sei anni e dopo lamorte della madre, lo zio Giuseppe Antonio Da-vanzati, arcivescovo di Trani e patriarca di Ales-sandria, lo avviò alla carriera ecclesiastica;successivamente Ferdinando IV lo nominò pre-lato. Fu anche prevosto della cattedrale di Canosanel 1786. A Napoli studiò per un anno anchepresso la casa di Celestino Galiani, amico di fami-glia. Fu un esponente di rilievo della repubblicanapoletana del 1799 e uno dei più convinti asser-tori dei diritti del re contro la chiesa di Roma efece di tutto per rafforzare i diritti della corona.Evidentemente i suoi rapporti con la chiesa furonotormentatissimi che in particolare non intendevaavallare le nomine ai vescovi effettuate dal re nellesedi che via via si rendevano vacanti. Massone go-dette della completa protezione della regina MariaCarolina e in Francia gravitò intorno alla famosaloggia delle “Nove Sorelle” dove vi erano anchenumerosi patrioti italiani, stringendo soprattuttofraterna amicizia con Giovanni Fabbroni, natura-lista e chimico fiorentino e col gesuita GiuseppeAntonio Cerutti. Per la valenza di questi rapportie per il fortissimo appoggio dell’episcopato delregno, non ebbe mai sanzioni ufficiali di con-danna da parte della chiesa di Roma.Nel 1796 venne però arrestato a Trani per le sueintemperanze rivoluzionarie e poi rinchiuso nelforte di Sant’Elmo a Napoli nel mentre si allenta-rono i suoi legami col regime borbonico. In car-cere stette quasi due anni fin quando non vennericonosciuta la sua innocenza. Mandato in esilioin Francia, già nel 1806 ritornò nel regno di Na-poli al seguito delle truppe francesi. Nel 1809venne chiamato a far parte dell’Accademia Ponta-niana dove dissertò sullo stato imperfetto dellageografia antica. Morì il 12 agosto 1810 tornato aPalo del Colle mentre era ospite del fratello. Su dilui cfr. l’ottimo saggio di Grazia Distaso, Un vescovoletterato: note su Domenico Forges Davanzati.

GIOVANNI FRANCESCO CONFORTI 1743-1799

Giovanni Francesco Conforti nacque a Calvanicoil 7 gennaio 1743 all’epoca centro serico di rilievo,presbitero, teologo, giurista e patriota. Studiò nelseminario di Salerno. Fu un martire della rivolu-zione del 1799, arrestato e portato al patibolo: “lagratitudine non ha luogo fra gli sdegni politici”.Appartenne al milieu massonico anche se contra-stò fortemente il fratello Francesco Longano suquestioni ecclesiastiche. Tenne anche la direzionedi una scuola di diritto civile e canonico. Nel 1780pubblicò un importante lavoro di diritto ecclesia-stico, noto come l’Antigrozio e poi un testo acuto epremonitore La dottrina pacifica. Durante la Repub-blica Partenopea fu scelto come rappresentante delpopolo. Di Conforti scrisse Mariano D’Ayala nelleVite degli italiani benemeriti della libertà e della patria.

NICOLA VINCENZO PALOMBA 1746-1799

Nacque ad Avigliano il 23 ottobre 1746, entrò nelseminario di Potenza e poi si laureò in giurispru-denza all’università di Napoli dove entrò in mas-soneria. Fu un fautore della Repubblicapartenopea, a Potenza e a Matera aveva contri-buito ad alzare in piazza l’albero della libertà, por-tato al patibolo si rifiutò di fare i nomi degli altrifratelli patrioti e a chi lo invitava a salvarsi con ladelazione: “Vile schiavo, io non so comprare ilcapo con una infamia”. Cristina Passetti ha scrittosu di lui che numerosi anni di lavoro in loggia el’egualitarismo massonico avevano predispostotanti fratelli, fra cui molti sacerdoti, nell’acquisireil coraggio di affrontare la lotta politica sino allepiù terribili conseguenze.Nello stessa area si evidenziò l’operato anchedell’arciprete Matteo Catalano di Vaglio, autore dinumerosi scritti a difesa della religione cattolica e“della real dignità”, di estrazione nobiliare, chenel 1799 coagulò intorno a lui le famiglie filo-bor-boniche, secondo le ricerche di Angelo Massafra,scacciando i repubblicani dal paese lucano.

GIUSEPPE PIAZZI 1746-1826

Presbitero, astronomo, massone, nacque a Pontein Valtellina il 16 luglio 1746 e venne battezzatoin tutta fretta temendo per la sua vita. Studiò neicollegi dell’Ordine dei Teatini a Torino, Roma,Genova e a Milano dove poi entrò nel convento disant’Antonio e venne ordinato sacerdote nel 1769.Insegnò filosofia, matematica, teologia e astrono-

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mia a Roma, a Malta e a Palermo. In particolare sirivelò un astronomo a livello mondiale scoprendosinanco un nuovo pianeta il 1 gennaio 1801 bat-tezzato “Ceres ferdinandea”, come Cerere la pro-tettrice del grano e della Sicilia; la seconda partedel nome “ferdinandea” comprensibilmente nonfu ben accetta alla comunità internazionale e suc-cessivamente venne eliminata. In conseguenza diquesta scoperta nel 1803, su proposta di BarnabaOriani, venne nominato membro dell’Istituto na-zionale italiano di scienze lettere e arti di Bologna,Istituto di altissimo profilo i cui primi trenta mem-bri erano stati scelti direttamente da Napoleone.Secondo Antonino Giuffrida la sua partecipazionealla massoneria fu profonda e convinta pur cer-cando di mantenere strettamente riservata l’appar-tenenza per non pagarne dazio. Ciononostantevenne accusato di essere un fratello massone allastregua del suo fraterno amico il principe di Cara-manico, vicerè di Sicilia e propugnatore dell’Os-servatorio astronomico di Palermo oltre che diJerome di Lalande, G.M. della loggia delle “Novesorelle” che aveva dichiarato che per lui la masso-neria era motivo di grande soddisfazione da quat-tro generazioni. I rapporti fra Lalande e Piazzisono testimoniati ampiamente anche nel diariodell’architetto giacobino e massone, amico di en-trambi, Leon Dufourny, poi curatore di moltiaspetti architettonici relativi all’Osservatorioastronomico realizzato al Palazzo Reale.

MICHELE GRANATA 1748-1799

Nacque a Rionero in Vulture il 27 novembre 1748ricevendo i primi insegnamenti dallo zio preteMattia e poi fu avviato ai seminari di Melfi e diRapolla. Entrò nell’ordine dei Carmelitani scalzicol nome di padre Francesco Saverio Granata daRionero e fu prima a Napoli poi a Barile. Nel con-vento del Carmine Maggiore divenne il padreprovinciale. Fu poi professore di Filosofia e di Ma-tematica alla Nunziatella. Fu rettore dei carmeli-tani di Santa Maria della Vita nel convento diMontesanto a Napoli dopo essersi unito alla co-munità massonica. Per le sue idee venne condan-nato a morte, venne giustiziato il 12 dicembre1799 dopo essere stato sconsacrato da monsignorGiuseppe Corrado Panzini vescovo di Ugento.

RAFFAELE DRAGO 1748-1824

Monaco cassinese, Raffaele Drago, benedettino,bibliotecario e poi direttore presso il convento be-

nedettino di San Martino alle Scale presso Pa-lermo (cfr. Rosanna Equizzi, San Martino delle Scale:la collezione archeologica, Roma 2006). Direttoredell’Accademia palermitana del Buon Gusto, pro-fessore di diritto canonico. Membro di una loggiainglese palermitana fondata nel 1780 con patenterilasciata dal G.M. provinciale duca di san Deme-trio e di cui era M.V. Carlo Cottona di Villarmosa.Giuseppe Pitrè lo ha menzionato come “un padredotto e buono”, mentre il marchese di Villabiancanella Appendice alla Sicilia nobile lo indicò come “unode’ bravi letterati che di presente si hanno in pa-tria” e lo segnalò come autore della “Canzonetta”che nel 1796 venne creata per il corpo franco deiVolontari siciliani. Di Raffaele Drago ne parlaanche Francesco Paolo Pinello in L’amore è il pesoche dà il moto all’anima, testo dedicato al gianseni-smo e alla massoneria nella seconda metà del Set-tecento in Sicilia.

DOMENICO VINCENZO TROISI 1749-1799

Nacque a Roccagorga, in provincia di Latina, il 23dicembre 1749. Trasferitosi a Napoli fece il novi-ziato presso la chiesa di santa Maria de’ Verginientrando nella Congregazione di san Vincenzo de’Paoli e, come ricorda Nicola Terracciano, celebròla sua prima messa nel 1772. Fu professore al-l’Università di Napoli, ritenuto da chi lo aveva co-nosciuto “uomo di grande ingegno”. Fece partedella comunità massonica incitando i combattentia schierarsi contro i borbonici e si ritirò nel Ma-schio Angioino per un’ultima disperata difesa. Fupoi arrestato e il 24 ottobre 1799, dopo essere statosconsacrato, venne condannato al patibolo che af-frontò con grande decoro e dignità, senza la sot-tana sacerdotale: “vestì una sciamberga nera, sottouna pioggia dirottissima”. Cfr. al riguardo CamilloAlbanese Cronache di una rivoluzione. Napoli 1799,Milano 1998.

GIROLAMO VECCHIETTI 1750-1799

Girolamo Vecchietti nacque a Napoli intorno al1750. Fu discepolo di Antonio Genovesi, fre-quentò il seminario dove eccelse in teologia e re-torica, poi si addottorò in giurisprudenza. Vennecoinvolto nella cosiddetta congiura giacobina del1794, ma non venne arrestato dall’Inquisizionegiacché venne trovato ormai in fin di vita. Legatoda grande affetto al vescovo Andrea Serrao, adAntonio Jerocades, a Domenico Forges Davanzati,che lo definì “amico della virtù e del sapere”, al

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teologo luterano danese Friedrich Munter dell’Or-dine degli Illuminati, con i quali condivideva lastessa fede latomistica. Membro della massonerianapoletana, aderì alla Gran Loggia Provinciale delRegno di Napoli e Sicilia dipendente dalla GranLoggia d’Inghilterra.

GIUSEPPE CESTARO 1751-1799

Nacque a Napoli dove studiò in seminario e poiordinato sacerdote nel 1775. Si occupò di filologiae di linguistica e fu membro dell’Accademia discienze e lettere. Continuò l’opera del Grimaldinel condurre in porto gli Annali del Regno di Napoli.S’inserì nell’ambito progressista e nella massone-ria, alimentando sentimenti sempre più anticu-riali. Come ricorda Maria Aurora Tallarico “già datempo faceva parte, con tutta la famiglia, della So-cietà dei liberi muratori” e poi aderì alle idee ri-voluzionarie. Morì probabilmente il 13 giugno1799 allorquando i sanfedisti attaccarono sulponte della Maddalena insieme a numerosi altrisacerdoti massoni. Sue lettere private e documentisono conservati presso l’Archivio di stato di Fi-renze.

MICHELANGELO CICCONI 1751-1799

Nacque a Morro presso Teramo ed entrò in semi-nario subendo una forte influenza francese. Di-venne prima chierico regolare minore delconvento della Pietrasanta e poi passò ai Teatini.Mise a frutto la sua capacità di improvvisare versi.Condannò fortemente il malgoverno borbonico eaderì al nuovo regime repubblicano venendo ac-cusato di opere in cui “sparlava delle sacre per-sone” (M.A. Tallarico) e fu condannato a morte,ucciso il 18 gennaio 1800 in piazza del Mercato aNapoli. Faceva parte di un ampio gruppo di sacer-doti massoni e seguì la stessa sorte di GiuseppeCarlo Bellari vicentino (1754-1799), minore diSanta Maria La Nova, di Saverio Caputo, napole-tano (1757-1799) olivetano di Sant’Anna de’ Lom-bardi, di Gaetano Morgera, napoletano(1770-1799), sacerdote che aveva piantato l’alberodella libertà a Forio, di Giuseppe Carlo Bellari1754-1799, di Gaspare Pucci (1774-1800) di Sam-buca (Agrigento) chierico, studente in medicina edi svariati altri.

MICHELE ARCANGELO NATALE 1751-1799Nacque a Casapulla presso Caserta il 23 agosto1751. Studiò presso il seminario di Capua e nel

1755 venne ordinato sacerdote a Pignataro Mag-giore. Svolse il suo sacerdozio prima a Capua e poia Napoli anche presso la famiglia del duca diMonteleone, Ettore Pignatelli, e grazie alle nuoveconoscenze aderì alla massoneria agli inizi deglianni ottanta, tant’è che nel 1782, secondo Rug-giero Di Castiglione, lo troviamo nel piè di listadella loggia “La Vittoria” della Gran Loggia Na-zionale delle Due Sicilie detta dello Zelo. Divenneprecettore dei figli di Ferdinando IV e nel 1798venne consacrato vescovo, l’ultimo vescovo diVico Equense, ma quando il 24 gennaio 1799 in-vocò la benedizione del Signore per l’arrivo deifrancesi, e per questo suo orientamento politico,mutata la scena politica, nell’ambito della sangui-nosa repressione antirepubblicana, poi venne pro-cessato, condannato a morte e impiccato nel 1799nella piazza del Mercato a Napoli, una morte ter-ribilmente atroce: “veramente fu cosa orrorosa ilvedere per 24 ore pendere dalla forca un vescovo”.La diocesi di Vico venne soppressa e inglobata inquella sorrentina proprio perché la figura di que-sto vescovo massone doveva subire una damnatiomemoriae e persino il suo ritratto vescovile vennesostituito da un putto che invocava il silenzio. Diquesto martire va ricordato anche il suo Catechismorepubblicano per l’istruzione del popolo e la rovina de’ ti-ranni, opera curata nel 1998 da Giuseppe Acocella.Sul vescovo Natale cfr. inoltre gli studi di France-sco Migliaccio, Gaetano Parascandolo, AntoninoTrombetta, Gabriele Iannelli e Arnaldo Di Bene-detto.

OTTAVIO ALBICINI 1753-1832

Ottavio Albicini, rivoluzionario cisalpino, predi-catore di fama, secondo la bella scheda di VittorioGnocchini, nato nel 1753 a Forlì, era un sacerdotecattolico che nel 1801 divenne presidente dellamunicipalità della sua città. Ebbe vasta notorietàallorquando nel 1820 operò a Brescia un’ascen-sione aerostatica. Nel 1808 divenne M.V. dellaloggia “Reale Augusta” di Forlì del Goi sedente inMilano. Già nel 1806 aveva contribuito alla fon-dazione della loggia “Pigneta” di Ravenna. Dopola restaurazione pontificia si trasferì a Milano dadove fu espulso nel 1817 per attività antigoverna-tiva. Successivamente si rifugiò in Svizzera doveriprese appieno la sua vita sacerdotale con il nomedi Valeriano delle Romagne dimorando per di-versi anni nel santuario di san Bernardo nel co-mune di Comano. Siro Bozzani ha scritto un buonarticolo su questo periodo Il marchese Ottavio Albi-cini forlivese eremita di san Bernardo sopra Comano.

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Morì a Lugano in odore di santità e sepolto nelsantuario nel 1832.

IGNAZIO FALCONIERI 1755-1799

Nacque a Monteroni in Puglia il 16 febbraio 1755,studiò nel seminario di Nola divenendo profes-sore di lettere e poi rettore per breve tempo dellostesso seminario. Di rilievo un suo scritto sul me-todo oratorio in cui eccelleva. Prese parte attivaalla Repubblica Partenopea a Napoli dove era en-trato consistentemente nell’ambito massonico. Colritorno dei Borboni catturato e processato, il 31 ot-tobre 1799 andò al patibolo in piazza del Mercatoa Napoli affrontando la fase finale della sua vitacon grande dignità.

SAVERIO SCROFANI 1756-1835

Saverio Scrofani, barone della Terra di san Gae-tano, nacque a Modica nel 1756 e morì a Palermonel 1835. Abate, storico, esperto di economia, stu-dioso di agraria e di poligrafia. Nel 1822 venne al-lontanato dalla chiesa per la sua appartenenza allamassoneria. Infatti nel 1809-1810 a Napoli strinserapporti con la massoneria e con GioacchinoMurat e nel 1814 fu nominato direttore dell’ufficiodel censimento della città di Napoli, incarico chemantenne per molti anni. Fece parte del noverodei viaggiatori dell’epoca, come si evince anchedal Viaggio in Grecia, Roma 1965, che rientra nel fi-lone della letteratura filoellenica. Fu confidentedella polizia borbonica e di quella parigina, e fudeputato in Sicilia della pubblica Istruzione e se-gretario dell’Accademia di Scienze e lettere. Di luisi è occupato anche G. Giarrizzo nel 1989. Ebbeuna vita frenetica e irrequieta e rapporti fraternimolto intensi con l’abate Alberto Fortis. Uno deisuoi ultimi saggi venne dedicato all’alluvione diModica del 1833.

GIAMBATTISTA MANFREDI 1758-1842

Giambattista Manfredi nacque a Napoli il 7 luglio1758 dal padre Vitangelo nativo di Altamura. Re-ligioso, professore, accademico, massone, carbo-naro. Canonico insegnò presso l’Università diAltamura prima eloquenza e poi filosofia naturale.Parteggiò per la repubblica napoletana. Fu mas-sone secondo le tesi di Angelo Massafra e di Bar-bara Raucci, fin da giovinetto membro della liberamuratoria altamurana. Intorno alla fine del Sette-cento ad Altamura le riunioni massoniche si tene-

vano presso la sua canonica inneggiando allenuove idee rivoluzionarie che provenivano dallaFrancia. Ma poi proprio quando queste posizionidivennero di dominio pubblico, dovette fuggireda Altamura. Ricercato, arrestato e processatovenne relegato nel bagno penale del castello diSanto Stefano. Liberato nel 1801 poté tornare adAltamura dove visse per alcuni anni fra grandistenti per via dell’interdizione dai pubblici uffici,come si rileva anche dagli studi di Ruggiero DiCastiglione. Riprese quota e un relativo benessereallorquando nel 1806 il clero locale decise di in-caricarlo di rendere omaggio a Giuseppe Bona-parte di passaggio per Matera. Fu fatto poi vicariocapitolare della chiesa di Altamura. Fra i suoiscritti un trattatello rivolto ai suoi studenti Ele-menti del bel dire, purtroppo mai pubblicato permancanza di fondi. Morì ad Altamura il 1 novem-bre 1842. Ebbe in grande considerazione la sa-pienza e l’acume del caro amico altamurano Lucade Samuele Cagnazzi (1764-1852), politico, acca-demico, arciprete, inventore del tonografo, un ri-produttore di suoni, insegnante di matematica efisica presso la rinomata università di Altamura epoi professore presso le università di Firenze e diNapoli e assai attivo nelle proteste liberali e perqueste processato. Giambattista Manfredi ebbemodo anche di conoscere e di frequentare il mol-fettese Giuseppe Maria Giovene (1753-1837), ar-ciprete, agronomo, geologo, uno dei primi e piùbrillanti scienziati pugliesi.

FRANCESCO SAVERIO SALFI 1759-1832

Nacque a Cosenza e divenuto prete fu uno deiprimi preti illuministi.Una prima svolta della sua vita avvenne in occa-sione del terremoto del 1783 che lo convinse ascrivere il suo parere sulla questione Saggio di fe-nomeni antropologici relativi al tremuoto con una for-midabile critica contro il clero che tendeva aspiegare il fenomeno come una divina punizioneinviata da Dio. Dopo la rivoluzione francese vollediventare un rivoluzionario giacobino. Iniziaronocosì le sue peregrinazioni di esule ovviamente so-prattutto in Francia in cui alimentò la sua scienzamuratoria. Fu segretario di Murat e al suo ritornoinsegnò a Brera logica e matematica e poi storia ediritto. Fece parte, secondo Vittorio Gnocchini,della loggia milanese “Amor di Patria”, costituitaeminentemente da esuli. Fu dirigente di rilievodel Goi e nel 1808 fu M.V. della loggia “Real Giu-seppina”. La loggia livornese “Napoleone” gli con-ferì un particolare riconoscimento per una sua

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memoria sul rapporto filantropico e la morale.Molto bella la sua dissertazione Sulla utilità dellamassoneria scritta nel 1807 e di recente ripubbli-cata dall’editore calabrese Brenner nel 2014 a Co-senza. Sempre molto critico nei confronti dellachiesa romana “Regno sacerdotal che dell’imbelleItalia involve la total ruina”. Il suo anticurialismofu molto forte ed emerse in alcuni libretti come Lafiglia di Gefte del 1785, fu profondamente avverso aNapoleone. Scrisse 47 opere e tragedie, con unospirito alfieriano “indagatore e insonne”, e se-condo Franco Piperno, in realtà Salfi, nella sciaviennese, francese e inglese, tentò di creare attra-verso spettacoli teatrali e operistici “una tribunada cui diffondere il proprio pensiero” spiccata-mente latomistico. Le sue opere di poeta e di giu-rista si ispirarono sempre a principi di libertà e dilaicità. Morì in Francia nel 1832.

GIUSEPPE GUARDATI 1765-1799

Giuseppe Guardati nacque a Sorrento il 27 feb-braio 1765, sacerdote benedettino, uomo digrande cultura, professore universitario, fu fra imartiri della repubblica napoletana impegnandosiin particolare per i lazzari e la povera gente. Con-dannato al patibolo in piazza Mercato a Napoli fugiustiziato il 13 novembre 1799. Lo ricordanoanche Nello Ronga, Camillo Albanese e ValentinoSani in 1799 Napoli. La rivoluzione. In stretta rela-zione con gli altri sacerdoti massoni giustiziati du-rante la durissima repressione borbonica.

LUIGI SCEVOLA 1770-1819

Luigi Scevola nacque a Brescia, ordinato sacer-dote, fu insegnante di retorica e poi di letteraturaitaliana nei licei. Fece parte del locale comitato diPubblica istruzione prima di diventare vice-bi-bliotecario dell’ateneo bolognese (1807-1815).Date le sue idee filo-murattiane fu costretto a ri-parare a Milano dove fondò l’Accademia dei Con-cordi e poi morì. Buon poeta e drammaturgo seguìl’impronta del Foscolo di cui era stato amico d’in-fanzia e di lui ne scrisse molto bene anche il“Giornale della letteratura italiana”. Nelle suepoesie era solito inneggiare alla morte dei tiranni,mentre nei suoi scritti sosteneva che vi erano “desacerdoti a satollar più adatti che a purgar l’almedei divoti”. Ebbero un buon successo alcune suetragedie – per lui la tragedia era il “trattenimentodei principi” – quali “Erode”, “Socrate”, “Annibalein Bitinia” e “Saffo”, forse il suo lavoro meglio riu-scito.

ANTONIO BIANCHI 1774-1828

La famiglia di Antonio Bianchi proveniva daIvino, una frazione di Collio in provincia di Bre-scia. Entrò a 17 anni in seminario dove ebbe comemaestro di latino don Nazaro Ronchi e dove venneparticolarmente apprezzato al punto che il vescovolo consacrò maestro dei suoi stessi condiscepoli.Precettore presso i collegi di Zecchi Falsina e delleGrazie insegnando grammatica, fu perciò esem-plare sacerdote e fervente patriota. Ciò gli costò lepelose attenzioni della polizia austriaca che peròriuscì a sviare con una certa abilità sostenendo cheera un uomo di penna e non d’azione e che non sioccupava dei problemi politico-sociali del suotempo. Fu nella lista dei 39 cospiratori dell’insur-rezione del 7 marzo 1797 contro il governo veneto.Da Napoleone ebbe l’incarico di riorganizzare lescuole del bresciano e fu fra i fondatori dell’Ate-neo delle arti, scienze e lettere di Brescia che dalui ricevette – come ricorda Gian Franco Torcellan– “entusiasmo di collaborazione e di disinteressatadedizione”. All’arrivo degli austriaci cercò di con-tinuare a salvaguardare l’Ateneo pubblicandoneanche i Commentari. Scrisse numerosi saggi sulPurgatorio, su Terenzio Varrone e “sul modo di in-segnare la lingua italiana”. Morì a 55 anni e mon-signor Guerini lo celebrò come “uno dei campionipiù attivi e stimati” dell’area bresciana. Fu fidatoamico dell’abate Luigi Scevola con cui condivisel’esperienza nella loggia bresciana “Amalia Augu-sta” e operò pienamente nel milieu latomisticodella sua terra in estrema segretezza per non pa-garne il fio. All’interno della sua loggia i rapportipiù cospicui e fondanti furono quelli con i nume-rosi sacerdoti presenti nella comunità massonica.

GIOVANNI CERVADORO 1782-1835

Nacque a Maida, in provincia di Catanzaro, il 25agosto 1782, studiò nel seminario di Nicastro dovesi evidenziò per le sue doti personali e per gliideali patriottici e, ordinato sacerdote, venne no-minato canonico della Collegiata di S. Maria delsuo paese natale. Appassionatosi alla vicenda na-zionale s’inserì nella massoneria in cui ardente-mente credette, animando a Maida la loggia “Lafratellanza italiana” ispirata da Jerocades. Nel1811 fondò “una nuova loggia di rito scozzese chein onore all’antico nome di Maida, Melani, vennechiamata “I filadelfi melanici”, come ci raccontaFrancesco Cervadoro autore di un bel profilo nel2003 di Giovanni all’interno del sito “Feudo diMaida” e grazie anche all’Associazione culturale“La lanterna” e al premio letterario ad essa con-

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nesso. Nel 1820 introdusse una vendita carbonaradi cui divenne Gran Maestro “I conservatori dellalibertà”, ma venne denunciato dall’arcivescovo diNicastro monsignor Gabriele Papa ed arrestato. Inforza della grande considerazione popolare di cuigodeva ebbe la solidarietà del sindaco e dei decu-rioni che si dimisero dall’incarico pur di non es-sere coinvolti nella triste vicenda. Non venne maimeno ai suoi doveri verso il sacerdozio.

GIUSEPPE ANDREOLI 1789-1822

Giuseppe Andreoli nacque a San Possidonio inprovincia di Modena, alto e magrissimo, si iscrissenel 1811 all’Università di Bologna. Lo zio arcipretedi San Martino in Rio Giovanni Battista Andreolilo aiutò a realizzare la sua grande aspirazione diseguire la vocazione religiosa e lo fece dapprimaentrare nel seminario di Reggio Emilia dovevenne ordinato sacerdote nel 1817. Appartenne

alla carboneria e venne iniziato in casa Fattori aReggio Emilia. Lì prese dimestichezza con le ideemassoniche affiliandosi alla carboneria e alla So-cietà dei Sublimi Maestri Perfetti. Timido e taci-turno, veniva dalla povertà del mondo contadino,accusato di appartenere al mondo latomistico,condotto a morte, al patibolo, non ritenne di la-sciare nessuna dichiarazione. Arrestato e trasferitonel carcere di Rubiera, detto il “Sasso”, giudicatoda una severissima Corte speciale che decidevasommariamente “in un’unica istanza”. Non con-fessò mai nulla, ma sembra che purtroppo inun’occasione ebbe a confidarsi con un compagnodi cella, una spia, messa lì ad arte. Il giorno primadell’esecuzione fu “spretato” dal vescovo di Carpi,Filippo Cattani, mentre Francesco IV, volendo perforza punire esemplarmente, fece arrivare al“Sasso” di Rubiera da Brescia una ghigliottina eun boia per compiere l’infame decapitazione. An-dreoli donò agli altri detenuti i suoi poverissimiaveri, due libri, un fazzoletto e una tabacchiera. Ilcorpo fu sepolto a Rubiera in una chiesa sconsa-crata con la testa mozzata tra le gambe. Nel 1887dopo la riesumazione, alcuni resti furono inviatial suo paese natale. Esempio di passione profondaper la nostra unità nazionale e per la fede nellagiustizia. E’ un patriota fra i meno conosciuti, manella sua semplicità ed essenzialità, è una delle fi-gure più belle e profonde del latomismo italianoe internazionale, che onora la carboneria, la mas-soneria e la chiesa.

UGO BASSI 1801-1849

La vicenda, bellissima, del barnabita e massoneUgo Bassi è stata già ampiamente raccontata da“Massonicamente” nel n. 8 del 2017 Ugo Bassi: pa-triota, barnabita, massone di Alessandro Boselli epoi da me nel n. 11 del 2019 Ugo Bassi patriota emassone. Qui desidero solo ricordare che il barna-bita centese voleva l’Italia con tutte le sue forze emanifestava al riguardo il suo pensiero nelle sueprediche, attaccando in primis “i sacerdoti, gliopulenti, i sovrani che non sanno governare i po-poli”. Ugo Bassi era un massone, lo hanno certifi-cato i GG.MM. Umberto Cipollone e GiordanoGamberini e gli storici Carlo Manelli, UmbertoBeseghi e Alessandro Boselli, oltre a L. Gualtieri,D. Facchini, L. Simoncini e A. Petacco. Affiliatoalla loggia “Concordia” di Bologna già dalla finedegli anni trenta. In particolare presso la Biblio-teca del Museo civico di Bologna nel fondo UgoBassi, serie G, busta 11, vi è un documento che at-testa la sua appartenenza alla loggia “Concordia”.

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Ugo Bassi

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Quando venne scomunicato da Pio IX, di alto pre-gio il suo discorso Sulla scomunica e altre cose deigiorni nostri. Non indossò più l’abito talare, matenne sempre con sé un lungo crocifisso in ferro,lo stesso che brandiva durante le battaglie checombatté (era così fuori posto in un campo di bat-taglia che non credo che un proiettile lo potessericonoscere come obiettivo), un breviario e un va-sello d’argento con l’olio santo; ma quando ri-chiese il viatico prima di essere fucilato non glivenne concesso.Non marginale la vicenda relativa al suo monu-mento dedicatogli a Bologna. Negli anni ottantadell’Ottocento un autorevole gruppo di massonibolognesi costituito da Giosue Carducci, AurelioSaffi, Oreste Regnoli e Giovanni Malvezzi crea-rono appunto un comitato per la creazione di unastatua in bronzo da commissionare a Carlo Par-meggiani. Fu Malvezzi a consegnare nell’agostodel 1888 al sindaco massone Gaetano Tacconi (cfr.Maestri per la città, vol I, Tipheret) la statua con leinsegne massoniche in occasione dell’ottavo cen-tenario dell’università con un ricordo toccante diQuirico Filopanti. Non è mai accaduto che unastatua sia stata tanto spostata da un luogo all’altrodella città, come quella di Ugo Bassi per via dellapotente evocazione massonica, non avendo nean-che l’amministrazione fascista la forza morale peroccultarla. La statua nel 1888 era stata installatain via Indipendenza, davanti all’Arena del sole,luogo dell’insurrezione popolare, nel 1900 vennetrasferita presso il Mercato delle erbe; nel 1949dopo i danneggiamenti subiti durante il secondoconflitto mondiale, fu collocata nel giardino dipiazza XX Settembre di fronte alla stazione; infine,nel 2003, dopo un restauro, fu collocata in viaBassi dove peraltro il barnabita aveva anche effet-tivamente dimorato nell’albergo San Marco, pro-prietà di alcuni suoi parenti. Le insegnemassoniche ai piedi della statua hanno avuto unavita complicata perché già subito nel 1888 ven-nero trafugate - così come nel 1925 - ad opera ditre studenti che non sopportavano l’onta dellestimmate massoniche, in seguito alle disposizioniche in quell’anno mettevano fuori legge la masso-neria, le rubarono insieme alla corona che ador-nava il basamento. La storia si è ancora una voltaripetuta allorquando la statua è stata riportata invia Bassi, ma nulla potrà mai oscurare l’operato el’insegnamento di un patriota e massone straordi-nario come Ugo Bassi.L’11 novembre 2017, a Bologna, la loggia UgoBassi e il Collegio regionale dei MM.VV. del-l’Emilia Romagna gli dedicarono un eccellenteconvegno Religione civile e patriottismo costituzionale da

Bassi ai giorni nostri, con la conclusione dei lavoriad opera del G.M. Stefano Bisi.

LUIGI GUSMAROLI 1801-1872

Padre Luigi Gusmaroli appartenente ad un’agiatafamiglia mantovana, fu uno degli otto preti che ri-nunciarono all’abito talare per seguire Garibaldi.Nel 1846 si sposò a La Maddalena con la vedovaMaria Antonia Gavini da cui ebbe due figli. AMarsala i mantovani con Garibaldi furono 33. Gu-smaroli venne spesso utilizzato da Garibaldi comesuo sosia anche per una fuga rocambolesca, comeperaltro aveva fatto in più di un’occasione col co-lonnello John Peard. Gusmaroli seguì Garibaldiin esilio e stette con lui fino alla morte avvenutanel 1872. Cesare Abba lo menzionò con commo-zione: “a confortar i feriti un po’ dappertutto, an-dava il prete Gusmaroli da Mantova” e lo ricordòcome un uomo un po’ curvo, basso, tarchiato conun passo da marinaio e con una barba simile aquella di Garibaldi. Ecco il motivo dell’utilizzoper confondere le acque e per simulare tre Gari-baldi in luoghi diversi. Fu proprio Garibaldi adettare l’epitaffio sulla sua tomba dopo averloospitato per qualche tempo a casa sua: “Qui giaceil maggiore Luigi Gusmaroli dei Mille. Egli vestìl’abito da prete, quando in giovane età di ragione,capì che non doveva essere, della setta degli im-postori, e si fé uomo milite, valorosissimo della li-bertà italiana, pugnò in tutte le patrie battaglie, efu padre e marito onesto, ed amorosissimo”. Moltobello il suo profilo, da prete a generale, a cura delCentro studi internazionale di storia postale. LuigiPolo Fritz in La massoneria italiana nel decennio postu-nitario: Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Milano1998, p. 298, ne attesta l’appartenenza alla masso-neria. Morì poverissimo a La Maddalena doveabitò in via Garibaldi 33, come testimoniò il gari-baldino Giuseppe Nuvolari che lo assistè sino allafine.

DOMENICO ANGHERA’ 1803-1873

Nato a Potenzoni Briatico nei pressi di Catanzaro,sacerdote, fu curato di Pizzo presso la chiesa par-rocchiale di San Vito. Agli inizi degli anni qua-ranta carbonaro e iscritto alla Giovine Italia fondòa Catanzaro una “società evangelica” crogiuolo dicarboneria, cristianesimo e massoneria il cuimotto era “religione e libertà”. Non riuscì a parte-cipare ai moti perché venne arrestato nel 1848,anno in cui entrò in massoneria nella loggia de “IRigeneratori” di Palermo all’obbedienza della

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Gran Loggia Nazionale di Sicilia. Fu perciò inter-detto e scomunicato dalla chiesa di Roma, co-stretto poi a riparare a Malta, dove conobbe NicolaFabrizi e dove fu ricostituita la loggia palermitana.A Malta si occupò della Quadratura del cerchio, ri-cerche che poi proseguirà con la pubblicazione nel1861 dei Problemi di geometria. Uscito dal carcere,partecipò anche alla rivolta di Catanzaro e lì feceparte del comitato di salute pubblica. Dopo l’unitàd’Italia abbandonato il sacerdozio, secondo Vitto-rio Gnocchini, fondò nel 1861 a Napoli la loggia“La Sebezia”, che poi si costituì in Loggia Madre,formando alle sue dipendenze una ventina dilogge e divenne presidente del Supremo Consi-glio dei 33. Queste vicende specifiche vennero dalui stesso descritte nel testo del 1864 intitolato Me-moria storico-critica sulla società dei fratelli liberi mura-tori del Grande oriente Napoletano”, e nel 1869 Ilrituale del trentesimo grado pubblicati a Napoli dovemorì nel 1873.

GIOVANNI VERITA’ 1807-1885

Nella notte del 21 agosto 1849 Garibaldi ebbesalva la vita grazie a un prete di Modigliana, donGiovanni Verità, iscritto alla Giovine Italia, sacer-dote dal 1829. Era solito celebrare la messa nellachiesa di san Rocco, nel cosiddetto “Borgo vec-chio”, a contatto ogni giorno con la parte più mo-desta e povera della gente della sua terra. A lorospesso donava i soldi delle elemosine raccolte du-rante le messe. Don Giovanni venne a sapere cheGaribaldi era in pericolo mortale braccato ormaidappresso dagli austriaci, dopo aver lasciato ilcorpo di Anita alle Mandriole, piccola frazione delcomune di Ravenna. Riuscì a raggiungerlo sulmonte Trebbio e a nasconderlo, insieme a GiovanBattista Culiolo di La Maddalena, detto “capitanleggero”, noto uomo di mare, a casa sua, nella ca-nonica di Modigliana e poi li aiutò a imbarcarsiper Livorno. Verità in quegli anni aveva già aiu-tato numerosi cospiratori e patrioti inseguiti daimiliti dello Stato pontificio organizzando, lui cheera amante dei colombacci, delle finte battute dicaccia durante le quali recuperava i fuggiaschi e liconduceva in salvo. Accusato di essere un sovver-sivo fu arrestato e detenuto a Firenze per qualchetempo. Scarcerato fu deputato all’Assemblea to-scana che dichiarò decaduta la dinastia lorenese enel 1859 cappellano di Garibaldi e poi nel 1866dell’esercito regio. Nell’ottobre del 1859 Garibaldiritornò da lui per abbracciarlo, accolto trionfal-mente dalle autorità locali. Quando don Giovannimorì nel 1885 gli furono negati i funerali religiosi

e sepolto in terra sconsacrata, ma ebbe il confortopoche ore prima della sua morte dell’abbracciofraterno di Ubaldo Comandini e di Aurelio Saffiche si erano recati da lui per l’ultimo saluto. Infattiil rapporto con la massoneria era sempre statoassai forte, come conferma anche la “Rivista di teo-logia dell’evangelizzazione” per la quale Verità era“amico dei massoni e nemico del potere temporaledei papi” e come venne confermato anche dalla“Rassegna storica del risorgimento” che nel 1936(p.173) scrisse che sulla vecchiaia di don Giovannivegliava la loggia Torricelli di Faenza. In punto dimorte con le ultime forze disse “sono nato nellareligione di Cristo e in essa desidero morire” econdannò la chiesa di Roma ritenendola lontanaanni luce dalla “vera religione di Cristo”. Pur di-nanzi a queste parole, ricorda Alfredo Oriani, ilprete mandato dal vescovado per ottenereun’abiura ritenne in coscienza di dover ascoltarela confessione di don Giovanni e poi gli diedel’assoluzione. Ciò si rese possibile perché due

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Giavanni Verità ritratto da Silvestro Lega

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giorni prima il Vescovo di Modigliana si era recatoda lui e don Giovanni ne era rimasto molto con-tento. Sparsasi subito la notizia fra la folla che siera raccolta nel cortile della casa di don Giovanni“perché don Zvàn sta morendo”, il sacerdote delvescovado, il padre confessore don Poggi, al-l’uscita fu complimentato, abbracciato e in tantigli baciarono la mano. Don Giovanni infatti eramolto amato dai suoi concittadini per la suaumiltà, per il profondo amore per il prossimo, persvolgere sino in fondo la sua missione religiosa.Perciò per i suoi funerali si mobilitarono oltre cin-quemila persone e si contarono ottanta bandieree venti labari comunali e addirittura nove bandemusicali inviate dai rispettivi comuni: forse nean-che un papa ha mai ricevuto l’omaggio di novebande musicali. Ai funerali partecipò anche il suocaro amico il pittore Silvestro Lega, fra i volontaridella prima guerra d’indipendenza, detto il “Mae-stro della Macchia”, che dipinse il più bel ritrattodi Garibaldi. Nessun sacerdote vi partecipò, lechiese rimasero chiuse e le campane mute. Nel1929 la sua salma fu nottetempo trafugata dai mo-diglianesi che dal vecchio cimitero sconsacrato latrasportarono in quello comunale. Attualmente lasua casa natale ospita il “Museo comunale donGiovanni Verità” istituito nel 1932 e via via arric-chito e potenziato.

GIORGIO ASPRONI 1809-1876

Giorgio Asproni nacque a Britti (Nuoro) il 5 giu-gno 1809. Rimasto presto orfano fu mantenutoagli studi da uno zio prete, si laureò in diritto epoi prese gli ordini ecclesiastici soprattutto per ac-contentare lo zio. Fu canonico penitenziere del ca-pitolo di Nuoro e insegnò teologia nel localeseminario. Repubblicano, sempre convinto dellasua fede cattolica e della fede nell’unità del paese.Ben presto però cominciò a manifestare le sue ideeanticlericali e nel 1849 rinunciò al canonicato e siconcentrò sulla sua attività pubblicistica a favoredella causa democratica. Aiutò fattivamente Gari-baldi, svolse un’intensa attività in seno al movi-mento operaio e si rivelò un personaggio diprimissimo piano all’interno della storia sarda, enon solo. Di lui si sono occupati magistralmenteVittorio Gnocchini, Gianfranco Murtas e OriannaOnidi che gli ha dedicato un libro Giorgio Aspronivita di un ribelle, sostenendo che i suoi valori eranogiustizia, onestà, amore per la patria, libertà, soli-darietà, uguaglianza. Diresse anche “Il popolod’Italia” d’ispirazione mazziniana e il suo Diariopolitico rappresentò una fonte di alto profilo per

comprendere la vicenda della storia risorgimen-tale italiana unitamente alle carte e ai documentidel suo fondo conservati presso la Pontificia Fa-coltà teologica della Sardegna. Ricoprì importantiincarichi massonici: aderì alla massoneria nel1867 e appartenne prima alla loggia “Universo” diFirenze e poi alla loggia “Rigenerazione” di Na-poli. Nel 1869 fu 1° Gran Sorvegliante e nel 1872membro del Consiglio dell’Ordine del Goi. Morìa Roma il 30 aprile 1876.

ALESSANDRO GAVAZZI 1809-1889

Alessandro Gavazzi, all’anagrafe Antonio Gavazzi,predicatore barnabita, massone e patriota nacquea Bologna e fu amico fraterno di Ugo Bassi. A se-dici anni entrò nella casa napoletana dei Barnabitie già a vent’anni insegnava Belle Lettere al colle-gio Caravaggio di Napoli. Fu nei collegi di Ar-pino, Livorno, Genova, Asti e di Alessandria doveincontrò per la prima volta Ugo Bassi. Partecipò aimoti del ’48-’49 e combatté al fianco di Garibaldi,denunziando corruzione e imbrogli nella societàcivile e all’interno della chiesa incontrando laferma opposizione in particolare dei Gesuiti. Si di-ceva appartenente alla chiesa romana quella pri-mitiva, dei tempi antichi, quella di san Paolo,possedendo una “visione della religione come pa-tria della libertà e come vera forza per un autenticorinnovamento”. Non poté più svolgere il suo mi-nistero e non poté momentaneamente predicare,il suo strumento più potente, se non nella pri-gione di Parma a ottocento detenuti, entusiastidella sua persona e del suo pensiero. Rilasciatocontinuò a predicare a Perugia, a Roma, conti-nuando a prospettare le sue visioni di uomo liberoed attaccando un certo modo di essere sacerdoti.L’Inquisizione quindi lo inviò prima presso il con-vento della Polveriera e poi presso i Cappuccinidi Genzano sotto severissima disciplina. Fu poiesule in Francia, in Inghilterra, in Irlanda, negliStati Uniti, in Canada, in Scozia dove continuò atenere appassionate prediche anticattoliche deci-samente contrarie agli orientamenti della chiesadi Roma. Fu proprio in un suo viaggio nel RegnoUnito che entrò in una loggia di Londra profon-damente antipapale e dove avvenne un’accelera-zione alla sua conversione verso ilprotestantesimo. Anche uno dei più noti teologieuropei il pastore Paolo Ricca lo dà per certo comeconvinto massone. Nel 1870 a Firenze fu fra i fon-datori della Chiesa Evangelica Italiana che poivenne sciolta nel 1904 e gli aderenti confluironofra i valdesi e i battisti e verso il metodismo pro-

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testante. Nel 1873 a Roma creò una scuola di Teo-logia per i pastori della chiesa libera. Morì a Romanel 1889 dopo aver dichiarato che ”così tanti deimiei sogni si sono realizzati che non dispero piùdi nulla”. La sua tomba si trova al Testaccio nel ci-mitero acattolico e nel 1894 al Gianicolo fu messoun suo busto accanto agli altri eroi garibaldini.Autore di numerosi testi, anche Matteo Sanfilippodell’Università della Tuscia gli ha dedicato un ot-timo profilo.

GIUSEPPE SIRTORI 1813-1874

Giuseppe Sirtori di Monticello Brianza da una fa-miglia con sette figli, ordinato sacerdote come con-fratello della Congregazione degli Oblati diSant’Ambrogio, istituto fondato da san Carlo Bor-

romeo. Insegnò nel collegio Rotondi di Gorla Mi-nore e presso i padri Somaschi. Le sue idee pa-triottiche lo portarono a un contrasto molto fortecon i confratelli al punto che nel 1844 decise di ri-nunciare ai suoi voti. Da allora non ebbe più limitinel partecipare a varie vicende insurrezionalicome nella strenua difesa nei pressi di Chioggia.Partecipò alla spedizione dei mille come capo distato maggiore, poi fu nominato come generaleprodittatore delle province napoletane. Per IndroMontanelli Giuseppe Sirtori persino sul “camposembrava che officiasse” rivelandosi come unuomo malinconico e chiuso in se stesso, nel suosacerdozio di soldato, ma quando finalmente par-lava le sue parole erano autorevoli e profonde. NelRegio Esercito si distinse in particolare nella bat-taglia di Custoza. Nel 1861 deputato del Regnod’Italia confermandosi per quattro legislature,sino alla morte. In suo onore a Spinea presso Ve-nezia “Forte Sirtori” e poi con i cacciatorpediniericlasse Sirtori. Fu affiliato alla loggia di rito scoz-zese de ”I rigeneratori” unitamente agli altri com-ponenti dello stato maggiore garibaldino con unainiziazione inusuale: “A tal fine gli dispenso dallesolite formalità” (Garibaldi).Belle su di lui le riflessioni di Cesare Correnti e iltesto di Marco Sampietro, Il generale Giuseppe Sirtori.Un protagonista del risorgimento italiano. Percorsi ricordiimmagini, Missaglia 2016.

ANTONIO GRECO 1816-1881

Antonio Greco nacque a Catanzaro nel 1816, comericorda Vittorio Gnocchini. Sin da ragazzo ebbe unforte impulso patriottico anche grazie a un suoprofessore L. Settembrini docente di un liceo ca-tanzarese. Sacerdote, canonico della cattedrale delCarmine a Catanzaro e poi rettore del locale semi-nario. Prese parte ai moti del 1848 e fu oggetto dipersecuzione da parte della polizia borbonica equindi necessitato ad espatriare, con i beni confi-scati e una taglia sulla sua testa. Peregrinò a Corfù,a Genova, a Marsiglia, a Malta dove peraltro entròin massoneria nella loggia de “I rigeneratori”. Nel1849 si convertì al protestantesimo e si sposò inFrancia col rito civile. Partecipò alla spedizionedei Mille e fu nominato prodittatore in Calabria.Sulle battaglie per l’unità del paese, scrisse nel1859 scrisse Memorie e documenti delle guerre dell’in-dipendenza italiana. Rientrato a Catanzaro assunsela guida di un moto liberale che pure stentava adaffermarsi in una provincia come quella di Cala-bria Ultra seconda. Nel collegio di Catanzaro ri-sultò eletto al primo parlamento italiano,

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Gavazzi raffigurato tra i grandi oratori della storia.Illustrazione anteposta al frontespizio di: Thomas A.Hyde - William Hyde, A Natural System of Elocution

and Oratory, New York, 1886.

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battendosi per gli interessi della Calabria, controil potere temporale dei papi e contro la pena dimorte. Dopo l’unità d’Italia fu fra i fondatori dellaloggia “Tommaso Campanella” di Catanzaro al-l’obbedienza del Supremo Consiglio di Palermo.Morì a Napoli nel 1881 e dopo i funerali di statovoluti dal fratello ministro Zanardelli fu sepoltonel cimitero di Poggioreale.

VITO PAPPALARDO 1818-1863

Nacque a Partanna nei pressi di Trapani, fu av-viato dal padre verso gli studi teologici presso ilseminario di Mazara. Sacerdote divenne poi pro-fessore di lettere per 32 anni presso un liceo diTrapani potendo così aiutare la sua numerosa fa-miglia. Tra i suoi allievi ebbe anche GiovanniPantaleo, Niccolò Rodolico e Nunzio Nasi.Quest’ultimo poi nel 1860 partecipò con lui all’in-surrezione di Trapani nel 1860, dopo che era en-trato in massoneria a 43 anni risultando un grandeanimatore della vita sociale e politica cittadina.Fervente patriota e convinto massone, partecipòalla rivoluzione del 1848 e venne incarcerato dalgoverno borbonico. Fu relegato a Pantelleria nel1852. Una volta liberato fu inviato a domicilio co-atto presso i Cappuccini di Trapani – come magi-stralmente ricorda il prof. Salvatore Corso – dadove lo trasse il vescovo di Trapani Vincenzo Cic-colo Rinaldi che lo prese sotto la sua ala protet-trice dopo aver ricevuto il giuramento che nonavrebbe più professato le sue idee liberali. In re-altà la sua azione si concentrò sui valori latomisticie sul fatto che vagheggiava un modo nuovo di farechiesa “ossia una ecclesiologia non verticistica, madi partecipazione” (S. Corso). In occasione dellasua morte sarà proprio il discepolo e amico Nun-zio Nasi a dedicargli uno splendido elogio fune-bre

GIUSEPPE BONAVINO 1821-1868 (aliasAusonio Franchi)

Cristoforo poi Giuseppe Bonavino, filosofo e pretecattolico detto Ausonio Franchi nacque a Pegli il27 febbraio 1821. Il 1 dicembre 1844 venne ordi-nato sacerdote, ma già solo cinque anni dopovenne sospeso a divinis per le sue idee che era an-dato rapidamente maturando e ritenne perciò didover lasciare l’abito talare assumendo lo pseudo-nimo di Ausonio Franchi. Lavorò intensamentenell’ambito giornalistico e col tempo ripensò allesue impetuose decisioni e volle ritornare nell’or-todossia cattolica e fu così riconsacrato sacerdote.

Insegnò negli atenei di Pavia e di Milano facen-dosi sostenitore del razionalismo, ispirandosi alleteorie cavouriane e manifestando la convinzioneche la religione era inconciliabile con la libertà.Nel 1863 entrò in massoneria nella loggia mila-nese “Insubria” di cui divenne poi anche M.V. esuccessivamente creò un Gran Consiglio dellamassoneria italiana di rito simbolico detto di RitoSimbolico milanese. Questa posizione scismaticaaveva lo scopo di abbassare considerevolmente lecapitazioni per consentire l’allargamento dellebasi sociali e una semplificazione dell’apparato ri-tuale. Rientrò poi nella Comunione italiana dopoil 4 maggio 1868 allorquando vi fu l’unificazionedel G. C. Simbolico di Milano col Grande Oriented’Italia. Morì a Pegli il 12 settembre 1895.

RAFFAELE MILETI 1821-1869

Raffaele Mileti, fratello di Costantino e di Carlo,vicario capitolare del vescovo di Nicastro. Nato aGrimaldi in Calabria il 26 luglio 1821 in una fa-miglia partecipe alle cospirazioni e ai moti di li-bertà, aveva ricevuto la sua educazione inseminario. Dopo essere divenuto un ecclesiasticopoi via via si distaccò dalla Chiesa facendosiprima mazziniano, poi garibaldino, poi anarchicorisultando uno dei collaboratori fidati di Bakunin,e infine socialista. Partecipò ai moti del 1848 e fuamico di Carlo Pisacane. Nel 1860 seguì l’esempiodi alcuni suoi parenti e si arruolò con i garibal-dini. Fu per qualche tempo redattore del giornalenapoletano “Il popolo d’Italia”. Come ricorda E.Esposito nel 1867 risultava fra gli appartenentialla loggia “Massoneria popolare” strettamentecollegata alla palermitana “Vita nova”. Morì a Co-senza nel 1869. Le fonti principali relative alla suapersona sono presso gli archivi di stato di Cosenzae di Napoli, mentre un’ottima scheda su di lui èstata redatta dalla biblioteca pisana Franco Seran-tini, “Archivio e centro di documentazione di sto-ria sociale e contemporanea”.

GIORGIO APPIA 1827-1910

Nacque a Francoforte sul Meno dal padre Paul cheera pastore della chiesa riformata francofona. ABonn cominciò gli studi teologici che proseguì aGinevra e a Strasburgo. Rimase fortemente in-fluenzato nelle sue scelte latomistiche dal cano-nico Alessandro Gavazzi, cappellano di Garibaldie futuro fondatore della chiesa cristiana libera.Predicatore evangelista, pastore valdese, con i suoiprimi insegnamenti presso il collegio valdese,

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fondò a Palermo la prima comunità evangelica,mentre a Torre Pellice fondò un orfanatrofio fem-minile e un ricovero infantile, membro e poi vice-presidente della Società delle Missioni. SeguìGaribaldi nel Trentino nel 1866, partecipò allabattaglia di Bezzecca e fu sodale di un altro pastorevaldese, “versatile, poliglotta, patriota e irre-quieto”, Giuseppe Ficara, che si distinse nella bat-taglia di Solferino. Appia operò costantementeall’interno del milieu massonico. Morì a Torre Pel-lice il 19 settembre 1910.

VINCENZO PADULA 1831-1860

Vincenzo Padula, sacerdote, nativo di Padula, fi-glio di Luisa Falotico e di Maurizio, fu il maggioresponente della cospirazione a Padula per l’unitàd’Italia. Operò costantemente nell’ambito masso-nico e appartenne al Comitato segreto di Napoli,fu arrestato poco tempo prima della spedizione diSapri, amico di un altro sacerdote don GiuseppeCardillo e di Michele Magnone che raggiunsenelle carceri di Salerno dove stette per un paiod’anni. Fu proprio don Giuseppe Cardillo, neiconventi da entrambi frequentati, a dare una fortespinta agli orientamenti patriottici di Padula e aintrodurlo negli ambienti latomistici cospirativi.Secondo Vincenzo Maria Pinto nel suo Uomini il-lustri di Padula, apparteneva ad un’umile famigliadi Montemurro e dopo aver studiato presso il Se-minario di Teggiano fu nominato Procuratoredella Chiesa di San Michele Arcangelo. I suoi con-cittadini lo vedevano spesso col fidato cane “Cer-bero” allorquando fingeva di andare a caccia nelbosco di Campolongo per incontrare segretamentealtri patrioti. Carlo Pisacane lo ebbe nella mas-sima considerazione e il suo arresto fu un gravepregiudizio per la spedizione di Sapri venendo luiconsiderato il capo dei cospiratori cilentani e delVallo di Diano. Dopo il suo rilascio partecipò allaspedizione dei Mille combattendo con valore aCalatafimi e a Palermo, dove operò insieme ad unaltro padulese Antonio Sant’Elmo, e a Milazzo,davanti alla fortezza borbonica, dove venne pro-mosso Maggiore per meriti sul campo. Grave-mente ferito a una gamba, venne trasportato aBarcellona Pozzo di Gotto dove subì l’amputa-zione della gamba senza anestesia, ma fu vanaogni cura o presunta tale. Lì morì nel 1860 e venneseppellito nella locale chiesa dei Cappuccini. Alriguardo cfr. una bella ricostruzione della sua vitaad opera del sito cittadiniditalia.it Da non confon-dere col più noto sacerdote, scrittore e patriotaVincenzo Padula di Acri (1819-1893) definito da

Benedetto Croce “strano miscuglio di vecchiumida seminario e di ardimenti moderni, di lettera-tura di provincia e di originale poesia”.

GIOVANNI PANTALEO 1831-1879

Nacque a Castelvetrano il 5 agosto 1831 e sin dagliscontri di Calatafimi fu in battaglia al seguito diGaribaldi. Di umile origine, sedicenne entrò fra ifrati riformati e nel 1849 vestì l’abito religioso col

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Fra Giovanni Pantaleo

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nome di Giovanni Vito di Castelvetrano e nel1854 fu ordinato sacerdote a Mazara del Vallo. La-sciò il convento di Salemi per seguire Garibaldi enel 1864 subì un giudizio presso il tribunale diTorino a causa dell’”attacco alla religione cattolica”e così decise di rinunziare allo stato ecclesiastico.Assistette gli infermi nella battaglia di Calatafimie a Capua, a Porta Termini fu sulle barricate, nel1860 benedì gli insorti nel nome di santa Rosalia,ferito a Milazzo, combatté nel Tirolo col grado disergente, combatté a Monterotondo e a Mentana.Abba vide sette francescani che dopo la battagliadi Calatafimi “dopo aver combattuto con i trom-boni, partivano per tornare al loro convento. Se neandavano giù dal colle con i loro tonaconi grossi,con le loro armi in spalla, seri e tranquilli”. Nellabattaglia di Palermo si distinse poi un altro sacer-dote siciliano Antonio Rotolo che capeggiò convalore “una squadra di picciotti”. Pantaleo avevasempre in mano in battaglia una croce di legnoche una palla borbonica gli aveva spezzato in due;Garibaldi perciò lo aveva ribattezzato l’Ugo Bassidelle nuove legioni. In “Storia e futuro”, n. 50,2019, cfr. al riguardo l’ottimo saggio di Dino Min-gozzi Il fascino di Garibaldi nel clero italiano.Intensa la sua attività di predicatore. Venne so-speso a divinis e fu per due volte a Bologna percommemorare Ugo Bassi provocando fortissimereazioni popolari di condivisione e di opposizionetanto che “le autorità di pubblica sicurezza” (U.Dovere) furono assai allarmate. In una circostanzacelebrò una messa a San Petronio, in un’altra pro-nunziò un discorso alla Montagnola davanti a14.000 persone sempre per celebrare la splendidafigura di Ugo Bassi, sostenendo che “un giorno lachiesa di Gesù Cristo trionferà su quella dei papi”.Nel 1869 prese parte all’Anticoncilio di Napoli.Nel 1872 il 22 giugno, non senza un certo scan-dalo, sposò a Lione Camilla Vahè da cui ebbe duefigli. Piuttosto di recente sono state reperite tre let-tere indirizzategli da Garibaldi che lo invitava avigilare sul comportamento di taluni uomini dichiesa in relazione all’unità d’Italia, così comeMazzini lo esortò a dare il meglio di sé: “agite epredicate”. Giovanni Pantaleo fu iniziato massonea Napoli intorno al 1862 nella loggia “Fede ita-lica” fondata il 18 agosto 1861, demolita nel 1877e poi ricostituita, loggia in cui vi erano Luigi Zup-petta, penalista di gran fama e Alessandro Dumaspadre. Al riguardo si vedano Vittorio Gnocchini ePantaleo massone e anticlericale in www.trapanino-stra.it. Il 13 ottobre 1866 Garibaldi da Capreracosì scriveva di Pantaleo per sostenerlo nella dif-ficile situazione economica in cui versava: “Panta-leo è la personificazione del progresso italiano,

morale e materiale. Frate, egli fu dei primi che sigettò nelle file dei Mille in Sicilia e, colla croce inmano, sovente colpito da piombo borbonico, pre-dicava la fratellanza della famiglia, ed era esempiodi come si affrontano le pugne per la redenzionedella propria terra. Più avanti egli capiva, primail dovere del sacerdote: lasciar la religione degliidoli e abbracciare la religione del vero, la santa,la sublime religione di Cristo. Soldato Pantaleonon chiese gradi, ai quali poteva pretendere, maimpugnato un fucile, si gettò dovunque era mag-giore il pericolo. Raccomandando questo mio fra-tello d’armi, io intendo compiere un dovere”. Nel1879 un suo amico fraterno Baccio Emanuele Mai-neri riuscì a fargli avere un sussidio governativoche gli consentì di stare in una casa più dignitosa.Morì comunque in povertà a Roma, non riconci-liato con la chiesa, a soli 47 anni ma il Ministerodelle Finanze, su sollecitazione di uno speciale co-mitato di solidarietà, diede un sostegno ai figli,alla madre, alla sorella e alla vedova attraversouna pensione e una rivendita di sali e tabacchi.L’onorevole Lampiasi a Roma al Gianicolo nel1899, allorquando venne inaugurato un monu-mento alla sua memoria, fra l’altro, disse: “Iostesso vidi questo frate della patria con la croce inmano, il saio rialzato, acceso in volto, con accentomeraviglioso gridare viva Garibaldi, viva San Gio-vanni”.

ELIA BENAMOZEGH 1832-1900

Come è ben noto la figura del rabbino nel mondoè una delle figure più autorevoli e carismatiche, ilrabbino, il maestro per eccellenza, rappresenta laguida spirituale della sua comunità. Avendo stu-diato le vicende della storia degli ebrei e avendoanche tangenzialmente avuto l’onore di lavorare afianco di alcuni prestigiosi rabbini italiani – ilrabbino di Roma Riccardo Di Segni, il rabbino diModena Raffaello Lattes, il rabbino di NapoliAriel Finzi, il rabbino di Bologna Alberto Sermo-neta, unitamente al G.M. Stefano Bisi, desidero al-meno ricordare il rabbino massone di FiladelfiaSabato Morais, il rabbino massone di Sidney Ray-mond Apple, il rabbino massone di Perth ShalomColeman, il rabbino massone di MelbourneChaim Gutnik. Mi soffermo qui però solo su unrabbino italiano, incomparabile studioso, Elia Be-namozegh, una delle figure di più alto profilodell’ebraismo mondiale.Elia Benamozegh (1832-1900) di origine maroc-china rabbino di Livorno, forse è stato il più tra-dizionalista fra i rabbini italiani, convinto

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assertore dell’emancipazione dal ghetto e del si-stema filosofico ebraico globale, come si com-prende chiaramente anche da Israele e l’umanità.Cominciò molto presto a lavorare come apprendi-sta in un negozio di un ebreo tunisino, ma già asedici anni pubblicò una prefazione agli scritti ca-balistici dello zio Yehudah Curiat, rabbino, che fa-ceva le veci del padre prematuramente scomparso.Nominato a sua volta rabbino predicatore a Li-vorno, dalla sua bibliografia sterminata – per in-ciso scrisse anche su la “Rivista bolognese” - sievince quanto grande fosse il suo amore per l’Ita-lia, perché il suo internazionalismo partiva dallaconvinzione assoluta di essere un italiano a tuttotondo.Una volta predicando nel tempio maggioredi Livorno nel 1847 ebbe a dire agli ebrei presentiche era fondamentale amare l’Italia “dopo Dio,sopra ogni affetto terreno”. Benamozegh è statosempre alla ricerca del bene in ogni fede, bisognaegli dice “scegliere e conservare tutto quello cheesse contengono di buono e legittimo”. Benamo-zegh sosteneva che la Qabballà è capace di creareuna sorta di armonizzazione fra ebraismo e genti-lità, perché attraverso di essa Israele sacerdote puòconciliarsi con l’umanità laica e che lo gnosticismodi chiara origine cabalistica incide sul cristiane-simo. In particolare Benamozegh si definiva orto-dosso: “il mio credo religioso è quellodell’ebraismo ortodosso”, d’altronde proveniva da

un ambiente sefardita nord-africano squisita-mente tradizionalista ed era convinto che la reli-gione potesse offrire una soluzione per risolverela profonda crisi morale e sociale del suo tempo.Egli era per un universalismo ebraico che pren-deva origine dalle sette leggi di Noè ritenute va-lide per l’intera umanità, grande fautore quindidel noachismo, l’alleanza con l’intera umanità -naturalmente senza dimenticare i 613 precettidella legge mosaica - ed è stato uno dei più crea-tivi pensatori ebrei, certamente una delle mentipiù incisive all’interno della Haskalà “l’illumini-smo ebraico” aperto ad ogni contaminazione purnella preservazione della propria identità. Ne lasua Morale ebraica e morale cristiana argomentava leragioni per le quali il cristianesimo non aveva nes-sun diritto di proclamarsi superiore all’ebraismoin quanto era derivato proprio da quest’ultimo eche comunque la Torah sarebbe potuta diventareil vero punto di incontro fra ebrei e cristiani. Be-namozegh pensava del cristianesimo primitivoche avesse qualcosa di troppo femmineo (quasiuna donna senza amore che muore da viva) e chedietro gli eccessi di ascetismo si poteva celare lacorruzione. Benamozegh scrisse opere profondis-sime, innovative e geniali dove pur mantenendointegro il pensiero ebraico, cercò una via concilia-tiva fra scienza ed ebraismo, cercando di accordareil pensiero ebraico con l’idea di progresso e sognò

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Tomba di Elia Benamozegh, cimitero ebraico di Viale Ippolito Nievo, Livorno. Ph: Etienne

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un’umanità più felice e migliore. Cerchiamo di se-guirlo anche in questo perché più che tormentarcicostantemente nel nostro viaggio su chi siamo eda dove veniamo, cerchiamo anche di essere al-meno un po’ felici mentre si cammina, senza di-menticare che fu il massone Gaetano Filangieri asuggerire al massone Benjamin Franklin di inse-rire nelle Costituzioni americane il concetto dellaricerca della felicità. L’opera di Benamozegh fu ri-presa e alimentata dai suoi discepoli Samuele Co-lombo, Dante Lattes e Alfredo Toaff. Affrontòpolemiche durissime con Shemuel David Luzzattodocente del collegio rabbinico di Padova, grandesostenitore della via razionalistica, ma Benamo-zegh rispondeva con formidabili bordate ben co-noscendo un canto militare americano degli inizidell’ottocento: “Lodate il Signore e tenete asciuttele munizioni”. Benamozegh ha sempre sostenutola necessità di dire, di spiegare, di raccontare atutti, ebrei e non, l’essenza dell’ebraismo e dellamassoneria certo non dimenticando che la rotturaluterana era avvenuta attraverso la traduzione,perché se la tradizione non viene tradotta rischiadi essere tradita. Le affinità elettive fra ebraismoe massoneria nell’opera di Elia Benamozegh sonoinnumerevoli nell’impostazione ideologica, nel-l’organizzazione, nel puntare alla felicità terrena,nella solenne proclamazione dei principi di fratel-lanza e di amore, nella costruzione del tempio epoi del secondo tempio, nel credo in Hiram cheBenamozegh si affretta a dire “figlio di madreebrea e di padre di Tiro” quasi a voler significare- come ricorda la professoressa Francesca Sofia -che l’ebraismo e la gentilità sono congiunti nel-l’opera divina, nella comune corrispondenza conla cabala, nei rituali, nelle parole di passo, nei ter-mini e nelle definizioni spesso direttamente inebraico. Il rabbino sostiene inoltre che la funzionedell’ebraismo è quella di congiungere tutti i po-poli senza perdere però la specificità e l’individua-lità di ognuno. Del resto nella Livornoottocentesca l’interscambio fra le due strutture eranotevolissimo a partire dalla seconda edizionedelle Costituzioni di Anderson sino al credo noa-chide, dalla comune corrispondenza alla Qabba-lah, dalla perfetta coincidenza delle colonneall’ingresso del tempio “Israel, il popolo, sotto lemacerie di Gerusalemme e Hiram, simbolo del-l’operaio eterno”. Esattamente ciò che pensava ilmassone David Levi, altro livornese iniziato nel1837 e poi segretario del Goi dopo l’unità, che ri-chiamava le colonne in Ahasvero nell’isola del dia-volo. Grande l’influenza che Benamozegh esercitòanche su Giuseppe Mazzini. Basti leggere qualchepezzo della corrispondenza fra i due conservata ne

“La rassegna mensile di Israel” del 1930 e doveuna lettera di Mazzini così comincia:“Caro signore, non so se mi avrete accusato di unsilenzio scortese. So che vi fui gratissimo in cuorepel libro. E v’avrei risposto se l’argomento nonfosse stato importante e non avesse richiesto unalunga meditazione”. Quale saggezza puoi trovareche sia più grande della gentilezza! Elia Benamo-zegh era massone? Mi sono consultato anche conla collega Francesca Sofia e anche lei sostiene chela sua filiazione non è mai stata documentata, mache la sua conoscenza così approfondita non solodei rituali, non solo dei simboli, non solo dell’or-ganizzazione più minuta, ma addirittura la cono-scenza delle parole di passo lo lascianochiaramente intendere. Benamozegh arrivava adire: “La speranza che sostiene e fortifica la mas-soneria è la stessa che illumina e irrobustisceIsraele nella sua via dolorosa” e che l’hagaddah erala forma popolare “di una scienza segreta che of-friva con metodi d’iniziazione, impressionantianalogie con l’istituzione massonica” (l’hagaddahè una forma di racconto usata nel Talmud).Si considerino anche i rapporti molti stretti e fra-terni fra Benamozegh e il rabbino di Filadelfia (laFiladelfia della Pennsylvania non quella di Cala-bria, fondata nel 1793 dopo un terribile terremotoper merito di due massoni il vescovo GiovanniAndrea Serrao e Benjamin Franklin) Sabato Mo-rais, ebreo ortodosso naturalizzato statunitense,nato a Livorno nel 1823, poi fondatore in Americadegli studi ebraici italiani, che come il padre Sa-muele era massone e che si premurò di continuodi diffondere gli scritti di Benamozegh.Fra gli ebrei massoni dell’epoca ricordiamo ancheTullio Massarani, mantovano patriota prima e poimembro del parlamento, cavouriano di ferro; Eu-genio Salomone Camerini di Ancona letterato egiornalista; Giuseppe Revere poeta triestino chepubblicò fra l’altro il dramma storico Lorenzino de’Medici; un altro livornese Leone Provenzal sin dal1835 attivo nella loggia inglese di Livorno, mentrenella loggia labronica “Perfetta unione” troviamol’ebreo Felice Morenas. Anche in tempi moderninon pochi rabbini sostengono la compatibilità fraebraismo e la massoneria, come per esempio ilrabbino Raymond Apple della Grande Sinagogadi Sydney e vice G.M. vicario della G.L. Austra-liana che ricorda che fra i maggiori esponenti dellamassoneria inglese ci sono molti ebrei e che tantisono i rabbini con incarichi di rilievo in massone-ria come Shalom Coleman di Perth o come ChaimGutnick di Melbourne sostenendo che la possibi-lità di iscriversi alla massoneria aveva rappresen-tato per un certo tempo una sorta di

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emancipazione e di integrazione sociale. Ha per-fettamente ragione il rabbino di Ferrara LucianoMeir Caro che nel nostro paese certo ci sono statitanti giusti e tanti eroi che hanno cercato di salvareil salvabile, ma quanti, tanti, troppi, una maggio-ranza strabocchevole ha fatto la spia anche per de-naro: “il lavoro sporco della persecuzione in Italial’hanno fatto gli italiani, su ordine dei tedeschi emolto volentieri”. Senza dimenticare che a frontedi tanti parroci e suore di clausura che hanno fattola loro parte, papa Pio XII vergognosamente nonprofferì mai una parola al riguardo eppure sapevatutto nei minimi particolari. Allora come ora il ca-valiere deve tornare pedone, reggendo il cavalloper le briglie e camminando fianco a fianco delviandante. Per tutte le malvagità e le persecuzioninei nostri confronti (i massoni uccisi dal nazismosono stati 200.000 ma solo perché era molto piùdifficile avere le prove della loro appartenenza)delle volte penso che ebrei e massoni sono un po’come quegli operai, vi ricordate quella celebrefoto, autentica opera d’arte, scattata nel settembredel 1932 ad undici operai che erano su una traved’acciaio presso il cantiere Rockefeller Center neipressi della 41a Strada al 69° piano a 260 metrid’altezza, senza protezione, che mangiano, be-vono, fumano sereni e tranquilli. E fra quegli un-dici vi era un nativo americano, un indianoMohack, uno slovacco e tre irlandesi. E così ebreie massoni cercano di agire sorretti dalla fiducial’uno nell’altro, in una straordinaria catenad’unione, sapendo bene che già solo un passo

falso di uno potrebbe essere la rovina per tutti,esattamente come per gli ebrei dove ognuno è di-rettamente responsabile dell’altro. Certamentel’Enciclopedye di Diderot e d’Alembert è stato l’attodi nascita del mondo moderno, del mondo dellaragione, di un’alta coscienza del patrimonioideale. E per il massone d’Alembert la costruzionedel sapere non dura nove mesi ma tutta la vita:“un sapere che come un embrione materno si co-struisce durante i mesi di gestazione, per ritocchisuccessivi, aggiungendo man mano al suo nucleodi partenza vari tipi di strutture sempre più com-plesse. E alla fine si forma col contributo di tutte”.Credo che così d’Alembert abbia magnificamentedescritto il percorso di milioni di ebrei e di mas-soni nel mondo: la conoscenza infatti consiste inuna graduale reintegrazione, in una riconquista diverità sapienziali smarrite, in opposizione al de-grado della cultura moderna e su quella base si co-struisce il nostro futuro. E un modo per far questoè riflettere e ristudiare gli insegnamenti di un pen-satore autorevole e illuminato che a distanza diquasi duecento anni dalla sua nascita è di straor-dinaria attualità. Benamozegh - anche in personecon grandi differenze - è stato capace di suscitaregrandi amori, rimarcando comunque che il cam-mino è ancora lungo verso un autentico umana-mento dell’uomo. Ripensare a uomini come EliaBenamozegh è assai opportuno perché anche inquesto modo potremmo passare dalla repubblicadelle scienze alla repubblica delle coscienze.

ALTARE E COMPASSO 25

Lunch atop a Skyscraper, New York Herald-Tribune, del 2 Ottobre 1932.Ph: Charles Clyde Ebbets, Tom Kelley o William Leftwich, 20 settembre 1932.

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Il 2020 è un anno simbolico perché annovera unacuriosa “collisione” di eventi. Ricorre non solo ilsessantesimo anniversario della Loggia XX set-tembre ma anche, e direi soprattutto, il centocin-quantesimo della breccia di Porta Pia, evento lacui data, appunto il XX settembre, ci è quindi par-ticolarmente cara. In forza di ciò si è ritenuto op-portuno contestualizzare la nascita dellaprecedente Loggia poliziana, ovvero “La Ragione”,nel più ampio alveo storico dei primi anni dellaMassoneria italiana a partire dall’Unità del 1860fino al XX settembre 1870.

La Massoneria a Montepulciano a partire dal1860

La Valdichiana, con la sola eccezione di Foiano,non ha rappresentato dalla Rivoluzione Francesee per tutto l’ottocento un laboratorio per le idee dilibertà e di emancipazione Come del resto era fi-siologico in una realtà a forte connotazione conta-dina, le idee innovative sul fronte socialeprovenivano dall’esterno e spesso non attecchi-vano. Come infatti il Guerrazzi importò a Montepul-ciano le idee risorgimentali, trovando in Carlo Mi-nati l’esponente locale in grado di fare da cinghiadi trasmissione, così a Francesco Saverio Melis-sari, nobile calabrese, pare dovere essere attribuitauna parte consistente del lavoro svolto dalla localeloggia massonica poliziana. Questo imprenditore del baco da seta arriveràdalla Calabria nel 1869, balzando subito alle cro-nache per attività più profane quali lo stabili-mento bacologico e la direzione dellaFilodrammatica. L’uomo che parte da Reggio Ca-labria con la fresca nomina a Deputato arriva inuna terra resa fertile dalla bonifica e particolar-mente adatta alla coltivazione del gelso.

Le prime testimonianze

La prima testimonianza pubblica della presenzadi una loggia a Montepulciano è da rintracciare,

ancora una volta, nella guida turistica di ErsilioFumi del 1894. Scrivendo di Palazzo Benincasa, il Fumi cita laloggia massonica “La Ragione” e la data al 1869,lo stesso anno in cui il Barone Melissari si trasfe-risce a Montepulciano. La realtà documentale ba-sata sugli archivi del GOI ci dice sostanzialmentedue cose. La prima è che la data ufficiale della nascita dellaloggia “La Ragione” non è il 1869 ma il 1872. Laseconda è che il territorio della Valdichiana ha in

LA MASSONERIA IN VAL DI CHIANA

NELL’OTTOCENTO

di Paolo Buiarelli

Mappa (1789) della Val di Chiana tratta da Me-morie idraulico-storiche sopra la Val di Chiana

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quegli anni una presenza di Logge molto limitata. Quelle poche sono nate a seguito di quel grandeevento, che fu per la Valdichiana, la visita di Giu-seppe Garibaldi nella tarda estate del 1867, pocoprima di essere arrestato a Sinalunga. Garibaldiattribuiva alla Massoneria un ruolo molto più po-litico (a differenza del pensiero di Frapolli), ca-pace di incidere nella vita materiale degli italiani. Nei mesi successivi a quello sfortunato viaggio del1867 verso Mentana, nascono infatti le logge a Fo-iano, Arezzo, Sinalunga, Cetona, Sarteano cui se-guirà, come abbiamo visto, Montepulciano.

I documenti ufficiali

La loggia “La Ragione” è una loggia di rito scoz-zese fondata il 10 aprile 1872 all’obbedienza delGOI. Ma alcuni poliziani sono e rimarranno nelpiè di lista di altre logge toscane quali la Umanitàe Progresso di Pisa (Cesare Nerazzini) o La Con-cordia di Firenze (Ferdinando Angelotti). In quegli anni il legame fra Montepulciano e Pisaè già forte: molti poliziani si recano a studiarenella Città della Torre. Il dottor Carlo Minati, ci-tato in precedenza, è il medico personale di Maz-zini durante la sua agonia. La vita della loggia èprobabilmente travagliata perché meno di unanno dopo, nel 1873 con l’avvocato FerdinandoAngelotti quale Maestro Venerabile, si scioglie. Devono passare altri 16 anni e giungere fino al set-tembre 1889 quando, per opera di alcuni fratellidella loggia senese Socino, la loggia torna ad ope-rare e nel 1890 viene eletto quale Maestro Vene-rabile il dottor Ezio Mariotti a cui nel 1891 seguiràFrancesco Saverio Melissari. Dai documenti pre-senti negli archivi del Grande Oriente sappiamoche si riuniva il primo e il terzo giovedì di ognimese. Nel 1893 si scioglie spontaneamente e si ricosti-tuisce poco dopo grazie al Melissari. Nel 1894, ancora venerabile il Melissari, è inau-gurato il nuovo tempio massonico nel palazzo Be-nincasa, palazzo ancora esistente in Via Ricci. Nel 1892 furono raccolte ed elargite 20 lire perl’ospedale civile di Massaua e devolute altre 10lire per i danneggiati dell’Etna. Partecipa inoltrecon una rappresentanza alle celebrazioni in Romadel 20 settembre 1895. La loggia viene demolitanel 1896 e successivamente ricostruita. Uno degli atti più rilevanti nell’ultimo scorcio disecolo fu la partecipazione della loggia alla confe-renza che il Grande Oriente d’Italia aveva organiz-zato nel 1894 sul tema, allora più che mai spinoso,della questione sociale. La loggia poliziana ful’unica della Toscana meridionale a partecipare a

questo evento i cui contenuti, per possibili propo-ste di legge parlamentare, risultano non solo sor-prendenti ma ancor oggi avveniristici:

- progressività delle imposte, estensione del si-stema mezzadrile, espropriazione delle terre in-colte, emigrazione interna, rigorenell’amministrazione del pubblico denaro;

- trasformazione dell’esercito stanziale, per mezzodel tiro a segno, nella “nazione armata”, limita-zione del diritto di ereditare e, nei pochi casi i cuifosse consentito, tasse di successione gravissime.

La Massoneria di quegli anni si era infatti fattapromotrice di una serie di iniziative che prevede-vano l’abolizione dell’esercito come normalmenteinteso, da sostituire con la partecipazione di mi-lioni di cittadini che, armati ed addestrati, avreb-bero dovuto provvedere alla difesa della nazione:ovvero il modello che usa ancora oggi la Svizzera. Ecco il senso del Tiro a segno che l’avvocato Caleriper anni portò avanti a Montepulciano. Ma senzavoler esprimere giudizi, è opportuno segnalareche l’iniziativa della “Nazione Armata” avevasenso solo inquadrata in un contesto più ampio diobiettivi che, per garantire la pace e la dignitàdell’uomo, passavano attraverso la costituzionedella Lega per la pace e la libertà unitamente allapresa di coscienza di dover dare vita a quella or-ganizzazione meritoria che si chiamerà CroceRossa Internazionale. Piace sottolineare ancorauna volta come l’unico premio Nobel per la paceattribuito ad un italiano fu al massone e garibal-dino Ernesto Teodoro Moneta: siamo nel 1907. Gliorrori della guerra, le carneficine di Solferino edella guerra franco prussiana, avevano finalmentetrasmesso nella sensibilità di molti quella beneficainfezione che ha nome pacifismo. Colpisce la pro-posta sulla limitazione al diritto all’eredità: forserappresentava un modo alternativo, un compro-messo, con gli estremismi scatenati dal Comuni-smo.

La massoneria poliziana nella stampa senesedell’epoca

Attenendoci a quanto emerge dalla lettura dei nu-merosi giornali che componevano il variopintoquadro del giornalismo senese, la Massoneriacompare con una certa frequenza.Il Libero Cittadino fu il foglio per eccellenza dellaMassoneria senese la cui lettura contribuisce a for-nire uno spaccato della società che, per la gran

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parte, pare essere abbastanza distante dalle ideemassoniche e mazziniane, le due istanze che,prima dell’avvento del Socialismo, rappresenta-rono in Italia le avanguardie verso un mondo piùprogredito. Altro foglio da citare è il Volontario che secondo al-cuni studiosi godeva dei favori della Massoneria:si tratta di un giornale nato per rappresentare tuttele delusioni di chi vedeva nell’Italia post unitariauna nazione che pareva aver dimenticato i suoiuomini migliori per abbandonarsi ai reazionari, achi aveva solo il senso degli affari, a chi non si cu-rava di chi moriva di fame, ben sintetizzato nel fi-nale del film “Noi credevamo”. Anche questo studio attinge poi a quel pozzo diinformazioni che è costituito dal giornale Il Poli-ziano. Oltre alla cosiddetta “Questione sociale”, ciò chepiù risalta è quel comune sentire antireligioso /nazionalistico / politico che supera ogni barrierasociale e raggiunge vette di forte anticlericalismoin presenza di particolari eventi (ad esempio il ri-torno a Montepulciano dei Gesuiti). Non a casoMontepulciano viene definito “Livornino”. Inizialmente edito da Teodoro Fumi e dalla sua ti-pografia in via dell’Arco, il settimanale Il Polizianoverrà pubblicato a partire dal 1888 dalla tipografiadi Ersilio Fumi. Lo spaccato che il giornale resti-tuisce è, per gli anni 1884 – 1892, quello di unpaese con idee avanzate, caratterizzato da un lai-cismo schietto e diffuso. I personaggi che paiono avere una certa influenzanelle varie Istituzioni cittadine sono sempre glistessi e per la maggior parte sono anche i membridella loggia.I temi legati al progresso più spesso citati sono:

- la ferrovia che doveva arrivare a Montepulcianoi cui lavori iniziano del 1884,

- l’igiene con la necessità di prevedere bagni e fo-gnature per rimuovere quelle situazioni di de-grado e di infezioni ancora presenti,

- il tema del lavoro, unico modo per assicurarequella dignità da tanti invocata: ed ogni volta chedi lavoro si parla, il giornale finisce per lodarel’opera del Barone Melissari che, con i suoi 600operai, costituisce la realtà più importante dellaValdichiana,

- l’attenzione all’Istruzione, sia infantile che mi-norile, attenzione che significava togliere quelleanime alle uniche persone fino ad allora votate

all’istruzione, ovvero il Clero.

E poi il Mutuo Soccorso, le feste di beneficienza,la biblioteca circolante, la Misericordia, la CroceTurchina, la Società alpinistica, la Filodrammatica,l’osservatorio meteorologico, il nuovo cimitero dasostituire al camposanto, la cremazione, la societàDante Alighieri, le scuole serali, la lapide comme-morativa a Giordano Bruno: in ognuna di questeiniziative i massoni sono sempre presenti conruoli di guida. I primi anni del Poliziano sonodunque anni in cui i massoni poliziani paionoguidare la Città in ogni sua manifestazione piùevidente: questo predominio pare durare incon-trastato fino al 1891. In questo anno quattro deipiù importanti membri della Massoneria muoionoa breve distanza l’un dall’altro. Questi fratelli ven-gono sepolti con rito civile e la ritualità massonicali accompagna pubblicamente all’estrema dimora.E’ interessante notare come, di converso al Poli-ziano, il giornale cattolico lo Spettatore Senesenon manchi di riportare lo scandalo con cui unaparte della popolazione segue queste vicende: tra-spare infine una nota di soddisfazione per loscarso seguito alle cerimonie funebri; il lettoredeve inoltre percepire l’idea che queste morti sonoil chiaro segno di una volontà divina volta alla pu-nizione.Dopo questa serie di lutti l’indirizzo del Polizianocambia. Lo scenario politico sta mutando profon-damente: i socialisti cominciano a reclamare ilproprio ruolo nella politica locale, le forze dell’or-dine reagiscono arrestando o sparando, la memo-ria degli anni gloriosi del Risorgimento e di PortaPia svanisce con la scomparsa di chi quegli annili ha vissuti in prima persona. La Tipografia Fumie Caleri cede la proprietà del giornale ad ungruppo di persone non meglio specificato, di si-cura fede repubblicana e con possibili tendenzeanarchiche la cui gestione dura ben poco. Le mi-nacce di sequestro del giornale da parte della Pre-fettura diventano talvolta realtà e, nel 1895, ilgiornale termina le pubblicazioni.Nel 1960, infine, con Giorgio Tron Gran Maestro,il 30 novembre si sollevano le colonne della Log-gia “XX settembre” all’Oriente di Montepulcianoalla quale viene assegnato il numero 604. Fra i 17Fratelli fondatori della Loggia prevalgono i me-dici, gli avvocati e piccoli proprietari, almeno lametà non sono originari della zona e tutti i prin-cipali comuni della Valdichiana sono rappresen-tati: siamo gli umili eredi di questa piccola enobile famiglia che quest’anno compie 60 anni.

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Busto di Alessandro Gavazzi (1809-1889), opera di Raffaele Cotogni, 1892.Passeggiata del Gianicolo, Roma. Ph: MM