massimo alberti fotografo

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[PROGETTO FOTOGRAFO] di Canon Italia Abbiamo raggiunto Massimo Alberti (il professionista della settimana) al telefono, come ci accade sovente. Quando gli abbiamo chiesto quale fosse il suo progetto più caro, lui ci ha risposto: “Diventare fotografo”. L'affermazione (perentoria, peraltro) ci ha sorpreso, perché di solito l'essere del mestiere viene sottaciuto: quasi rappresenti uno status scontato. In Massimo dimora la consapevolezza di vivere un “divenire”, un percorso nel quale ricominciare risulta sostanziale: magari facendolo d'accapo. Ci ha parlato anche di spazi, di desiderio di evadere, di luoghi nei quali scoprire la contaminazione delle diversità. Tutto questo, però, non ci è apparso come fine a se stesso, ma funzionale al cammino del fotografo (quello del progetto). Per ripartire (e farlo ancora) occorre lanciare il cappello più lontano, oltre quell'orizzonte da vedere ad occhi socchiusi: dove poi la realtà si somma al sogno, confondendosi. Già, Massimo si definisce anche “sognatore”, ed anche qui non stentiamo a credergli: sempre prendendo l'affermazione per quello che vale, cioè nell'ambito del progetto personale. Il “dream” non prende vita dall'astrattezza, ma dalla forza dell'ideazione; ed è per questo che il sognatore (quello vero) quasi non dorme, perché cerca la complessità delle diversità, il filo rosso che le lega. E' una questione di risposte, che il fotografo può cercare e raccontare. C'è un perché in tutte le cose, ma pure nel semplice partire. Spesso non conta andare in un posto definito, ma essere in moto consapevolmente: volendo farlo. Massimo desidera diventare fotografo, e noi gli auguriamo possa raggiungere il suo scopo. Ci basta però sapere che il sentiero è intrapreso, verso un orizzonte sempre più lontano. Che a vederlo sia lo sguardo o l'idea, poco importa: perché la vera sostanza (fotografica, per giunta) sta nella consapevolezza. Ringraziamo Massimo Alberti per le immagini (belle!) che ci ha voluto dedicare. D] Massimo, quando hai iniziato a fotografare? E perché? R] Nel 1981. Eravamo a Dicembre. Ricordo la ME Super al collo e anche le prime immagini in Libano. Ero là per la missione di pace. Per un po' di tempo sono stato un fotoamatore. Ho iniziato a fare sul serio nel '90.

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Intervista rilasciata a CANON

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[PROGETTO FOTOGRAFO]di Canon Italia

Abbiamo raggiunto Massimo Alberti (il professionista della settimana) al telefono, come ci accade sovente. Quando gli abbiamo chiesto quale fosse il suo progetto più caro, lui ci ha risposto: “Diventare fotografo”. L'affermazione (perentoria, peraltro) ci ha sorpreso, perché di solito l'essere del mestiere viene sottaciuto: quasi rappresenti uno status scontato. In Massimo dimora la consapevolezza di vivere un “divenire”, un percorso nel quale ricominciare risulta sostanziale: magari facendolo d'accapo. Ci ha parlato anche di spazi, di desiderio di evadere, di luoghi nei quali scoprire la contaminazione delle diversità. Tutto questo, però, non ci è apparso come fine a se stesso, ma funzionale al cammino del fotografo (quello del progetto). Per ripartire (e farlo ancora) occorre lanciare il cappello più lontano, oltre quell'orizzonte da vedere ad occhi socchiusi: dove poi la realtà si somma al sogno, confondendosi. Già, Massimo si definisce anche “sognatore”, ed anche qui non stentiamo a credergli: sempre prendendo l'affermazione per quello che vale, cioè nell'ambito del progetto personale. Il “dream” non prende vita dall'astrattezza, ma dalla forza dell'ideazione; ed è per questo che il sognatore (quello vero) quasi non dorme, perché cerca la complessità delle diversità, il filo rosso che le lega. E' una questione di risposte, che il fotografo può cercare e raccontare. C'è un perché in tutte le cose, ma pure nel semplice partire. Spesso non conta andare in un posto definito, ma essere in moto consapevolmente: volendo farlo. Massimo desidera diventare fotografo, e noi gli auguriamo possa raggiungere il suo scopo. Ci basta però sapere che il sentiero è intrapreso, verso un orizzonte sempre più lontano. Che a vederlo sia lo sguardo o l'idea, poco importa: perché la vera sostanza (fotografica, per giunta) sta nella consapevolezza.

Ringraziamo Massimo Alberti per le immagini (belle!) che ci ha voluto dedicare.

D] Massimo, quando hai iniziato a fotografare? E perché?

R] Nel 1981. Eravamo a Dicembre. Ricordo la ME Super al collo e anche le prime immagini in Libano. Ero là per la missione di pace. Per un po' di tempo sono stato un fotoamatore. Ho iniziato a fare sul serio nel '90.

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D] La passione è stata importante?

R] Senza passione non riesci a portare avanti questa professione. Le cose evolvono e devi sempre confrontarti con esse. Solo una spinta motivazionale forte può aiutarti.

D] Come hai curato la tua formazione?

R] All'inizio leggevo di tutto: libri, riviste, anche pubblicazioni importanti. Naturalmente il mio sguardo era rivolto verso i grandi fotografi: sempre per imparare. Il resto era pratica.

D] Sei autodidatta, quindi?

R] Sì, del tutto.

D] Hai avuto dei modelli ispiratori?

R] Non c'è mai stato nessuno che mi abbia toccato sino in fondo, anche perché ho sempre analizzato la fotografia sotto vari fronti. Helmut Newton era tra i favoriti, che gradivo per alcuni lavori. Forse di lui ho portato qualcosa nelle cerimonie, ma ogni genere aveva uno o più fotografi di riferimento.

D] Hai ragione, ogni “stile” ha i suoi fotografi: qual'è però l'ambiente che ami preferenzialmente?

R] Sono attratto dalla bellezza della moda: belle fotografie, bei posti, belle luci, belle geometrie. Per converso, non mi sono mai sentito un paesaggista.

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D] Tu ti dedichi a matrimoni e moda, dico male?

R] Matrimoni, book e anche foto commerciale: questi sono i miei ambiti. Tra l'altro l'ultimo è prevalso sulla passione, per questioni oggettive. Come dice spesso mia moglie, non trovo più il tempo per me stesso, per le cose che mi riguardano a fondo.

D] Qual'è comunque la qualità più importante per un fotografo che faccia il tuo lavoro?

R] La curiosità. Molto spesso, quando guardo qualcosa, cambio angolazione. Sono attratto da tutto e vorrei espandere la mia conoscenza, anche in contesti distanti dai miei, quali: arte, letteratura, tecnica e tecnologia.

D] B/N o colore: cosa preferisci?

R] Il colore abbinato al bianco e nero: quella è una tecnica che mi piace, peraltro molto simile al monocromatico. Per il resto, il mio interesse si estrinseca maggiormente nella fotografia a colori.

D] Dopo tanta carriera, c'è un progetto ancora da ultimare e che vorresti portare a termine?

R] Quello di diventare fotografo; ed è ancora in essere.

D] Cosa intendi dire?

R] Vorrei conoscere persone, paesi, posti diversi e applicare il tutto alla fotografia. Noi fotografi siamo presi troppo dal lavoro commerciale, dove peraltro non debbono mancare fantasia e creatività! Oltretutto non ci prendiamo cura della nostra passione.

D] Sento anche un desiderio di evadere …

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R] Di allargare i confini, direi; sento che mi manca il confronto con altre persone, uno scambio di idee. Mi sono recato più volte in Australia e ne ho ricevuto molto. Qui da noi, conosco poche persone che parlano di fotografia con interesse.

D] La tua città come si è collocata nell'ambito della passione che vivevi? Ha funto da stimolo?

R] Al contrario: direi che ha esercitato un influsso negativo. Purtroppo, conta molto anche “dove” presenti il tuo prodotto. Può capitare che quanto svolgi non sia adatto all'habitat che frequenti. Ho sperato a lungo che la fotografia mi portasse lontano, da qualche altra parte. Sono anche andato avanti e indietro in Australia, con l'auspicio di sistemarmi là.

D] Perché l'Australia?

R] Ci ero stato in viaggio di nozze e là ho scoperto una bellezza interiore. Ci sono tante genti, con il bello della diversità. Che dire? In quel primo viaggio sono riuscito a scoprire chi ero.

D] Per me l'Australia parla comunque di provincialismo. Oddio, forse si tratta della distanza …

R] Può sembrare, ma non è così. A Sidney vive un gran fermento, che è fatto anche di etnie, di diversità “vere”. Il provincialismo coatto è qui da noi.

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D] Tu hai uno studio?

R] Sì, in una palazzina tutta uffici. Non si tratta di un negozio, e qui sta la vera novità. Da me non trovi i gadget, ma lo spazio dove parlare con i soggetti, per ritrarli con tutto quanto necessario.

D] Un angolo dedicato al rispetto per la fotografia, quindi …

R] Che a sua volta meriterebbe la stessa attenzione.

D] Hai fatto mostre?

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R] No, mai. Mi piacerebbe, comunque; anche se bisognerebbe aver lavorato a fondo su una tematica definita.

D] Vieni dall'analogico?

R] Certamente, ed anche dalla Camera Oscura; con poi un po' di pratica nel grande formato: questo perché qui, negli anni '90, vi erano degli insediamenti industriali che richiedevano appunto delle immagini.

D] Qualche rimpianto per la pellicola?

R] Non lo so: non ci ho mai pensato. C'era una magia, che forse adesso è venuta meno. Probabilmente esce il mio essere sognatore, ma l'immagine che usciva dalla bacinella era comunque un fenomeno sorprendente. Col digitale, è oggi che ci stiamo avvicinando alla fotografia; i primi anni abbiamo fatto dei “cartoni animati” ed è stata dura.

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D] Curi personalmente il ritocco?

R] Sì, completamente.

D] Hai un flusso di lavoro definito?

R] Scatto in RAW e poi intervengo per tutto quello che serve.

D] Qual'è la tua ottica preferita?

R] Il 24 – 105, perché puoi realizzare la maggioranza delle cose, cerimonie comprese.Il grandangolo lo prediligo per il racconto fotografico.

D] C'è, tra le tue, un'immagine alla quale sei particolarmente affezionato?

R] La risposta di prassi sarebbe: “Quella che debbo ancora scattare”. In realtà amo molte delle mie fotografie. Ne ricordo comunque una, scattata durante un Workshop di cerimonia. Negli

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anni '90 andavano di moda e i fotografi passavano un week end ad imparare e a creare le immagini per la vetrina. Ho prodotto una foto con l'ombra di due sposi. Avevo visto una cosa diversa rispetto agli altri. Era importante.

D] Scatti anche per te?

R] In famiglia faccio quello che fanno tutti, però non esco sempre con la fotocamera.

D] Studio o fuori: cosa preferisci?

R] Da un po' di anni prediligo gli “esterni”: lo studio inizia a starmi stretto.

D] Potessi scegliere, domani cosa scatteresti?

R] Qualcosa di legato all'uomo, magari un mestiere. Mi immagino un benzinaio che lavora in un distributore sperduto, dove anche la location è forte. Lì viene fuori l'uomo.

D] Sento in te tanta voglia di andare …

R] E' vero, che si somma al desiderio di fare. Oggi siamo quasi prigionieri di noi stessi.

D] Ho visto qualche tuo video di moda (backstage), che tipo di donna esce dalle tue immagini?

R] Quando fotografo una persona (al di là del lay out, che porta frustrazione), cerco sempre di ricostruire una complessità, di dargli un ordine. E' da lì che nasce la bellezza degli individui.

D] Dimenticavo, che fotocamera usi?

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R] Una EOS 5D Mark II: una macchina azzeccata.

D] Se potessi farti un augurio da solo, cosa ti diresti?

R] Vorrei continuare a sognare …

D] Da vero sognatore quale ti sei definito …

R] Sì, uno di quelli che non dormono mai.

Grazie a Massimo Alberti per il tempo e le immagini che ci ha voluto dedicare.

Canon Italia