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Gli Esseni dispersi? Dallo studio della cultura Mandea, una ipotesi sugli “anni perduti” del Cristo di Lawrence M.F. Sudbury ([email protected] ) Alcune fonti stimano che ne siano rimasti solo 20.000, sparsi nella zona tra Tigri ed Eufrate attorno allo Shatt-el-Arab, altre, più ottimisticamente, arrivano a contarne circa 60.000, tenendo conto delle numerosissime frange di una diaspora plurimillenaria dovuta ad un isolamento culturale che a lungo, anche il tempi più recenti (sia sotto il regime di Saddam Hussein che dopo la sua caduta), ha coinciso con termini quali sottomissione, ghettizzazione o addirittura genocidio . Loro, non si sono mai contati, dispersi come sono in piccoli villaggi e comunità sperdute tra quegli stati che oggi chiamiamo Iraq, Iran, Siria e Giordania ma che, nella loro cultura, sono nomi che significano poco, così come ben poco significa la nozione di cronologia storica così come noi la intendiamo: il 2008 non vuol dire niente per chi, semplicemente, sa di essere in uno degli “anni del Sabato” del grande ciclo cosmico. Persino il loro nome varia a seconda di chi li osserva: per i mussulmani che li circondano sono “Sabei”, cioè “coloro che si battezzano” (dall'antico aramaico “saba”, “battesimo”); per alcuni viaggiatori occidentali del passato erano i “Cristiani di San Giovanni”, per il loro credo fortemente giovannita. Tra loro, si definiscono “Mandei” (“Mandaiia”), che, come provato dai glottologi Mark Lidzbarski e Rudolf Macuch, in lingua “mandea” (una sorta di dialetto di derivazione aramaica) starebbe a significare “coloro che cercano la conoscenza”, derivando dall'aramaico “manda” (“sapere”). Ma bisogna fare attenzione, perché non tutti i Mandei sono “mandei”: alcuni, pochi eletti, sono “Nozrai”, non dovendo più cercare la “rivelazione” ma avendola ottenuta ed essendo così divenuti “Nazirei”, cioè membri di quella schiera eletta di uomini votati a Dio di cui, interpretando i Vangeli sotto la lente storica e non della “traditio fidei”, faceva parte anche Gesù il Nazireo (e non il Nazareno, visto che Nazareth sorgerà almeno 100 anni dopo la sua morte). Un popolo disperso, dunque, schiacciato e tendenzialmente in via d'estinzione. Perché interessarsene, se non per scopi etno-antropologici, catalogativi o umanitari? La ragione dell'importanza storica dei Mandei risiede proprio nel loro isolamento socio- culturale, che ha preservato pressoché intatto un patrimonio religioso che possiamo definire come “ibernato” attorno al I secolo d.C.. Sostanzialmente i Mandei sono per lo studio dello sviluppo delle idee religiose, quello che un fossile del periodo carbonifero potrebbe essere per lo studio dell'evoluzione sulla terra. Grazie alle ricerche sviluppate in modo intensivo a partire dall'inizio del secolo scorso da orientalisti come J. Heinrich Petermann, Nicholas Siouffi e Lady Ethel Drower, oggi abbiamo un panorama sufficientemente chiaro del sistema di pensiero mandeo, fino a pochi decenni fa quasi completamente misterioso e segreto. Partiamo con un'analisi della loro storia. La lingua di chiarissimo ceppo aramaico-babilonese utilizzata da questa popolazione, così come l'insieme delle loro credenze, ci suggerisce immediatamente una origine semitica, probabilmente nord-palestinese. E' verso il secondo secolo d.C., dopo un probabile esodo a lunghe tappe, che inizia la grande produzione letteraria mandea, che culmina con la creazione del “libro sacro per eccellenza”: il Ginza, una grande raccolta di storia, teologia e preghiere liturgiche che rappresenta la fonte principale per la ricostruzione delle vicende di questo popolo. Attraverso uno studio di questo testo, Jorunn Buckley ha potuto stabilire che, come attestato anche dall'Harrān Gāwet ā , un altro testo di poco successivo, i Mandei dovevano aver lasciato l'area palestinese nel I secolo d.C., subito dopo la distruzione di Gerusalemme, per rifugiarsi nell'area mesopotamica, dove, però , ben presto iniziarono ad avere contrasti con i persiani, come dimostra anche la famosa “iscrizione di Kaftir”, una lapide ritrovata a Naqsh-I-Rustam (Iraq) che narra di una persecuzione Sassanide contro questa “setta” ebraica.

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Gli Esseni dispersi?

Dallo studio della cultura Mandea, una ipotesi sugli “anni perduti” del Cristo

di Lawrence M.F. Sudbury([email protected])

Alcune fonti stimano che ne siano rimasti solo 20.000, sparsi nella zona tra Tigri ed Eufrateattorno allo Shatt-el-Arab, altre, più ottimisticamente, arrivano a contarne circa 60.000,tenendo conto delle numerosissime frange di una diaspora plurimillenaria dovuta ad unisolamento culturale che a lungo, anche il tempi più recenti (sia sotto il regime di SaddamHussein che dopo la sua caduta), ha coinciso con termini quali sottomissione, ghettizzazione oaddirittura genocidio . Loro, non si sono mai contati, dispersi come sono in piccoli villaggi e comunità sperdute traquegli stati che oggi chiamiamo Iraq, Iran, Siria e Giordania ma che, nella loro cultura, sononomi che significano poco, così come ben poco significa la nozione di cronologia storica cosìcome noi la intendiamo: il 2008 non vuol dire niente per chi, semplicemente, sa di essere inuno degli “anni del Sabato” del grande ciclo cosmico.

Persino il loro nome varia a seconda di chi li osserva: per i mussulmani che li circondano sono“Sabei”, cioè “coloro che si battezzano” (dall'antico aramaico “saba”, “battesimo”); per alcuniviaggiatori occidentali del passato erano i “Cristiani di San Giovanni”, per il loro credofortemente giovannita. Tra loro, si definiscono “Mandei” (“Mandaiia”), che, come provato daiglottologi Mark Lidzbarski e Rudolf Macuch, in lingua “mandea” (una sorta di dialetto diderivazione aramaica) starebbe a significare “coloro che cercano la conoscenza”, derivandodall'aramaico “manda” (“sapere”). Ma bisogna fare attenzione, perché non tutti i Mandei sono“mandei”: alcuni, pochi eletti, sono “Nozrai”, non dovendo più cercare la “rivelazione” maavendola ottenuta ed essendo così divenuti “Nazirei”, cioè membri di quella schiera eletta diuomini votati a Dio di cui, interpretando i Vangeli sotto la lente storica e non della “traditiofidei”, faceva parte anche Gesù il Nazireo (e non il Nazareno, visto che Nazareth sorgeràalmeno 100 anni dopo la sua morte).

Un popolo disperso, dunque, schiacciato e tendenzialmente in via d'estinzione. Perchéinteressarsene, se non per scopi etno-antropologici, catalogativi o umanitari?La ragione dell'importanza storica dei Mandei risiede proprio nel loro isolamento socio-culturale, che ha preservato pressoché intatto un patrimonio religioso che possiamo definirecome “ibernato” attorno al I secolo d.C.. Sostanzialmente i Mandei sono per lo studio dellosviluppo delle idee religiose, quello che un fossile del periodo carbonifero potrebbe essere perlo studio dell'evoluzione sulla terra.

Grazie alle ricerche sviluppate in modo intensivo a partire dall'inizio del secolo scorso daorientalisti come J. Heinrich Petermann, Nicholas Siouffi e Lady Ethel Drower, oggi abbiamo unpanorama sufficientemente chiaro del sistema di pensiero mandeo, fino a pochi decenni faquasi completamente misterioso e segreto.

Partiamo con un'analisi della loro storia. La lingua di chiarissimo ceppo aramaico-babiloneseutilizzata da questa popolazione, così come l'insieme delle loro credenze, ci suggerisceimmediatamente una origine semitica, probabilmente nord-palestinese. E' verso il secondosecolo d.C., dopo un probabile esodo a lunghe tappe, che inizia la grande produzione letterariamandea, che culmina con la creazione del “libro sacro per eccellenza”: il Ginza, una granderaccolta di storia, teologia e preghiere liturgiche che rappresenta la fonte principale per laricostruzione delle vicende di questo popolo. Attraverso uno studio di questo testo, JorunnBuckley ha potuto stabilire che, come attestato anche dall'Harrān Gāwetā , un altro testo dipoco successivo, i Mandei dovevano aver lasciato l'area palestinese nel I secolo d.C., subitodopo la distruzione di Gerusalemme, per rifugiarsi nell'area mesopotamica, dove, però , benpresto iniziarono ad avere contrasti con i persiani, come dimostra anche la famosa “iscrizionedi Kaftir”, una lapide ritrovata a Naqsh-I-Rustam (Iraq) che narra di una persecuzioneSassanide contro questa “setta” ebraica.

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A questo punto si pone il primo interrogativo. Perché i Sassanidi perseguitano una settaebraica presente nel territorio da essi controllato? E' noto che l'israelitismo non è mai stata unareligione unitaria, ma, lungo tutto il corso della sua storia, è sempre stata divisa in gruppi ecorrenti, spesso ideologicamente e teologicamente molto distanti tra loro. Perché, allora,colpire una delle tante “interpretazioni” di una religione che i persiani sostanzialmente noncompresero mai ma di cui, essendo a capo di un vastissimo impero dai mille culti differenti,dimostrarono sempre di disinteressarsi?

Forse la risposta potrebbe venire da una soluzione del grande enigma relativo ai rapporti traMandei e Manicheismo. Che la religiosità mandea sia profondamente manichea appare comeun dato di fatto piuttosto evidente ed è stato, per altro, ampiamente dimostrato da Säve-Söderberg attraversp una analisi comparativa tra salmi manichei e preghiere del Ginza, ma ladomanda che ci dobbiamo porre è: siamo certi che la religione mandea sia manicheo o non èpiuttosto il Manicheismo ad essere mandeo? Sulla base del Fihrist di ibn al-Nadim, sappiamo che Mani, il fondatore del Manicheismo, crebbetra gli Elkasaiti, una setta battesimale eretica di stampo cristiano, molto prossima (se non,forse più probabilmente, corrispondente) al mandeismo. Tenendo conto che la localizzazionedegli Elkasaiti risulta essere a nord della Mesopotamia, mentre quella mandea a sud dellastessa regione, potrebbe essere sensato pensare a due gruppi diasporaici divisisi in fasemigratoria ma provenienti da uno stesso nucleo centrale. Se, allora, possiamo pensare che ilmanicheismo derivi, almeno parzialmente, da forme di vetero-mandeismo, possiamo bencapire come i Persiani, ben comprendendo la carica potenzialmente rivoluzionaria e sovversivadel pensiero pre-manicheo (e ricordiamo che Mani stesso, sotto l'impero di Sapore I, passòlunghi anni in carcere), cercassero di distruggerne la radice nei territori ad essi sottoposti.

Ma il corollario di questa possibilità è forse addirittura più interessante dell'ipotesi stessa. Se,infatti, il manicheismo derivasse da una rielaborazione di elementi filosofico-religiosi mandei,potremmo dedurre che quegli elementi (numerosi) della Gnosi cristiana di qualche secolosuccessiva normalmente identificati come manichei, fossero, in realtà, “autoctoni” di unacorrente originariamente ebraica, probabilmente successivamente permeata da elementizorohastriani, mazdistici e misterico-orientali a formare il neo-mandeismo odierno.

Una ulteriore analisi del Ginza apporta ulteriori elementi di interesse ad un quadro già di per séestremamente affascinante.Scopriamo, infatti, che quella che Drower chiama “Gnosi” mandea (e forse, alla luce di quantoosservato, i termini andrebbero ribaltati) si fonda su alcuni elementi principali:− la credenza di un entità superiore spirituale che delega la funzione creatrice del tutto

all'Uomo Archetipo (una sorta di proto-Demiurgo), l'Adam Kadmon della tradizione ebraica,che viene designato come Re-Sacerdote del creato;

− la contrapposizione, chiaramente ripresa o derivante dal Manicheismo, tra una creazionepositiva, mascolina e adamitica e una creazione negativa da parte di una “Madre del tutto”,che evidentemente non può non riportarci alla figura di Ewa e al suo “peccato originale”.Tale contrapposizione perdura in eterno nella continua lotta tra potere della luce e poteredelle tenebre, tra mondo della materia e mondo delle idee e le caduta dell'Adam Kadmonviene vissuta come l'esilio delle anime dall'essenza dell'Entità superiore a cui esse bramanodi tornare;

− in un culto impregnato da simboli e misteri, una tale possibilità di ritorno è facilitatadall'accesso frequente ai sacramenti, primo fra tutti il battesimo, da cui i Mandei hannoereditato il loro nome arabo.

Dei Mandei come popolo di “battezzatori” tratta, già nel II secolo a.C., Luciano di Samosata,che ci parla esplicitamente di un gruppo di persone che, sull'Eufrate, nel nord della Siria, sialzano ogni giorno all'alba e “ricevono il battesimo” indossando vesti di lino.Questa citazione ci porta verso un secondo argomento piuttosto interessante. Già da quantoscritto da Luciano di Samosata, confermato da tutti gli studi svolti sulla religiosità mandea, ilsignificato del battesimo come inteso da questa setta risulta molto differente rispetto allanostra odierna visione cristiana. Il battesimo mandeo, infatti, non si configura come unpassaggio “una tantum” allo stato di grazia conseguente alla cancellazione del peccatooriginale, quanto come una sorta di atto lustrale e purificatorio continuamente ripetuto (alcuni

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testi sacri ne consigliano la pratica almeno settimanalmente).Se, però, ripercorriamo la storia delle correnti ebraiche del primo secolo, non possiamo nonnotare un notevole parallelismo tra questa concezione battesimale e quella di una delle correntipiù note dell'ebraismo dei primi secoli: quella essena.Leggiamo cosa scrive il Gruppo Teologico SAE a proposito del battesimo degli Esseni:“L'origine del battesimo cristiano va rintracciata nell'attività di Giovanni Battista, il quale«evangelizzava il popolo» (Luca 3,18) invitandolo alla conversione, simboleggiata da unaimmersione nel fiume Giordano. Anche la comunità degli Esseni, in quei tempi, praticava unaforma di battesimo, che però consisteva in abluzioni rituali periodicamente ripetute [...]”.

Se poi ci spingiamo un poco oltre, possiamo intravedere altre analogie: gli Esseni erano solitiindossare vesti di lino bianco all'atto dell'abluzione e anche per quanto riguarda i Mandei, ilbattesimo è somministrabile unicamente a chi indossi il tipico costume composto da sette pezzidi lino bianco.Tenendo conto che per tutti i popoli indo-europei e di area medio-orientaale il biancorappresenta simbolicamente, secondo un stereotipo culturale archetipico, il colore dellapurezza, potremmo pensare ad una semplice casualità.

Ma altri elementi ci inducono a pensarla diversamente.Ritorniamo al Ginza e diamo una scorsa alla lista dei profeti in esso contenuta. Ne troviamoparecchi, praticamente gran parte di quelli vetero-testamentari, e, non poi cosìsorprendentemente, l'ultimo profeta, il più grande (in ambito mussulmano parleremmo, per lostesso grado di importanza attribuita dall'Islam a Mohammad, di “sigillo dei profeti”) è “IuhanaMasbana”, cioè Giovanni il Battista (e proprio per questo i carmelitani che tentarono, consuccesso assolutamente nullo, di evangelizzare i Mandei nel XVI secolo, li definirono, comedetto, “Cristiani di San Giovanni”).Ricostruiamo quanto sappiamo di lui e quanto ci dicono gli studi biblici più recenti.Giovanni Battista si era ritirato nel deserto, vestiva di peli di cammello, si cibava di locuste emiele selvatico e praticava il battesimo a mezzo di abluzioni. Tutte queste caratteristichesembrano indicare, con ben pochi dubbi, che Giovanni fosse un Esseno: gli Esseni, così comepossiamo tentare di conoscerli oggi, erano infatti esattamente una comunità di eremiti cheabitavano nel deserto, vestivano semplici vesti ricavate dalle pelli dei cammelli, vivevanomangiando quello che il deserto gli forniva (locuste e miele selvatico) e praticavano abluzioniper purificare il proprio spirito. A differenza di Matteo e Marco, Luca ci presenta un Giovannimolto più approfondito, raccontandoci della sua nascita e facendo intendere che oltre ad unsemplice Esseno fosse anche un Maestro, o Rabbi, conoscitore della Torah. Possiamo quindipensare con una certa sicurezza che Giovanni, almeno in una determinata fase della sua vita,fosse un Esseno e un Rabbi che probabilmente preparava i nuovi accoliti ad entrare nellacomunità, insegnado loro le rigide regole comunitarie ed, infine, iniziandoli tramite la praticadel Battesimo. In questo senso, dobbiamo fare molta attenzione: i Vangeli ci parlano di unBattista che praticava il battesimo di conversione, cioè quello stesso battesimo che assumeva ilgrado di rito iniziatico di immissione nella comunità, ma non specificano mai, in nessun passo,che tale battesimo fosse unico.

A tale battesimo si sottopone Gesù e, proprio a proposito del Cristo, troviamo una nuova,sorprendente analogia tra Esseni e Mandei.Nella teologia mandea, infatti, Gesù (Ishu Mshiha) è un “mšiha kdaba”, un falso Messia (cosìcome falsi profeti sono Abramo e Mosè e un falso insegnamento, da cui distaccarsi per elevarsiverso Dio, è la Torah) che ha completamente stravolto gli insegnamenti impartitigli dalBattista. E' pur vero che in neo-mandaico la stessa frase “mšiha kdaba” potrebbe voler direanche “Messia del Libro”, ma si tratta di una interpretazione più recente, probabilmente legataa correnti ecumeniche che avrebbero voluto, contro le persecuzioni islamiche, che anche iMandei venissero riconosciuti e protetti come parte dei popoli del Libro. Una visione negativa diGesù, comunque, sembrerebbe trarre fondamento proprio da un paragone con il pensieroesseno. Anche per gli Esseni, infatti, è possibile che la Messianicità di Gesù avesse unaconnotazione negativa.

Nel Commento ad Abacuc, ritrovato nella grotta n. 1 di Qumran e considerato il testo che più siavvicina ad una cronaca della comunità, infatti, si racconta che un certo numero di membri

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della comunità essena, seguendo gli incitamenti di un personaggio chiamato “uomo dimenzogna”, si allontanarono rompendo il patto e finirono per non rispettare più la Legge.Questo fece sì che esplodesse un conflitto fra loro e il “Maestro di Giustizia”, capo dellacomunità. Alcuni hanno ritenuto che queste vicende si riferissero ad un periodo o precedente osuccessivo alla predicazione di Gesù ma nel documento viene nominato anche un avversariomalvagio conosciuto come il “Sacerdote empio”. Dal momento che il sacerdozio ebraico ebbetermine con la caduta del Tempio, ciò significa che il Tempio esisteva ancora al momento dellaredazione del Commento. D'altra parte, come nella Regola della Guerra, in questo rotolo si fariferimento alla Roma Imperiale, quindi alla Roma del I secolo avanti Cristo, dal momento chesi ricorda una pratica particolare delle le truppe romane vittoriose che facevano offertesacrificali alle loro insegne, attestata unicamente dopo che, con la nascita dell’Impero,l’imperatore divenne una divinità agli occhi dei suoi sudditi e la sua immagine o il suo simbolofurono riprodotti sulle insegne dell’esercito. Ne consegue che testi quali la Regola della Guerra,il Rotolo del Tempio e, appunto, il Commento ad Abacuc si riferiscono tutti all’epoca di Erode.

Prima di tentare di trarre alcune ipotesi conclusive da quanto accennato, affrontiamo un ultimopunto di grande interesse. Abbiamo visto che i Mandei che sviluppano una conoscenza mistico-misterica superiore, passano al rango di Nozrai, cioè, come accennato, entrano in quellaschiera eletta del “Nazireato” di cui faceva parte anche Gesù. Ma di cosa si tratta?Il Nazireato é, nella Bibbia, la consacrazione a Dio con il conseguente voto di seguire alcunirigidi precetti di vita, illustati nel libro dei Numeri:“Il Signore disse ancora a Mosè: «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando un uomo o unadonna farà un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore, si asterrà dal vinoe dalle bevande inebrianti; non berrà aceto fatto di vino né aceto fatto di bevanda inebriante;non berrà liquori tratti dall’uva e non mangerà uva, né fresca né secca. Per tutto il tempo delsuo nazireato non mangerà alcun prodotto della vigna, dai chicchi acerbi alle vinacce. Per tuttoil tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; finché non siano compiutii giorni per i quali si è consacrato al Signore, sarà santo; si lascerà crescere la capigliatura. Pertutto il tempo in cui rimane consacrato al Signore, non si avvicinerà a un cadavere; si trattasseanche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si contaminerà per loroalla loro morte, perché porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio. Per tutto il tempodel suo nazireato egli è consacrato al Signore. Se uno gli muore accanto improvvisamente e ilsuo capo consacrato rimane così contaminato, si raderà il capo nel giorno della suapurificazione; se lo raderà il settimo giorno; l’ottavo giorno porterà due tortore o due colombial sacerdote, all’ingresso della tenda del convegno. Il sacerdote ne offrirà uno in sacrificioespiatorio e l’altro in olocausto e farà per lui il rito espiatorio del peccato in cui è incorso acausa di quel morto; in quel giorno stesso, il nazireo consacrerà così il suo capo. Consacrerà dinuovo al Signore i giorni del suo nazireato e offrirà un agnello dell’anno come sacrificio diriparazione; i giorni precedenti non saranno contati, perché il suo nazireato è statocontaminato. Questa è la legge del nazireato; quando i giorni del suo nazireato sarannocompiuti, lo si farà venire all’ingresso della tenda del convegno; egli presenterà l’offerta alSignore: un agnello dell’anno, senza difetto, per l’olocausto; una pecora dell’anno, senzadifetto, per il sacrificio espiatorio, un ariete senza difetto, come sacrificio di comunione; uncanestro di pani azzimi fatti con fior di farina, di focacce intrise in olio, di schiacciate senzalievito unte d’olio, insieme con l’oblazione e le libazioni relative. Il sacerdote presenterà quellecose davanti al Signore e offrirà il suo sacrificio espiatorio e il suo olocausto; offrirà l’arietecome sacrificio di comunione al Signore, con il canestro dei pani azzimi; il sacerdote offriràanche l’oblazione e la libazione. Il nazireo raderà, all’ingresso della tenda del convegno, il suocapo consacrato; prenderà i capelli del suo capo consacrato e li metterà sul fuoco che è sotto ilsacrificio di comunione. Il sacerdote prenderà la spalla dell’ariete, quando sarà cotta, unafocaccia non lievitata dal canestro e una schiacciata senza lievito e le porrà nelle mani delnazireo, dopo che questi si sarà raso il capo consacrato. Il sacerdote le agiterà, come offertada farsi secondo il rito dell’agitazione, davanti al Signore; è cosa santa che appartiene alsacerdote, insieme con il petto dell’offerta da agitare ritualmente e con la spalla dell’offerta daelevare ritualmente. Dopo, il nazireo potrà bere il vino. Questa è la legge per chi ha fatto votodi nazireato, tale è la sua offerta al Signore per il suo nazireato, oltre quello che i suoi mezzigli permetteranno di fare. Egli si comporterà secondo il voto che avrà fatto in base alla leggedel suo nazireato».”

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Il nazireato era dunque temporaneo (anche se poteva essere esteso a tutta la vita): era natocome sistema di “preparazione” al ruolo di re o sacerdote, ma aveva assunto una posizione diprimo piano durante le guerre contro i Filistei: ciò che può dar vittoria e pace agli eredi dellapromessa è la forza che deriva dalla separazione da tutto quello che appartiene all’uomonaturale, e da un’intera consacrazione a Dio; in questo senso il Nazireato era una potenzaspirituale, o piuttosto ciò che la caratterizzava, quando il nemico si trova nel paese e così vieneintesa, ad esempio, da Sansone che, grazie al suo voto nazireo, guida l’esercito ebreo allavittoria.E' pur vero che, col tempo, il voto, da prettamente militare che era, era diventato soprattuttoreligioso e, in alcuni casi, veniva fatto dai genitori per i figli nascituri. Tale usanza, ai tempi diGesù, era ancora vivissima e, tra l'altro, da Luca possiamo comprendere che i genitori delBattista lo facciano, ad esempio, sul figlio: “poiché egli sarà grande davanti al Signore; nonberrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre”Come si diceva, la pratica del Nazireato era trasversale a tutti i numerosissimi gruppi politico-religiosi presenti nella Palestina del I secolo, essendo un elemento di scelta personale delsingolo. Naturalmente, però, per le sue caratteristiche, era particolarmente comune tra i gruppiche si rifacevano all’Hassidismo (cioè alla corrente ultra-ortodossa sorta in periodo maccabeo),cioè Farisei e, soprattutto, Esseni e Zeloti.Dal momento che è comunemente accettato che almeno una parte degli Esseni confluirono nelmovimento zelota (come provato da testi di testi esseni persino a Masada), non possiamoritenere che questo “nazireato” avesse assunto nuovamente, in un periodo in cui lasopportazione di buona parte della popolazione ebraica verso l'occupazione romana eraarrivata al limite, la sua connotazione militare originaria? E non possiamo pensare che iltermine “nazireo” stesse ad indicare, tra i pii “monaci” esseni, coloro che, esattamente come inorigine, essendosi caricati, tramite pratiche astinenziali e liturgiche, di una forza divinasuperiore, si opponessero alla dominazione straniera, su una strada tangente quando nonintersecante quella dello zelotismo?

Sulla scorta di tutti questi elementi, proviamo a tracciare una ipotesi possibile.Esiste una comunità fiorente di ebrei estremamente ortodossi, isolati dal mondo, che vivononel deserto, praticano la Legge in ogni minimo dettaglio e si dedicano a pratiche simbolico-misteriche, inclusi ripetuti battesimi rituali. Tale comunità (o meglio, tali comunità, essendo ilfenomeno piuttosto vasto) prevede un capo spirituale o “Maestro di Giustizia” e non èimprobabile che, nel periodo di dominazione imperiale, tale “Maestro di Giustizia” venissescelto tra i Nozrai. Nel Vangelo abbiamo un Nozrai famosissimo, che convertiva le folle conipotesi apocalittiche e ultra-ortodosse: Giovanni Battista, che nella cultura mandea è vistocome l'ultimo e più grande dei profeti. Perché non pensare a lui come al “Maestro di Giustizia”di una comunità essena? Ma da questo “Maestro di Giustizia” viene a farsi battezzare un altro “Nozrai”, Yeshua Ben-Josephi, Gesù, il che ci potrebbe far pensare che, come recentemente accennato persino dafonti papali, per un certo tratto della sua vita il Cristo avrebbe potuto vivere all'interno di uncircolo esseno, probabilmente non così distante da idee zelote (e, senza aprire qui un nuovocapitolo, anche la composizione del circolo degli apostoli sembrerebbe non smentire talepossibilità).Poi qualcosa deve essere accaduto. Forse Gesù si stacca progressivamente dall'ideologiaestremamente legalitaria del circolo o forse, sentendosi investito da un compito divino (ilBattesimo dello Spirito che si contrappone al Battesimo dell'acqua), si contrappone al Maestrodi Giustizia. Non è probabilmente un caso che anche nei Vangeli, se letti attentamente,traspaia, dopo una prima fase corrispondente al battesimo di Gesù, una certa ostilità, o almenoincomprensione, tra i seguaci del Battista e quelli del Cristo. Di fatto, una buona parte dellacomunità segue quest'ultimo e le cronache essene registrano questo fatto riferendosi a luicome “Maestro di menzogna”.Cosa c'entrano i Mandei con tutto questo? Sappiamo che lasciano la Palestina nel I secolo eche, nelle loro zone di migrazione, sono visti come un pericolo, probabilmente a causa dellaloro filosofia religiosa dualistica (altro elemento secondo molti tipicamente esseno). Nonpossiamo pensare a loro, alla loro religiosità simbolico-misterica, alla loro inossidabileortodossia, come l'ultima eredità, sicuramente mescolata ad elementi estranei, sicuramentedeviata dagli eventi storici (ad esempio, il rifiuto di Abramo e Mosè potrebbe derivare dall'avervisto infrangere l'Alleanza con Dio al momento della distruzione del Tempio), di quegli Esseni le

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cui comunità vennero rase al suolo dopo Masada?Si tratta, ovviamente, di ipotesi, ma di ipotesi ben suffragate da prove piuttosto consistenti.Certamente, varrebbe la pena di studiare ed analizzare più in profondità questa cultura, primache, come appare purtroppo molto probabile, essa scompaia assorbita da un mondo arabo dasempre ostile e da situazioni belliche che rendono oggi il progressivo genocidio mandeo unarealtà ancora più tragica che in precedenza. Forse, infatti, al di là della tragedia umana diquesto popolo, dal punto di vista culturale con loro scomparirebbe forse la sola possibilità diavere qualche risposta in più su quel periodo che da sempre rappresenta un grande enigmaper gli storici del Cristianesimo: sugli “anni perduti” del Cristo.

Bibliografia:E.S. Drower, , The secret Adam, a Study of Nasoraean Gnosis, Clarendon Press,1960M. Baigent, R. Leigh, Il Mistero del Mar Morto, M.Tropea Editore, 1997A. Ireman, The Mandean Texts, Collinworth, 1999E. Lupieri, The Mandaeans: The Last Gnostics, Eerdmans, 2002M.Pincherle, I Mandei, Macro edizioni, 2003Benedetto XIV, Gesù di Nazareth, Editrice Vaticana, 2007R.Eisenman, M.Wise, Manoscritti Segreti di Qumran, Piemme 2007