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Maggio 2006 1 ELEMENTI DI FISICA NUCLEARE a cura di Claudia Monte PROGETTO FORMATIVO EDA TECNICHE ERBORISTICHE: COSMESI NATURALE E FITOTERAPIA”

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Maggio 2006 1

ELEMENTI DI FISICA NUCLEARE

a cura di

Claudia Monte

PROGETTO FORMATIVO EDA

“TECNICHE ERBORISTICHE: COSMESI NATURALE E

FITOTERAPIA”

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Parte 1 L’ATOMO

• Premesse storiche

• Primi esperimenti

• Le particelle subatomiche

• Modelli atomici

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Premesse storiche

Nel 440 a.C. circa, Empedocle immaginò che la materia fosse costituita da quattro elementi: acqua, aria, terra, fuoco;

Democrito (470-370 a.C.), invece, immaginò che tutta la materia fosse costituita da particelle invisibili in continuo movimento e che i diversi tipi di materia che vediamo ad occhio nudo fossero il risultato della combinazione di queste particelle. •Democrito le chiamò atomi, con la parola greca che significa “indivisibile”.

Sin dai tempi degli antichi filosofi greci, l’uomo ha cercato di spiegare la struttura microscopica della materia:

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John Dalton propose la prima teoria atomica scientifica:

6. Gli atomi di due elementi possono combinarsi in diversi rapporti numerici per formare composti diversi.

La teoria atomica di Dalton (1803-1810) si può riassumere nei seguenti punti fondamentali:

1. Gli elementi sono costituiti da particelle indivisibili chiamate atomi.

2. Tutti gli atomi di uno stesso elemento hanno la stessa massa e le stesse dimensioni.

3. Gli atomi di elementi diversi hanno massa e dimensioni diverse.

4. I composti chimici si formano per unione di due o più atomi di diversi elementi.

5. Per formare composti chimici, gli atomi si combinano in rapporti numerici semplici espressi da numeri interi (1 a 2, 2 a 1, 2 a 2 , ecc.).

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LA STRUTTURA DELLA MATERIA E DEL CORPO UMANO

Il Corpo Umano

Un organo: la pelle Le celluleLe molecole

Un solido: il diamante

Struttura dei cristalli L’ATOMO

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I primi esperimenti

L’ATOMO NON E’ INDIVISIBILE MA HA UNA SUA STRUTTURA

INTERNA BEN PRECISA

Esperimenti sull’elettrolisi

Esperimenti con gas rarefatti

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o Michael Faraday (1834), riassunse gli aspetti quantitativi del fenomeno di elettrolisi in due leggi che portano il suo nome.

I legge di Faraday. La massa della sostanza che compare o scompare ad ogni elettrodo di una cella elettrolitica è proporzionale alla quantità di elettricità che passa attraverso il liquido. II legge di Faraday. La quantità di carica elettrica che deve fluire in una cella per far comparire o scomparire una mole di sostanza a ciascun elettrodo è di 96.487 Coulomb, oppure un multiplo intero di tale quantità (ad es. il doppio, il triplo, ecc.).

(*) Elettrolisi. Con questo termine si indicano quei fenomeni che si osservano quando, in certi liquidi, si immergono due sbarrette metalliche, dette elettrodi, collegate ad un generatore di corrente continua (ad es. una pila). La vaschetta che contiene il liquido con immersi gli elettrodi collegati rispettivamente al polo positivo (anodo) e a quello negativo (catodo) del generatore di corrente continua, si chiama “cella elettrolitica”.

1. Il fenomeno dell’elettrolisi

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o Nel 1874 il fisico inglese George Johstone Stoney suppose

che fossero i singoli atomi o le singole molecole a trasportare

un ben preciso frammento di carica elettrica e a queste

supposte particelle cariche di elettricità assegnò un nome.

Esse vennero chiamate ioni (un termine che deriva dal verbo

greco "hiemi" che vuol dire corro, mi affretto, a sottolineare la

caratteristica mobilità di questi corpuscoli).

Le cariche elettriche possono essere positive o negative: gli ioni

con carica positiva sono detti cationi, perché durante

l’elettrolisi si dirigono verso il catodo, quelli con carica negativa

anioni, perché sono attratti dall’anodo.

Lo stesso Stoney propose il nome di elettrone per indicare la

carica elettrica elementare (positiva o negativa) trasportata

dagli ioni.

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o Inizialmente si riteneva che fosse il passaggio della corrente elettrica a determinare la separazione (lisi) dei componenti della soluzione, ma successivamente, il chimico svedese Svante Arrhenius (1859-1927) intuì che essi potevano anche essere interpretati immaginando che in soluzione, indipendentemente dal passaggio della corrente, fossero già presenti frammenti di materia carichi positivamente e negativamente.

Con Arrhenius si faceva quindi strada l'idea che gli atomi non fossero entità indivisibili, ma strutture complesse, scindibili in frammenti più piccoli carichi di elettricità. 

La teoria di Arrhenius prese il nome di "dissociazione elettrolitica" e rappresentò, per così dire, l'aspetto chimico dell'ipotesi della natura complessa dell'atomo.

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2. La scarica elettrica nei gas rarefatti

Quando il tubo è pieno d'aria, anche applicando agli elettrodi una differenza di potenziale molto elevata non si osserva alcun fenomeno in quanto l'aria (e più in generale i gas) a pressione normale, non conduce l'elettricità.   

Se però si estrae l'aria dal tubo

fino a ridurre la pressione a

pochi millimetri di mercurio, si

nota il passaggio della corrente

elettrica.

Tale corrente elettrica appare prima sotto forma di una scintilla che procede a zigzag, poi sotto forma di una luminosità diffusa che riempie il tubo fino a fargli assumere l'aspetto familiare di quelli al neon.

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Nel 1876, il fisico tedesco Eugen Goldstein, nella convinzione di avere a che fare con una qualche forma di energia, dette, alla

radiazione che emanava dal catodo, il nome di "raggi catodici".

Si può dare un’interpretazione di questo fenomeno ipotizzando che ci sia un qualcosa che si sprigiona dal catodo eccitando prima la materia che si trova nel tubo e poi, quando questa è stata praticamente eliminata, la zona del tubo posta di fronte ad esso.

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William Crookes, per indagare sulla natura della radiazione catodica, apportò alcune modifiche ai tubi di scarica. I suoi esperimenti mettevano in evidenza che la radiazione che usciva dal catodo non poteva essere della stessa natura della luce. Le evidenze sperimentali suggerivano che doveva trattarsi di uno sciame di corpuscoli. In seguito, Johann Wilhelm Hittorf (1824-1914) dimostrò che i raggi catodici venivano deviati sia da un campo magnetico, sia da un campo elettrico, e concluse che non solo doveva trattarsi di particelle, ma che queste dovevano possedere anche una carica elettrica, la quale, tenuto conto del senso della deviazione, doveva essere di segno negativo. Fu infine deciso di riservare a queste particelle, e non alle cariche elettriche, come si era fatto in precedenza, il nome di elettroni.

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Glossario:Il campo magnetico.Si tratta di un campo vettoriale: associa, cioè, ad ogni punto nello spazio un vettore che può variare nel tempo.

Più specificatamente il campo magnetico è un campo di forze che associa ad ogni punto dello spazio una forza in generale proporzionale alla corrente elettrica e inversamente proporzionale al quadrato della distanza del punto ove si vuole calcolare il campo. La direzione del campo è la direzione indicata all'equilibrio dall'ago di una bussola immersa nel campo.La terminologia oggi utilizzata è la seguente: il campo magnetico nel vuoto è indicato con B e quello in un materiale con H.

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La carica elettrica. Dati alcuni fatti sperimentali come l'attrazione e la repulsione tra sostanze trattate in maniera opportuna (per esempio per strofinìo), si sono definiti due stati di elettrizzazione della materia: positiva e negativa. Corpi elettrizzati entrambi positivamente o entrambi negativamente si respingono mentre corpi elettrizzati in modo opposto si attraggono. La carica elettrica è una misura quantitativa dello stato di elettrizzazione della materia. Mettendo a contatto un corpo carico (cioè elettrizzato, in qualche modo) con un corpo non carico, quello che succede è semplicemente che una certa quantità di carica si trasferisce all'altro corpo.

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Il campo elettrico. Un corpo carico elettricamente produce nello spazio circostante (al limite in tutto lo spazio circostante), la presenza di un nuovo stato di cose: se introduciamo un'altra carica elettrica, questa risente l'effetto di una forza, appunto la forza elettrica che è direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

Questo nuovo stato di cose è quello che chiamiamo campo elettrico, che è un campo vettoriale di forze.Quindi se nello spazio poniamo una carica elettrica Q possiamo determinare la forza che produce (e che subisce) rispetto ad un'altra carica posta nelle vicinanze detta carica di prova q0.

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Le particelle subatomiche

1. LA DETERMINAZIONE DEL RAPPORTO CARICA/MASSA

DELL'ELETTRONE (1897, Thomson)

Nel 1897, l'inglese

Joseph John Thomson

(1856-1940) modificò

opportunamente le

apparecchiature con

cui si erano studiati

precedentemente

i raggi catodici

allo scopo di effettuare la misurazione del percorso seguito

dai raggi stessi sotto l'effetto dei campi elettrico e magnetico.

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il valore del rapporto che risulta pari a 1,76∙108 Coulomb/g.

B

vr

m

e

Nel caso dell'elettrone, indicando con m la sua massa, con e la sua carica elettrica, con v la sua velocità e con B l'intensità del campo magnetico entro il quale è costretto a muoversi, si può dimostrare che il raggio r della traiettoria circolare percorsa da questo corpuscolo si calcola:

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Ee

Bve

BveEe

B

Ev

(*) La velocità degli elettroni (v) viene determinata per via indiretta.

E' possibile infatti, calibrando la carica elettrica sulle piastre metalliche esterne, in modo tale da controbilanciare esattamente l'effetto del campo magnetico, ottenere il risultato di far procedere gli elettroni in linea retta, verso il punto che sta di fronte al catodo. Il valore della forza elettrica agente sull'elettrone è pari a (con e carica dell'elettrone ed E intensità del campo elettrico)

ll valore della forza magnetica è uguale a (con e carica dell'elettrone,

v velocità dell'elettrone e B intensità del campo magnetico)

In condizioni di equilibrio deve  risultare:

da cui:

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C19106,1

2. LA DETERMINAZIONE DELLA MASSA DELL'ELETTRONE (1909, Millikan)

Millikan osservò che le cariche elettriche portate dalle goccioline d'olio che rimanevano sospese a mezz’aria fra gli elettrodi carichi, pur essendo di diverso valore, tuttavia erano sempre multiple della stessa grandezza. Mai avveniva che una gocciolina portasse su di sé una carica elettrica inferiore al valore di

Egli allora considerò questa quantità minima, la carica dell'elettrone.

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228 51,0101,9

cMeVg

mee

m

jouleeV 1910602,11

Una volta misurata la carica, fu possibile determinare la

massa dell'elettrone. Infatti, sostituendo in e/m il valore

di e, si ottenne:

L'elettrone diventava così la più piccola particella di materia mai conosciuta.

Esso pesa 1836 volte di meno del peso dell'atomo di idrogeno, il più leggero che esista in natura.

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3.    I "RAGGI CANALE" O PROTONI

La materia, in condizioni normali, si presenta elettricamente neutra. Era quindi logico pensare che se da essa si era riusciti ad estrarre corpuscoli carichi di elettricità negativa, gli elettroni appunto, dovessero essere presenti residui carichi positivamente. Era altrettanto naturale attendersi che tali frammenti di materia avrebbero dovuto seguire, nell'interno del tubo di scarica, un percorso in senso contrario a quello degli elettroni.

Fu così possibile rendere evidente una radiazione, a cui fu assegnato, da Eugen Goldstein (1850-1930),

il nome provvisorio di "raggi canale“.

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I raggi canale, quindi, non erano altro che ioni positivi.

A queste particelle fu assegnato pertanto il nome di

protone, parola che in greco significa

"di primaria importanza”.

224 3,93810672,1

cMeVg

Quando fu possibile misurare la carica elettrica di questi nuovi corpuscoli, e risultò essere dello stesso valore di quella trovata per l'elettrone (anche se di segno opposto), fu possibile conoscere la massa di tali particelle: essa risultava praticamente identica a quella degli atomi o delle molecole che riempivano il tubo di scarica:

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I modelli atomici1. IL MODELLO ATOMICO DI THOMSON (1904)

Secondo lo scienziato inglese l'atomo doveva essere costituito da una sfera omogenea di

elettricità positiva, ma senza peso, nella quale si trovavano disseminati gli elettroni, come si trattasse di uvetta nel panettone. Per questo motivo all'atomo

di Thomson venne anche assegnato il nome irriverente (ma efficace) di "modello a panettone".

Thomson pensava (erroneamente) che la massa degli atomi fosse dovuta esclusivamente agli elettroni, e poiché un elettrone pesa 1/1836 della massa dell'atomo di idrogeno, quest'atomo avrebbe dovuto contenere 1836 elettroni. Gli altri atomi, pesano decine e centinaia di volte di più dell'atomo di idrogeno e quindi avrebbero dovuto contenere al loro interno decine e centinaia di migliaia di elettroni. Un atomo con tanti elettroni a muoversi al suo interno pareva, già "ad occhio", una struttura poco verosimile!!

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2. IL MODELLO ATOMICO DI RUTHERFORD (1911)

• L'esperimento di Rhuterford  

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Le particelle alfa, secondo il modello di Thomson (sinistra), non

dovrebbero deviare, mentre secondo il modello di Rutherford

(destra) vengono deviate.

L’osservazione sperimentale confermava la seconda ipotesi!!!!

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Conclusione di Rutherford:

l'atomo, nel suo complesso, è un edificio vuoto, con

tutta la massa concentrata in un nucleo centrale carico

positivamente, molto piccolo e di conseguenza anche

molto denso.

Gli elettroni, necessariamente, devono muoversi su

ampie orbite, intorno al nucleo, come i pianeti ruotano

intorno al Sole.

Per questo motivo, il modello atomico di

Rutherford, venne anche detto

modello planetario.

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     Il modello di Rhuterford aveva il difetto di essere assolutamente incompatibile con le leggi della meccanica

e dell'elettrodinamica.

Secondo queste leggi infatti, un corpo carico di elettricità che si muova con moto che non sia rettilineo ed uniforme,

irradia energia a scapito della propria. L'elettrone pertanto, nel suo moto circolare intorno al

nucleo, poiché è soggetto ad una continua accelerazione centripeta, e cambia quindi velocità ad ogni istante,

dovrebbe irradiare e subire una progressiva diminuzione della propria energia.

Ciò lo porterebbe a cadere, seguendo una traiettoria a spirale, sul nucleo.   

E' stato calcolato che l'atomo, se fosse costruito secondo il modello proposto da Rutherford, sarebbe destinato a

disintegrarsi in una frazione di secondo. L'atomo, invece, per nostra fortuna, è stabile.

Problemi del modello di Rutherford

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3. LA SPETTROSCOPIA OTTICA

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Esempi di spettri

Spettro continuo

Spettro a righe

Spettro di assorbimento

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Le righe spettrali dell’atomo di idrogeno

22

1

2

11

nRH

...5,4,3n 16,10967757 mRH

La serie di Rydberg:

con e

La serie di Balmer:le righe spettrali dell'idrogeno non erano poste a caso, ma secondo un preciso ordine esprimibile con la seguente formula:

Å4

6,36452

2

n

ndove n è un numero intero. Dando ad n i valori 3, 4, 5 e 6 si ottengono le lunghezze d'onda (l), espresse in Å (dove )

cm-810 Å1

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4. L’ATOMO DI BOHR (1913)

Bohr ipotizzò che nell’atomo gli elettroni possono occupare solo ben definite orbite, ciascuna con una ben definita energia, secondo la distanza dal nucleo. Quindi ogni orbita corrisponde ad un definito livello energetico: l’orbita più vicina al nucleo corrisponde al più basso livello energetico mentre le altre orbite, a distanza crescente dal nucleo, corrispondono al secondo, al terzo, al quarto… livello energetico.    

Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr accettò per buona l'idea del nucleo centrale con gli elettroni esterni, proposto da Rutherford. Poi però vi apportò delle modifiche sostanziali avvalendosi della teoria dei quanti di Planck. Infatti proprio in quelli stessi anni il fisico tedesco Max Plank introdusse l’idea che l’energia sia quantizzata, cioè che possa essere emessa e assorbita solo in quantità discrete dette quanti.

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Può capitare, però, che l’atomo assorba uno o più quanti di energia: la conseguenza è che il suo elettrone “salta” dalla sua orbita ad una più alta (la seconda, la terza, ecc. a seconda della quantità di energia assorbita); si dice allora che l’atomo è in uno stato eccitato. Normalmente gli atomi in uno stato eccitato tendono sempre a tornare nello stato fondamentale e quindi l’elettrone “cade” dall’orbita più esterna verso una più interna, di minore energia. L’energia persa dall’elettrone in questo passaggio viene quindi ceduta all’esterno sotto forma di radiazione elettromagnetica di una ben definita lunghezza d’onda. 

In condizioni normali, l’atomo tende sempre a scegliere la configurazione corrispondente alla minore energia, cioè si trova, come si dice, nel suo stato fondamentale. Nel caso dell’atomo di idrogeno, lo stato fondamentale corrisponde alla situazione in cui l’unico elettrone occupa il primo livello energetico, cioè quello più vicino al nucleo.

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Stato fondamentale

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I raggi delle orbite circolari per l’atomo di idrogeno sono caratterizzati con un numero, detto numero quantico, indicato con la lettera n (n = 1, 2, 3…).

Å5,0103,5 11 mr

A tale orbita deve corrispondere un’energia che per convenzione è negativa (per indicare lo stato legato in cui si trova l’elettrone) ed è pari a:

eVE 6,13

La prima orbita, corrispondente allo stato

fondamentale dell’atomo di idrogeno (n = 1),

ha un raggio pari a:

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L'energia della seconda orbita (n = 2) vale 1/4 di quella della prima, quella della terza (n = 3), vale 1/9 della prima, e così via. I valori dell'energia relativa ad alcuni livelli dell'atomo di idrogeno crescono all'aumentare della distanza dal

nucleo. Il valore massimo (cioè il valore zero) si ha quando la

distanza dal nucleo è infinita e corrisponde in sostanza alla situazione di elettrone libero.

Il valore di energia (negativo) dello stato fondamentale, con segno cambiato, rappresenta l'energia necessaria per allontanare l'elettrone dalla prima orbita e portarlo a distanza infinita (praticamente fuori dall'influenza del

nucleo). L'atomo, privato di uno o più elettroni, come già

sappiamo, è un sistema con carica positiva che prende il nome di ione; l'energia spesa per l'allontanamento

degli elettroni viene detta energia di ionizzazione.

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     Con l'aiuto di spettroscopi molto perfezionati, si era potuto osservare che molte delle righe dello spettro dell'idrogeno erano in realtà costituite da un certo numero di altre righe molto vicine fra loro, corrispondenti a piccolissime variazioni dell'energia. Il modello di Bohr non era in grado di giustificare questa struttura fine dello spettro dell'idrogeno.

    D'altra parte, l'orbita circolare di un corpo che si muove intorno ad un altro è infatti un caso particolare delle più generali orbite ellittiche. L'elettrone quindi, girando intorno al nucleo, avrebbe dovuto percorrere, oltre all'orbita circolare, un'infinità di altre orbite ellittiche.

Nel 1916, il fisico tedesco Arnold Sommerfeld, tentò di dare un significato alla struttura fine dell'idrogeno introducendo anche le traiettorie ellittiche per il moto degli elettroni.

5.   L’ATOMO DI SOMMERFELD (1916)

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Poiché i fatti sperimentali mostravano che le righe della struttura fine erano in numero limitato, anche il numero delle orbite possibili sarebbe dovuto essere limitato!  Sommerfeld dimostrò che per ciascun valore del numero quantico n doveva esistere un numero determinato di orbite ellittiche (oltre a quella circolare).

Per descrivere il momento angolare dell'elettrone che viaggia su orbite ellittiche, Sommerfeld introdusse un nuovo numero quantico, ℓ, detto numero quantico azimutale mentre n fu denominato numero quantico principale.

Si dimostra che ℓ può assumere tutti i valori interi positivi compresi fra 0 ed n-1. Questo numero oggi viene anche detto numero quantico secondario e determina, come abbiamo spiegato sopra, la forma dell'orbita.

n = numero quantico principale

l = numero quantico azimutale (n valori): 0 ….. , n-1

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Esempi di orbite Sommerfeld

+

n = 2

ℓ =0

ℓ = 1

+

n = 3

ℓ = 1

ℓ = 2

ℓ = 0

+

n = 1

Stato fondamentale

ℓ = 0

Orbite circolari di Bohr

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6. ULTERIORI MODIFICHE DEL MODELLO DI SOMMERFELD     

Si era osservato che sottoponendo alcuni elementi all'azione di un campo

magnetico, si verificava lo sdoppiamento di alcune righe spettrali. Il fenomeno è

detto, dal nome del suo scopritore, “effetto Zeeman”.

Per comprendere il meccanismo di questo fenomeno, dobbiamo

considerare che l'elettrone, oltre ad una massa, possiede anche una carica

elettrica. Secondo le leggi dell'elettromagnetismo, una carica elettrica che percorre un circuito

chiuso, genera un campo magnetico, come qualsiasi corrente elettrica che

percorre una spira. Si viene così a creare, all'interno dell'atomo, per effetto del moto dell'elettrone, un minuscolo magnete, il quale, tuttavia, non produce alcun effetto, così come un ago magnetico, da solo, non subisce alcuna forza.    

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Oltre all'effetto Zeeman, rimaneva ancora da spiegare il fatto che nella

struttura fine di alcuni metalli si osservava un numero di righe ancora

superiore a quello previsto dalla teoria delle orbite ellittiche di

Sommerfeld. Si trattava di una particolare "struttura a doppietti" che si

riscontrava per esempio nel sodio, nel magnesio e nel mercurio.

    Nel 1926 due fisici statunitensi di origine olandese, George Eugene

Uhlenbeck e Samuel Abraham Goudsmit seppero dare una spiegazione

teorica anche alle nuove righe spettrali.

Si introdusse un terzo numero quantico, detto numero quantico magnetico e simboleggiato con la lettera m. Il numero m può assumere tutti i valori interi compresi fra -ℓ e +ℓ, incluso lo zero.    

m = -l, -l+1,…, 0,…, +l -1, +l

Quando però si applica un campo magnetico all'esterno, questo interagisce con il "magnetino" (elettrone in rotazione) presente

nell'atomo costringendolo a sistemarsi secondo determinate posizioni, così come un ago calamitato subisce uno spostamento per

l'azione di una calamita.

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Essi immaginarono che l'elettrone, oltre che girare intorno al nucleo, potesse girare anche su sé stesso come fosse una

trottola. In questo modo l'elettrone, dotato di carica, creerebbe un suo

proprio campo magnetico del tutto distinto da quello che lo stesso produce girando intorno al nucleo.

Anche in questo caso fu necessario quantizzare la

rotazione attraverso l'introduzione di un

quarto numero quantico, s (o ms),

detto numero quantico (magnetico) di spin ("to spin", in

inglese, significa girare).

Poiché possiamo immaginare l'elettrone girare su sé stesso, o in senso orario, o in senso antiorario, i valori che s può assumere

sono solo due: +½ e -½ .

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7. RIEPILOGO: I NUMERI QUANTICI

   

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8. IL PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI

(1925)     Due elettroni, per poter stare vicini, dovevano avere spin opposti: gli

elettroni che girano su sé stessi, si comportano infatti come magneti, e l'esperienza insegna che due magneti, orientati nello stesso senso, si respingono, mentre, se sono orientati in senso opposto, si attraggono. Allo stesso modo, due elettroni con lo stesso spin producono campi magnetici di segno uguale e si respingono, mentre se hanno spin opposti il campo magnetico dell'uno annulla quello dell'altro e si attraggono. Ora, poiché per gli elettroni stare vicini vuol dire occupare la stessa orbita, Pauli concluse che su una stessa orbita non potevano stare più di due elettroni (con spin opposto). Questa limitazione è espressa dal cosiddetto "principio di esclusione" che può essere enunciato nel modo seguente:    "In un medesimo atomo non possono esistere due elettroni con identici valori di tutti e quattro i numeri quantici".    

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Pertanto:

il primo livello energetico, n =1, potrà contenere al massimo due soli elettroni (2·1²);

il secondo livello, n =2, potrà contenere al massimo 2∙2²= 8 elettroni;

il terzo livello energetico conterrà, al massimo 2·3²=18 elettroni, e così di seguito per gli altri.  

9. LA CONFIGURAZIONE ELETTRONICA

Il principio di esclusione di Pauli consente anche di stabilire quanti elettroni possono stare, al massimo, su ciascun livello energetico. Il numero massimo di elettroni per livello si ricava semplicemente dalla espressione 2n².

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Il numero atomico è il numero degli elettroni presenti nei rispettivi atomi e viene indicato con la lettera Z.

Il modo in cui sono disposti gli elettroni intorno al nucleo viene detto "struttura elettronica" dell'atomo. La distribuzione degli elettroni nei singoli atomi segue un criterio preciso che noi esporremo nel corso della costruzione grafica degli atomi più semplici esistenti in natura.

Convenzioni:

a) l'orbita vuota è rappresentata da un quadratino         

b) un quadratino con una freccia all'interno, rivolta verso il basso o verso l'alto, a seconda dello spin, indica un'orbita percorsa da un elettrone 

c) un quadratino con due frecce contrapposte indica un'orbita

con due elettroni   

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La configurazione elettronica

dell’Idrogeno e dell’Elio

Ordine crescente dei livelli energetici a partire da quello più basso (vicino al nucleo) a quello

più alto:

1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, ecc.

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10. IL NEUTRONE Il neutrone rappresenta la terza particella subatomica. Esso fu l’ultima particella, in ordine temporale, ad essere scoperta. Infatti, poiché l’atomo è complessivamente neutro, una volta scoperti gli elettroni (negativi) ed i protoni (positivi), non c’era ragione di sospettare l’esistenza di altre particelle all’interno dell’atomo!!!!!! Dai valori delle masse atomiche risultò però che c’era un cosiddetto DIFETTO DI MASSA:

MASSA NUCLEO > SOMMA MASSA PROTONI!!!!!!

Il nucleo non poteva essere costituito da soli protoni, ma in esso dovevano essere presenti anche altre particelle che dovevano essere neutre, per rispettare la complessiva neutralità dell’atomo!. Questa ipotesi era stata avanzata già da Rutherford nel 1911, ma il neutrone fu scoperto solo nel 1932 da Chadwick!!!!

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CONCLUSIONE:

• L’ATOMO è costituito da 3 tipi di particelle subatomiche: l’ elettrone (e) carico - ; il protone (p) carico + ;il neutrone (n) neutro .

• I protoni ed i neutroni costituiscono il NUCLEO ATOMICO, mentre gli elettroni ruotano attorno al nucleo seguendo determinate orbite corrispondenti a determinate energie;

• In un atomo, in condizioni normali ci sono Z elettroni e Z protoni per rispettare la complessiva neutralità. Z rappresenta il NUMERO ATOMICO. Da questo numero dipendono molte proprietà dell’atomo stesso.

• N indica il numero di neutroni presenti nel nucleo;

• A rappresenta la MASSA ATOMICA ed è ottenuta sommando il numero dei protoni e dei neutroni:

A = N + Z

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LA STRUTTURA INTERNA DELL’

ATOMO

2

2

57,939

28,938

cMeVM

cMeVM

n

p

Le masse degli elementi costitutivi

dell’atomo sono:

251,0c

MeVme

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11. GLI ISOTOPI Tutti gli elementi chimici sono formati dall'insieme di più specie atomiche

di massa diversa.

Gli atomi diversi dello stesso elemento chimico vennero chiamati

isotopi.

    Anche l'idrogeno risulta costituito da una pleiade di tre tipi diversi di

atomi: il più leggero, di massa unitaria, prende il nome di protio (o

prozio), quello di massa doppia si chiama deuterio e il terzo, di massa

tripla, tritio (o trizio). Il peso atomico dell'elemento idrogeno è 1,008.

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Per indicare gli isotopi si usa scrivere il simbolo dell'elemento con a fianco due numeri; l'uno, scritto in alto, detto numero di massa, indica, in pratica, il peso atomico dell'isotopo e l'altro, scritto in basso, detto numero atomico, individua la specie chimica.

 

(*) Isotopo deriva dalle parole greche isos e topos che significano "stesso posto". Ciò si riferisce al fatto che gli isotopi di uno stesso elemento occupano la stessa posizione (cioè la stessa casella) all'interno del Sistema periodico di Mendeleev.

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12. LA TAVOLA PERIODICA DEGLI ELEMENTI

Nel 1869 il russo Dimitrij Ivanovič Mendeleev e il tedesco Lothar Meyer elaborarono indipendentemente, un sistema per classificare gli elementi chimici secondo la massa atomica crescente: nacque così la famosa tavola di Mendeleev.Mendeleev sistemò in una tabella i 63 elementi allora conosciuti incolonnando in gruppi quelli che avevano proprietà chimiche simili. Molti spazi rimanevano vuoti e perciò egli riuscì a prevedere che dovevano esistere altri elementi chimici (che non erano ancora stati scoperti) e, in base alla loro posizione nella tavola periodica, riuscì a prevederne le proprietà chimiche e fisiche.La tavola periodica era costruita partendo dall’ idea che le proprietà degli elementi variano in modo periodico secondo le masse atomiche.In realtà ben presto ci si rese conto che questo criterio non era corretto. Alcuni anni più tardi, la scoperta degli isotopi e i lavori del fisico inglese H.G. Moseley che chiarì l’importanza del numero atomico per identificare gli elementi, portarono a riformulare la tavola periodica secondo il numero atomico crescente.

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La moderna tavola periodica degli elementi è suddivisa in righe orizzontali, dette periodi, e colonne verticali dette gruppi.

I periodi sono numerati da 1 a 7, mentre i gruppi da I a VII e suddivisi in gruppi A (elementi rappresentativi)e B (elementi di transizione), anche se nella moderna nomenclatura, si numerano i gruppi da 1 a 18.Si può stabilire una stretta correlazione tra la configurazione elettronica degli elementi rappresentativi e la loro posizione nella tavola periodica, secondo alcune regole.

Il numero del gruppo di appartenenza (di tipo A) corrisponde alla somma degli elettroni s e p del livello energetico più esterno.

Il numero del periodo indica il livello energetico principale degli elettroni più esterni.

Ad esempio al primo periodo appartengono H (1s1) ed He (1s2) che hanno come numero quantico principale n = 1.

Al secondo periodo, appartengono otto elementi (dall’ He al Ne) con gli elettroni più esterni nell’orbitale con n = 2, e così via.

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Ad esempio al gruppo IA (metalli alcalini), appartengono tutti gli

elementi con una configurazione elettronica esterna del tipo ns1.

Li: 1s2 2s1

Na: 1s2 2s2 2p6 3s1

K: 1s1 2s2 2p6 3s2 3p6 4s1

Cs: 1s1 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 4p6 5s2 5p6 6s1

Ciascuno di questi elementi possiede un elettrone esterno in un

sottolivello s; questo spiega perché i metalli alcalini mostrano

proprietà chimiche molto simili.

Invece, gli elementi del gruppo IIA avranno una configurazione

elettronica esterna del tipo ns2, cioè con l’ultimo sottolivello s pieno;

analogamente gli elementi del gruppo IIIA avranno una

configurazione elettronica esterna del tipo ns2np1, quelli del gruppo

IVA del tipo ns2np2, e così via.