l’origine dei garamanti · della libia, che confina gradatamente a sud col grande sahara. essi...
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L’origine dei Garamanti
Prima che Leo ci mettesse il suo zampino ben poco si sapeva sui Garamanti, ed ora
se ne sa ancora meno perché Leo, esattamente come il grande storiografo Erodoto,
era considerato da tutti un ballista. Leo raccontava sempre delle balle per far in
modo che la Storia si adattasse alle sue teorie. Nel caso di Erodoto, al quale
interessavano anche i miti e le leggende, a volte per sbaglio lui raccontava anche la
verità. Nel caso di Leo, tutti i suoi amici sapevano che lui raccontava solo balle, per il
semplice fatto che se avesse raccontato la verità nessuno l’avrebbe creduto.
I Garamanti erano gli antichi abitanti del Fezzan, la grande regione del Sudovest
della Libia, che confina gradatamente a Sud col Grande Sahara. Essi erano noti come
una realtà etnica importante tra il 500 a. C. (secondo Erodoto) e il 500 d.C. (secondo
fonti Romane).
Da Wikipedia apprendo che probabilmente i Garamanti esistevano già, “ come
popolazione tribale del Fezzan, intorno al 1000 a.C. Compaiono per la prima volta in
fonti scritte nel V secolo a.C., nell'opera di Erodoto, secondo il quale essi erano un
popolo numeroso che allevava bestiame e dava la caccia, stando su quadrighe, agli
"Etiopi Trogloditi" ("abitanti delle grotte") che vivevano nel deserto.” Diverse piccole
città erano state fondate tutto attorno al Fezzan dai Garamanti, ma la loro città
principale e loro capitale era Germa, da cui ovviamente prendevano il loro nome.
Le rovine di Germa ( Garama ) sono state oggetto di intensa ricerca archeologica da
parte degli Italiani e sono ancora visibili sul fianco Sud della valle che collega Sabha
con Ghat, in direzione Sudovest.
Sulla data dell’inizio della loro colonizzazione del Fezzan le opinioni sono discutibili.
Secondo il Prof. Fabrizio Mori, che con i suoi scavi aveva scoperto in quella zona una
mummia risalente al 3500 a.C., le loro origini sono altrettanto antiche di quelle
dell’antico Egitto, dove la mummificazione era praticata regolarmente come pratica
religiosa. Secondo Leo, un documento storico che aveva ritrovato nella biblioteca di
Bill van Goidtsnoven in Guinea Equatoriale faceva risalire l’arrivo di questa
popolazione di razza bianca ai tempi di Mosè, cioè a circa il 1500 a.C. Il documento
definiva i Garamanti: bellicosissimi uomini del mare, che usavavo in battaglia carri di
guerra trainati da cavalli ( bighe ). Ho controllato questa notizia in Wikipedia dove si
conferma che le prime bighe furono usate circa nel 2000 a.C., quindi se questa è una
delle solite balle di Leo, è una balla che ha un fondamento storico ben documentato.
La data del 1500 a.C., che Leo preferisce, per l’arrivo dei primi Garamanti nel Fezzan,
si accorda bene con la data dell’Esodo dall’Egitto degli Ebrei e con l’opinione “di
alcuni autori antichi - fra cui Giuseppe Flavio ed Erodoto, sostenitori della teoria
dell'Esodo Antico – i quali ritennero di datare gli episodi dell'Esodo con la cacciata
degli Hyksos, i faraoni semiti allontanati dall'Egitto dal faraone Ahmose (circa 1550-
1525 a.C.) ”.
A Leo interessava naturalmente dimostrare che i Garamanti erano antichi Israeliti
cacciati o fuggiti dall’Egitto ai tempi del loro antenato Mosè. Questi antichi Ebrei,
per divergenze col capo Mosè, invece di fuggire verso Est, erano fuggiti verso Ovest.
Fin qui la teoria di Leo si adatta più o meno con la realtà storica, ma vediamo cosa
raccontava Leo a proposito delle prove incontrovertibili della sua teoria.
Ugualmente dimostrabile dal punto di vista storico è l’esistenza antichissima nel
Fezzan di una popolazione di negri di origine subsahariana o nilotica ( la mummia
trovata dal prof. Mori era appunto quella di un negro, probabilmente un Egiziano
Nilotico ) che vivevano in grotte e cacciavano i numerosi animali della savana
africana che esistevano nella zona prima della grande siccità, la quale aveva anche
causato la migrazione verso l’Egitto degli antichi Ebrei ai tempi del patriarca
Abramo. I bellissimi disegni sulle rocce delle grotte del Fezzan dimostravano scene di
caccia e l’esistenza di un’abbondante fauna africana in queste zone che
originariamente erano fertilissimi pascoli. I trogloditi neri non erano affatto stupidi e
primitivi, nonostante vivessero ancora all’età della pietra, ma erano intelligentissimi
pastori dotati di spiccato senso artistico. Erano probabilmente popoli Nilotici di
origine Egiziana o di cultura Egiziana a giudicare dalle mummie ritrovate. Ma essi
furono sicuramente annientati e cacciati dall’arrivo dei Garamanti, possessori di una
cultura e di un’arte militare superiore alla loro.
I pilastri fondamentali della teoria di Leo che i Garamanti fossero una popolazione
ebraica pre-Mosaica, si basavano su tre punti fondamentali: la data del loro arrivo
nel Fezzan, il loro culto religioso pre-Mosaico che si ricollegava all’antico Egitto e il
loro aspetto fisico che rivelava la loro affinità con gli Ebrei. Leo diceva, per
confermare le sue teorie, che su tre punti fermi si costruisce un piano stabile, che
non traballa, come un tavolo che appoggia su tre gambe.
Abbiamo già visto che la data dell’insediamento dei Garamanti nel Fezzan coincide
con la migrazione degli Ebrei fuori dall’Egitto. Per quel che riguarda il loro culto
religioso, è provato che i Garamanti usavano costruire delle piramidi per i loro re e
forse mummificavano anche alcuni dei loro morti, per lo meno i più importanti. Essi
adoravano anche il Dio Toro, chiamato in Egitto Apis, che era l’incarnazione terrena
del Dio dell’energia vitale Osiris, il quale era anche adorato dai Cananei col nome di
Moloch, il Dio cornuto. Ma la conferma fondamentale dell’origine pre-Mosaica dei
Garamanti era la storia biblica del vitello d’oro, costruito dagli Ebrei durante la lunga
assenza di Mosè sul monte Sinai. Secondo Leo, anche gli Ebrei che avevano seguito
Mosè nel suo pellegrinaggio verso la Terra Promessa, avevano conservato tradizioni
religiose che li legavano ai Garamanti, prima di ricevere la rivelazione dei dieci
comandamenti. La tradizione religiosa di adorare il Dio Toro si era conservata anche
fino ai tempi dei Romani, in quanto i Garamanti portavano in battaglia l’immagine
del toro, il Dio della guerra Gurzil, perché li aiutasse a vincere i loro nemici. Questa
tradizione di portare in battaglia Gurzil si era perpetuata nel tempo fino ai tempi
delle guerre conto i Romani e più tardi in quelle contro i Bizantini.
Ma la prova fondamentale dell’origine semitica dei Garamanti era il loro aspetto
fisico, illustrato nei vari ritratti di essi che ci sono pervenuti, ed in particolare nel
ritratto che Leo aveva trovato nella libreria di Bill, in Guinea Equatoriale ( illustrato
all’inizio di questo capitolo ). Il ritratto è quello di un giovane guerriero Garamante,
dai tratti somatici chiaramente semitici. Gli occhi di taglio orientale, il naso
leggermente aquilino, i capelli crespi e ricci, la barbetta irsuta e le lunghe trecce
delle basette lasciate crescere come nella tradizione ebraica che vige tutt’ora presso
gli Ebrei Ortodossi, rivelavano secondo Leo la sua chiara origine ebraica.
Il racconto di Mike Keane
Mike Keane era un geofisico Australiano, amico di Leo, che lavorava a quel tempo
nel Fezzan per seguire le squadre sismiche che lavoravano nel bacino di Murzuq,
dove ingenti riserve petrolifere erano state trovate in antichissime arenarie
dell’Ordoviciano. Essendo il capo delle squadre geofisiche Mike aveva molta libertà
di azione, che gli consentiva di fare frequenti incursioni con la sua Landrover nei
territori del Fezzan meridionale. Mike era anche un appassionato paleontologo, con
un forte interesse per l’archeologia, quindi tutte le occasioni erano buone per lui per
svignarsela ed andare a cercare reperti archeologici in giro per il deserto.
Sono già passati vent’anni da quel giono in cui Mike aveva invitato Leo ad una
conferenza al Consolato Tedesco di Tripoli dove aveva mostrato diapositive di foto
di disegni rupestri da lui presi nelle montagne del Fezzan, che documentavano
l’abilità artistica degli antichi abitanti di quelle terre. Gli autori dei disegni erano gli
antichissimi abitanti della zona che vivevano in quelle steppe sahariane prima della
grande siccità che era avvenuta dopo il 2500a. C. Era durante quella conferenza che
Leo aveva cominciato a pensare che ci fosse una correlazione tra le varie migrazioni
degli Ebrei per sfuggire le carestie e i periodi di siccità sahariani. Due anni dopo,
prima della sua partenza definitiva dalla Libia alla volta della Guinea Equatoriale,
Mike era ventuto a salutare Leo al Villaggio Regatta e gli aveva portato un bellissimo
regalo. Un’ascia di pietra ossidiana ( handax ) del tardo Paleolitico, precedente al
Neolitico e quindi di età superiore ai 12.500 anni a.C., da lui trovata nel bacino di
Murzuq.
In quell’occasione Mike gli aveva rivelato che secondo lui vivevano ancora dei
discendenti dei Garamanti ai confini con l’Algeria nel Jebel Majnoon ( la montagna
Pazza ), così chiamata dagli abitanti di Ghat a causa delle strane leggende che
circolavano tra la gente locale a proposito di quella terribile montagna. La prova era
che spesso si sentivano delle urla e si vedevano delle luci aggirarsi nelle strette valli
tenebrose di quel massiccio vulcanico, dove nessuno aveva il coraggio di
avventurarsi. Si raccontava di gente che era sparita laggiù senza lasciare traccia.
Mike confidò che aveva visto uno strano viavai di camion dal Jebel Majnoon in
direzione Est, difficile da spiegare data la mancanza di attività produttive associate a
quella zona impervia del Sahara. Leo aveva ascoltato la storia con interesse ma poi
se n’era dimenticato in quanto l’aveva catalogata tra le tante storie e leggende
strane del deserto che erano raccontate dai geologi e dai geofisici che lavoravano
nei deserti della Libia. Sopratutto non gli passò nemmeno per l’anticamera del
cervello di metterla in relazione con la storia di Mahmood, che Leo, intuendo il suo
valore di documento storico senza capirne il significato profondo, aveva pubblicato
in inglese nel libro: The Prophet of the Libyan Desert.
Quando Leo dopo vent’anni si rese finalmente conto dell’importanza di questa storia
per capire i fatti di sangue che si stavano sviluppando in Libia, l’aveva tradotta in
italiano e me l’aveva inviata per e-mail.
Era la metà degli anni novanta quando Leo si trovava in Libia per lavorare per la
Waha ( la più grande compagnia petrolifera libica ) come senior geologist o se
necessario come well-site geologist nel deserto. Il regime di Gheddafi era entrato
ormai in una fase di stanca essendo durato ormai da 25 anni senza interruzione. La
storia aveva condannato per sempre il comunismo come sistema economico in tutte
le parti del mondo. Gli ex-padrini di Gheddafi o erano morti per cause naturali o
erano stati giustiziati. La Libia si trovava dunque isolata e priva di sostegno politico.
A questo scenario negativo si doveva aggiungere l’effetto delle sanzioni imposte
contro la Libia da un decreto dell’ONU all’inizio del 1992. Il motivo principale delle
sanzioni era dovuto al provato coinvolgimento del regime di Gheddafi in svariati atti
di terrorismo internazionale a sostegno della causa dei Palestinesi. Il più famoso
fatto di sangue di cui era accusata la Libia era l’affare Lockerby, un piccolo paese
della Scozia dove era precipitato un aereo Americano con circa 280 passeggeri a
bordo. Due sospetti libici erano accusati di aver messo una bomba a bordo
dell’aereo per farlo esplodere.
Alla caduta del muro di Berlino e del comunismo ed alle sanzioni si doveva
aggiungere l’accordo firmato tra Pelestinesi ed Israeliani sulla questione dei territori
Palestinesi occupati. Accordo accettato da molti Paesi Arabi moderati come l’Egitto
ed il Marocco. Così veniva a mancare uno dei fondamentali pilastri su cui si basava la
politica di Gheddafi: la lotta dichiarata totale contro lo stato di Israele e lo Zionismo,
in quanto nemici della Nazione Araba di cui Gheddafi vedeva la Palestina come parte
integrante e sé stesso come Leader del mondo arabo. Oltre a ciò è viva nella
memoria di Gheddafi la cocente sconfitta di Saddam e non vuole rovinare
completamente i suoi rapporti con gli Occidentali, per paura di essere il prossimo
obiettivo di una spedizione punitiva simile a quella del Golfo.
Gheddafi quindi aveva deciso intelligentemente di cambiare rotta. Era sempre stato
nemico giurato dei fondamentalisti islamici, alcuni dei quali erano stati impiccati per
suo ordine nelle varie piazze della Libia, e questo atteggiamento piaceva
all’Occidente. Aveva poi deciso di liberalizzare l’economia dando spazio al suo
popolo di sviluppare un’economia di mercato per ovviare alla sofferenza della gente
che cominciava a soffrire per gli aspetti negativi delle sanzioni. Quindi, in quei giorni
dell’estate del 1995, per l’acume politico dimostrato da Gheddafi anche in quel
periodo storico, le cose cominciavano ad andar bene per la Libia.
Si stava vivendo la “ Pax Gheddafiana “, ma c’erano altre forze negative nascoste che
oscuravano l’orizzonte.
Dopo le feste di Natale, in Gennaio del 2015 ricevetti una e-mail da Leo nella quale,
oltre a raccontarmi parola per parola quel che aveva detto Mike Keane a proposito
del Jebel Majnoon, includeva una copia della traduzione italiana di un dialogo con
un certo Mahmood, suo vicino di casa, che si era verificato vent’anni prima a Tripoli.
Secondo Leo il racconto di Mike rappresentava la chiave del mistero che collegava la
storia di Mahmood ai fatti di sangue che erano avvenuti nel Settembre del 2001 a
New York, e agli atti di terrorismo che si erano verificati contro gli Europei a Londra
e a Madrid. Ma soprattutto rivelavano i retroscena della primavera Araba e quelli
della rivoluzione che aveva liberato la Libia dalla dittattura di Gheddafi e, dulcis in
fundo, il terrorismo rampante dell’Isis che stava colpendo in quel momento la Libia.
Ma qual’era la storia di Mahmood ? Ecco la storia che Leo mi aveva inviato per e-
mail perché io la leggessi e commentassi.
Un incontro con Mahmood, il Diavolo Libico
Questa vita tranquilla e serena continuò fino all’inizio dell’estate, quando
nell’appartamento accanto a quello di Leo al villaggio “Regatta” andò a vivere un
libico di nome Mahmood. Costui era un uomo d’affari libico residente a Londra dagli
inizi del regime di Gheddafi. A giudicare dal movimento che si stava svolgendo
nell’appartamento accanto,dall'attività delle guardie del villaggio e dalle opere di
restauro che erano state fatte prima del suo arrivo, Mahmood era sicuramente
qualcuno di importante e ben considerato dal regime. Oltre ai capi del villaggio che
venivano a monitorare il lavoro con grande zelo, c'erano altri personaggi che
frequentavano regolarmente l'appartamento e che ne avevano le chiavi. C'era una
bella ragazza libica di nome Lailah, sempre impeccabilmente vestita alla moda
europea, che era alla guida di una BMW blu nuova simile a quelle che Gheddafi
aveva regalato ai suoi più stretti collaboratori. Lailah parlava sorprendentemente
bene l'inglese, qualcosa di strano in Libia, dove per uno spirito nazionalistico
esagerato, lo studio delle lingue straniere e in particolare della lingua inglese, non
era stato incoraggiato da Gheddafi. Dopo l'arrivo di Mahmood, Lailah veniva spesso
a fargli visita e Leo pensò che certamente ci fosse qualcosa di dolce tra i due.
C'era un bell’uomo nero chiamato Salah, che veniva ogni notte portando una
valigetta da ufficio. C'era un ragazzo magro e taciturno, che parlava solo arabo e il
suo nome era Bashir, che veniva di tanto in tanto all’appartamento e che spesso
trascorreva la notte lì, anche dopo che Mahmood ci si era trasferito. Le finestre
erano tenute rigorosamente chiuse. Leo cominciava a chiedersi cosa stesse
succedendo e che cosa bolliva nella pentola della casa accanto a lui. Dieci giorni
dopo il suo arrivo, arrivarono la moglie e i figli di Mahmood e anche loro si
installarono nell’appartamento. Poi improvvisamente una sera, Mahmood, che in
precedenza si era presentato senza molti commenti su sé stesso e sulla sua attività,
si fece vivo da Leo per invitare lui e sua moglie per un drink sulla sua terrazza. Sua
moglie, la figlia grande di vent'anni e suo figlio piccolo di dieci anni erano in Libia per
una breve vacanza e per visitare i parenti ed erano desiderosi di incontrare i vicini,
spiegò Mahmood.
Durante la serata Mahmood bevve un po’ troppo e cominciò a parlare di se stesso.
Mahmood apparteneva al clan dei Bousetta, una potente famiglia di imprenditori e
commercianti che al tempo del re Idriss era la seconda famiglia della Libia. Con
l'avvento di Gheddafi, Mahmood aveva deciso di partire dalla Libia e si era trasferito
a Londra, dove si dedicava al commercio con successo. Le sue attività consistevano
nel commerciare in tutto ciò in cui poteva guadagnare qualche soldo. Per il
momento commerciava in impianti per la produzione di energia. Leo
innocentemente disse che un uomo d'affari così ben consolidato in Inghilterra come
Mahmood sarebbe stato molto utile alla Libia, in quel momento in cui era soggetta a
sanzioni. Mahmood rispose a questo commento in maniera del tutto inaspettata,
come se fosse quasi irritato, e la sua reazione subito mise in guardia Leo. Mahmood
disse che molte persone importanti cercavano il suo aiuto, ma lui non lo faceva. "Se
lo facessi dovrei passare attraverso alcuni intermediari, in modo che le tracce del
mio coinvolgimento verrebbero cancellate." Mahmood aveva detto. Leo non ebbe il
coraggio di chiedere dettagli. "Di che tipo di aiuto sta parlando?" Pensò Leo
"mercato nero, l'acquisizione di apparecchiature soggette a embargo, l'acquisto di
armi? Mercato nero non può essere, perché è facile da fare e non richiede
un'organizzazione speciale. Mahmood forse parla di materiale che è soggetto a
embargo, ma anche questo non è un problema serio da risolvere in Libia, dal
momento che pezzi di ricambio per impianti petroliferi continuano a entrare
facilmente in Libia e computer americani sono sostituiti dai computer provenienti
dalla Francia. Gli Europei hanno gradualmente sostituito gli Americani per far fronte
a tutte le necessità di materiali e servizi di cui la Libia ha bisogno. Allora sarà un'altra
cosa: le armi?”
Leo ricorse alla sua conoscenza dell'etologia per scoprire cosa significasse
Mahmood. Prima di tutto prese atto di come Mahmood era seduto mentre parlava.
Era seduto con il suo corpo allungato come se fosse sdraiato sulla sedia, le gambe
distese in avanti, formando un azimut di quasi sessanta gradi rispetto alla direzione
di Leo. La sua testa era più vicino a Leo rispetto al resto del corpo e parlava con gli
occhi che lo guardavano di sbiego. "Va notato, tuttavia," pensò Leo, "che gli Arabi,
quando sono in compagnia di amici, sono di solito sdraiati su cuscini sul pavimento
dei loro salotti orientali, più o meno come Mahmood è ora seduto sulla sua sedia,
ma questo non giustifica l'azimut delle gambe spostate lateralmente rispetto
all'interlocutore. "Leo notò che il suo sguardo e l'espressione del volto davano a
Mahmood un'espressione decisamente satanica." Sta mentendo, "pensò Leo" Il suo
corpo dice che mi respinge e che vuole andare il più lontano possibile da me. I suoi
occhi mi raccontano che lui non vuole che io lo guardi direttamente in faccia, ma lui
mi offre solo il suo profilo, per impedirmi di rivelare la sua bugia. Ma su cosa è che
mente? Sul fatto che gli hanno chiesto di aiutarli? Oppure sul fatto che lui si è
rifiutato di aiutarli? "
Un'altra cosa che Mahmood disse dopo essersi versato un altro generoso whisky,
era che la situazione così com'era non poteva durare. In Libia ci sarebbero stati
presto dei cambiamenti ad alto livello. Gheddafi era sempre riuscito a sbarazzarsi
dei suoi più stretti collaboratori, quando erano diventati troppo potenti. Questo è
stato il segreto della sua longevità come leader. Ora, però, non poteva farlo più. I
suoi uomini erano stati in controllo per troppo tempo e si erano troppo ben
installati. Ora era troppo tardi.
Improvvisamente Mahmood, cambiando argomento, rivelò che grandi quantità di
armi erano scomparse da un deposito dell’esercito. Questa era una notizia segreta
che proveniva da fonte molto alta.
Leo pensò: "Associazione di idee? Nascondi il tuo coinvolgimento nell'acquisto di
armi per il regime o per qualcun altro, forse per i dissidenti del regime che
preparano un colpo di stato contro Gheddafi, e per associazione di idee ti sei
ricordato del furto di armi dai depositi di armi dell'esercito? O stavi pensando ad una
rivoluzione armata, di un altro tipo, che si sta preparando ?"
Mahmood, seduto sempre di traverso, e questa volta con un sussurro appena
udibile, chiese a Leo:" Come reagirebbero i vari paesi europei nel caso in cui si
verificassero degli attentati e degli atti di terrorismo contro gli stranieri? Pensi che i
paesi occidentali interverrebero? "
Leo chiese" Dove avverrebbero questi atti di terrorismo, in Libia? "
"No, in qualsiasi parte del mondo." Rispose vago Mahmood. Leo, un po' a disagio,
rispose:. "All'Italia non potrebbe importare di meno, come al solito, come è
avvenuto quella volta in Algeria, quando sette marinai italiani sono stati sgozzati nel
porto di Algeri. Forse anche gli altri paesi non farebbero nulla . L'unica che avrebbe
reagito all'aggressione sarebbe stata l'America, ma non ci sono più Americani in
Libia. Ma pensi che una cosa del genere possa accadere in Libia? I libici mi sembrano
gentili e pacifici verso gli stranieri! "
Gli occhi di Mahmood divennero due fessure strette e l'angolo del suo corpo
rispetto all'interlocutore aumentò impercettibilmente di qualche grado. "Dipende se
è nell'interesse di chi vuole destabilizzare la Libia che si colpiscano gli stranieri."
“Il suo corpo e i suoi occhi mi dicono che non ha pietà per la sorte degli stranieri",
pensò Leo. Mahmood si versò un altro bicchiere di whisky "La vista della Libia in
questo stato mi rende così triste che inizio a bere. Potrei svuotare una bottiglia di
whisky da solo", dichiarò Mahmood, come se stesse parlando a se stesso.
"Continui a svelare quel che pensi per associazione di idee" pensò Leo "Mi stai
facendo capire che simpatizzi con coloro che vogliono rovesciare il regime e il tuo
comportamento mi dice che non hai pietà per gli stranieri. "
Quasi a confermare i sospetti di Leo, Mahmood disse: "Molti degli stranieri che
lavorano in Libia sono spie e informatori per i loro paesi." La moglie di Leo, che fino
ad allora non aveva partecipato al dibattito tra il marito e Mahmood, ma si era
limitata solo a chiacchierare del più e del meno con sua moglie e sua figlia,
improvvisamente disse: ". Sono d'accordo con Mahmood. Ci sono molte spie in giro.
Noi conoscevamo un agente segreto della CIA in Nigeria, molti anni fa. Era facile
capire che era una spia, dal modo in cui si comportava, dagli abiti sgargianti che
indossava, dalle feste che organizzava, in cui erano invitati in particolare alti
personaggi politici nigeriani e membri dell'ambasciata russa. Tutti sapevano, inclusi i
Russi dell'ambasciata di Lagos, che erano l'obiettivo principale dello spionaggio, ma
noi siamo stati gli ultimi a capire, per caso, altrimenti non avremmo mai saputo. "
Leo, sorpreso dalla dichiarazione della moglie, a questo punto protestò che lui non
conosceva nessuna spia, tranne forse qualcuno che lavorava per le ambasciate dei
vari paesi. La Libia, secondo lui non era abbastanza importante per il grande
spionaggio internazionale. Mahmood protestò e chiese se Leo davvero credeva a
quello che aveva detto. Non pensava che la Libia fosse un paese abbastanza ricco
per stuzzicare l'appetito delle grandi potenze?
"Non oggi," rispose Leo "La produzione di petrolio della Libia rappresenta solo il tre
per cento della produzione del globo. La Libia produce solo la metà di ciò che
produce la Norvegia. Comunque" continuò Leo "Sto bloccato tutto il giorno in un
ufficio polveroso e io non mi occupo d’altro che delle mie carte geologiche. Io non
sono di certo una spia, caso mai potrei essere un membro della mafia in trasferta in
Libia.”
Leo aveva adottato questa ingenua" displacement tactic "per deviare la
conversazione che stava diventando troppo pesante. Mahmood non prese l'esca e
guardandolo ancora più di sbiego con un’ espressione del viso ancora più
mefistofelica che mai, disse: "Vuoi farmi credere che" qualcuno come te "è qui in
Libia solo per lavorare in un ufficio polveroso? "
Leo accusò il colpo e cominciò a capire che cosa stava succedendo nella testa di
Mahmood, e continuò nella stessa tattica di spostamento:" No, in realtà io sono qui
per studiare la possibilità di creare lavoro in Libia per la mafia siciliana. " Mahmood
non rise a quella battuta, ma prese un altro bicchiere di whisky, scuotendo la testa.
Leo pensò che Mahmood aveva una tolleranza straordinaria all'alcol. Forse era già
un alcolizzato. A quel punto, Leo aveva smesso di divertirsi e si scusò dicendo: ".. Si
sta facendo tardi, dobbiamo andare. Che tu mi creda o no, domani devo lavorare
alla Waha nel mio ufficio polveroso.Grazie per la serata."
Mahmood, congedandosi dagli ospiti, disse a Leo che ammetteva di aver parlato
troppo e aggiunse: ". Gli Arabi sono così, a volte parlano troppo e gli Europei che lo
sanno li fanno parlare. Gli Europei sono freddi e calcolatori , mentre gli Arabi sono
più impulsivi. "A quel punto Leo aveva tirato fuori un proverbio arabo dal suo vasto
repertorio e disse, col suo volto deliberatamente serio e con una perfetta pronuncia
araba:" Eppure il proverbio arabo dice: "La salvezza dell'uomo sta nel tenere a freno
la sua lingua. "
Tutti risero di questa ultima prova della profonda conoscenza dell’ arabo classico di
Leo.
Quella notte, Leo ebbe degli incubi. Sognava di espatriati sgozzati ai lati della strada,
mentre cercava di fuggire da Mahmood che sorridendo come Satana gli correva
dietro. Il giorno dopo in ufficio ripensava alla sera prima e decise di cominciare a
riorganizzare le sue idee. Che tipo di messaggio aveva voluto inviargli Mahmood?
Era chiaro che Mahmood sospettava che Leo fosse qualcosa di diverso da quello che
era. Se pensava così, voleva che Leo inviasse ai suoi "capi" ipotetici un messaggio di
avvertimento?
Bellicosissimae Gentes
Soltanto oggi dopo aver letto la storia di Mahmood e incontrato Leo a casa sua a
Santa Maria del Focallo, sono in grado di trarre le conclusioni di tutte queste
complicate vicende.
Debbo confessare di essere affascinato dalla teoria dell’origine pre-Mosaica dei
Garamanti. Il resto delle sue teorie mi sembra ovvio, data la storia recente della
Libia che le conferma.
Prima di tutto occorre fare una sintesi delle conclusioni che Leo aveva tratto a
distanza di vent’anni, rileggendo i suoi scritti. Leo era giunto alla chiara conferma
che in certi quartieri militari libici si tramasse già da anni un colpo di stato contro
Gheddafi. I tentativi individuali di eliminarlo erano tutti falliti, ma questa volta
bisognava preparare una vera e propria rivolta armata. Questa era la conclusione
più scontata, che era poi stata confermata dalla rivoluzione libica, che era
cominciata a partire dalla Cirenaica e da Bengasi sulla scia della primavera Araba che
aveva colpito anche i paesi arabi confinanti con la Libia. Gheddafi era stato sconfitto,
anche con l’aiuto delle potenze straniere, e brutalmente ucciso. Il paese era caduto
poi nell’anarchia più assoluta, dopo un breve periodo di euforia.
Ma le confessioni di Mahmood rivelavano altri retroscena più inquietanti: da tempo
gli Arabi tramavano una Jihad per vendicare la caduta del loro idolo Saddam, il più
potente califfo arabo della storia moderna che governava il paese arabo più potente
e più culturalmente progredito, l’Iraq. Se la crociata Europea e Americana non
l’avesse brutamente fermato, distruggendo la sua potenza, Saddam si sarebbe
anche impossessato del potere in Arabia Saudita, unificando gli Arabi sotto la sua
guida. Per l’orgoglio arabo questa era stata una grande sconfitta. Gli Arabi, non
potendo competere in campo aperto con la potenza militare dell’Occidente,
avevano cominciato a tramare contro l’America e l’Europa, preparandosi a compiere
atti di terrorismo che avrebbero destabilizzato l’Occidente. Negli ambienti Arabi
molti erano al corrente di questi piani e molti personaggi potenti, in posizioni chiave,
li approvavano.
Ma occorrevano armi. Gente come Mahmood erano coloro che potevano far
pervenire le armi ai Mujahiddin. Le armi provenivano molto probabilmente dagli
arsenali in disuso degli ex paesi comunisti dell’Europa dell’Est e venivano trasportate
a coloro che ne avevano bisogno, passando per vie remote e difficili da controllare,
come il Jebel Majnoon, dal quale partivano i camion carichi di armi. I discendenti dei
Garamanti, che erano diventati Berberi e Tuareg col passare dei secoli, erano
probabilmente la principale fonte di queste armi che essi nascondevano e
trasportavano attraverso il deserto. Questi uomini amanti della libertà, che si
facevano chiamare Amazigh, cioè uomini liberi, erano contrari a tutti i dittatori,
inclusi Gheddafi e Mubarak e l’odiato Zina el Abidin ben Alì della Tunisia. Il deserto
era un luogo più adatto per nascondre le armi che provenivano dalla stessa America
e dalla Russia forse attraverso la Mauritania e il Mali e da tutti i buchi della
sorveglianza inesistente del grande continente africano, ivi inclusa la Liberia.
Nessuno controllava il deserto immenso che era incontrollabile. La sorveglianza
delle guardie Libiche, Tunisine ed Egiziane si concentrava soltanto lungo la fascia
costiera e il grande Sahara, che Leo conosceva molto bene, era un quartiere vuoto, o
come dicevano gli Arabi un “ rub’ al khaly “ impossibile da sorvegliare.
Anche se io non condivido completamente la teoria di Leo sul coinvolgimento dei
discendenti dei Garamanti in questo scenario, devo ammettere che la teoria di Leo,
se non è vera, è almenno plausibile. Sono sicuro che questa volta Leo ha raccontato
la verità, o almeno una balla plausibile.
Il lettore di questa storia tragga le sue conclusioni, analizzando non solo le teorie di
Leo, ma anche i fatti storici che si stanno svolgendo in questi giorni.