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Parte quarta VERSO IL NUOVO PARADIGMA DELL’ECONOMIA SOCIO-ECOLOGICA POLITICA NUESTRA AMÉRICA E LE PROPOSTE AL TERNA TIVE DALL ECONOMIA LOCALE *05.Ambiente 7-09-2008 9:51 Pagina 283

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Parte quartaVERSO IL NUOVO PARADIGMA

DELL’ECONOMIASOCIO-ECOLOGICA POLITICA

NUESTRA AMÉRICA E LE PROPOSTE

ALTERNATIVE DALL’ECONOMIA LOCALE

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1. La politica ambientale venezuelana1967-1999

L’anno 1976 segna l’inizio formale della politica ambientale in Vene-zuela. Viene creato il primo Ministero dell’Ambiente in America Latinae incomincia l’approvazione di una serie di strumenti legali che discipli-neranno la materia ambientale nei 30 anni successivi. Molti di questistrumenti legali furono anche pionieri nella regione, come la LeggeOrganica dell’Ambiente del 1976, riformulata nel 2007 per adattarla allacostituzione del ’99. Prima del 1976 l’amministrazione ambientale erarealizzata in maniera parziale, su aspetti molto specifici ma dispersiva-mente attraverso tre ministeri distinti (Gutman, 1998; Sisco, 2003) chenon ritenevano la gestione dell’ambiente un elemento prioritario.

Il contesto internazionale dal 1972 era segnato dalla celebrazionedella Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ecosistema, con la quale inco-minciò un processo di rafforzamento del tema ambientale nella politicainternazionale che è rimasto nell’agenda degli organismi di governointernazionali nei tre ultimi decenni. Questo lungo processo ha dato

recentemente origine alla Convenzione di Diversità Biologica e alla rile-vanza ottenuta dalla sostenibilità ambientale nelle Mete di Sviluppo delMillennio.

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AMBIENTE E RIVOLUZIONE.IL PIANO DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALEDEL FMI E IL CAMBIAMENTO DI PARADIGMA

NELLA GESTIONE AMBIENTALE VENEZUELANA

diCésar Aponte Rivero*

* Direttore di Aree Naturali Protette, Ministero del Potere Popolare per l’Ambientedel governo venezuelano. Traduzione di E.D.

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Non si può negare che oltre a una serie di processi interni, la rile-vanza concessa al tema ambientale dalla politica di Stato venezuelano siastato vincolata alla sua politica estera e all’orientamento che questa ebbenel periodo 1958-1999 verso il riconoscimento del Venezuela comemembro attivo della comunità internazionale; diventava quindi un paeseche rispettava gli accordi internazionali (Ellner e Tinker Sale, 2005).L’adesione agli accordi in materia ambientale si trasformò in una politi-ca di Stato. In realtà dal 1995 il Venezuela aveva sottoscritto una trenti-na di accordi e convenzioni internazionali su temi vincolati alla gestionedell’ambiente, immediatamente tradotti in legge.

Dal punto di vista interno, la politica ambientale è stata progettata eincrementata in un periodo caratterizzato da una forte tendenza all’in-dustrializzazione dell’apparato produttivo dello Stato, basata su una po-litica di sostituzione di importazioni, che a sua volta postulava la moder-nizzazione come sostentamento ideologico e il capitale dell’industriapetrolifera da poco nazionalizzata come fonte di sostentamento econo-mico. Inoltre il paese si trovava in una transizione demografica che avevacambiato la distribuzione della popolazione urbana da appena il 14%nel 1920 al 78% nel 1974 (Friedmannn, 1966; Mata, 1977; The Eco-nomist , 2004), producendo una profonda trasformazione nel modo divita rurale e nei sistemi di produzione agricoli. Nel periodo tra il 1920 eil 1945 la percentuale del Prodotto Interno Lordo (PIL), che corrispon-

deva a esportazioni agricole, scese dal 45% al 10% e fu interamentesostituita e superata dalle esportazioni petrolifere che alla fine di questoperiodo rappresentavano il 91% delle entrate per esportazioni (Mata,1977).

Come era facile supporre in un contesto pionieristico, a partire dal1976 la gestione ambientale si orienta verso la ricerca della pianificazio-ne regionale e nazionale, nel quadro della normativa ambientale e nellagaranzia del suo compimento (Sisco, 2003). Il paradigma che dominòquesto periodo si basava su un concetto esclusivamente utilitario del-l’ambiente (Gutman, 1998, Velasco, 2001), centrato nell’uso delle risor-se naturali come forma di capitale e non in una concezione integrale incui venga considerata la conservazione e l’uso da un punto di vista eco-sistemico.

Questo avviene nella gestione ambientale di tale periodo attraversol’implementazione dei meccanismi di comando e di controllo per rego-lare l’accesso alle risorse naturali. Un esempio è rappresentato dalla poli-tica delle Aree Protette. Da più di due decenni il Venezuela è ricono-sciuto come il paese con maggiore copertura di aree protette in tutto il

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mondo, avendo il 40% del territorio sotto protezione (Aponte, 2005)1;questo è uno dei risultati più prestigiosi di questa prima fase (1976-1999) di gestione ambientale. In effetti, il 44% dei parchi nazionalinasce durante il periodo 1976-1992 (Sisco, 2003; Aponte, 2005). La po-litica di creazione delle aree protette fu altamente influenzata dalla visio-ne dell’Accordo di Washington del 1941 basato su un antico paradigma– precedente al concetto di sviluppo sostenibile – nel quale non si rico-noscevano i conflitti di interessi tra le popolazioni locali e gli usi propo-sti negli ordinamenti con propositi di conservazione. Di conseguenza lacreazione delle aree protette impose grandi cambiamenti nel modus

vivendi delle popolazioni rurali in modo inconsulto e senza offrire alter-native per le comunità interessate, limitando il loro accesso alle risorsenaturali attraverso estreme restrizioni legali e complessi meccanismi dicomando e di controllo (Aponte, 2005).

Questa forma di relazione tra lo Stato e la società ha caratterizzato daallora la gestione ambientale fino a oggi. Nel caso delle aree protette,questa situazione causò risentimenti, discordie e atteggiamenti di francaopposizione verso la politica ambientale da parte degli abitanti dellezone interessate dal cambiamento d’utilizzo della terra; questo ha con-tribuito, a lungo termine, al deterioramento delle relazioni tra lo Stato ela società, all’incremento della povertà e all’esclusione sociale, e in alcu-ni casi perfino all’abbandono dei doveri dello Stato, facendo sì che non

venissero più garantite la conservazione delle risorse naturali e lo svi-luppo sociale degli abitanti delle aree protette.

In sintesi, sebbene abbracciare una vasta superficie delle aree protet-te era una politica vantaggiosa per gli interessi nazionali, questo risulta-to è stato raggiunto a spese dei settori agricoli e rurali che subirono granparte dei costi senza percepire i benefici derivati dalla politica delle areeprotette. Questa situazione è stata inoltre aggravata dal fatto che appros-simativamente il 50% delle aree protette ha gli strumenti legali perdeterminare le forme di accesso alle risorse naturali per le comunità col-locate all’interno o nelle vicinanze di queste aree.

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1 43 parchi nazionali, 7 riserve di fauna silvestre, 7 rifugi di fauna silvestre, 21 monu-menti naturali, 10 riserve forestali e 2 riserve di biosfera coprono 36.121.747 ettari, cheequivalgono al 40% del territorio continentale del Venezuela.

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2. Il Piano di Aggiustamento Strutturale 1989-1997

Verso la fine degli anni ’70 la crescita economica che caratterizzò ilboom petrolifero venezuelano diminuì e cedette il passo a una crisi difinanziamento che impoverì il paese, il quale non fu più in grado di farfronte agli obblighi di pagamento del debito estero e diminuì brusca-mente i livelli delle riserve internazionali. In queste condizioni il gover-no eletto nel 1997 si vide obbligato a indebitarsi accettando le condizio-ni imposte dal Fondo Monetario Internazionale, le quali includevano lacrescita di un Piano di Accomodamento Strutturale dell’economia,

caratterizzato dalla diminuzione della spesa pubblica e dall’investimen-to sociale, per la liberalizzazione dell’economia e la privatizzazione del-l’apparato produttivo statale (Easterly, 2001; Ellner e Tinker Sale, 2005;Lander, 2005; Lacabana e Cariola, 2006).

Benché ironicamente il Piano di Aggiustamento Strutturale (PAE) sta-bilisse il rafforzamento dell’impegno sociale e la conservazione dellerisorse naturali come due dei suoi fondamenti principali, lo stesso è notoper le severe conseguenze negative che generò al paese sia nell’ambitosociale, sia in quello ambientale (Munasinghe, 1996; Cariola, Lacabanaet al., 1997).

In effetti, a partire dal 1989, in Venezuela iniziò un periodo di con-flitti tra la direzione della politica ambientale e gli obiettivi del nuovo

modello economico. Il cambiamento di un modello di sviluppo basatosulla sostituzione di importazioni e l’industrializzazione statale versouno basato sulla diminuzione progressiva dell’apparato dello Stato e del-l’investimento sociale generò una crisi dell’ordine sociale che avevacaratterizzato il paese dal 1958 e la rottura del patto politico che avevagarantito da allora il mantenimento di un sistema di alternanza tra igruppi al potere.

Nel 1989 si produsse un’esplosione sociale popolare conosciutacome «El Caracazo», che rappresentò una frattura nella storia politicadel paese, producendo un cambiamento irrevocabile delle relazioni tralo Stato e la società (Lopez-Maya, 2003). Il Caracazo segnò l’inizio diuna lunga crisi di governabilità, che produsse nel 1993 le dimissioni del-l’allora presidente prima del termine del suo mandato e, dopo il 1999,cambiò la totalità degli attori politici. Il tema ambientale fu un impor-tante protagonista nelle trasformazioni che avvennero in quegli anni eche determinarono la rotta attuale della gestione ambientale venezue-lana.

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 3. Conseguenze ambientali del Pianodi Aggiustamento Strutturale

La prima conseguenza osservata durante il periodo di implementa-zione del Piano di Aggiustamento Strutturale fu il rinvigorimento delsettore estrattivo dell’economia attraverso una marcata tendenza versola partecipazione di società multinazionali petrolifere in alleanze com-merciali svantaggiose per la nazione. Lo Stato venezuelano si dedicò alrifinanziamento dell’industria estrattiva in virtù delle politiche di svilup-po economico, diminuendo le politiche ambientali.

Nel 1997 lo stato venezuelano era riuscito a concretizzare un ambi-zioso Piano di Commercio del Petrolio del Venezuela che comprendevaun insieme di progetti petroliferi, petrolchimici e carboniferi, nelle zonedi influenza di varie Aree Naturali Protette, tra esse i Parchi NazionaliTuruépano, Mariusa, Paludi di Catatumbo, Sierra di San Luis, Secche diCoro, Sierra di Perijá, la Riserva di Biosfera Delta dell’Orinoco, la Ri-serva di Fauna Paludi di Juan Manuel, il Monumento Naturale CerroSanta Ana, e il Rifugio di Fauna Laguna Boca de Caño (Provea, 2003).

Ugualmente si presentò una crescita mai vista prima degli investi-menti esteri all’industria mineraria (Carrillo, 2000). Sempre nel 1997 gliinvestimenti esteri nel settore minerario dell’oro aumententarono bru-scamente, superando quasi di 90 volte l’investimento storico su questo

titolo. Per 13 anni, tra il 1979 e il 1992, gli investimenti delle multina-zionali del settore minerario raggiunsero appena i 3 milioni di dollari;tuttavia, solo nel 1997 superò i 266 milioni di dollari. I cicli di investi-mento estero nel settore minerario aurifero viaggiarono di pari passocon le opportunità di crescita delle politiche neoliberiste che favorironogli interessi delle multinazionali minerarie. Sebbene ci fu un discretoincremento tra il 1992 e il 1993 che corrispose al momento della firmadella carta di intenzioni con il Fondo Monetario Internazionale, gliimporti di investimento diminuirono progressivamente dopo la crisipolitica che portò alle dimissioni del presidente nel 1993, per poi riau-mentare alla fine del mandato presidenziale successivo, quando si pre-vedeva il trionfo elettorale dell’allora candidato Hugo Chávez e con essoun cambiamento radicale nella politica economica neoliberista delloStato venezuelano.

Il settore minerario aurifero non è un caso isolato; in effetti anchel’investimento estero nel settore minerario dei diamanti presentò unincremento superiore al 270% tra il 1989 e il 1994 (Carrillo, 2000).

In virtù della grandezza dei loro investimenti, le multinazionali del

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settore minerario, curando i propri interessi economici, riuscirono aconvincere il governo a manomettere le disposizioni in materia ambien-tale e così, nel 1997, un decreto presidenziale cambiò lo status dellaRiserva Forestale di Imataca2, permettendovi l’estrazione industriale dioro. La decisione fu unilaterale, senza l’autorizzazione del congresso edevadendo la consultazione pubblica richiesta per legge; questo eventocausò il rifiuto generalizzato della società, principalmente dei gruppiambientalisti, delle associazioni di indigeni e delle organizzazioni indi-geniste del paese (Repubblica del Venezuela, 1997; Sebastiani, Aponteet al., 2000).

Sempre nel 1997, lo Stato iniziò la costruzione di una rete elettricaattraverso il Parco Nazionale Canaima con l’obiettivo di fornire elettri-cità allo Stato di Roraima in Brasile. Il Parco Nazionale Canaima è ilsecondo più grande del paese con una superficie di 3 milioni di ettari,equivalente all’intero Belgio. Canaima si trova sulla formazione rocciosapiù antica del pianeta ed è anche il territorio dell’etnia indigena Pemón,una delle più grandi in termini demografici in Venezuela. Nel 1994, perle sue peculiari caratteristiche geologiche, ecologiche e culturali, il ParcoNazionale Canaima fu dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

La rete elettrica che attraversava il Parco Nazionale fu considerata«economicamente strategica» perché la fornitura di energia elettrica alNord del Brasile rientrava nelle negoziazioni per l’inclusione del Vene-

zuela nel MERCOSUR  (Guillén, 2002; Rodríguez, 2004a). La qualifica diopera strategica la esentò dalle valutazioni di impatto ambientale richie-ste per legge. Numerose critiche al progetto si levarono dai movimentisociali che percepirono la cosa come un’alterazione irreversibile dell’e-cosistema e della vita dell’etnia Pemón.

Sia la realizzazione della rete elettrica attraverso il Parco NazionaleCanaima, sia gli impianti minerari nella Riserva Forestale Imataca gene-rarono un grave conflitto politico tra lo Stato e i popoli indigeni per ladifesa del diritto di questi ultimi a decidere sull’utilizzo dei propri terri-tori ancestrali. Queste proteste pubbliche sono state senza dubbio i duescenari di conflitto politico-ambientale più rilevanti della storia delpaese (Rodríguez, 2004a; Lopez-Maya e Lander, 2005). Questi conflitti

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2 Imataca è una delle 4 maggiori riserve forestali del Venezuela. Copre una superficiedi 3,6 milioni di ettari, quasi la grandezza di Taiwan. È ubicata a nord-est, ai piedi del-l’Escudo de Guayana. All’interno vi si trovano ricchi e primitivi boschi tropicali. Partedi questo territorio è il rifugio di cinque etnie indigene: Warao, Arawako, Kariña,Akawaio e Pemón.

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avvennero nell’ambito di una crisi generalizzata di governabilità, il cuirisultato avrebbe cambiato l’orientamento della politica ambientale nelnuovo progetto del paese stabilito dalla costituzione del 1999.

Motivati dallo scontento che generò la decisione governativa, le orga-nizzazioni sociali, particolarmente il settore del movimento ambientali-sta e indigenista, iniziarono una campagna di proteste e mobilitazioniper sollecitare la deroga del decreto per il cambiamento dello statusdella Riserva Forestale Imataca e per fermare la costruzione dell’elettro-dotto a Canaima (Aponte, 2005). Le proteste pubbliche generarono unaserie di domande e aspettative da parte dei movimenti indigenisti e

ambientalisti (García-Guadilla, 2001, Rodríguez, 2004a), che si somma-rono allo scontento provocato dai politici. Questo sentimento fu effetti-vamente capitalizzato dai politici emergenti nella campagna elettoraledel 1998 e le domande dei movimenti sociali furono istituzionalizzatenella Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela nel 1999(García-Guadilla, 2001, Aponte, 2005).

L’applicazione del PAE non contribuì solo alla crisi di governo dellafine degli anni ’90 ma generò anche malcontenti tra i movimenti socialie ambientali; inoltre i suoi effetti si manifestarono nell’apparato gover-nativo propiziando la crisi politica e finanziaria del settore pubblicoambientale. Tra il 1995 e il 1999 il bilancio del Ministero dell’Ambientefu ridotto da 511 milioni a 292 milioni di dollari. Come conseguenza il

30% del personale fu licenziato, eliminando direzioni e servizi autono-mi, tra i quali il Servizio Autonomo di Fauna (PROFAUNA) addetto allagestione dei Rifugi e delle Riserve di Fauna Silvestre. L’approvazione deldecreto che permise l’estrazione di oro a Imataca rivelò la debolezza delMinistero dell’Ambiente nel Consiglio dei Ministri e mise fine alla coe-renza che fino ad allora vi era stata nell’applicazione della politicaambientale dal 1976.

Il modo in cui lo Stato sfruttò questa crisi ambientale, sovrapponen-do gli interessi delle multinazionali minerarie al di sopra degli interessidella nazione, evidenzia il ruolo che dovrebbe giocare l’ambiente nellanuova dottrina economica neoliberista, determinando un destino crude-le per la politica ambientale e il suo ente esecutore, l’appropriazione daparte di attori privati della società civile, così come comunemente sonodefinite le Organizzazioni Non Governative (ONG) nel gergo del FMI

(World Bank 1995).

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4. Le ONG ambientali: proposta neoliberista per la gestione ambientale

Come conseguenza della crisi economica che cominciò negli anni ’80e si estese fino alla fine degli anni ’90, la coesione del movimentoambientale si vide seriamente indebolita (García-Guadilla, 2001), spe-cialmente durante il periodo di incremento del Piano di AggiustamentoStrutturale. Questa debilitazione ebbe cause economiche, politiche eperfino ideologiche.

La crisi economica indebolì la capacità delle organizzazioni ambien-

tali di cooperare tra loro, facendo aumentare la concorrenza per le sem-pre più scarse opportunità di finanziamento (García-Guadilla, 1992;Price, 1994; Cariola, Lacabana et al., 1997; Silva, 1997; Gutman, 1998).In realtà, dalla creazione della Federazione di Giunte Ambientaliste(FORJA), i diversi tentativi di stabilire reti di cooperazione tra i gruppiambientali in Venezuela fallirono. La Rete ARA, costituitasi nel 1991 è unesempio di tutto ciò. Creata originariamente col fine di stabilire mecca-nismi di scambio di informazione, la Rete ARA sparì prima di compieredieci anni, non avendo i fondi per il suo funzionamento e i membri ingrado di lavorare volontariamente. Durante la crisi economica la mag-gioranza delle organizzazioni che appartenevano all’ARA non erano ingrado di sacrificare tempo e personale per rafforzare la Rete, data la

grande necessità di investire tempo nella raccolta di fondi per le proprieorganizzazioni.

D’altra parte, la rottura del patto politico dopo il Caracazo e la nasci-ta di opzioni di cambiamento radicale aumentarono le già profonde dif-ferenze ideologiche; ci si chiedeva se la priorità del movimento ambien-tale dovesse essere quella di risolvere i problemi strettamente ecologicio, al contrario, porsi obiettivi eco-socio-politici più ampi in virtù delleopzioni che offriva la crisi. Benché non manifesti in un dibattito pubbli-co, soggiacenti alle differenze politiche si trovavano due posizioni diffe-renti associate al discorso dello sviluppo sostenibile: lo sviluppo sosteni-bile dalle basi sociali o lo sviluppo sostenibile amichevole col mercato espinto dall’alto.

Nonostante lo scenario di crisi, dati di fonti diverse mostrano uncomportamento dinamico e con tendenza alla crescita nella complessa ediversa rete di organizzazioni non governative ambientali. Nel 1993,ECONATURA, una ONG con sede a Caracas, pubblicò uno studio in cui ve-nivano censite 80 istituzioni ambientaliste (Luy, 2000). Di queste, il 75%aveva meno di 10 anni di età e la maggioranza di esse (60%) operava da

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Caracas con piani a livello nazionale e poca o scarsa relazione con i pro-blemi locali. Sette anni più tardi, nel 2000, la Rete ARA registrava 424organizzazioni ambientaliste in tutto il paese (Luy, 2000; REDARA 2000).

L’incremento del numero di organizzazioni ambientaliste avviene du-rante la prima metà degli anni ’80, aumentando notevolmente dal 1986.Questo periodo di crescita coincide con l’inizio del Piano di Aggiusta-mento Strutturale (1989-1993).

In risposta alla crisi finanziaria le organizzazioni più piccole o dicarattere rurale diventarono meno attive o semplicemente sparirono,lasciando campo libero a quelle con maggiori finanziamenti o in grado

di fruire di donazioni internazionali. Le organizzazioni grandi che nor-malmente basavano le entrate sul pagamento di quote di adesioneabbandonarono questo sistema e si misero alla ricerca di grandi donato-ri, tradendo le proprie tradizioni e perdendo rappresentatività comeparte di un collettivo.

Queste nuove condizioni cambiarono la maniera in cui le ONG ave-vano creato il loro spazio come attori influenti nelle questioni ambienta-li. La capacità di adattarsi a norme internazionali di finanziamento, dicomunicare e stabilire alleanze con donatori stranieri e presentare pro-getti asserviti alle priorità di finanziamento internazionali si sostituironoalla capacità di mobilitazione, al bene popolare, all’abilità di lavorare inrete con altri movimenti sociali e alle pressioni sui politici.

Questo fenomeno non fu esclusivo del Venezuela, perché in AmericaLatina appariva una terza generazione di ONG ambientaliste con influen-za nazionale o continentale, unita sotto il vessillo dello sviluppo sosteni-bile amico del mercato e lavorando in una arena politica diversa da quel-la delle organizzazioni di base.

Alla fine degli anni ’90, in un processo graduale, il movimento am-bientalista venezuelano si trasformò totalmente, passando da una retecomplessa e diversa per distribuzione geografica, raggio di azione eideologia politica, a un gruppo ridotto di organizzazioni di alto profiloprofessionale, ubicate principalmente a Caracas, con capacità di riceve-re fondi da donatori stranieri e con progetti su scala nazionale.

Anche i metodi di azione cambiarono la mobilitazione sociale e lalobby, poiché si incluse l’ambiente nell’agenda politica nazionale conbasso profilo politico e con un discorso sullo sviluppo sostenibile amicodel mercato.

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5. Una Costituzione verde

Il cambiamento sperimentato nel paese a partire dal 1999 ebbeimplicazioni significative in tutte le grandi linee politiche dello Stato,incluse la ridefinizione del modello di sviluppo e la politica economicada seguire. Le organizzazioni sociali e politiche che erano servite comemeccanismi per la partecipazione popolare nei decenni precedenti ecome mezzo di espressione delle domande sociali erano in crisi di legit-timità, crisi che si aggravava nella cornice del discorso politico emer-gente. In questo senso il movimento ambientalista non era un’eccezione.

La crisi del settore pubblico ambientale, il decreto di Imataca e l’e-lettrodotto di Canaima furono fattori che si coniugarono e contribuiro-no alla grave crisi di governabilità alla fine degli anni ’90. Alcuni ricer-catori (García Guadilla, 2001) segnalano che questa crisi non contribuìsolo a determinare il cambiamento dei politici nelle elezioni presiden-ziali del 1998, ma creò inoltre un piano politico che permise l’intrigo trai settori ambientalisti e indigenisti, per l’inclusione dei diritti di quartolivello nella costituzione del 1999 (García-Guadilla, 2001).

Il discorso di Chávez, allora candidato alla presidenza, promettevauna ristrutturazione delle istituzioni statali attraverso una nuova costitu-zione, proponendo una ridefinizione della politica economica e unareversione del Piano di Aggiustamento Strutturale del FMI e delle sue

conseguenze. Un settore del movimento ambientalista, composto prin-cipalmente da organizzazioni di base in crisi durante il periodo neolibe-rista, appoggiò la candidatura di Chávez e riuscì a includere nella cam-pagna elettorale il tema ambientale, rendendo possibile la riconsidera-zione del decreto che aveva permesso l’uso minerario della Riserva Fore-stale di Imataca e la legittimazione delle aspirazioni del movimento nelnuovo progetto di paese, attraverso l’inclusione dei diritti ambientali edei diritti indigeni nella Costituzione del 1999 (Schema 1).

 Schema 1. Diritti Ambientali nella Costituzionedella Repubblica Bolivariana del Venezuela

 Articolo 127. «È un diritto e un dovere di ogni generazione proteggere edifendere l’ambiente a beneficio di se stessa e del mondo futuro. Ogni per-sona ha diritto individualmente e collettivamente di godere di una vita sanae di un ambiente sicuro ed ecologicamente equilibrato. Lo Stato proteggeràl’ambiente, la diversità biologica, genetica, i processi ecologici, i parchinazionali, monumenti naturali e altre aree di particolare importanza ecolo-

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gica. Il genoma degli esseri viventi non potrà essere brevettato, e la legge chesi riferisce ai principi bioetici regolerà la materia. È un obbligo fondamen-tale dello Stato, con l’attiva partecipazione della società, garantire che lapopolazione si muova in un ambiente libero da inquinamento dove l’aria,l’acqua, i suoli, le coste, il clima, la cappa di ozono, le specie viventi, sianoparticolarmente protette, in conformità con la legge».

 Articolo 128. «Lo Stato svilupperà una politica di riordinamento del territo-rio conforme alle realtà ecologiche, geografiche, di popolazione, sociali, cul-turali, economiche, politiche, in armonia con le premesse dello sviluppo so-stenibile che includa informazione, consultazione e partecipazione cittadina.

Una legge organica svilupperà i principi e i criteri di questo ordinamento». Articolo 129. «Tutte le attività suscettibili di generare danni agli ecosistemidevono essere previamente accompagnate da studi di impatto ambientale esocio-culturale. Lo Stato ostacolerà l’entrata nel paese di rifiuti tossici e peri-colosi, come la fabbricazione e l’uso di armi nucleari, chimiche e biologiche.Una legge speciale regolerà l’uso, maneggio, trasporto e immagazzinamentodelle sostanze tossiche e pericolose. Nei contratti che la Repubblica stipu-lerà con persone fisiche o giuridiche, nazionali o straniere, o nei permessiche si concederanno che includano le risorse naturali, si considererà com-preso, anche se non esplicitamente espresso, l’obbligo di conservare l’equili-brio ecologico, di permettere l’accesso alla tecnologia e il trasferimento dellastessa in condizioni mutuamente concordate e di ripristinare l’ambiente al

suo stato naturale se questo fosse distorto, nei termini che fissa la legge».Fonte: Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela (1999).

Il Preambolo della Costituzione del 1999 segnala tra i suoi valori fon-damentali il mantenimento dell’equilibrio ecologico e dichiara i beni giu-ridici ambientali della nazione come patrimonio comune e irrinunciabi-le dell’umanità (Repubblica Bolivariana del Venezuela 2000). Il temaambientale compare nel testo costituzionale non solo nel capitolo dedi-cato ai diritti ambientali; il Capitolo sui Diritti Culturali ed Educativi(Articolo 107), ad esempio, stabilisce l’obbligatorietà dell’educazioneambientale a tutti i livelli del sistema educativo e nel capitolo che si rife-risce ai diritti economici (Articolo 112) si limita la libertà economica –tra le altre ragioni – per la protezione dell’ambiente (Repubblica Boli-variana del Venezuela 2000).

Inoltre, il nuovo concetto di sicurezza e difesa (Articolo 326) includela promozione e la conservazione ambientale come fondamento dellasicurezza della Nazione e stabilisce misure di protezione speciale per i

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Parchi Nazionali e altre aree protette, così come per i territori indigeni(Repubblica Bolivariana del Venezuela 2000).

Ugualmente la Costituzione proibisce la commercializzazione dellaconoscenza ancestrale e del genoma umano, contrario alla tendenza glo-bale di «internalizzare» le esternalità economiche relazionate al degradodell’ambiente attraverso una concezione della natura come fonte dimerci e servizi commercializzabili.

In franca opposizione al modello «conservazionista» classico checonsidera le risorse naturali come parte del capitale economico, la nuovacostituzione assicura che la sostenibilità sociale, ecologica ed economica

del nuovo modello di sviluppo adottato non utilizzi le risorse naturaliper la generazione presente a scapito del benessere delle future genera-zioni.

Anche la Costituzione del ’99 stabilisce limitazioni per lo sfrutta-mento delle risorse naturali in aree identificate come territori indigeni,un cambiamento radicale nella direzione della politica che caratterizzò ilperiodo di applicazione del Piano di Accomodamento Strutturale.

Infine, l’inclusione delle domande di un settore del movimentoambientale nel testo costituzionale rappresenta un risultato senza prece-denti nell’influenza storica dei settori sociali nel dirigere la rotta dellapolitica ambientale del paese. Istituzionalizzando le loro domande, loStato ha adottato in maniera ufficiale il discorso dei movimenti sociali e

dell’insieme delle lotte sociali.

6. La nuova concezione dell’ambiente e la sua manifestazionenelle politiche di Stato

Forse il cambiamento più radicale realizzato nella gestione di gover-no dell’attuale amministrazione è stato quello di orientare nuovamentela gestione dello Stato e le sue istituzioni per metterli al servizio delpopolo e non al servizio degli interessi delle multinazionali e dei gruppieconomici che storicamente hanno dominato al paese. Inoltre, il nuovoprogetto di paese ispirato a un modello di sviluppo amico dell’ambienteimplica l’enorme sfida della sua crescita. Alcune delle azioni più rilevan-ti della nuova gestione ambientale evidenziano un cambiamento di stilenon solo nell’orientare la politica ambientale, ma anche i meccanismi diincremento, che non si limitano ora al Ministero dell’Ambiente, ma inclu-dono altre agenzie governative con responsabilità in materia ambientale.

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Un esempio di tutto ciò è rappresentato dal programma del Mini-stero dell’Energia e Petrolio denominato Rivoluzione Energetica, il qua-le mira alla diminuzione delle emissioni di gas che accentuano l’effettoserra. A tale fine nel 2006 si attuò una massiccia sostituzione di 52 milio-ni di lampadine incandescenti con lampadine fluorescenti, che fannorisparmiare energia, nelle case di ogni famiglia a livello nazionale e senzacosto alcuno per queste. Il cambiamento di tecnologia vuol dire unariduzione di 5 miliardi di KW/h ogni anno, equivalente a 24,7 milioni dibarili di petrolio. Inoltre, la costruzione di una nuova diga idroelettricaincrementerà la percentuale di energia di fonti non rinnovabili dall’at-

tuale 70% all’87,5% nell’anno 2012. Dal 2002 tutto il combustibile perveicoli in Venezuela è libero da piombo e a partire da luglio 2008 inco-mincerà un processo di cambiamento del parco auto con veicoli a gasnaturale.

In armonia con queste politiche, il Ministero dell’Infrastruttura haavviato la promozione del trasporto pubblico, costruendo due nuovelinee di metropolitana a Caracas, due nuovi treni per collegare la capi-tale con due città satelliti e due nuovi sistemi di metropolitana nelle cittàdi Maracaibo e Valencia.

I cambiamenti nell’orientamento della gestione del Ministero del-l’Ambiente diventarono evidenti con l’adozione nel 2005 della «Gestio-ne Ambientale Condivisa» come missione istituzionale, che stabiliva

come priorità quella di promuovere la partecipazione della società perottenere lo sviluppo sostenibile (MINIAMB 2006). Due linee principali dilavoro esemplificano i risultati in questa direzione: i Tavoli Tecnicidell’Acqua e i Comitati Protezionisti della Missione Albero.

Sia i tavoli tecnici dell’acqua sia i comitati protezionisti sono associa-zioni di base comunitaria, circoscritte a una località specifica e concepi-te per l’esercizio della democrazia partecipativa. Entrambe formano labase popolare della gestione ambientale della quale è responsabile ilMinistero dell’Ambiente e funzionano in maniera partecipativa, conl’ausilio tecnico del personale del Ministero dell’Ambiente. I tavoli tec-nici dell’acqua progettano soluzioni ai problemi di distribuzione diacqua potabile o di canalizzazione di acque distribuite nei quartieripoveri o nelle zone rurali del paese. Questo meccanismo di gestione par-tecipativa ha permesso di raggiungere, a tempo di record, la meta di svi-luppo del millennio proposta dal PNUD per il 2015. Nel 1990 il 32%della popolazione non aveva accesso all’acqua potabile e il 48% non eraservito da reti per la canalizzazione di acque. Entrambe le percentualierano state ridotte alla metà, 13% e 29%, rispettivamente, nel 2003.

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I Comitati Protezionisti iniziarono nel 2006 il programma di rimbo-schimento più ambizioso nella storia del paese e il primo di caratterecomunitario. Con un investimento di 13 milioni di dollari e il lavorovolontario di più di 18.000 cittadini organizzati in 2.000 comitati prote-zionisti, sono stati seminati più di 34 tonnellate di semi di alberi nativi esono stati impiantati 1.500 vivai a livello nazionale con una produzioneche supera i 30 milioni di piante.

In relazione alle aree protette e all’estrazione mineraria, due fattirecenti dimostrano la profondità del cambiamento di orientamento nellagestione. Nel 2006 il Ministero dell’Ambiente iniziò un complesso pro-

gramma di riconversione mineraria nel Río la Paragua dello StatoBolivar, nella stessa regione in cui dieci anni prima veniva autorizzato losfruttamento dell’oro nella Riserva Forestale Imataca. L’ambizioso pro-gramma di riconversione mineraria include numerose agenzie governa-tive3 e si propone di «riscattare le zone minerarie dello Stato Bolívar, perla difesa della sovranità nazionale, delle ricchezze naturali, dell’ecosiste-ma e della dignità umana, a partire dalla riconversione lavorativa e dal-l’introduzione di sistemi di produzione sostenibili e socialmente coeren-ti con il socialismo» (MINEC 2006). Circa 50.000 minatori della zonasaranno progressivamente incorporati in altre attività economiche soste-nibili con l’ambiente al fine di eliminare pratiche del settore minerarioche causano danni all’ambiente e che hanno contribuito alla povertà e

all’esclusione sociale (MINEC 2006). La conservazione dei bacini del RíoParágua contribuisce a sua volta a garantire il potenziale idroelettricodel Río Caroní, dove si trova la diga idroelettrica più grande del mondo,che attualmente permette la generazione del 70% dell’elettricità consu-mata dai venezuelani.

Il 1° maggio del 2007, il Presidente ha annunciato in un discorso uffi-ciale la realizzazione di un progetto per aumentare lo sfruttamento dicarbone nelle miniere dello Stato Zulia4, coerentemente con un corretto

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3 Tra gli altri: Ministero dell’Ambiente, Ministero dell’Industria di Base e Mineraria,

Ministero del Turismo, Ministero per l’Economia Comunale, Ministero dell’Infrastrut-tura, Ministero dell’Agricoltura, Compagnia per l’Elettrificazione del Caroní (EDELCA),Forze Armate Nazionali.

«Tra il bosco e il carbone io scelgo il bosco, il fiume, l’ambiente, che il carbonerimanga sottoterra!», dal discorso del Presidente della Repubblica Bolivariana delVenezuela Hugo Chávez Frías nell’atto commemorativo del pieno recupero della sovra-nità sul petrolio nel complesso industriale G/D José A. Anzoátegui, Stato Anzoátegui, 1°maggio 2007.

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impatto ambientale e sociale, il quale si svilupperà in zone considerateterritorio degli indigeni. Il progetto, contemplato da vari decenni, hamobilitato i gruppi indigenisti che ne chiedono la titolarità, questa volta,protetti dal diritto costituzionale acquisito nel 1999.

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Premessa

Scopo di questo saggio è presentare, partendo dal «Rapporto sulloSviluppo Umano 2007/2008», del UNDP – Programma delle NazioniUnite per lo Sviluppo –, alcune evidenze relative alle prospettive di cata-strofe ecologica causate dai cambiamenti climatici risultanti dal riscal-damento globale. Innanzitutto cercheremo di affrontare la crisi ecologi-

ca quale espressione tardiva della «frattura metabolica» tra l’uomo e lanatura, elemento strutturale della civiltà del capitale. Poi si tratterà lacrisi ecologica quale componente della nuova epoca storica iniziata conla crisi strutturale del capitale quale forma di controllo estraniata delmetabolismo sociale. Infine, si metterà in risalto la necessità storica delsocialismo quale nuova forma di controllo del metabolismo sociale attoa promuovere effettivamente lo sviluppo sostenibile locale nella pro-spettiva dell’essere umano.

1. I costi dei cambiamenti climatici 

L’allarme sulla crisi strutturale dell’ecosistema minacciato dai cam-biamenti climatici è stato lanciato dal «Rapporto sullo Sviluppo Umano2007/2008» del UNPD, intitolato Lotta ai cambiamenti climatici: solida-rietà umana in un mondo diviso. Il testo ha messo in evidenza la minac-

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* UNESP-Brasile. Traduzione di M.S.

CRISI STRUTTURALE DEL CAPITALE,BARBARIE SOCIALE

E CATASTROFE ECOLOGICA.PROSPETTIVE DALLO SILUPPO LOCALE

diGiovanni Alves*

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cia che il riscaldamento globale rappresenta per l’intera umanità nellaprospettiva di una catastrofe ecologica globale. Il documento sostieneche il mondo va verso un «punto di non ritorno», che potrebbe portarei paesi e i cittadini più poveri a «un irreversibile crollo a spirale, facen-do precipitare centinaia di milioni di persone alla condizione di sotto-nutrizione, di scarsità di acqua, di minacce ecologiche e di perdita dimezzi di sussistenza».

Kemal Dervi, coordinatore del UNDP, afferma: «In ultima analisi, icambiamenti climatici costituiscono una minaccia all’intera umanità.Tuttavia, sono i poveri, cioè i cittadini non responsabili per il debito eco-

logico, che noi continuiamo ad accumulare, quelli che ne subiscono icosti umani più gravi e immediati» (UNDP, 2007).Il «Rapporto» evidenzia i meccanismi attraverso i quali l’impatto

ecologico dei cambiamenti climatici potrà colpire i lavoratori più pove-ri. Nelle società divise in classi, la catastrofe ecologica, in un primomomento, sarà selettiva nei suoi effetti nefasti. Essa colpirà soprattuttola stragrande maggioranza della popolazione lavoratrice a reddito piùbasso. Nel soffermarsi sui 2,6 miliardi di persone che vivono con menodi due dollari al giorno, gli autori del Rapporto sottolineano il fatto chegli eventi derivanti dal riscaldamento globale possono ostacolare e ulte-riormente far retrocedere lo sviluppo raggiunto nel corso di generazio-ni. Tra le minacce allo sviluppo umano individuate nel testo   Lotta ai 

cambiamenti climatici risultano:a) Il collasso dei sistemi agricoli, causato dalla siccità e dall’aumento

delle temperature, nonché dalle precipitazioni irregolari, lascerà più di600 milioni di persone colpite da denutrizione. Le zone aride dell’Africasubsahariana, dove si verificano alcuni dei più alti livelli di povertà nelmondo, entro il 2060 si troveranno ad affrontare il pericolo delle poten-ziali perdite di produttività pari a circa il 25%.

b) Entro il 2080 nelle zone dell’Asia del Sud e del Nord della Cina piùdi 1,8 miliardi di persone dovranno far fronte a problemi provocati dallascarsità idrica; ciò comporterà una grave crisi ecologica risultante dalloscioglimento dei ghiacciai e dai cambiamenti del periodo delle piogge.

c) Il trasferimento di circa 332 milioni di persone dovuto alle inon-dazioni e alle tempeste tropicali nelle zone costiere e a bassa altitudine(oltre 70 milioni di persone in Bangladesh, 22 milioni in Vietnam e 6milioni nel delta del Nilo in Egitto potranno essere colpiti dalle pienelegate al riscaldamento globale).

d) I rischi emergenti per la salute: oltre 400 milioni di persone sonoa rischio di contrarre la malaria.

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Certamente, i potenziali «costi umani» dei cambiamenti climaticisono sottovalutati. Secondo il Rapporto del UNDP, le crisi climatiche –quali le siccità, le alluvioni e le tempeste, che diventeranno sempre piùfrequenti e intense a causa dei cambiamenti climatici – sono già tra «ipiù potenti fattori di povertà e disuguaglianza» e il riscaldamento glo-bale ne consoliderà gli impatti. «Per milioni di persone, questi muta-menti pericolosi del clima portano a irreversibili livelli di povertà e a ci-cli di svantaggio a lungo termine», chiarisce il Rapporto. Oltre a minac-ciare vite umane e a infliggere sofferenze, tali mutamenti distruggonobeni, portano alla sottonutrizione, e fanno sì che i bambini siano costret-

ti a lasciare la scuola.Le nuove inedite sfide storiche per la specie umana richiedono capa-cità di coordinamento e azione strategica radicale nella sfera globale. Aquesto punto, osserva Jared Diamond, «per la prima volta nella storiadobbiamo affrontare il rischio di un collasso globale» (Diamond, 2005).

Tuttavia, il sistema mondiale del capitale, che è caratterizzato da unapluralità di capitali, con tutte le sue contraddizioni, è incapace di agirecon la necessaria celerità e a intervenire in modo effettivo nel coordina-mento di azioni strategiche globali contro le forze distruttive degli inte-ressi particolaristici dei molteplici capitali che degradano l’ecosistemadel pianeta. Perciò le Nazioni Unite non sono riuscite a proporre effet-tivamente un’azione radicale globale contro la prospettiva della cata-

strofe ecologica. Al contrario, il documento congiunge una «mitigazio-ne rigorosa», allo scopo di ridurre l’aumento della temperatura nel XXI

secolo a un livello inferiore a 2 gradi Celsius; a una «cooperazione inter-nazionale» rafforzata dal senso dell’adattamento.

2. Il Rapporto sullo sviluppo umano UNDP /2007-8

Il Rapporto del UNDP esce in un momento-chiave dei negoziati perstabilire un accordo multilaterale per il periodo post-2012, anno in cuiscadono gli impegni del Protocollo di Kyoto, nato con lo scopo di ridur-re l’aumento delle emissioni di gas serra responsabili del riscaldamentoglobale. Infatti il Rapporto UNDP lavora sulla base di un’azione politicapossibile data dalle coercizioni sistemiche dell’ordine mondiale del capi-tale. Gli autori chiedono ai paesi capitalistici sviluppati di avere un ruologuida nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (e pongonocome obiettivo almeno una riduzione dell’80% nel 2050; con tagli del30% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990). Si chiede ai «Paesi in Via

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di Sviluppo» di ridurre le emissioni del 20% entro il 2050, rispetto ailivelli del 1990. Tuttavia, secondo il documento, questi tagli che devonoavvenire a partire dal 2020 dovranno essere sostenuti dalla «cooperazio-ne internazionale attraverso finanziamenti e trasferimenti di tecnologie abasse emissioni di carbonio».

Benché si riconosca la minaccia posta dall’aumento delle emissioni dicarbonio da parte dei principali «Paesi in Via di Sviluppo», si sostieneche sono i  governi dell’emisfero Nord – nucleo organico e centro dina-mico del sistema mondiale – a dover iniziare i tagli più profondi e conmaggior urgenza. Kevin Watkins afferma: «Se gli abitanti del mondo in

via di sviluppo avessero prodotto emissione di anidride carbonica (CO2) pro capite pari a quello degli abitanti del Nordamerica, avremmo avutobisogno dell’atmosfera di nove pianeti per affrontarne le conseguenze»(UNDP, 2007).

Il Rapporto sullo sviluppo umano sostiene che il costo richiesto dallastabilizzazione del gas serra a circa 450 parti per milione (ppm) di ani-dride carbonica CO2 potrebbe essere limitato entro la media dell’1,6%del PIL mondiale fino al 2030. «Benché siamo di fronte a costi significa-tivi, i costi dell’inazione saranno molto più gravi, in termini economici,sociali e umani», osserva Kemal Dervis, coordinatore del UNDP. In effet-ti, il Rapporto sottolinea che i costi per prevenire i cambiamenti clima-tici pericolosi rappresentano meno dei due terzi dell’attuale spesa mili-

tare mondiale.Nell’attribuire un prezzo al carbonio, il Rapporto suggerisce l’utiliz-

zo delle forze del mercato contro le tendenze persistenti che portano allacatastrofe ecologica. Si tratta della «finanziarizzazione della natura». Ildocumento afferma che l’aumento graduale delle tasse attribuite al car-bonio sarebbe un potente strumento per cambiare le strutture incenti-vanti con cui gli investitori hanno a che fare. Infine, il sistema del capi-tale, incapace di abolire il «male», cerca di renderlo finanziariamenteconvertibile.

Infine, vengono elencate altre iniziative di «strategia concertata» perla riduzione mitigata delle emissioni di gas serra: parametri regolatoripiù forti, sostegno allo sviluppo di fornitura di energia a basse emissio-ni di carbonio, cooperazione internazionale in materia di trasferimentodi tecnologia e risorse finanziarie. Watkins dice: «Lavorando insieme econ tenacia, potremo vincere la lotta contro i cambiamenti climatici.Consentire che si chiuda la finestra della speranza rappresenterebbe unasconfitta morale e politica senza precedenti nella storia dell’umanità»(UNDP, 2007).

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Tuttavia, gli stessi estensori, in un momento di lucidità, affermanoche molti dei traguardi stabiliti dai governi dei «Paesi Sviluppati» sisono rivelati insufficienti. Fanno notare inoltre che la maggior parte dei«Paesi Sviluppati» ha fallito, fino a questo momento, addirittura nel rag-giungere la meta delle più modeste riduzioni di emissioni di gas serra –ottenendo in media il 5% relativamente ai livelli del 1990 – accordatenell’ambito del Protocollo di Kyoto. Secondo il Rapporto del UNDP,anche nelle situazioni per le quali sono stati stabiliti dei traguardi ambi-ziosi, pochi sono stati i «paesi sviluppati» che hanno fatto allineare gliobiettivi stabiliti di sicurezza climatica con le reali politiche energetiche.

Ora, fino a che punto la conferenza di Bali sarà più efficace del Pro-tocollo di Kyoto per sovvertire le prospettive di una catasfrofe ecologi-ca? Fino a che punto le grandi multinzionali capitalistiche e i «paesi ric-chi», impegnati a difendere gli interessi dell’ordine mondiale del capita-le, saranno sensibili alla tragedia sociale, che colpirà le popolazioni lavo-ratrici, a causa dei cambiamenti climatici? Fino a che punto l’adozionedi nuove tecnologie di energia rinnovabile avverrà in un tempo utile asovvertire la prospettiva di catastrofe ecologica?

Nel XXI secolo la crisi ecologica globale, che si traduce in una pro-spettiva di cambiamenti climatici radicali, è un elemento in più dellaregressività storica dell’ordine borghese a livello pianetario. Benché l’au-tore principale del Rapporto, Kevin Watkins, dica che sta facendo «un

appello all’azione, e non un consiglio disperato», le prospettive odiernedi degrado della Natura e del pianeta sono più che mai minacciate.

A dire il vero, la catastrofe ecologica dovuta ai cambiamenti climati-ci non comporterà la fine del mondo umano, ma la formazione di unecosistema sempre più degradato per l’evoluzione della specie umana,oltre che l’inversione delle possibilità reali di emancipazione sociale ine-renti al processo civilizzatore del capitale.

 3. Capitalismo, natura e «frattura metabolica»

La prospettiva della catastrofe ecologica non è che la derivazione delcapitale come forma estraniata di controllo del metabolismo sociale. Inrealtà il modo di produzione capitalistico nel suo sviluppo storico hasignificato (e significa), in sé e per sé, una minaccia alla natura – tantoalla natura esterna all’uomo quanto alle forze naturali appartenentiall’uomo stesso (corporalità, braccia e gambe, testa e mani). Infine, illavoro estraniato e le sue determinazioni riflesse (proprietà privata e

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divisione gerarchica del lavoro) significano l’obliterazione irrimediabiledella mediazione, regolazione e controllo del metabolismo dell’uomocon la natura.

Sotto il modo di produzione capitalistico l’appropriazione della ma-teria naturale da parte dell’uomo mira non alla costituzione di una formautile per la sua stessa vita, bensì all’accumulazione del valore estraniato.Per Marx, sotto il capitalismo, l’uomo ha perso la mediazione, la regola-zione e il controllo del suo metabolismo ( Stoffwechsel ) con la natura. Siinstaura una «frattura [lift ] irreparabile» nel metabolismo tra l’uomo ela natura a causa dei rapporti di produzione capitalistici e della separa-

zione antagonistica tra campagna e città.Il modo di produzione capitalistico ha alterato radicalmente la con-dizione di riproduzione degli esseri umani. Esso costituisce quel cheMarx chiamerà «frattura metabolica». Per esempio, all’epoca il filosofotedesco ha messo in luce l’incapacità del capitalismo di adottare prati-che agricole razionali sostenibili. Egli ha denunciato, assieme all’econo-mista politico americano Henry Carey e al chimico e agricoltore tedesco

 Justus von Liebig, il degrado del suolo e il declino della fertilità natura-le a causa della distruzione del ciclo di nutrimento del suolo che accom-pagna l’agricoltura capitalistica.

Carey osservava che il suolo veniva sistematicamente derubato dellesue sostanze nutritive. Testualmente affermava: «L’uomo può solo pren-

dere in prestito la terra, e quando egli non paga più i debiti nei suoi con-fronti, essa agisce come qualsiasi altro creditore, cioè lo priva del suopossesso». E denunciava il «sistema di espropriazione» in cui eranominate le condizioni di riproduzione del suolo.

Il problema dell’esaurimento del suolo era anche legato, secondoLiebig, all’inquinamento delle città dovuto agli escrementi umani e ani-mali. Sotto l’influenza di Carey e Liebig, Marx svilupperà una criticasistematica dello «sfruttamento» (nel senso di furto, cioè di incapacità dimantenere i mezzi di riproduzione) capitalistico del suolo. Da ciò sicapisce la ragione per la quale Marx conclude le sue due principalidiscussioni sull’agricoltura capitalistica spiegando come l’industria e l’a-gricoltura su larga scala si siano unite per impoverire il suolo e il lavo-ratore.

La nozione teorica principale che spiegava questo fenomeno era lanozione di «frattura» nell’interazione metabolica tra l’uomo e la natura,ossia «il metabolismo sociale prescritto dalle leggi naturali della vita»,mediante il «furto» degli elementi costitutivi del suolo esige la sua«restaurazione sistematica». Il problema dell’alienazione degli elementi

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costitutivi del suolo era solo una «irreparabile frattura», ma faceva partedel corso naturale dello sviluppo capitalistico (Foster, 2005).

Infatti, la crisi della fertilità del suolo denunciata da Marx era solo ilpreavviso della crisi ecologica a venire a cui assistiamo nel XXI secolo.Infine, il sistema del capitale come forma estraniata di controllo del me-tabolismo sociale è incompatibile con lo sviluppo umano-ecologicosostenibile.

La categoria concettuale principale dell’analisi teorica marxiana è lanozione di «metabolismo» ( Stoffwechsel ). Il termine tedesco Stoffwechsel implica direttamente, nei suoi elementi, una nozione di «ricambio mate-

riale», soggiacente alla nozione dei processi strutturati di crescita e deca-denza biologiche inglobati dal termine «metabolismo».Nella sua definizione di processo del lavoro in generale (contrapposta

alle sue manifestazioni storicamente specifiche), Marx ha utilizzato lanozione di «metabolismo» per descrivere la relazione dell’uomo con lanatura attraverso il lavoro. Anzi, nei Manoscritti economici del 1861-63,dice: «Il lavoro reale è l’appropriazione della natura per soddisfare ibisogni umani, attività attraverso cui il metabolismo tra uomo e natura èmediato». E nei Grundrisse Marx rinvia alla nozione di «metabolismo»in senso ampio, come «sistema di metabolismo sociale generale, di rap-porti universali, di bisogni globali e di capacità universali […] formato-si per la prima volta» sotto la produzione generalizzata di merci.

In questo modo, la nozione di «metabolismo» veniva usata da Marxnon solo per richiamarsi alla reale interazione metabolica tra la natura ela società attraverso il lavoro umano, ma anche nel senso più ampio perdescrivere l’insieme complesso, dinamico, interdipendente, dei bisognie dei rapporti generati e constantemente riprodotti della forma alienatanel capitalismo (Foster, 2005).

In questa maniera il degrado ambientale è collegato al modo in cui ilmetabolismo umano con la natura, scambio materiale e azione regolatri-ce, viene espresso attraverso l’organizzazione concreta del lavoro umano.

La crisi ecologica è, secondo la prospettiva della critica del metabo-lismo sociale del capitale, non solo la crisi della natura esterna e del suoecosistema, ma è anche la crisi del lavoro vivo e del suo degrado socialea causa dello sfruttamento e dello spogliamento della sua corporalitàviva mediante il capitale.

Marx, nei   Manoscritti economico-filosofici , afferma: «L’uomo vivedella natura: cioè la natura è il suo corpo, rispetto a cui egli deve rima-nere in continuo progresso, per non morire. Che la vita fisica e spiritua-le dell’uomo è congiunta con la natura, non ha altro significato se non

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che la natura si congiunge con se stessa, ché l’uomo è una parte dellanatura» (Marx, 2004).

Pertanto, la crisi ecologica è un elemento compositivo importantedella sindrome critica del capitale, cioè della crisi strutturale di una formadi controllo estraniato del metabolismo sociale – il capitale.

La positività della crisi ecologica è quella di riporre, con maggiorchiarezza, il significato della vera libertà, cioè il valore del socialismo, che«consiste solo in questo, ché l’uomo socializzato, i produttori associati,governino il metabolismo umano con la natura in modo razionale, sot-tomettendolo al suo proprio controllo colettivo anziché venir dominato

da esso come un potere cieco; realizzando ciò con un minimo di dispen-dio di energia e in condizioni più degne e adeguate alla sua naturaumana» (Marx, 1996).

4. La crisi strutturale del capitale

La crisi strutturale del capitale – crisi di una forma di controllo estra-niata del metabolismo sociale – si sviluppa attraverso la recessione mon-diale intorno alla metà degli anni ’70, causando un’inflessione significa-tiva nella dinamica dell’economia capitalistica mondiale. Man mano chela crisi ecologica si manifesta sotto il capitalismo globale come l’esplici-

tazione della secolare contraddizione di un modello di crescita perversoe alienato nella relazione tra l’uomo e la natura, essa appare come unulteriore elemento compositivo della crisi strutturale del capitale. È ilrisultato del processo civilizzatore del capitale e della sua «frattura meta-bolica».

Secondo Meszáros, l’associare il capitale (ovvero il capitalismo) allacrisi non è cosa del tutto inedita. Fin dalla metà dell’Ottocento, il siste-ma mondiale del capitale viene colpito da crisi di varia intensità e dura-ta. In realtà, le crisi, secondo l’autore, sono il «modo naturale dell’esi-stenza del capitale». Esse hanno una funzione organica: sono le moda-lità del progresso di questo modo di produzione sociale, modalità cosìda farlo sopravvivere oltre le sue barriere immediate e, in questo modo,come osserva il filosofo ungherese, fare «estendere con dinamismo cru-dele la sua sfera di operazione e dominio».

Tuttavia, la novità storica della crisi strutturale che si sviluppa da circatrent’anni nel sistema-mondo del capitale ha tre aspetti principali:

a) La crisi strutturale ha un carattere universale. Essa non si limita auna sfera specifica (ad esempio, alla sfera finanziaria o a quella com-

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merciale; essa non colpisce questo o quel settore specifico della produ-zione, non si applica a questo e non a quel tipo di lavoro con la suagamma specifica di abilità e di livelli di produttività, ecc.). La crisi strut-turale è la crisi di un sistema del metabolismo sociale, complesso e inter-dipendente (e quindi universale), che lega gli esseri umani alla naturaattraverso il lavoro.

b) La portata della crisi strutturale è veramente globale (nel senso piùletterale e minaccioso del termine). Essa non si limita a un insieme spe-cifico di paesi (come sono state tutte, per esempio, le principali crisi delpassato). Il carattere globale della crisi strutturale conferma il significa-

to pieno della categoria «capitalismo globale». Inoltre, la crisi ecologicaa cui assistiamo oggi è – per la prima volta nella storia umana – una crisiveramente globale, che non si limita a un certo ecosistema specifico.

c) La scala del tempo della crisi strutturale è estesa, continua e, se sivuole, permanente, anziché limitata e ciclica come sono state tutte leprecedenti crisi del capitale. In realtà, le precedenti crisi del capitale nonavevano come le altre il carattere di «crisi strutturale». Esse erano solodelle crisi ristrette a istanze specifiche del sistema, anche se hanno assun-to una dimensione mondiale (come ad esempio la sfera finanziaria) conla sua dinamica ciclica.

La crisi strutturale è sistemica e la sua temporalità è estesa e conti-nua, nella misura in cui esprime l’esaurimento di una forma estraniata di

scambio materiale e di azione regolatrice tra l’uomo e la natura (la crisiecologica e la crisi di socialità-socializzazione è la manifestazione crucia-le). Per questo, in contrapposizione alle esplosione e ai collassi più spet-tacolari e drammatici del passato, la forma di sviluppo della crisi struttu-rale può essere considerata strisciante, a patto che si aggiunga, comeosserva Meszáros, una riserva secondo la quale nemmeno le più vee-menti e violente convulsioni potrebbero essere escluse per quantoriguarda il futuro: ossia, quando il complesso meccanismo ora attiva-mente impegnato nell’«amministrazione della crisi», e nel «trasferimen-to» più o meno temporaneo delle crescenti contraddizioni, perderà lasua energia (dalla metà degli anni ’70 in poi, la via del capitalismo glo-bale è stata lastricata da una serie di piccole crisi globali amministratedalle Banche centrali dei paesi dell’OCSE, risultanti dallo scoppio di«bolle speculative»: 1987, 1994, 1997, 2000 e 2007).

Dice Meszáros: «Sarebbe estremamente sciocco negare che questomeccanismo esiste ed è potente, non si dovrebbe nemmeno escludere ominimizzare la capacità che il capitale ha di addizionare nuovi strumen-ti al suo ormai vasto arsernale di autodifesa continua. Nonostante il fatto

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che le strutturazioni esistenti vengano messe in discussione in modosempre più crescente e con efficacia decrescente, si tratta comunque diuna misura adeguata alla gravità della crisi strutturale che si approfon-disce» (Meszáros, 2002).

In realtà, la crisi strutturale del capitale ha le caratteristiche di una«sindrome» sociale, cioè di uno «stato morboso» contrassegnato da uninsieme di segnali e sintomi associati a una «condizione sociale critica»,suscettibile di destare reazioni di paura e di insicurezza globale.

La «condizione critica» della sindrome del capitale è la convergenzastorica di un insieme crescente di contraddizioni del metabolismo sociale

del sistema mondiale del capitale, soprattutto a partire dalla metà deglianni ’70. La principale di queste è la contraddizione tra capitale e lavo-ro, nella misura in cui è attraverso il lavoro che il metabolismo socialedel capitale vincola gli esseri umani alla natura: l’intenso aumento dellaproduttività del lavoro a causa del processo cumulativo del progressotecnico tende a fare esplodere la materialità del valore-lavoro – un’«im-plosione» continua e permanente nello spazio-tempo compresso delnuovo tempo storico del capitalismo globale.

È questa la ragione per cui il consumo di lavoro vivo di una partedella forza-lavoro diviene irrilevante per il sistema del capitale (JoséNun, uno dei teorici della CEPAL, le chiamerà «massa marginale» e Ro-bert Kurz «soggetti monetari senza denaro»). Infine, la crescente ridon-

danza di lavoro vivo e di forza-lavoro, che è l’espressione della crisi del-l’ecologia umana, è la «punta dell’iceberg» di un sistema di metabolismosociale che rivela i suoi limiti strutturali, mostrando di essere incapace dicontenere il processo di civilizzazione umano.

Nell’era della globalizzazione neoliberista, ciò che garantisce la ripro-duzione sociale del sistema del capitale è l’esaltazione dei  feticci sociali ,i quali hanno nel feticcio della merce la loro espressione primordiale. Altempo stesso in cui i feticci sociali contribuiscono alla riproduzionesociale della «produzione distruttiva» del capitale, nelle condizioni dellasua crisi strutturale, essi rivelano, in un senso radicale, le lacerazioniintrinseche alla  forma-merce, ossia l’acuta contraddizione tra valore discambio (valore economico) e valore d’uso (valore umano), un’altra con-traddizione lacerante della «sindrome del capitale». In realtà, l’intensifi-carsi (e la nuova ampiezza) della crisi della forma-merce, nelle condizio-ni storiche della crisi strutturale del capitale, deriva dalla crisi struttura-le del lavoro astratto, il lavoro che produce valore, fondamento del valo-re di scambio.

La crisi strutturale del capitale non significa, come potrebbero far

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supporre le analisi economicistiche e catastrofistiche, l’incapacità di cre-scita (ed espansione) dell’economica capitalistica. Al contrario, nono-stante la sua crisi strutturale, il capitale come sistema di accumulazionedi valore si è diffuso negli ultimi trenta anni, presentando, nel passaggioal XXI secolo, degli indici esuberanti di crescita del PIL (Prodotto InternoLordo) ai confini della modernizzazione del capitale (come l’India, laCina e il Sud-Est asiatico). Tuttavia, l’esuberante crescita in termini di PIL

non determina necessariamente un effettivo sviluppo umano. Tutt’altro.Sotto le «condizioni critiche» del capitale, la crescita economica non fache approfondire le contraddizioni del metabolismo sociale e la lacera-

zione dell’ecosistema naturale e umano-sociale.Pertanto, la «crisi strutturale del capitale», descritta da Meszáros,significa in sostanza l’incapacità della forma sociale del capitale di con-tenere (e realizzare) le possibilità di sviluppo dell’essere generico del-l’uomo presupposte da una nuova materialità socio-tecnica. La prospet-tiva di catastrofe ecologica dovuta al degrado delle condizioni materialidella riproduzione umana (il che significa, nel campo delle possibilitàconcrete, il sorgere di una nuova «umanità disumanizzata») è un altroelemento compositivo dell’esaurimento storico di una forma di control-lo del metabolismo sociale.

5. Il metabolismo sociale della barbarie

La prospettiva di catastrofe ecologica a causa del riscaldamento glo-bale è il punto cruciale della nostra epoca storica. La crisi ecologica èessenzialmente una crisi sociale, nel vero senso del termine, risultantedalla «frattura metabolica» che esplicita l’alienazione dell’uomo dallecondizioni oggettive e soggettive della produzione della sua vita. Nelle«condizioni critiche», la riproduzione sociale, anche nella sua base natu-rale, viene degradata nella misura in cui si degradano i nessi sociali del-l’uomo quale essere generico.

La forma dell’organizzazione capitalistica della produzione e dell’es-sere sociale, fondata sulla proprietà e sulla divisione gerarchica del lavo-ro, non solo intralcia lo sviluppo socio-umano, ma promuove anche laregressione dell’opera civilizzatrice, instaurando quel che possiamochiamare barbarie sociale ovvero metabolismo sociale della barbarie.

Il metabolismo sociale della barbarie viene caratterizzato dall’am- pliamento e dall’intensificazione del processo di desocializzazione attra-verso la disoccupazione di massa e l’«esclusione» sociale e dal processo

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di precarizzazione e istituzionalizzazione di una nuova precarietà del la-voro fondata sulla «cultura della paura» (Antunes, 2003; Vasapollo, 2005;Alves, 2007).

La barbarie sociale, ovvero il metabolismo sociale della barbarie, è laforma dell’essere dell’apparenza del sistema essenziale del capitale nellasua tappa di sviluppo ipertardivo, dove le contraddizioni strutturalinella relazione tra l’uomo e l’uomo e tra l’uomo e la natura si acutizza-no (infatti, l’intensa produttività del lavoro nasconde in sé la socializza-zione oggettiva della produzione, sotto le condizioni sociali dell’appro-priazione privata del prodotto del lavoro sociale).

Questi elementi contradditori finiscono per intralciare lo sviluppolocale nelle condizioni materiali (oggettive) degli individui storico-mon-diali, ponendo, più che mai, la necessità storica del socialismo qualesistema mondiale.

Ciò che chiamiamo barbarie sociale, e che si distingue dalle altreforme storiche di barbarie, emerge con la fine dello sviluppo storico delcapitale che ha cambiato radicalmente e irrimediabilmente le condizio-ni di riproduzione allargata del sistema mondiale del capitale, portandoin primo piano, come sottolinea Mészáros, «le sue tendenze distruttivee il suo compagno naturale, lo spreco catastrofico» (Mészáros, 2002).

Ne  Il Manifesto Comunista del 1848, Karl Marx e Friedrich Engelshanno evidenziato un concetto di «barbarie» posta come determinazio-

ne riflessa della civiltà del capitale, il che significava che lo svilupponaturale tendeva a essere interrotto da una epidemia della sovrapprodu-zione. Infatti affermano: «La società si trova all’improvviso ricacciata inuno stato di momentanea barbarie […] E tutto questo perché? Perchéla società ha troppa civiltà» (Marx e Engels, 1998).

La barbarie storica del capitalismo nella fase del suo sviluppo era unmomento necessario, «uno stato di momentanea barbarie», caratterizza-ta dalla distruzione di una parte delle forze produttive, un elementonecessario per la continuità dell’accumulazione stessa del capitale. Ora,con il modo capitalistico di produzione, per la prima volta nella storia,l’elemento della barbarie storica, cioè la distruzione delle «forze produt-tive», compresa la natura esterna, è parte integrante del suo modo diproduzione (il che non succedeva negli altri modi di produzione prece-denti).

Perciò Marx ha caratterizzato il capitale come la «contraddizioneviva», tenendo presente che, se da un lato la società borghese, comeosserva Lukács, è la società che diventa sempre più sociale (il che costi-tuisce un elemento del processo civilizzatore), dall’altro, a causa delle

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crisi sistemiche, essa tende a ostacolare, con intensità e ampiezza, lo svi-luppo dell’essere generico dell’uomo, desocializzandolo mediante il lavo-ro estraniato.

Lo stato di barbarie deriva dalla «troppa civiltà». Ecco qui la supre-ma «contraddizione viva» del capitale con gli impatti decisivi sul propriometabolismo sociale della modernità capitalistica (Lukács, 1978; Me-negat, 2003).

6. Brevi riflessioni conclusive:

socialismo versus barbarie sociale

Man mano che entriamo nella fase di declino storico del capitale qualeforma estraniata di controllo del metabolismo sociale, caratterizzata dal-la sua intensa espansione e incontrollabilità, si acutizzano le «contraddi-zioni vive» del capitale, poiché la mondializzazione del capitale contie-ne un elemento di «troppa civiltà», inducendo quindi a uno stato di bar-barie. Tuttavia, la natura della crisi capitalistica è cambiata. Essa assumeil carattere strutturale, che tende a intensificare le contraddizioni siste-miche del capitale.

La crisi strutturale del capitale cambia la temporalità della barbariestorica, che non si limita solo a un momentum di interruzione dell’accu-

mulazione del capitale, ma diventa la sua nuova temporalità metabolicasociale.

Pertanto, il capitalismo nella sua fase di crisi strutturale instaura ciòche possiamo chiamare stato di «barbarie sociale» che contiene gli ele-menti della negazione continua della propria civiltà (il sistema mondia-le del capitale è un sistema sociale «affetto da negazione»). In queste«condizioni critiche» si apre una nuova fase della lotta di classe sul pianostorico-mondiale.

La prospettiva della catastrofe ecologica quale elemento compositivodella barbarie sociale espone un’altra dimensione profonda della crisistrutturale del capitale: l’impedimento radicale della base naturale dellosviluppo dell’essere generico dell’uomo.

Perciò, sotto le «condizioni critiche» della «sindrome del capitale»,si colloca, più che mai, la necessità storica del socialismo quale nuovaforma di controllo sociale capace di consentire lo sviluppo locale comeeffettivo sviluppo umano generico.

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1. Messico, TLCAN e mais

Nel treno viaggiano attraverso il Messico emigranti non autorizzatidell’America centrale e Messico verso gli USA. Sono passeggeri non auto-rizzati, perché il treno trasporta solo merci. Molti sono derubati di tuttoquello che portano di valore, dalla polizia e da bande centroamericane emessicane. Le bande e i poliziotti li assaltano allo stesso modo, ma in piùi poliziotti li deportano. Alla crudeltà che fece loro abbandonare i loroposti natii si somma la brutalità di quanti li obbligano a rimanere in que-gli stessi posti senza l’opportunità di un lavoro dignitoso. In molte loca-lità del tragitto, quando il treno rallenta la sua marcia, gente povera siavvicina agli emigranti e regala loro acqua e alimenti. Quella generosasolidarietà dei poveri verso i poveri contrasta col disprezzo dei potentidei paesi d’origine e del paese di destinazione.

Gli USA costruiscono migliaia di chilometri di muri antintrusione aiquali si aggiungono anche sistemi di alta tecnologia per frenare l’immi-grazione «illegale», almeno così dicono. Gli USA obbligano gli emigran-ti ad attraversare il confine nei punti più inaccessibili, montagnosi o

desertici, dove molti muoiono. In più gli USA hanno promulgato leggilocali per negare scuola e assistenza medica agli «illegali».

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* A. Valle è professore a tempo pieno della facoltà di Economia dell’Università Na-zionale Autonoma del Messico; B.G. Martínez González è professoressa a tempo parzia-le della facoltà di Economia dell’Università Autonoma Metropolitana Iztapalapa.Traduzione di E.D.

IL TRATTATO DI LIBERO COMMERCIODELL’AMERICA DEL NORD

E I POPOLI DEL MAISdi

Alejandro Valle Baezae B. Gloria Martínez González*

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L’emigrazione è cresciuta in Messico con l’apertura al mercato verifi-catasi con il Trattato di Libero Commercio per l’America del NordTLCAN (NAFTA in inglese) firmato tra Messico, USA e Canada entrato invigore il 1° gennaio del 1994. Il primo gennaio 2008 sono stati elimina-ti i dazi degli ultimi prodotti protetti. Per il Messico questo significa cheil mais e i fagioli si importeranno liberamente senza dazio1. Significa chela produzione agricola soffre un nuovo colpo e che la milpa è in perico-lo di sparire. La milpa è una policoltura antichissima che protegge l’e-cosistema. Il mais si semina insieme al fagiolo o alla zucca. I batteri nitri-ficanti che vivono nella radice del fagiolo e della zucca conservano la

terra senza necessità di usare fertilizzante. L’enorme varietà di mais usatedai contadini poveri ha sviluppato resistenza alle malattie2.Ora la milpa sta sparendo e i contadini vedono l’apertura commer-

ciale totale per mais e fagiolo come un responso funebre a millenni diconvivenza con la natura. Per questo motivo i movimenti contadinihanno coniato uno slogan: «Senza mais non c’è paese; senza fagioloneanche».

Il mais nacque in America, in Messico; di più di 300 varietà di maisoggi se ne coltivano solo una trentina, principalmente il bianco per con-sumo alimentare e il giallo per uso foraggiero3. Il paese è autosufficien-te per quanto concerne il mais bianco ma importa il giallo, una partedella quale è transgenica. Il mais bianco si produce sempre più in manie-

ra industriale mentre la produzione tradizionale diminuisce. Il governosovvenziona gli industriali ricchi e ignora i contadini poveri. I risultatisono che, mentre il mais viene dagli USA, centinaia di migliaia di messi-cani emigranti viaggia in senso contrario al mais.

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1 «La maggioranza dei prodotti agroalimentari furono liberalizzati nell’anno 2003, mai prodotti ‘sensibili’ che nel caso del Messico sono il mais, i fagioli e il latte scremato inpolvere hanno mantenuto una protezione straordinaria fino a tutto il 2007. Senza dub-bio il governo messicano ha deciso di favorire gli importatori e per molti anni non ha uti-lizzato la protezione alla quale hanno diritto questi tre prodotti». Di Ana de Ita, Catorceaños de TLCAN   y la crisis de la tortilla (anotado), in http://ircamericas.org/esp/4721,dell’11 novembre 2007, consultato il 13 dicembre 2007.

2 Il Messico è uno dei centri d’origine e diversificazione delle risorse fitogenetiche vivepiù importanti del mondo. L’esempio più noto è quello dei mais nativi che si coltivanosu 2.863.500 ettari per la maggioranza in comunità indigene; di questi 2.500.000 sonotemporanei e per il 43% su pendii.3 Questo è quanto sostiene A. Barra su De milpas y otras quimeras , La Jornada, 17 feb-braio 2007. A. Nadal cita le migliaia di varietà di mais in Corn And Nafta: an Unhappy Alliance, giugno 2000, in http://www.grain.org/seedling/?id=14, consultato il 9 gennaio2008.

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Il TLCAN a pieno regime segnerà il destino finale dei contadini e dellamilpa che li ha nutriti per migliaia di anni? In realtà il TLCAN sembraessere solo una parte della logica capitalista che mercanteggia tutto quel-lo che tocca alla ricerca di profitti. Il TLCAN viaggia insieme a molti altrifenomeni capitalisti che si verificano in America Latina e nel mondo. Icontadini messicani si sono rifiutati di trasformarsi in salariati in un’e-poca in cui il capitalismo appare incapace di assorbire potenzialmentetutta la forza-lavoro sfruttabile, anzi, mentre espelle i contadini è inca-pace anche di trasformarli in salariati urbani sfruttati. Ciò che si verificain Messico e sicuramente si riproduce in altre parti, avviene per:

– sostituzione delle forme di produzione tradizionali, la milpa, conforme di produzione basate sui fertilizzanti, sui pesticidi ed erbicidi;– sostituzione della produzione sostenibile con l’agricoltura intensi-

va che si sta dimostrando assolutamente non sostenibile. Quest’ultimofenomeno viene comunemente definito «Rivoluzione verde».

L’apertura commerciale si impose come risposta alle crisi economi-che. I vari governi messicani succedutisi accettarono le esigenze degliorganismi internazionali e si trasformarono in sostenitori entusiasti ditutte le politiche neoliberiste che favoriscono l’accumulazione capitali-sta in molti modi, sintetizzabili nei due seguenti: protezione della pro-prietà e instaurazione di condizioni per favorire la libera mobilità delcapitale.

I trattati di libero commercio come il TLCAN sono una delle formelegali di tali politiche; altri sono orientati agli investimenti.

A che punto è il TLCAN dopo il 1° gennaio 2008? Gli organismi finan-ziari internazionali, i governanti e la borghesia messicani decisero diaprire l’economia alla concorrenza esterna. È stato un processo com-plesso, con avanzamenti e retrocessioni, che è andato avanti per qualchetempo. La legge per sviluppare l’industria meccanica messicana fu pro-mulgata nel 1965, ma fu solo agli inizi degli anni ’80 che questa industriasi espanse in maniera notevole. Le prime proposte per liberalizzare ilcommercio estero messicano furono fatte agli inizi degli anni settanta daBela Balassa, l’economista che più ha avuto influenza sulla rivoluzioneliberale nel Terzo Mondo.

Si tenga presente che la prima proposta per entrare nel GATT risale alperiodo di López Portillo, 1976-1982. L’impossibilità che il capitalismomessicano continuasse a espandersi e i fattori internazionali negli anni’80 si coniugarono per far avanzare le politiche neoliberiste.

Il governo del Messico inizia, a partire dal 1983, una nuova politicadi commercio estero. Si transita rapidamente da una politica protezioni-

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stica di importazioni, a una politica di liberalizzazione commerciale, chepersegue l’incremento e la diversificazione delle esportazioni e una mag-giore competitività degli impianti produttivi. Il Messico versò al GATT,nel 1986, i risparmi derivanti dalle pratiche protezionistiche del passatoe li sostituì con i soli dazi.

«Il Messico andò oltre quanto stipulato con il GATT per la sua aper-tura commerciale; il GATT infatti esige che le imposte sulle importazioninon superino il 50% del valore del prodotto, invece in Messico nessunprodotto ha attualmente un dazio maggiore al 20%; il GATT esige che iltasso medio di imposte sulle importazioni non superi il 30%, in Messico

tale tasso è attualmente solo al 9,78%»4

.Gli ultimi due governi messicani hanno favorito entusiasticamenteuna politica di apertura commerciale e si sono scontrati, nonostante ladocile sottomissione alle politiche USA, con il protezionismo statuniten-se. Gli USA hanno ridotto il commercio messicano di cemento, di acciaioe di altri prodotti. Il GATT ha ristretto i sussidi alle esportazioni e il dum-ping, la vendita di prodotti in un mercato estero al di sotto del «valoregiusto».

Gli USA sono stati il paese più attivo del mondo negli ultimi anni nel-l’applicare imposte compensatorie in tali casi. Tra gennaio ’87 e giugno’90 gli USA si imbatterono in 48 casi di sussidi e 137 casi di dumping. Levittime delle accuse statunitensi furono principalmente i paesi latino-

americani e della Conca del Pacifico. Nel caso di dumping la legislazio-ne statunitense esige «la prova del danno» e, trattandosi di sussidi, sirichiede la prova solo quando il paese coinvolto abbia firmato il Codicedei Sussidi del GATT o un altro accordo equivalente. Gli Stati Uniti han-no il potere di obbligare i soci commerciali ad accondiscendere alle lororichieste.

2. TLCAN , cioè come imporre il capitalismoselvaggio USA

Il TLCAN è più che la semplice liberalizzazione del commercio nord-americano; è una cornice che contempla le necessità del capitalismo svi-luppato rappresentato dagli USA. Vediamo più dettagliatamente alcuniaspetti del TLCAN che dimostrano quanto detto sopra.

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4 E. Caballero Urdiales (a cura di), El Tratado de Libre Comercio: Informe para laComisión de Comercio de la Cámara de Diputados , Facoltà di Economia, UNAM, 1991, p.19.

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a) Diritti di proprietà intellettualeA maggio del 1989 gli USA misero il Messico insieme ad altri sette

paesi in una lista di osservazione che lo facevano oggetto di sanzionicommerciali per non proteggere adeguatamente i diritti di proprietàintellettuale. Il Messico si guadagnò il diritto a uscire da quella «listanera» perché nel 1990 promulgò la Legge sull’uso e sfruttamento di bre-vetti e marche che soddisfò gli statunitensi. Nel 1991 si promulgò unanuova legge di promozione e protezione industriale che, tra le altre cose,allungò il periodo di vita dei brevetti da 14 a 20 anni; rese brevettabili iprodotti chimici, farmaceutici, alcuni prodotti biotecnologici e molti

altri prodotti sprotetti dalla legge in questione. La legge sui diritti d’au-tore del 1963 fu modificata e ora protegge il copyright dei programmi dicalcolo e le registrazioni sonore.

Con il TLCAN i diritti di proprietà intellettuale rimangono oltre qua-lunque altro accordo commerciale. Il TLCAN stabilisce infatti una normainternazionale circa il registro di marche e dei diritti d’autore. Si metto-no limiti molto stretti al conferimento obbligatorio di licenze per sfrut-tare brevetti. In generale il TLCAN include e accentua i cambiamenti giàintrodotti in Canada e Messico con le rispettive legislazioni; gli USA,invece, sono esentati dall’introdurre cambiamenti nelle proprie leggisulla proprietà intellettuale. Passiamo a vedere un altro aspetto impor-tante del TLCAN.

b) Investimenti La mobilità del capitale produttivo è una delle esigenze degli USA nel

processo di integrazione verso il TLCAN. Il Messico modificò la sua posi-zione di fronte agli investimenti stranieri (la legge vigente fino al 1993risaliva al 1973) per equiparare la sua legislazione con quelle dei suoidue vicini molto più liberisti in materia. Si apportarono cambiamenti alivello dei regolamenti nel mese di maggio del 1989 e si ampliò conside-revolmente la possibilità di investimenti esteri. Prima del cambio dellalegge un’interpretazione più allentata dei regolamenti vigenti propiziòl’entrata di investimenti stranieri, principalmente statunitensi, senza pre-cedenti. Nonostante l’introduzione di cambiamenti regolamentari sicontinuò a favorire l’ingresso di investimenti esteri; gli USA considerava-no insufficienti i cambiamenti perché un regolamento è più facilmentemodificabile di una legge. La negoziatrice statunitense Carla Hills dissesenza mezzi termini che il Messico doveva modificare la sua legge sugliinvestimenti esteri. Nel TLCAN il Messico convenne quindi di dare untrattamento nazionale agli investimenti di Canada e USA, eliminando i

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requisiti di adempimento, come le esigenze di esportazione o di creazio-ne di posti di lavoro, permettendo la remissione di utili in valute senzarestrizioni. Le maggiori agevolazioni all’investimento estero obbligaronoa modifiche della legge sugli investimenti esteri, che furono messi apunto a dicembre del ’93.

Il TLCAN sembra essere un buon mezzo affinché gli investimenti sta-tunitensi siano protetti in Messico. Come in altri casi il TLCAN è il cul-mine di un processo già consolidato nel tempo. L’entrata di investimen-ti esteri in Messico si realizzò concedendo agli statunitensi ciò che chie-devano e costituiscono un punto fermo dell’integrazione del Messico

all’economia statunitense. Vediamo un ultimo esempio di come sonoassecondate le esigenze statunitensi nel trattato commerciale.

c) Commercio agricoloTra le priorità statunitensi per l’Uruguay Round c’era la necessità di

estendere il GATT ai prodotti agricoli. Questo fu uno dei punti che allun-garono i tempi di tali accordi. La ragione del ritardo è semplice: gli USA

avevano enormi vantaggi nella produzione agricola e desideravano pene-trare il mercato europeo e richiedevano che l’allora Comunità Econo-mica Europea modificasse la sua politica dei sussidi. Per molti anni gliUSA hanno seguito una politica dei prezzi e dei sussidi per restringerel’offerta, poiché non desideravano che la produzione eccessiva depri-

messe i prezzi dei propri prodotti di esportazione. Gli europei hannoavuto una politica di stimolo all’offerta. Con il tempo la CEE ebbe ecce-denze di prodotti agroalimentari e si creò la possibilità di modificare leproprie politiche. Nell’Uruguay Round venne a dirimersi la modifica-zione della politica di prezzi e sussidi e sia gli USA sia la CEE tentarono ditrarne i maggiori vantaggi.

Invece un’agricoltura molto più arretrata come quella messicanadovette sottostare alla concorrenza con l’agricoltura più potente dellaTerra. Nel 1992 si modificò l’articolo 27 della Costituzione per permet-tere la compravendita di terreni agricoli, la formazione di società perpossederli e sfruttarli e tutta una serie di misure con l’intenzione di spin-gere un accelerato sviluppo capitalista. Si auspicava perfino una nuovamodifica dell’articolo 27 per permettere agli stranieri la proprietà agri-cola.

I risultati evidenziano chiaramente che, eccetto l’anno 1995, quandol’enorme svalutazione del peso messicano risultante della crisi del 1994-95 ridusse le importazioni ai minimi livelli, il settore agroalimentare èstato deficitario. La dipendenza alimentare è molto grande. Buona parte

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delle esportazioni agroalimentari messicane sono di ortaggi verso gliStati Uniti e una parte importante delle importazioni sono di mais.

Tuttavia, la maggior parte delle importazioni di mais è quello di usoforaggiero o giallo mentre quello di uso alimentare, il bianco, si eraimportato poco. Nonostante l’apertura commerciale sono state la «rivo-luzione verde» e i sussidi alla produzione intensiva di mais, insieme allepolitiche di stimolo alla produzione capitalista, a causare la distruzionedella produzione agricola e l’esodo massiccio di contadini.

 3. Brevi considerazioni finali 

Dal 1989, il Messico aveva iniziato un processo di modernizzazionedell’agricoltura «a colpi di mercato». L’apertura commerciale, il ritirodello Stato dalla maggioranza delle attività economiche, la riduzione deisussidi, la privatizzazione o eliminazione della maggioranza delle impre-se statali, furono gli obiettivi che orientarono la politica agricola. Tuttele riforme neoliberiste spinte sfociarono nel TLCAN, operativo a partiredal 1994. Il Trattato si trasformò «nel lucchetto che chiude la porta eimpedisce di far fare retromarcia alle riforme». Separare gli effetti delleriforme dagli effetti del Trattato è praticamente impossibile 5.

Durante tutto il periodo di applicazione delle politiche neoliberiste,

dal 1976 ad oggi, l’economia messicana o si è arenata o ha avuto un risul-tato mediocre. Nonostante tutto organismi come la Banca Mondiale elo-giano il TLCAN, sostenendo che in sua assenza poteva andare peggio6.

La scarsa performance dell’economia messicana è stata particolar-mente acuta nel settore agroalimentare, specialmente nella produzionedi mais, tanto è vero che oggi se ne importa una parte considerevole.Questo ha avuto un effetto dannoso per l’ecosistema. Il Messico espor-ta ortaggi negli USA e importa altri prodotti agroalimentari, specialmen-te mais. Esportare ortaggi, molto bisognosi di acqua, da un paese conmaggiore scarsità di acqua a un altro con abbondanza è un assurdo cheil mercato impone come razionale. E contribuisce alla desertificazione.

In generale l’intensificazione capitalista della produzione agroali-

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 5 A. de Ita, op. cit.6 Per una descrizione e una critica della versione della Banca Mondiale sull’esito delTLCAN si veda M. Weisbrot, D. Rosnick, e D. Baker, Getting Mexico to Grow With NAFTA:The World Bank’s Analysis, 13 ottobre 2004, Center for Economic and Policy Research,http:// www.cepr.net.

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mentare contribuisce al deterioramento ecologico. Il TLCAN non ha maicercato di combattere i problemi ambientali o almeno di diminuire idanni che la sua applicazione intensifica. La questione ambientale appa-re molto chiaramente subordinata alla logica dell’accumulazione capita-lista.

Nel caso del mais, oltre all’impulso alla monocoltura bisognosa dipesticidi, erbicidi e interventi industriali, bisogna aggiungere ai danni ladistruzione della varietà genetica.

Il Messico è la casa di migliaia di varietà di mais. La banca del semedel CIMMYT (Centro Internazionale sul Granturco e Grano) in Messico

ne possiede 10.965, un terzo delle quali è rappresentato da varietà mes-sicane. Nella banca genetica di proprietà del governo messicano pressol’INIFAP (Istituto Nazionale per la Ricerca Agricola e Forestale), ve nesono altre 570 varietà supplementari. Le sementi messicane ebbero unruolo fondamentale nel migliorare il mais coltivato nelle regioni tropica-li per la loro resistenza alle malattie, per il ciclo di crescita, per la resi-stenza alla siccità e per l’alto contenuto di proteine. Varietà messicane eloro derivate sono usate in 43 paesi latinamericani, africani e dell’Asia7.

Buona parte delle conclusioni dei lavori che, come questo saggio, cri-ticano la soluzione capitalista per sviluppare l’agricoltura messicana sipuò riassumere con una frase del guatemalteco Miguel Asturias: « Semi-nato per mangiare è sacro sostentamento dell’uomo che fu fatto di mais.

 Seminato per commercio è fame dell’uomo che fu fatto di mais»8.Presto dovremo cercare soluzioni ai problemi dell’agricoltura nel

mondo alternativi alla barbarie capitalista e che conservino l’ecosistemae le persone.

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7 A. Nadal, op. cit.8 M.Á. Asturias, Hombres de maíz, sesta edizione, Ediciónes Losada, Buenos Aires1968, p. 12.

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Premessa

Negli ultimi decenni, il concetto di sviluppo si è arricchito di unanuova connotazione. Si ritiene infatti che lo sviluppo non possa esseredeterminato solo dal comportamento degli indicatori della crescita eco-nomica, ma deve anche essere presa in considerazione l’importanza delcontesto sociale dello sviluppo stesso. Procedendo in questo modo si

assegna allo sviluppo, come fine ultimo, la crescita delle qualità della vita,soprattutto per quei gruppi di individui maggiormente vulnerabili, facen-do sì che si potenzi l’autonomia della persona e che soprattutto si stabi-lisca una distribuzione equa dei benefici, avendo cura di preservare lerisorse naturali. Attualmente questi aspetti sono ritenuti conditio sine quanon quando si parla di sviluppo, o per dirla in altri termini, di svilupposostenibile e più specificatamente di sviluppo umano sostenibile.

Allo stesso modo si può dire, dopo questa premessa assunta dalleNazioni Unite nel 1990 – e al margine del dibattito che questa stessa pre-messa suscita –, che l’indicatore del successo non è costituito dalla cre-scita del tasso del prodotto nazionale lordo (PNB), ma dal miglioramen-to dei livelli sociali e di vita della popolazione e dallo sfruttamento delle

risorse naturali destinate alle generazioni future. Elementi di equità nelpoter scegliere, nella salute, nell’educazione, nella partecipazione e nellalibertà, sono presenti in forma unitaria all’interno di questo studio.

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* Professoressa cattedratica, Centro di Studi Demografici dell’Università dell’Avana,Presidentessa della Società Cubana di Studi della Popolazione, Accademica Titolaredella Accademia di Scienze di Cuba. [email protected]. Traduzione di V.N.

GENERE E SVILUPPO SOSTENIBILELOCALE NEL CONTESTO

DELLA GLOBALIZZAZIONEdi

Sonia Isabel Catasús Cervera*

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1. Per uno sviluppo eco-socio sostenibile

La relazione tra la popolazione e lo sviluppo socio-economico costi-tuisce un’ampia e complessa matassa, la cui manifestazione si stabiliscein maniera indiretta attraverso quelle che potrebbero essere definitevariabili funzionali e intermedie. Questo punto di vista, che è statoanche al centro del dibattito internazionale sulle popolazioni negli ulti-mi 30 anni, è stato dimostrato in modo chiaro dai teorici e dagli specia-listi negli studi popolari di fama internazionale, durante l’ultima Confe-renza Mondiale sulla Popolazione e lo Sviluppo, svoltasi al Cairo nel

1994. In questa conferenza venne sottolineato che:– Lo sviluppo sostenibile come mezzo per garantire il benessere del-l’uomo, distribuito in modo equo per tutti, oggi e nel futuro, richiedeche le relazioni tra popolazioni, risorse, natura e sviluppo possano esse-re riconosciute alla perfezione. Per ottenere uno sviluppo sostenibile euna migliore qualità della vita per tutti, gli Stati dovrebbero ridurre, perpoi eliminare, le modalità insostenibili di produzione e consumo e inol-tre promuovere politiche appropriate, tra le quali politiche della popo-lazione, con il fine di soddisfare i bisogni delle generazioni contempora-nee, senza mai mettere in pericolo le capacità delle generazioni future,riuscendo così a soddisfare anche le loro necessità.

– Soddisfare le necessità proprie della popolazione ha un impatto

anche per quanto riguarda il comportamento demografico, come mani-festazione alla suddetta relazione popolazione/sviluppo. La risoluzionedelle necessità basilari come l’alimentazione, il cibo, i servizi sanitari,educativi, l’accesso al mondo del lavoro, all’informazione e alla comuni-cazione diventano impegni sociali ineludibili oltre che un diritto umano.

A tutt’oggi le questioni che ruotano intorno allo sviluppo socio-eco-nomico, come la crisi, la situazione demografica mondiale, la povertà,l’esclusione sociale, le ondate migratorie e le disuguaglianze di genereemergono con molto vigore tra i temi di interesse nei dibattiti interna-zionali, che partono però da punti di vista differenti che si ripercuotonoanche in termini politici.

In questo senso, è importante prendere in considerazione che la solu-zione effettiva dei problemi delle popolazioni passa necessariamente perla trasformazione socio-economica e pertanto le politiche sociali devonoessere considerate come elementi integrati alle politiche di sviluppo eco-nomico e sociale. Quindi, le politiche della popolazione devono punta-re a ottenere un insieme condiviso di obiettivi, diretti a consolidare ildiritto delle persone al lavoro, all’educazione, alla salute, alla partecipa-

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zione delle donne nelle attività economiche, senza stabilire limiti di con-trollo demografico.

Si può quindi dire che le politiche della popolazione, come partedella strategia generale dello sviluppo, devono includere misure che per-mettano:

a. di garantire l’impiego a tutte le persone idonee al lavoro;b. di far partecipare le donne alla produzione economica;c. di assicurare l’uguaglianza dei diritti per entrambi i sessi;d. di ottenere un’urbanizzazione razionale e pianificata;e. di assicurare uno sviluppo regionale adeguato che impedisca le

ondate migratorie verso i grandi centri urbani;f. di garantire il miglioramento educazionale e culturale degli indivi-

dui, cosicché possano far fronte allo sviluppo tecnologico;g. di sviluppare un’ampia politica sanitaria che comprenda tutta la

popolazione e che garantisca alle coppie la libera e responsabile deter-minazione del numero di figli che desidera avere;

h. e infine, di eliminare la denutrizione come causa di morte.

Queste considerazioni avvallano, una volta di più, il punto indiscuti-bile per cui la popolazione è l’oggetto e il soggetto dello sviluppo e per-tanto, nel suo ruolo di produttore e consumatore di beni e servizi, sicostituisce come base fondamentale dell’attività economica.

Le nuove considerazioni sullo sviluppo economico e sociale si inseri-scono in una tappa particolare del lavoro socio-economico mondiale,segnato dalla globalizzazione. Non pretendiamo, in queste righe, diapprofondire questo processo che ingloba tutte le attività economiche,né intendiamo dilungarci sulle sue perverse ed estese conseguenze del-l’impatto, macro- e microstrutturale, che avviene principalmente neipaesi in via sviluppo.

Basti ricordare il processo sempre più forte delle disuguaglianze eco-nomiche, delle disuguaglianze nell’accesso alle risorse culturali e socialitra i diversi gruppi di una popolazione, che accompagna la globalizza-zione neoliberista nei settori più vulnerabili e poveri di qualsiasi partedel globo terrestre.

Oggi la percentuale di ricchi sulla terra è la più alta mai registrata.Controllano circa un terzo della ricchezza dell’intero pianeta. Questosignifica che meno dell’1% della popolazione mondiale controlla unterzo della ricchezza. Le disuguaglianze, quindi, diventano sempre piùprofonde sia nei paesi sviluppati sia in quelli sottosviluppati, poiché laglobalizzazione economica e la sua politica neoliberista si manifestano

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fortemente nel mercato del lavoro, con il conseguente innalzamento deltasso di disoccupazione, di sottocupazione, di riduzione ed eliminazio-ne dei diritti del lavoratori, per non parlare dell’emarginazione dellegrandi masse lavoratrici.

Le altre differenze che devono essere citate, e che nel contesto glo-bale acquistano particolare rilevanza, sono quelle che si stabiliscono infunzione del genere; si esprimono in modo totalizzante in tutte le sferedella vita e in maniera acuta nell’impossibilità di accesso al mondo dellavoro.

Prendendo in considerazione il genere all’interno degli studi sulla

popolazione, è necessario partire dalla premessa per cui il genere simanifesta, in modo trasversale, in tutti gli aspetti sociali e in manieraparticolare in quelli che concernono le relazioni tra la popolazione e losviluppo.

Questo vuol dire che «l’asse che articola le relazioni tra popolazionee sviluppo, come il lavoro, la povertà, l’uguaglianza, l’accesso ai beni ealle ricchezze, così come la diversità degli aspetti della riproduzionedella popolazione1, dovranno essere esaminate prendendo in considera-zione le caratteristiche che assumono quando le si analizza dal punto divista del genere» (Bueno e Valle, 2005).

Altri studiosi portano il dibattito attuale verso la popolazione e lo svi-luppo, sostanzialmente in America Latina, partendo dalla considerazio-

ne di quattro importanti caratteristiche:– l’inclusione di altri elementi fondamentali dello sviluppo economi-

co e sociale, relazionato alle tendenze demografiche, come le risorseumane, l’equità sociale, la sostenibilità ambientale e la governabilità (ele-menti che vengono catalogati come i «nodi che articolano» questa rela-zione);

– l’aggiunta transversale dei vincoli della popolazione con assunticruciali dell’agenda sociale, come il lavoro produttivo, la povertà, ilgenere e il decentramento;

– la definizione di uno spettro più ampio di analisi che consideri sial’insieme delle variabili demografiche, sia le realtà macrosociali e le dina-

miche delle comunità, le case e anche i percorsi di vita dei singoli indi-vidui;

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1 Per riproduzione della popolazione dobbiamo intendere: a) la produzione e la ripro-duzione di tutti gli elementi essenziali per la vita materiale e spirituale e b) la produzio-ne e riproduzione della vita stessa attraverso la procreazione, nella sua accezione quanti-tativa e qualitativa.

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– la ricerca di nuovi modi di includere le variabili della popolazionenella gestione pubblica (Bajraj, Villa e Rodríguez, 2000, p. 9).

In entrambe le proposte, si può ben capire la complessità della rela-zione e gli aspetti minimi che non possiamo non prendere in considera-zione se parliamo della relazione popolazione/sviluppo; il secondopunto si distingue, in modo significativo, a livello micro (come la fami-glia, la comunità e la persona), per una dimensione trascendente, per ilsuo impatto nella presa di decisione sia nell’ambito pubblico sia in quel-lo privato, poiché può nuovamente generare disuguaglianze sociali.

È quindi impossibile abbracciare un tema di carattere socio-econo-

mico o affine, nel contesto del mondo globalizzato attuale, senza inclu-dere nell’analisi anche la prospettiva di genere; solo così si potrà ottene-re una visione più ampia e integrale delle problematiche in questione.Questo si spiega, da una parte, per il fatto che esistono differenze di con-siderazione e, in alcuni casi, per la partecipazione nei diversi temi dicarattere sociale secondo il genere.

D’altro canto, basta ricordare che la popolazione mondiale è forma-ta per un 50% da donne e che l’81,3% degli esseri umani si trova inregioni considerate meno sviluppate o addirittura sottosviluppate. Latabella seguente ci dà un esempio per quanto riguarda le zone e regioniselezionate nel 2005.

Tab. 1. Popolazione totale e femminile, nel mondo e nelle regioni selezionate nell’anno 2005 (in milioni)

AREA SELEZIONATA POPOLAZIONE POPOLAZIONE %TOTALE FEMMINILE

Mondo 6.464,7 3.209,0 49,6Regioni più sviluppate 1.211,3 622,0 51,3Regioni meno sviluppate 5.253,5 2.587,0 49,2Africa 905,9 444,0 49,0America Latina

e Caraibi 561,3 282,0 50,2Asia 3.905,4 1.920,0 49,2

Fonti: UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), Stato della Popo-lazione Mondiale 2005; PRB (Population Reference Bureau), La Mujer de Nuestro Mundo 2005. E.U .

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Nei vari convegni internazionali in cui si è disusso di problemi socia-li e di quelli femminili, o negli altri – celebrati negli ultimi 10/15 anni –,la cui piattaforma di discussione è relazionata alla popolazione e allo svi-luppo, la problematica della disuguaglianza di genere e l’urgenza diprendere in considerazione questa incongruenza nel processo di formu-lazione dei piani di sviluppo e fondamentalmente nel momento stessodel disegno e dell’implementazione della politica sono state sempre alcentro del dibattito.

Allo stesso modo, istituzioni internazionali come il Fondo delle Na-zioni Unite per la Popolazione, ha dedicato praticamente tutti rapporti

sullo stato delle popolazioni mondiali, elaborati a partire dall’anno 2000,analizzando il problema della disuguaglianza di genere da diverse ango-lazioni. Un esempio può essere quello dell’anno 2002, dedicato allapopolazione, alla povertà e alle oppurtunità; il 2003 è stato dedicato agliadolescenti, alla loro salute e ai loro diritti; il 2004 ha incluso il proble-ma della salute riproduttiva e le azioni a livello mondiale per riuscire aeliminare la povertà, dieci anni dopo il «Consenso» ottenuto in occasio-ne della Conferenza Mondiale sulla Popolazione e lo Sviluppo del Cairo;nel 2005 invece sono stati analizzati concretamente gli aspetti in relazio-ne all’equità di genere, alla salute riproduttiva e agli Obiettivi di Svi-luppo del Millennio; l’anno seguente, il 2006, è stato l’anno delle donnee delle emigrazioni internazionali, per citare solo alcuni esempi.

Tra i diversi temi precedentemente riportati, alcuni sono considerati,dall’UNFPA e da altri organismi internazionali, come prioritari; uno adesempio risulta essere il riflesso che racchiude le diverse manifestazionedi disuguaglianza di genere: la povertà.

Non pretendiamo di discutere approfonditamente della povertà. Ri-teniamo che essa si esprima non solo in fattori prettamente economiciche presuppongono l’impossibilità di arrivare a un livello di vita mini-mo, ma che è di fatto il riflesso di un insieme di esclusioni, ad esempiodal mondo del lavoro, dai beni e dai servizi, dai processi sociali e da ognipossibile potere decisionale.

Attualmente, basando la nostra ricerca sui parametri economici fis-sati dagli organismi internazionali, si ritiene che più di 1.300 milioni dipersone sono considerate povere, poiché vivono con meno di 1 dollaroal giorno; 800 milioni invece vanno a dormire affamati. In questo conte-sto, le donne sono la parte della popolazione sicuramente più vulnera-bile, e costituiscono oltretutto la maggiore percentuale di poveri; questoha indotto gli studiosi del tema a parlare di un processo di femminizza-zione della povertà.

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È evidente che la povertà per le donne, vista come un processo e noncome una circostanza statica o circostanziale, ha cause differenti daquelle degli uomini. Molti ricercatori hanno iniziato a riflettere al riguar-do. Crediamo che la divisione del lavoro per sessi (per cui alla donnaviene sempre assegnato il compito della gestione dello spazio domesti-co), inserisca la donna in un panorama che limita fortemente le sue pos-sibilità e oppurtunità sul piano dell’uguaglianza, delle risorse materiali esociali (l’educazione, la cultura, la salute, l’informazione, il lavoro equa-mente remunerato), così come alla donna è preclusa la partecipazionealle decisioni sociali, economiche e politiche (CEPAL-UNIFEM, 2004, p.

13).La povertà provoca, oltre alle disuguaglianze di genere, anche catti-ve condizioni di salute e rapida crescita demografica. Realizzare azioniconcrete ed effettive atte a sconfiggere la povertà è una condizione fon-damentale per riuscire a ottenere uno sviluppo sostenibile così da ridur-re le disuguaglianze nei paesi e tra i paesi.

La valutazione sulla vulnerabilità delle donne in relazione allapovertà è stata espressa in modo molto chiaro nel Piano di Azione dellaConferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo del 1994, incui fu stabilito:

… che bisogna prestare maggiore attenzione alle condizioni socio-economi-

che delle donne povere che vivono in paesi sviluppati e in via di sviluppo.Infatti come abbiamo visto le donne generalemente rientrano nel settore piùpovero fra gli indigenti e quindi, l’unica azione possibile per eliminare lediscriminazioni culturali, politiche ed economiche ai danni delle donne èriuscire a eliminare la povertà, promuovere una vera crescita economica,garantire i servizi di pianificazione familiare e della salute riproduttiva, otte-nere un equilibrio tra la popolazione e di conseguenza mantenere sempredisponibili le risorse e le modalità di consumo e produzione sostenibili(UNFPA s/f, p. 11).

In seguito a queste riflessioni, nel 2000 durante la fine del millennio,i 189 Stati membri delle Nazioni Unite definirono e approvarono 8obiettivi e 18 traguardi, assumendosi il compito di lavorare in modo uni-tario con l’intenzione di diminuire, prima del 2015 e per lo meno del

 50%, gli indici mondiali di povertà; questa è la premessa fondamentaleaffinché i paesi possano intraprendere il cammino verso uno svilupposostenibile.

Prendendo in considerazione i problemi sociali riassunti negliObiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM), si nota come questi colpisca-

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no tutti gli abitanti delle regioni sottosviluppate ma molto più grave-mente le donne.

Analizziamo i punti dell’OSM. 1) sdradicare la povertà estrema e la fame; abbiamo già constatato che le donne sono vittime di queste graviindigenze; 2) riuscire a ottenere l’educazione primaria per tutti ; in moltipaesi, principalmente sottosviluppati, le donne sono maggiormente sfa-vorite per l’accesso e la permanenza nelle scuole; 3) promuovere l’ugua-

 glianza tra i generi e l’autonomia delle donne, per eliminare le disparitàtra uomini e donne a tutti i livelli di insegnamento; 4) ridurre la morta-lità infantile; questo è un importante indicatore sociale e la salute nella

riproduzione è fortemente relazionata alle informazioni che la madrepossiede in gravidanza; 5) migliorare la salute materna, un’ovvia e logicaassociazione; 6) combattere l’HIV /  AIDS  , la malaria e le altre malattie, inconsiderevole aumento nelle donne; diventa sempre più necessario edu-care i ragazzi tra i 15 e i 24 anni all’uso di metodi di prevenzione del-l’HIV/AIDS; 7)   garantire la sostenibilità dell’ambiente; questo è un pro-cesso in cui le donne sono chiamate a giocare un ruolo importante, so-prattutto nei paesi sottosviluppati in cui l’accesso all’acqua potabile e alcombustibile risulta ancora molto difficile; 8)  favorire un’alleanza mon-diale per lo sviluppo; una misura per raggiungere questo obiettivo è quel-la di elaborare e applicare strategie che diano ai giovani un lavoro degnoe produttivo, oltre che agevolare le donne in posizioni svantaggiate

(UNFPA, 2005, pp. 7 e 8).

2. Una globalizzazione solidale per lo sviluppoautodeterminato dai popoli 

È un ottimo risultato che all’interno delle considerazioni dell’OSM cisia spazio per l’ambiente. Infatti riconoscere la relazione tra gli individuie la natura significa cercare di migliorare la qualità della vita e ottenereuno sviluppo sostenibile. Alcuni studi sul tema sostengono che il degra-do ambientale attuale è da attribuire alla responsabilità di due gruppifortemente differenziati: i 1.000 milioni di ricchi e i 1.000 milioni di po-veri.

Il primo gruppo è costituito in maggioranza da consumatori; vivonoin America del Nord, Europa e Asia; distruggono l’ambiente indiretta-mente, attraverso la capacità di consumare risorse e generare vaste quan-tità di rifiuti. I 1.000 milioni di poveri, invece, si ritrovano in molti casicostretti a distruggere le prorpie risorse basilari per necessità o per man-

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canza di scelta. In alcuni regioni ecologicamente vulnerabili dei paesi invia di sviluppo, zone aride o semiaride, regioni di montagna, la povertàobbliga a coltivare terreni marginali, a sfruttare, a volte eccessivamente,le praterie, a mettere a rischio le biodiversità, a esaurire le risorse fore-stali e idriche causando degradi del suolo che comportano una forte ri-duzione della produzione agraria, aumentando di conseguenza la pover-tà (Rodríguez, p. 4).

Nel caso dei poveri, va tenuto conto dei diversi ruoli che ricopronogli uomini e le donne nella società e nelle attività di produzione sociale;per quanto riguarda le donne che vivono nelle zone rurali, l’assenza di

risorse e tecnologie che possano facilitare il lavoro domestico (acqua,legna, terra) si ripercuote sul sovraccarico di mansioni ed energie da de-dicarvi. In queste condizioni la sua funzione è giudicata criticamente percome viene gestito e controllato l’ambiente; infatti è a lei che è assegna-to il compito di garantire lo svolgimento della vita quotidiana all’internodella casa, funzione che dovrebbe essere responsabilità di ambo i sessi.

In questo XXI secolo metà del tempo è trascorso nel tentativo di farfronte a questi grandi impegni che formano gli Obiettivi di Sviluppo delMillennio, cercando di ridurre la povertà e di intraprendere la via dellosviluppo sostenibile. Senza dubbio, le circostanze avverse continuano aincidere sulle popolazioni più vulnerabili socialmente ed economica-mente; queste persone richiedono con voce sempre più alta un’azione

concreta e urgente di implementazione della politica pubblica per unsuccesso locale e nazionale.

Pertanto, è necessario affrontare le conseguenze che queste stesseiniquità generano nel comportamento produttivo di queste popolazioni,se si desidera veramente che nel 2015 diminuisca la povertà offrendocosì «Un mondo migliore per Joana», un’iniziativa ideata per far capirealla società mondiale la necessità di cooperare su quegli 8 punti fonda-mentali. Joana è un simbolo. È una bambina di 9 anni che nel 2000 rap-presenta milioni di bambini nel mondo che nel 2015 diventeranno mag-giorenni, nello stesso anno previsto per realizzare il bilancio mondialedegli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

Che bilancio potrà ottenere il mondo in 7 anni in relazione al rag-giungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, quando ancoraoggi la povertà continua a impressionare l’umanità sensibile e quandoancora esiste più del 70% di donne che patisce la fame? Che mondoavrà in eredità Joana quando sarà diventata maggiorenne? Purtroppo inalcuni forum e circoli internazionali si respira aria di scetticismo circa ilraggiungimento degli 8 punti dell’OSM.

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È evidente che tutto quello che è stato trattato precedentementeriguardo agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio è una constatazionedella preoccupazione esistente, per lo meno all’interno del dibattito in-ternazionale, sulla possibilità di arrivare realmente a uno sviluppo soste-nibile e di ridurre le differenze tra i generi sia a livello sociale sia econo-mico. È necessario far entrare, in modo trasversale, la dimensione deigeneri in tutti i livelli di politica sociale ed economica. «La trasversalitàdella prospettiva di genere implica l’annessione dell’esperienza, dellaconoscenza e degli interessi delle donne e degli uomini, ricavando così iprogrammi di sviluppo» (Bueno e Valle, 2005, p. 30). La donna, rap-

presentando il 50% della popolazione mondiale, diventa, in relazioneall’attività economica, oggetto e soggetto dello sviluppo.D’altra parte, la possibilità di portare avanti con successo i diversi

programmi di sviluppo verso lo sviluppo sostenibile, passa – a nostrogiudizio – per la valutazione e la sostenibilità dello sviluppo locale, con-cepite in funzione delle particolarità e peculiarità proprie di ogni loca-lità e, insieme a queste, attraverso la concezione, l’esecuzione e la stimadelle politiche sociali.

Negli ultimi anni, il dibattito sullo sviluppo sostenibile è stato affian-cato con forza dallo sviluppo locale e dalle azioni delle politiche pubbli-che capaci di considerare le diversità (tralasciando l’omogeneizzazionedegli individui e dei problemi), dando risposte specifiche alle necessità

dei gruppi più indigenti, prime fra tutti le donne.Annettere la prospettiva di genere nelle politiche sociali per favorire

lo sviluppo umano e la qualità della vita, impone che si comprenda intutte le sue sfaccettature il concetto di genere e quindi quali siano leprincipali implicazioni nella politica, nella società, nella cultura e parti-colarmente, come impattano nella vita quotidiana degli uomini e delledonne. La messa a fuoco del concetto di genere richiede un cambia-mento dei paradigmi nella politica sociale che deve concrettizzarsi nellosviluppo umano, se realmente vogliamo intraprendere un percorsodemocratico verso il cambiamento. Diciamo questo perché il generecome categoria di analisi non mette in luce solo l’impatto delle politichee dei programmi sulla vita di donne e uomini, ma pretende di confron-tare la visione dominante sulla sessualità e sulle sue relazioni (Bueno eValle, 2006, pp. 15 e 16).

Concludendo: ignorare il concetto di genere è incompatibile con lapossibilità di ottenere uno sviluppo sostenibile e questa ignoranza ècomplice di molti mali che storicamente hanno assoggettato l’umanità eche la globalizzazione acuisce. Conoscere l’importanza del concetto di

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genere come diritto umano e come fondamento indispensabile per losviluppo sostenibile deve essere il punto fermo di milioni di donne cheaspirano, dopo tante tragedie e problemi, all’emancipazione per costrui-re un mondo migliore.

Dobbiamo lavorare insieme, cercando di incidere e contribuire –partendo dalle nostre rispettive responsabilità – nella battaglia alla sen-sibilizzazione degli attori sociali. È urgente che il mondo arrivi a speri-mentare lo sviluppo sostenibile, fuori mercato, cioè compatibile e auto-determinato dai popoli, perché è l’unica via per non scomparire. E cirimane poco tempo.

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Verso il nuovo paradigma dell’economia socio-ecologica politicaUNFPA (Fondo de Población de Naciones Unidas), Estado de la población mun-

dial 2002, New York 2002.Id., Estado de la población mundial 2004, New York 2004.Id., Estado de la población mundial 2005, New York 2005.Id., Estado de la población mundial 2006, New York 2006.Id. s/f, Población, Salud Reproductiva y Objetivos de Desarrollo del Milenio, New

York.

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Premessa

Oggi il turismo è una delle attività economiche più importanti deiCaraibi. Si tratta della terza industria con maggior crescita al mondo,subito dopo l’industria delle comunicazioni e quella dei sistemi di infor-mazione. In poche parole possiamo dire che il turismo implica lo spo-stamento temporaneo di abitanti di un luogo verso altri luoghi da cuisono attratti per le bellezze naturali o per quelle culturali. Il tema delturismo sostenibile è emerso negli ultimi decenni come conseguenzadella discussione aperta dal rapporto   Il Nostro Futuro Comune (Our Common Future, 1987). Il turismo sostenibile viene definito come quel-lo che

… tiene conto delle necessità dei turisti e delle regioni ospitanti, allo stessotempo preserva e sostiene opportunità per il futuro. Gestisce tutte le risorsein modo tale da far sì che le necessità economiche, sociali ed estetiche pos-sano essere soddisfatte senza tralasciare di conservare l’integrità culturale, iprocessi ecologici essenziali, la diversità biologica e i sistemi di sostegno allavita.

Questa definizione di turismo sostenibile è stata scritta partendo daiprincipi sviluppati dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (Barra-gán, 1997).

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* Dipartimento di Salute Ambientale, Reparto di Scienze Mediche, Università di Por-to Rico. Traduzione di G. O.

ECONOMIA, CULTURA E AMBIENTE:TURISMO SOSTENIBILE NEI CARAIBI

di José Seguinot Barbosa*

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1. Sviluppo sostenibile autodeterminatoe attività turistica

Il problema della sostenibilità emerge dalle molte e confuse defini-zioni che si sono date di questo termine. È molto importante fare unadistinzione tra i principi fissati per definire il turismo come attività basa-ta sullo sviluppo economico. Possiamo quindi sostenere che il turismodella natura, l’ecoturismo e il turismo sostenibile basano i loro principisullo sviluppo sostenibile, mentre il turismo di sole e spiaggia si avvici-na di più al turismo tradizionale basato sullo sviluppo economico. Il

turismo non si limita all’industria dei servizi per gli ospiti dei vari luo-ghi. C’è anche l’inclusione, nella dinamica turistica, di aree protette,intendendo così creare una coscienza della conservazione che parte dal-lo stesso turismo e che riguarda sia la risorsa naturale sia quella cultura-le. Questa dinamica potrebbe creare un maggior senso d’identità tra lecomunità e il loro territorio grazie all’importanza data alla conservazio-ne sia da parte del turista sia da parte delle comunità; alla fine è da que-sto che dipende lo sviluppo turistico.

È proprio nell’esercizio dell’attività turistica che si scontrano le visio-ni economiche neoliberiste e globali con le prospettive locali e comuni-tarie. Per questo ogni analisi sul turismo ha bisogno di una visione inte-grale, interdisciplinare e multiculturale. I Caraibi essendo una regione

multilinguistica, con economie molto diverse, costituisce lo scenarioideale per analizzare le diverse modalità turistiche che si sono sviluppa-te. Inoltre, i Caraibi insulari offrono uno scenario storico e geograficosegnato in passato dal dominio coloniale europeo e oggi dalle economieglobali; situazione che permette di delineare l’impatto economico sullacultura e sul paesaggio.

2. L’aspetto culturalee l’elemento locale

La relazione esistente tra cultura e ambiente si fonda sulla base delturismo sostenibile. Ma questa relazione è caratterizzata dalla comples-sità degli attori coinvolti. In primo luogo è necessario analizzare come lacultura locale si inserisce nella visione globale del turismo. In secondoluogo si deve studiare l’impatto del turismo su cultura e ambiente loca-li. La sostenibilità dell’ambiente culturale dipende dalla considerazioneche l’industria turistica (privata e pubblica) dà alle risorse naturali e cul-

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turali. La storia del turismo è piena di esempi negativi e di errori daiquali stiamo ancora imparando; speriamo di poter apprendere rapida-mente come raggiungere un equilibrio in questo campo (Seguinot, 2005).

Il turismo può avere un forte impatto sulla cultura locale. Può inci-dere sui valori tradizionali, i costumi e le credenze. D’altra parte l’arrivodel turista porta nella società nuovi modelli di organizzazione e di strut-turazione. La cultura locale contribuisce al turismo offrendo alle attivitàturistiche il proprio accento culturale; per questo la diversità è un im-portante requisito, soprattutto nell’era della globalizzazione dove tuttosembra omogeneizzarsi dal punto di vista delle istallazioni commerciali

e delle attività. La cultura locale crea i propri prodotti culturali comel’artigianato e attività come il carnevale, la musica, la cucina. Tutto ciòpuò creare una base culturale che sostiene l’industria turistica. Nel casodi Porto Rico, questo tipo di industria produce milioni di dollari creatidai negozi per turisti e da Internet.

La relazione tra turismo e patrimonio culturale è un aspetto impor-tante per lo sviluppo futuro dei Caraibi. La cultura costituisce una risor-sa vitale per lo sviluppo del turismo e in cambio questo dà un impor-tante contributo al sostegno dello sviluppo culturale. Il paesaggio è unaparte essenziale del patrimonio naturale e culturale di un popolo.Affrontare l’analisi del paesaggio con le sue caratteristiche morfologicheè importante soprattutto oggi che il turismo è visto come il settore più

dinamico dell’economia nella maggior parte dei paesi dei Caraibi. Il turi-smo influisce anche sulla stratificazione sociale esistente nella nostrasocietà. Quando un turista visita un altro paese ne esamina i valori cul-turali; la maggior parte dei visitatori dei Caraibi proviene dai paesi svi-luppati e in genere percepisce i Caraibi come meno sviluppati sia cultu-ralmente sia economicamente; allo stesso tempo ne apprezza il clima, ilsole e le spiagge. L’attività turistica deve rappresentare un’opportunitàper insegnare al turista il contesto proprio e unico di questa regione.

La relazione tra l’attività turistica e la cultura locale deve essere defi-nita dal governo con leggi e statuti. Questo corpo legale deve controlla-re l’effetto negativo del turismo sulla popolazione e sulla cultura locale.L’approccio legale deve prendere in considerazione i costumi e le cre-denze della popolazione locale oltre alla sua economia e alle condizionisociali. Le leggi devono preservare il patrimonio storico e culturale con-servando le risorse archeologiche e culturali. Si devono proteggereanche i diritti di proprietà intellettuale dei prodotti culturali sviluppatidai membri di una società. Per quanto riguarda i lavoratori del turismo,le leggi devono proteggere i loro diritti costituzionali, fissando clausole

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di non discriminazione, assicurando uguale accesso alle leggi, ugualeprotezione, salari minimi e massimo di ore lavorative giornaliere.

Come già detto, il turismo è un’attività globale che risponde agli inte-ressi delle grandi aziende internazionali. Per questo e nonostante tutta lalegislazione nazionale esistente, l’impatto negativo della globalizzazionesulle economie della regione è superiore al beneficio portato dall’attivitàturistica. Nel modello turistico dei Caraibi i benefici economici vannoalle grandi catene internazionali, gli impatti negativi vanno invece allapopolazione e ai governi locali. Ne è esempio la privatizzazione dellespiagge, l’esclusione e la discriminazione di gran parte della popolazione

locale per quanto riguarda le attività turistiche e il controllo del territorioda parte dei tour operators, delle compagnie aeree e delle agenzie di viag-gio esogene. La popolazione locale diventa così una sorta di popolazioneservile o schiava del Primo Mondo, fornisce la manodopera a basso costonecessaria sia per la costruzione delle istallazioni turistiche sia per offrirei servizi turistici richiesti dagli ospiti del Primo Mondo.

Come abbiamo visto, la relazione tra cultura e turismo, in un mondoin cui impera il capitale internazionale, è molto complicata e piena dicontraddizioni. Se i Carabi vogliono definire il loro ruolo all’interno delmercato globale del turismo è necessario iniziare a riconoscere le poten-zialità e le limitazioni della regione. Penso che la diversità culturale siala cosa più importante che la regione possa offrire al mondo. Si deve

migliorare la promozione di questa diversità. I paesi dei Carabi devonoavere una migliore comunicazione tra loro in modo da stabilire politicheturistiche basate su interessi comuni. Il turismo sostenibile rappresentauna opportunità unica per raggiungere questo obiettivo. Invece di porsiin competizione per lo stesso prodotto, i governi dei Caraibi devonopromuovere la collaborazione per lo sviluppo del turismo. La visioneintegrale e regionale del tema diventa sempre più pertinente e questosarà possibile solo attraverso il dialogo tra le diverse istituzioni caraibi-che come università, organizzazioni economiche e politiche, gruppi didiscussione e, naturalmente, i governi.

 3. La questione ambientale e i principi  per l’impatto sostenibile

L’industria turistica richiede molte risorse naturali e umane; si va daun bel panorama dove costruire un albergo o un campo da golf a unagran quantità di energia e di acqua per soddisfare le necessità fonda-

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mentali. A Porto Rico, per esempio, gli alberghi e i palazzi hanno nasco-sto la vista dell’oceano lungo la spiaggia del Condado e a Isla Verde;questo ha causato poi la limitazione dell’accesso pubblico alle spiagge,benché questo diritto sia garantito dalle leggi di Porto Rico. A Doradogli alberghi hanno riservato per sé le maggiori aree costiere da usare perle infrastrutture turistiche e i campi da golf. Oggi l’industria turisticavuole sfruttare l’unica area naturale rimasta in prossimità dell’area me-tropolitana. Si tratta della zona nota come Piñones-Vacía Talega. L’indu-stria turistica, i proprietari di alberghi e i costruttori stanno facendo fortipressioni sul governo di Porto Rico affinché permetta lo sviluppo di

quest’area a pianificazione speciale.Tutta la regione dei Caraibi presenta diversi problemi ambientalicausati dalla mancanza di pianificazione e dall’uso scorretto delle risor-se naturali. La deforestazione era il principale problema di Haiti, men-tre nella Repubblica Dominicana l’erosione del suolo era una seriaminaccia. A Porto Rico le risorse idriche sono state compromesse e sinota la distruzione delle mangrovie, delle barriere coralline e delle spiag-ge. Il deterioramento urbano è palese in città come Kingston, L’Avana,Santo Domingo e San Juan. Altri problemi diffusi nei Caraibi riguarda-no l’estinzione di specie, l’eutrofizzazione di lagune e laghi a causa dellasedimentazione, la contaminazione industriale causata dalle centrali ter-moelettriche, dall’industria pesante e da quella petrolifera. La desertifi-

cazione è un problema che riguarda la maggioranza delle Antille ed ècausata dalla deforestazione e dal cambiamento climatico; ma forse ilproblema maggiore dei Caraibi è la gestione dei rifiuti solidi. Il sovra-sfruttamento delle risorse naturali tramite pesca ed estrazione di mate-riali della corteccia terrestre fa parte di uno sviluppo sempre menosostenibile da parte delle generazioni future (Seguinot, 2005).

Per misurare l’impatto sostenibile positivo o negativo nei Caraibi si èsviluppato un insieme di indicatori. Per valutare se qualcosa rientra nellasostenibilità esistono quattro principi base a cui una data attività deverispondere. Primo: la sostenibilità economica – deve portare benefici abreve e medio termine. Secondo: la sostenibilità ecologica – deve esserecompatibile con la conservazione dei processi ecologici e con l’usoappropriato delle risorse naturali. Terzo: la sostenibilità culturale – deveaiutare le persone ad avere più controllo sulle proprie vite e deve esserecompatibile con la cultura e i valori che costituiscono l’identità dellacomunità. Quarto: la sostenibilità locale – deve essere progettata per por-tare benefici alle comunità locali creando nuove entrate.

L’Associazione dei Paesi dei Caraibi ha sviluppato un insieme di indi-

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catori che vengono così classificati:   Indicatori normativi – comuni pertutti gli usi e stabiliti nel Patto per la creazione della Zona di TurismoSostenibile dei Caraibi. Indicatori locali – determinati dalla loro destina-zione a partire dalla diagnosi e dalle priorità locali. Gli indicatori hannotre dimensioni: Dimensione Patrimoniale – per tutto ciò che riguardal’ambiente naturale e l’ambiente culturale. Dimensione Economica – siriferisce alla gestione della commercializzazione turistica, delle risorsemateriali e finanziarie. Dimensione Sociale – riguarda l’essere umano, lasua vita, le relazioni che stabilisce, la qualità della vita, il lavoro e altriaspetti collegati allo sviluppo turistico. Dimensione Etica – può essere

collegata al lavoro su scala locale. Alcuni indicatori normativi che riguar-dano i Caraibi sono: la gestione ambientale, l’educazione ambientale,l’accesso pubblico alle risorse, l’integrazione nell’economia locale, lasoddisfazione del turista, l’origine del lavoro nel settore turistico, la pro-stituzione infantile, la sicurezza del turista, l’addestramento, la specializ-zazione, l’identità e la cultura. Alcuni indicatori locali sono: spazi sensi-bili, valorizzazione dell’architettura tradizionale, valorizzazione del pae-saggio, i rumori, la circolazione stradale.

A Porto Rico sono state emanate due leggi che riguardano l’ecoturi-smo e il turismo sostenibile. La Legge 340 del 31 dicembre 1999 (Leggesull’Ecoturismo) dice che lo Sviluppo Ecoturistico Sostenibile signifi-cherà sviluppo economico volto a migliorare la qualità della vita per

quanto riguarda l’ambito ecologico, socio-culturale ed economico offren-do inoltre esperienze naturali di alta qualità. Questa Legge definisce l’e-coturista come chi usufruisce delle attività ecoturistiche ed è coinvoltonella conservazione dell’area o della zona di interesse ecoturistico e nel-l’attività economica che genera questa attività. L’ecoturismo è definitocome la modalità turistica, ambientalmente responsabile, che consistenel viaggiare o visitare aree naturali, relativamente senza disturbare, conil fine di studiare e godere delle attrattive naturali (paesaggio, flora efauna) della zona, come di manifestazioni culturali, del presente o delpassato, che si possano incontrare all’interno di un processo che pro-muova la conservazione e non impatti negativamente l’ambiente e la cul-tura di tali aree e coinvolgendo nel processo la comunità stessa.

La Legge 254 del 30 novembre 2006, Legge di Politica Pubblica perlo Sviluppo Sostenibile del Turismo a Porto Rico è un’importante dero-ga della Legge 340 del 1998. Il suo proposito è di creare una politicapubblica per lo sviluppo e il sostegno del turismo sostenibile a PortoRico; fissare meccanismi per lo sviluppo e il sostegno di questo impor-tante settore, disporre di quanto necessita all’amministrazione della

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Compañía de Turismo de Puerto Rico; creare l’Ufficio di Sviluppo delTurismo Sostenibile a Porto Rico assegnato alla Compañía de Turismode Puerto Rico e fornire fondi. L’ecoturismo è in sintonia con l’introdu-zione di un nuovo mo-dello economico basato sullo sviluppo sostenibi-le, visto che questa modalità, se ben pianificata e organizzata corretta-mente, non favorisce il deterioramento della qualità fisica e biologicadelle aree naturali pubbliche e private ad alto valore ecologico. Questanuova Legge ha mantenuto molti dei concetti originali esistenti nellaLegge dell’Ecoturismo, ma ha comunque incorporato concetti nuovicome la capacità di ricezione, il limite di cambiamento accettabile, l’ha-

bitat, la comunità e le zone di turismo sostenibile.Il processo di pianificazione deve prendere in considerazione la natu-ra dei vari habitat e gli ecosistemi esistenti. Nel suo lavoro Buckley (2001)sottolinea l’importanza di considerare la fragilità dell’ambiente nello svi-luppo del turismo. Ecco le sue conclusioni:

La fragilità implica che i piccoli impatti causano danni molto seri. Nella pra-tica gli ambienti più fragili sono le zone selvagge meno battute. Il turismo stacrescendo globalmente mentre le aree selvagge si riducono e l’impatto delturismo sulle zone restanti aumenta. Il turismo potrà aiutare a preservare learee selvagge se sostituirà le terre che va colpendo, ma questo accade rara-mente. In genere il turismo trae beneficio da queste zone senza contribuirealla loro preservazione. La maggior parte del turismo nelle aree selvagge sisvolge in zone destinate alla conservazione. Ciò che sta accadendo è che leriserve stanno diventando aree destinate al divertimento per cui l’impattoambientale è altamente significativo. Questo impatto varia a seconda delleattività e degli ecosistemi.

L’impatto negativo del turismo sull’ambiente non si limita alla distru-zione di habitat e specie in pericolo di estinzione. Privatizza anche pre-ziose risorse naturali, panorami e paesaggi di gran valore. A volte esclu-de e isola da queste risorse la popolazione locale, causando un incre-mento del livello di povertà delle popolazione impossibilitata a raggiun-gere il proprio sviluppo sostenibile. La mancanza di politiche pubblichesensibili che potenzino la vera integrazione per lo sviluppo locale eregionale contribuisce al deterioramento ambientale e sociale. Nelmodello neoliberista di sviluppo non si internalizzano i costi sociali eambientali nei piani e nelle strategie di sviluppo turistico. I benefici sonoper gli investitori e gli effetti negativi per gli abitanti locali.

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4. Conclusioni; alternative futuredall’economia locale

La situazione ambientale dei Caraibi è molto complessa, e diversa eframmentata è la società che ne condivide le risorse; ma nonostante que-sto, con la conoscenza dell’ambiente e della cultura della regione è pos-sibile sviluppare piani turistici di carattere generale per tutta la zona. Sideve sviluppare una cultura ecologica basata sui principi dello svilupposostenibile. Nel turismo non si può fare a meno di trattare la regione nelsuo insieme; la frammentazione e l’isolamento sono ostacoli che devono

essere eliminati dall’approccio regionale.Per sviluppare il turismo sostenibile nella regione dei Caraibi è moltoimportante condividere strategie e informazioni legate alle attività cul-turali, alle risorse naturali, ai servizi, ai trasporti, ai pacchetti turistici, aicosti di viaggio, agli alberghi, alle attrazioni turistiche, ai parchi e aimusei oltre alle informazioni geografiche generali (popolazione, clima,città). Le informazioni che riguardano le strategie di conservazioneambientale, leggi, regolamenti, aspetti scientifici possono essere scam-biate tra le agenzie di ciascun governo.

È molto importante conoscere e scambiare dati relativi al numero deivisitatori, al loro paese di origine, età, sesso, condizione economica, ecc.Tutto ciò metterà in grado di offrire ai visitatori servizi migliori, senza

degradare la cultura e l’ambiente locale. Si devono poi condividere leinformazioni riguardanti le estinzioni di specie, la conservazione dellerisorse culturali e quelle riguardanti le politiche pubbliche associateall’ambiente e alla cultura. La collaborazione è inoltre indispensabile perlo sviluppo e il sostegno a strategie finalizzate alla conservazione ener-getica, a mantenere pulita acqua e aria, a favorire la salute e a migliora-re la gestione delle risorse.

Il turismo è un’attività globale, controllata soprattutto dal capitaleinternazionale; ma il turismo si svolge all’interno delle frontiere nazio-nali di un paese. Questo permette ai governi locali di controllare e ridur-re gli impatti negativi sull’ambiente e sulla cultura locale. Con l’emana-zione di leggi appropriate e con lo sviluppo di piani adatti alla realtàlocale, l’industria turistica internazionale si sottometterà alle regole fis-sate dai governi e quindi si adatterà alle condizioni ambientali e dellacultura locale. In questo modo si assicurerà la conservazione delle risor-se naturali e culturali locali.

Oggi le economie aperte e la prospettiva neoliberista che impera nelmodello turistico usato nella regione hanno avuto impatti molto negati-

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vi sulla cultura locale e sull’ambiente caraibico. Il turismo tradizionaleimpone ancora alla regione un modello di sviluppo neocoloniale. In con-trapposizione, il turismo sostenibile si presenta come un’alternativa pos-sibile e consona alla cultura locale e all’ambiente; rappresenta quindil’alternativa futura per lo sviluppo della regione perché permette diarmonizzare gli interessi comunitari con la conservazione dell’ambiente.Si vedrà se sarà possibile la sua attuazione all’interno di una strutturaeconomica globale controllata dai grandi interessi capitalisti.

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1. Introduzione: il caso studio della Colombia

Il modello di sviluppo che si «raccomandò» alle economie del conti-nente mediante il cosiddetto Consenso di Washington, basato sulla pre-messa della crescita come condizione per lo sviluppo, ha permesso evi-dentemente ad alcune economie più forti e integrate ai mercati mondia-li di dedicarsi all’investimento estero diretto attraverso imprese transna-zionali che cercano non solo luoghi per la produzione, bensì anche diassorbire il mercato interno. Lo sviluppo doveva venire da solo, comerisultato del maggiore investimento e di una crescita sostenuta. Tuttavia,la realtà dista dagli auspici: il modello ha facilitato la concentrazionedella ricchezza, e oggi alcuni paesi soffrono un alto indice di povertà,un’iniquità e disuguaglianza sociale che supera qualunque regione delmondo.

Il caso della Colombia non è altro che la conseguenza di questo pro-cesso: l’apertura economica, nonostante la forte recessione degli ultimianni dello scorso decennio, ha portato risultati economici che distano daquelli generati negli ambiti sociali e ambientali, nefasti per la valutazione

dello sviluppo. In questa sezione si affronterà questa problematicamostrando come la pressione e il deterioramento della qualità della vitanelle città colombiane, particolarmente a Bogotà, davanti alla perma-nenza di un modello produttivo e di crescita quantitativa basata sul su-

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CRESCITA E SOSTENIBILITÀDELLO SVILUPPO LOCALE.

LA NEGAZIONE DELLA QUALITÀDELLA VITA A BOGOTÀ?

di Jaime Alberto Rendón Acevedo*

* Università de la Salle, Bogotà, Colombia. Traduzione di E.D.

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persfruttamento delle risorse e sul loro uso irresponsabile, come nel casodel settore trasporti e della produzione manifatturiera, conducono a man-tenere condizioni avverse alla sostenibilità e allo sviluppo qualitativo.

Per sostenere questa ipotesi, nella prima parte si affronta il tema dellacrescita urbana nell’attuale modello di sviluppo. Nella seconda si discu-te l’evoluzione di alcuni indicatori sociali e di qualità ambientale per ter-minare, nella terza parte, con alcune conclusioni sulla qualità della vitae sullo sviluppo umano sostenibile.

2. L’approfondimento di un modello

Non senza caratteristiche proprie, basate sull’implementazione delmodello neoliberista per decisione autonoma, senza pressioni del FondoMonetario Internazionale, la Colombia ha adottato tra la fine degli anni’80 e gli inizi del 1990 strette misure di aggiustamento e riforme di carat-tere strutturale e istituzionale realizzate senza consensi interni e perdecisione delle élites; con un cambiamento costituzionale (1991) si legit-timarono tali riforme e si tentò un’articolazione della nazione, ben com-plicata per un paese esposto ai ben noti conflitti storici1.

Nei primi anni dell’ultimo decennio si verificò l’accesso ai mercatiinternazionali in modo più esplicito di quello che i modelli di sostitu-

zione delle importazioni impropriamente detti e quello di promozionedelle esportazioni avevano permesso alla produzione colombiana chenon ha smesso di dipendere dai beni primari, componente essenzialedelle sue vendite all’estero. In realtà il 49% delle esportazioni colom-biane continuano a essere di tipo tradizionale, situazione non moltodiversa da quella degli anni ’90.

La cosa certa è che in Colombia i diversi modelli sviluppati, fatti conrigore e disciplina per gli organismi finanziari internazionali, hanno avu-

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Verso il nuovo paradigma dell’economia socio-ecologica politica

1 Le riforme dell’ultimo decennio, oltre agli accordi del vertice di Rio de Janeiro,hanno permesso al paese di avere una normativa ambientale di supporto all’ecosistema e

alle risorse naturali. La costituzione del 1991 e la legge attuativa (L. 99/93) permisero lacostituzione del Sistema Nazionale Ambientale (SINA) e dei suoi enti corrispondenti dipianificazione, vigilanza e controllo nell’ambito territoriale. Questo sistema è dotato diun regolamento di regolazione con gli altri partecipanti comunitari, di gestione centra-lizzata e di autonomia finanziaria. Nonostante si possa contare su moderne risorse e suuna gestione tecnica, tuttavia la gestione e la normativa propria del paese faticano a con-vertirsi nell’autorità ambientale che dovrebbe stabilirsi per contribuire alla difesa dell’e-cosistema, delle risorse naturali e dello sviluppo sostenibile.

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to il solo scopo di rafforzare la strategia storica di accumulazione delleélites economiche che sono state perfino capaci di competere aperta-mente con le imprese transnazionali o fare alleanze e fusioni che hannoportato alla spartizione dei mercati interni. Il modello progressista nonfece eccezione.

L’essenza dell’accumulazione si mantenne nel nuovo modello, ancheal cospetto delle nuove prospettive dell’internazionalizzazione e dellariduzione di barriere per i mercati finanziari e di beni e servizi. Concen-trazione, esclusione, disuguaglianza e povertà continuarono a essere glielementi costitutivi di un modello di sviluppo che alle porte del XXI

secolo permetteva l’accesso ad alcune comodità proprie della moderniz-zazione del mondo attuale, cioè facilitava l’accesso al consumo lascian-do la sensazione del progresso e di cambiamenti nel modo di vita dellepopolazioni. Per garantirsi la promessa della crescita furono necessari iparametri espressi dal Consenso di Washington (incluso il postconsen-so), nonostante i «sacrifici» a breve termine cui il paese era chiamato. Alungo termine e con un’economia aperta la crescita avrebbe dovuto faci-litare un maggiore e migliore accesso al lavoro, permettendo così unadistribuzione delle entrate e un sviluppo delle società alla pari dei paesitradizionalmente definiti sviluppati.

Tuttavia, la realtà del processo è stata diversa e dopo due decenni diriforme strutturali il paese non cresce più del passato né lo sviluppo ha

raggiunto la popolazione, al contrario, benché solo congiunturalmente,la povertà diminuisce, le condizioni di disuguaglianza si mantengono efanno della Colombia il secondo paese con maggiore disuguaglianzadell’America Latina, superato solo dal Brasile. La volatilità del ciclo eco-nomico è maggiore, l’esposizione al rischio esterno è aumentata e la fra-gilità di questa economia resta subordinata al comportamento del mer-cato nordamericano, dove si dirige il 48% dell’offerta esportabile, e aEcuador e Venezuela che comprano in media il 23% delle esportazionidel paese.

Queste tendenze del comportamento economico e sociale hanno con-dotto a un degrado ambientale stimato al 3,7% del Prodotto In-ternoLordo (PIL) (Sánchez et al., 2007, p. 12) espresso in inquinamento atmo-sferico urbano, malattie di origine idrica, inquinamento, disastri naturalie degrado della terra. Costo che, unito alla perdita del 1,9% del PIL

annuale2 come risultato del conflitto armato, distrugge la ricchezza gene-

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Crescita e sostenibilità dello sviluppo locale

2 Si stima che «i costi della violenza armata tra il 1999 e il 2003 si aggirino intorno ai16 miliardi di dollari. La maggior parte di essi, 14,6 miliardi, rappresenta i costi diretti

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rata che arriva ad avere una crescita media annuale nel periodo 2000-2007 del 4,2%, rendendo il futuro ancora più incerto di quello che è già.

Come avviene per le grandi città latinoamericane, storicamente aBogotà si concentra l’attività economica, politica e sociale del paese, poi-ché la capitale conta 6,8 milioni di abitanti, dei 42,9 milioni totali, il15,9% della popolazione totale; negli ultimi 15 anni ha sviluppato il22,68% del PIL nazionale, concentra il 28% dell’industria manifatturie-ra e, quindi, dell’occupazione, delle entrate e logicamente delle scuole edei servizi, rendendola, nonostante la distanza dal mare e il difficileaccesso ai porti, il luogo eletto della concentrazione economica e l’op-

zione territoriale per la produttività e competitività.Questi fenomeni, benché non si sperassero con i cambiamenti pro-duttivi e i pacchetti di riforme strutturali degli anni ’90, vanno consoli-dando un modello di sviluppo basato sulla economia di forte concen-trazione, nella grande industria, con preponderanza della proprietà diimprese transnazionali, in una vertiginosa crescita di attività speculative,specialmente nel settore finanziario e immobiliare e nella precarietà dellavoro come caratteristica essenziale delle relazioni di supersfruttamen-to del lavoro, e delle risorse naturali disponibili.

Bogotà si è gettata a capofitto nelle dinamiche mondiali del com-mercio e nell’investimento internazionale e questo le è servito per man-tenere alcuni indici di crescita alti rispetto al resto del paese. Mentre la

Colombia ha avuto una crescita media del 4,17%, Bogotà ha ottenuto il4,6% (si veda il grafico 1).

Ovviamente questa crescita è stata favorita da una maggiore rilevan-za del settore dei servizi nella struttura economica: così mentre le attivitàterziarie contribuivano nel 1990 con il 48,1%, per l’anno 2005 questodato sale al 56,6%, 8,5 punti percentuali ceduti fondamentalmente dal-l’industria manifatturiera che è passata dal 22,2% al 16,9% nello stessoperiodo. Vale la pena ricordare inoltre che il settore del commercio, inconcorrenza con gli altri nella struttura economica, ha raggiunto nel-l’anno 2005 l’11,4% del PIL quando nell’anno 1990 era all’8,5%3. In que-ste condizioni si è andato consolidando un sistema produttivo basato

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Verso il nuovo paradigma dell’economia socio-ecologica politica

(88,3%). I costi indiretti sono pari a 1,9 miliardi, equivalenti al restante 11,7%. Tali costiequivalgono al 7,4% del PIL del 2003, a 2,7 volte il deficit consolidato del settore pub-blico del 2003; è di 2,1 volte il bilancio degli investimenti della Nazione e il 14,1% deldebito del settore pubblico non finanziario» (Pinto et al., 2005).3 Le partecipazioni settoriali sono tratte da: http://www.bogota.gov.co/portel/libre-ria/pdf/ImportanciasServiciosenlaEconomiamayo16.pdf.

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sulle attività terziarie, con un’alta concentrazione in attività speculative: ilsettore finanziario ha raggiunto nell’anno 2005 il 19,8% del PIL e i servi-zi immobiliari il 23,9%; ciò spiega il 43,7% del PIL.

Lo scenario produttivo è allora lontano dall’essere quello che propi-zia non solo un miglioramento sostanziale delle condizioni di produtti-vità e anche di competitività della città; al contrario, è lontano dall’esse-re quello che procura un miglioramento sostanziale nella distribuzionedelle entrate. Questo modello conduce sempre più a una maggiore con-centrazione, a una maggiore disuguaglianza e a un difficile accesso al

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Crescita e sostenibilità dello sviluppo locale

 ICV : indice di Condizioni di Vita.  IDH: indice di Sviluppo Humano. GINI : Coefficientedi GINI .

Fonte: Elaborazione propria in base a fonti ufficiali.

Nazione

Bogotà

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 20072,90% 1,50% 1,90% 3,90% 4,90% 4,70% 6,80% 6,80%

3,69% 1,33% 4,27% 3,29% 6,86% 5,51%  5,60% 6,30%

0,00%

1,00%

2,00%

3,00%

4,00%

 5,00%

6,00%

7,00%

8,00%

Qualità di vita

Crescita del PIL

IDH

ICV

GINI

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

0,865

0,828

0,5

0,877

0,826

0,55

0,865

0,811

0,553

0,868

0,813

0,556

0,886

0,817

0,555

0,884

0,814

0,593

0,892

0,813

0,571

0,885

0,819

0,551

0,898

0,824

0,546

0,901

0,83

0,532

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

Grafico 1. Bogotà. Crescita e qualità di vita

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lavoro propriamente detto. Quest’ultimo infatti contiene alcune caratte-ristiche di precarietà, cosa che determina una caduta nei redditi dellapopolazione, benché a Bogotà il reddito medio per abitante sia del 37%superiore alla media del paese. Pertanto i lavoratori del settore informa-le sono esclusi dai benefici della crescita economica (Dipartimento Na-zionale di Statistica, DANE), anzi l’informalità a giugno del 2007 ha rag-giunto il 56,6% della popolazione occupata, mentre a Bogotà tale per-centuale è al 50,8%.

Il tema della disuguaglianza, come si è detto, è forse il più urgente equello che dovrebbe avere una maggiore attenzione dalla politica.

Tenendo in conto l’informazione disponibile, il 10% della popolazionepiù ricco detiene il 47% del reddito, mentre il 10% della popolazionepiù povera ha solo l’1%, per cui la differenza tra il 10% più ricco e il10% più povero è di 47 volte. Anche il coefficiente di GINI negli ultimianni non è stato sotto lo 0,5, arrivando al massimo allo 0,593, nell’anno2002. Appare certo allora, come si apprezza nei grafici, che la crescita hacontribuito poca alla diminuzione della disuguaglianza.

 3. La situazione socio-ambientale

Questo decennio con la sua crescita quantitativa sostenuta ha per-

messo comunque solo a Bogotà di ridurre i suoi indici di povertà. Lacapitale incominciò a generare cambiamenti sostanziali nella sua gestio-ne a partire dall’amministrazione di Jaime Castro, giugno 1992-dicem-bre 1994, quando si riorganizzarono le finanze del Distretto e si comin-ciò a costruire città, a ridefinire i temi di regolazione e infrastrutturalinecessari per immaginare e rendere reali le trasformazioni. Per il perio-do gennaio 2004-dicembre 2007 fu scelto come sindaco Luis EduardoGarzón del partito di sinistra Polo Democratico Alternativo, partitoanche ora al potere con Samuel Moreno Rojas, che governerà fino adicembre del 2011. Questo ha facilitato la definizione e la continuità dipolitiche sociali tendenti a garantire l’accesso ai beni e servizi basilari,alla lotta contro la povertà, l’indigenza e il consolidamento dei diritti dicittadinanza come condizione per la riduzione della disuguaglianza el’ampliamento della democrazia.

Gli indici di povertà e indigenza sono diminuiti dal periodo 1998-2004, quando il paese si trovò invischiato nella recessione economica piùgrave degli ultimi 80 anni; a Bogotà la povertà è diminuita dal 46,3% al28,5% in cinque anni (2005), mentre la percentuale di persone indigen-

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ti è passata dal 9,1% al 4,5% nello stesso periodo4. Gli ultimi dati delgoverno mostrano come la povertà sia scesa al 49,2% nel 2007 5.

In ogni modo, e nonostante la rilevanza delle cifre, la povertà inColombia ha mostrato comportamenti ciclici correlati con la crescita delPIL, aspetto che rende conto del suo carattere strutturale e della suapiena dipendenza, ovviamente, dal lavoro e dalla sua qualità. Appareperò chiaro che perfino dalle controverse cifre ufficiali, la povertà e l’in-digenza si trovano al di sopra della media della regione rendendo piùcomplesso il panorama sociale del paese già debilitato dal conflittoarmato. Quest’ultimo si è trasformato nel problema sociale del paese.

L’azione dei gruppi armati, l’oltraggio alla proprietà dei contadini obbli-gati ad abbandonare i loro territori, in una condizione simile a quelladescritta da Marx nell’accumulazione originaria del capitale, ha genera-to una ricomposizione e concentrazione della terra ma una pressionesenza pari sulle grandi città, specialmente su Bogotà, di famiglie senzafissa dimora che si trasformano in popolazione vulnerabile anche per lecondizioni di indigenza o di estrema povertà6.

Tuttavia, la capitale ha guadagnato in termini all’IDH (Indice di Svi-luppo Umano), PNUD, 2007, 11). Tra gli anni 2003 e 2006, Bogotà è pas-sata da un IDH di 0,813 a 0,830, mentre l’intero paese è passato da 0,766a 0,790, performance dovuta a due elementi: al PIL e alla scolarità com-binata. Così, se si fa un’analisi attraverso l’indice delle Condizioni di

Vita (ICV, PNUD, 2007, 14), si nota che la città passa dal 89,21 nel 2003al 90,10 nel 2007, cambio promosso da istruzione e capitale umano,compito sul quale si è concentrata l’amministrazione distrettuale, diret-ta in particolare a minori di 18 anni. Tuttavia nonostante si collochino aun livello alto, i cambiamenti nell’IDH del PNUD non sono tanto signifi-cativi di fronte alla crescita economica; i cambiamenti si notano invecenelle località povere, specialmente per quanto riguarda l’istruzione (siveda il grafico 1).

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Crescita e sostenibilità dello sviluppo locale

4 http://foro.loquo.com/viewtopic.php?t=60250&view=previous. Consultato il 21settembre 2007.

 5 C’è un dibattito nel paese sulla consistenza storica e metodologica di queste cifre.Studi degli uffici di controllo e dell’Università Nazionale hanno dimostrato come, nel-l’anno 2003, la povertà nel paese è salita al 64,2% e l’indigenza è passata dal 18,1% nel1997 al 31% nel 2003, cifre superiori a quelle presentate dal governo.6 Si stima che negli ultimi 10 anni il conflitto ha generato lo spostamento di circa 3milioni di persone. Circa le terre, su El Tiempo del 17 febbraio 2008 si scrive che un milio-ne di contadini ha smesso di possederne negli ultimi 5 anni per colpa della violenza si sonopersi quattro milioni di ettari, mentre lo Stato ne ha riconsegnati solo 54.563 ettari.

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Così, la capitale ha dovuto dedicare grandi sforzi all’assistenza dellepersone con scarse risorse e che vivono in condizioni infrastrutturaliprecarie. In effetti, in accordo con la Segreteria di Salute Distrettuale, lapopolazione che a dicembre di 2005 si trovava sotto regime sovvenzio-nato della salute (SISBEN) era di 1.680.537 persone, nei livelli 1 al 4, cioè,il 24,79% della popolazione di Bogotà7. La percentuale degli assistiti ailivelli 1 e 2 del SISBEN sale all’88,9%, cioè 1.418.159 di persone si trova-no in condizioni di maggiore povertà.

Territorialmente questa popolazione si concentra in otto delle ventiprovince della capitale (Usme, Città Bolivar, Sumapaz, La Candelaria,

Bosa, Tunjuelito, San Cristobal e Santa Fe), considerate tra quelle a piùbasso indice della qualità della vita. Inoltre, queste popolazioni soffronol’effetto del deterioramento della qualità ambientale e dell’inquinamento,per le emissioni industriali e il trasporto, dei problemi più stimolantidella qualità ambientale a Bogotà.

In effetti, come sancito dal Ministero dell’Ecosistema, Casa e Ter-ritorio, Bogotà è la città più inquinata del paese, benché non ai livelli diCittà del Messico e Santiago del Cile, anche per le sue caratteristichemeteorologiche e topografiche, che hanno favorito la dispersione degliagenti inquinanti8. La concentrazione di MP10 per periodi lunghi aBogotà è abbastanza alta, essendo l’unico agente inquinante che ha mo-strato un aumento durante gli ultimi 5 anni9. Ciò è provocato fondamen-

talmente da due tipi di emissioni: quelle industriali e quelle derivanti daltrasporto, specialmente quello pubblico che utilizza come combustibileun diesel dagli standard molto bassi. Il livello medio di MP10 è passatoda 63,48 nel 2003 al 72 nel 2007 (PNUD, 2007). A El Tunal, l’MP10 è arri-vato a 106,8, per i rifiuti di Ponte Aranda, la zona industriale. Altri livel-li preoccupanti si riscontrano a Kennedy 106 e a Fontibón 9310.

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7 Il SISBEN è uno strumento di diagnosi socio-economica che permette la selezione deibeneficiari dei programmi sociali, in armonia con le proprie condizioni socio-economi-che particolari, rappresentate da un indicatore riassuntivo della qualità della vita da zeroa cento punti, diviso in sei livelli di cui i primi due contengono le persone più povere(Rendón e Martínez, 2007).

8 La qualità dell’aria a Bogotà è disponibile su: http://observatorio.dama.gov.co/index.php?n1=2&n2=23&n3=231&contenido=829 Un aumento di 10 µg/m3 nei livelli di PM10 causa un incremento del 4% delle malat-tie respiratorie acute entro sei giorni. Se il livello si supera in sei ore l’incremento si portaal 29%.10 Le norme internazionali prevedono un limite di 50 microgrammi, in ambito nazio-nale il limite è di 70 (El Tempo, 14 febbraio 2008). El Tunal è la zona di Bogotà con illivello più alto di inquinamento.

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Bogotà concentra il 50% dei costi dell’inquinamento atmosferico delpaese (Morgenstern e Sánchez – Triana, in Sánchez et al., 2007, p. 238),circa il 2% del suo PIL annuale, ma, se misurato con il metodo di stimastatistica del valore della vita, tale costo sarebbe vicino al 3% annuale.A questi scenari di inquinamento atmosferico se ne somma un altro,apparentemente invisibile, la povertà: si tratta dell’inquinamento inter-no. Si stima che circa il 60% delle case rurali e il 3% delle case urbaneutilizzano combustibili solidi per lavori domestici (Larsen, Ahmet eAwe, in Sánchez et al., 2007, p. 263).

Questo problema, al quale vanno aggiunti gli effetti della polvere

prodotto delle strade senza asfalto nei quartieri poveri urbani, oltre alleemissioni atmosferiche, genera quadri «critici» di malattie11 e mortalità,che colpisce specialmente i bambini e le donne per la loro maggiorepermanenza in quei luoghi.

Peraltro, le malattie di origine idrica continuano a essere un elemen-to sia della povertà e della disuguaglianza, sia delle deficienze infrastrut-turali nelle zone urbane emarginate. La copertura dell’acquedotto neiquartieri legali raggiunge il 100%, mentre le fognature coprono il 96%e la raccolta di acque pluviali arriva solo al 88%. Nei quartieri illegali c’èun deficit di abitazioni di 487.000 case, mentre 15.000 alloggi sono ubi-cati in zone ad alto rischio.

Anche i fiumi che attraversano le grandi città colombiane sono fonti

importanti di inquinamento. I governi nazionale e quelli locali hannoprevisto il disinquinamento dei fiumi, ma si è trattato di progetti irrea-lizzabili per i loro costi e le implicazioni sull’ordinamento territoriale el’uso del suolo, come quello del fiume Bogotà, uno dei punti critici dellagestione ambientale e della qualità di vita della capitale12.

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Crescita e sostenibilità dello sviluppo locale

11 Soprattutto malattie respiratorie nei minori di 5 anni: cancro del polmone, asma,

cataratte e tubercolosi.12 È di questi giorni la notizia che i governi nazionale e distrettuale hanno deliberatoun investimento di 769 milioni di dollari per opere di decontaminazione del fiume diBogotà. Contaminato da 366 tonnellate giornaliere di rifiuti organici provenienti dallefognature di Bogotà, il fiume produce perdite agricole ed ecologiche calcolate in più di260 miliardi di pesos annui. Gli esperti considerano che rappresenta il più grave proble-ma ambientale de la Sabana de Bogotá e colpisce direttamente anche 24 municipi del cir-condario.

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4. Conclusioni: per un modello di radicale alternativa

Per quanto esposto, la povertà, la disuguaglianza e la bassa qualitàdell’ecosistema finiscono per essere il riflesso di un caotico ordinamen-to territoriale e di una crescita urbana non pianificata. Un circolo vizio-so che è alimentato da un modello di sviluppo che non mette a frutto laricchezza generata, ma realizza una depredazione costante delle risorsenaturali, approfondendo il deterioramento della qualità ambientale edelle condizioni di vita della popolazione.

Bogotà è interessata, e continuerà a esserlo nei prossimi anni, da unprocesso interessante di sviluppo, di modernizzazione e di accesso aglistandard dati dall’internazionalizzazione dell’economia o, se si preferi-sce, dalla globalizzazione capitalista. Ma siamo preoccupati dalla nonsoluzione al problema della povertà e della disuguaglianza attraversoprogrammi di lotta contro la fame, e soprattutto da una politica non ingrado di riconoscere i diritti di cittadinanza, tra i quali il più importan-te appare essere l’accesso all’istruzione. Tuttavia, nonostante gli sforzidella sinistra democratica nel potere, il modello di accumulazione e ilmodello produttivo rimangono intatti o meglio si rafforzano con unapresenza rilevante delle multinazionali, giustificata dalla loro responsa-

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Verso il nuovo paradigma dell’economia socio-ecologica politica

Grafico 2. Bogotà. Qualità ambientale

Acqua

Aria

2003 2004 2005 2006 2007

63,5

110,6

63

100

74

 57,8

68

109,7

72

80,3

0

20

40

60

80

100

120

 Acqua: Carico per  SST versato ai fiumi Salitre e Tunjuelo (Tonnelate/anno).

 Aria: Livello medio di  MP 10 (µg/m3).

Fonte: Elaborazione propria da PNUD , 2007, p. 39.

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bilità sociale sull’economia, un atteggiamento demagogico del governo,degli imprenditori e perfino del sindacato.

Sono manifesti allora i limiti di un modello determinato dai ritmidella crescita quantitativa come condizione per lo sviluppo e della libe-ralizzazione delle economie e del libero mercato come supporti per l’ac-cesso a migliori condizioni di vita. E neanche i modelli precedenti sonostati utili per mitigare, almeno, l’enorme debito sociale e ambientale delcosiddetto progresso nei già quasi 200 anni di storia repubblicana, cheha permesso l’accumulazione solo alle élites.

Sarà allora necessario insistere e persistere sulla necessità di nuovi

tipi di relazioni, di forme di produzione e distribuzione della ricchezzache propendano per la dignità della vita, delle persone per la difesa dellanatura e del pianeta.

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