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Libri ricevuti ARCHEOLOGIA (a cura di Paola Càssola Guida) 'A\lc1À-EX't'a 'Alh}\lw\I» (<< AAA »), II, 1969, 1. In questo numero, tra le notizie archeologiche, segnaliamo: la continuazione degli scavi nella tomba a tholos di Kazarma in Argolide (cfr. «AAA », I, 1968, pp. 236-238), che hanno prodotto interessanti reperti di gemme e di armi, la cui cronologia purtroppo non è precisata (E. PROTONQ- TARIOU-DEILAKI, pp. 3-6, figg. 1-7); l'individuazione di un luogo di culto mesoelladico (un altare riparato da due muretti nell'isoletta di Nissakouli nd golfo di Metoni) (.A. CHOREMIS, pp. 10-14, figg. 1-8); lo scavo della necropoli tardomicenea di Tanagra in Beozia (Th. SPIROPOULOS, pp. 20-25, figg. 1-8); la scoperta fortuita di alcuni oggetti micenei ad Eretria, che conferma le ipotesi precedentemente espresse dagli studiosi in favore di uno stanzialI'ento miceneo sull'Acropoli di Eretria (P. THEMELIS, p. 26, figg. 1-4). Sempre dall'Eubea, ad una trentina di chilometri da Calcide, sono stati rinvenuti, in tombe a camera, vasi risalenti al TE illI B e C (E. TSIRIVAKOS, pp. 30-31, figg. 1-4). I risultati dell'ultima campagna di scavo (1968) condotta a Sesklo da D. THEOCHARlS hanno permesso di precisare alcuni particolari dd neolitico .tessalico (pp. 32-J6, figg. 1-2); in una località presso Crannone di Larissa, in Tessaglia, è stato infine rinvenuto un interessantissimo modello fittile di edificio, forse di culto, databile al medio periodo neolitico (G. CHOURMOUZIADIS, pp. 36-39, figg. 1-3). Negli riguardano il mondo egeo: una nota di St. tALEXIOU (pp. 84-88, figg. 1-4), che in base a confronti col mondo egizio interpreta come aste che reggono stendardi alcuni oggetti, prima fraintesi, che appaiono su un sigillo di Zakro (fig. 1); la notizia rdativa alla scoperta di un insediamento preistorico nella Tessaglia occidentale, in località MayovÀ.a che ha prodotto in grande abbondanza ceramica monocroma, incisa e dipinta risalente all'epoca neo- litica e alla prima età dd bronzo (G. CHOURMOUZIADIS, pp. 93-95, figg. 1-2); infine, nella sezione intitolata xat un breve articolo di Sp. JAKOVIDIS sulle usanze funerarie dei Micenei (pp. 120-126, figg. 1-8). « AAA », II, 1969, 2. Tra le notizie degli scavi segnaliamo le scoperte di due piccole tombe a tholos, sul Monte Ossa in Tessaglia, una delle quali ha prodotto vario materiale dell'ultimo periodo miceneo (D. THEOCHARlS, pp. 165-167, figg. 1-2). Tra gli è un breve articolo di G. MYLONAS su vasi egei di diversa provenienza con raffigurazioni di uccelli (pp. 210-212, figg. 1-3); P. FAURE, già noto per le esplorazioni compiute nelle grotte cretesi, denca un folto gruppo di caverne, da lui denominate «di rifugio », individuate nella Creta occidentale, nell'eparchia della Canea (pp. 213-216); K. DEMAKOPOULOU pubblica una spada tardomicena (TE IJJ Cl B-C) trovata presso il villaggio di Paleokastro in Arcadia (pp. 226-228, figg. 1-2); infine P. THEMELIS presenta alcune statuette fittili frammentarie, di tipo minoico, rinvenute in circostanze piuttosto dubbie nei pressi di Olimpia (pp. 248-253, figg. 1-4): benché sia tutt'altro che inverosimile una presenza minoica ad Olimpia, il T., che ha compiuto personalmente indagini nd luogo dd ritrovamento, resta piuttosto scettico sull'autenticità dei reperti. « AAA », III, 1969, 3. Oltre ad una rassegna dei lavori compiuti a Tirinto, nella rocca inferiore e nella città bassa (GROSSMANN e altri, pp. 344-351, figg. 1-8: cfr. «Archaeologischer Anzeiger» 1969, 1, pp. 1-11), segnaliamo: notevoli rltrovamenti di ceramica mesoelladica sulla collina di San Demetrio, pr"sso Carpenisi, in posizione strategica tra la valle dello Sperchio e l'odierna Etolacarnania (G. EMMA- NUELIDIS, pp. 358-364, figg. 1-4); lo scavo di cinque tombe a camera presso il villaggio di Calamion (ad una quindicina di chilometri dalla Canea), che hanno prodotto ceramica, armi e strumenti databili al TM III A-B, tra cui particolarmente interessanti un vaso «doppio », certa- mente rituale, e una pisside, dd primo TM LII B, con la raffigurazone di un'enorme lira affian- cata da una figura maschile e circondata da corna sacrali, doppie asce, uccdli (G. TZEDAKIS, pp. 365-368, figg. 1-8). Tra gli una nota di Sp. MARINATOS (pp. 374-375, tav. a colori 1), su un inte-

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Libri ricevuti

ARCHEOLOGIA (a cura di Paola Càssola Guida)

«'Apxa~oÀ-oy~xà. 'A\lc1À-EX't'a È~ 'Alh}\lw\I» (<< AAA »), II, 1969, 1.

In questo numero, tra le notizie archeologiche, segnaliamo: la continuazione degli scavi nella tomba a tholos di Kazarma in Argolide (cfr. «AAA », I, 1968, pp. 236-238), che hanno prodotto interessanti reperti di gemme e di armi, la cui cronologia purtroppo non è precisata (E. PROTONQ­TARIOU-DEILAKI, pp. 3-6, figg. 1-7); l'individuazione di un luogo di culto mesoelladico (un altare riparato da due muretti nell'isoletta di Nissakouli nd golfo di Metoni) (.A. CHOREMIS, pp. 10-14, figg. 1-8); lo scavo della necropoli tardomicenea di Tanagra in Beozia (Th. SPIROPOULOS, pp. 20-25, figg. 1-8); la scoperta fortuita di alcuni oggetti micenei ad Eretria, che conferma le ipotesi precedentemente espresse dagli studiosi in favore di uno stanzialI'ento miceneo sull'Acropoli di Eretria (P. THEMELIS, p. 26, figg. 1-4). Sempre dall'Eubea, ad una trentina di chilometri da Calcide, sono stati rinvenuti, in tombe a camera, vasi risalenti al TE illI B e C (E. TSIRIVAKOS, pp. 30-31, figg. 1-4). I risultati dell'ultima campagna di scavo (1968) condotta a Sesklo da D. THEOCHARlS hanno permesso di precisare alcuni particolari dd neolitico .tessalico (pp. 32-J6, figg. 1-2); in una località presso Crannone di Larissa, in Tessaglia, è stato infine rinvenuto un interessantissimo modello fittile di edificio, forse di culto, databile al medio periodo neolitico (G. CHOURMOUZIADIS, pp. 36-39, figg. 1-3).

Negli l:xL\lMÀ-ap.o~, riguardano il mondo egeo: una nota di St. tALEXIOU (pp. 84-88, figg. 1-4), che in base a confronti col mondo egizio interpreta come aste che reggono stendardi alcuni oggetti, prima fraintesi, che appaiono su un sigillo di Zakro (fig. 1); la notizia rdativa alla scoperta di un insediamento preistorico nella Tessaglia occidentale, in località MayovÀ.a KOCTX~\léi, che ha prodotto in grande abbondanza ceramica monocroma, incisa e dipinta risalente all'epoca neo­litica e alla prima età dd bronzo (G. CHOURMOUZIADIS, pp. 93-95, figg. 1-2); infine, nella sezione intitolata 'Apxa~oÀ-oYLa xat Èx1taLSEVCT~ç, un breve articolo di Sp. JAKOVIDIS sulle usanze funerarie dei Micenei (pp. 120-126, figg. 1-8).

« AAA », II, 1969, 2.

Tra le notizie degli scavi segnaliamo le scoperte di due piccole tombe a tholos, sul Monte Ossa in Tessaglia, una delle quali ha prodotto vario materiale dell'ultimo periodo miceneo (D. THEOCHARlS, pp. 165-167, figg. 1-2). Tra gli l:XL\ls&.À-ap.o~, è un breve articolo di G. MYLONAS su vasi egei di diversa provenienza con raffigurazioni di uccelli (pp. 210-212, figg. 1-3); P. FAURE, già noto per le esplorazioni compiute nelle grotte cretesi, denca un folto gruppo di caverne, da lui denominate «di rifugio », individuate nella Creta occidentale, nell'eparchia della Canea (pp. 213-216); K. DEMAKOPOULOU pubblica una spada tardomicena (TE IJJ Cl B-C) trovata presso il villaggio di Paleokastro in Arcadia (pp. 226-228, figg. 1-2); infine P. THEMELIS presenta alcune statuette fittili frammentarie, di tipo minoico, rinvenute in circostanze piuttosto dubbie nei pressi di Olimpia (pp. 248-253, figg. 1-4): benché sia tutt'altro che inverosimile una presenza minoica ad Olimpia, il T., che ha compiuto personalmente indagini nd luogo dd ritrovamento, resta piuttosto scettico sull' autenticità dei reperti.

« AAA », III, 1969, 3.

Oltre ad una rassegna dei lavori compiuti a Tirinto, nella rocca inferiore e nella città bassa (GROSSMANN e altri, pp. 344-351, figg. 1-8: cfr. «Archaeologischer Anzeiger» 1969, 1, pp. 1-11), segnaliamo: notevoli rltrovamenti di ceramica mesoelladica sulla collina di San Demetrio, pr"sso Carpenisi, in posizione strategica tra la valle dello Sperchio e l'odierna Etolacarnania (G. EMMA­NUELIDIS, pp. 358-364, figg. 1-4); lo scavo di cinque tombe a camera presso il villaggio di Calamion (ad una quindicina di chilometri dalla Canea), che hanno prodotto ceramica, armi e strumenti databili al TM III A-B, tra cui particolarmente interessanti un vaso «doppio », certa­mente rituale, e una pisside, dd primo TM LII B, con la raffigurazone di un'enorme lira affian­cata da una figura maschile e circondata da corna sacrali, doppie asce, uccdli (G. TZEDAKIS, pp. 365-368, figg. 1-8).

Tra gli l:xL\lMÀ-ap.o~, una nota di Sp. MARINATOS (pp. 374-375, tav. a colori 1), su un inte-

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ressantissimo frammento di affresco da Thera, su cui è rappresentata la testa di un africano; un breve articolo di G. MYLONAS (pp. 375-376, fig. 1), in cui si connette una coppa d'argento orlata d'oro, da Micene, con le descrizioni omeriche di oggetti simili; un articolo di Efi SAPOUNA SAKELLARAKI (pp. 399-406, figg. 1-7), sulle varie tecniche del rilievo minoico (assai poco studiato, dopo l'articolo di K. MULLER in «JdI » 30, 1915, pp. 242-336), sui materiali usati e sui soggetti rappresentati; la pubblicazione di un modello in tufo di casa preistorica da Melos, a pianta rettan­golare e col tetto arrotondato, databile con probabilità aU',Antico Cicladico (F. ZAFIROPOULOU, pp. 406-408, figg. 1-4); una nota di St. IALEXIOU (pp. 429-434, figg. 1-3) in cui una figura maschile su sigillo TM IiI viene messa a confronto col famoso rilievo cnossio del « Principe dei Gigli », a sostegno della datazione dell'Evans {TM I}.

Nella sezione 'APXGtLOÀOYLGt xGtt ÈX7tGtUiEUC)Lç segnaliamo un articolo di G. KORRÉS, in cui si discute dell'importanza, anche psicologica, che l'elmo doveva avere per i guerrieri micenei, e si enumera una serie di monumenti cretesi e continentali in cui appare l'elmo con pennacchio o con corno (pp. 446-455, figg. 1-7); e infine una nota di Sp. JAKOVIDIS sulle mura cosiddette « ciclopiche », sulla loro tecnica e la loro struttura {pp. 463-468, figg. 1-6}.

J. BOARDMAN, The Danicourt Ring, « Revue archéologique» 1970, 1, pp. 3-8, figg. 1-5.

L'A. pubblica un anello d'oro, prima noto solo da un disegno (« RA» 1874, 1, p. 238 S., tav. 4, 44), passato dalla collezione privata Danicourt al municipio di Péronne. Si tratta di un pezzo molto importante, che sembra appartenga alla stessa mano dei due anelli dal «Tesoro» dell'Acropoli di Micene {datato all'inizio del TE LI}. Nel castone è raffigurata l'uccisione di due leoni da parte di due uomini armati di spade; la scena si dìstingue da altre analoghe del mondo miceneo per l'originalità della composizione e la novità di alcuni particolari {ad esempio il leone che morde il braccio dell'uomo.}

K. BRANIGAN, Early Aegean Hoards of Metalwork, « ABSA », 64, 1969, pp. 1-11, fig. 1-2.

L'A. attira l'attenzione su quattro depositi di utensili bronzei della prima età del bronzo, provenienti da Creta e da Nasso, e li pone a confronto con altri quattro depositi, studiati dal Renfrew {« A}A» 71, 1967, p. 9}, rinvenuti a Kythnos e nella Grecia continentale.

British Archaeology Abroad, 1969, «Antiquity» XLIV, 175, Setto 1970, pp. 186-187.

Brevi notizie sugli scavi condotti dagli archeologi inglesi a Lefkandi in Eubea, nell'area dell'insediamento miceneo e in due necropoli, in uso dal Tardo Miceneo al Protogeometrico; a Cnosso, in livelli neolitici e anticominoici, e nell'abitato preistorico di Sitagroi-Photolivos, in Tracia.

J.M. FOSSEY, The Prehistoric Settlement by Lake Vouliagmeni, Perachora, «ABSA» 64, 1969, pp. 53-69, figg . 1-8, tav. 16.

Un'indagine condotta sulla stretta striscia di terra che separa il lago di Vouliagmeni dal mare ha rivelato un abitato più ampio di quello di cui già il Payne {Perachora I, 9} supponeva l'esi­stenza. Vi si sono potute identificare almeno tre fasi, databili alI'Elladico Antico I, al successivo periodo di transizione, e all'inizio dell'Elladico Antico II. Lo scavo promette di fornire nuove informazioni assai utili per precisare la cronologia dell'Elladico Antico, finora basata principal­mente su Lerna.

ELISABETH FRENCH, A Group of Late Helladic III B 2 Pottery from Mycenae, «ABSA» 64, 1969, pp. 71-93, figg. 1-12, tavv. 17-19.

L'A. colma una lacuna nel campo degli studi di ceramica micenea, illustrando un gruppo di vasi provenienti dall'area denominata Perseia Trench L; di tali vasi vengono messi in luce con chiarezza i particolari delle forme e delle decorazioni che permettono una precisa definizione cronologica nell'ambito del TE III B2.

ELISABETH WACE FRENCH, The First Phase of LH III C, « Archaeologischer Anzeiger », 1969, 2, pp. 133-136, figg. 1-14.

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226 Bibliografia

L'A. si propone, alla luce di materiali recentemente rinvenuti a Micene e Tirinto, di dare una chiara definizione della ceramica TE 1IiI Cl (che ha dato luogo a divergenze tra gli studiosi anche a proposito del problema della terminologia), indicandone i lineamenti caratteristici.

G. GAUCHER, Une cnémide mycénienne découverte près de Paris, «Archeologia» 34, 1970, pp. 26-29.

È segnalata qui la scoperta fortuita, avvenuta nei pressi di Parigi (a Cannes-Écluse presso Montereau), di un deposito di bronzi, tutti assai frammentari, tra cui uno schiniere di forma ellittica, caratteristica degli esemplari dell'epoca del bronzo. A proposito di quest'ultimo ecce­zionale reperto, - di cui è fornita una fotografia (pubblicata a rovescio, a p. 27), eseguita dopo il restauro, senza descrizione né misure, - l'A. si limita a porre il problema se sia un pezzo importato oppure fabbricato in situ, e, nel primo caso, se si tratti d'importazione dall'ambiente miceneo o dall'Europa centro-orientale, da cui provengono altri esemplari simili. Rispondere a questo quesito è difficile per mancanza di dati sulle circostanze della scoperta e sulla natura degli oggetti rinvenuti insieme con lo schiniere; tuttavia, prescindendo dal modo e dall'epoca in cui l'oggetto è capitato nella regione di Parigi, mi sembra lecito avanzare un'ipotesi sul luogo di fabbricazione. Il sistema mediante il quale lo schiniere veniva fissato alla gamba non trova riscontro nel mondo miceneo, ma è identico a quello usato, ad esempio, nell'esemplare di Rinyaszentkiraly, in Ungheria (cfr. MARI]A GIMBUTAS, Bronze Age Cultures in CentraI and Eastern Europe, 1965, p. 341, fig. 236): il margine della lamina appare ribattuto verso l'esterno, in modo da formare un orlo tubolare in cui passa un filo metallico; questo, sui lati verticali, esce dalla cavità in cui è inserito, e forma, a intervalli regolari, una serie di occhielli, (cinque per parte), nei quali passavano i legacci che fissavano lo schiniere.

Si potrebbe pertanto supporre, in attesa di dati più precisi sul ritrovamento, che lo schini.!re di Parigi appartenga, piuttosto che al gruppo miceneo, al gruppo europeo che è un po' più recente dell'altro e certamente ne risenti l'influsso.

A. HARDING, G. CADOGAN, R. HOWELL, Pavlopetri, an Underwater Bronze Age Town in Laconia, «ABSA» 64, 1969, pp. 113-142, figg. 1-16, tavv. 24-33.

Nel 1967 fu scoperto un insediamento sommerso, probabilmente databile all'età del bronzo, sulla costa meridionale della Laconia, presso l'isoletta di Pavlopetri. Le indagini, condotte dal Cambridge Underwater Exploration Group, hanno permesso di tracciare la pianta della città e di individuare una serie di tombe a cista e a camera. Benché non siano ancora stati effettuati scavi, sulla base del materiale raccolto sporadicamente si è potuta attribuire una datazione provvisoria all'insediamento, che sembra sia fiorito tra il Bronzo Antico e il Bronzo Recente.

L'interessante articolo, che apre nuove prospettive allo studio dell'età del bronzo laconica, è corredato da ottime piante e da un'ampia serie di fotografie sottomarine.

H. HOFFMANN - H.G. BucHHoLz, Erwerbungsbericht des Museum fur Kunst und Gewerbe Hamburg 1963-1969, «Archaelogischer Anzeiger» 1969, 3 (1970), pp. 318-320, figg. 1 a-d.

Tra le nuove acquisizioni del Museo vi è un recipiente di rame a forma di teiera panciuta, proveniente dall'Eubea, che si allinea con la produzione cicladica della media età del bronzo (seconda metà del 18° sec. o prima metà del 17° sec. a.C.).

J. L. HUOT, La diffusion des épingles à tete à double enroulement, « Syria » XLVI, 1969, pp. 57-98, figg. 1-5.

L'A. ha svolto una ricerca accurata sulla tipologia e la diffusione degli spilloni con testa a doppia spirale. Questi spilloni, che sono stati rinvenuti su di un'area assai estesa, nella valle del Danubio, in alcune località dell'Egeo e in varie zone del Vicino e Medio Oriente fino all'Indo, presentano una certa uniformità d'aspetto, differendo l'uno dall'altro solo in alcuni dettagli; l'A. li divide in 3 tipi (A, B, Cl con vari sotto tipi, raggruppando nel tipo X i casi particolari. Poiché i rinvenimenti si concentrano soprattutto nelle steppe a Est del Mar Caspio, si è indotti a credere che in quelle zone, verso la seconda metà del terzo millennio a.C., si sia originato questo

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tipo di spillone, poi diffuso in due direzioni: verso la valle dell'lndo (debolmente) e, soprattutto, verso Ovest, fino ai Balcani, con la massima concentrazione nel basso Danubio. Esemplari del tipo A e del tipo C sono stati rinvenuti a Syros, Zygouries, Sparta e Egina.

TH. W. JACOBSEN, A Group of Early Cycladic Vases in the Benaki Museum in Athens, « Archeologischer Anzeiger» 1969, 3 (1970), pp. 233-242, figg. 1-9.

Studio e catalogazione di un gruppo di recipienti in terracotta e marmo, risalenti in massima parte al Cicladico Antico I, acquisiti dal Museo Benaki nel 1930.

u. JANTZEN (und Mitarbeiter), Tiryns 1968, «Archeologischer Anzeiger» 1969, 1, pp. 1-11, figg. 1-15.

Le ricerche nella rocca inferiore hanno prodotto risultati interessanti, in quanto mediante vari metodi esplorativi, si sono controllati dati e rilievi di scavi precedenti.

Le indagini di scavo sono continuate nell'area della rocca inferiore, dove è stata scoperta una serie di edifici databili tra il TE 1IJ B e il liII C. Nella zona Nord-orientale della cinta sono state messe in luce delle stanze appartenenti certamente a costruzioni preesistenti alle mura, e si è delineato chiaramente l'ingresso settentrionale dell'Acropoli, con un posto di guardia finora ignoto. Altri scavi, effettuati sulla strada Nauplia-Argo, ad Ovest dell'Acropoli di Tirinto, hanno prodotto materiale ceramico appartenente alle fasi dal TE I al TE HJ Al.

M. POPHAM, The Late Minoan Goblet and Kylix, «ABSA» 64, 1969, pp. 299-304, figg. 1-13, tav. 64.

L'A. studia l'evoluzione della coppa profonda e della kylix cretesi, finora poco note in confronto alle corrispondenti forme di vasi micenei.

CL. F. A. SCHAEFFER, Chars de culte de Chypre, «Syria» XLVI, 1969, fasc. III-IV, pp. 267-276, tavv. XVIII-XXI, figg. 1-3.

A Enkomi, nel corso dell'esplorazione di una serie di pozzi usati soprattutto nell'età del bronzo recente (,Enkomi recente 1-111), è apparso un deposito di armi e utensili di bronzo, tra cui un piccolo carro cultuale con toro condotto al sacrificio, ricostruito da vari frammenti. Il reperto, databile tra la fine del XUI sec. e l'inizio del XLI, ha offerto la possibilità di precisare la cronologia e confermare la provenienza cipriota di due carri simili, conservati da lungo tempo al Museo del Louvre.

W. D. TAYLOUR, A Note un the Recent Excavations at Mycenae and the Scheme Proposed for Their Publication, « ABSA » 64, 1969, pp. 259-260.

L'A. fa il punto della situazione degli scavi condotti negli ultimi anni sull'Acropoli di Micene, e propone di cambiare la designazione di «Citadel House », attribuita provvisoriamente dal Wace all'area dell'Acropoli a Sud del circolo Schliemann, con quella di «House with the [dols », data l'importanza della recente scoperta in quest'area di grandi idoli fittili.

W. TAYLOUR, New Light on Mycenaean Religion, « Antiquity » XLIV, 1970, pp. 270-280, figg. 1-2, tavv. 38-42.

L'A. riferisce su due edifici nell'area della «casa di Wace» (o «casa della cittadella ») a Micene (sulla terminologia v. art. prec.), in uso almeno dal 1250 fino a circa il 1220, e destinati esclusivamente al culto, per cui è legittimo definirli «templi ». In quello situato a oriente (che comprende tre vani principali: un vestibolo, la «stanza delle piattaforme» e la «stanza degli idoli »), si sono trovati idoletti numerosi, vari nelle dimensioni (fino a 60 cm. di altezza), negli atteggiamenti e nelle fisionomie. Vi sono anche teste di serpente e di altri animali. Più complesso è l'edificio occidentale; da un'anticamera si accede alla «stanza dell'affresco », sui cui lati corti si aprono altri due vani. Secondo l'attuale interpretazione del Taylour (che già aveva riferito sul­l'argomento in «Antiquity» 1969, pp. 95-97), l'affresco raffigura due uomini e una donna

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(sulla destra) e due dee, una al centro, in posizione dominante, una sulla sinistra; di fronte a quest'ultima, un animale non identificabile. Tra gli oggetti rinvenuti in questo tempio spiccano due avori, un leone (18 cm.) e una testa di giovane uomo (6 cm.), oggetti finora unici, se non altro per le dimensioni, nell'arte micenea.

Il T. attira l'attenzione sulla presenza dei serpenti (almeno 17): questi animali, associati nella religione greca ai culti ctonii, sono al loro posto in un santuario costruito sulla roccia viva (anzi, intorno ad una roccia, che il T. ritiene sia stata considerata sacra per se stessa).

K. A. WARDLE, A Group 01 Late Helladic III B 1 Pottery Irom within the Citadel at Mycenae, «ABSA» 64, 1969, pp. 261-297, figg. 1-12, tav. 60-63.

È il primo di una serie di articoli su gruppi di vasi prodotti dai recenti scavi dell'Acropoli di Micene (dalla «House with the Idols »). Dopo aver accennato al luogo e alle circostanze del ritrovamento del deposito che è oggetto del suo studio, l'A. fornisce un'accurata descrizione del materiale ceramico, dipinto e non dipinto, che sembra ricopra tutto l'arco del periodo TE liDI BI; la documentazione è completata da una ricca serie di disegni e di fotografie.

MARTHA Hum WIENCKE, Banded Pithoi 01 Lerna III, «Hesperia» XXXIX, 2, 1970, pp. 94-110, tavv. 19-30.

L'A. studia i pithoi e i focolari ornati con fasce di elementi impressi o incisi, catalogandoli tipologicamente in base ai motivi decorativi dei cilindri usati per le impressioni. Tale categoria di oggetti è caratteristica dell'Antico Elladico l,I e trova confronti, nell'Argolide, in esemplari di Zygouries, Asine, Tirinto, Berbati.

STORIA (a cura di FILIPPO CÀSSOLA)

A. J. BUCK, The Mycenaean 'Time 01 Troubles, «Historia », XVIII 1969, pp. 276-98.

L'A. ricorda i dati archeologici sulla crisi del mondo miceneo alla fine del Tardo Elladico III B (distruzioni, incendi, saccheggi). Osserva che alcune zone restano, nel TE IU C 1, deserte; in altre invece si ha un afflusso di popolazione. Queste ultime (definite «aree rifugio ») sono l'Attica, l'Argolide orientale, l'Acaia, l'Elide, la Laconia meridionale. Nel TE III C 2 i rapporti fra i centri abitati sono molto ridotti, e si sviluppano tradizioni artistiche locali; ha inizio un lento processo di ripopolamento.

L'A. esamina quindi un gran numero di tradizioni letterarie concernenti lotte interne, e invasioni dall'esterno, alla fine dell'età eroica, nell'intento di individuare un complesso di miti i cui caratteri (sviluppo, connessione e successione degli eventi) possano coincidere coi dati dell'archeologia. Egli vede questa coincidenza nelle notizie concernenti: a) scorrerie di Traci nella Grecia nordorientale; b) i primi tentativi degli Eraclidi verso il Peloponneso (fine del TE III B); ulteriori attacchi degli Eraclidi; infine (UI C) graduale diffusione dei nuovi venuti.

B. C. DIETRICH, Peek Cults and tbeir Piace in Minoan Religion, «Historia », XVIII 1969, pp. 257-275.

Ampia e documentata rassegna dei luoghi in cui riceveva culto una divinità femminile delle vette montane, a Creta. I dati si estendono generalmente per tutto il periodo mediominoico; raramente raggiungono il Tardo Minoico I, eccezionalmente il TM III. I- santuari, noti in parte direttamente, in parte attraverso raffigurazioni su rhytà, presenterebbero analogie evidenti con le sedi dei culti domestici o palaziali, e analogie meno evidenti coi culti in grotte: l'A. suppone che la divinità venerata fosse la stessa in tutti e tre i casi, e suggerisce uno sviluppo dai culti originari in grotte a quelli sulle vette, e infine ai santuari domestici. Frequenti sono le offerte votive (ceramica) che rappresentano esseri umani, animali, talvolta singole membra. Peculiari del culto montano sono le figure di animaletti dannosi all'agricoltura (topi, donnole, porcospini), offerte evidentemente a scopo apotropaico. Il Dietrich pensa a una dea della

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natura, ma non le attribuisce la posi~ione della «Grande Madre» anatolica, Cloe un primato assoluto nel culto. Si tratterebbe invece di una fra molte altre divinità, tutte legate al mondo animale e vegetale, ma con attribuzioni distinte. L'ipotesi è, come tale, accettabile. Non si può tuttavia seguire l'A. quando ritiene, con eccessivo ottimismo, che la struttura del pantheon minoico si possa illuminare argomentando da quella del pantheon miceneo: comune ad ambedue sarebbe la «departmentalization of divine function» (p. 272).

o. HAAS, Das Problem der Herkunft der Phryger und ihrer Beziehungen zu den Balkanvolkern, «Acta antiqua Acaclemiae scientiarum Hungaricae », XVIII 1970, pp. 31-69.

L'articolo si collega al volume precedente dello Haas (Vie phrygischen Sprachdenkmiiler, Sofia 1%6) ed è in sostanza una cortese polemica coi recensori di esso. L'A. tratta prevalente­mente problemi linguistici. ~ opportuno tuttavia segnalare qui l'ipotesi che si debbano distin­guere due migrazioni frigie : la prima (di poco posteriore alla caduta dell'impero ittita) portò all'insediamento nella Frigia Maggiore; la seconda (IX sec. a.c.) all'insediamento nella zona del Sangario e del «Lago Ascanio» (poi Lago di Nicea), l'unico noto ad Omero. D'altra parte, chi accetti la classica ipotesi di una totale o parziale identità tra i Gasgas delle fonti ittite, e i Frigi (Goetze), o sia disposto a riconoscere il carattere frigio di Troia VI, riterrà che la migra­zione sia stata ancor piu articolata, e abbracci un arco di tempo ancora maggiore di quanto ha proposto lo Haas.

L'A. sostiene che il nome Frigi fu dapprima portato solo dal gruppo stanziato sul Sangario, ch'egli considera l'ultimo arrivato; solo piu tardi si sarebbe esteso agli abitanti della Frigia Maggiore. Tuttavia, se si tengono presenti nomi come BÉapUXE<;, BEpExvv'"t"aL, BEpÉXOV'"t"E<;, e si ammette con Eduard Meyer (Gesch. des Altertums, I 27 [1954], p. 728) che essi vanno collegati a CIlpUYE<;, BpUYE<;, BplYE<; (cf. anche HESYCH. apÉxvv· '"t"òv BpÉxvv'"t"a, '"t"òv CIlpvya x'"t"À..), si può anche supporre che questi etnici, per subire alterazioni cos1 profonde, debbano essere stati usati in Asia Minore per molto tempo, cioè già prima della caduta dell'impero ittita (lo Haas, invece, collega BEpÉXVV'"t"E<; a Berg ecc.).

J . T. HOOKER, Homer and Late Minoan Crete, « Journal of Hellenic Sturues », LXXXIX 1969, pp. 60-71.

L'A. considera nuova la teoria secondo cui Creta era occupata dai Micenei nel Tardo Minoico III, e si propone di verificare se i dati archeologici la confermano. La sua conclusione è totalmente negativa.

Va ricordato che la tesi del dominio miceneo su Creta dal XLV sec. in poi non è affatto nuova: risale almeno a Eduard Meyer e al Beloch ed è stata considerata ovvia da varie generazioni di studiosi. Nuova, se mai (ma solo relativamente all'altra) è la tesi che sposta l'inizio del dominio miceneo, particolarmente a Cnosso, alquanto indietro nel Tardo Minoico III: cioè al 1450 circa, o, secondo le ultime formulazioni (S. Dow, cito da C.G. Thomas nell'art. recensito piu oltre), al 1480. Questa tesi, anticipata dalle osservazioni di A.].B. Wace sulla ceramica di Cnosso, è stata confermata dalla decifrazione dei testi in lineare B, quasi venti anni or sono; sicché ad alcuni potrebbe sembrare che sia meglio dedicare le proprie energie ad altri problemi. Peraltro, è giusto che tutte le teorie siano sottoposte a continua revisione, altrimenti diventerebbero dogmi.

A mio avviso, comunque, gli argomenti dello Hooker non sono sufficienti a scuotere le basi della communis opinio. Si può. ammettere che la ceramica del TM H L A 2 sia nettamente indi­viduata rispetto a quella del Miceneo IiII A 2; ma ciò potrebbe dimostrare solo che il concetto di XOLvf) micenea non va inteso in senso troppo rigido. 11 fatto che la ceramica cretese presenti una tradizione artistica ininterrotta dal TM lI!I fino all'età del ferro, ricordato dall'A. come prova contro l'insediamento miceneo, può essere interpretato in senso contrario; anzi in passato, quando mancavano altri dati, era proprio l'argomento principe a favore della conquista micenea: perché nell'età del ferro a Creta ci sono i Greci. Non è decisiva l'assenza di affreschi nel TM ,ILI, epoca di decadenza e di miseria; tanto piu se si tiene presente che gli affreschi del periodo precedente, a Cnosso, per alcuni loro aspetti (p. es. l'interesse per le armi) sono apparsi ad altri studiosi prova di un'influsso miceneo. Può darsi che nelle tombe cretesi le figurine votive, tanto comuni in Grecia, scarseggino, ma esistono, e sono di tipo miceneo. Nel TM HIl, secondo l'A., manche­rebbero anche «grandi tombe a tholos »; tuttavia le tombe a tholos cretesi datate al TM III sono parecchie, e non credo che le dimensioni siano un argomento di rilievo; né è chiaro quale sia il limite fra dimensioni grandi e piccole.

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Nel momento in cui lo Hooker ha scritto il suo articolo, egli aveva ragione di considerare il culto in piccoli santuari come una caratteristica del TM 1H in opposizione alla penisola greca (la cosa si potrebbe spiegare comunque osservando che, se i Micenei trovarono questi santuari in uso, è logico che abbiano continuato a usarli). Si veda ora, però, l'articolo di W. TAYLOUR, New Lighl on Mycenaean Religion, «Antiquity », XLIV 1970, pp. 270-280.

F. K. KIECHLE, Gotterdarstellung durch Menschen in den altmediterranen Religionen, « Historia », XIX 1970, pp. 259-271.

È noto che nel giorno del trionfo il comandante romano vittorioso assumeva l'abbliglia· mento di Giove. Ciò, secondo qualche autore, gli conferiva anche poteri soprannaturali; secondo l'ipotesi piu comune e piu plausibile, egli « rappresentava» il dio. Pure noto è che l'uomo addetto a sgombrare dall'arena i cadaveri dei gladiatori uccisi era vestito come Caronte; dunque, osserva il Kiechle, « rappresentava» Caronte. Poiché tanto i combattimenti dei gladiatori quanto, almeno in gran parte, il rituale del trionfo, sono di origine etrusca, l'A. riconduce alla religione etrusca la tendenza a vedere in uomini abbigliati come dei l'immagine vivente degli dei stessi. Egli richiama a questo proposito un episodio narrato da Livio (VLL 17,8): un esercito romano schierato contro i Falisci e i Tarquiniensi fu terrorizzato e volto in fuga dai sacerdoti etruschi che brandi­vano fiaccole e serpenti; munendosi di tali attributi i sacerdoti avrebbero impersonato una delle figure demoniache etrusche (secondo l'A., Vanth, che peraltro, in quanto divinità femminile, complicherebbe il problema).

Questo aspetto della civiltà etrusca sarebbe la sopravvivenza di un'antichissima tradizione propria del mondo mediterraneo preindoeuropeo, e testimoniata anche a Creta. L'A. cita alcune figurazioni minoiche interpretate generalmente come immagini della «dea dei serpenti », e le spiega invece come sacerdotesse adornate con attributi divini, in rappresentanza della dea. Un altro aspetto della sopravvivenza di tale concezione sarebbe il famoso episodio di Pisistrato che ritornò in Atene accompagnato da una fanciulla vestita come Atena, e fu entusiasticamente accolto dai cittadini (Erodoto, I 60,3). Dunque, sebbene Erodoto, che deride lo stratagemma di Pisistrato, e gli ufficiali romani che nel 356 a.C. riuscirono a incoraggiare e a riordinare l'esercito in fuga, fossero estranei alla concezione primordiale, essa era ancora tanto radicata nelle masse da poter influire sul loro comportamento.

A. KOTHE, Apollons ethnokulturelle Herkunft, «KIio », LI! 1970, pp. 205-230.

Esamina i dati tradizionali su Apollo, giungendo alla conclusione che il dio è di origine non greca (è ostile ai Greci nell'made) e precisamente nordica (mito degl'lperborei). Temuto dai Greci che combattono a Troia, è invece venerato dai Tirreni (secondo Mirsilo, 477 ]AC. fr. 8) o Pelasgi (Dionisio di Alicarnasso, I 23 e 28, cf. Ellanico, 4 ]AC. fr. 4).

L'A. sostiene che i dati storici confermano pienamente la tradizione, perché Apollo non appare nel pantheon miceneo, mentre i Pelasgi sono presenti come nemici degli Achei nella guerra di Troia (B 840), e appaiono in Grecia come invasori, e come distruttori della civiltà micenea, tra il XII e l'XI sec. (p. 212-213). Il parallelismo non mi sembra tanto ovvio: i Pelasgi in Omero non sono « i nemici» degli Achei, ma solo uno dei tanti nomi che sporadicamente appaiono accanto a quelli dei Troiani e dei Dardani, e restano per noi puri nomi. D'altra parte, che i barbari invasori della Grecia micenea siano i Pelasgi, non è un dato storico; l'unico dato è che alcuni studiosi moderni hanno deciso di indicare quegli invasori col nome di Pelasgi (e fanno male, perché attribuire a un nome antico - che già per gli antichi significava parecche cose diverse e in parte a noi ignote - un senso nuovo e convenzionale, suscita confusione).

Tornando agl'lperborei, l'A. ritiene di poterli identificare con popolazioni prescitiche della zona a nord del basso Danubio e del Ponto, ma pensa che il loro collegamento con Apollo offra sulla provenienza del dio solo un'indicazione generica. Egli porrebbe piuttosto l'origine del culto nell'area del Medio Danubio (in particolare nella Pannonia e nelle zone circostanti) ove durante l'età del bronzo si adorava una divinità raffigurata su un carro tirato da cigni (p. 218-219).

Nelle ultime pagine, il Kothe pretende dal lettore una notevole dose di fiducia. Egli crede che tra le forme greche del nome Apollo la piu antica sia il tessalico "A"ltÀouv; di qui, siamo invitati a risalire a una forma * Apelun, e, dopo aver ammesso che l'a- è protetico, a un originario *Pelun. Questo Pelun si dovrebbe riconoscere in Plinus o Plynus, un eroe che guidò gli Sciti in Cappadocia, ove piu tardi sarebbe sorto il regno delle Amazzoni (Giustino n 4,1). E poiché Apollo in Grecia è "lt(x"tpl!ioc;, e padre di alcuni eroi eponimi (Ione, Doro) anche Pelun sarà il progenitore e l'eponimo di un popolo, battezzato «die Peluner» (cf. Paeligni, Pelasgi, Peleset, e chi piu ne ha piu ne metta). Infine a p. 226 una cartina delinea le migrazioni dei guerrieri

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Bibliografia 231

« peluni» nel XIII secolo, dal Medio Danubio all'Italia centrale, all'HIiria, alla Grecia e al­l'Asia Minore.

M. LE]EUNE, A propos de la titulature de Midas, in « Studi in onore di P. Meriggi », _ « Athenaeum », XLVII 1969, pp. 179-192.

Dopo aver elencato i dati greci sul termine Fava~ a partire dai testi micenei (limitatamente all'accezione politica: escludendo cioè il linguaggio del culto), l'A. ricorda i documenti frigi sullo stesso termine. Abbiamo il dativo vanaktei, riferito a un Mida, nella seconda metà del VI sec. a.C.; il composto modrovanak (coevo) offre la forma del nominativo; in età romana è attestato l'accu­sativo ouavax't'av. Si ammette generalmente che i Frigi abbiano accolto la parola greca; e come termintls a quo per il passaggio si indica l'VLII secolo, poiché da quest'epoca si fa sentire in Frigia l'influsso greco. Nell'VLLI sec., peraltro, lo ionico d'Asia aveva già perso il F; e si era pensato allora che il prestito fosse avvenuto tramite gli Eoli. Il Lejeune preferisce risalire all'età micenea, in cui è attestato l'uso effettivo di Fava~ come titolo regale (in Omero Fava~ è solo un appella­tivo onorifico, e piu tardi scompare del tutto, eccettuato il caso eccezionale di Cipro). Anche la difficoltà costituita dalla presenza di v- iniziale nella forma frigia sarebbe cOSI eliminata.

Nello stesso testo che ci dà vanaktei, e in riferimento allo stesso Mida, si trova, sempre al dativo, un altro titolo, finora letto lavaltaei: ma il Lejeune con argomenti persuasivi propone di leggerlo invece lavagtaei. Il termine è senz'altro da avvicinare al miceneo )..'{i.FdyÉ't'dç, parola praticamente scomparsa nel greco postmiceneo sebbene non ignota alla lingua letteraria. La coesi­stenza dei due titoli conferisce notevole forza di persuasione all'ipotesi del Lejeune circa un influsso della terminologia politica micenea sul frigio. L'A., d'altronde, presenta le sue conclusioni con la cautela che costituisce un caratteristico aspetto del suo metodo.

D. LEVI, Sulle origini minoiche, «La parola del passato », XXIV 1969, pp. 241-264.

L'A. confronta due ricchi complessi di cretule (l'uno rinvenuto a Festòs e da lui stesso pubblicato, l'altro a Karahoyiik nella regione di Konia, in territorio probabilmente luvio), richia­mando anche il materiale analogo delle zone circostanti. Ambedue i complessi risalgono, in maggio­ranza, al XVIII: secolo. Dal confronto risultano impressionanti analogie di motivi e di stile; inoltre l'A. riesce a dimostrare che tanto i motivi quanto lo stile sono di origine orientale, e anche a rintracciare la via (Lìcia e Caria) attraverso cui essi hanno potuto raggiungere Creta. Lo studio del Levi porta dunque un'ulteriore conferma alla teoria, ormai largamente accettata, secondo cui nella Creta minoica lo strato dominante della popolazione era di origine e di cultura luvia.

G. E. MYLONAS, Legends and Archaeology, « 'Apxa~oÀ.oy~xà 'AvaÀ.Ex't'a É~ 'AD1}vwv», II 1969, pp. 69-72.

Cerca di ricostruire un paràllelismo fra i dati archeologici sulla storia della Grecia micenea, e le tradizioni sull'età eroica, talora manipolando queste ultime.

C. RENFREW, Wessex without Mycenae, «Annual of the British School at Athens », LXIII 1968, pp. 277-285.

L'A. attribuisce grande importanza alla revisione, attualmente in corso, dei dati cronologici offerti dal radiocarbonio. La revisione porta a date molto piu alte di quelle ottenute finora; il che, nell'ambito del mondo egeo, egiziano e asiatico elimina il contrasto fra la cronologia ottenuta col C 14 e quella basata sulle fonti. Nell'ambito dell'Europa centrale e occidentale, invece, l'adozione di date alte porta a correggere le opinioni tradizionali, dimostrando fra l'altro che la metallurgia è stata introdotta molto prima di quanto si riteneva. Andrebbero pertanto abbandonati alcuni sincro­nismi, finora ammessi, fra le prime culture del bronzo in Europa e la civiltà micenea. Queste conclu­sioni coinvolgono anche la cronologia del Wessex, sebbene qui manchino ancora i dati del C 14; il Renfrew propone le seguenti ipotesi: Wessex I, circa 2100-1900; Wessex Il, circa 1900-1700.

A. SACCONI, Gli Achei in età micenea e in Omero, « 2iva Antika (Antiquité vivante) », XIX 1969, pp. 14-19.

L'esistenza dei toponimi A-ka-wi-;a(-de) (a Creta) e A!71Jiiawa (in Asia Minore, probabil­mente Rodi), secondo l'A., esclude la possibilità che 'Axa~La possa indicare «tutto il regno miceneo », e che 'Axa~oL possa indicare tutti i Greci micenei. L'A. ammette che si possano chia­mare oggi «Achei» i Greci di et-à micenea, ma solo per convenzione. Si potrebbe tuttavia obiet-

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232 Bibliografia

tare che, in età classica, l'esistenza di una Doride a nord di Delfi non era incompatibile con l'uso dell'etnico Dori in Asia Minore, a Creta, nel Peloponneso e in Sicilia.

J. SARKADY, Die Theseus-Sage und die sog. Theseische Verlassung, «Acta antiqua Aca­demiae scientiarum Hungaricae », XVII 1969, pp. 1-10.

L'A. mette in rilievo le notevoli divergenze tra le fonti nella interpretazione di Teseo. Tucidide lo presenta come un monarca accentratore; la maggioranza delle fonti, e in particolare i tragici ateniesi, come un eroe democratico; Aristotele invece gli attribuisce la costituzione ante­riore a quella di Draconte, dunque una costituzione aristocratica. Secondo l'A., Plutarco segue Aristotele in tutto il passo sulla costituzione, e non solo dove il filosofo è citato direttamente (XXV ~). Il Sarkady si chiede quindi da quale fonte derivi la figura del Teseo aristocratico; e conclude che si tratta di una tradizione molto antica, elaborata e conservata dalle famiglie degli eupatridi ateniesi.

J. SARKADY, Heortologische Bemerkungen zur dorischen Urgeschichte, «Acta classica Universitatis scientiarum Debreceniensis », V 1969, pp. 7-19.

Dopo un breve cenno allo status quaestionis e alle fonti (dati archeologici, tradizioni), l'A., constatando i molti punti oscuri che ancora rimangono nella ricostruzione della protostoria dorica, si volge a esaminare le feste delle città doriche per trarne qualche indizio. Egli osserva che quasi tutte le feste comuni ai Dori sono attestate anche presso altri Greci (eccettuate le Carnee e le Hyakinthia), e cerca di definire l'ampiezza, l'intensità e la direzione dei contatti cOSI documentati. Conclude che l'ethnos dorico deriva dalla commistione di vari elementi, avvenuta nella penisola greca; e che la zona in cui si determinarono gli aspetti piu caratteristici della cultura dorica è la Grecia centro-orientale (fra la Ftiotide e l'Attica).

C. G. THOMAS, A Mycenaean Hegemony? A Reconsideration, «Journal of Hellenic Studies », XC 1970, pp. 184-192.

Come osserva l'A., gll studiosi che credono nell'unità politica del mondo miceneo (cioè nell'esistenza di uno stato, sia pure a struttura feudale, ma comprendente i territori di cultura micenea dalla Grecia all'Asia Minore attraverso le isole, e governato da un sovrano residente a Micene) sono di solito piu espliciti e risoluti nell'affermare la loro tesi, e piti disposti a esporre i loro argomenti, degli studiosi che non credono all'unità e pensano invece a molti piccoli regni indipendenti e talora anche discordi fra loro.

L'A. intende perciò sostenere la tesi del frazionamento politico, raccogliendo tutti gli elementi che militano a suo favore. Saggiamente, non insiste sugli archivi di Pilo e di Creta, che sono, da questo punto di vista, neutri: essi si riferiscono infatti esclusivamente all'amministrazione locale e da essi non può risultare se il Fa:va.1; sia indipendente o in condizioni di vassallaggio. A mio avviso, anche il frazionamento politico della Grecia arcaica e classica non dimostra nulla sullo stato di cose in età micenea. Altri argomenti sono di maggior peso. Anzitutto, la tradizione greca non conserva alcun ricordo di una primitiva unità; anzi l'Iliade la esclude esplicitamente. I, dati archeologici, inoltre, danno la prova di lotte feroci all'interno del mondo miceneo: basti citare la distruzione di Cnosso, già micenea, al principio del XIV secolo; nonché di Tebe e di Pilo intorno al 1300 (l'A. aggiunge anche la distruzione di Pilo intorno al 12.30, sul cui carattere « interno ~> , peraltro, non tutti gli studiosi sarebbero d'accordo). Infine, uno stato comprendente la Grecia continentale, Creta, Rodi, le isole minori, e tratti della costa anatolica, avrebbe avuto nella vita politica del Mediterraneo orientale un'importanza assai maggiore di quella attribuita all'AMijawa nei testi ittiti, e ai Keftiu nei testi egiziani.

J. WIESNER, Der Kiinstlergott Hephaistos und seine aussergriechische Beziehungen in kretisch-mykenischer Zeit, « Archaeologischer Anzeiger », LXXXIII 1969, pp. 167-173.

L'A. si richiama alla teoria, largamente ammessa, secondo cui Efesto è una divinità di origine preellenica, e accetta, da Filone di Biblo, l'identificazione tra Efesto e il dio fenicio Kusor, anch'egli artista e costruttore. Questo dio appare in un testo ugaritico del 1400 circa col nome di Koshar; gli si attribuisce come sede Kaftor, cioè Creta. 11 Wiesner rileva che non si conoscono culti di Efesto a Creta: se ne può tuttavia supporre l'esistenza sulla base di alcuni miti tardi e del nome A-pa-i-ti-jo attestato nelle tavolette di Cnosso e interpretato Hephaistios. ,Infine un passo del­l'Odissea (IV 615-619 = XV 115-119) collega Hesto alla Fenicia.

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Bibliografia 233

FILOLOGIA (a cura di Mario Doria)

1) Lineare B

A. BARTONEK, Greek dialectology alter the decipherment 01 Linear B, in « Studia My­cenaea» (Brno 1968) pp. 37-52, v. sopra p. 215.

A. BARTONEK, Mycenological activity in the Co:mtries 01 Eirene Committee, in « Studia Mycenaea » (Brno 1968) pp. 213-252, v. sopra p. 216.

M. BENAVENTE, Conjectura sobre las tablillas pilias de o-ro-me-no y su-ra-se, « ECI » XII (1968) pp. 307-309.

Le iscrizioni Ae constano di due gruppi di testi descriventi in qualche modo accidenti vari occorsi a sudditi del regno di Pilo. Quanto al gruppo caratterizzato dalla parola o-ro-me-no avrà probabilmente ragione il Gallavotti a leggere questa parola come OÀ.6[J.E\lOt; « ucciso» o anche « ferito, malmenato »; quanto alle tavolette contenenti la parola su-ra-se pare si tratti di denuncia di un ratto o violenza (per I1VÀ.!XW « rapire» cfr. Aesch. SuppI. 927, Eur. ReI. 600, AIe. fr. 298, 4 Pg.), compiuto su una donna di nome Me-tu-ra MEihJÀ.À.a, del quale risultano esecutori Ku-so-no, Ko-ro-;a-ta e Pi-ra-;o (si noti come la denuncia venga formulata separatamente per ognuna delle tre persone indiziate del reato).

F. BIANCOFIORE, Problemi delle civiltà preclassiche egee ed anatoliche, « Cultura e Scuola» VI (1967) f. 23, pp. 31-36.

Rassegna dei principali studi, soprattutto filologici e storici, sulla civilnà micenea e le civiltà anatoliche condotti in Italia nell'ambito della collana « Incunabula Graeca» (volI. I-XX) diretta da C. Gallavotti.

F. BIANCOFIORE, Problemi della civiltà della Magna Grecia, « Cultura e Scuola» VII (1968) f. 26, pp. 50-55.

Si fa particolare riferimento all'età precoloniale, ossia al periodo degli influssi minoico­micenei in Italia, e alla sua trattazione nei primi tre Congressi tarentini.

R.J. BUCK, The Aeolic dialect in Boeotia, « CPh» 63 (1968) pp. 268-280.

li dialetto beotico non è un dialetto « misto» nato dalla superposizione di elementi dialet­tali nord-occidentali su sfondo eolico, bensl rappresenta l'insediamento in epoca submicenea (Elladico Tardo LI! C) di genti originariamente viventi più a Settentrione (Tessaglia) e parlanti fino ab antiquo un dialetto « di transizione» tra l'eolico e il greco Nord-Occidentale. In epoca anteriore, ossia in piena età micenea, in Beozia si parlava un dialetto greco di tipo « orientale» (la lingua della Lineare B) dialettalmente ancora indiviso, ossia assai poco differenziato, anche se territorialmente scisso in tre rami, quello del Peloponneso, quello della Grecia Centrale e quello tessalico. Il secondo ramo è quello che più tardi si definirà « ionico », e difatti, a dar retta alla storiografia greca, Ioni vivono ancora, in epoca classica, sia ai margini del mondo eolico (ad es. ad Oropo) sia, in condizione di sottomissione, a Tebe stessa. Si esclude dunque che in Beozia, durante il periodo miceneo, si parlasse un dialetto eolico, essendo l'epoca micenea, oltrettutto, anche da quanto risulta dai reperti archeologici, epoca di prevalente uniformità culturale (quindi linguistica).

S. CALDERONE, Re1Jtarques sur l'histoire de quelques idées politiques de Mycènes à Homère, « Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 125-129. V. sopra p. 212 (e v. anche «SMEA» XII (1970) p. 204).

J. CHADWICK, L.R. PALMER, A. MORPURGO, L.J.D. RICHARDSON, Studies in Mycenaean Inscriptions and Dialect, XII (1966), London, Institute of Classical Studies, 1968.

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I. CHIRASSI, Elementi di culture precereali nei miti e riti greci, Roma, Ediz. dell'Ateneo 1968 (<< Incunabula Graeca» XXX).

I. CHIRASSI, Dea Dia e Fratres Arvales, «SMSR» 32 (1968) pp. 191-291.

La dea Dia, nominata in un Atto dei Fratres Arvales nel 14 d.Cr., costituisce l'elemento più saliente di un culto molto antico sopravvissuto a stento fino alla prima età imperiale e resti­tuito a nuova dignità dalla politica religiosa di Augusto. Essa pare si debba confrontare con analoga divinità greca, attestata sotto la forma di-wi-ja o di-u-ja nelle tavolette micenee di contenuto religioso e sotto la forma epigrafica .o.IA in un culto dell'età classica di Fliunte, e nominata più volte (forme .o.La. e .o.i:a.) nel mito quale paredrsos di Zeus e antagonista di Era. Questa identifi­cazione si può spiegare in due maniere diverse, o come fatto ereditario indoeuropeo comune ad ambedue i popoli, il latino e il greco, o, eventualmente, come antichissimo prestito dal greco al latino effettuatosi ai tempi dei primi influssi micenei in Lazio secondo quanto suggeriscono i dati di una recente scoperta archeologica (Luni sul Mignone). L'ipotesi è piuttosto audace, data l'esi­guità dei reperti in questione; una riprova di ciò si dovrebbe, perciò, cercare esaminando l'equa­zione dal lato linguistico, vedendo cioè se sia possibile stabilire se la forma Dia risalga diretta­mente all'ie. o non sia piuttosto un prestito greco. Ma purtroppo questa volta una circostanza negativa, cioè il fatto che il v in latino posto fra due consonanti di timbro eguale cade (es. liibrum, ditis) e che un tanto avviene in epoca certamente posteriore alla presunta data del prestito dal miceneo, non ci consente di scegliere fra le due alternative. Anzi, se ne aggiunge una terza (accennata a p. 250 s. dall'Autrice), cioè che Dia sia stato rifatto in data piuttosto recente su Dius, dove, nuovamente, il v è caduto «lautgesetzlich ». Nel caso però che si riuscisse a dimostrare che il nome greco, come sembrano accennare la variante ortografica micenea di-u-;a e la variante mano­scritta .o.i:a., si rifaccia piuttosto a un ie. *diwYiJz che non ad un *diwiyii, allora senz'altro biso­gnerà ripiegare su due delle tre ipotesi: o Dia prestito dal greco (miceno o meno), o Dia femmi­nilizzazione di Dius. La terza alternativa (Dia direttamente dall'ie.) sarebbe da escludere per il semplice fatto che ie. j-~z diventa ja solamente nel greco. Detto in altre parole: i problemi storico­religiosi, per essere adeguatamente puntualizzati e risolti, hanno sempre bisogno dell'apporto della linguistica storico-comparativa.

G. DAUX, Chronique des fouilles 1967, «BCH» 92 (1968) p. 711 5S.

(p. 793 5S. e fig. 3 a p. 795) Relazione degli scavi effettuatisi sull'acropoli di Micene e annuncio della scoperta di una tavoletta iscritta (fig. 3 p. 795) della classe L, comportante tra l'altro la parola pa-we-az. Si tratta della prima tavoletta di Micene registrante tessuti.

(p. 861 ss.) Si torna a parlare della fortunosa scoperta delle tavolette 9i Tebe (1964), questa volta sulla base di un breve rapporto di Touloupa e Symeonoglou. I venti frammenti ricuperati farebbero parte di un archivio sito in prossimità di uno strato incendiato. A p. 857 (fig. 6) è riportata la fotografia di una tavoletta.

L. DEROY, Une nouvelle interpretation des tablettes «Oka» de Pylos, in «Studia My­cenaea» (Brno 1968) pp. 95-97, v. sopra p. 211.

L. DEROY, À propos du cadastre de Pylos e de la méthode en mycénologie, « ACI» 37 (1968) pp. 242-258.

Duro attacco dello studioso belga al suo conterraneo J.-P. Olivier, autore di un'altrettanta dura recensione al suo libro Le cadraste de Pylos, comparsa nell'annata 37 (1967) della stessa rivista (pp. 613-629). Il D. difende il suo metodo ermeneutico, caratterizzato, com'è noto, da notevoli audacie interpretative e fondato in buona parte sul metodo cosiddetto etimologico, che tanto dispiace all'Olivier, abituato a maneggiare i testi in Lineare B soprattutto dal lato paleogra­fico e strettamente « contestuale ». Interessante a p. 254 e s. l'osservazione che i quattordici tereta nominati in En609,2 non sono necessariamente da identificarsi col gruppo dei tredici tenutari di kotona kitimena nominati nelle registrazioni successive più un altro tenutario nominato in una tavoletta andata perduta. Il D. ritiene, piuttosto, che nessuna tavoletta è mancante e che il divario tra le due cifre è effettivo, in quanto il termine tereta è un titolo di altro genere, che non ha nulla che fare con l'ordinamento terriero e coi kotonookoi. L'assunto è originale, però non convince troppo: se questi tereta erano semplicemente una dignità, un semplice titolo posseduto da tredici qualsiasi dei quaranta personaggi successivamente elencati nel gruppo delle tavolette En, non si

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capisce come nell'economia di un catasto ossia di una registrazione di terre una rubrica acceso soria assumesse una posizione di cosi grande rilievo quale seconda riga dell'iscrizione En609.

M . DETIENNE, Remarques sur le ebar en Grèee, in «Problèmes de la guerre en Grèce ancienne» (Mouton, Paris 1968) pp. 313-318.

Il carro come mezzo di combattimento, a giudieare dai documenti in Lineare B, ebbe molta importanza nel mondo mieeneo. Il suo uso decadde col crollo dei palazzi, tanto da essere suc­cessivamente impiegato unicamente come mezzo di trasporto del combattente (v. Omero). La menzione nell'epos dell'uso antico, il quale prevedeva appunto anche combattimenti dal carro o scontri fra carri avversari, è eccezionale e deve essere considerata come una reminiscenza di un mondo ormai lontano nel tempo; cosi la menzione di Nestore conduttore di carri ecc. Lo scadi­mento della «charrerie» mieenea è dovuto oltre che a motivi tecnici (cavallo delle epoche suc­cessive non più ferrato, sella inesistente o inadeguata), anche alla scomparsa totale di quella parte dell'organizzazione sociale mieenea, la quale accudiva a tutta una serie di attività legate alla fabbri­cazione e manutenzione del carro e all'equipaggiamento del cavaliere. Una classe sociale legata in qualche modo al cavallo (gli hippeis) risorgerà un'altra volta in epoca classiea, ma oramai qui il ca· vallo sarà visto come ostentazione di ricchezza e di prestigio, non tanto come mezzo essenziale di combattimento.

Dialeetal elassifieatiol1 01 Myeenaean ilt tbe opmzon 01 various sebolars, In « Studia My­cenaea» (Brno 1968) pp. 157-206, v. sopra p. 216.

B.C. DIETRICH, Prolegomena to tbe study 01 Greek ettlt eontinuity, « Acta Classica (Cape Town)>> XI (1968) pp. 153-169.

La continuità in età classica del culto delle divinità maggiori del periodo mieeneo (Atena, Artemide, Posidone ecc.) è dovuta non solo alla sopravvivenza delle sedi (v. Eleusi) dei rispet­tivi culti, ma anche nella persistenza di antiehe comunità che amministravano tale culto nonché certi diritti comunitari riguardanti le leggi, la proprietà, l'ordinamento terriero ecc. La loro nom(:n­clatura e anche la loro significanza in vista del loro inserimento in un nuovo ordinamento politico (1a polis) è certo mutata (si parlerà infatti per l'epoca arcaica e classica di phylai, di phratriai e di gene), ma esse nella sostanza, ossia nella loro rappresentatività e funzioni, sono quelle medesime che in miceneo possiamo definire come «gruppo dei kotoneta », damos e «gruppo degli eqeta» (cfr. gr. class. hIXLpOL). Significativa soprattutto al riguardo la figura giuridica del damos, incen­trata attorno alla figura del tereta, una delle cui prerogative, quella di amministrare appunto il culto in seno alla predetta comunità, sopravvive fino al VI sec. presso gli Elei (cittadini suddivisi in etai, telestai e damos).

M. DoRIA, Les grapbies myeéniennes pour s + oeelusive initial de mot et de syllabe, in « Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 59-64, v. sopra p. 214.

M. DURANTE, Una legge di dissimilazione in greco, «AION Ung.» VIII (1968) pp. 17-29.

Esistono in mieeno e anche altrove nel greco d'età classica diversi casi di dissimilazlone di v-v (in sillabe consecutive), che passa ad V-L. Oltre ai i-65 = i-;u (cfr. il caso flesso i-;e-we) senz'altro < *v~uç «figlio », dovremo ricordare di-duomo Alov~oç (OLOV~Oç) non da *OFlov~oç (che in mieeneo si sarebbe scritto altrimenti), ma da *ou-ov~oç; i-su-ku-wo-do-to con un lcrXUC; precedente da u-crxuç (quindi diverso da FLcrXUç); gr. class. CPL't'V < *cpihv, XL\lOV\lOç < *XU'JOV\lOC;, forse anche 't'IX\lLcrcpVPOC;, 't'IX\lLcpVÀ.À.Oç per 't'IX\lucrcpVpoç, 't'IX\lUcpVÀ.À.oç e qualche altro meno chiaro La dissimilazione si effettua solo per v passato nella pronuncia ad /y/ e non avrebbe luogo nei casi in cui i due V o uno dei due vera ancora pronunciato /u/ (come appunto in certi dialetti oppure quando v è seconda parte di un dittongo: cfr. EvMç, EVpUç, TVOEUC;, CPV't'EUW invariati), oppure quando detti v sono ripartiti fra due termini di composto (es. crvsv~). Si conclude perciò con l'affermare che anche in mieeneo la vocale u era, verosimilmente, già passata alla pronuncia /y/ in accordo con l'esito dello ionieo più antieo.

1. FISCHER, Observations sur la notation des ocelusives en mycénien et dans les langues italiques, in « Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 65-70, v. sopra p. 214.

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VL. GEORGIEV, Quand le Grecs sont-ils venus en Crète? in TIE7tpaYIJ.Éva "OV W S~Él)vovr; KpT)"o).oy~xov l:vvESPLOV, voI. II (Atene 1968) pp. 40-43.

I Greci si sono stabiliti in Creta Centrale e Occidentale abbastanza tempo prima dell'epoca a cui risalgono le tavolette in Lineare B. Ne fanno fede i toponimi d'etimo chiaramente greco contenuti nelle tavolette stesse. Tesi senz'altro accettabile, anche se sull'ellenicità tout court di qualcuno di essi (come cI>a~cr .. 6r;, Ki-ri-jo-te, qa-mo e ri-jo-no) si debba alquanto dubitare. Quanto ad e-ra, piuttosto che al nome di divinità "Hpa, penserei ad ~pa «terra» (parola greca di più sicura origine indoeuropea, corradicale, tra l'altro di ted. Erde) e aggiungerei Au-ri-mo Ai.I).~IJ.or; (da av).+. «recinto ») e Ti-wa-ti-ja, probabile variante grafica del pilio Ti-nwa-ti-;a (quindi atr;, a~v6r; «spiaggia» con suffisso *-wlJt/wont).

M. GÉRARD-RoUSSEAu, Les mentions religieuses dans les tablettes mycenzennes, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1968. (<< Incunabula Graeca» voI. XXIX).

M. GÉRARD, Mycénien etiwe, aetito, in « Studia Mycenaea» (Brno 1968), pp. 103-104, v sopra p. 211.

L. GIL, El substrato pregriego: ojeada bistorica y panoramica actual, « ECI » XII (1968) f. 54, pp. 249-285.

Dopo una rassegna dei progressi compiuti dalle indagini sul sostrato dal Pott a oggi, l'A. constatata la contraddittorietà delle tre tesi principali alla fine emerse l) quella pelasgica, 2) quella luvio-ittita, 3) quella semitica, ognuna delle quali ha una certa sua credibilità ed anche «evidenza », ma nello stesso tempo alcuni punti deboli. Contraddittorietà però non significa sempre incompa­tibilità assoluta, in quanto è innegabile che irradiazioni semitiche nel mondo miceneo del l'I mil­lennio potevano coesistere accanto a uno degli altri due tipi di sostrato. Desiderabile comunque sarebbe, conclude l'A., una chiarificazione anche per quanto riguarda le modalità dell'inserimento dell'elemento linguistico greco e dell'epoca della sua articolazione dialettale, nonché avere a dispo­sizione un elenco preciso dei mutamenti fonetici del greco dovuti effettivamente a reazione del sostrato.

C.H. GòRDON, Forgotten scripts. Row tbe';, were decipbered and tbeir impact on con­temporary culture, Basic Books, New York 1968.

Un capitolo del libro, il VII, è dedicato alle scritture egee e alle loro decifrazioni. VA., natu­ralmente, coglie l'occasione per persuaderci sulla bontà della sua decifrazione della Lineare A come lingua semitica occidentale e per sostenere che una continuazione di questa in età classica è fuor d'ogni dubbio l'eteocretese.

N.S. GRINBAUM, Krito-mykenskoe teksty i jazik drevnogrecéskoj cborovoj liriki (Pindar), in « Studia Mycenaea » (Brno 1968), pp. 75-86, v. sopra p. 214.

E. GRUMACH, Tbe coming 01 tbe Greeks, «Bulletin of the John Rylands Library» 51 (1968) pp. 73-103, 400-430.

Serie di tre conferenze tenute dall'lA. all'Università di Birmingham nel settembre del 1966, in cui egli sostiene che i Greci arrivarono in Grecia intorno al 1200 a.Cr., ossia alla fine dell'età del Bronzo. Nella prima parte si illustrano le manchevolezze delle teorie che pongono l'arrivo dei Greci prima del 1200, soprattutto per il fatto che tale arrivo si accavallerebbe con quello di altre popolazioni (ondata apportatrice della ceramica ininia); analogamente crea difficoltà anche la tesi di coloro che sostengono un arrivo, sempre intorno al 1900, dei Greci dalla Penisola Anatolica. Nella seconda parte si adduce come prova del ritardato arrivo dei Greci la loro scarsa differen­ziazione dialettale in epoca storica nonché l'accoglimento d'un buon numero di prestiti lessicali dal sostrato, accoglimento possibile solo attraverso il contatto con una civiltà più progredita di quella minoica, come appunto la civiltà micenea. Nella terza e quarta parte si tenta di dimo­strare che l'immigrazione greca fa parte di quel vasto movimento di popoli, attuatosi verso la fine

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dell'età del Bronzo, che suole chiamarsi «immigrazione egea », le cui premesse devono alla lor volta ricercarsi ~n un movimento più vasto che interessa quasi contemporaneamente tutta l'Europa e per il quale non solo i Greci, ma anche gli Illiri, Armeni, Traci e soprattutto Frigi intrapresero la loro marcia verso il Sud della penisola Balcanica. Contro questa teoria varrebbe assai poco l'obiezione che nel periodo miceneo si parlasse greco, in quanto, com'è noto, il Grumach è stato un tenace assertore della non validità della decifrazione del Ventris.

R. RAMPE, Kult der Winde in Athen und Kreta, « Atti del II Congresso Internazionale di Studi Cretesi », voI. I (Atene, 1968) pp. 166-172.

Redazione abbreviata del lavoro dello stesso titolo pubblicato a parte di cui abbiamo già riferito in «SMEA» XI (1970) p. 154 s.

B. HEMMERDINGER, La colonie babylonienne de la Kadmée, « Helikon» 7 (1967) pp. 2.32-240.

In periodo miceneo sull'acropoli di Tebe viveva una colonia fenicia (o meglio babilonese) e nella città sottostante ('Y1tolni~cu) la popolazione greca. Questa situazione, già confusamente intuita dal Sayce e da quanti sostennero un effettivo apporto orientale (semitico) nella Grecia del periodo dell'introduzione dell'alfabeto e anche in quello anteriore (Schliemann, Sophus Miiller ecc.), viene comprovata dalla recente scoperta (1963) in una tomba del Cadmeo di un sigillo con iscrizione in cuneiforme e dal fatto che l'etimologia dei nomi propri come 811~a~ (mie. te-pa-i), Kaol-1oC;, "EPE~OC;, Evpw1t1j e anche di appellativi come !;{epOC;, cpa,poC;, À,ÉCTX1j, CTuÀ.aw (anche miceneo) è semitica.

S. HOOD, « Last Palace » and « reocwpation » at Knossos, « TIE1tpa"fI-1Éva 'tou W otÉlhIouc; Kp1j'toÀ.o"ftXOU l:UVEOp{OU », voI. I (Atene, 1968) pp. 173-179.

In un recente articolo (<< Kadmos» I;V, 1965, pp. 16-44, v. «SMEA» VI- (1968) p. 142. l'A. aveva tentato di dimostrare che non c'è nessun motivo stratigrafico stringente che ci induca a separare la ceramica che l'Evans assegnò alla «rioccupazione» da quella che il medesimo attri­buisce all'ultimo Palazzo e che comprende le tavolette in Lineare B. Come corollario a ciò il H. suggerisce che tale ceramica è preferibile considerare contemporanea al materiale attribuito all'ultimo Palazzo anche per motivi stiIistici.

Il H. è anche d'accordo col Popham per quanto riguarda l'assegnazione all'ultimo Palazzo anche di un gruppo di frammenti di ceramica scoperti dall'Evans, ma mai pubblicati. Essi appar­tengono certamente al periodo del Furumark MT III A 2, comunque piuttosto ad una fase iniziale (a. 1375) che mediana (epoca di Amarna) del medesimo. Non è invece d'accordo con il Popham per un altro gruppo di ceramica, che il P. vorrebbe attribuire a un'epoca posteriore della « rioccupazione ». Seguendo l'Evans e anche il Popham verrebbe infatti, oltre tutto, a mancare per il periodo dell'ultimo Palazzo, ceramica di grandezza media e piccola, il che può parere anche assurdo.

G.S. KORRES, AmÀ.aL ltE6't1j'tEC; Èv Kpl)'t1j xaL Mux1jva~xii 'EÀ.À.ao~ (AmÀ.aL lì 'tpt1tÀ.aL ltE6't1j'tEC; Év 't'ii Ù1t1jPECTLq; 'tou ltdou ~PÉcpouc;), in « TIE1tpa"fI-1Éva 'tou W otllhlouC; Kp1j'toÀ.o­)'txou l:UVEOp{OU », voI. II (Atene 1968) pp. 107-119.

Ricostruzione per l'epoca micenea di dualità (o trinità) divine in base a un raffronto tra rappresentazioni figurate delle stesse in epoca arcaica a Creta e le menzioni religiose della serie Fr delle iscrizioni in Lineare B di Pilo, dove si legge, a parer mio con ragione, wa-na-ka-te wa-na-so-i come Favax'tEt (xaL) FavaCTCTow «al Signore e alle due Signore ».

K. KORZEVA, Krito-mikenskoe obiestvo v sov;etsko; istoriografii, 10 « Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 131-141, v. sopra p. 214 s.

S. LASER, Hausrat, sta in « Archaeologia Homerica. Die Denkmiiler und der friihgriechi­sche Epos» Bd. II Kap. K, Gottingen, Vandenhoeck, 1968.

I singoli capitoli del fascicolo esaminano particolareggiatamente Realien quali i seggi, lo sga-

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bello e altri mobili per assidersi, la tavola e il cassettone. Le due appendici riguardano l'una l'illu­minazione (torce, lucerne, ecc.) della casa, l'altra i troni d'avorio scoperti recentemente a Cipro. Qua e là vengono sfruttati anche i dati ricavabili dalle tavolette micenee. Lnteressante la nota 270 di p. 56, dove si difende l'etimologia di 't'pa.m:1;cx: o to-pe-za = 't'6pm:1;cx:: accanto alla tavola rituale a tre gambe ('t'p~1tOUC;) sarà esistita certamente anche una tavola di carattere profano a quattro gambe (per la semantica di tale denominazione utile il confronto con l'indost. charpoy, «letto », letteralmente «a quattro gambe ») . . La denominazione si sarà poi estesa a qualsiasi altro tipo di tavola.

}.S. LASSO DE LA VEGA, Sintaxis griega I, Madrid, Consejo Supero de Investig. Cient., 1968.

(pp. 637-639 «Nota sobre el caso epico en - <pt.(v) »). L'A. accetta la teoria che le forme micenee in opi corrispondono a uno strumentale plurale, pur concedendo che le medesime possano valere anche come locativo (in alternanza ad es. con -si).

M. LEJEUNE, La civilisation mycénienne et la guerre, in «Problèmes de la guerre en Grèce ancienne» (Mouton, Paris 1968) pp. 30-51.

L'A. ricapitola tutti i dati ricavabili dalle tavolette di Pilo e di Cnosso che possono costituire indizio o prova diretta dell'esistenza di uno stato di guerra in quei reami. :Prove indirette le esenzioni fiscali ai fabbri, le requisizioni di bronzo (o anche d'oro), alcuni ordini dati a rematori di portarsi in determinati porti ecc.; prove dirette le disposizioni elencate nelle tavolette o-ka di Pilo (della cui struttura e contenuto l'A. sa darci un lucido resoconto), l'esistenza di corpi e di gruppi d'armati, gli elenchi di armi offensive e difensive. di carri di guerra, di officine specializzate per la fabbricazione di questi e di quelle, gli elenchi infine di corredi militari consegnati a ciascun cavaliere e che constavano, di norma, di un carro completo, di un paio di cavalli e di due corazze con elmo (di cui si può discutere se una era tenuta di riserva o non servisse piuttosto per l'arma­mento dell'auriga che assisteva il combattente sul campo di battaglia).

S. LEVIN, Tbe non-Greek prefix 0- in Linear B tabiets, «Arion» 6 (1967), pp. 266-268.

Esame paleografico della tavoletta PY Ma 216, da cui risulterebbe che l'o della parola o-pe-ro (letta comunemente OqlEÀ.OC;) nella seconda metà della riga 2 ha funzione ben diversa da un qualsiasi segno sillabico, in quanto scritto in carattere molto più grande rispetto alle due sillabe successive. Si tratta perciò di una specie di ideogramma, in ogni caso di elemento originariamente estraneo alla lingua greca (come l'al- di alférez, almacén ecc.) o meglio di un prefissoide attraverso il quale si isola un non greco pO-I'O, ricavabile anche dalla grafia, a torto considerata lapsus, pe-ro-ro di MY GeG04,5. Argomento privo di qualsiasi valore: in Ma216,2 lo scriba scrisse dapprima l'abbreviazione o e la successiva unità frazionaria con relative cifre; ma poi, temendo di essere frainteso (nella stessa iscrizione o è anche ideogramma indicante una merce), completò la parola con le sillabe pe e ro; però mancandogH lo spazio, fu costretto a scriverle più in piccolo. Si tratta di un procedimento grafico attestato anche altrove nel miceneo e nei documenti scritti di qualsiasi tempo e popolo.

E.A. LOPEZ, La dialectologia griega, «ECl» VII (1968) f. 58, pp. 287-305.

L'Autrice ricapitola brevemente il contenuto delle varie teorie riguardanti la classificazione dei dialetti greci avanzate in epoca anteriore e posteriore alla decifrazione del miceneo, ponendo in particolare risalto l'opera di studiosi spagnoli, come il Tovar, l'Adrados e il Ruipérez (del quale essa si professa allieva).

FR. MATZ, Das Corpus der minoiscben und mykeniscben Siegel (CMS). Stand der Arbei­ten und AufgabelZ, in « IImpCX:YIJ.Évcx: 't'oii P' OLÉWOUC; KpT)'toÀ.oYLxoii :EUVEoPLOU » val. I (Atene, 1968) pp. 217-219.

Illustrazione del piano di pubblicazione del Corpus dei sigilli minoici e micenei per un totale di 7000 pezzi (comprese le impronte sigillari, ma non i sigilli con «scrittura geroglifica» che si sarebbero dovuti raccogliere e studiare in un Corpus separato, a cura del compianto E. Grumach).

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H. MUHLESTEIN, Deutung einiger Linear-B-Worter, in « Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 113-116. V. sopra p. 211.

H. MUHLESTEIN, Le mot cnossien a-mo-ra-ma, in « IIEr.paYI-LÉva '!Cu W Ii~ÉlNouç KpT}'toÀ.~> y~xou l:uvEliplou» voI. II (Atene, 1968), pp. 135-136.

Il gruppo sillabico a-mo-ra-ma che compare nelle iscrizioni di Cnosso Am601 e Am600 va letto al-Lwp-(il-Lap «giornalmente, ogni giorno ». La forma *a.I-LWP (caso avverbiale indeterminato a desinenza zero) è giustificato sia dalla esistenza di armo awr «giorno », continuatore diretto di ie. *àmor, sia da 'tÉXl-Lwp, doppione di 'tÉxl-Lap. Per il raddoppiamento si confronterà invece cipro class. a-ma-ti-a-ma-ti a.l-La't~-al-La't~ e il miceneo stesso we-te-i-we-te-i FÉ'tEl.-FÉ'tEL «ogni anno ».

G.E. MYLONAS, A table! Irom Mycenae, «Kadmos» 7 (1968) pp. 65-66.

Edizione della tavoletta scoperta nel 1967 a Micene in un magazzino della cosiddetta «Casa delle Colonne» e della quale si era già data notizia in «Nestor» 1-10-1967 p. 513 e altrove (v. « SMEA» XH 1970, p. 201). Il testo piuttosto breve e lacunoso concerne tessuti: infatti nella seconda riga incontriamo l'espressione pa-we-a ko-u-ra parallela a ko-u-ra TELA di PY La623.

In appendice troviamo notizie sul coccio iscritto trovato, sempre a Micene, nel 1965 e nel quale si legge ]-pi-ka (da integrare, secondo l'A. in e-pi-ka cfr. PY Sb1314,3). L'iscrizione è stata inclusa anche nella collezione del Raison sotto la sigla MY Z 712 (p. 150).

J.-P. OLlVIER, Pour un syllabogramme *52 bis? in «Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 71-73, V. sopra p. 215.

J.-P. OLlVIER, Les scribes de Cnossos, in «Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 23-24, V. p. 215.

M.D. PETRUSEVSKI, L'alternance vocalique u: e du dilaecte mycenzen de Pylos in « Stu­dia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 53-57, V. sopra p. 214.

E. RIscH, Conclusions (al « Dialectal classification of Mycenean in the opinion of various scholars ») in «Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 207-210, V. sopra p. 216.

C.J. RUIGH, A propos de a-mo-te-;o-na-de, in « Studia Mycenaea » (Brno 1968), pp. 93-102, v sopra p. 214.

O. SZEMERÉNYI, The Mycenaean and the historical Greek comparative and their Indo­european background, in «Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 25-36, V. sopra p. 214.

L TEGYEY, The communities 01 Pylos, in « Studia Mycenaea» (Brno 1968), pp. 143-146, v. sopra p. 212.

N. VERDELl, '0 i}wpaç 'twv t..Evlipwv xal aL mvaxLIiEç 'tiic; Kvwcrcrou xal 'tiiç IIuÀ.ou, in «IIEr.paYI-LÉva '!Cu W Ii~Éi}vouC; KpT]'toÀ.oy~xou l:uvEliplou» voI. I (Atene, 1968) pp. 128-133.

Raffronto tra la corazza di Dendra (Argolide) scoperta nel 1960 e i tracciati degli ideogrammi rappresentanti corazze a Pilo e a Cnosso. L'A. è del parere che i due diversi tracciati di ideogrammi, quello attestato a Cnosso e quello a Pilo, siano dovuti a diversità di consuetudini grafiche e rap­presentino perciò lo stesso tipo di corazza, la quale resta immutata nel periodo intercorrente tra il Tardo Elladico LI e il Tardo Elladico Ii[J B (solo alla fine di questo si sarebbe imposto il tipo di armatura che conosciamo attraverso il Vaso dei Guerrieri). Non accettando tale soluzione

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si sarebbe costretti a ritenere, con la Gray e il Marinatos, che la corazza di Dendra sia del tipo conosciuto a Cnosso, non sul continente (conclusione piuttosto forzata), oppure a concludere, col Palmer, che la corazza di Dendra è indipendente sia dagli ideogrammi di Pilo che da quelli di Cnosso.

P. WATHELET, Les verb.es Èpvw et Epv(J.a~ en mycemen et dans les lormules de l'épopée grecque, in « Studia Mycenaea» (Brno 1968) pp. 105-111, v. sopra p. 214.

A.J. VAN WINDEKENS, A1J(J.';"t"1Jp, nom grec d'une déesse égéenne, in «In memoriam H. Bossert» (Istanbul 1965) pp. 491-494.

Lo stesso articolo col medesimo titolo è stato ristampato in « Die Sprache » 12 (1966) pp. 95-97 (v. «SMEA» IV, 1%7, p. 127).

W.F. WYATT, Jnr., Tbe Mycenaean ideogram 130 GRANUM, «Kadmos» 7 (1968) p. 100.

L'ideogramma *120 = GRANUM assomiglia o è addirittura identico (serie E- di Pilo) ad una legatura dei segni sillabici *41 e *5, ossia a SI+ TO. Tuttavia non è consigliabile ritenerlo all'ori­gine un monogramma: piuttosto, inizialmente, il segno sarà stato un vero e proprio ideogramma, il quale, appunto per certa sua somiglianza ad una legatura SI + TO e al fatto che in miceneo «grano» si dice &~"t"oç (cfr. MY An658,4 sito GRIANUM 4), assunse presso qualche scriba anche questa seconda forma.

N. YALOURIS, IIvÀoç TJ(J.aME~ç, «Archiiologische Anzeiger» 82 (1967) pp. 68-72.

Il termine TJ(J.aD6E~ç specificante IIvÀoç nei testi omerici non ha nessuna rilevanza per quanto riguarda la soluzione del problema della localizzazione della città. Non solo TJ(J.aME~ç può signi­ficare qualsiasi terreno sabbioso, anche una col:ina di arenaria, in qualsiasi punto della Messenia (e in genere del Peloponneso Occidentale), ma il fatto stesso di trovarlo nei passi omerici nella forma maschile (IIvÀov TJ(J.aMEv"t"oç, IIvÀov TJ(J.aMv"t"a, IIvÀw~ TJ(J.aD6Ev"t"~) in posizione di verso in cui sarebbe stata tollerabile anche la forma femminile, ci costringe a considerare maschile, e non femminile, anche il nome IIvÀoç, e quindi ritenerlo denominazione indeterminata della «regione pilia », non della città (Omero difatti preferisce in quest'ultima accezione IIvÀoç al femm.).

2) Lineare A

M.A.S. CAMERON, Tbe painted signs on fresco Iragments Irom tbe «House 01 tbe Frescoes », «Kadmos» 7 (1968) pp. 45-64.

Catalogazione ed analisi dei segni dipinti (gruppi A e B) su frammenti di affresco provenienti dalla « l.asa degli Affreschi» di Cnosso, che l'Evans credette di identificare con tratti di scrittura lineare A o altra «incerta ». Facendo proprie le esitazioni già espresse a questo proposito da Brice, Chadwick e Grumach, l'A. dimostra che si tratta per il gruppo B (segni in arancione) di segni-guida tracciati per un primo abbozzo dalle composizioni floreali e naturalistiche, successiva­mente destinati ad essere ricoperti da uno strato di finissima calce e poi dal definitivo strato di materia colorante. Per quanto riguarda quelli del gruppo A, destinati invece a rimanere visibili agli occhi dello spettatore, si potrebbe anche sospettare in un primo momento di segni grafici, ma altre considerazioni (come il fatto che non si identificano mai - viceversa di quanto asseriva l'Evans - con segni noti di scrittura lineare o geroglifica) inducono a ritenere che si ha che fare con tratti lineari, di tipo elementare, pertinenti alla composizione stessa dell'affresco. Si rammenti che nell'unico caso conservatoci di segno grafico dipinto su affresco (segno dell'« Area dell'Affresco del Torero », Brice 23 V lO e tav. XXX), questo risulta immediatamente riconoscibile come tale.

M.A.S. CAMERON, A graffito related to a myrtle composition on a Minoan fresco Irom Knossos, « Kadmos » 7 (1968) pp. 97-99.

Tra i frammenti di affresco scoperti dalla British School of Archeology a Cnosso tra il 1957 e il 1961, e ancora inediti, ve ne sono tre, appartenenti ad una medesima composizione, che si

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pussono far risalire al Medio Minoico ]iII B (se non anche al MM II[ A). Essi sono interessanti soprattutto per l'attestazione di un segno grafico inciso su uno di essi, segno destrorso che non trova riscontro per la forma con nessuno di quelli noti della Lineare A, ma che quanto a colloca­zione - in una zona piuttosto bassa della parete - trova buoni paralleli nelle iscrizioni parietarie in Lineare A scoperte nella Villa di Ragia Triada. .

C.H. GoRDON, Crete in the Ugaritic tablets, «TIE7tpayp.Éva 'tov W llLÉìhlovç KpT}'tOÀ.OYLXOV l:vvEllplov» voI. II (Atene, 1968) pp. 44-48.

Breve nota sulle relazioni reciproche tra il mondo minoico e Ugarit, sia riguardo alle menzioni dirette che i testi ugaritici fanno di Creta e dei Cretesi, sia riguardo ad alcuni elementi in comune fra le due civilnà. Da rilevare che parecchi nomi propri della Lineare A riflettono, oltre che nomi semitici, anche hurrutici (Da-ku-se-né, Su-ki-ri-te-se-;a) ed egiziani (nomi contenenti il nome di divintà RE). '

E. GRUMACH, Obersehene Zeichen der kretisch-Linearschrift A, in «In memoriam H. Bossert» (Istanbul 19(5), pp. 237-250.

Revisione paleografica di alcune iscrizioni minoiche, tracciate ad inchiostro su fondo interno di tazza, scoperte dall'Evans nel 1902 tra le rovine del Palazzo di Cnosso. Attraverso ad esso l'.A. deduce l'esistenza di alcuni nuovi segni della Lineare A, da aggiungere al repertorio di quelli finora conosciuti. Alcuni di questi (v. p. 239) sono facilmente confrontabili con segni del geroglifico cretese e quindi confermano, se mai v'era bisogno, la derivazione della Lineare A da esso. Seguono alcune riflessioni sul segno L 56 (quello della doppia ascia), che l'iA. tiene, sulle orme del Hrozny e del Sundwall, non fonetico, ma di significato sacrale e perciò usato anche come deter­minativo categoriale di persona «( Person von L 56 », « Doppelaxt-Priester(in) von L 56»). Più interessante però una notizia (p. 250, v. Tav. XXXII, 5) dell'esistenza di un'iscrizione, finora inedita, in Lineare A incisa su fondo di vaso e scoperta da E. Mavroeides nelle vicinanze del villaggio di Schoinia. Essa consta di tre segni molto chiari e dei testi di un quarto segno. Uno di questi potrebbe essere una variante di L 25 o anche un segno completamente nuovo.

E. GRUMACH, Tierkopfrhyta in den Tontafelchen von Ragia Triada, sta in « XapLCT't1)pLov A.K. 'OpM.vllov» III (Atene 1966) pp. 388-394.

Dall'esame paleografico del segno L 113 della tavoletta RT 38 confrontato con altri segni analoghi della Lineare A comparenti su tavolette, di cui alcune recentemente scoperte o ancora inedite, l'A. inferisce che si tratta dell'ideogramma di un rhyton a forma di testa di animale e che le iscrizioni che lo contengono, come in genere tutte le altre di Ragia Triada, non sono documenti di natura amministrativa, ma annotazioni di particolari atti culturali.

H.L. STOLTENBERG, Vie larische Sprachen (Etruskisch, Termilisch, Lemnisch, Karisch und Minoisch), in «In memoriam H. BOssert» (Istanbul 1965) pp. 471-475.

La lingua etrusca, in virtù della sua tipica struttura grammaticale e fonetica, si palesa stretta­mente affine a quella licia; ambedue, poi, si mostrano affini alla lingua della stele di Lemno, al cario e infine alla lingua della Lineare A. Questo gruppo di lingue viene chiamato larico, dal toponimo Larisa comune a tutte le regioni ove tali lingue si parlano.

Altre scritture

L. BERNABÒ-BREA - M. CAVALIER, Meligunìs-Lipara, VoI. III, Palermo, Flaccovio, 1968.

Il capitolo posto come appendice a questo volume (Contrassegni o marche di vasai sulle ceramiche eoliane, pp. 219-279) è un catalogo completo di tutti i contrassegni grafici (207) ritrovati su coteste isole, compresi alcuni inediti e quelli venuti alla luce abbastanza recentemente a Filicudi (Capo Graziano) (v. « SMEA» IX, 1969, p. 137). I segni si possono scindere in quattro categorie:

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1) quelli a valore numerico (serie di punti), 2) quelli di aspetto «grafico o ideografico» che po­trebbero rappresentare una vera scrittura e dove sono evidenti gli influssi minoico-micenei, parti­colarmente della Lineare A, 3) segni di forma rettangolare imitanti impronte di sigilli, 4) segni di aspetto (ma non funzione) decorativa, in cu' si inseriscono influssi ornamentali tipici della ceramica appenninica. Gli .A. escludono che detti segni, anche i più complessi, rappresentino una vera e propria scrittura. Essi devono piuttosto interpretarsi come contrassegni di vasai (e si discute anche a lungo per quale motivo essi furono apposti), con una tecnica che li pone in diretta con­nessione con i segni consimili del mondo egeo (Philakopi, Cipro, Troia IL-V), non certo come reminiscenza dei segni dipinti della civiltà neolitica della Grotta di S. Angelo JJII di Cassano Ionico (Sibaritide), troppo lontani nel tempo. I segni eoliani costituiscono quindi, in definitiva, il primo apporto culturale minoico nell'ambiente delle isole Lipari, anteriore addirittura a qualsiasi impor­tazione di ceramica minoica in tale sito.

w. BRANDENSTEIN, Vie vorgescbichtlichen Volker- und Sprachbewegungen in der Aegaeis, in «In memoriam H. Bossert» (Istanbul 1965) pp. 111-132.

Vari popoli si avvicendarono sul suolo della Grecia in epoca preistorica, ognuno portando la sua lingua, ognuno influenzando e determinando a suo modo lo svolgersi successivo del greco. Alla civiltà di Sesk.lo risale ad es. la denominazione per « olio» (EÀ.ctLFov), allo strato microasiatico occidentale (2400-2000 a.Cr.) la parola per «vino» (itt. wi;ana-) che a sua volta proverebbe dal Caucaso, e i nomi in -(ct)cnroç; agli Pseudo-pelasgi (1900 a.Cr.) il suffisso -EUç e i nomi in -vi}oç. Nessuno di questi però può essere designato come il sostrato egeo, poiché dell'unico sostrato cui sarebbe legittimo dare questo nome, quello microasiatico orientale, affine al protohattico (e al cappadocico (?», quindi non indoeuropeo, e del suo influsso eventuale sul greco noi non sappiamo dir nulla o quasi nulla. Interessante l'ipotesi (p. 114 s.) che il suffisso -uvi}- (di T'puvç) rappresenti in qualche modo il grado ridotto dell'ie. *-went (ossia -want dell'ittita). E si confuta nuovamente l'opinione che l'etrusco-tirrenico sia un ramo del Pseudo-pelasgico.

w.c. BRICE, An inscribed terra-cotta seal fra m Crete, «Kadmos» 7 (1968) pp. 103-104.

Esame di un sigillo di terracotta proveniente da una collezione privata e comportante un'iscrizione di tipo «lineare primitivo» composta di tre segni, di cui uno rassomigliante a un segno geroglifico o a un marchio tipo Phliakopi e due a segni della Lineare B.

B. BucHANAN - C. MASSON, A cypriote cylinder at Yale (Newell Collection 358), « BeH» 92 (1968) pp. 410-415.

Riedizione di un sigillo della collezione Newell proveniente da una locali~à della Siria, nei pressi di Ras Shamra, e noto fin dal 1937 attraverso una fotografia poco chiara. Da un'analisi del disegno tracciato probabilmente da un artista cretese secondo lo stile mitannico, si può inferire una data intorno al 1400 a.Cr. (piuttosto un po' prima che dopo). L'iscrizione che si nota sul margine superiore del riquadro pare, a un primo esame, redatta in scrittura simile a quella fenicia di Biblo, ma il divario cronologico (XV-X sec.) è troppo ampio perché un tanto sia ammissibile, a meno che - cosa teoricamente sempre possibile - le scritture fenicie, la cui genesi non è affatto chiara, non abbiamo per caso un addentellato con la più antica scrittura di Cipro. Più cauta, in ogni modo l'assegnazione della scritta al ciprominoico; sennonché ci imbattiamo nuovamente in diffi­coltà, dal momento che codesta iscrizione comporta un segno (una specie di W) che manca nel repertorio dei segni ciprominoici. Il Masson, invece, ritiene l'iscrizione senz'altro ciprominoica, in quanto anche il segno ritenuto dal B. estraneo al sistema predetto risulta effettivamente attestato in iscrizioni cipriote (sfere d'argilla provenienti dai nuovi scavi d'Enkomi) ancora inçdite.

G. DAUX, Chroniqttes des fouilles 1967, «BeH» 92 (1968) p. 711 ss.

(p. 921 ss.) Scoperto a Myrtos (Creta) un sigillo di steatite con iscrizione (?) a motivi lineari (v. p. 983 fig. 6). Il manufatto risale al «Minoico Antico» IL

(p. 1062 ss.) Scavi del 1967 a Dikili Tach (Macedonia). Nello strato neolitico più recente, che potrebbe già chiamarsi cuprolitico, è venuta alla luce una fusarola (v. fig. 15 p. 1071) ricoperta di segni incisi che danno l'idea di una rudimentale scrittura (essi rammentano, a perere mio, per la loro disposizione i segni incisi sul famoso sigillo di Nova Zagora). In un altro sondaggio (p. 1063 s.) è stato invece rinvenuto un sigillo di terracotta del tipo «pintadera» (v. ib. fig. 3).

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t E. GRUMACH, The Minoan libation formula. Again, « Kadrnos » 7 (1968) pp. 7-26.

Alcuni nuovi sigilli con iscrizioni in geroglifico scoperti a Phoumi (presso Arkanes) nel 1965 (v. la pubblicazione di una fotografia di uno di questi a cura di Sakellariou in «]illustrated London News» del 26-3-1966) confermerebbero con il loro testo l'esistenza di una «formula di libazione minoica» (di cui l'A. si è occupato più volte) opportunamente modificata. Tale formula, conclude l'A., avrebbe valore magico - piuttosto che rituale - e la pietra su cui era impressa è da consi­derarsi un talismano, non un sigillo vero e proprio. Naturalmente l'A. non tralascia l'occasione di ribattere che anche i gruppi di segni della Lineare lA normalmente letti ;a-sa-sa-ra e ;a-sa-ra-ra-me ecc., interpretati quali nomi e epiclesi di divinità, sono pur essi, questa volta in versione lineare, una formula del genere e vanno divisi ciascuno in due gruppi di segni, nonostante la mancanza del trattino divisorio. L'articolo si conclude con l'attribuire valore funerario a due dei segni, quello della doppia ascia e quello dell'oetoptls, che più spesso compaiono nelle suddette formule (in particolare l'oetoptls sarebbe il simbolo del viaggio per mare, ossia del viaggio verso l'oltre­tomba).

E. GRUMACH, Zur Herkunft des Diskus von Phaistos, in «IIE7tpaY\J.Éva 't'ov W 6~ÉiNove; Kp1J't'oÀ.oy~y.ov :EvvE6pLOV» voI. I (Atene, 1968) pp. 281-296.

La scrittura del Disco di Festos è di origine cretese, nonostante le difficoltà frapposte da certi segni che si volevano connettere con raffigurazioni tipiche dell'Asia Minore e addirittura con l'acconciatura dei Filistei. Dall'esame dei tre segni (N° 24, ~ 6 e ~ 2) si ricava che anch'essi trovano oramai buoni paralleli a Creta stessa, mentre le connessioni col mondo non-cretese risul­tano, all'oppo~to, sempre più problematiche. Rammentiamo, tuttavia, che l'autoctonia del segno ~ 2 è stata dimostrata indipendentemente dal Grumach e sulla base di altri argomenti anche dal Davaras, v. «Kadmos» 6 (1967) pp. 101-105 (e «SMEA» XI, 1970, p. 161).

V. KARAGEORGHIS, Late Bronze age news from Cyprus (1967-68) «Kadrnos» 7 (1968) pp. 200-202.

Breve relazione degli scavi eseguiti nel 1967 e 1968 a Enkomi, Kition e Rala Sultan Tekké, con particolare riguardo ai rinvenimenti di vasellame miceneo e della scoperta, fatta nel 1967 a Enkomi, di un cilindro di terracotta con impresso un lungo testo in caratteri ciprominoici (circa 150 segni nettamente incisi prima della cottura).

V.E.G. KENNA, Seal and sealstones from the Tombs of Perati, in Xap~er't'1]p~ov 'OpM.v6ov, II (1966) pp. 320-326.

Analisi stilistica dei sigilli delle tombe di Perati (Attica), compreso il cilindro riportante la scena dell'adorazione di una divinità egziana, notevole soprattutto per il fatto che esso reca incisi anche due segni grafici di provenienza cipriota. L'A. è propenso ad assegnare tutto questo materiale all'Elladico DIiI C. Rammenteremo a questo proposito che non è questo l'unico monu­mento scritto attestato per Perati: di un più famoso sigillo con iscrizione si è discusso a lungo tra il Meriggi, il Boardman e il Jakovidis (v. «SMEA» VI, 1968, p. 145).

A. LOPEZ EIRE, Los toponymos en -ereroe; y -vl}oe; y el Indoettropeo, «Zephirus» 18 (1967) pp. 129-135.

Succinta storia della questione riguardante l'origine dei suffissi toponimici -ereroe; e -vl)oe; dal primo Kretschmer al Palmer. Non viene affacciato nessun punto di vista personale. Si conclude lo scritto affermando (p. 135) che attualmente esiste nel mondo degli studiosi accanto all'opinione tradizionale (i suffissi sarebbero stati portati in Grecia da popolazioni preelleniche non indo­europee) la tendenza a considerare i suffissi stessi e i loro portatori di origine indoeuropea, ancorché pregreca.

C. MASSON, Appendice a Karageorgbis, Late Brollze Age news from Cyprus ecc., « Kadrnos» 7 (1968) pp: 102-103.

Commento preliminare di alcuni monumenti iscritti segnalati nella relazione Karageorghis,

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fra cui il cilindro di ematite nera, trovato negli scavi di Kition, comprendente cinque segni curio­samente inseriti tra gli spazi vuoti della decorazione.

G. NEUMANN, Zum F01'Schungstand beim «Diskos von Phaistos », «Kadmos» 7 (1968) pp. 27-44.

Ottimo articolo che riassume tutte le questioni relative alla lettura del disco di Festo. A p. 28 ss. si elencano i motivi per cui la scrittura debba considerarsi di tipo cretese e si adducono due monumenti epigrafici che possono riallacciarvisi, l'ascia di bronzo di .Arkalochori e la pietra d'altare di Mallia con segni in geroglifico. Dopo la constatazione, piuttosto ovvia, che il tipo di scrittura è certamente sillabico nonostante il carattere pittorico dei suoi segni (un parallelo ci è offerto dalle iscrizioni pseudogeroglifiche di Biblo risalenti al XVIilI sec.) e la precisazione, che non si può fare a meno, tuttavia, di ritenerlo integrato da segni logografici, in quanto che una scrittura puramente sillabica è per quell'età - fine XV[ sec. - assolutamente inconcepibile, l'A. raccomanda la massima cautela nella decifrazione, praticamente preclusa fino a che non scopriremo altri monu­menti dello stesso tipo, e di tenere nel debito conto le sagge riflessioni di uno studioso, G. Ipsen, autore di un articolo (Der Diskus VOti Phaistos. Eitl Versuch zur Etltzifferung, «IF» 47, 1929, pp. 1-41) a torto trascurato.

C.F.A. SCHAEFER, J.c. COURTOIS, J. LAGARGE, Fouilles d'Enkomi-Alasia dans l'ile de Chypre: campagne du 1967. Rappo/'t pl'éliminaire, «Syria» 45 (1968) pp. 262-274.

Annuncio della scoperta fatta ad Enkomi-Alasia durante la campagna di scavi del 1967 in uno strato risalente al periodo intermedio tra Cipriota Medio III e Cipriota Recente I di un peso forato di terracotta con iscrizione ciprominoica di sei segni impressi prima della cottura. In un altro sconvolto da scavi clandestini è stato invece scoperto un cilindro massiccio di terracotta (cm. 5,4 x 4,0) contenente una lunga iscrizione (200 segni) pure in caratteri ciprominoici impressi prima della cottura: il manufatto sembra risalire al sec. XIV. Nello stesso sito si sono scoperti anche due cocci di vaso con uno o due segni ciprominoici ciascuno e una tazza con cinque.