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LEZIONE DEL 4 MAGGIO 2014
ENZO MORRICO
IL LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
Sommario: 1) Disciplina previgente; 2) Motivi della riforma; 3) Primi cenni del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo; 4) Costituzionalità del nuovo art. 18 Stat.
Lav; 5) Prima esegesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo 6) Fattispecie
rientranti nell'ambito del giustificato motivo oggettivo; 7) Il licenziamento irrogato per
giustificato motivo oggettivo ma che nasconde un licenziamento disciplinare.
1) Disciplina previgente.
Prima della sostituzione effettuata ad opera dell'art. 1 commi 42 e segg.ti della L.
92/2012 dei primi sei commi (con i dieci attuali) dell'art. 18 l. 300/70, il legislatore ci
aveva abituato -sia nella formulazione dell'art. 18 ad opera del legislatore del 1970 con la
l. 20.5.1970 n.300, sia nella successiva formulazione dell'art. 18 prevista dalla l.
108/1990- a distinguerli, quanto agli effetti, in licenziamenti nulli, annullabili ed
inefficaci.
Dove per nulli -nella primissima formulazione- si intendevano solamente quelli
posti in essere in violazione dei divieti contenuti nell'art. 4 l. 604/661 (e la limitazione
1 Ciò non voleva però dire che non vi fossero, o potessero esserci, altre ipotesi di licenziamenti dichiarati
nulli (si pensi a quelli licenziamenti irrogati a causa di matrimonio -v. artt. 1,2, e 6 L. 9 gennaio 1960 n.63,
ora art. 35 D.Lgs 11 aprile 2006 n. 198- o alla maternità -v. art. 1,2 e 5 L. 30 dicembre 1970 n. 1206, ora art
. 54 D.lgs 26 marzo 2001 n. 151 ecc.-, ma comportavano delle conseguenze del tutto differenti, nel senso
che avevano la tutela apprestata dal diritto comune in tema di nullità ai sensi degli artt. 1418 c.c. con
l'effetto della rimozione dell'atto nullo in quanto tale ed il pagamento delle retribuzione maturate (v. Cass.
16.2.2007 n. 3620 in Foro It. 2007, I, col. 1453, Cass. 15.9.2004 n. 18537 in Mass. Giur. Lav. 2004 p.
951), però non dal licenziamento, ma da quando il lavoratore poneva a disposizione le proprie energie
psico-fisiche con l'offerta formulata ai sensi dell'art. 1206 c.c. (v. Cass. civ., sez. lav., 17.05.2011, n. 10817
in Giur. it., 2012, 637, con nota di Del Conte, secondo la quale "la disposizione di cui all’art. 2 l. n. 7 del
1963 - che prevede, in caso di nullità del licenziamento della lavoratrice perché intimato a causa di
matrimonio, l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere alla lavoratrice medesima la retribuzione
globale di fatto fino al giorno della riassunzione in servizio, stante la dipendenza della mancata
prestazione lavorativa dall’illegittimo rifiuto di quest’ultimo di riceverla - non si riferisce (sia per il suo
tenore letterale, sia per la diversità della fattispecie) anche all’ipotesi della nullità delle dimissioni dalla
lavoratrice rassegnate - senza conferma all’ufficio del lavoro - nel periodo di interdizione di cui all’art. 1
medesima legge (ossia dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la
celebrazione dello stesso); pertanto, l’obbligo della retribuzione con la mora credendi relativa del datore
di lavoro sorge soltanto nel momento in cui la lavoratrice, facendo valere la nullità del proprio recesso e
la perdurante validità del rapporto di lavoro, offra nuovamente la propria prestazione"). Da rilevare però
2
posta faceva intendere -e così è sempre stata interpretata- che non venisse estesa anche
alle altre ipotesi di discriminazione e la applicabilità della norma era limitata a quella più
in generale prevista dal successivo art. 35 della l. 300/70), mentre nella seconda
formulazione (ad opera della L. 108/90) la nullità è stata estesa alle ipotesi di violazione
dei divieti contenuti nell'art. 3 l. 108/90, che a sua volta richiamava sempre l'art. 4 l.
604/66 e l'art. 15 L. 300/70, le cui casistiche previste e costituenti discriminazione,
secondo il legislatore del 1970, erano state in parte ampliate dall'art. 13 L. 9.12.1977 n.
903 ed in parte venivano da lì a poco ampliate dall'art. 4 del D.Lgs 9.7.2003 n. 216 (nel
senso che alla primigenia formulazione veniva all'ultimo comma aggiunta la seguente
frase ...... razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento
sessuale o sulle convinzioni personali).
Per quelli annullabili, si intendevano quelli non sorretti da giusta causa (2119 c.c.)
e/o giustificato motivo soggettivo od oggettivo (art. 3 l. 604/66).
Per quelli inefficaci, quelli intimati oralmente -cioè non in forma scritta- o
comunque in assenza dei motivi, solo se ritualmente richiesti ai sensi dell'art. 2 l. 604/66.
In questi tre casi2 l'unica sanzione prevista era quella della reintegrazione nel posto
di lavoro ed il pagamento, nella prima formulazione, (v. comma 2), di un risarcimento
danni dalla data del licenziamento sino alla sentenza in cui veniva dichiarata la
illegittimità del licenziamento e poi le retribuzioni da quella data sino a quella della
reintegrazione); nella seconda formulazione (v. comma 4) al solo risarcimento dei danni
dalla data del licenziamento sino alla effettiva3 reintegrazione. In tutti e due i casi il
risarcimento non poteva essere inferiore alle cinque mensilità e nella seconda
formulazione si iniziò a prevedere -visto i contrasti esistenti per la prima formulazione-
che per il licenziamento "ritorsivo" la giurisprudenza ha riconnesso l'applicabilità dell'art. 18 S.L. (v. Cass.
8.8.2011 n. 17087 in Riv. giur. lav., 2012, II, 326 con nota di Cannati).
2 sempre nell'ambito di applicabilità dell'art. 18 S.L. che, secondo la riforma del 1990 veniva riconnesso
esclusivamente alle dimensioni del datore di lavoro e non più -come in precedenza- alla sua qualità di
imprenditore; per cui si applica la tutela c.d. reale avendo riguardo un duplice requisito dimensionale: il
primo, che si riferisce all'unità produttiva, singolarmente considerata o congiuntamente considerate
nell'ambito comunale; il secondo alla circostanza che il datore di lavoro occupi più di sessanta dipendenti.
v. per tutti L. CORAZZA, Il campo di applicazione delle tutele, in Dir. Lav. Commentario, diretto da F.
Carinci, vol III Torino, 1998, 157. In termini critici sulla scelta del legislatore v. per tutti M. PERSIANI,
L'ambito di applicazione della nuova disciplina della reintegrazione nel posto di lavoro in Dir. Lav. 1991,
I, 4 e seg.ti, M.V. BALLESTRERO, Ambito di applicazione della disciplina dei licenziamenti: ragionevolezza
delle esclusioni in Lav. dir. 1990, 263. Per "unità produttiva" la migliore e più completa soluzione è quella
riferita da M. PERSIANI, L'ambito di applicazione cit. pag. 10. Secondo l'Autore deve intendersi unità
produttiva " qualsiasi articolazione non imprenditoriale che, sebbene non dotata di autonomia in snso
giuridico, tuttavia realizzi compiutamente -od in una delle fasi in cui si articoli- l'attuazione dello scopo
perseguito". In ordine all'onere della prova gravante per la dimostrazione del requisito dimensionale,
abbandonato il precedente orientamento della Cass. a Sez. Un: la prima ante riforma del 1990 (v. Cass.
SS.UU. 4.3.1988 n. 2249 in Giust. Civ. 1988,I, 897) e la seconda post riforma del 1990 (v. Cass. SS.UU.
26.4.1994 in Foro It. I, 1708), la recente giurisprudenza (v. Cass SS.UU. 10.1.2006 n. 141 in Arg. Dir.
Lav., 2006, 594), prevede che sia il datore di lavoro a dare la prova della sussistenza o meno di detto
requisito dimensionale ai fini della applicabilità o meno delle tutele previste dall'art. 18 S.L.. In Dottrina v. 3 sul concetto di effettività v. infra paragrafo 9, in dottrina v. A. PIZZOFERRATO, Tutela penale ed effettività
del diritto alla reintegrazione, in Lav. Giur. 1995, 537 e segg.ti
3
anche il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal momento del
licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione.
Con la nuova formulazione dell'art. 18 ed in particolare quella prevista nei primi
dieci commi ad opera dell'art. 1 della L. 92/2012 sopra richiamata, da un lato si è
ampiamente dilatato -o, forse meglio, specificato- l'ambito in cui opera la invalidità del
licenziamento, dall'altro si sono individuate più sanzioni, in luogo dell'unica rappresentata
dalla reintegrazione nel posto di lavoro ed il conseguente risarcimento (prima, come
sopra indicato, previsto dal comma 4 del "vecchio" art. 18 S.L. introdotto dalla novella
del 1990, ed ora dai commi 2 e 4 nuova formulazione dell'art. 18 S.L.).
Con riguardo al primo aspetto il primo comma del "nuovo" testo dell'art. 18 S.L. ha
meglio specificato le ipotesi in cui il licenziamento dovrà considerarsi nullo, mentre in
questo scritto si dovranno affrontare le problematiche scaturenti dal licenziamento
annullabile la cui formulazione non ha subito alcuna modificazione ed in parte quello
inefficace che ha avuto un considerevole ampliamento ad opera della legge in commento.
2) Motivi della riforma.
Prima di passare all'esame specifico del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo (ma il ragionamento che ci si appresta a fare vale per tutti i tipi di
licenziamento disciplinati dal novellato art. 18), si ritiene tuttavia opportuno -per meglio
comprendere la "nuova" formulazione della disposizione in esame- accennare brevemente
i motivi e le scelte del nostro legislatore nella riformulazione dell'art.18 S.L..
Si possono enucleare tre diverse interpretazioni: a) da un lato chi ritiene4 che sia un
modo di pareggiare il conto con la flessibilità in entrata -"spalmando" la flessibilità su
tutto il rapporto di lavoro- con anche la flessibilità in uscita e ritenendo peraltro, così
facendo, di esaltare o comunque favorire il contratto a tempo indeterminato e limitando
quindi il ricorso ai contratti c.d. flessibili sia di natura provvisoria a carattere subordinato
(contratti a tempo determinato) che autonomo (a progetto). In tale maniera il contratto
subordinato a tempo indeterminato sarebbe utilizzato molto di più rispetto a quello
determinato5; b) dall'altro
6 chi ritiene che sia servito per riequilibrare le due posizioni tra
loro in perenne conflitto (lavoratori e datori di lavoro) dove i primi non possono che
sostenere il vecchio art. 18 S.L. dove l'effettività dei diritti dei lavoratori viene garantita
4 A. MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all'art. 18 Statuto
dei Lavoratori, in Riv. It. Dir. Lav.,2012, I, 416. 5 si veda infatti quanto indicato sia all'art. 1 comma 1 lett a) L. 92/2012 dove il contratto a tempo
indeterminato viene considerato "contratto dominante", quale forma comune di rapporto di lavoro, frase
sostanzialmente ripetuta al comma 9 lett. a) dove viene definito "il contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro" in luogo della precedente indicazione
contenuta nel d.lgs 368/01 -dove già era stato aggiunto il comma 01 ad opera dell'art 1 comma 558 della
L.23.12.2005 n. 266 dove veniva indicato "il contratto di lavoro subordinato è di regola a tempo
indeterminato"; 6 M. MARAZZA, L'art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei Lavoratori, in Arg. Dir. Lav., 2012, 3, 2.
4
solo con la reintegrazione in caso di licenziamento7; i secondi che considerano inadeguata
(perché troppo punitiva) la sanzione prevista tra l'altro perché priverebbe il datore di
lavoro del fondamentale diritto di libertà di selezionare i suoi collaboratori dopo la
scadenza del periodo di prova. Dal contemperamento delle due indicate esigenze
scaturisce -seppur nel vasto ambito della più complessa riforma del mercato del lavoro- la
riformulazione dell'art. 18; c) dall'altro ancora8 chi ritiene che la modifica dell'art. 18 sia
stata principalmente la esecuzione di quanto specificatamente indicato nella lettera
segreta, che segreta nei fatti non è stata, inviata in data 5.8.2011 dall'allora Presidente
della Banca Centrale Europea Trichet e controfirmata da Draghi (che da li a poco tempo
dopo avrebbe preso il posto del primo) nella quale venivano ritenute essenziali, nella
situazione di crisi e per ristabilire la fiducia degli investitori (anche esteri) le specificate
misure che -ricordo a tutti noi- prevedeva al punto 1)9 l'esigenza di riformare il sistema
7 Viene quindi indicata come una norma di civiltà giuridica necessaria per riequilibrare la disparità di forza
contrattuale esistente tra lavoratore e datore di lavoro ed attenuare la situazione di metus che il primo vive
nei confronti del secondo. 8 Mi permetto di richiamare quanto indicato in una mia relazione scritta divulgata in occasione di un
convegno promosso da AGI Lazio in data 9.7.2012 avente ad oggetto "La nuova legge di riforma del
mercato del lavoro" e pubblicata sul seguente sito: http://www.giuslavoristi.it/sezioni-regionali/lazio,
Osservatorio Legge 92/2012 - Dottrina "Primissime riflessioni sulla L. 28.6.2012 n.92". 9 Ritengo opportuno riportarla nell'integralità per la migliore comprensione di quanto dedotto: «Caro Primo
Ministro, Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 Agosto ha discusso la situazione nei
mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un'azione pressante da
parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori. Il vertice dei capi di Stato e di
governo dell'area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell'euro riaffermano
solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e
tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il Consiglio direttivo
ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno
alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali. Il Governo italiano ha deciso di mirare al pareggio
di bilancio nel 2014 e, a questo scopo, ha di recente introdotto un pacchetto di misure. Sono passi
importanti, ma non sufficienti. Nell'attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure:
1.Vediamo l'esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita. Alcune decisioni
recenti prese dal Governo si muovono in questa direzione; altre misure sono in discussione con le parti
sociali. Tuttavia, occorre fare di più ed é cruciale muovere in questa direzione con decisione. Le sfide
principali sono l'aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei
servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività
delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro.
a) E' necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena
liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in
particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala. b) C'é anche l'esigenza
di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello
d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e
rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 Giugno tra
le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione. c) dovrebbe essere
adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti (il
sottolineato è mio), stabilendo un sistema di assicurazione della disoccupazione e un insieme di politiche
attive per il mercato del lavoro che sia in grado di facilitare la ricollocazione delle risorse verso aziende e
verso settori più competitivi
2.Il Governo ha l'esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle
finanze pubbliche.
a) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane
di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del
luglio 2011. L'obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un
fabbisogno netto dell'1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di
spesa. E' possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di
idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l'età del ritiro delle donne nel settore privato
rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012.
5
della contrattazione collettiva -e da li a pochi giorni dopo è stata introdotta la
regolamentazione prevista dall'art. 8 l. 14.9.2011 n.148 (i c.d. contratti di prossimità)-,
nonché una accurata revisione delle norme che regolano la assunzione ed il licenziamento
dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione della disoccupazione ecc., e non è
affatto un caso che a meno di dieci mesi (il primo disegno di legge è di soli sei mesi10
) sia
stata approvato la legge sul mercato del lavoro11
.
Quale che siano i motivi per cui il legislatore si è determinato a modificare l'art. 18
S.L., come più avanti verrà meglio chiarito, si ritiene incontrovertibile che abbia voluto
dare una tutela minore al lavoratore in caso di licenziamento dichiarato illegittimo.
3) Primi cenni del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego,
rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi. b) Andrebbe
introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli
obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali. c)
Andrebbero messi sotto stretto controllo l'assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle
autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari
livelli di governo. Vista la gravità dell'attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che
tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito
da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011. Sarebbe appropriata anche una riforma
costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.
3. Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione
dell'amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l'efficienza amministrativa e la capacità di
assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l'uso di
indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell'istruzione). C'é l'esigenza di
un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province).
Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.
Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate. Con la migliore considerazione, Mario
Draghi, Jean-Claude Trichet. 10
il d.d.l. S. 3249. 11
non può certo sfuggire la considerazione che il tentativo di modifica dell'art. 18 S.L. ha avuto diverse fasi
tutte naufragate, chi più chi meno, sul nascere. In primis si ricorda il referendum tendente alla abrogazione
dell'art. 18 S.L promosso da Forza Italia, Partito Radicale e PRI del 21 maggio 2000 che non venne
effettuato per mancanza del "quorum" richiesto; in seguito il governo Berlusconi, salito a Palazzo Chigi nel
2001 aveva nello stesso anno emanato un d.d.l. -l'848 del 15.11.2001- che all'art. 10 aveva previsto la
delega al governo per emanare uno o più decreti legislativi per "introdurre in via sperimentale, entro il
termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, misure volte a sostenere e
incentivare l’occupazione regolare a tempo indeterminato, prevedendo in particolare, in caso di
cessazione del rapporto di lavoro, quale alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro il risarcimento.
Si tratta di una sperimentazione che potrà prolungarsi non oltre quattro anni dalla emanazione dei decreti
legislativi di applicazione della presente legge, così da verificare l’opportunità o meno di ulteriori e più
durature modifiche dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sostituendo al regime di stabilità
reale del posto di lavoro quello della tutela obbligatoria di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, e
successive modificazioni. La possibilità del risarcimento in luogo della reintegrazione è tuttavia ammessa
soltanto in relazione a misure di riemersione, stabilizzazione dei rapporti di lavoro sulla base di
trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, politiche di incoraggiamento della crescita
dimensionale delle imprese minori, non computandosi nel numero dei dipendenti occupati le unità
lavorative assunte per il primo biennio.È appena il caso di affermare che il Governo riconferma i divieti
attualmente vigenti in materia di licenziamento discriminatorio a norma dell’articolo 15 della legge 20
maggio 1970, n. 300, nonché in relazione al licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il suo
matrimonio a norma degli articoli 1 e 2 della legge 9 gennaio 1963, n. 7, oltre alle ipotesi di sospensione
del rapporto di lavoro di cui all’articolo 2110 codice civile".
6
Come è noto il licenziamento prima della introduzione della l. 604/66 poteva essere
irrogato unicamente ai sensi dell'art. 2118 c.c. (c.d. recesso "ad nutum12
") e 2119 c.c.
(recesso per giusta causa), intendendosi per quest'ultimo il recesso determinato da
qualsiasi "causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto"13
.
Successivamente, con l'introduzione della l. 604/66, la casistica legittimante il
licenziamento si è arricchita della figura del giustificato motivo (previsto dall'art. 3) che
può essere soggettivo (laddove sia determinato da un notevole inadempimento degli
obblighi contrattuali del prestatore di lavoro) ovvero oggettivo (laddove sia determinato
da ragioni inerenti l'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa).
Merita innanzi tutto immediatamente rilevare che il legislatore in materia di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo (come per quello disciplinare per giusta
causa e giustificato motivo soggettivo) avrebbe potuto intervenire nella maniera che
segue.
a) nel dare una definizione concreta di di giustificato motivo, sia esso soggettivo
che oggettivo (così come quello per giusta causa), vista la totale genericità della
formulazione contenuta segnatamente negli artt. 3 (prima e seconda parte) l. 604/66 e
2119 c.c., genericità che ha -nel corso della oltre quarantennale applicazione giudiziaria
delle suddette disposizioni- ingenerato la più totale incertezza sui motivi (rectius: causali)
legittimanti il recesso.
Le richiamate norme, che possiamo definirle "contenitori" infatti sono state
infatti "riempite" dalla Magistratura, nei vari gradi, nella maniera più disparata
alimentando quella incertezza di cui si è fatto cenno14
.
b) nel regolamentare il regime delle prove, ad esempio esaltando o meno le
presunzioni previste dagli artt.2727 e seg.ti c.c.15
c) nel modificare il regime sanzionatorio.
Orbene il legislatore del 2012 (così come quello attuale sol se si pensi
all'emendamento presentato in data 2.5.2014 in base al quale il superamento del limite
della percentuale del 20% dei contratti a tempo determinato non prevederebbe più la
conversione dei contratti da tempo determinati a tempo indeterminati, ma solamente un
indennizzo mutevole da un 20% al 50% della retribuzione a secondo del numero dei
12
la cui applicabilità è ancora in vigore, nonostante il regime limitativo successivamente introdotto, in tutte
quelle situazioni non assistite dalla l. 604/66 e 300/70. 13
applicabile sia alle dimissioni che al licenziamento nei contratti a tempo determinato, purché avvengano
prima della scadenza del termine, o a tempo indeterminato senza obbligo di preavviso. 14
gli esempi potrebbero essere innumerevoli, ritengo che uno su tutti dia l'esatto quadro della situazione
che vado illustrando: si pensi al furto in azienda effettuato dal dipendente infedele che a secondo di alcuni
magistrati e gradi di giudizio vengono delibati in maniera totalmente difforme intervenendo a dare
valutazioni del tutto personalissime sul concetto di proporzionalità previsto dall'art. 2106 c.c.. (V. Cass.
27.11.1999 n. 13299 in Riv. it. dir. lav. 2000 II, 380 con nota di CATTANI. 15
v. A. MARESCA Il Nuovo regime cit.,420.
7
lavoratori coinvolti16
) ha ritenuto di scegliere la terza soluzione superando la vecchia
impostazione contenuta nell'originario testo dell'art. 18 S.L. sia nella formulazione del
1970 sia in quella -resa ancor più rigorosa- prevista nella l. 108/90.
Infatti il sistema previgente prevedeva un regime unico previsto dal vecchio
testo dell'art. 18 che prevedeva -ovviamente nell'ambito di applicabilità dello stesso
previsto dal comma 1 - sempre e comunque la "reintegrazione del posto di lavoro"
(significativo infatti era il titolo dell'art. 18 che recitava proprio in tal senso) e dal
risarcimento dei danni conseguenti contenuto nel comma 2 della prima versione (quella
del 1970) e nel comma 4^ della seconda versione (quella novellata dalla L.108/90, che ha
sicuramente inasprito in maniera significativa gli effetti del licenziamento illegittimo -
cioè il risarcimento- non solo per la previsione normativa ivi contenuta ma sicuramente
anche per il dato fattuale consistente nelle lungaggini giudiziarie per la definizione della
domanda volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento17
).
La novella del 2012 ha previsto invece ben quattro sanzioni delle quali solo tre
verranno esaminate in questa parte18
come si specificherà tra breve.
4) Costituzionalità del nuovo art. 18 Stat. Lav..
Indipendentemente della opportunità o meno di tale opzione c'è per prima cosa da
chiedersi se una tale scelta sia costituzionalmente corretta o meno.
Ritengo che la scelta del legislatore possa definirsi costituzionalmente corretta.
Per sostenere tale tesi basterebbe evidenziare, da un lato, che non è rinvenibile nella
nostra Carta Costituzionale alcun vincolo a ripristinare il rapporto o comunque che sia
prescritta una tutela alla stabilità del rapporto di lavoro19
, con ciò evidenziando che non vi
sarebbe alcuna violazione di quanto previsto dall'art. 4 della Carta Costituzionale;
dall'altro che tutte le volte che la Corte Costituzionale è intervenuta in materia, ha
pacificamente escluso20
che sia incostituzionale la differenza delle tutele apprestate nei
16
Ritengo opportuno evidenziare che il presente scritto è stato elaborato domenica 4.5.2014 e quindi sconta
tutte le novità che verranno introdotte successivamente 17
Si pensi al caso limite -vera iattura per la parte convenuta che fosse risultata vincitrice in primo ed in
secondo grado per poi vedersi cassata la sentenza in cassazione (nel migliore dei casi non prima di 6,
talvolta fino a, 10 anni) in cui a distanza di parecchi anni dal licenziamento il datore di lavoro si vedrebbe
condannato a pagare somme iperboliche per effetto del richiamato 4 comma (vecchio testo). Lungaggini
giudiziarie che -per controbilanciare l'esempio suddetto- andavano sicuramente anche a danno del
lavoratore (situazione questa che si aggrava nel sistema attuale come si evidenzierà) che si vedeva privato
del posto di lavoro e della fonte di guadagno per il tempo sopra indicato. 18
poiché, replicasi quelle riguardanti la reintegrazione "piena" viene trattata in altra parte del presente
Commentario a cura di F. AIELLO. 19
V. Corte Cost. 7.2.2000 n. 46 in Foro it. 2000, I, 699 con nota di ROMBOLI ed in Mass. Giur. Lav. 2000,
376 con nota di RENDINA; in dottrina P. ICHINO, La Corte Costituzionale e la discrezionalità del legislatore
ordinario in materia di licenziamenti in Riv. it. dir. lav. 2006, I, 353-374; R. SCOGNAMIGLIO Diritto del
lavoro e Corte Costituzionale, Napoli 2006, 131. Per una asserita incostituzionalità del nuovo regime v.
M.T. CARINCI. 20
si vedano tutte le sentenze della Corte Costituzionale a cominciare da quella che ha dichiarato la piena
costituzionalità dell'art. 2118 c.c. (v. Corte Cost. n. 45/1965) a quelle che hanno deciso sulla manifesta
infondatezza della disparità prevista nei regimi sanzionatori indicati negli artt. 8 l. 604/66 e 18 l. 300/70
(per un'ampia disamina si rinvia a quanto indicato nella nota precedente).
8
confronti dei lavoratori a seconda del regime di stabilità (obbligatoria ex l. 604/66 o reale
ex art. 18 vecchio testo l. 300/70) loro riconnessa, con ciò evidenziando che non vi
sarebbe alcuna violazione di quanto previsto dall'art. 2 della Carta Costituzionale.
Ne è altrettanto rinvenibile nella Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea
sottoscritta nel 2000 a Nizza dove nell'art. 3021
si parla solamente di "tutela in caso di
licenziamento ingiustificato" e prevede esclusivamente che il lavoratore ha diritto alla
tutela conformemente al diritto comunitario (che anch'esso non prevede la reintegrazione)
e alle legislazioni e prassi nazionali.
Del resto, con riguardo a tale ultimo punto, non è certamente superfluo ricordare
che nell'ambito europeo la ingiustificatezza del licenziamento non è in alcun paese
sanzionata con la reintegrazione nel posto di lavoro, ma solamente con il riconoscimento
di una indennità che mediamente si aggira intorno alle dodici mensilità22
Tornando al regime sanzionatorio di cui sopra ed alle quattro individuate soluzioni,
è arrivato il momento di elencarle: reintegrazione piena conseguente alla nullità del
licenziamento prevista dal comma 1 del nuovo testo dell'art. 18 e sul punto rinvio alla
parte specifica23
; la reintegrazione «depotenziata»24
, la indennità risarcitoria
onnicomprensiva piena e quella limitata.
A differenza di quanto indicato al primo comma ed alle previsioni ivi indicate dove
la sanzione si applica indistintamente a tutti i datori di lavoro senza alcuna limitazione di
sorta, le ulteriori tre residuali previsioni si adottano esclusivamente nei confronti di quei
rapporti in cui è applicabile l'art. 18 S.L. e meglio indicati al comma 8 della nuova
formulazione della disposizione ovverosia: a) nei confronti di tutti i datori di lavoro -
imprenditori e non- che occupino alle proprie dipendenze più di quindici dipendenti
ovvero cinque se si tratti di imprenditore agricolo. In particolare il limite numerico
suddetto deve essere individuato non nel complesso aziendale, ma limitatamente a
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo dove si è proceduto al
licenziamento; b) nei confronti altresì di tutti i datori di lavoro che nell'ambito dello
stesso comune occupino più di quindici lavoratori, o sempre cinque nel caso di
imprenditore agricolo, anche laddove ogni singola unità produttiva sia al di sotto di tale
21
Il cui testo è il seguente: «Tutela in caso di licenziamento ingiustificato. Ogni lavoratore ha il diritto alla
tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e
prassi nazionali». 22
con ciò facendo venire meno le critiche, pur fondate da approfondite argomentazioni, svolte da M.T.
CARINCI, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi, versione provvisoria, in
www.aidlass.it/convegni/archivio/2012,pp. 31-33 secondo la quale «al lavoratore deve essere assicurata
una ""tutela adeguata"". Essa può sostanziarsi sia in un rimedio reintegratorio che risarcitorio, ma in
quest'ultimo caso la somma corrisposta al lavoratore deve essere comprensiva di tutte le perdite
economiche subite dal lavoratore dalla data del licenziamento a quello della sentenza ed, inoltre, deve
essere idonea a costituire, allo stesso tempo, efficace deterrente per il datore di lavoro e proporzionato
risarcimento del danno sofferto dalla vittima» (p. 33). 23
v. l'elaborato al comma 1 dell'art. 18 S.L. ad opera di F. AIELLO in La Riforma del Mercato del Lavoro
Jovene 2013 p. 125 e seg.ti. 24
l'espressione è di A. MARESCA in Il nuovo regime cit. p. 429
9
dato numerico; c) infine nei confronti di tutti i datori di lavoro che occupino più di
sessanta dipendenti25
.
5) Primae esegesi del licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo
Al fine di poter meglio capire l'istituto, ritengo opportuno che si operi una
"scomposizione" tra quello che potremmo definire i "limiti legali del recesso per
giustificato motivo oggettivo" con l'altro, di non poco conto, problema che riguarda la
"sanzione applicabile" una volta determinato che il licenziamento per g.m.o. viene
ritenuto illegittimo.
Con riguardo al primo aspetto l'indagine si dovrà volgere esclusivamente su quanto
indicato dal legislatore del 1966 ed in particolare sulla formulazione contenuta nella
seconda parte dell'art. 3 secondo la quale il licenziamento per giustificato motivo
oggettivo è solamente quello determinato da "ragioni inerenti all'attività produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa" (tripartizione che
verrà più avanti analizzata).
Non v'é dubbio che quella che all'epoca venne definita la legislazione di sostegno
iniziata dall'immediato dopoguerra è servita per limitare, più o meno fortemente, il potere
direttivo previsto dall'art 2014 c.c. del datore di lavoro ed in particolare -per quel che qui
interessa- l'art. 2118 c.c..
Non v'é dubbio infatti che in mancanza di norme quali quelle previste in materia di
appalto di manodopera, di licenziamento, di mutamento di mansioni o del luogo di
lavoro, della tutela della lavoratrice madre ecc., era nella piena libertà del datore di lavoro
a suo insindacabile giudizio di poter operare nella maniera che avesse ritenuto più
conveniente.
Tutte le norma in materia di lavoro dell'epoca erano, per loro stessa ragione di
essere, definite inderogabili e generatrici di diritti indisponibili (si pensi quanto è
cambiato il legislatore odierno sol se si considerino le norme previste nel d.l. 34/2014 con
gli ultimissimi emendamenti) per tutelare quello che notoriamente e giustamente veniva
definito il contraente debole nel rapporto di lavoro e servivano -per l'appunto- per
arginare lo strapotere, e quindi erano limitative del potere organizzativo e direttivo, del
datore di lavoro.
Tornando all'impostazione suggerita in apertura del presente punto, la
"scomposizione" dei limiti legali previsti dall'art. 3 II parte L. 604/66 che indicano i
presupposti della fattispecie del g.m.o., potremmo idealmente suddividere la norma in 4)
"sottocategorie":
1) le "motivazioni" del licenziamento; 2) le "ragioni" e/o "motivi" del
licenziamento; 3) il "nesso causale" tra ragione e licenziamento; 4) il "repechage".
25
modi di computo dei dati numerici riferiti, vengono esplicitati al successivo comma 9 del nuovo art. 18
S.L..
10
Con riguardo alle motivazioni occorre porre nella dovuta evidenza, e sul punto
credo che si aprirà un acceso dibattito con il collega Piccininni, che queste siano del tutto
ininfluenti prima ancora che insindacabili ai fini della legittimità del licenziamento.
Per meglio intendere il mio ragionamento occorre far presente la netta difefrenza
che intercorre tra motivazione e motivi (o ragioni) del licenziamento.
Con la prima espressione si intende la esposizione delle motivi e/o ragioni che
giustificano una decisione quando ovviamente concorre a determinare il comportamento
di un individuo (o collettività), mentre con la seconda si intende il presupposto del
determinarsi o dello svolgersi di una azione.
Un esempio forse riuscirà a chiarire meglio la differenza che non è di immediata
percezione: la mia (del datore di lavoro) volontà è la motivazione di .......ridurre un
posto di lavoro (che rappresenta -quest'ultimo- il motivo o ragione del licenziamento).
Se è chiara la differenza, cosa che non è stata mai chiara per la più parte della
giurisprudenza di merito e di legittimità, si comprende come le "motivazioni" del perché
si raggiunga la "ragione" o "motivi" del licenziamento, sia del tutto irrilevante o
ininfluente in quanto il legislatore sin dalla primogenia formulazione non se ne è mai
curato prima ancora di definirlo, come ha fatto la giurisprudenza prima e la legge poi,
incensurabile (v. art. 30 l. 183/2010 ed art. 1 comma 43 l. 92/201226
).
In ultima analisi si può affermare con ragionevole certezza che il legislatore del
1966 si sia preoccupato di disciplinare, ai fini della sussistenza delle ragioni, le scelte
organizzative o sul piano organizzativo che il datore di lavoro compie rimanendo del tutto
irrilevanti le "motivazioni" in base alle quali vengono raggiunte le surriferite scelte.
Naturalmente non sempre le decisioni giurisprudenziali hanno fatto buon governo
di tale -a mio sommesso avviso- pacifico principio, purtroppo entrando nel merito delle
motivazioni in base alle quali il datore di lavoro si è determinato a compiere determinate
scelte.
Tale inammissibile intrusione però è talvolta frutto e conseguenza di talune lettere
di licenziamento redatte in maniera fuorviante ed erronea. Si pensi a quanti, credendo di
fare meglio specificandone le motivazioni, si mettono in via del tutto autonoma nella "via
26
art 30 l. 183/2010 Clausole generali (e certificazione del contratto di lavoro).- In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nella materia di cui all'art. 409 del codice di procedura civile e all'art. 63, comma 1, del d.lgs 30.3.2001 n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di istaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali,trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente. L'inosservanza delle disposizioni di cui al precedente periodo, in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che comportano al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto (quest'ultimo periodo modificato dall'art. 1 lcomma 43 l. 92/2012 che ha come conseguenza -in caso di "inosservanza"- la ricorribilità in cassazione per violazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.)
11
senza uscita" rappresentata dalla prova che viene richiesta sulla sussistenza di dette
motivazioni.
Così ad es. se si scrive: "in conseguenza del ridotto fatturato avvenuto nel corrente
anno, la scrivente società ha ritenuto di ridimensionare il proprio organico di una unità
da individuare nel reparto amministrativo" .....ecc.
E' pacifico che i magistrati avranno facile gioco di verificare se effettivamente vi
sia stata la dedotta contrazione del fatturato quando questo non rileva affatto, rilevando
unicamente la scelta organizzativa del datore di lavoro di ridurre l'organico di una unità
(con tante altre conseguenze che affronterò tra breve).
Quindi solo le ragioni o motivi della scelta organizzativa, mi ripeto, devono essere
espressi nella procedura -di cui dirò tra breve- peculiare prevista dall'art. 7 l. 604/66, e
non anche le "motivazioni" in base alle quali tale scelte vengono raggiunte ( a meno che
non si voglia fare un preambolo in cui si evidenzia quanto indicato solo per una mera
conoscenza che non deve considerarsi vincolante per alcuno).
Del resto un esempio potrà meglio ed ulteriormente chiarire quanto appena
accennato.
A seguito della contrazione del fatturato è sicuramente insindacabile la scelta del
datore di lavoro se volere mantenere lo stesso numero di dipendenti o di voler operare
una scelta organizzativa nel senso di ridurre il personale.
Nessun giudice potrà, salve le ulteriori precisazioni che seguono, entrare nel merito
delle motivazioni, ma solo della scelta organizzativa per vedere se è reale (come dirò) e
non temporanea. Non potrà quindi verificare la contrazione o meno del fatturato
sempreché la lettera di licenziamento non sia formulata in maniera talmente ambigua da
permettere un simile accertamento.
In estrema sintesi quindi l'accertamento che dovrà condurre il Magistrato si limiterà
(rectius: si dovrà limitare) all'accertamento del fatto nel senso di verificare se
effettivamente vi è stata la soppressione o meno del posto di lavoro.
Naturalmente la prova dovrà riguardare non solo la verità e quindi sussistenza del
fatto, ma anche la sua non temporaneità (la cui sussistenza preluderebbe un ingegnoso
escamotage da parte del datore di lavoro per liberarsi del lavoratore scomodo).
Una volta verificata la sussistenza delle ragioni del licenziamento volendo
proseguire nella "scomposizione" sopra evidenziata, deve sussistere (perché il
licenziamento possa essere ritenuto legittimo) anche il c.d. "nesso causale"
Quindi, proseguendo nell'esempio di prima, l'accertamento dovrà poi estendersi
oltre che alla veridicità del fatto (il posto è stato effettivamente soppresso e tale
soppressione oltreché veritiera deve ritenersi -con ragionevole ragione e ragionevolezza-
definitiva) anche e sopratutto al nesso causale tra il licenziamento e la soppressione del
posto ( o meglio tra la soppressione del posto ed il licenziamento).
12
Se infatti insidacabilmente il datore di lavoro decide di operare una scelta
organizzativa basata sulla ristrutturazione dell'ufficio dei "venditori" della propria
azienda, non potrà certamente ridurre di una unità andandola a prendere nell'ufficio del
personale!
Discorso a parte riguarda la possibile scelta della persona da licenziare poiché -
proseguendo nell'esempio precedente- nell'ufficio dei venditori ci sono più persone tra
loro perfettamente fungibili.
In tale ultima ipotesi seppure la legge non prescriva alcun criterio da seguire,
ritengo sia prudente (quando proprio non ci possano essere delle specifiche ragioni che
potrebbero legittimare la scelta quale ad esempio evitare il licenziamento di un poliglotta
laddove i venditori siano anche impegnati in un mercato estero a discapito di un venditore
che parla solo l'Italiano), adottare in via analogica i criteri "sociali" previsti in via
residuale dall'art. 5 1^ comma l. 223/91 (anzianità e carichi di famiglia).
Naturalmente la scelta dovrà essere operata nell'ambito di tutta l'organizzazione
aziendale (non escluse eventuali filiali estere laddove esistenti) e non del singolo sito ove
voglio effettuare il ridimensionamento.
Discorso a parte deve farsi per l'ulteriore requisito attinente il c.d. "repechage".
Sicuramente tale requisito è al di fuori della dedotta "scomposizione" operata -a)
le ragioni o motivi del licenziamento come sopra identificate; b) il nesso tra la ragione ed
il provvedimento- poiché del tutto assente nella norma in esame, ma sicuramente e
correttamente la giurisprudenza prima ed il legislatore del 2012 non ha ritenuto di
inserirli tra gli effetti costituenti la legittimità del licenziamento, poiché tale principio
risiede nei principi generali del nostro diritto.
Infatti si verserebbe in un "abuso" del potere di recesso laddove l'organizzazione
aziendale sia in grado di "accogliere" il dipendente che potenzialmente potrebbe essere
interessato correttamente al licenziamento (perché il suo posto di lavoro è effettivamente
stato soppresso e la scelta è stata correttamente osservata), ma poiché l'organizzazione
avrebbe potuto riassorbire il recesso deve considerarsi illegittimo.
Naturalmente tutte queste premesse (salvo gli ulteriori approfondimenti che verrò
tra breve a fare per l'esegesi dell'art. 3 2^ parte della L. 604/66) sono necessarie ai fini
della eventuale sanzione applicabile in caso di illegittimità del licenziamento.
Come più sopra evidenziato il legislatore del 2012 ha voluto da un lato sicuramente
diversificare il regime sanzionatorio facendolo passare dall'unica sanzione prevista dal
vecchio testo dell'art. 18 S.L. (la reintegrazione) a ben quattro, dall'altro -altrettanto
sicuramente- "relegare" la reintegrazione (sia essa "piena" che "depontenziata" secondo
la classificazione sopra offerta) in poche marginali ipotesi.
A ben vedere il legislatore del 2012 ha previsto al comma 7 del "nuovo" art. 18 S.L.
la reintegrazione (peraltro non in maniera automatica avendo utilizzato il verbo "potere"
in luogo dell'altro più incisivo "dovere" -sul punto però v. infra) solo in caso di
13
"manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo".
Per gli effetti e/o conseguenze propri, in caso di declaratoria di illegittimità del
licenziamento, si spiega meglio la formulata "scomposizione" sopra effettuata. Per prima
cosa ci si dovrebbe chiedere cosa abbia voluto intendere il legislatore con l'aggettivo
"manifesta".
C'é chi ha ritenuto che il rafforzativo il legislatore l'abbia utilizzato per far si che
solo in caso di vistosa o inequivocabile insussistenza del fatto si possa procedere
all'eventuale ("può altesì applicare....."27
) reintegrazione.
Anche in questo caso, come del resto nella previsione contenuta nel 4^ comma
della disposizione in esame, tutto ruota intorno al concetto da attribuire all'espressione -
rappresentata dal sostantivo maschile- "fatto"28
.
Non pare possa revocarsi in dubbio, analogamente a quanto previsto per il
licenziamento ontologicamente disciplinare, che per fatto debba intendersi il "fatto che
produce effetti giuridici" (quindi non qualsiasi accadimento naturale29
) che nella specie
deve identificarsi nella sussistenza delle ragioni legittimanti il licenziamento (inerenti alla
attività produttiva alla organizzazione del lavoro al regolare funzionamento di essa) e non
già all'aspetto psicologico e quindi alle motivazioni che hanno condotto a raggiungere
quelle ragioni.
Per modo che laddove le ragioni dovessero non essere provate -o non dovesse
essere provato il nesso causale tra licenziamento e ragioni che lo legittimano- si
"potrebbe" pensare che il giudice "possa" (ma forse riterrei più giusto, nonostante le
27
Sicuramente non può essere priva di senso, né può essere inteso quale errore lessicale, la differenza che il legislatore ha voluto fare nell'ambito dello stesso comma 7 del "nuovo" art. 18 S.L. sol se si pone lo sguardo all'incipit di detto comma dove si esprime in maniera inequivoca ....."il giudice applica la medesima disciplina....." ovvero nella seconda parte del secondo periodo "il giudice applica la disciplina del quinto comma....." quando viceversa in caso della "manifesta insussistenza" il legislatore -pur nell'ambito della stessa parte della disposizione- nell'incipit del secondo periodo usa un linguaggio (volutamente?) più "morbido" "può altresì applicare....." 28 Mi permetto per approfondimenti di rinviare ad un mio saggio sul "Licenziamento
Disciplinare" contenuto nel libro "La riforma del Mercato del Lavoro -Aspetti sostanziali e
processuali" Jovene 2013 p. 187 e seg.ti 29 Nel licenziamento disciplinare ho sostenuto -entrando in palese conflitto con la nota quanto
palesemente erronea ordinanza del Giudice di Bologna del 15.10.2012- che il "fatto" deve
intendersi identificabile con: a) la condotta del soggetto (il lavoratore); b) con la ovvia
imputabilità di detta condotta al predetto ed c) all'aspetto psicologico. Un esempio per tutti:
contesto al lavoratore che durante il trasporto ha danneggiato un bene aziendale (un computer) è
chiaro che deve il datore dimostrare: che effettivamente il computer sia stato danneggiato
(sussistenza del fatto) che sia stato buttato per terra dal lavoratore ( e non a seguito ad es. di uno
spintone di un collega o perché scivolato) e che tale atto sia stato volontario (non perché ad es.
colpito in quel momento da un giramento di testa o crisi epilettica ecc.)
14
considerazioni contenute nella nota 27, ritenere che "debba") applicare la sanzione della
reintegrazione depotenziata prevista nel 4^ comma, mentre se le ragioni dovessero essere
provate così come pure il nesso causale, ma violato il principio del repechage, l'unica
sanzione possibile sarebbe quella della indennità risarcitoria piena.
A questo punto ritengo sia doveroso tornare all'esame della norma che qualifica il
licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
6) Fattispecie rientranti nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo.
Mi preme premettere che quanto espresso nel paragrafo precedente rappresenta una
mia personale interpretazione della norma in esame, tuttavia ritengo necessario, ai fini
della presente lezione, approfondire l'argomento secondo le varie interpretazioni che sono
state nel tempo effettuate
Veniamo pertanto ad analizzare le fattispecie rientranti nel concetto di giustificato
motivo oggettivo.
Innanzitutto, bisogna suddividere l’area da analizzare in due grandi gruppi: da una
parte i licenziamenti dovuti a scelte economico-organizzative del datore di lavoro e,
dall’altra, i licenziamenti dovuti a vicende personali del lavoratore.
Nel primo gruppo si possono ricomprendere tutti quei licenziamenti che abbiano
come presupposti di legittimità la ricorrenza di effettive ragioni di ordine produttivo ed
organizzativo e la sussistenza -come sopra meglio specificato- di un nesso di causalità tra
tali ragioni e la soppressione di quel determinato posto di lavoro.
Sul punto giova rilevarsi che, in caso di ristrutturazioni o riconversioni produttive,
deve esprimersi con la massima ampiezza la libertà dell’imprenditore, tutelata dall’art 41
Cost., libertà che garantisce allo stesso un’autonoma scelta sia per quanto riguarda la
collocazione territoriale delle strutture produttive della propria impresa, sia per ciò che
concerne la distribuzione del personale tra dette strutture, scelte tutte che l’imprenditore
può liberamente effettuare senza subire alcun sindacato sulla “razionalità” e “adeguatezza
economica” delle stesse30
(sul punto l'argomento l'ho approfondito più sopra).
30 Cass. Civ., 18 aprile 2007, n. 9263: “In caso di ristrutturazioni o riconversioni produttive, si esprime
con la massima ampiezza la libertà dell'imprenditore, tutelata dall'art. 41 cost., che garantisce allo stesso,
tra l'altro, un'autonoma scelta sulla collocazione territoriale delle strutture produttive della sua impresa,
nonché sulla distribuzione del personale tra dette strutture, scelte che egli può liberamente effettuare senza
subire alcun sindacato sulla loro "razionalità" e "adeguatezza economica". (In applicazione di questo
principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito relativa all' assegnazione definitiva delle mansioni
superiori, con inquadramento come quadro di secondo livello, a un dipendente postale con funzioni di
direzione di un ufficio classificato come unità di media rilevanza, che non aveva ultimato il periodo
necessario, a causa del declassamento dell'ufficio dopo il decorso di cinque dei sei mesi previsti dalla
contrattazione collettiva. La S.C. a tal fine ha rilevato l'insufficiente motivazione della sentenza, che aveva
sindacato l'irrazionalità del declassamento, limitando peraltro la sua valutazione all'aspetto quantitativo
del traffico postale, senza considerare l'aspetto qualitativo, mentre aveva omesso di verificare la piena
15
Secondo una prima opzione interpretativa, rientra nella previsione normativa di cui
all’art. 3 della legge n. 604/1966 ogni ragione economica sottesa alla riorganizzazione o
alla ristrutturazione, che rende necessaria la soppressione della posizione lavorativa, quali
che siano le motivazioni che la determinano e, quindi, comprese le modifiche
organizzative o gestionali, finalizzate alla introduzione di innovazioni industriali, al
risparmio dei costi o all’incremento dei profitti, non potendo sottoporsi a condizioni la
facoltà imprenditoriale di scegliere e/o di modificare gli assetti organizzati e produttivi.
Invero, in caso di riorganizzazione o ristrutturazione aziendale, è legittima ogni ragione,
in senso economico, che la abbia determinata, non potendosi escludere né le esigenze di
mercato né il perseguimento di un incremento dei profitti attraverso modifiche
organizzative31
.
In senso opposto, è stato evidenziato che le ragioni che integrano il giustificato
motivo oggettivo sono solo quelle dirette a fronteggiare situazioni aziendali sfavorevoli
che incidono negativamente sulla normale attività produttiva ed impongono la riduzione
dei costi al fine di salvaguardare gli equilibri economici dell’impresa, con esclusione dei
riassetti organizzativi non richiesti dalla crisi economica dell’azienda e/o aventi una
finalità meramente strumentale all’incremento del profitti32
(posizione questa criticabile
per le considerazioni sopra svolte). .
Secondo questo diverso orientamento, il principio di stabilità del rapporto di lavoro,
posto dalla legge n. 604/1966, esclude che il datore di lavoro possa procedere a riassetti
organizzativi come e quando voglia; il superamento della regola della stabilità postula la
ricorrenza di cause che, con il loro peso, si impongano sull’esigenza della stabilità e,
come tali, siano serie e non convenientemente eludibili.
In senso critico rispetto a questi due orientamenti si pone chi ritiene necessaria
invece, ai fini della sussistenza di un valido licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, “l’attesa di una perdita”33
.
Per conservare un effetto limitativo della facoltà di recesso, infatti, l’art. 3 della
legge n. 604/1966 deve essere necessariamente letto nel senso che, il lavoratore, può
essere licenziato soltanto quando dalla prosecuzione del rapporto derivi
complessivamente per l’impresa, in termini di valore atteso, una perdita superiore a una
corrispondenza tra momenti di auto organizzazione resi vincolanti dalla contrattazione collettiva e la loro
effettiva attuazione con la ristrutturazione degli uffici e la collocazione del personale)”. 31 Cass. Civ., 2 febbraio 2012, n. 1461: “Nella nozione di licenziamento per giustificato motivo obiettivo
rientra anche l’ipotesi di riassetti organizzativi attuati per la più economica gestione dell’azienda purché
non pretestuosi e strumentali, bensì volti a fronteggiare situazioni sfavorevoli e non contingenti che
influiscano decisamente sulla normale attività produttiva, imponendo l’effettiva necessità di riduzione dei
costi”. 32 Cass. Civ., 7 aprile 2010, n. 8237: “In tema di giustificato motivo di licenziamento non è sindacabile,
nei suoi profili di congruità e opportunità, la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del
posto cui era adibito il dipendente licenziato, sempreché risulti l'oggettività e la non pretestuosità del
riassetto organizzativo operato e della scelta del dipendente de qua”. 33 P. ICHINO, Sulla nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in Riv. it. dir. lav., 2002,
vol. 1, p. 483.
16
determinata soglia. Deve, inoltre, escludersi che il giustificato motivo oggettivo possa
essere costituito da una perdita attesa di qualsiasi entità: se, infatti, per giustificare il
licenziamento fosse sufficiente anche una perdita attesa minima, la norma risulterebbe
svuotata di ogni effetto limitativo della facoltà di recesso del datore.
Con riguardo alla configurabilità del licenziamento per soppressione del posto di
lavoro, la giurisprudenza ha precisato come non sia necessario che vengano soppresse
tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse
essere quelle prevalentemente esercitate in precedenza e quindi tali da connotare la
posizione lavorativa del prestatore di lavoro34
. Invero, la distribuzione fra gli altri
lavoratori di altre e marginali mansioni già spettanti al lavoratore licenziato non basta ad
escludere l’oggettiva necessità di sopprimere il singolo posto di lavoro.
Con riguardo, poi, all’adibizione del prestatore di lavoro a mansioni inferiori, deve
ritenersi che quando il datore di lavoro proceda ad un licenziamento per giustificato
motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori
licenziati, la verifica della possibilità di “repêchage” vada fatta, in primis, con riferimento
a mansioni equivalenti; nell’ipotesi in cui, poi, i lavoratori abbiano accettato mansioni
inferiori al fine di evitare il licenziamento, la prova dell’impossibilità di “repêchage” va
fornita anche con riferimento a tali mansioni inferiori, ma occorre, in quest’ultimo caso,
che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non
può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al
licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, specie se il lavoratore abbia in
precedenza agito in giudizio deducendo l’illegittimità del licenziamento.
In ogni caso va, altresì, attentamente valutato il comportamento del datore di lavoro
prima del provvedimento espulsivo, per valutare se lo stesso non abbia precostituito, in
violazione dei principi di buona fede e correttezza, le condizioni per legittimare il
licenziamento, facendolo precedere da tutta una serie di provvedimenti diretti a svuotare
di contenuto le mansioni affidate al lavoratore35
.
La scelta organizzativa del datore di lavoro può, comunque, consistere, oltre che
nella soppressione delle mansioni svolte dal lavoratore licenziato, anche nella
distribuzione dei compiti tra altri dipendenti già in servizio, ivi compreso un
accorpamento delle mansioni in un’altra posizione lavorativa.
Il secondo sottogruppo di fattispecie rientranti nel giustificato motivo oggettivo,
come già detto, riguarda i licenziamenti dovuti a vicende personali del lavoratore.
In particolare, è ravvisabile un giustificato motivo di recesso del datore di lavoro
quando si tratti di inidoneità fisica o psichica del lavoratore ex art. 3, legge n. 604/1966 e
ex artt. 1463 e 1464 c.c..
34 Cass. 25 luglio 1998, n. 7312 in Foro.it. 35 Sul tema vedi infra, .
17
Indipendentemente dal superamento del periodo di comporto, si parla di motivo
oggettivo soltanto quando la sopravvenuta incapacità fisica del prestatore di lavoro abbia
carattere definitivo e manchi un apprezzabile interesse del datore di lavoro alle future
ridotte prestazioni lavorative del dipendente. Pertanto la sopravvenuta inidoneità fisica
del lavoratore a causa di malattia, anche nell’ipotesi in cui non sia stato superato il
periodo di comporto, giustifica la risoluzione del rapporto di lavoro.
Di particolare importanza, in tema, appare la sentenza della Corte di Cassazione del
7 agosto 1998, n. 7755, che rappresenta il mutamento di orientamento nella
giurisprudenza di legittimità.
Ed invero le Sezioni Unite hanno, con la decisione in questione, ritenuto che il
datore di lavoro, per poter legittimamente esercitare il suo potere di licenziamento per
giustificato motivo, a fronte di una infermità permanente del lavoratore, deve dimostrare
anche l'impossibilità di destinare il lavoratore infermo ad altre mansioni all'interno
dell'azienda.
Tale soluzione costituisce un mutamento rispetto alla tesi sino ad allora
predominante36
, secondo la quale l'incapacità del lavoratore permanentemente e
parzialmente infermo a svolgere le mansioni sino ad allora svolte rappresentava, già di
per sé, un giustificato motivo di licenziamento.
Il mutamento interpretativo, che ovviamente soddisfa un'istanza di protezione del
lavoratore in quanto contraente debole, non è, però, per questo motivo privo di appoggio
sistematico.
Come osservato nella motivazione della sentenza n. 7755/1998, la disciplina del
giustificato motivo di licenziamento costituisce infatti una specificazione dei principi
generali posti dal codice per tutti i contratti sinallagmatici nei diversi casi
d’inadempimento ed impossibilità di singole prestazioni. Con particolare riferimento al
caso di specie (incapacità conseguente ad infermità parziale permanente), il giustificato
motivo appare la specificazione della regola in tema di impossibilità sopravvenuta dettata
dall'art. 1464 c.c., secondo cui l'altra parte può recedere “se non abbia un interesse
apprezzabile all'adempimento parziale”.
Facendo leva su queste premesse, la precedente giurisprudenza di legittimità aveva
affermato che, dovendosi lasciare alla libera scelta della parte l'apprezzamento circa la
persistenza di un interesse alla prestazione parziale, il giudizio dell'imprenditore doveva
essere rispettato ed il licenziamento considerarsi rientrante nella categoria del giustificato
36 Per quanto riguarda la giurisprudenza contraria si veda Cass. 6 novembre 1996, n. 9684, in Riv.
it. dir. lav., 1997, vol. 2, p. 612; Cass. 13 marzo 1996, n. 2067, in Dir. lav., 1996, vol. 2, p. 453; Cass.
18 marzo 1995, n. 3174, in Giur. it., 1995, vol. 1, p. 1635.
18
motivo anche se non veniva fornita la prova dell'impossibilità di offrire al lavoratore
infermo mansioni alternative37
.
La più accorta giurisprudenza (poi ripresa e perfezionata da questa decisione, in
particolare: Cass. 23 agosto 1997, n. 7908, in Gius. civ. Mass., 1997, p. 1488 e Cass. 8
gennaio 1983, n. 140, in Mass. giur. lav., 1983, p. 47), però, già aveva osservato che una
valutazione puramente soggettiva della permanenza dell'interesse non poteva considerarsi
compatibile con il sistema “protettivo” della legge n. 604 del 1966, dovendosi invece
richiedere una valutazione oggettiva dell'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni
equivalenti e compatibili con la residua capacità lavorativa, senza che ciò comporti una
modifica dell'intero assetto aziendale.
Questa soluzione, del resto, è anche l’unica raggiungibile secondo un logico e
coerente ragionamento sistematico che si incentri sulla definizione della prestazione della
quale si vuole predicare l’impossibilità. La prestazione lavorativa dovuta dal lavoratore,
nota infatti la Corte, è sempre difficilmente determinabile a priori, specificandosi in
concreto in ragione al contesto ed alle direttive del datore di lavoro.
In ogni singolo caso, pertanto, l’individuazione della concreta prestazione dovuta
sarà il risultato dell’interpretazione secondo buona fede del contratto, dell’evoluzione del
rapporto e del contesto aziendale in cui si inserisce. Da ciò ne deriva quindi che, nel
determinare la prestazione dovuta nei casi d’infermità parziale permanente del lavoratore,
non sarà possibile prescindere da una valutazione circa l’opportunità che il lavoratore sia
adibito, nell'ambito di quell'azienda, ad altre mansioni, rientrando nel concetto di buona
fede oggettiva anche l'imposizione sul creditore della prestazione di doveri di
collaborazione a tutela dell'interesse all'adempimento del debitore (poi nel caso di specie
addirittura qualificato da specifica tutela costituzionale).
L’impossibilità della prestazione del lavoratore può, altresì, derivare da situazioni
estranee all’organizzazione dell’impresa e alle condizioni di salute del prestatore e
dipendere da un provvedimento dell’autorità che precluda a quest’ultimo, in concreto, la
possibilità di continuare a svolgere regolarmente la propria attività lavorativa38
.
I casi d’impossibilità sopravvenuta della prestazione, derivanti da un
provvedimento amministrativo, assumono rilievo in quanto configurano un giustificato
motivo di recesso e quindi il loro verificarsi non produce l’automatica risoluzione del
rapporto di lavoro stesso, ma può giustificare il licenziamento, che occorre sia
espressamente intimato dal datore di lavoro. Nelle ipotesi in cui l’impossibilità della
prestazione sia totale e definitiva (si pensi, per esempio, ad una condanna del lavoratore
alla pena dell’ergastolo) è pacifica la sussistenza di un giustificato motivo che rendono
37 Cfr. Cass. 20 maggio 1991, n. 5685; Cass. 26 giugno 1991, n. 7196; Cass. 21 maggio 1992, n. 6106;
Cass. 18 marzo 1995, n. 3174; Cass. 12 giugno 1995, n. 6601; Cass. 27 giugno 1996, n. 5927; Cass. 13
marzo 1996, n. 2067; Cass. 6 novembre 1996, n. 9684 in Foro.it.. 38 Si può fare l’esempio di un lavoratore sottoposto a carcerazione e, per tale motivo, impossibilitato a
recarsi presso la sede di lavoro ovvero di tutte quelle attività lavorative il cui espletamento
presupponga un’autorizzazione amministrativa che venga successivamente revocata
dall’autorità.
19
superflue ulteriori valutazioni da parte del datore di lavoro. Al contrario, l’attenzione
della dottrina e della giurisprudenza si è incentrata sulle ipotesi temporanee di
impossibilità sopravvenuta, cioè quando la prestazione lavorativa sia preclusa ma non in
via definitiva, nel senso che l’ostacolo allo svolgimento della stessa può essere in futuro
rimosso.
In tali ipotesi, la giurisprudenza ha precisato che la sopravvenuta impossibilità
temporanea della prestazione lavorativa dovuta ad un evento estraneo al rapporto di
lavoro e non imputabile al dipendente, autorizza il datore di lavoro a recedere dal
rapporto stesso, ai sensi dell’art. 1464 c.c., in mancanza di un suo interesse apprezzabile
alle future prestazioni lavorative, la sussistenza o meno del quale deve essere accertata,
con valutazione ex ante, in riferimento alla prevedibilità o meno del protrarsi della causa
dell’impossibilità di esecuzione della prestazione e del tempo occorrente per il suo venir
meno, nonché dei pregiudizi derivanti all’organizzazione del datore di lavoro e al
regolare funzionamento di essa; l’impossibilità parziale, infatti, non giustifica il recesso
solo quando, sulla base di tutte le circostanze del caso concreto, si può prevedere la
ripresa della attualità del rapporto senza significativi pregiudizi per l’organizzazione del
datore di lavoro in relazione alla prevedibile durata dell’assenza39
.
Caso particolare è quello dell’assenza dal lavoro dovuta a carcerazione preventiva
del prestatore, sia essa preventiva o esecutiva di una pena, mancando un inadempimento
colpevole del lavoratore agli obblighi contrattuali, integra un fatto oggettivo
determinante, una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa,
che giustifica il recesso del datore di lavoro solo quando risponda a ragioni inerenti
all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della
stessa40
.
Ipotesi peculiare, che rende legittimo il licenziamento, è poi rappresentata
dall’inidoneità all’insegnamento della religione cattolica. Infatti, il punto 5 del protocollo
39 Cass. 28 gennaio 2004, n. 1591: “La sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione
lavorativa dovuta ad un evento estraneo al rapporto di lavoro e non imputabile al dipendente autorizza il
datore di lavoro a recedere dal rapporto stesso, ai sensi dell'art. 1464 c.c., in mancanza di un suo interesse
apprezzabile alle future prestazioni lavorative, la sussistenza o meno del quale deve essere accertata, con
valutazione "ex ante", in riferimento alla prevedibilità o meno del protrarsi della causa dell'impossibilità
di esecuzione della prestazione e del tempo occorrente per il suo venir meno, nonché dei pregiudizi
derivanti all'organizzazione del datore di lavoro; l'impossibilità parziale della prestazione, infatti, non
giustifica il recesso solo quando, sulla base di tutte le circostanze del caso concreto, si può prevedere
(dunque necessariamente a livello di prognosi) la ripresa della attualità del rapporto senza significativi
pregiudizi per l'organizzazione del datore di lavoro in relazione alla prevedibile durata dell'assenza. (In
applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, giudicando in sede di rinvio e
discostandosi dal principio di diritto stabilito ex art. 384 c.p.c., aveva ritenuto ingiustificato il recesso del
datore di lavoro per impossibilità parziale della prestazione dovuta al ritiro del tesserino di accesso alle
aree aeroportuali ad un dipendente aeroportuale sottoposto a procedimento penale, in quanto, con
valutazione "ex post", l'assenza del dipendente era risultata "sostenibile" per il datore di lavoro in
considerazione del fatto che non era stato assunto alcun lavoratore e non erano stati modificati in modo
significativo i moduli organizzativi)”. 40 Cass. 1 giugno 2009, n. 12721 in Foro.it..
20
addizionale annesso alla legge 25 marzo 1985, n. 121 e l’art. 309, d. lgs. 16 aprile 1994,
n. 297, prevede che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali sia
impartito, in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza
degli alunni, da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica,
nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica. L’incarico è annuale e si intende
confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti. La sopravvenuta
revoca dell’idoneità all’insegnamento da parte dell’autorità ecclesiastica determina
l’impossibilità giuridica della prestazione lavorativa e la conseguente risoluzione del
rapporto di lavoro ex art. 1463 c.c., in quanto, ai lavoratori interessati non possono essere
attribuiti compiti diversi da quello dell’insegnamento41
.
Ulteriore ipotesi di impossibilità temporanea e sopravvenuta alla prestazione
lavorativa è costituita anche dalla scadenza del permesso di soggiorno per il lavoratore
straniero42
.
Altresì, il provvedimento di ritiro del porto d’armi per la guardia giurata da parte
del prefetto e il mancato rinnovo del decreto di nomina da parte del questore, possono
autorizzare il datore di lavoro al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove
questi dimostri che la prestazione sia divenuta totalmente impossibile e che il suo
interesse alla prosecuzione del rapporto in mansioni diverse non sia apprezzabile ai sensi
dell’art. 3, legge n. 604/1966. Come anche la revoca del tesserino di accesso alle strutture
aeroportuali per un dipendente di un’azienda che operi all’interno delle stesse può
costituire un’ipotesi tale da giustificare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo
ai sensi dell’art. 1464 c.c.. In questa ipotesi, non essendo il lavoratore in grado di eseguire
la propria prestazione di lavoro, in quanto non abilitato ad accedere alle strutture
aeroportuali, si configura una sopravvenuta impossibilità per evento estraneo al rapporto
di lavoro non imputabile al dipendente, che autorizza il recesso del datore nell’ipotesi in
41 Cass. 4 febbraio 2005, n. 2243: “In tema di rapporto lavorativo dei docenti di religione cattolica presso
la scuola pubblica - alla stregua degli art. 5, comma 1, l. 5 giugno 1930 n. 824, 5 l. 25 marzo 1985 n. 121,
protocollo addizionale, d.P.R. 16 dicembre 1985 n. 751, dell'art. 309, comma 2, d.lg. 16 aprile 1994 n. 297 -
sono di esclusiva competenza dell'ordinario diocesano, non solo il riconoscimento dell'idoneità
all'insegnamento (presupposto condizionante l'instaurazione del suddetto rapporto con il Ministero
dell'istruzione) ed il potere di una sua revoca, ma anche la scelta delle concrete modalità dell'espletamento
dell'attività didattica che, senza incidere sull'organizzazione della scuola pubblica, risultino volte alla
migliore funzionalità dell'insegnamento stesso. Ne consegue che, a fronte dell'esercizio di tali poteri
discrezionali da parte dell'autorità ecclesiastica, quella scolastica è tenuta ad aderire alle indicazioni
dell'ordinario diocesano dirette a privilegiare esigenze di "continuità didattica" o ad agevolare una
opportuna mobilità del personale in relazione ad "una flessibilità degli organici", in connessione con la
particolarità di un insegnamento caratterizzato da un regime di "facoltatività soggettiva" (stante il
cosiddetto "stato di non obbligo", in ragione della possibilità di rifiuto da parte dell'allievo
dell'insegnamento cattolico), prospettandosi, quindi, spazi di tutelabilità della posizione del docente a
seguito di intervento del g.o. solo in presenza di condotte che vengano a ledere valori e principi di natura
costituzionale, arrecando ingiusti danni al docente”. 42 Cass. civ., 13 luglio 2004, n. 12944 in Guida lavoro.
21
cui lo stesso sia privo di apprezzabile interesse all’adempimento delle future, residue,
prestazioni lavorative43
44
.
Si possono infine ricordare anche i casi d’impossibilità sopravvenuta della
prestazione lavorativa previsti dal codice della navigazione e dalla contrattazione
collettiva e, tra essi, la revoca e la sospensione di un’autorizzazione amministrativa che
renda impossibile la prestazione lavorativa, e che, non producono l’automatica
risoluzione del rapporto stesso, ma possono giustificare il licenziamento che deve essere
espressamente intimato dal datore di lavoro45
.
Per tornare alla riforma del lavoro attuata con legge n. 92/2012 (c.d. legge Fornero),
v'é da porre nella dovuta evidenza che questa introduce una serie di importanti novità in
materia di licenziamento.
43 Cfr. Cass. civ., 18 luglio 2006, n. 16370, in motivazione: “Secondo il costante insegnamento di questa
Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 28 gennaio 2004 n. 1591; Cass. 13 marzo 1999 n. 2267; Cass. 28
ottobre 1997 n. 10616) ove si verifichi l'ipotesi di ritiro (alla quale è perfettamente equiparabile quella della
sospensione) del tesserino che consente ai dipendenti di società di gestione di impianti aeroportuali l'accesso
alle strutture aeroportuali nelle quali presta attività lavorativa, si verifica un'ipotesi di impossibilità
temporanea della prestazione per evento estraneo al rapporto di lavoro e non imputabile al dipendente; in
tale ipotesi il datore di lavoro può recedere dal rapporto, ai sensi dell'art. 1464 cod. civ., in mancanza di un
suo interesse apprezzabile alle future prestazioni lavorative; la valutazione della sussistenza, o meno, del
suddetto interesse deve essere fatta, dato il coordinamento tra detta norma e la L. n. 604 del 1966, art. 3,
con riguardo alle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare
svolgimento di essa. E' stato altresì precisato (Cass. 16 maggio 2000 n. 6363), con riferimento alla
fattispecie in esame, che la valutazione della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento deve essere
fatta sulla base di un giudizio ex ante, riferito cioè al momento stesso dell'intimazione del recesso”. 44 In proposito, è opportuno dar conto di un principio enunciato dalla Suprema Corte, con
riferimento ad un caso di sospensione della tessera di accesso alle zone aeroportuali. I giudici di
legittimità sottolineano che i contenuti precettivi dell’art. 3 legge n. 604/1966 devono essere
impiegati quali principi generali dell’ordinamento del lavoro, in grado di fornire criteri guida di
valutazione dell’interesse del datore di lavoro a ricevere le prestazioni residue. Ai fini del recesso
ex art. 1464 c.c. è, dunque, necessario, in primo luogo, stabilire di volta in volta la sussistenza di
elementi che consentano di desumere la prevedibilità della cessazione dell’impedimento e,
successivamente, verificare se, ai sensi dei principi desunti dalla legge sui licenziamenti
individuali, l’interesse alla risoluzione appare giustificato, anche in caso di assenza di durata
prevedibilmente breve, dalle ragioni organizzative prese in considerazione. Pertanto, secondo la
Suprema Corte, l’impossibilità parziale non giustifica il recesso solo quando, sulla base di tutte le
circostanze del caso concreto, “si può prevedere, e dunque, necessariamente a livello di prognosi, la
ripresa della fattualità del rapporto senza significativi pregiudizi per l’organizzazione del datore di lavoro
in relazione alla durata dell’assenza” (cfr. Cass. 28 gennaio 2004, n. 1591). 45 Cass. 6 novembre 2002, n. 15593: “A seguito dell'estensione al rapporto di lavoro del personale
marittimo della disciplina propria del lavoro comune, i casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione
previsti dal codice della navigazione e dalla contrattazione collettiva come causa di risoluzione del rapporto
di lavoro subordinato - tra essi, la revoca e la sospensione di un'autorizzazione amministrativa che rendano
impossibile la prestazione lavorativa - assumono rilievo in quanto configurino una giusta causa o un
giustificato motivo di risoluzione del rapporto, e quindi il loro verificarsi non produce l'automatica
risoluzione del rapporto stesso, ma può giustificare il licenziamento, che occorre sia espressamente intimato
dal datore di lavoro”.
22
Va, in primo luogo, osservato che le recenti modifiche introdotte dal legislatore,
non hanno apportato, come sopra evidenziato, cambiamenti al testo dell’art. 3 della legge
n. 604/1966, con la conseguenza che la nozione di giustificato motivo oggettivo è ancora
oggi quella che si è consolidata nell’interpretazione giurisprudenziale e che costituisce
diritto vivente.
Con particolare riguardo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la
novella legislativa, come già detto, non ha inciso sulla definizione della causale ( che
rimane, pertanto, incardinata sui tre elementi essenziali: ragione strutturale, nesso di
causalità con l’allontanamento del dipendente, obbligo di repêchage) ma ha introdotto
una obbligatoria procedura amministrativa finalizzata all’esame di soluzioni alternative al
licenziamento ed al raggiungimento di un accordo conciliativo. Inoltre, il legislatore ha
basato il tipo di tutela fornita al dipendente licenziato sul grado d’insussistenza del
giustificato motivo oggettivo, consentendo al giudice di applicare una sanzione più
rigorosa e incisiva (la reintegra nel posto di lavoro) ove il fatto sia “manifestamente”
insussistente ovvero una sanzione meramente risarcitoria negli altri casi residuali.
In particolare, la legge in esame ha modificato gli artt. 6 e 7 della legge n. 604 del
1966 e l’art. 18 legge n. 300 del 1970, in materia di licenziamenti individuali. Ha inoltre
introdotto, poi, importanti novità anche rispetto ai frequenti vizi, non solo formali, delle
procedure di licenziamento collettivo ai sensi della legge n. 223 del 199146
.
46L’art. 1, commi 44, 45 e 46, della legge n. 92 del 2012 apporta alcune modifiche alla disciplina dei
licenziamenti collettivi contenuta nella legge n. 223 del 1991. Nella disciplina previgente, l’art. 4,
comma 9, della legge n. 223 del 1991, prevedeva che, collocati in mobilità i lavoratori eccedenti e
comunicato loro il recesso nel rispetto dei termini di preavviso, il datore di lavoro doveva,
contestualmente, comunicare agli uffici pubblici competenti e alle associazioni sindacali l’elenco
dei lavoratori collocati in mobilità, con la puntuale indicazione delle modalità con le quali erano
stati applicati i criteri di scelta. La nuova disposizione (art. 1, comma 44, legge 92/2012) introdotta
dalla riforma prevede che quest’ultima comunicazione debba avvenire non più contestualmente,
ma entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi. Nel regime precedente alla riforma, come
affermato anche dalla giurisprudenza più recente, i vizi della comunicazione di apertura della
procedura di mobilità non potevano essere sanati da successivi accordi sindacali, determinando
l’inefficacia dei licenziamenti per riduzione di personale intimati a conclusione della suddetta
procedura (cfr., in questo senso, Cass. Civ. sez. lav., 6 aprile 2012, n. 5582).
La nuova disposizione all’art. 1, comma 45, prevede che eventuali vizi della comunicazione di
avvio della procedura di mobilità possano essere sanati, ad ogni effetto di legge (e, quindi, anche
ai fini della dichiarazione di inefficacia del licenziamento),nell’ambito di un accordo sindacale
concluso nel corso della stessa procedura. La disposizione dell’art. 1, comma 46, invece, modifica
il regime sanzionatorio del licenziamento collettivo, distinguendo tre diverse ipotesi:
1) licenziamento intimato senza forma scritta. Come in precedenza, è prevista la tutela
della reintegrazione nel posto di lavoro, più il risarcimento del danno, commisurato a tutte le
retribuzione non percepite dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, oltre al
versamento dei contributi previdenziali;
2) licenziamento intimato in violazione delle procedure previste dalla legge. Non è più
prevista la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro (come in precedenza), ma soltanto una
indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un minino di 12 e un massimo 24 mensilità
(determinata, con obbligo di specifica motivazione da parte del giudice, tenendo conto
23
Molte e rilevanti anche le modifiche in tema di processo del lavoro, atteso che il
legislatore della riforma ha introdotto un rito “rapido” che trova applicazione
relativamente alle controversie aventi ad oggetto licenziamenti, limitatamente alle ipotesi
regolate dall’art. 18 legge 300/1970, anche quando devono essere risolte questioni
relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero quando il rapporto di lavoro
subordinato è, per così dire, “deformalizzato” o celato sotto altre mentite spoglie.
Per cominciare, la legge di riforma modifica i termini di decadenza introdotti dal
Collegato lavoro47
, in vigore dal 24 ottobre 2010.
Fermo restando il termine di 60 giorni previsto dall’art. 6 legge n. 604 del 1966 per
l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, decorrente dalla data di comunicazione
del licenziamento o dei motivi dello stesso, se non contestuale (possibilità quest’ultima
che non è più prevista dalla Riforma Fornero perché la motivazione deve essere
contestuale, a pena d’inefficacia del recesso), la legge Fornero ha ridotto il termine per il
deposito del ricorso giudiziale da 270 a 180 giorni. Il termine decorre dalla data
d’impugnazione del licenziamento (per il quale, si rammenta, è sufficiente la mera
comunicazione del lavoratore al datore di lavoro di impugnare il licenziamento, senza
necessariamente indicare i motivi di impugnazione).
Tale nuovo termine di decadenza si applica esclusivamente ai licenziamenti intimati
successivamente all’entrata in vigore della legge (ossia al 18 luglio 2012).
Il legislatore della riforma prevede inoltre espressamente che la comunicazione del
licenziamento ne indichi specificamente le motivazioni (art. 1, comma 37, della legge in
esame che modifica il comma 2 dell’art. 2 della legge 604/1966).
Viene meno, pertanto, la possibilità per il datore di lavoro di comunicare i motivi di
licenziamento entro 8 giorni dalla richiesta del lavoratore licenziato (che doveva essere
avanzata entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento).
La motivazione da indicare nella comunicazione del recesso deve consistere nelle
concrete ragioni di carattere organizzativo che hanno determinato il licenziamento, non
potendo ritenersi sufficiente la generica indicazione di dover far fronte ad esigenze di
carattere aziendale o alla mera enunciazione della formula indicata dal legislatore (ragioni
dell’anzianità del lavoratore, del numero di dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività
economica, del comportamento e delle condizioni delle parti);
3) licenziamento per violazione dei criteri di scelta. Come in precedenza, è prevista la
tutela della reintegrazione nel posto di lavoro, più il risarcimento del danno e il versamento dei
contributi previdenziali. Il risarcimento del danno, però, non può superare, in ogni caso, 12
mensilità di retribuzione. Infine, la nuova disposizione dispone espressamente l’applicabilità
anche ai licenziamenti collettivi del nuovo regime di impugnazione giudiziale del licenziamento
dettato dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010. Pertanto, anche nell’ipotesi di licenziamento
collettivo, il lavoratore deve depositare il ricorso giudiziale entro il termine di decadenza di 180
giorni (non più 270, come in precedenza) dall’impugnazione stragiudiziale (che deve sempre
avvenire, anch’essa a pena di decadenza, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione del
licenziamento). 47 Legge 4 novembre 2010, n. 183, in G.U. 9 novembre 2010.
24
di carattere tecnico, organizzativo o produttivo) ed alla mancata possibilità di ricollocare
utilmente il lavoratore in altre mansioni.
Altra norma che si ritiene debba essere evidenziate, è quella contenuta nell'art.1,
comma 40, legge 28 giugno 2012, n. 92, che andando a sostituire il testo dell’art. 7, legge
604/1966, introduce un complesso meccanismo che il datore di lavoro deve rispettare
nelle ipotesi in cui intenda procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In tale ipotesi è obbligatorio (a pena d’inefficacia del licenziamento) il previo
“passaggio” innanzi alla Direzione territoriale del lavoro.
Il datore di lavoro, infatti, è tenuto ad inviare, prima di procedere al licenziamento,
una comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro e, per conoscenza, al lavoratore,
contenente sia i motivi in base ai quali intende procedere al licenziamento, sia le
eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. La Direzione
del lavoro è tenuta a convocare le parti nel termine perentorio di sette giorni dal
ricevimento della comunicazione. All’incontro, il lavoratore può farsi assistere da un
rappresentante sindacale, ovvero da un avvocato o da un consulente del lavoro.
L’incontro è finalizzato all’esame della possibilità di misure alternative al licenziamento.
La procedura deve concludersi nei venti giorni, prorogabili qualora le parti, di
comune accordo, decidano di proseguire la discussione. Decorso infruttuosamente tale
termine, ovvero nel caso di mancato accordo, il datore di lavoro può procedere al
licenziamento. La procedura può essere sospesa per un periodo di quindici giorni nel caso
di documentato impedimento del lavoratore. Decorso tale termine, il datore di lavoro può
procedere al licenziamento, anche nel caso in cui perduri l’impedimento ed a prescindere
dalla natura dello stesso.
Inoltre il legislatore, al punto 848
dell’articolo in esame (art.1, comma 40, legge n.
92/2012), ha previsto che il comportamento delle parti desumibile anche dal verbale
redatto in sede di commissione provinciale del lavoro e dalla proposta di conciliazione
avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità
risarcitoria di cui all’art. 18 legge n. 300/1970.
Venendo a trattare più da vicino la tutela improntata dal legislatore in caso di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si rileva che la tutela reintegratoria spetti
al lavoratore nelle ipotesi in cui il licenziamento, sprovvisto dei suoi presupposti
fondanti, sia intimato a fronte della pretesa inidoneità fisica o psichica del lavoratore,
ovvero quando lo stesso sia stato dettato dal preteso superamento del periodo di
comporto, del periodo, cioè, di conservazione del posto di lavoro in costanza di malattia.
Ancora, la medesima tutela spetta nelle ipotesi in cui il fatto posto a base del
licenziamento si palesi manifestamente insussistente.
48Art. 1, comma, 40, punto 8), legge n. 92/2012: “8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile
anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa
avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all'articolo
18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione degli
articoli 91 e 92 del codice di procedura civile”.
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Inoltre, ma è stato diffusamente trattato più sopra, nel caso di manifesta
insussistenza del fatto.
Il legislatore ha poi differenziato il regime di tutela nell’ipotesi di giustificato
motivo oggettivo, a seconda che il licenziamento sia determinato da motivi prettamente
economici, in quanto riferito alle scelte organizzative e produttive dell’imprenditore (per
le quali si applica la tutela risarcitoria menzionata nel paragrafo che precede), dalle
ipotesi in cui il licenziamento riguardi motivi prettamente riferibili alla persona del
lavoratore licenziato.
Da quest’ultimo punto di vista, infatti, il nuovo art. 18 della legge n. 300/1970,
nell’attuale formulazione, individua il caso specifico del lavoratore licenziato in relazione
(o in conseguenza) del suo stato d’inidoneità psichica o fisica all’espletamento delle
mansioni ed il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto.
In queste ipotesi tipizzate dal legislatore della riforma e limitatamente alle imprese
di maggiori dimensioni, continua ad applicarsi la tutela reale (reintegra e risarcimento)
ma l’ammontare del risarcimento non potrà superare le dodici mensilità.
Analogo discorso e medesima sanzione per le ipotesi di licenziamento nullo (tra i
quali figura anche il licenziamento orale) o discriminatorio (e quelle ad esso parificate, ad
esempio il licenziamento intimato in concomitanza del matrimonio). Solo in questi casi
non rileverà il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro.
7) Il licenziamento irrogato per giustificato motivo oggettivo ma che nasconde un
licenziamento disciplinare.
Il nuovo articolo 18 S.L. prevede anche l'ipotesi di quello che è stato definito il
licenziamento "occulto", ovverosia quello che è stato adottato per un giustificato motivo
oggettivo, ma che in realtà cela un licenziamento disciplinare.
Nel qual caso la previsione contenuta nell'ultima parte del comma 7 della L. 300/70
è quella di apprestate le "relative tutele", quelle cioè previste laddove il lavoratore "nel
corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento
risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari".
E' pacifico che la preoccupazione del legislatore sia stata quella di non dare rilevo
alle ragioni formalmente addotte dal datore di lavoro, ma alle reali ragioni che hanno
condotto all'adozione dell'atto risolutivo49
, subordinando tuttavia tale esercizio ad una
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v. E. PASQUALETTO I licenziamenti nulli secondo la l. 92/2012 in Il lavoro nella giurisprudenza 10/2012
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specifica domanda che il lavoratore deve rivolgere nel corso del giudizio volto alla
declaratoria di illegittimità del licenziamento stesso.50
Naturalmente si potrebbe verificare il caso che nel corso del giudizio si riesca a
dare la dimostrazione sia della esistenza del giustificato motivo oggettivo che l'eventuale
discriminazione del licenziamento o che il licenziamento era anche disciplinare.
A questo punto ci si chiede quale decisione dovrà essere raggiunta, nel senso se
legittimare il comportamento del datore di lavoro che ha correttamente operato
nell'ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (perché in effetti le
ragioni giustificatrici del licenziamento sono state tutte correttamente provare anche con
riguardo all'obbligo di "repechage") oppure dichiararlo illegittimo sol perché vi era un
altro motivo "occulto" e quindi dando la prevalenza a quest'ultimo aspetto rispetto al
primo.
La prospettazione è di non facile soluzione. C'è chi ha sostenuto che una volta
risultato giustificato il licenziamento così come irrogato, l'eventuale motivo
discriminatorio non potrebbe assumere rilievo secondo una prevalente giurisprudenza, ma
mi sentirei di non aderire pedissequamente a tale impostazione, ma limitarla solamente
nei casi in cui non dovesse la discriminazione essere il motivo prevalente del
licenziamento.
Discorso a parte viceversa per quanto riguarda il licenziamento disciplinare
"occulto".
In tale ipotesi mi sentirei di escludere la rilevanza delle ragioni disciplinari, e quindi
di conseguenza quelle sanzionatorie, laddove sia stata accertata l'esistenza del giustificato
motivo oggettivo.
A questo punto occorre affrontare un altro spinoso problema riguardante il regime
delle prove e su chi incomba l'onere di provare la sussistenza del licenziamento
disciplinare "occulto".
Con riguardo all'onere della prova vi sono state diverse soluzioni51
; prima però di
raggiungerne una occorre porre nella dovuta evidenza che bisogna tenere ben distinto il
motivo disciplinare dalla giustificazione del licenziamento disciplinare.
Una volta chiarita la differenza, si ritiene che sia corretto ritenere che al lavoratore
incomba l'onere di provare tutti i fatti addotti a sostegno del preteso licenziamento
50
ci si interroga quando (quindi con quali limiti ed eventuali decadenze) la specifica domanda debba essere
svolta e cioè se al momento della proposizione dell'atto introduttivo del giudizio, ovvero anche nel corso
dello stesso, visto sul punto il silenzio della norma. Propende per la prima soluzione M. TATARELLI Il
licenziamento individuale e collettivo. Lavoro privato e pubblico, Padova 2012 pag. 450. 51
secondo V. SPEZIALE La riforma cit. pag. 25-26 il lavoratore dovrebbe solamente formulare la domanda e
niente altro valendo anche in tale caso il regime previsto dall'art. 5 l. 604/66; contra A. MARESCA Il nuovo
regime cit. pag. 442, secondo l'Autore "la prova che il lavoratore deve fornire non si deve limitare alla sola
sussistenza di una diversa motivazione del licenziamento, eventualmente concorrente con quella
formalmente adottata, ma anche che tale motivazione costituisce l'unica ragione del provvedimento
espulsivo e che quindi è stato deciso esclusivaemnte per finalità disciplinari o discriminatorie".
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disciplinare "occulto", mentre al datore di lavoro l'onere di provare la giustificatezza del
recesso di cui sia eventualmente stata accertata la natura disciplinare "occulta" del
recesso.
Quanto sopra facendo buon governo di quanto indicato dall'art. 2697 c.c. in ordine
all'onere della prova incombente su chi deve provare i fatti costitutivi del proprio diritto,
in alcun modo modificato dalla previsione di cui all'art. 5 l. 604/66.
Per quanto viceversa riguarda il licenziamento discriminatorio "occulto", ritengo
che il regime delle prove vada sempre ripartito nella maniera sopra indicata, ma che il
lavoratore si possa avvalere del regime specificatamente previsto dall'art. 28 D.lgs
150/2011.