lettura della sentenza della corte di appello di roma (1956)
Post on 10-Apr-2018
237 views
TRANSCRIPT
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 1/41
Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
Posted on 22 luglio 2008 by casarrubea
Introduzione alla lettura della sentenza della Corte di Appello di Roma (1956) per la strage di Portella della
Ginestra
GIUSEPPE CASARRUBEA
(2000)
Dignitatis memores
Ad optima intenti
(Iscrizione muraria,Piazza dellOrologio, Praga)
1. Un processo mai celebrato
Nel leggere la Sentenza che la seconda Corte di Appello di Roma pronunciò il 10 agosto 1956 e che qui
riportiamo nella sua stesura integrale, il lettore criticamente attento, non troverà risposta ai suoi legittimi
interrogativi. Il verdetto, infatti, come anche quello pronunciato dai primi giudici di Viterbo nel 52, lascia
un vuoto enorme nella mente e la convinzione che ben due processi si siano celebrati a onore e gloria di un
copione scritto da tempo, anzi datato. La data esatta è il 2 maggio 1947, quando il ministro dellInterno
Mario Scelba, rispondendo ai rappresentanti del popolo riuniti nellAssemblea Costituente che preoccupati
di quello che stava accadendo in Sicilia lo interrogavano, ebbe a dire che quella strage era un fatto
circoscritto, locale, senza connotati politici e quasi fuori dal mondo. Oggi una simile risposta, sulla quale si
appiattirono per un decennio inquirenti e magistrati, appare abbastanza inadeguata a spiegare le profonde
ragioni di un affaire che fondò la nascita dello Stato repubblicano segnandone lecaratteristiche per quasi
cinquantanni. Intendiamoci. Non si tratta affatto di negare le precise responsabilità della banda Giuliano in
tutta quelloperazione che la vide certamente in prima fila a concretizzare le scenografie che si stavano
allestendo, e ad eseguire le azioni stesse della scena, ma di capire che a distanza di cinquantatre anni
manca ancora un processo sui mandanti di quellefferato delitto, di quella strage che ha in sé il marchio
dello stragismo degli anni futuri.
Il lettore avrà modo di constatare i vuoti che si registrano, le gravi carenze nella costruzione dellatto di
accusa, le omissioni e alcune di quelle principali circostanze che anche al di là dal riferirsi ai mandanti,
avrebbero dovuto costituire in partenza piste fondamentali nella ricerca della verità.
Un processo sui mandanti fu celebrato a Palermo in seguito alla denunzia del deputato regionale Giuseppe
Montalbano presentata il 25 ottobre 1951 contro Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano,
Giacomo Cusumano Geloso quali mandanti della strage di Portella della Ginestra, e contro lispettore
generale di Ps Ettore Messana, quale correo nellorganizzazione della strage stessa. Ma il PG rilevando che
le risultanze dellistruttoria [] non si palesavano tali da consentire lesperimento dellazione penale nei
confronti di alcuni dei denunziati, concluse per larchiviazione degli atti ai sensi dellart.74 del cpp e la
sezione istruttoria, con decreto motivato in data 9 dicembre 1953, decise in conformità. Ora un atto di
accusa non poteva basarsi con qualche speranza di riuscita sulle dichiarazioni di Pisciotta, di Antonino
Terranova o di Giovanni Genovese per quanto a loro risultava direttamente come testimoni, pur se di
eccezionale livello. Non eravamo al tempo di Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, né poteva essere
concepito ancora il fenomeno del pentitismo, per quanto il luogotenente di Giuliano lo avesse in qualche
modo anticipato. Per di più la mafia non era neanche contemplata dal codice penale, e i giudici ritenevano
che fosse solo unastratta realtà sociologica, come essi stessi dichiaravano. Sarebbe stato sufficiente, al
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 2/41
contrario, che gli organi inquirenti avessero messo in risalto tutte le coordinate utili a spiegare
ragionevolmente come quei banditi, che già erano stati processati e avevano fatto ricorso in appello, erano
soltanto il livello più appariscente della cosiddetta lotta antibolscevica che si era scatenata con la strage del
1° maggio 1947 e che doveva proseguire poi con altre stragi fino alla conclusione del 22 giugno di
quellanno. Prima e dopo queste due date quella lotta si era dispiegata con una sorta di delega alla mafia
del compito di decapitazione sistematica delle insorgenze che potessero territorialmente arrecare qualche
squilibrio allassetto socio-politico costituito. Il controllo era stato semplice e abbastanza copertoistituzionalmente: dallassassinio di Nicolò Azoti, segretario della Camera del Lavoro di Baucina, a quello di
Accursio Miraglia, grande dirigente delle lotte contadine di Sciacca. Per il momento basti al lettore sapere
che un processo per questi delitti non fu mai regolarmente celebrato, come anche nel mistero rimase la
strage di Alia nella quale avevano perso la vita i dirigenti della Federterra (1946) di quel comune Giovanni
Castiglione e Girolamo Scaccia. Si trattava di gestione corrente del controllo politico-sociale che come ha
scritto Giuseppe Di Lello- vedeva muoversi in sintonia inquirenti e giudici, mafiosi coperti dallimpunità ed
esecutori di delitti che si prestavano allassassinio col compenso di un tumulo di terra. La situazione tornerà
a normalizzarsi anche dopo le stragi del 47 fino alla eliminazione di Epifanio Li Puma, Calogero Cangelosi e
Placido Rizzotto. E anche oltre. Ma in quel terribile bimestre maggio-giugno 1947 accadde qualcosa di
eccezionale, come se qualcuno che pure fingeva di giocare secondo le regole, avesse buttato le carte in
aria e avesse detto: adesso ci penso io.
- Lordine di cattura contro Giuliano, fu emesso, su conforme richiesta del PM il 16 luglio 1947. A quella
data lispettore di polizia Ettore Messana, nonostante destituito a seguito delle continue accuse di Girolamo
Li Causi, era nel pieno delle sue attività. Con tutta probabilità influì in modo determinante nella stesura del
Rapporto giudiziario, anche se questo porta la data del 4 settembre e la triplice firma di Lo Bianco, Santucci
e Calandra e cioè tre subalterni che di fronte a una strage di quelle proporzioni non potevano certamente
avere agito di testa propria. E Messana non era uno qualunque, ma la persona che Li Causi aveva accusato
di essere il capo del banditismo politico in Sicilia. Dopo Messana, nessun ispettore generale, si occupò più
delle stragi. Su queste premesse listruttoria formale fu conclusa con sentenza del 17 ottobre 1948 della
Corte di Appello di Palermo che ordinò il rinvio a giudizio di 39 imputati tutti associati alla banda Giuliano.
2.Imputati e testimoni scomodi
La Sentenza che prendiamo in esame riguarda la causa di secondo grado contro Francesco Gaglio inteso
Reversino e altri 32 individui già condannati per le stragi di Portella della Ginestra e di Partinico (assalti
contro le Camere del Lavoro della provincia di Palermo: 1° maggio-22 giugno 1947). Spiccavano tra gli altri
Antonino Terranova, inteso Cacaova, i fratelli Giovanni e Giuseppe Genovese, Frank Mannino, (Ciccio
Lampo), Francesco Pisciotta (Mpompò), Pasquale Pino Sciortino, Nunzio Badalamenti. A quella data i
principali imputati, poco più che ventenni, erano tutti morti: uccisi in circostanze misteriose, nel sonno,
avvelenati, massacrati in conflitti con i carabinieri dei quali poco o nulla si è saputo. Ferreri fu il primo a
sparire assieme ad altri testimoni chiave che ci rimisero le penne con lui la notte tra il 26 e il 27 giugno
1947, nello stesso frangente in cui altri membri della banda saltavano in aria su un ordigno (Angelo
Taormina, Federico Mazzola, Francesco Passatempo). Giuseppe Passatempo campò poco più di un anno
dalla morte di suo fratello Francesco fino a quando non cadde in conflitto il 24 novembre 1948; Rosario
Candela fu eliminato il 12 marzo 1950 anche lui in un conflitto con i carabinieri; Salvatore Passatempo ci
rimise le penne in contrada Sparacia di Camporeale il 7 agosto 1952; Giuliano ebbe appena il tempo di
fare pervenire ai giudici di Viterbo un memoriale da tutti ritenuto scritto sotto dettatura, una settimana
prima della sua uccisione, avvenuta come è noto la notte dal 4 al 5 luglio 1950. Seguì poi la messinscena del
capitano Antonio Perenze, col morto sistemato nel cortile della casa dell avvocaticchio Gregorio Di Maria,
e col beneplacito di tutti, a cominciare da tre generali di Corpo dArmata.
- Pisciotta dopo e Salvatore Ferreri prima, entrambi usati dalle massime autorità delle forze dellordine in
Sicilia, possono essere paragonati - per riferirci a tempi più recenti a ciò che rappresentò Prospero
Gallinari nella vicenda Moro. Come si sa Gallinari era stato fatto evadere dai carabinieri dal carcere di
Treviso, un anno prima della strage di via Fani, il 2 gennaio 1977. Essi speravano, seguendolo, di arrivare a
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 3/41
Moretti (il capo delle Brigate Rosse e killer di Moro). I risultati di questa operazione ormai si conoscono.
Gallinari non fece catturare proprio nessuno perché i carabinieri scrive Giovanni Pellegrino, presidente
della Commissione Stragi persero il controllo della situazione. Nel caso di Ferreri, alias Fra Diavolo, e di
Pisciotta essi non portarono alla cattura di Giuliano e fecero una fine quanto mai tragica. Il primo, già
confidente dellispettore generale Ettore Messana, non arrivò neanche al momento della consegna del
Rapporto giudiziario col quale, il 4 settembre 1947, furono denunciati per strage i componenti della banda
Giuliano; il secondo, credendo fino alla fine di essere superprotetto dal generale dei carabinieri Ugo Luca,morì di stricnina nel carcere dellUcciardone di Palermo (9 febbraio 1954). Non lo seguì solo Angelo Russo
(Ancilinazzu, uno dei principali testimoni della vita interna di quella strana banda monteleprina), ucciso
nello stesso carcere tre settimane dopo, ma qualche altro come Nitto Minasola, uno dei tramiti tra la mafia
di Monreale e i banditi, lispettore Ciro Verdiani che aveva avuto amichevoli rapporti con Giuliano, Giacomo
Cusumano Geloso che era stato, secondo Pisciotta, il mediatore tra i banditi e Roma. Per non contare le
innumerevoli altre morti misteriose di personaggi che con quei banditi, e con certi mediatori istituzionali
avevano avuto a che fare.
- 3.Un processo in regime di guerra fredda
La Corte di Roma si trovò davanti un drappello di banditi dimezzato, e in questo senso ebbe compiti più
facili perché fu ripercorso un campo già arato e venne a mancare sia il clima dellistruttoria palermitana, siaanche lattenzione che invece cera stata sul piano nazionale attorno al processo di Viterbo. Gli esiti furono
in qualche modo prevedibili: influì forse lacuirsi del clima della guerra fredda che aveva prodotto nel 56
loccupazione sovietica dellUngheria, e forse influirono anche le scelte di campo ideologico e politico
manifestate da taluno dei ricorrenti. Giovanni Genovese, condannato allergastolo nel 52, fu
clamorosamente assolto; altri, come Pasquale Sciortino e Nunzio Badalamenti passarono dallergastolo a
pene meno severe. Non se ne spiega la ragione perché il primo era stato il beniamino di Giuliano e gli altri
due erano stati tra i suoi più fedeli collaboratori. Di fatto il Genovese si era professato dichiaratamente
democristiano, Sciortino avevano dimostrato i primi giudici era stato il capo organizzatore degli assalti
contro le Camere del lavoro, il Badalamenti aveva forse assolto a qualche compito di particolare rilievo a tal
punto da essere trattato nei confronti degli altri, con un occhio di riguardo. Tutti avevano partecipato alle
riunioni organizzative della strage del 1° maggio e tutti, chi più chi meno, erano stati visti nella marcia di
avvicinamento a Portella. Queste motivazioni (partecipazione alla riunione di Cippi, e alla marcia notturna)erano state sufficienti per la Corte romana per confermare laccusa e mandare allergastolo molti imputati,
ma non tutti quelli che erano stati condannati a Viterbo. Giovanni Genovese faceva parte, con Vito Mazzola
e Tommaso Di Maggio, del consiglio degli anziani della banda e la sua assoluzione avrebbe dovuto portarsi
dietro valutazioni analoghe concernenti altri imputati. In realtà le cose andarono diversamente. Inchiodati
dai picciotti, elementi racimolaticci che Giuliano aveva assoldato allultimo minuto, subiranno un giudizio
diversificato. In sostanza i giudici furono per un verso severi, per un altro palesemente influenzati da una
clemenza incomprensibile, tanto più quando questa non veniva indirizzata verso taluni che, come Giuseppe
Di Lorenzo, avevano avuto il merito di disvelare le modalità degli assalti del 22 giugno contro le sedi della
sinistra, consentendo di colpirne gli esecutori. La Sentenza presenta dunque aspetti di novità pur
rimanendo nella sostanza perfettamente aderente allimpostazione politico-giudiziaria precedente.
4. Linsorgenza terroristica:
il Fronte antibolscevico e le coperture politiche del covo
Anche se assente, per morte sopravvenuta, Giuliano restò il soggetto principale della scena. Le molteplici
connessioni che egli aveva avuto nel suo reticolo sociale e politico, causa principale della sua condotta,
restarono su uno sfondo molto sfumato: la mafia e il Fronte antibolscevico, costituitosi a Palermo in via
dellOrologio e col quale Giuliano aveva avuto un sicuro rapporto, non furono neanche presi in
considerazione. I giudici respinsero ogni interferenza esterna, e si mantennero ligi alla linea dettata da
Scelba, già allindomani della strage del primo maggio. Lo scelbismo fu il denominatore che legò assieme in
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 4/41
un comune atteggiamento, forze dellordine e inquirenti, tribunali e governo. Parlando allAssemblea
Costituente il 2 maggio di quellanno il ministro aveva dettato gli indirizzi fondamentali per polizia
giudiziaria e giudici. Aveva detto che quei fatti dovevano essere attribuiti a situazioni e responsabilità locali;
che essi non avevano nessuna connotazione politica e dovevano essere circoscritti allarea territoriale nella
quale si erano manifestati.
Non è una manifestazione politica questo delitto: nessun partito politico oserebbe organizzaremanifestazioni del genere, non fosse altro perché è facile immaginare che i risultati sarebbero nettamente
opposti a quelli sperati. Si spara sulla folla dei lavoratori non perché tali, ma perché rei di reclamare un
nuovo diritto. Si vendica loffesa così come si sparerebbe su un singolo per un qualsivoglia torto ricevuto
individuale o familiare. La zona in cui si è maturato il delitto tende ogni giorno più a restringersi e non [è]
lontano il giorno in cui potrà scomparire del tutto quando le strade e le comunicazioni in genere, le scuole e
le trasformazioni fondiarie avranno fatto scomparire le condizioni sociali arretrate che perpetuano
lesistenza di mentalità anchesse arretrate (Z/40, 483).
Le indagini giudiziarie non tennero così in nessun conto il fatto che quelle stragi potessero essere state
effettuate su commissione, e che pertanto andavano rintracciate tutte le piste possibili. Quella strage
doveva rimanere come una sorta di vendetta personale, la risposta di un bandito a un torto ricevuto. Da
quella data a oggi nessun tribunale ha mai posto le questioni in modo diverso. Questa è la vera tragediastorica conseguente alla strage. Una tragedia alla cui copertura valsero di più le trame delle complicità e dei
silenzi intessute ad alto livello (ministero dellInterno, apparati investigativi, tribunali, ecc.) che gli appelli
alla Giustizia e alla chiarezza che uno Stato moderno e democratico avrebbe dovuto ascoltare.
In realtà si sparava sulla folla per incutere terrore, ricacciare indietro il movimento democratico, evitare che
si superasse la soglia di tolleranza, già oltrepassata in Sicilia con la vittoria del Blocco del popolo nelle
elezioni regionali del 20 aprile 1947, e perché il superamento già in atto del limite consentito, non servisse
da esempio per un Paese in bilico sulle decisioni di Yalta. Molte circostanze che prenderemo in
considerazione depongono in questo senso.
Nelle due sentenze ci sono dunque dei vuoti incolmabili. In realtà se si mettono assieme i tasselli che
traspaiono qua e là anche nella sentenza che riportiamo, una pista che conduceva attraverso le forzedellordine negli USA non solo doveva essere formulata per dovere dufficio, ma era anche quella che
doveva apparire come la più conseguente e logica, soprattutto rispetto alla natura dei fatti che si erano
verificati e al clima generale nel quale gli stessi si erano manifestati.
Giuliano fu il grande schermo protettivo dellaffaire che gli apparati di forza non vollero smantellare. La
conduzione delloperazione non fu difficile. Il bandito infatti fu sempre facile preda di eventi molto più
grandi di lui. Fu illuso prima dai separatisti e poi dal blocco eversivo. Commise lerrore di non tenere conto
che la fallimentare esperienza separatista che lo aveva visto investito della carica di colonnello di un
esercito inesistente e improponibile, non era servita a tirarlo fuori dal vicolo cieco nel quale quella stessa
esperienza lo aveva collocato. Ritenne opportuno al contrario accettare la nuova investitura di capo di un
esercito questa volta anticomunista perfettamente compatibile col clima generale della guerra fredda e col
consenso ampio diffuso tra i ceti reazionari e conservatori verso una politica di contenimento dellavanzatadelle sinistre in Italia. In questa scelta lavevano convinto quelle stesse persone che nella mandria dei
Genovese a Saraceno (Montelepre) avevano dato il via libera alla strage promettendogli limpunità per sé e
i suoi affiliati. Erano come vedremo- gli anelli occulti di una catena più lunga di quella che poteva dedursi
dalla semplice dichiarazione di Giovanni Genovese.
La sentenza che riportiamo ha perciò un duplice valore storico: 1) conferma la perfetta identità tra la
posizione governativa scelbiana, la fase delle investigazioni e quella successiva dei processi; 2) rispecchia le
implicite scelte dei giudici rispetto alla temperie storica del momento: ignoramento del clima nel quale le
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 5/41
stragi si erano verificate nonché delle funzioni assolte dalla mafia, dalle forze eversive e dal blocco agrario
interessati a giocare una partita determinante per le sorti della democrazia nel nostro Paese.
Il banco di prova della Sicilia fu la provocazione generale, il segnale che queste forze non erano più disposte
a tollerare che si superassero i limiti di guardia fissati. La sentenza riveste perciò un significato storicamente
dato: la rimozione istituzionale delle piste obbligatorie che ogni indagine serena e obiettiva avrebbe dovuto
assumere già in partenza per accertare i responsabili del collaudo di una matrice stragista che si sarebbe poiriprodotta nei decenni successivi col risultato di una serie di processi senza colpevoli, senza verità e senza
giustizia per i familiari delle vittime. Indubbiamente è anche una sentenza peggiorativa rispetto a quella dei
primi giudici (Viterbo) e ha come unico oggetto dattenzione il ricorso in appello di imputati, rei semmai di
essere esecutori, in qualche caso anelli di congiunzione tra mondo criminale e mondo politico-mafioso, non
già mandanti. Nuoce alla sua imparzialità il carattere asettico, lassenza di autonomia critica rispetto allatto
di accusa o di approfondimento delle cause di un episodio cruciale che ebbe notevoli ripercussioni
nellopinione pubblica e nella stessa Assemblea Costituente. Questultima sospese i suoi lavori dopo avere
approvato allunanimità un ordine del giorno nel quale si faceva appello alle autorità preposte di
individuare i mandanti di quel barbaro eccidio.
Ma lauspicio non è mai stato raccolto. Il nuovo Stato repubblicano si è così portato dentro di sé, già dal suo
primo nascere, un grido di giustizia mai ascoltato, le voci delle vittime innocenti, umili e indifese che hannoreclamato verità, il marchio di uninfamia che è durata per troppo lungo tempo, il disinteresse colpevole
delle istituzioni, la torsione della verità, la beffa aggiunta al danno.
Per quanto la sentenza segni un procedimento a senso unico tuttavia traspaiono qua e là elementi di
riflessione che i giudici ebbero pure a manifestare su fenomeni esterni alla banda. La mafia è uno di questi
elementi. Gli altri sono costituiti dai comportamenti anomali di certi rappresentanti dello Stato. Lasciati ai
margini del processo di appello essi risultano significativamente irrilevanti, aspetti di una coreografica
sociale utile solo a dare un tocco di colore allassunto giudiziario. Un tocco quale avrebbe potuto essere
quello di chi li contemplava affidandoli più alla sociologia che alla valutazione della magistratura. Così,
assecondando questa lettura, la mafia appare come una necessità di ricorrere ad una privata tutela
dellincolumità personale e patrimoniale(p. 13); per quanto essa riprenda vigore e potenza dopo la
caduta del fascismo appare agli occhi dei giudici un fenomeno inspiegabilmente incapace di controllare ilbanditismo e di tenerlo sotto la sua diretta influenza. La contraddittorietà dei giudici si evince dal ruolo che
essi attribuiscono in particolare a Calogero Vizzini rispetto alla vicenda separatista e dalla funzione
assegnata a Giuliano quale paladino di interessi politici che questi avrebbe accolto egoisticamente per
la sua impunità (p. 26). Non altrettanto esplicita appare questa attribuzione a un blocco politico eversivo
del tutto assente nellanalisi dei giudici e di cui la mafia era uno degli elementi di forza. Eppure essi
ripercorrono lesame dei primi giudici a proposito della temperie elettorale del 20 aprile 1947:
A S. Cipirello la propaganda non fu meno intensa che altrove e non mancarono le intimidazioni; a dire di
quel sindaco, il capo mafia locale, tal Celeste Salvatore, parlando in un pubblico comizio, avvertì che in caso
di vittoria del Blocco del Popolo molto sangue sarebbe stato sparso e tante fosse si sarebbero scavate per i
comunisti: i figli non avrebbero ritrovato il padre e la madre; e, secondo il teste Schirò Giacomo, sulle porte
delle case dei comunisti si trovarono scritte le parole morte ai comunisti, seguite da segni di croce.
Questi e analoghi fatti non furono oggetto di nessuna indagine, come inesistenti furono le attenzioni sui
motivi per cui, dopo la strage del 1°maggio, mancò un coordinato piano volto ad identificare tutte le
postazioni di tiro da cui si era sparato sulla folla:
Lispezione del costone della Pizzuta, da cui si presumeva fossero partiti i colpi, venne compiuta dalla
polizia giudiziaria fin dal pomeriggio del 1° maggio; può dirsi anzi che le ispezioni siano state molteplici, in
quanto accedettero sul luogo in momenti diversi il ten. col. Paolantonio, il m.llo Lo Bianco ed altri elementi
dellIspettorato generale di PS, appartenenti ai Nuclei dei Carabinieri di S. Giuseppe Jato e di S. Cipirrello, il
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 6/41
Mag. Angrisani, i Commissari di PS Guarino e Frascolla, il s. ten. Ragusa, il m.llo Parrino ed il carabiniere
Salerno, e furono ripetute anche nei giorni successivi; ma ognuno vi andò per farsi una propria idea e
mancò un coordinato piano di azione per la conservazione delle tracce del reato o quanto meno per
lesatto accertamento di esse ai fini dellidentificazione topografica di tutte le postazioni da cui i malfattori
avevano sparato; taluni degli investigatori, non ritenendolo compito proprio, non riferirono nulla
allAutorità giudiziaria, altri, distratti da più pressanti incombenze, omisero di esporre in modo completo ed
organico i risultati delle loro osservazioni, di tal che il Questore, a sei giorni dal delitto, ritenne opportunorimandare sul luogo il Commissario Frascolla per compiere unindagine supplementare e riferirne con
relazione scritta (V/3°, 421); tuttavia le lacune dei vari rapporti non furono per il momento colmate ed
occorrerà attendere il dibattimento per acquisire maggiori elementi di indagine e di valutazione.
Invero con relazione 7 maggio 1947 il S. Ten Ragusa, premesso che nel punto da cui si sparò quota 940
circa il Pelavet presenta un crinale costituito da roccioni a picco, informò i suoi superiori di aver
identificato, mediante il rinvenimento di: n. 4 caricatori per fucile mitragliatore Breda mod. 30; n. 13
caricatori da sei completi di bossoli esplosi mod. 91; n. 51 bossoli esplosi mod. 91; n. 27 bossoli esplosi per
moschetto automatico americano; n.1 cartuccia a pallottola mod. 91; n.1 cartuccia per moschetto
automatico americano; n. 2 ginocchiere di pelle di pecora; le seguenti postazioni: 1. una difucile o
moschetto mod. 91 sul primo roccione, in cima, e in posizione dominante; 2. unaltra di fucile o moschetto
mod. 91 ai piedi della postazione predetta, in un piccolo avvallamento; 3. una di fucile mitragliatore Bredamod. 30 ed altra di moschetto automatico americano, subito dopo, verso lalto, a ridosso di un grosso
roccione, in una piccola insenatura; 4. una di fucile o moschetto mod. 91 ancora più in alto e sempre più a
destra; 5. due di moschetto o fucile mod. 91 dietro le prime rocce basse (D, 66)
A sua volta, con relazione 8 maggio 1947, il Commissario di PS Frascolla riferendo sulla ispezione compiuta
la mattina del giorno precedente, espose gli stessi dati indicati dal s. ten. Ragusa, dal quale, come poi
risulterà in dibattimento (V/3°, 408 r), si fece accompagnare sul luogo. Egli non si arrampicò fin su i roccioni,
ma chiarì, tuttavia, nel suo rapporto, che le postazioni sopra indicate sotto i numeri 1 e 3 erano site rispetti-
vamente sul primo roccione partendo da sinistra e nella piccola insenatura verso la destra di chi guarda
la Pizzuta; confermò che lubicazione della postazione sopra indicata al numero 4 era sempre a destra
dellosservatore ed aggiunse che in tale insenatura furono trovati due mozziconi spenti di sigarette
americane e della paglia messa là probabilmente per maggiore comodità del tiratore (A, 78).
Dal verbale di rinvenimento e di sequestro delle cose suddette, sottoscritto dal magg. Angrisani e recante la
data del 14 maggio 1947 (A, 33), risultano repertati e consegnati allAutorità giudiziaria bossoli in numero
maggiore di quello desumibile dalle predette relazioni, precisamente: n. 78 bossoli esplosi cal. 6,05 in 13
caricatori mod. 91; n. 128 bossoli esplosi cal. 6,05; n. 1 cartuccia a pallottola inesplosa cal. 6,05; n. 52
bossoli esplosi per moschetto automatico americano; n. 1 cartuccia inesplosa a pallottola per la stessa
arma; n. 81 bossoli esplosi per mitra Beretta; n. 1 bossolo per fucile inglese (come poi mise in evidenza la
perizia G, 383 non tedesco, come fu erroneamente indicato nel verbale); cioè una differenza in più di n.
24 bossoli esplosi per moschetto automatico americano e tutti i bossoli per mitra Beretta che nelle citate
relazioni Ragusa e Frascolla non sono menzionati.
Ma è da notare che neanche questi reperti rispecchiano la realtà dei rinvenimenti, che furono di gran lungamaggiori.
Fin dalla sua deposizione istruttoria del 12 maggio 1947 il s. ten. Ragusa chiarì che il numero dei colpi
sparati doveva essere ben più alto di quanto non risultasse dalla sua relazione avendo altri prima di lui
raccolto dei bossoli nella parte bassa del Pelavet (D, 64); ed in seguito, cioè nel dibattimento, preciserà: che
i dati esposti da lui si riferivano ai rilievi del 2 maggio (V/3, 358 r); che nella relazione scritta aveva omesso
di menzionare altre sei postazioni rinvenute più in basso (V/3429); che le postazioni, intendendo per
postazioni lesistenza di un certo numero di bossoli raccolti in un breve spazio, erano undici e si
succedevano ad una distanza di circa cinque metri luna dallaltra, onde lo spiegamento dei malfattori si era
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 7/41
esteso per una lunghezza di circa cinquantacinque metri (V/3, 409); che, a suo avviso, il numero dei bossoli
rinvenuti era di ottocento e più (V/3, 357 r).
Invero di circa ottocento bossoli, raccolti con il suo concorso durante il pomeriggio del 1° maggio sul
costone della Pizzuta, o, comunque, di un numero rilevante di essi, dirà poi anche il carabiniere Salerno
(V/6, 775); e secondo il m.llo Parrino tutti i bossoli rinvenuti dovrebbero ascendere a circa un migliaio senza
per altro esaurire tutti quelli esplosi, ché alcuni, essendo caduti nei crepacci della montagna, probabilmentenon furono trovati (V/3, 382).
Adunque è manifesto che, purtroppo, da parte di coloro cui incombeva lonere della conservazione di tali
reperti non si ebbe la percezione della importanza di essi, come appare anche dalla data di formazione del
verbale di sequestro, e non si pose la dovuta cautela nella loro custodia; molti, moltissimi bossoli rimasero
presso i vari Nuclei e Stazioni dellArma e andarono indubbiamente dispersi; onde quelli in giudiziale
sequestro, lungi dallo indicare il numero dei colpi esplosi, valgono insieme con i caricatori a stabilire
soltanto che nella consumazione del reato furono impiegate armi ad essi corrispondenti.
Al reperto dei bossoli esplosi e delle cartucce inesplose deve aggiungersi, per completezza di indagine,
quello di quattro proiettili, uno cal. 6,05, gli altri cal. 9, dei quali tre furono estratti dai feriti ed uno fu
rinvenuto intriso di sangue per terra sul luogo delleccidio (A, 77; G, 383).
A quanto osservato dai giudici occorre aggiungere per completezza di analisi che nulla si è mai saputo sulle
postazioni di tiro dislocate in altri punti circostanti il pianoro di Portella, dai quali non pochi testimoni
ebbero a dichiarare di avere sentito provenire gli spari. In questo caso furono completamente omesse le
ricognizioni. Fatto assolutamente inspiegabile a fronte della constatazione che solo con gli interrogatori dei
quattro cacciatori del 27-29 maggio di quellanno, gli organi inquirenti ebbero la certezza della
partecipazione della banda Giuliano alla strage. Tanto più che questa si era svolta in un territorio che non
era mai stato di abituale dimora dei banditi e che le loro tecniche di assalto in epoca separatista avrebbero
potuto essere modulate da soggetti che ben conoscevano alcune tecniche operative degli attentati
terroristici. Va altresì sottolineato che non risultano effettuate le autopsie sui corpi dei caduti a Portella
come attestato oggi anche dai familiari delle vittime- e che le sole perizie necroscopiche disposte, non
erano di per sé sufficienti a dare esaurienti risposte né sullinclinazione dei tiri né sui punti dai quali fuaperto il fuoco, né tanto meno sullintera dinamica della strage. Se cè dunque da chiedersi il motivo di
certe omissioni da parte del fronte istituzionale è anche facile argomentare che allinterno di questo
operavano forze complementari ai gruppi eversivi e che lintera vicenda trovava agevole soluzione formale
grazie allinsostituibile presenza della banda Giuliano. Se questa non ci fosse stata se ne sarebbe dovuta
inventare unaltra disponibile, per vie più o meno indotte, ad essere presente quella mattina di festa e di
tragedia, sui roccioni del Pelavet.
- Sul carattere eversivo della strage non ci sono dubbi. Lazione fu infatti immediatamente rivendicata con
una lettera anonima dattiloscritta attribuibile al Fronte antibolscevico, ma sottoscritta con la frase Chi
ripudia la dittatura e lotta per la libertà. Lo stile non è affatto quello di Giuliano, e del resto non cè traccia
alcuna di tale riferimento.
AllAlto Commissario per la Sicilia
Ai Comandanti: La Legione dei CC.RR. e la Questura
e perché lo pubblichino nei loro quotidiani:
Giornale di Sicilia, Sicilia del Popolo, La Voce della Sicilia, La Regione, LOra-
Palermo
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 8/41
In tutti i quotidiani dellIsola variamente commentato è stato il cosidetto eccidio di Portella della
Ginestra. Hanno voluto in ogni modo naturalmente per fare cosa gradita ai compagni drammatizzare su
ciò che credevano avesse dovuto essere scritto nei Brevi di nera di ogni giornale esclusivamente come un
episodio semplice. Invece è stata data grande importanza a questo avvenimento. Ed è quello che noi
speravamo. Intendiamo mettere in evidenza un fatto di capitale interesse.
E cioè che: in ogni periodo elettorale la Sicilia ha mostrato una grande maturità politica tale da permettereche tutto si svolgesse con la calma più assoluta e lordine più perfetto. A fede di ciò parla chiaro lultimo
periodo pre-elettorale.
Non si poteva però restare indifferenti davanti allavanzare diabolico della canea rossa la quale allettando
con insostenibili e stolte promesse i falsi lavoratori, poiché non sono lavoratori i venditori di fumo, i
vagabondi, canea rossa che ha sfruttato e si è servita del suffragio dato da questo tipo di lavoratori per fare
della Sicilia un piccolo congegno da servire al funzionamento della grande macchina sovietica.
La nostra protesta dunque suoni monito a coloro che oggi tanto si stanno interessando della questione
dei compagni caduti poiché se la nostra prima azione si è limitata a così poco, continuando questi
rastrellamenti e queste misure restrittive si potrebbe degenerare in cose peggiori a danno evidentemente
di coloro, che prese alcune posizioni, non vogliono ravvedersi.
Ci hanno segnalato già i nomi coi rispettivi domicili, di tutte le autorità che stanno attivamente
conducendo questa inchiesta sicuri come siamo che non approderanno a nessun risultato positivo e che
povera gente gemerà stoltamente, come sempre, in carcere.
Trattandosi di una questione a sfondo prettamente politico consigliamo alla polizia di restare apatica e
assente da questa lotta, poiché diversamente, con nostro grande dolore, saremo costretti ad usare le armi
anche contro di essa polizia.
Se hanno da vendicarsi vengano i compagni comunisti, con il loro sangue si tingerà di rosso lazzurro del
mare, non mai le candide coscienze del popolo siciliano.
CHI RIPUDIA LA DITTATURA E LOTTA PER LA LIBERTA!!!!!
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 9/41
Giuliano disse: 'I picciotti' non sanno nulla. Aveva ragione
La lettera non fu tenuta in alcun conto dai giudici romani, pur essendosi riferiti ad essa per una sorta di
doverosa citazione di cronaca (pp. 38-39). Tuttavia si tratta di un documento nodale. Per tre ragioni. La
prima: rappresenta lenunciazione teorica esatta del ricorso alla strage come espediente di lotta politica; la
seconda: traspare chiaramente la dottrina del Fronte antibolscevico. Si trattava nei fatti di bloccare la
rottura degli argini imposti dal trattato di Yalta (1945) e di evitare che nellEuropa consegnata allegemoniastatunitense insorgessero tendenze di segno opposto. La vittoria del Blocco del popolo del 20 aprile 47 in
Sicilia si muoveva in questo senso, ed era abbastanza evidente che se una regione tutto sommato
abbastanza conservatrice andava a sinistra a maggior ragione in questa direzione si sarebbe spostato
lintero Paese. E questo era un dato che nella prospettiva delle elezioni politiche del 48 doveva essere
tenuto presente. Il risultato di quelle elezioni segnò il punto invalicabile, il limite massimo di sopportazione,
lungo il processo riformistico che aveva visto imponenti manifestazioni contadine allattacco del feudo. I
gruppi eversivi si resero interpreti delle ansie provocate dalla paura di un imminente pericolo di
sovietizzazione delleconomia e della politica, e mostrarono i muscoli.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 10/41
La terza ragione sta nel fatto che i materiali estensori del documento, presi forse dalleuforia del notevole
successo riscosso dalla loro azione (ne parlarono i giornali di tutto il mondo), sottovalutarono lerrore di
non attribuire direttamente a Giuliano la strage, lasciando trasparire chiaramente la presenza di una
componente eversiva che non poteva essere lasciata allo scoperto. Gli apparati di forza e di sistema, al
contrario, erano interessati a rintracciare immediatamente una copertura ragionevole, quanto meno nella
direzione indicata già allindomani della strage, dallo stesso ministro dellInterno. E legittima, pertanto,
lipotesi che le stragi del successivo 22 giugno, siano servite oltre che a proseguire la manovra eversiva arimediare allinconveniente. A Carini e Partinico, infatti, subito dopo gli attentati furono rinvenuti a terra
dei volantini con i quali Giuliano si attribuiva la responsabilità dei fatti. Ma anche questa volta non pochi
dubbi dovevano essere nutriti sullautenticità del documento. Il volantino, riportato nella prima pagina del
Giornale di Sicilia del 24 giugno fu composto in qualche tipografia, ma la firma di S. Giuliano è
dattilografata, come pure il luogo dove egli dava convegno ai volontari che volevano intraprendere la lotta
armata contro i comunisti. Ora non si capiscono le ragioni di segretezza che impedivano di svelare, prima
ancora che gli assalti del 22 giugno fossero messi in opera, il luogo delladunata e il nome del firmatario
dellappello che chiaramente furono aggiunti dopo che il volantino di rivendicazione fu ultimato in
tipografia. Perché non si fa riferimento agli attentati di quel giorno ma a una chiamata alle armi, a una sorta
di reclutamento di massa, per dare a quella lotta sviluppo e organizzazione. Ma era possibile che si
indicasse pubblicamente il luogo dove quelle intenzioni si dovevano realizzare? E immaginabile che lintera
opinione pubblica non si chiedesse cosa ci stessero a fare le forze dellordine? E ancora dobbligo chiedersi: se il nome di Giuliano e il luogo del reclutamento vennero aggiunti a stampatello prima delleccidio, e
forse nella stessa giornata del 22 giugno, quale motivo aveva impedito che questo fosse fatto prima? Si
temevano forse le delazioni del tipografo? Ma queste non avrebbero comunque potuto verificarsi quando il
documento sarebbe diventato di dominio pubblico? Si temeva che la nuova strage fosse sventata in tempo
o si dovette fare non poca fatica a far accettare a Giuliano che solo come nuovo capo militare poteva
farsela franca? Il volantino certamente non fu scritto da Giuliano. Esso in realtà concilia la mai tramontata
velleità di Giuliano di essere un capo militare, con linteresse che aveva il F.A. a diffondere il terrorismo
anticomunista al quale il banditismo ben si prestava. A tal punto che non era stato difficile persuadere
Giuliano a recarsi il 1° maggio a Portella, con la nuova investitura di capo di un esercito. E quello che il
bandito intima ai cacciatori presi sotto sequestro: andate e dite che a sparare eravamo in cinquecento -.
Non stranizza affatto dunque che il volantino di cui abbiamo parlato, e che qui sotto riportiamo, sia stato
scritto dalle stesse persone che erano intervenute per rivendicare la strage del 1° maggio (se la nostra
prima azione si è limitata a così poco). Ma da questa data al 22 giugno esse avevano trovato il modo di
persuadere Giuliano a farsi carico non solo degli aspetti militari dellaffaire (trattati e definiti certamente
già dal mese di aprile), ma anche della visibilità sociale e ufficiale che essi dovevano avere. Era abbastanza
evidente che Giuliano non agiva motu proprio. Il ritrovamento, allinterno dei locali del Fronte
antibolscevico di Palermo perquisiti allindomani del 22 giugno, del volantino di rivendicazione degli assalti
è pertanto unulteriore prova a sostegno della pista eversiva:
Siciliani
Lora decisiva è già scoccata!
Chi non vuole essere facile preda di quella canea di rossi che, dopo di averci infangato tradito e
turlupinato facendoci perdere ogni prestigio negli ambienti internazionali, cercano ora di distruggere
quanto di meglio ancora abbiamo e che ad ogni costo difenderemo, cioè lonore delle nostre famiglie e
quel nobile sentimento che ci lega alla nostra cara terra, che essi ipocritamente camuffati da
internazionalisti respingono e detestano, è necessario che oggi si decida.
Quegli uomini che vogliono ad ogni costo buttarci in grembo a quella terribile Russia dove la libertà è
una chimera e la democrazia una leggenda, e per i quali, noi che amiamo la nostra Sicilia, dobbiamo
sentire sdegno e ribrezzo, debbono essere senzaltro lottati.
Ed io ho assunto questo impegno.
Ma perché ciò riesca è indispensabile che tutti i cari fratelli Siciliani mi seguano per aprire un nuovo
ciclo di storia veramente fulgida e gloriosa che dovrà redimerci, rendendoci degni di questa nobile Sicula
terra che in ogni tempo ha dato prova di grande maturità democratica e di refrattarietà ad ogni forma di
dittatura.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 11/41
E tra tutte le dittature quella Russa è la più opprimente e schiacciante e perché questa non attecchisca
nella nostra isola dora innanzi inizierò una lotta senza quartiere contro i comunisti perché possa
scomparire dalla vita politica Siciliana questa canea che infanga il nostro nobile suolo dalle tradizioni
tanto gloriose, e perché non intendo, e di questo ne piglio formalmente impegno, che la nostra amata
terra diventi un misero ordigno della mastodontica [il corsivo nelloriginale è riportato in grassetto]
macchina sovietica.
Di quella terribile macchina che ha annientato i nostri sessantamila fratelli prigionieri frantumandoli inquegli ingranaggi che si chiamano squallide ghiacciaie della Siberia, lebbra, e tifo, negando così a
sessantamila famiglie limmensa gioia di riabbracciare i propri cari che in terra straniera, come da vivi,
non avranno mai pace né una lacrima che inumidirà le loro tombe.
Ai superficiali annotatori della cronaca potrà sembrare strano che sia io a dare il via a questa grande
Crociata contro coloro che negano Dio e la famiglia annientando così lo stesso uomo rendendolo senza
vita e senza sensibilità.
Volutamente hanno voluto falsare la mia posizione descrivendomi in tutti i modi e tralasciando quello
che effettivamente dimostra la ragione per cui io lotto. Da circa quattro anni mi batto senza tregua per
la realizzazione di questo grande nobile e generoso sogno; e per rendere la Sicilia ricca fiorente e
prospera e farla tornare come prima il migliore Giardino dEuropa.
Per questo ho lottato e lotterò e non mi fermerò se non quando questo sogno non sarà realtà! Chi si
sente veramente Siciliano, degno di questo nome e vuole cooperarsi in questa grande battagliaantibolscevica, sappi che cè un feudo chiamato SAGANA dove ho posto il quartier generale.
Ad un secondo mio avviso che farò pervenire alla stessa maniera del presente sono certo che
accorrerete numerosi nel suddetto feudo.
Vi prego di venire forniti di documenti di riconoscimento e di stato di famiglia perché possano essere
sussidiate le vostre famiglie.
S.GIULIANO
Per la verità non risulta che nei quattro anni precedenti Giuliano avesse mai attaccato un esponente
della sinistra, o che egli avesse paventato il fantasma sovietico. Il suo occidentalismo, per quanto
rudimentale nella sua concezione, nasce nel 48. Prima egli era stato un separatista, attratto dalle
simpatie dimostrategli da qualche ufficiale delle truppe di occupazione, da esponenti di destra
(monarchici) e dellaristocrazia decaduta. Gli avevano fatto credere che si poteva fare della Sicilia la 49^
stella americana. Aveva così creduto ai separatisti che con Canepa avevano dimostrato che questo
movimento aveva una sua trasversalità. E Giuliano, pur professandosi monarchico, non laveva tradita.
Del resto tra i separatisti cerano persone di sinistra, ad esempio, Antonino Varvaro, lavvocato
partinicese che aveva fondato il Movimento separatista democratico repubblicano, che certamente non
era filoamericano. Varvaro lo aveva difeso nella causa per lassassinio del carabiniere Mancino, e i
Giuliano avevano ricambiato lattenzione sostenendolo nelle elezioni del 20 aprile 47. La lettura dei
risultati di queste consultazioni a Partinico non lascia spazio a dubbi e conferma il carattere eversivo non
solo della strage del 22 giugno, ma anche del 1° maggio precedente. Se il bandito avesse agito per una
qualche forma di ritorsione contro un patto non mantenuto da parte della sinistra (e cioè, secondo
quanto sostenuto da Pasquale Sciortino, perché la sinistra non fece confluire i voti sui separatisti) non si
spiegherebbe il motivo per cui in quel paese, dove il blocco del popolo aveva ottenuto qualche centinaio
di voti, mentre i liberali e gli indipendentisti di Varvaro avevano fatto il pieno, si sarebbe dovuto sparare
contro il PCI che praticamente rappresentava una presenza assai contenuta.
5. La testa di morto delle squadre dazione
Il carattere eversivo e squadristico delle stragi fu ampiamente sottolineato dalla stampa nazionale, e
non solo da quella di sinistra. Dopo le stragi, i giornali parlarono di aggressioni fasciste. E in questo senso
si tennero in tutta Italia imponenti manifestazioni di massa contro il neofascismo. Del connubio
eversione/banditismo era una prova evidente il rinvenimento di quel volantino nei locali del covo di via
dellOrologio.
Per quanto la notizia fosse stata data da diversi organi di stampa, né la polizia giudiziaria prima, né la
magistratura dopo si presero la briga di accertare i nessi che legavano il nome del bandito allattività del
famigerato Jack Cipolla, capo del Fronte antibolscevico, nonché i finanziamenti ai quali questi attingeva.
La notizia del rinvenimento fu presentata nella prima pagina dell Avanti! (27 giugno 1947) come un
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 12/41
colpo di scena e fu commentata in questi termini: Il nome del bandito serve a nascondere
lorganizzazione terroristica con la quale gli agrari sperano di ostacolare lascesa democratica del
socialismo tra le masse popolari. Il 26 giugno lUnità, con un articolo di prima pagina di Maurizio
Ferrara, riportava la notizia dello scioglimento del Fronte antibolscevico e dellarresto del Cipolla,
commentando che la polizia aveva trovato nella sede di quel covo uno scarso numero di armi in quanto
i frontisti erano stati messi sullavviso da qualcuno che aveva interesse a farlo. Del resto i gruppi
eversivi del Fronte non avevano perso tempo e avevano già assunto la denominazione di Fronte dAzioneItaliana. Cera da chiedersi: chi teneva le fila di tutta loperazione? Chi pilotava le indagini? E quanto
giovò nelle scelte giudiziarie successive lorientamento ad attribuire le stragi di maggio-giugno ad una
iniziativa legata tutto sommato solo alla reazione siciliana e al blocco agrario che la fomentava? Lucida
e premonitrice fu invece la lettura che dei fatti ebbe a fare Pietro Ingrao:
Nella notte degli attentati ebbe a scrivere- le vie di Palermo sono state tappezzate di manifestini che
portavano la firma di Giuliano e che dichiaravano la guerra al comunismo [] La manovra di
mascheratura è così maldestra da fissare senza equivoci il carattere della strage e le responsabilità dei
complici e favoreggiatori. Chi ha lanciato 20 ore prima la cortina fumogena intitolata a Giuliano
evidentemente doveva sapere qualcosa dei fatti che ci sarebbero stati quella notte. Chi ha organizzato la
puerile messa in scena dei manifestini a firma Giuliano ha fornito unaltra prova che i fatti siciliani di
domenica avevano dietro una organizzazione ampia e ramificata.
E concludeva:Attraverso la breccia siciliana si tenta di portare il colpo alla democrazia nel suo complesso: dietro le
salme dei lavoratori siciliani assassinati cè una minaccia per tutti gli italiani amanti della libertà,
comunisti e repubblicani, socialisti e democratici cristiani. Linteresse della nazione e della democrazia
vuole che loffensiva fascista in Sicilia sia stroncata in modo esemplare e decisivo.
Li Causi ebbe più direttamente a riferirsi alle responsabilità dellispettore generale di polizia Ettore
Messana e alla volontà delle istituzioni di non andare a fondo nella vicenda:
Si dovrebbe concludere scriveva- che lesistenza del bandito Giuliano è preziosa per il
commendator Messana e per le forze politiche a cui egli obbedisce, forze che hanno esponenti altissimi
in certi ambienti politici e basi nelle correnti più decisamente retrive del blocco agrario. [...] Intanto -
continuava- è per lo meno strano notare come, dopo lo scioglimento del Fronte antibolscevico,
nessuna concreta azione sia stata intrapresa per identificare lorganizzazione neofascista, per stabilire i
vincoli di cui siamo assolutamente certi- che legano neofascismo e banditismo sotto la direzione di una
unica guida, quella appunto del blocco agrario.
Probabilmente la guida era diversa e quel blocco agrario era una delle componenti essenziali di un
fronte più vasto, nel clima favorevole che aveva consentito che le stragi fossero attuate e restassero
impunite. Cè un ulteriore dato che riguarda Portella.
- Alberto Borruso, contadino, 19 anni, il primo maggio ha lincarico di trasportare sul suo carro 200
razioni di pane, vino e carciofi per i suoi compagni poveri che avrebbero partecipato alla festa. Giunto
sul pianoro, spinge il suo carro un po più al di sopra del podio, stacca il mulo e, attaccando alle aste del
mezzo spaiato una bandiera rossa da un lato e la bandiera italiana dallaltro, per segnalare a tutti il
punto di spaccio delle cibarie, in attesa del comizio se ne va a mietere un po derba, verso il costone
della Pizzuta. Sente i primi colpi, avverte il pericolo, vede un individuo che spara sulla folla e come
questi si sposta da un masso allaltro, lo riconosce per Benedetto Grigoli, inteso Troia perché parente
della famiglia Troia, da San Giuseppe Jato. Abita dice Alberto- nella via Anime Sante, nei pressi della
caserma dei carabinieri. Egli è un giovane di circa trentacinque anni, alto di statura quasi quanto me, che
sono piuttosto lungo, snello, di colorito bruno, capelli scuri. Fa il mestiere di firaru, come diciamo noi in
siciliano, cioè il mestiere di colui che compra e rivende animali nelle fiere. Indossava un vestito comune e
distava circa cento metri da me. Il Borruso sottolinea il vicequestore- precisa di averlo riconosciuto
nettamente, in modo inequivocabile, armato di un fucile mitra col quale sparava continue raffiche. Una
lo prende di striscio. Fa appena in tempo a raggiungere lo zio, Pietro Tresca: Zio Pietro gli dice- morto
sono, mi hanno sparato. E così mostra la punta di una scarpa scalfita da un proiettile. E un testimone
chiave. Nota che gli assassini hanno una bandiera nera che tengono sollevata su una pietra, come un
segnale di morte per la popolazione, nonchè un uomo a cavallo di una giumenta che guarda la
popolazione; forse di vedetta. Nei giorni successivi alla strage, lo portano a Palermo in automobile
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 13/41
dietro invito di unautorità. E di lui non si hanno più notizie. E la madre, Giuseppa Bono, che denuncia
il fatto, il 3 giugno di quello stesso anno davanti al giudice istruttore. E in assenza del figlio è lei a
parlare. Si era recata a Portella con la sua numerosa famiglia; un suo figlio aveva preferito andare nel
vicino lago a giocare in compagnia di vicini di casa; lei, col marito e Alberto, era andata sui campi, a
monte del podio. Seguiva con lo sguardo il figlio che era andato ancora più in alto. Alle prime raffiche lo
vede gettarsi per terra e nascondersi dietro un sasso, poi, cessati gli spari, lo cerca disperatamente, lo
incontra e sente pronunciare il nome di un assassino. Di fronte al giudice non ha reticenze. Anzi loavverte che tutti i testi che si presentano spontaneamente per deporre a favore degli imputati sono
tutti falsi. Aveva torto. Per i giudici furono dichiarate false tutte le testimonianze che deponevano
contro i mafiosi locali.
6.Le delusioni di Giuliano, loccidentalismo e il Patto atlantico
A legittimare lipotesi che anche in Sicilia, terra di confine strategicamente significativa, potessero
esistere diramazioni di organizzazioni occulte analoghe a quella che si definiva Osoppo, depongono
alcune necessità logiche. Se i gruppi che costituivano questa brigata erano formati da partigiani
democristiani rimasti organizzati per combattere il comunismo dopo la caduta del fascismo con lintento
dichiarato della guerra non ortodossa, non minore era la paura del vento del nord che si avvertiva in
Sicilia e per una serie di ragioni. Nellimmediato dopoguerra, si erano sviluppate in Italia diverse
organizzazioni parallele, come lAssociazione partigiani cristiani diretta da Pietro Cattaneo, altrimenti
definita Movimento avanguardia cattolica italiana (Maci) attivo fino alla fine degli anni 40. E del 27febbraio 1948 una lettera rinvenuta tra gli incartamenti del Cattaneo, nella quale si fa riferimento a
contatti molto stretti che i gruppi cattolici mantenevano con i servizi segreti e lArma dei Carabinieri.
Qui importa rilevare non solo la presenza di alcuni ex partigiani nella banda Giuliano (Sciortino e
Pisciotta), o nellarea che in qualche modo la controllava (anche Cusumano Geloso aveva fatto la
resistenza) ma che sullintera realtà eversiva della Sicilia, di cui il separatismo era stato il grande
denominatore comune, poterono agire strutture parallele a vario titolo connesse con lesperienza della
guerra partigiana. Del resto poco chiarita risulta ancora oggi la funzione assolta da alcuni giovani
settentrionali (Celestini, Forniz, Trucco) che prima di raggiungere le montagne monteleprine, trovano
uno snodo, sembra occasionale, nella sezione dellANPI di Partinico. Si scoprirà poi che erano degli
infiltrati che riferiranno tutto ai carabinieri.
Scrive De Lutiis a proposito dellArmata italiana della libertà (Ail), diretta dal colonnello Musco:
Sullattività del Musco non esistono notizie certe; si sa solo che nellottobre del 1947 egli deposita
presso lambasciata statunitense a Roma un promemoria riservato contenente lelenco dei membri
principali del comitato centrale dellAil: sono 35 nomi, fra i quali figurano dieci generali e quattro
ammiragli. Alcuni mesi prima, il reverendo Frank Gigliotti, alto dignitario della massoneria californiana e
fiduciario dei servizi di controspionaggio statunitensi, aveva detto a Walter Dowling, membro della
divisione affari europei del dipartimento di Stato: Ci sono in Italia 50 generali che si stanno
organizzando per un colpo di Stato. Sono tutti anticomunisti e sono pronti a tutto [...] Siamo continua
De Lutiis- nel periodo tra il 1947 e il 1948. Vedremo successivamente che in quegli stessi mesi, al
ministero dellInterno, Mario Scelba e il generale Pièche avevano predisposto una rete di prefetti
ombra regionali che, in caso di necessità, avrebbero destituito i prefetti legali assumendo tutti i poteri
nelle rispettive regioni di competenza.
Frank Gigliotti era stato agente della sezione italiana dellOss (Office of Strategic Service) dal 1941 al
1945 e poi agente della Cia. Egli fu nel 1947 lartefice del primo riconoscimento del Grande Oriente
dItalia di Palazzo Giustiniani, la casa-madre della loggia P2, da parte della prestigiosa circoscrizione del
Nord della massoneria degli Stati Uniti. In quellanno, durante un incontro avuto con Giuseppe Saragat,
in visita a Washington, gli disse di avere incontrato il bandito Giuliano e di condividere luso
dellillegalità e della violenza impiegate da Giuliano contro i comunisti.
Giuseppe Pièche, generale dei carabinieri, ex capo del controspionaggio del Sim, e già collaboratore
dellOvra, ebbe assegnata la carica di direttore generale della Protezione civile e dei servizi antincendio
del ministero dellInterno, col primo governo De Gasperi, nel 1946. Egli ebbe una parte non secondaria
nella costruzione di uffici di intelligence al ministero dellInterno dopo lo scioglimento della polizia
segreta fascista e il trapasso di regime. E dobbligo chiedersi: quale fu sotto legemonia dei governi
democristiani la principale preoccupazione del ministero dellInterno? Quali furono gli effetti
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 14/41
dellanticomunismo, assunto dal terzo al quarto governo De Gasperi, come elemento di fondo
dellazione dello Stato? Quali furono i presupposti della futura Gladio? Quanto e come agirono le forze
dellordine come elementi di un blocco antidemocratico? Dalla strage di Palermo del 19 ottobre 44 a
quella di Portella del primo maggio sembra snodarsi un unico filo conduttore; luso cioè della forza
militare, più o meno direttamente impiegata, o del piombo della mafia per mantenere lordine
costituito, o per impedire che fossero varcate certe soglie di sicurezza al di là delle quali non era
consentito andare. Non lo consentiva il NSC già nel 47. A tale proposito scrive il Perrone:Quando si parla di mezzi per combattere il Pci, la direttiva del National Security Council (NSC) del
1947, riprodotta nella raccolta a stampa dei documenti diplomatici americani, reca una censura
segnalata da alcuni puntini. Tuttavia una ricerca in un archivio periferico, mi ha consentito di reperire
loriginale, integro, del documento fondamentale che tratta questo problema.
Nella raccolta a stampa si legge che, per combattere la propaganda comunista, non solo occorre
attuare un programma dinformazione, ma bisogna servirsi anche di tutti gli altri mezzi praticabili.
Mezzi praticabili, nello spirito del documento, deve significare concretamente realizzabili, e non
necessariamente legali.
Non sembri questa chiarisce lo studioso- una mia conclusione arbitraria. Essa deriva invece, dal
leggere che, fra i mezzi praticabili sinclude persino è questa la parte omessa nella raccolta a stampa
dei documenti diplomatici americani, e da me reperita negli archivi di Independence, Missouri- luso di
fondi non registrati (unvouchered funds), quelli che nel linguaggio corrente vengono indicati comefondi neri o sottobanco.
Qui occorre precisare che se il NSC viene istituito il 26 luglio 1947 come organo di coordinamento della
politica militare americana e dei servizi di intelligence (si tratta di un organismo direttamente presieduto
dal presidente degli Usa) non per questo in epoca precedente gli interessi di questo paese a frapporre
una barriera allinvadenza sovietica o a controllare lo sviluppo delle politiche degli Stati potevano
essere non sufficientemente presenti. Al contrario. Orientamenti e scelte erano assunti, per conto dei
rispettivi governi, dalle armate di occupazione o dai responsabili dellOffice of European Affairs di cui era
direttore H. Freeman Matthews. A coglierne la funzione basti pensare che lo stesso De Gasperi stando
a una conversazione tenuta il 16 maggio 1947 tra lambasciatore Tarchiani e Marshall- temeva il ritiro
delle truppe alleate prima delle elezioni del 48, in quanto a suo giudizio ciò non avrebbe giovato allo
sviluppo dellItalia:
unaporia, in un ragionamento che asseriva di impernearsi sulla democrazia, mentre negava agli
italiani la capacità di determinare i propri affari in assenza della tutela di eserciti stranieri. Nello stesso
tempo, un avvilente implorare e confidarsi con la potenza straniera, persino nelle più delicate questioni
concernenti la formazione del governo e lorientamento politico di carabinieri e polizia [...]
Nelleventualità di uninsurrezione comunista [...] soltanto i carabinieri venivano ritenuti una forza
affidabile sebbene dislocati per lo più in piccole località.
Guarda caso era la stessa posizione del NSC secondo il quale il Pci non avrebbe tentato di assumere il
controllo dellItalia finché le truppe americane e inglesi non fossero state ritirate alla data stabilita dal
trattato di pace (15 dicembre 1947). Ma a parte gli interessi Usa in Italia a trasformare alcuni gruppi
dellantifascismo in attiva organizzazione anticomunista dopo il 25 aprile del 45, resta il dato di una
azione autogena in questo senso. I soggetti che la promossero utilizzarono inizialmente il separatismo
come semplice espediente riuscendo a penetrare allinterno della stessa Arma dei carabinieri. A tale
proposito Giuseppe Calandra, nei suoi memoriali, riporta una lettera pervenutagli quando operava come
maresciallo presso la stazione di Montelepre:
Caro collega,
poggiati su gruppi di azione clandestina potentemente armati, sorretti ed alimentati dallazione del SS.
ufficiali del capoluogo e dello stesso Colonnello Comandante che ha preso contatti con i capi
dellorganizzazione clandestina è sorta a Palermo la nostra associazione che ha lo scopo di difendersi e
difendere la nazione dal pericolo rosso, il comunismo, le cui squadre di azione cominciano a farsi sentire
attraverso i recenti assalti alle nostre caserme. E necessario perché lazione risulti legale e non
sporadica che tutti si sia coalizzati e che nei grandi come nei piccoli centri si lavori intensamente per
sventare il pericolo ricorrendo in casi estremi anche ad azioni violente contro cose e persone.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 15/41
Da parte tua puoi stare pure tranquillo poiché seppure non ufficialmente per ovvie ragioni il nostro
comandante è con noi ed è pronto a darci tutto il suo appoggio se dovesse essere necessario.
Di questo appoggio tu non abuserai pensando che [se] dovessero privarci del nostro colonnello tutta
lorganizzazione andrebbe a monte con le reazioni che ti è facile immaginare da parte di chi gli
succederà.
Pertanto fai propaganda fra i tuoi dipendenti e fra giorni verrà costà il nostro incaricato che ti porrà a
contatto con il capo dellorganizzazione clandestina che opera nella tua giurisdizione daccordo col qualedovrai lavorare secondo le direttive che ti verranno date.
Fidiamo nella tua riservatezza e nellazione che saprai svolgere che non mancheremo di segnalare a chi
di competenza.
Il documento non datato ma che si può far risalire ai tempi dellEvis porta la sigla di una strana
Formazione Organica Reali Carabinieri Anticomunista (Forca) che il Calandra interpretò come un
tentativo degli amici di Giuliano di farlo cadere in disgrazia presso i suoi superiori. Ma gli autori e le
intenzioni della lettera erano ben diversi. Lo dimostrano parecchie circostanze: lo stile linguistico, ancora
una volta, non è quello di Giuliano; viene indicato un garante nella persona del colonnello comandante
dellArma; ci si riferisce a un contatto imminente che si sarebbe potuto facilmente riscontrare; si
lasciano intravedere collegamenti nazionali (difendere la nazione dal pericolo rosso); nel 45 si era
costituito il Fronte antibolscevico a Palermo; in quellepoca Giuliano non ebbe mai ad esprimere alcun
proposito di lotta contro il comunismo, ma da una dichiarazione di Antonino Terranova nel dibattimentodi Viterbo, si evince che Giuliano poteva essere in contatto col Fronte antibolscevico di Palermo già dal
febbraio del 47. Lo specialista dei sequestri di persona dichiarava: So che Giuliano qualche volta si
recava a Palermo ma non ricordo se nel febbraio 1947 andò nella sede del partito anticomunista. E più
avanti aggiungeva, a proposito dei manifestini antibolscevichi lanciati a Carini e Partinico, durante le
stragi del 22 giugno: Giuliano stesso mi disse che i manifestini gli erano stati portati pronti per essere
lanciati. Cacaova, come meglio era conosciuto il bandito, in sostanza ammetteva di non ricordare se in
quel mese il suo capo fosse andato nella sede di quel partito. Con ciò ammetteva che vi si era recato
prima o dopo, testimoniando un legame che certamente si era definito nel frangente delle stragi. Ma
che relazione cera tra il Fronte antibolscevico e quelli che lo stesso Terranova, seguendo laccusa fatta
da Pisciotta, indicava come mandanti delle stragi di maggio-giugno? Sul loro conto (il principe
Gianfranco Alliata di Montereale, lon.Tommaso Leone Marchesano, il deputato monarchico Giacomo
Cusumano Geloso e il democristiano Bernardo Mattarella) non si avviò mai a un percorso giudiziario che
portasse a qualche conclusione. Eppure lAlliata che aveva avuto nel 1945 unesperienza di prigionia in
Egitto e che troveremo poi iscritto in uno degli elenchi della P2- era stato pienamente smentito circa la
presunta infondatezza del memoriale datato 9 dicembre 1951 col quale Antonio Ramirez riferiva quanto
confidatogli dal deputato monarchico Gioacchino Barbera. Nello studio dellon. Ramirez si era tenuta
una riunione tra Li Causi, Barbera, Ramirez e Montalbano nella quale il deputato monarchico si
dichiarava minacciato di morte da parte di Luigi Marchesano. Questi gli avrebbe detto che se fosse
uscito qualcosa, per quel che concerneva i rapporti fra esponenti monarchici e la banda Giuliano, non
avrebbe potuto che essere [lui] a propagarla e quindi che stesse in guardia. E il Barbera, che lAlliata dà
come aderente alla Massoneria, aveva motivo di temere anche in ragione della recente rottura
operatasi, proprio nel 51, in seno al partito monarchico. Cera poi da chiedersi, rispetto a certe eredità
della lotta partigiana in senso anticomunista, quanto avesse pesato lesperienza dello Sciortino, o quella
poco conosciuta dello stesso Cusumano Geloso. Questi, stando sempre alle affermazioni dellAlliata,
aveva combattuto nella guerra di liberazione a Monte Marrone ed era stato un valoroso ufficiale dei
bersaglieri. Si sarebbe potuto partire anche da un nome fornito dallo stesso Cacaova quando aveva
affermato: Giovanni Provenzano conosce i nomi dei mandanti. Neanche il processo contro
Provenzano, Licari e Italiano approdò a nulla. Il procuratore generale presso la corte di appello di
Palermo il 22 gennaio 1954 avviò unistruttoria. Ma a distanza di sette anni i cacciatori che si riteneva
fossero stati posti sotto custodia del Licari durante la strage di Portella esposero la grave difficoltà e la
scarsa probabilità di potere identificare il bandito. Fu ordinato lo stralcio degli atti circa il reato di
partecipazione a banda armata del Licari, e gli altri furono assolti per insufficienza di prove.
Giuseppe Montalbano sperimentò per primo lesistenza di un muro di gomma. Nel luglio del 1947,
dopo la tragica fine di Ferreri e dei suoi uomini, aveva presentato una denunzia contro lispettore
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 16/41
Messana per concorso con Ferreri Salvatore in tutti i delitti da costui commessi a far data dal 1946,
dallanno cioè in cui come presumeva laveva fatto suo confidente; e chiarì che la denunzia
contemplava anche la correità nella strage di Portella della Ginestra dato che il Ferreri aveva partecipato
allorganizzazione, preparazione ed esecuzione materiale di essa. La denunzia non fu trovata e si
adombrò il sospetto della soppressione del documento. Fu pertanto chiesta laudizione del Montalbano
e, cosa singolare, la corte di Viterbo alla quale era stata richiesta lunione agli atti della denunzia, ne
respinse listanza il 5 settembre 1951. Non migliore fortuna ebbe la successiva denunzia del 25 ottobredi quello stesso anno contro il Messana e i monarchici Alliata, Marchesano e Cusumano Geloso. Leffetto
fu solo una querela per calunnia degli interessati.
- Allinizio degli anni 70, dopo le insistenti accuse dello stesso Montalbano assunte agli atti della
Commissione antimafia si riuscì a smuovere qualcosa. Quanto meno ad avere la consapevolezza che
risultava impossibile andare al di sotto della superficie delle cose. Evidentemente, sotto il piano ufficiale
ve ne era un altro molto sommerso difficile da raggiungere proprio per il carattere sublegale che lo
connotava. Il pericolo rosso aveva cementato assieme gli interessi e le paure di molti: dai neofascisti ai
monarchici difensori del latifondo, dai democristiani collusi con la mafia agli apparati istituzionali
sostanzialmente ancora orientati al vecchio regime e pertanto fibrillanti sotto lincubo di una possibile
era socialista. Ecco perché è importante la testimonianza del Calandra.
Lautenticità del documento che egli ci fornisce e che potrebbe essere letto come atto interno
parallelo dellArma viene confermata da quanto succede in seguito. Ne parla lo stesso maresciallo.Questi -racconta- consegnò la lettera al tenente colonnello Lentini, un filoseparatista, che a sua volta
informò la brigata. Trascorso qualche tempo il maresciallo ricevette unaltra lettera con la stessa
intestazione. Era la prova evidente che il documento non poteva essere stato scritto da Giuliano. Il testo
recitava in questo modo:
Caro collega,
uno di noi tradendo la riservatezza ha inviato al nostro colonnello comandante la nostra precedente
circolare.
Il colonnello ha dovuto fare buon viso a cattivo giuoco e rispondere con una circolare che presto
riceverai sconfessando il nostro movimento.
Non impressionarti perché è una pura formalità e ve lo dimostra il fatto che prima della smentita
ufficiale vi perviene la presente.
Ripetiamo è una formalità a cui il nostro colonnello non poteva sottrarsi. Uniamoci compatti e
partiamo alla riscossa contro il comunismo oppressore. Viva i carabinieri. (Forca).
Questa volta il maresciallo distrusse la lettera e a distanza di tempo interrogandosi su quella
misteriosa organizzazione annotò: Ancora oggi non ho potuto chiarire a me stesso il significato di
quella lettera anonima.
- Che sullo sfondo delle spinte centriste si fosse venuta a determinare una convergenza di interessi tra
neofascismo e famiglie mafiose che in ogni caso sinergicamente pressavano da destra, è un fatto
storicamente documentabile. Sappiamo anche che le scelte della mafia furono poi definitivamente
orientate per la Dc. Ma la geografia politica del centro-destra non avrebbe trovato un motore collettivo
comune, una propria road holding senza il denominatore delloccidentalismo. Su questo si incontravano
o entravano in conflitto diversi soggetti politici, interessati in vario modo a sottrarre spazio alla sinistra e
a bloccarne il processo di sviluppo. La partita fu impostata sul piano visibile del gioco democratico e su
quello invisibile dei poteri occulti, per altro compatibili al loro interno per le logiche criminali che li
accomunavano. Criminali: giacché non potrà mai darsi per giustificato un delitto, né tanto meno una
strage, se si danno delle attenuanti alle motivazioni politiche che li determinano.
Che Giuliano fosse attraversato da quel denominatore è dimostrato dal suo atlantismo abbastanza
scoperto in una lettera autografa, scritta al suo amico giornalista del Corriere lombardo, Jacopo Rizza.
Siamo a oltre due anni dalle stragi del 47 e il bandito, imprendibile solo per le forze dellordine, è
convinto di essere un capo di governo. Così lo troviamo alle prese con Stalin e con Truman nonché con i
Paesi che gli aveva detto qualcuno - erano i più esposti in Europa al pericolo dellinfezione comunista:
la Francia e lItalia [nda: si noti che il periodare e lo stile sono ben diversi dai documenti sopra riportati].
Non immaginava però che i destinatari delle sue valutazioni non sapevano neanche che esistesse come
persona. Ma si sentiva ugualmente al centro del mondo, tradito da Scelba che non aveva voluto capirlo
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 17/41
e dagli Usa che sbagliavano a suo avviso politica internazionale. Forse il bandito sperava ancora che
lanticomunismo lo salvasse. Almeno così gli avevano promesso.
In precedenza si era sentito un capo militare, ma adesso, dopo il fallimento del separatismo e della
lotta armata contro il comunismo egli si sente investito di un potere politico di altissimo livello. Viveva
fuori dal mondo. I giudici romani lo definirono un delinquente a orientamento paranoico e certamente
bastava una personalità forte, qualcuno che avesse potere, per dargli le illusioni di cui aveva bisogno [la
lettera è riportata con tutti gli errori del testo originale]: Caro Rizza,
Hai avuto un buon viaggio?
Stai bene? Lo augurio. Il poco tempo trascorso a sieme, non mi diede possibilità di concentrarmi bene
sul giudizio di alcune cose che desideravo esprimerti e pertanto riconoscendo che il mio dire ti fa
piacere, ti ho scritto per pregarti di parlare a lungo di quanto segue. Desidererei che tu scrivessi il
giudizio che io ho dato sulla politica generale e particolarmente su quella dellItalia, in questa maniera.
Cioè che una nuova guerra sarà inevitabile, sulla parte della russia perché cè la megalomania di partito
e di comando, sulla parte dellamerica, per la megalomania distocratica a causa che è una nazione ricca,
e preferisce la libertà democratica e quindi ne sarà la difentrice.
Critico Stalin che crede pienamente che il mondo ha bisogno della sua ideologia mentre ignora o fa
finta di ignorare che non tutti la possono pensare come lui, e che in effetto non tutti i paesi hanno
bisogno della sua ideologia, e non in tutti i popoli si potrebbe adottare. Lo odio che per raggiungere lasua meta addopera metodi ingannatrici verso il popolo facendorgli credere il paradiso, mentre in effetto
rimarranno sempre schiavi come sempre lo sono stati, asserviti al suo idealismo.
Dalla parte della america critico fortemente il presidente Truman perché con la sua politica ha reso
ridicolo lui e il suo popolo mentre questultimo non lo merita, in quanto Truman ha fatto la parte del
leone solo quando sapeva che il suo rivale non era in grado di poterlo affrontare.
Cioè quando sapeva che la russia non possedeva la bomba atomica faceva la voce grossa, e non volle
acconsentire nel modo assoluto alla richiesta che gli fece Molotof del controllo atomico, quando seppe
che anche la russia possedeva latomica.
Io naturalmente non so i segreti degli ambienti politici; ma quanto appare, e chiaro che Truman con
queste dichiarazione, ha voluto inviare il suo popolo nella via della rassegnazione scaricandosi così una
certa responsabilità di fronte al suo popolo, in caso di una guerra, e con il lanciare subito la nota del
controllo atomico a voluto fare credere che lui cerca la pace. A suo parere la sua politica non è male, ma
è certo pero che molti hanno finito per criticarlo, in quanto per chi lo comprende, il controllo atomico è
una cosa molto ridicolo, perché per quanto si atua non è altro che un controllo di carta, a causa che sia
la russia che lamerica non sono una casa o un palazzo che facilmente si può controllare, ma sono dei
vastissimi territori che se si vuole si possono nascondere altro che bombe atomiche. Chi lo afferma che
sia di una parte che dellaltra, non si riservano un certo numero di bombe per qualsiasi eventualità? e
ben chiaro che basterebero 10 o 20 bombe per distrugere parte dellamerica che della russia.
Per me Truman ha perduto la corsa perché sono certo che buon parte del popolo americano lo ha già
definito ridicolo come lho definito io. Il patto atlantico e la politica italiana. Sulla parte dellamerica il patto
atlantico è stata, secondo il mio giudizio, una ottima idea, però gli americani non hanno saputo qualificare
la situazione dei loro allieati e questa è la causa di qualche colpo di pugnale che loro stessi si preparano
nelleventualità di una guerra. Secondo il mio modo di vedere sia lItalia che la Francia, non li avrei
abandonati, ma neanche li avrei acluso in patto così importante, a causa che la posizione Italiana che
Francese è molto critica a causa che metà del popolo è comunista e questo è una cosa molto grave per gli
americani, perché se guerra succederà di sicuro questi due ne diverranno un campo di tradimento o un
campo di lotta fratricida. Gli uomini del governo Italiano daltra parte sono ubriachi o megalomatici di
grandezza di intelligenza, credono pienamente che con la loro alleanza possano portare lItalia alla salvezza,
non per quanto sono i miei nemici, lo augurio di ragiungere la meta, ma sono certo però che con questa sua
qualità di clericalismo presto o tardi porteranno lItalia alla rovina e lor finiranno assieme con quel chiamato
santo del Vaticano, tutti impiccati o fucilati alla schiena, e pensino bene questi signori se la caveranno a fin
quanto le cose trascinano così, ma se guerra succede il mio sogno diventa di sicuro realtà.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 18/41
LItalia non può sperare nellavvenire, perché non è un manganello di un Scelba che può spegnere
tutte le fiamelli che oggi stanno sempre pronti e si preparano sempre più per accendere il fuoco, solo
con la concordia e la comprensione di tutti si potrebbe ragiungere alla meta, meta che di sicuro non si
giungerà mai a fino a quando gli Italiani non abandonano queste sporche ideologie più degli altri di
questi falsi profeti sporchi pretacchi, che avidi di comando assoluto si hanno venduto Dio facendone
della fede, una vera dittatura materialistica, quale ragione vi era formare un partito chiamato
democrazia cristiana se tutto il mondo europeo e latino abbiamo tutti una fede? Poveri preti speravatedi più ma fra non molto non avranno neanche quello che possedono ora che hanno svelato il segreto
della turlupinazione di tutte le credenze divine, potranno cercare di rassegnarsi perché il tramonto del
suo partito di politica divina gia è imminente, io credo ad una divinità che non so chi sia, ma oggi pur
quelli che pienamente credevano in Dio non credono neanche questi, è il nemico suo non stato ed è il
comunismo come loro decantano ma sono stati loro stessi che si sono corrotti nella più spietata
concubinazione materiale e morale.
Non lo augurio, ma oggi non credo che una Italia si possa risolvere dallo schiavismo, e da un sfacelo
completo, lo crederei solamente se dalla faccia dellItalia scomparirebbe il comunismo e il clericalismo e
si costituisse un governo misto di liberali e social democratici ma che sia un governo o uomini autonomi
da ogni ideologia e che addopererebbero una legge nel vero senso sociale. Solo così mi potrei
convincere di una pace e prosperità duratura.
Caro Rizza come vede non ho usato tanta polizia nello scrivere perché tu di quanto ho scritto non haiche trarni la sostanza del pensiero, pertanto di prego di cercare di interpretarlo proprio con quel senso
con cui è scritto, credo che non mancherà a te. Caramente assieme ai tuoi amici ti saluto.
Giuliano
Come il lettore può constatare traspaiono chiaramente due atteggiamenti, essendo scontato quello
contro lUrss: lanticlericalismo e la critica contro Truman. I motivi del rancore contro Scelba si possono
intuire: molti si erano rivolti al bandito promettendogli di intervenire presso il ministro per la soluzione
dei suoi problemi. Tranne le promesse non aveva cavato un ragno dal buco. Ma perché il bandito ce
laveva anche contro certi ambienti curiali, gli sporchi pretacchi, e contro gli Stati Uniti? Che gli
avevano fatto credere? E quale ruolo aveva svolto quel frate Giuseppe Cornelio Biondi di cui doveva poi
parlare Pisciotta prima di essere ammazzato? Chi è costui? La curiosità spinse larcivescovo di MonrealeErnesto Filippi, che certamente non nutriva antipatie per il regime fascista, a chiedere informazioni
riservate al patriarca di Venezia Carlo Agostini. Questi si limitò a fornire un succinto curriculum:
Durante la guerra (cioè per alcuni mesi nel periodo dellinvasione tedesca) a Padova, dove io ero
Vescovo, rese servigi preziosi. Portato dallentusiasmo di fare del bene, passò le linee, ma quando stava
per rientrare, fu posto dagli Inglesi in campo di concentramento. Dopo guerra fu implicato in una grossa
questione di mercato nero e fu per parecchi mesi in carcere.
I suoi superiori lo sospesero, credo perché invitato a rientrare in monastero, non lo fece.
Per quanto riguarda il celibato non credo si possa rimproverargli nulla. Lanimo è buono, generoso. Si
tratta di uno spostato.
Più dettagliate erano invece le informazioni che il Filippi raccoglieva dallabate del monastero di S.
Giustino di Padova, Timoteo Campi:
In riscontro alla preg.ma di V.E. posso dire in via assolutamente riservata - che il P. Cornelio Biondi,
da circa due anni ha lasciato questo monastero e [è stato] rimandato al suo di Parma.
Quando circa sei anni or sono, fui eletto abate di S. Giustino, lo trovai qui come economo della casa.
Durante il periodo di cospirazione lavorò molto specialmente a Padova, liberando dalla fucilazione e
dalla fame migliaia di famiglie. E devo dire che, tranne quel brutto spirito di strafare, lavorò bene ed
ebbe molti attestati di riconoscenza.
Son circa due anni: i Superiori gli hanno intimato di tralasciare qualsiasi attività e di rientrare nel
proprio monastero di Parma. Di fatto non è mai rientrato perché così ha detto ai Superiori ha dei
grossi impegni e debiti da pagare. Dopo ripetuti inviti e minacce da circa un anno e mezzo è sotto le
Censure.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 19/41
Avendo continuato a trafficare dicono i Superiori o a far del bene come egli dice nei primi di
questo mese [ottobre 1949], la spada di Damocle a lungo pendente gli è caduta sul capo troncandogli la
vita. E stato espulso dallordine benedettino con lobbligo di deporre labito, col permesso benevolo di
potersi cercare un Vescovo che potrà scioglierlo dalle Censure quando egli avrà abbandonato il traffico.
So che ha accettato e firmato il Decreto di espulsione. Da quanto sopra, V.E. vede chiaro se egli
appartiene ora alla nostra Badia. Da due anni in qua lavrò visto un paio di volte e solo per dirgli di non
mettere più piede a S. Giustino e di troncare ogni relazione diretta o indiretta con i miei monaci.Se V.E. crederà bene di aiutarlo, mettendolo a prova con attenta vigilanza, mentre farà unopera
squisita di carità, avrà a propria disposizione un uomo generoso, di sacrificio fino alleroismo, abilissimo
nel trattare con le Autorità e nel disbrigare le pratiche.
La prego vivamente del massimo segreto di quanto ho detto, di voler leggere nel fondo della verità i
miei sensi di gratitudine verso un monaco al quale voglio sempre bene per quello che ha fatto per noi
con gravi sacrifici.
Di fronte a quel personaggio oscuro e multiforme, Filippi dovette avere qualche intuizione particolare.
Volle acquisire informazioni a tutti i livelli e si rivolse anche alle alte sfere politiche e persino al
segretario particolare di Alcide De Gasperi. Da questi non si poteva certo aspettare una rivelazione sui
misteriosi uffici che aveva intrapreso o ai quali poteva essere stato destinato quel monaco spostato. Il
segretario della Presidenza del Consiglio dei ministri, Francesco Bartolotta, gli rispose con un
telegramma del 31 ottobre di quellanno:Presidente on. De Gasperi ignora completamente persona di cui a Sua lettera 27 corrente et non habet
affidato ad alcuno mandato personale alt
Devoti ossequi.
Può darsi che il capo del governo ignorasse persino lesistenza del Biondi, ma non si possono escludere
facilmente due dati di fatto: il primo che Gaspare Pisciotta conosceva perfettamente il monaco
benedettino, e il secondo che Giuliano, negli ultimi mesi del 49, era fortemente ostile allarcivescovo di
Monreale, tanto, che come ebbe a scrivere lavrebbe voluto appendere a un albero. Il rancore del
capobanda derivava dalle promesse non mantenute e che allunisono potevano essere state avanzate
sia da esponenti democristiani sia anche da personaggi del mondo della Chiesa, o gravitanti attorno ad
essa, come il Biondi. Ma sui rapporti Biondi-Pisciotta la questione non poteva certo porsi solo nei termini
di una qualche speculazione illegale alla quale entrambi i personaggi avrebbero aderito per naturale
tendenza. Stando allindice di un libro-intervista scritto da Gian Vittorio Mastari, un compagno di cella di
Pisciotta, di cui non si ha però traccia, ma che è riportato negli atti desecretati sulla strage di Portella
dalla Commissione Antimafia, linteresse di Pisciotta era esplicitamente di carattere politico. Cosa
poteva accomunarli? Quale storia e quali fini potevano unirli? La risposta a queste domande potrebbe
derivare da alcuni semplici indizi, che costituiscono, però, dati di fatto obiettivi. Padova, ambiente
frequentato dal monaco benedettino, era un centro di eversione anticomunista. Qui, il 21 marzo del
1945, in attuazione del piano Graziani, si era costituito il coordinamento della rete clandestina destinata
ad operare dopo la sconfitta, ed è tuttaltro che da escludere lipotesi che il Biondi, personaggio attivo
durante la cospirazione, abbia rappresentato una diramazione in Sicilia di quel gruppo eversivo.
Secondo lideologia di tali gruppi, abbattuto il fascismo restava un secondo nemico da combattere: il
comunismo. Nellisola Pisciotta rappresentava un elemento di spicco in quanto, come egli stesso
scriveva alla sua cara Maria, era stato tre anni nei campi di concentramento in Germania e aveva
dedicato allidea di Patria la sua stessa vita dal giorno in cui aveva vestito per la prima volta il
grigioverde. Quale patria e quale Stato avesse in mente sta scritto nella storia del separatismo, un
fenomeno che subì gli effetti delle componenti eversive a livello nazionale e siciliano. Sul filo di tale
ipotesi, dunque, occorre legittimamente supporre che come i sequestri di persona erano finalizzati in
gran parte allacquisto di armi e munizioni alla vigilia degli attacchi terroristici, allo stesso modo lattività
affaristica e truffaldina del Biondi poteva essere finalizzata ad azioni analoghe e parallele. Quanto il
governo ne fosse escluso non è facilmente dimostrabile. Tuttavia è certo che Scelba fu direttamente
coinvolto nella vicenda Biondi. I particolari noti solo oggi vedrebbero il ministro responsabile
dellassegnazione dei cinquanta milioni destinati alla cattura del Giuliano al monaco benedettino, il
quale li avrebbe utilizzati per una colossale truffa a danno di un commerciante siciliano. Il fatto sarebbe
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 20/41
stato presto bloccato sul nascere dallo stesso Scelba. Evidentemente il ministro capì che non poteva
rischiare troppo.
Per il resto resta solo da segnalare che quando venne ucciso Accursio Miraglia, grande dirigente
sindacale di Sciacca, uno dei delinquenti incriminati per quellassassinio, si era recato proprio in quei
giorni a Padova, e che nel memoriale Ramirez questo delitto era collegato alla strage di Portella.
- Nella lettera di Giuliano a Rizza è, inoltre, molto sorprendente la consapevolezza e la grandepreveggenza che Italia e Francia rappresentassero due seri pericoli per lavanzata comunista in Europa,
tanto più che questa era una delle principali preoccupazioni degli Usa. A tal punto che esse dovevano
costituire, al tempo di De Lorenzo, uno dei principali scopi del piano cosiddetto Demagnetize destinato
a bloccare lavanzata comunista in Francia e in Italia da parte della Cia.
Leggiamo nella breve storia dei servizi segreti redatta dalla Commissione stragi:
I servizi segreti dellItalia democratica nascono ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri ma
mantenendo in pieno uomini e strutture del vecchio SIM, il servizio dinformazione militare, nato
durante il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate).
Già nella costituzione del SIFAR cè qualcosa di anomalo: nessun dibattito parlamentare, ma solo unacircolare interna, firmata dallallora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano.
Dalla nascita della Repubblica, lItalia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar vita allorganismo che
dovrebbe tutelarne la sicurezza, il tempo necessario a scaricare le sinistre dal governo e ad aderire
al Patto Atlantico.
Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera sotto lesplicita
supervisione dallemissario della CIA in Italia, Carmel Offie.
In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli luomo che almeno
sulla carta darà lavvio a Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.
Anche Musco, che nel 1947 aveva formato lAIL (Armata Italiana per la Libertà) una formazione direttada militari, sostenuta economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare
su uneventuale insurrezione comunista fu uomo di stretta osservanza CIA e proprio sotto il controllo
americano portò a termine lacquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la
base di Gladio.
Ma è con lavvento ai vertici del Sifar del gen. Giovanni De Lorenzo che i servizi segreti italiani si
trasformano e cominciano a giocare un ruolo preponderante sulla scena politica italiana. La nomina di
De Lorenzo non è casuale: a caldeggiarla, con insistenza, è lambasciatrice degli USA Claire Booth Luce,
ma il generale è uomo molto gradito anche alle sinistre che per anni equivocheranno sui suoi meriti
resistenziali.
De Lorenzo assume le redini del SIFAR nel gennaio del 1956. Resterà in carica fino allottobre del 1962:quasi sette anni filati, fatto mai accaduto, neppure in seguito, nella storia dei servizi segreti italiani. E
sotto la gestione De Lorenzo che lItalia sottoscriverà il piano, redatto dalla CIA, denominato
Demagnetize il cui assunto è:
<<La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere
raggiunto con qualsiasi mezzo>>.
Qui occorre rilevare: 1) che Pacciardi era un amico di Carmel Offie; 2) che al momento della nascita del
Sifar, personaggi che si muovevano ad alto livello attorno a Giuliano, come lispettore Ciro Verdiani,
vengono destituiti con la motivazione che frattanto era nata una nuova organizzazione che avrebbe
risolto il problema rappresentato da Giuliano; 3) che questultimo, come abbiamo visto, scriveva:
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 21/41
Secondo il mio modo di vedere sia lItalia che la Francia, non li avrei abandonati, ma neanche li avrei
acluso in patto così importante, a causa che la posizione Italiana che Francese è molto critica a causa che
metà del popolo è comunista e questo è una cosa molto grave per gli americani, perché se guerra
succederà di sicuro questi due ne diverranno un campo di tradimento o un campo di lotta fratricida.
Se si tiene conto del fatto che la lettera al Rizza è degli ultimi mesi del 49 ci si può rendere conto dei
legami diretti che il bandito teneva con ambienti bene informati e tanto rassicuranti da non indurlo nel
sospetto che egli era in realtà un manovrato, almeno dallanno delle stragi. Se ne era reso ben contoGirolamo Li Causi il quale nella seduta antimeridiana del Senato del 23 giugno 1949 espresse le seguenti
preoccupazioni:
Immediatamente dopo Portella della Ginestra, onorevole Scelba, noi troviamo presso Giuliano il capitano
americano Stern, precisamente l8 maggio, almeno dalle notizie che egli stesso ci dà, data del proclama che
Giuliano affida a Stern perché il capitano americano lo trasmetta a Truman.
Come io ho denunziato in comizi e in diverse occasioni, ora qui in modo formale chiedo a lei, onorevole
Ministro dellInterno: è vero o non è vero che, arrestato un bandito, nella sua tasca è stata trovata una
lettera autentica di Giuliano diretta al capitano Stern a Roma, via della Mercede 53 (è la sede della
stampa estera) nella quale lettera Giuliano chiede due cose: primo, armi pesanti; secondo dà dei consigli
circa il modo di mantenere il legame con lufficiale americano? Io le rivolgo questa domanda in modoformale perché desidero che lei ci dica se è a conoscenza di questa lettera oppure no. Quale interesse ha
il saperlo? Certamente non per prendersela con Stern! Stern faceva il suo giuoco. Ma perché
allindomani di Portella era da Giuliano il capitano Stern? E come mai Giuliano si permette chiedere a un
capitano americano armi pesanti? Quali discorsi sono stati fatti fra loro? E logico pensare che il capitano
abbia illuso il bandito e questi gli scrive poi una lettera riservata, lettera autentica che è in possesso del
Ministro dellInterno. Allora abbiamo il dovere di chiedere al Ministro Scelba quali passi ha fatto presso
lambasciatore americano per avere spiegazioni sullattività di questo filibustiere che collude col bandito
al quale promette armi e la continuazione dei rapporti.
La pista indicata da Li Causi si muoveva lungo una direttrice internazionale. Stern è un filibustiere, ma da
chi è manovrato a sua volta? E cosa vuole appurare da Giuliano una settimana dopo la strage? Neanche
ai giudici romani sfuggì il carattere enigmatico di questa:
La questura notava nel suo rapporto che i connotati del malfattore dallimpermeabile corrispondevanoa quelli del capo bandito Giuliano, onde era da ritenere che autori delleccidio fossero stati Giuliano e
taluni componenti della sua banda; e ad avvalorare lipotesi osservava, sulla base di quanto si è innanzi
esposto circa lattività del Giuliano, che questi è un bandito politicante, il quale, come già prima aveva
affiancato e sostenuto il movimento separatista nelle sue violente manifestazioni, così aveva intrapreso
ora, con lintento medesimo di farsi luce e di redimersi dei tristi suoi trascorsi, la lotta antibolscevica.
Poteva avere agito tanto di sua iniziativa, come per mandato allo stato, non era che unipotesi, poiché
lomertà che lo circondava non aveva consentito lacquisizione di elementi concreti (A,132).
Il ricorso ad una inesistente omertà rappresentò un alibi sufficiente per non approfondire. Non erano
stati omertosi i contadini di Piana degli Albanesi, di San Giuseppe e San Cipirello quando avevano detto
ai giudici quello che sapevano. Rischiarono anzi di essere incriminati per falsa testimonianza, anche se
poi una certa ragionevolezza dei magistrati consigliò di affermare che essi avevano parlato sotto la
spinta di una suggestione collettiva; non erano stati omertosi i giornalisti che sulla stampa avevano
denunciato pubblicamente le responsabilità dei neofascisti e del Fronte antibolscevico. E più facile
desumere che ci fu un processo di torsione istituzionale che ebbe a monte unimpostazione dellaccusa
che escludeva alcuni elementi chiave delloperazione stragista (persone e circostanze che dovevano
essere sottaciute) ed ebbe come effetto lingessatura di una verità parziale e insoddisfacente, fuori dalla
logica e dalla storia.
7. Da Viterbo a Roma
E il caso, ad esempio, della totale rimozione, dal Rapporto giudiziario del 4 settembre 1947 di ogni
riferimento alla funzione assolta da Salvatore Ferreri, confidente della massima autorità delle forze
dellordine in Sicilia, nonostante pluricondannato allergastolo. La mettono in evidenza i giudici di
Viterbo:
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 22/41
Certamente il rapporto con cui il nucleo dei carabinieri presso lispettorato generale di pubblica
sicurezza per la Sicilia denunciò gli autori del delitto di Portella della Ginestra e degli assalti alle sedi del
partito comunista in più paesi della provincia di Palermo, non può davvero dirsi sia completo.
Attraverso la deposizione del tenente colonnello Paolantonio, resa in dibattimento soltanto, è risultato
in maniera più che certa, che egli apprese dal confidente Ferreri Salvatore che a lui potevano essere
fornite notizie intorno ai fatti verificatisi a Portella della Ginestra, dai fratelli Pianello. Costoro non
furono, invero, larghi di notizie, indicarono però le persone che avrebbero potuto parlare: GaglioFrancesco, Bambineddu, Badalamenti Francesco.
Dai fratelli Pianello ebbe il Paolantonio la confidenza della loro partecipazione al delitto consumato a
Portella della Ginestra, confidenza che egli comunicò agli ufficiali di polizia giudiziaria incaricati delle
indagini.
Ora, se i fratelli Pianello furono dal teste Paolantonio indicati come coloro che avevano partecipato
allazione delittuosa (fol.724 verbale dibtt.) dovevano essere essi stessi denunciati allautorità giudiziaria
o, quanto meno, indicati come partecipanti al delitto stesso. Tanto più che di essi fratelli Pianello si parlò
dal Di Lorenzo quali partecipi alla riunione in cui si parlò degli assalti alle sedi del partito comunista.
Ed alla manchevolezza del verbale a tale proposito fa riscontro una deficienza nelle dichiarazioni rese
dai picciotti e da Gaglio Reversino ai carabinieri del nucleo centrale presso lispettorato di pubblica
sicurezza per la Sicilia.
Così, ad esempio, con esattezza fu rilevato che gli ufficiali di polizia giudiziaria, che si occupavano delleindagini intorno al delitto consumato a Portella della Ginestra, pur essendo venuti a conoscenza che a
fornire gli elementi di prova che permisero ad essi di pervenire alla identificazione di coloro che
operarono stando fra i roccioni della Pizzuta, erano stati i fratelli Pianello, che avevano preso parte al
delitto, omisero di comprendere costoro fra coloro che erano gli autori del fatto delittuoso. Risponde a
verità che in tutto il lungo rapporto che si occupa del delitto di Portella della Ginestra e degli assalti
contro le sedi del partito comunista non si trova una sola parola relativa ai fratelli Pianello. E la
omissione dei fratelli Pianello fra gli autori del delitto di Portella della Ginestra fu elevata da alcuno dei
difensori ad argomento talmente rilevante da far dubitare della veridicità del rapporto. Ora, vera la
omissione rilevata e lamentata, non è accoglibile neppure la spiegazione che della omissione fu data: la
morte dei fratelli Pianello al momento in cui il rapporto fu redatto e trasmesso alla autorità giudiziaria;
lufficiale di polizia giudiziaria ha un compito soltanto, quello di riferire allautorità giudiziaria il risultato
delle indagini compiute relativamente ad un fatto delittuoso, di riferire le generalità, quando siano
accertate, di tutti coloro che alla consumazione del delitto abbiano preso parte, senza ometterne
alcuno, anche se questo qualcuno possa essere deceduto. Ma da una siffatta omissione alla
affermazione che ciò costituisce argomento per far dubitare della veridicità del rapporto, è una grande
distanza.
Altro rilievo fattosi fu questo: risulta che Gaglio Reversino e Di Lorenzo Giuseppe furono fermati nel
giorno 9 del mese di luglio; che Pretti fu fermato il 3 agosto, Tinervia Giuseppe il 10 agosto, Terranova
Antonino di Salvatore e Sapienza Vincenzo pure il 10 agosto e che furono, invece, presentati al giudice,
perché fossero interrogati, rispettivamente il 13 agosto i primi due, il 15 agosto il terzo, il quarto il 21
agosto ed il quinto il 21 ed il sesto, pure il 15 agosto. Ora manca fra i numerosi atti del processo
qualunque partecipazione alla autorità giudiziaria di avere proceduto al fermo avanti indicato, come
manca, per tutti gli altri, anche qualunque richiesta allautorità giudiziaria per ottenere lautorizzazione a
che fossero mantenute le stesse in stato di fermo. Ed a quel tempo era in vigore la disposizione
contenuta nellart. 2, legge 20 gennaio 1944, per cui lo stato di fermo non poteva protrarsi al di là di
giorni sette.
Vi fu, quindi, inosservanza da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria di una disposizione di legge posta
a garanzia della libertà individuale dei cittadini, la quale, se può subire delle limitazioni rese necessarie
dallo svolgimento delle indagini di polizia giudiziaria, non può subirne al di là del tempo stabilito da una
norma giuridica che deve essere osservata anche dagli ufficiali di polizia giudiziaria, ma ciò non è
sufficiente per fare affermare che il rapporto non risponde a verità.
Manchevolezza fu riscontrata nella mancata indicazione da parte di tutti i picciotti e di Gaglio
Reversino della presenza alla riunione di contrada Cippi dei fratelli Filippo e Fedele Pianello della cui
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 23/41
partecipazione al delitto consumato a Portella della Ginestra non è possibile dubitare dopo quanto
espose, in dibattimento, il tenente colonnello Paolantonio.
Questi riferì di avere avuto la confidenza da parte dei fratelli Pianello della loro partecipazione al
delitto consumato dai roccioni della Pizzuta contro la folla che era riunita nella vallata formata dalle
montagne Pelavet e Kumeta, ed è rispondente al vero che nè nelle dichiarazioni dei picciotti, né in quella
di Gaglio Reversino si trova fatta la loro menzione, mentre tutti, o quasi, i picciotti dichiararono, in
dibattimento, che erano da essi conosciuti. Può bene spiegarsi la mancanza della loro indicazione. Puòbene darsi che i fratelli Pianello non si siano trovati presenti alla riunione di Cippi e quindi i picciotti e
Gaglio reversino non potevano accorgersi della loro presenza; ma dalla mancata indicazione dei fratelli
Pianello non può farsi derivare che non rispondano al vero le altre affermazioni fatte dai picciotti e da
Gaglio Reversino. Non può essere trascurata unosservazione fatta da un teste della cui attendibilità
non è lecito dubitare e che, per di più, fu il primo a visitare i luoghi da cui si sparò: il capitano Ragusa, in
quel tempo sottotenente, comandante del plotone di ordine pubblico di Piana degli Albanesi. Egli disse
di aver rilevato, avendo fatto lascensione della montagna Pelavet fino al punto da cui fu fatto
funzionare il fucile mitragliatore, che ivi si trovava della paglia e delle tracce di sigarette, segno evidente
che alcuno aveva giaciuto in quel luogo; possono ivi avere trascorso la notte i fratelli Pianello, da soli o in
compagnia di altri, che poteva essere anche il Ferreri, accanto a cui Giuliano aveva posto i fratelli
Pianello per sorvegliarne lattività, quando egli incominciò a sospettare di lui.
Ma è ancora da dire altro: i picciotti possono bene non aver notato la presenza a Cippi dei fratelliPianello. Va detto, a questo proposito, che la riunione di tutti in contrada Cippi, si ebbe verso
limbrunire, poco prima che avessero luogo la distribuzione delle armi, il discorso di Giuliano ai
convenuti in quella contrada e la formazione dei gruppi per iniziare la marcia che doveva portare tutti a
Portella della Ginestra. In quella contrada vi fu, in quel giorno, un continuo andare e venire di persone
quindi, può darsi, che i fratelli Pianello si siano trovati presenti in un momento in cui nessuno dei
picciotti si trovò presente nella contrada stessa.
E la stessa osservazione va fatta per quanto si riferisce a Ferreri Salvatore, conosciuto con il
soprannome di Fra Diavolo o di Totò il palermitano. Della presenza di costui fra i roccioni della Pizzuta
al momento della consumazione del delitto, non può davvero dubitarsi. Ne parlò prima Terranova
Antonino fu Giuseppe, quando riferendo, nellinterrogatorio reso al magistrato intorno agli autori del
delitto consumato a Portella della Ginestra, disse che, per debito di coscienza, doveva riferire che al
delitto aveva partecipato anche Salvatore Ferreri, oltre a quelli altri che pure indicò. E dello stesso
Ferreri, quale autore del delitto di Portella della Ginestra, parlarono, in dibattimento, Gaspare Pisciotta e
Mannino Frank. Eppure neppure di costui si trova menzione né nelle dichiarazioni dei picciotti, né in
quella di Gaglio Reversino. Ed anche della mancata indicazione del Ferreri può essere data piena
spiegazione: i picciotti dissero tutti, o quasi tutti, di avere notato presenti alla riunione di Cippi, oltre
coloro di cui fecero la individuazione, anche delle facce estranee, perché non di Montelepre, ed il
Ferreri era nativo di Palermo ed ivi residente, come affermò la madre.
I giudici romani non si pongono tutti questi problemi e anzi, riassumendo in poco più di mezza cartella
la cronistoria delleliminazione del gruppo dei confidenti Ferreri/Pianello, che avevano partecipato alla
strage di Portella, attribuiscono a Fra Diavolo unarma che questi non aveva. Il mitra corto cal. 9,
matricola Z3296, fu infatti trovato addosso a Vito Ferreri e non a suo figlio, al momento della
ricognizione dei quattro uomini uccisi in conflitto dal Giallombardo (Vito Ferreri, padre di Salvatore,
Antonio Coraci, suo cognato e i fratelli Giuseppe e Fedele Pianello, confidenti questi ultimi del colonnello
Paolantonio). Il dato, con tutta la storia che ci sta dietro è interessante, ma non può essere affrontato in
questa sede. Per il momento ci basti prendere atto del fatto che quando i giudici romani, riferendosi
allistruttoria penale sulla strage del primo maggio, dicono che essa fu sollecita e serrata, omettono di
rilevare quanto grave e determinante sia stata, ai fini dellaccertamento della verità, lomissione dei
nominativi di quei confidenti dal rapporto giudiziario come anche lomissione delle autopsie sui corpi dei
caduti. Tuttavia essi non poterono fare a meno di confermare la presenza di Ferreri e dei Pianello
allazione di Portella:
Vera o non la partecipazione di Ferreri Salvatore, detto Fra diavolo, alla impresa di Portella la Corte
ritiene che vi abbia preso parte congiuntamente ai fratelli Pianello sta in fatto che il primo a farne il
nome fu proprio Terranova Antonino Cacaova (v. n. 46) per confessione stragiudiziale a suo dire, avuta
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 24/41
dallo stesso. Giova ricordare che egli fece contemporaneamente i nomi di Giuliano Salvatore, di Pisciotta
Gaspare e dei fratelli Passatempo; e nella udienza del 10 maggio 1951 precisò di aver saputo
delluccisione del campiere Busellini direttamente dal Ferreri (V/2, 99 r).
Ora, se quanto a Pisciotta Gaspare ed a Passatempo Salvatore poté dire di averli indicati per obbligarli
alla solidarietà nel processo, nulla precisò quanto al Ferreri, già morto; e, poiché è ben difficile
ammettere che questi gli abbia confessato di essere lautore dellomicidio, resta valida lipotesi che egli
ne abbia presenziato lesecuzione, il che depone per la partecipazione sua e della sua squadra alla stragedi Portella della Ginestra.
Daltra parte, mentre nulla esclude, se pure non sia rimasto sufficientemente provato, che Licari Pietro,
uno dei più attivi affiliati alla banda, sia proprio colui che custodì i quattro cacciatori ed abbia così
partecipato alleccidio, lindicazione di Pasquale Sciortino fra i partecipanti risponde a verità, come sarà
stabilito in appresso.
Infine, la pretesa falsità dellaccusa fatta da Pisciotta Gaspare nei confronti del Rimi non interessa il
processo e dopo quanto or, ora si è osservato, non può venire in considerazione ai fini per i quali è stata
allegata.
II. Ciò premesso, la Corte osserva che le prove costituite dalle chiamate in correità acquistano nei
confronti dei suddetti imputati risalto e valore decisivi.
Tutti e tre intervennero alla riunione preliminare di Pizzo Saraceno, come Mazzola Vito dichiarò alla
polizia giudiziaria, e furono presenti alladunata di Cippi dove vennero notati, oltre che dal Mazzola e daGaglio Reversino, da tutti i picciotti che resero confessioni stragiudiziali e da quelli che le confessioni
stesse reiterarono al Giudice istruttore. Solo il Pretti ed il Gaglio non fecero più menzione del Terranova
negli interrogatori giudiziali, resi rispettivamente il 15 ed il 29 agosto 1947, ma per mera dimenticanza
poiché indicarono Mannino Frank e Pisciotta Francesco ed è pacifico che il Terranova si trovasse con
loro.
Del resto, escluso che si siano allontanati da Montelepre la sera del 28 aprile e lo si deve escludere
anche perché una sera di fine aprile (v. n. 33), che Pisciotta Vincenzo e Buffa Antonino hanno
concordemente indicato nel 29 aprile, Terranova Antonino Cacaova e Pisciotta Francesco furono con
Candela Rosario nella casa della sorella di costui, Candela Vita è di tutta evidenza che alladunata di
Cippi non avrebbero potuto mancare. Fu lo stesso Terranova a riconoscerlo quando, alludienza del 21
giugno 1950, per negare la realtà di detta adunata, disse che se avesse avuto luogo egli sarebbe stato
uno dei primi ad esserne informato e ad intervenire (R, 88 e segg.).Essi inoltre si riferiscono alle perizie sui feriti che non si sa quando e come furono effettuate se è
vero che interpellati oggi i superstiti, a distanza di cinquantanni, negano di essere mai stati sottoposti a
particolari accertamenti. Del resto da indagini di medicina legale condotte nel 97 per conto
dellAssociazione dei familiari delle vittime Non solo Portella si trova riscontro ad alcune ipotesi
inquietanti: la prima, lasciata trapelare dai giudici di Viterbo, è che quel primo maggio a Portella furono
esplosi anche colpi di granata, la seconda è che a fare i morti furono soprattutto i mitra cal. 9, armi in
dotazione ai Ferreri. Con ciò non resta assolutamente esclusa la responsabilità di Giuliano e degli uomini
della sua banda, accusati dai picciotti racimolati allultimo minuto. Essi funzionarono come una gabbia
di sicurezza, servirono allaccusa e furono quasi tutti assolti, pur avendo partecipato alla strage. Per i
giudici romani avevano agito sotto la spinta della paura e di un grave danno alla loro incolumità; per la
Corte di Viterbo il motivo era stato ben diverso: avevano accettato di sparare per fare carriera e per
denaro.8. Depistaggio
Eppure sarebbe bastato che qualcuno si fosse presa la briga di mettere assieme tutti gli indizi obiettivi
per capire le imperdonabili pecche che essi facevano risaltare. I giudici non sarebbero stati così sbrigativi
e non avrebbero galoppato solo il cavallo del banditismo. E vero che fu tentata anche la pista mafiosa, e
che questa non portò ad esito alcuno. Ma quanta fatica dovettero fare mafiosi locali e giudici perché le
dichiarazioni dei testimoni fossero, ad un certo punto, prive di effetto? Se ci fosse stato qualche dubbio
ne avrebbero avuto la riprova con gli atti concernenti la crociata antibolscevica che era stata oggetto
di separati rapporti allautorità giudiziaria dei comandi delle singole stazioni dei carabinieri, del comando
del gruppo interno dei CC di Palermo e dellautorità di Ps di Partinico. I fatti vengono descritti con una
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 25/41
sorprendente superficialità, ai paragrafi 23-24 della sentenza che riportiamo. Ci sono due individui
vestiti da carabinieri che sparano contro la sezione del PCI di Borgetto. Chi sono? I giudici romani non si
pongono linterrogativo, si limitano a scrivere che nessuno dei banditi partecipanti a quellassalto era
vestito da carabiniere (p.57). Il primo maggio del 47 nei pressi del pianoro di Portella cè un gruppo di
ragazzi che vanno a modo loro a divertirsi. Cè con loro Calogero Caiola, che vede dopo la sparatoria un
gruppo di persone che rientrano dal Pelavet. Avverte la forza pubblica, si dà da fare per individuare i
colpevoli. Non arriverà alla fine di quellanno perché qualcuno gli spara. Cè un mafioso di rango,Gaspare Ofria, quando un gruppo di quattro sconosciuti, in mezzo ai quali questi si trova, prende
dassalto la sezione comunista di Partinico. Tra gli aggrediti cè Leonardo Addamo che colpito tira fuori la
sua rivoltella e spara per legittima difesa. Il commissario di Ps locale non si chiede minimamente che ci
sta a fare un personaggio come quello dalla parte del gruppo di fuoco e per salvargli la faccia lo elenca
tra i feriti nellassalto. Non si chiede chi sia, finge di sconoscere la sua fedina penale e che egli è braccio
destro di Ignazio Soresi, un iscritto alla Massoneria, proprietario di alcune centinaia di salme di terra a
Costamanna che i contadini di Piana rivendicavano in attuazione delle leggi di riforma agraria. Gli
inquirenti ignorano pure che il comandante dei carabinieri Tranquillo Avenoso, aveva avuto riferito che
quel gruppo di criminali provenivano dalla parte di Alcamo e certamente sapevano chi era Ferreri, da chi
prendeva ordini e dove abitualmente teneva la sua dimora. Così i giudici romani fecero ricadere tutta la
responsabilità di questa nuova strage su Salvatore Passatempo, tolto di mezzo allindomani della
sentenza dei primi giudici, nel 1952. Tanto il morto non poteva più parlare.Ciò che è grave e ripugna alla coscienza è che essi neghino la corresponsabilità di quanti, mandanti ed
esecutori, avevano ordito le stragi del 22 giugno, la cui organizzazione meticolosa risultava a loro stessi
dallattivismo di Pasquale Sciortino, e di quanti, con la complicità delle forze dellordine, dovevano
rimanere ignoti per sempre. Ma i giudici fecero di più e senza per nulla documentare le loro asserzioni
scrissero che nel passaggio dalla strage del 1° maggio ai fatti del 22 giugno i banditi avevano cambiato
tattica:
il reato commesso a Partinico trova la sua causa esclusivamente nella criminalità sanguinaria del
Passatempo, il quale andò oltre e contro la volontà del Giuliano e degli altri partecipanti: nella riunione
di Belvedere o Testa di Corsa fu annunziato un metodo di lotta sostanzialmente diverso da quello
attuato a Portella della Ginestra, che così penosa e controproducente impressione aveva suscitato al
punto da indurre lo stesso Giuliano a vergognarsi e disconoscere lazione. Inoltre che dallattività
delittuosa concordata fosse esclusa ogni previsione di danno alle persone, trova conferma particolare
nella condotta del gruppo che agì a S. Giuseppe Jato nel quale era lo Sciortino.
Conseguentemente, in accoglimento del relativo mezzo di gravame e in riforma della impugnata
sentenza, la Corte stima conforme a giustizia assolvere il Terranova Antonino fu Giuseppe, Mannino
Frank, Pisciotta Francesco, Di Lorenzo Giuseppe, Cucinella Antonino e Sciortino Pasquale dalla
imputazione di concorso morale nella strage consumata da Passatempo Salvatore a Partinico per non
aver commesso il fatto.
Da quali elementi avessero tratto la convinzione che le stragi del 22 giugno non erano in programma
non è dato sapere. Certo è che la minuta descrizione delle volontà dei banditi riuniti fatta dal picciotto
Giuseppe Di Lorenzo depone per lesatto contrario:
Quindi prese la parola lo Sciortino Pasquale il quale ci spiegò che lo scopo di quella riunione era quello di
invitarci a continuare la lotta contro il comunismo, già intrapresa dal cognato Giuliano, in modo da farlo
scomparire dalla Sicilia perché, a suo dire, se tale partito avesse preso il sopravvento, saremmo stati
tutti rovinati, specie i monteleprini, ricordandoci che erano stati appunto i comunisti a lacerare a
Palermo la nostra bandiera separatista. Fece perciò presente che bisognava andare a distruggere tutte
le sedi del partito comunista nella zona dinfluenza della banda capeggiata dal cognato, in modo da
indurre gli avversari di tale partito a fare altrettanto nelle altre province.
A conferma di quanto osservato per Portella, la strage di Partinico è la prova del nove delle complicità
nel depistaggio delle ricerche, e non solo come dicono i giudici romani- la dimostrazione dellesistenza
di un intimo legame tra le due stragi (p. 50).
9. Otto morti in un giorno
In ogni caso lanalisi dei giudici romani segue un percorso tutto interno alla banda. Essi appaiono,
rispetto ai primi giudici, meno critici, più appiattiti sul rapporto giudiziario del 4 settembre. Se si
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 26/41
volessero trovare elementi di approfondimento o di novità rispetto a quellatto fondamentale, o a
quanto i giudici di Viterbo avevano in alcuni punti forse con qualche acutezza di giudizio espresso, si
farebbe fatica vana. Stupisce tuttavia la sottovalutazione di certe circostanze che avrebbero dovuto in
qualche modo destare sospetti. Il 26 giugno 1947 muoiono di morte violenta otto persone, tutte della
banda Giuliano, o a questa legate da situazioni particolari. Sono Salvatore Ferreri, suo padre Vito, suo zio
Antonino Coraci, i fratelli Pianello che avrebbero affrontato un conflitto a fuoco con i carabinieri di
Alcamo; Federico Mazzola, Francesco Passatempo e Angelo Taormina che saltano in aria dicono igiudici fondandosi non si sa bene su quali prove certe del fatto a causa di un ordigno bellico che
stavano smontando. Ora quei banditi scaltriti non erano dei ragazzini e otto persone morte dun colpo
in circostanze di cui si conoscono solo le versioni ufficiali sono francamente troppe per non cogliere la
strana e anomala coincidenza dei fatti. Tanto più che troviamo: tre confidenti delle massime autorità
delle forze dellordine in Sicilia; due garanti degli accordi che Messana e lalto commissario Salvatore
Aldisio avevano stretto con Vito Ferreri; tre testimoni diretti delle fasi organizzative delle stragi di
Portella e di Partinico. In particolare Francesco Passatempo era fratello dei più noti Giuseppe (il boia) e
Salvatore, che secondo linterrogatorio reso da Giuseppe Di Lorenzo era la persona che avrebbe avuto il
compito di eseguire lassalto contro la sezione del PCI di Partinico (allora sede anche della Camera del
Lavoro), in quanto poteva contare su certi amici in questo comune. Di Lorenzo non fa i nomi di questi
amici, ma nel paese di don Santo Fleres, mediatore tra i gruppi politici emergenti locali e la criminalità
organizzata, essi non potevano che rispondere alle indicazioni o alle volontà di questo capomafia che adire di Pisciotta era il confidente numero uno di Ettore Messana. E Francesco Passatempo sapeva
direttamente come stavano le cose grazie ai suoi fratelli che uno dopo laltro faranno una fine non meno
gloriosa della sua.
Lipotesi che ci fosse un piano prestabilito per eliminare lintera banda Giuliano in quel frangente, e
cioè a conclusione della manovra terroristica che si era ampiamente dispiegata dal primo maggio al 22
giugno, è una possibile risposta agli interrogativi che si impongono. Può anche darsi che il piano sembrò,
a qualcuno che poteva bloccarlo in tempo, troppo azzardato e che quindi esso sia stato corretto e
sostituito da unaltra soluzione. Certo è che a quella data furono eliminati alcuni elementi la cui
esistenza in vita costituiva un pericolo, riservandosi per gli altri o lattesa di qualche salutare conflitto
o la strada del percorso giudiziario.
10. Consiglio degli anziani ed emissari mafiosi
Allinterno della banda, come si può evincere anche dalla Sentenza, di particolare interesse è la
struttura organizzativa. Vi è un consiglio degli anziani che la sovrasta e vi sono degli individui, come
Remo Corrao, che fanno da intermediari tra la cosca mafiosa dei Miceli e Salvatore Giuliano. Nel
consiglio degli anziani spiccano Giovanni Genovese, Tommaso Di Maggio e Vito Mazzola, questultimo
cassiere della banda e dei proventi dei sequestri di persona. Erano ancora freschi nella memoria quelli
perpetrati a danno di Lorenzo Di Giovanni e Giuseppe Spatafora (15 e 28 marzo 1947) chiaramente
messi in opera per il finanziamento della lotta antibolscevica. Il dato è confermato dagli stessi giudici
romani che non possono fare a meno di registrare quanto dichiarato da Vito Mazzola ai carabinieri:
che il giorno precedente a tale riunione [nda: Saraceno, 27 aprile 1947], stando col greggein contrada
Fontanazze, aveva veduto Sciortino Pasquale e Cucinella Giuseppe seduti insieme su di una pietra nei
pressi di un casale diroccato; lo Sciortino aveva seco un voluminoso fascio di carte e gli aveva detto che
erano dei manifesti per la propaganda contro i comunisti; due giorni dopo Sciortino Pasquale e
Badalamenti Giuseppe si erano presentati da lui a ritirare sei milioni di lire circa, che il Giuliano gli aveva
dato in consegna con il consueto incarico di custodirli, dichiarando che occorrevano per acquisto di armi
e per dare un premio ai nuovi arruolati nella banda (p. 101).
Significativi la partecipazione al sequestro Spatafora di Salvatore Ferreri, e il fatto che i due malcapitati
furono tenuti in ostaggio nella famigerata villa Carolina, nei pressi del cimitero di Monreale, luogo di
abituali incontri tra mafiosi, trafficanti darmi, banditi e mezzadri troppo scomodi per essere tenuti in
vita, come i fratelli Pecoraro. Certamente altri personaggi la frequentavano non senza le dovute cautele,
dato che il luogo di proprietà dellarcidiocesi di Monreale, una specie di porto franco, non poteva essere
dato in pasto impunemente alla pubblica opinione. Era tuttavia un luogo che rassicurava i banditi a tal
punto che Nitto Minasola trovò il sistema di condurvi Frank Mannino e Nunzio Badalamenti facendoli
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 27/41
arrestare. Monreale è uno snodo strategico del controllo di Giuliano, col quale i contatti sono assicurati
da Remo Corrao. Scrivono i giudici:
Il 15 settembre 1947 il Nucleo Mobile dei Carabinieri di Palermo dopo un movimentato inseguimento
nellabitato di quella città, trasse in arresto tal Corrao Remo fu Pietro, da Palermo, residente a
Monreale, uno dei più fedeli gregari del capo bandito Giuliano.
Nella primavera del 1946, esercitando il mestiere di vaccaro nella contrada Giacalone di Monreale, il
Corrao aveva avuto occasione di conoscere e di frequentare i banditi Passatempo Salvatore, PisciottaGaspare e Ferreri Salvatore, che costituivano, se così può dirsi, lo stato maggiore del Giuliano. Questi si
soffermava spesso in quel tempo a Fontana Fredda, dove trovava pronta assistenza da parte di
mezzadri e di campieri, ed in breve il Corrao, avido di danaro e desideroso di mutare posizione, era
diventato amico fidato dei componenti della banda, in modo particolare del Giuliano che spesso gli
affidava incarichi di fiducia. Sta in fatto che lattività criminosa gli consentì di venire in possesso di un
autocarro Fiat 626 e di una jeep che egli stesso conduceva.
Sulla figura e sulla posizione processuale di Corrao Remo la Corte avrà più volte motivo di soffermarsi,
ma è opportuno fin dora notare che egli, sposato dal 1945 a Margherita Miceli di Calcedonio, era, per
tal vincolo, diventato nipote di Ignazio Miceli e cognato di Antonino Miceli, capo luno, componente
laltro della mafia di Monreale, e poté esplicare un importante ruolo di collegamento tra il capo bandito
e costoro i quali, come apparirà chiaro più avanti, tennero in pugno le sorti della banda e del suo capo
ne furono i protettori fino a quando, mutando programma, non parve loro di scorgere una via disalvezza nel secondare il compito delle forze di repressione del banditismo.
Il Corrao rese ai carabinieri, in data 30 settembre 1947, una lunga e dettagliata dichiarazione nella quale,
fra laltro, negando la propria partecipazione ai fatti di Portella della Ginestra ed agli attentati alle sedi
delle sezioni dei partiti di estrema sinistra, affermò di essere venuto a conoscenza, per mezzo di
Madonia Castrense, inteso Titiddu, che gli uni e gli altri si dovevano al Giuliano e ad elementi della sua
banda; il Madonia gli aveva confidato di aver preso parte anche lui alleccidio del 1° maggio, nonché
allaggressione alla sede del Partito socialista di Monreale ( Z/1, 101).
Conseguentemente, con rapporto 24 marzo 1948, i carabinieri del Nucleo Mobile di Palermo
denunziarono Madonia Castrense per concorso nei reati suddetti ( M, 1).
Osservi il lettore il particolare ruolo del Corrao. Egli è in rapporti stretti con Ferreri, confidente
dellispettore, e con Salvatore Passatempo che i giudici di Viterbo avevano individuato come uno dei
quattro aggressori alla sezione del Pci di Partinico. In quanto entrato a far parte della famiglia mafiosa
dei Miceli, è un elemento cardine. Lo troviamo in contatto con i confidenti delle forze dellordine in
momenti cruciali. Alla vigilia della strage del 1° maggio, si reca con la sua jeep in contrada
Balletto/Pernice con uno dei fratelli Pianello (confidenti del colonnello Paolantonio) per avvisare
Antonino Terranova che lindomani allalba deve farsi trovare a Giacalone, dove suo suocero tiene una
casa di campagna, frequentata da Pisciotta. Gli stessi giudici di Viterbo non escludono che suo poteva
essere lautomezzo visto nei pressi del pianoro di Portella nel frangente della strage. Per i giudici romani
invece la sua non è una collaborazione alla realizzazione di una strage, e pertanto lo assolvono per non
avere commesso il fatto:
Al Corrao si è accennato più volte nel corso della motivazione che precede (v. n. 41; n. 47; n. 53, II, 6, a)
e la Corte non dubita che egli esplicasse in seno alla banda una funzione di primo piano, soprattutto una
funzione di collegamento fra il Giuliano e la onorata società che era alle sue spalle e che lo sosteneva
quale strumento di conservazione di strutture sociali e di mentalità arretrate, che la evoluzione dei
tempi andava lentamente trasformando.
Siffatta funzione del Corrao condurrebbe a sospettare che egli avesse avuto una parte rilevante nel
delitto di Portella della Ginestra, ma si deve riconoscere che non vi è nulla nel processo che consenta di
tradurre il sospetto in una concreta realtà ove si eccettui lordine di radunata portato al Terranova nella
contrada Pernice quando la strage fu decisa; della quale attività è cenno, soltanto nei motivi della
sentenza di rinvio a giudizio, ma non nella contestazione dellaccusa contenuta nel dispositivo,
contestazione ormai cristallizzata, dopo la sentenza di primo grado per difetto di impugnazione da parte
del pubblico ministero.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 28/41
Lesame, adunque, è circoscritto al fatto di concorso materiale nella esecuzione della strage per avere, al
fine di uccidere, esploso vari colpi di arma da fuoco sulla folla convenuta il 1° maggio 1947 a Portella
della Ginestra, ponendo in pericolo la pubblica incolumità e cagionando la morte, nonché il ferimento di
varie persone; ed è duopo ammettere che nessuna prova a tal fine si è raccolta, né della presenza di
Corrao Remo a Cippi, né tra i gruppi in marcia, o tra i roccioni della Pizzuta, o lungo la via del ritorno, e
che le presunzioni sulle quali i primi giudici hanno basato la formula dubitativa non valgono a costituire
neanche un indizio univoco e preciso.Lastratta possibilità che, possedendo una jeep il Corrao aveva di restituirsi rapidamente a Monreale
dopo la strage e di dedicarsi alla corsa dei cavalli, non consente invero di dedurne la probabilità che ciò
sia avvenuto, tanto più che due automezzi cui hanno fatto riferimento i testi del gruppo Rumore
(unautovettura ed un autocarro) transitarono in direzione di S. Giuseppe Jato (v. n. 13), non di
Monreale, e non risulta affatto che uno di essi fosse una jeep.
Neanche latteggiamento avuto dal Corrao di fronte al giudice istruttore, dopo la contestazione del reato
di concorso nella strage, può assumersi a indizio di colpevolezza: egli negò tutto e, poiché, detenuto per,
altri fatti, già aveva preso a simulare la pazzia, continuò nella finzione e si sottoscrisse: Beniamino
raggio del sole.
Si deve concludere che manca del tutto la prova che lappellante abbia commesso il fatto attribuito e,
conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, va pronunziata lassoluzione del medesimo per
non aver commesso il fatto. In tal senso ha concluso anche il pubblico ministero.
Figuriamoci se potevano essere toccati i Miceli che erano i più diretti gestori della vicenda Giuliano!
- Tutto interno, poi, al versante confidenti/ mafia/ potere politico è linterrogatorio reso ai carabinieri da
Giovanni Genovese, arrestato col fratello Giuseppe a Carini, il 19 gennaio 1949. Le sue dichiarazioni sono
esplosive, sconvolgenti. Parla di un preciso mandato pervenuto nella sua mandria di Saraceno durante la
riunione del livello più sommerso della banda, essendo presenti i Pianello e Ferreri. Il latore della missiva
è Pasquale Sciortino, uno dei personaggi più anticomunisti e politicizzati della banda. E visto in molte
circostanze nodali dellorganizzazione delle stragi e persino nella marcia di avvicinamento a Portella.
Inoltre è un attivo propagandista, e certamente tiene dei contatti col Fronte antibolscevico di Palermo:
Lo Sciortino, acceso separatista, rimase accanito anticomunista; e tutto conduce a ritenere che, già
animatore e propagandista dellEVIS, non sia stato estraneo a quella propaganda, concepita in funzione diuna così detta crociata antibolscevica con cui stranamente si pensò di accendere gli animi e suscitare
consensi a crimini sanguinosi e nefandi (v. n. 17 e n. 24).
Il giorno che precedette la riunione di Pizzo Saraceno probabilmente il 27 aprile, dopo la consegna
della lettera al cognato egli fu veduto in contrada Fontanazze da Mazzola Vito in possesso di un
voluminoso fascio di carte cherano, a suo dire, stampati di propaganda anticomunista (v. n. 41, II, A, c); e
la circostanza è credibile sia perché, pur con qualche modifica, fu ripetuta nel primo interrogatorio
giudiziale (v. n. 41, II, B), sia perché realmente manifestini a stampa furono poi diffusi in occasione degli
attentati del 22 23 giugno 1947; mentre non è attendibile la ritrattazione, che si palesa un mezzo di
ripiego, (v. n. 48, B, VIII) dappoichè è ovvio che, parlando dei fatti di Portella, il Mazzola non aveva motivo
di richiamare un episodio dei fatti dellEVIS.
Inoltre è lui il latore della lettera con la quale si dava il via libera alla strage. Giuliano la lesse ai presenti e
disse: E venuta lora della nostra liberazione, dobbiamo andare a sparare ai comunisti, il 1° maggio, a
Portella. Anche Terranova sapeva di questa storia e aveva preferito allontanarsi da Montelepre per non
ubbidire al capo. Ma questi, come abbiamo visto, lo fa rintracciare tramite Remo Corrao e uno dei
Pianello. Anche Genovese si dice contrario; è un membro del consiglio degli anziani e mette in risalto
che sparare su donne e bambini, gente inerme, è unazione indegna. Suggerisce: meglio prendersela con
i capi.
Lo stato maggiore della banda al 27-28 aprile è diviso. I Pianello e Ferreri lo sanno e non possono non
riferire nulla ai loro referenti dellIspettorato. La posta in gioco é troppo alta e questi ultimi non
avrebbero loro perdonato un silenzio decisivo. E del tutto pacifico dunque che i confidenti riferirono.
Sta di fatto che in quella situazione di rottura il piano stragista sarebbe stato destinato al fallimento.
Occorreva inventare un espediente per portare tutta la banda sui roccioni del Pelavet e metterla in bella
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 29/41
mostra. Lidea venne a Messana che prendendo spunto da quanto dichiarato da Genovese
candidamente dichiarerà ai giudici di Viterbo:
DR: Certamente i rapporti con Ferreri iniziarono prima della strage di Portella. Ricordo di avere saputo,
attraverso la fonte Ferreri, che Giuliano voleva attentare alla vita dei dirigenti del Partito comunista di
Palermo, fra i quali Li Causi. Informai per opportuna vigilanza il questore e fu il colonnello Paolantonio che
avvisò direttamente Li Causi.
Ora se si tiene conto del fatto che laggancio col confidente Ferreri fu definito a marzo è logico pensare
che tale informativa il Messana labbia avuto proprio dopo il 27-28 aprile perché fino allarrivo della
missiva dello Sciortino né Genovese né nessun altro avevano mai espresso lidea di prendersela con i
capi comunisti. Anzi le intenzioni di Giuliano erano perfettamente collimanti con quanti volevano
loperazione stragista. Fu bloccato dal consiglio di un anziano e dalla posizione assunta dal Terranova.
Al giudice istruttore che lo interrogò il 29 gennaio 49, il Genovese ebbe ad esprimere dettagliate
circostanze:
Dichiarò: a) che la mattina del 27 o del 28 aprile 1947 Giuliano Salvatore, Pianello Giuseppe, Pianello
Fedele e Ferreri Salvatore erano andati a visitarlo in contrada Saraceno, si erano trattenuti in sua
compagnia ed avevano mangiato con lui nella mandria; verso le 15 era sopraggiunto Sciortino Pasquale,
latore di una lettera, il quale aveva chiamato in disparte il cognato, postisi a sedere a ridosso di unapietra, avevano letto la lettera e confabulato fra loro; egli non sapeva né la provenienza né il contenuto
di quello scritto, ma pensava che fosse un documento molto importante perché dopo averlo letto il
Giuliano e lo Sciortino lavevano bruciato con un cerino; fatto questo lo Sciortino era andato via; b) che
allora il Giuliano gli aveva chiesto dove fosse il fratello ed, appreso che si trovava in paese affetto da un
foruncolo, aveva soggiunto: è venuta la nostra ora della liberazione, bisogna fare unazione contro i
comunisti, bisogna andare a sparare contro di loro il 1° maggio a Portella della Ginestra; egli aveva
subito osservato chera unazione indegna: si trattava di una festa popolare, cui avrebbero preso parte
donne e bambini, e non doveva prendersela con le donne e i bambini, ma con Li Causi e gli altri capoccia
e, così dicendo, aveva respinto la proposta; c) che presenti alla discussione erano stati il Ferreri ed il
Pianello; il Giuliano era molto riservato, onde egli non chiese, né quello gli avrebbe detto: chi aveva
spronato lui ed il cognato ad organizzare la strage; pensava, ma la sua era unopinione personale non
sorretta da alcuna prova, che vi fosse stato spinto da qualche partito politico; ignorava lorientamentopolitico del Giuliano a quel tempo; poteva dire soltanto che in occasione delle elezioni del 18 aprile l948,
avendogli chiesto consiglio circa il partito per cui dovesse votare, il Giuliano aveva risposto: per la
monarchia; aveva saputo poi che le donne di casa Giuliano facevano propaganda per la monarchia;
quelle di casa sua votarono invece per la Democrazia cristiana; d) che nulla sapeva della riunione
avvenuta a Cippi essendosi disinteressato di quanto il Giuliano aveva animo di compiere; il 1° maggio si
era recato in contrada Saraceno presso la mandria allo scopo di crearsi un alibi poiché sapeva della
strage che in quel giorno si doveva commettere.
Quindi ripetuto, in relazione allalibi, il colloquio col Caruso, così come lo aveva narrato ai carabinieri, e
precisato nel modo che segue lappello rivolto ai presenti: siatene testimoni che io sin da stamattina
sono qui insieme a mio fratello nel caso che ci vogliono caricare questa situazione, concluse asserendo
di aver saputo successivamente che con il Giuliano erano andati a Portella della Ginestra il Ferreri, i
fratelli Pianello, i fratelli Passatempo e di aver sentito dire che Terranova Antonino Cacaova e
Mannino Frank Lampo non avevano voluto parteciparvi, ma nulla di certo poteva affermare al
riguardo (P, 23, 25).
Pochi giorni dopo però, pur senza ritrattare lepisodio dello Sciortino e della lettera del quale non fece
menzione, si espresse ancor diversamente: il 14 febbraio 1949, interrogato in merito alla sua
partecipazione alla banda Giuliano, tra laltro, dichiarò: in ordine a questultimo delitto (strage di
Portella della Ginestra) fui invitato a parteciparvi verso il giorno 26 27 aprile 1947 da Giuliano
Salvatore. Venne a trovarmi in contrada Saraceno di Montelepre assieme a Ferreri Salvatore e ai
fratelli Pianello e mi disse (ero solo, mio fratello era andato in paese) che ormai voleva farla finita col
comunismo e voleva cogliere loccasione della tradizionale festa popolare di Portella della Ginestra, a cui
ogni anno partecipano numerosi gli elementi dei partiti di sinistra, per sparare su quella folla. Io feci
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 30/41
rilevare che il gesto era inumano perché a quella festa accorrevano tra laltro donne e bambini; il
Giuliano contrariato si allontanò e da quel giorno si fece vedere più di rado. Quando in seguito ritornò
non mi fece più accenno alla cosa che io avevo appreso con disgusto lo stesso giorno, né io ritenni
opportuno parlargliene (Vol. E, proc. pen. per banda armata, fol. 125, 126).
Come membro del consiglio degli anziani Giovanni Genovese sa in anticipo il piano di Saraceno, ed
analoga cosa dichiarerà Terranova Cacaova che ebbe ad anticipare addirittura alla metà di aprile quello
che Manfré saprà dieci giorni dopo. Ed entrambi hanno degli alibi forti dalla loro parte. Terranova si eradato disperso e Corrao alla vigilia della strage era andato a rintracciarlo con la sua jeep per esporgli
come abbiamo visto- lordine di Giuliano. Qui non interessa tanto sottolineare che anche la mafia di
Monreale conosceva in anticipo che si sarebbe compiuta una strage, quanto il fatto che la presenza di
Fifiddu Pianello in quel fallito incontro a Balletto, come di entrambi i fratelli monteleprini e di Fra
Diavolo allincontro di Saraceno, deponeva per una preventiva conoscenza di quanto si stava tramando,
anche da parte delle massime autorità dellIspettorato regionale di Ps, trattandosi di soggetti che erano
al contempo confidenti di primordine e associati alla banda Giuliano. E che i Pianello, subalterni di
Ferreri, fossero presenti a Portella, è una certezza anche per i giudici romani:
Nessuno dei picciotti ha fatto il nome dei Pianello nonostante che i due banditi fossero noti a molti di
loro: Buffa Antonino, Tinervia Francesco, Musso Gioacchino, Sapienza Vincenzo, Pretti Domenico,
Terranova Antonino di Salvatore, Pisciotta Vincenzo sicuramente li conoscevano (V/4, 478 479) e non
ne hanno parlato. Non è possibile che a tutti fossero sfuggiti, oppure che tutti li avessero dimenticati; epoiché è certo che i fratelli Pianello parteciparono alla strage, il silenzio dei picciotti su di loro dimostra
soltanto che né Giuseppe, né Fedele Pianello furono presenti alladunata preparatoria dei partecipanti a
quella impresa criminosa. Il che è avvalorato dal fatto che i Pianello vivevano abitualmente in Alcamo,
avendo ricevuto dal Giuliano lincarico di sorvegliare il Ferreri del quale più non si fidava, e non
avrebbero avuto motivo di risalire fino a Cippi od anche fino a Cozzo Busino per accedere a Portella della
Ginestra: è presumibile che il Giuliano avesse dato loro convegno direttamente ai roccioni della
Pizzuta.
Essi passarono invece per Cozzo Busino al ritorno: dovettero far parte di quel gruppo di undici banditi
che procedette al sequestro ed alluccisione del campiere Busellini e che Acquaviva Domenico vide
transitare per la contrada Presto dopo lazione di Portella della Ginestra (v. n. 18), altrimenti non
avrebbero potuto indicare, con tanta precisione da farne uno schizzo, la foiba dentro la quale giaceva il
cadavere del campiere.
Il cadavere di Busellini, fatto trovare dai Pianello lo stesso giorno degli assalti alle Camere del Lavoro,
era un altro indizio inquietante. Non solo per la coincidenza delle date, ma perché il ritrovamento di
quel corpo, secondo Terranova freddato da Ferreri nella marcia di ritorno dopo la strage del 1° maggio,
stava a indicare che da lì era passata la banda monteleprina, e dimostrava la partecipazione del gruppo
Ferreri alla strage attribuendone al contempo la responsabilità a Giuliano. Non è da escludere che non
tutti gli uomini della sua banda vi parteciparono. Cerano state delle divisioni e fino a quel momento
ognuno sapeva che cera un ordine di mobilitazione generale. Ma pochi ebbero la consapevolezza della
frattura che lordine di strage provocò. Certamente non fu accettato supinamente, tranne che da
Giuliano, Ferreri e i Pianello che non risulta abbiano manifestato dissensi. Del resto si notano delle
discondanze tra i partecipanti alla riunione di Cippi, i sette gruppi che sostengono la marcia notturna, e
i presenti sui due versanti del crinale del Pelavet. Mancano tra gli altri i Genovese e Pisciotta, stando alla
ricostruzione degli stessi giudici. Ma mancano anche gli accertamenti topografici su tutte le postazioni di
tiro attorno al pianoro di Portella, che certamente i giudici romani sconoscevano, avendo letto
malamente le carte, e non essendosi mai recati sul posto, come avevano fatto i primi giudici. Se fossero
stati più attenti non avrebbero affermato limpossibilità di colpire dalla Kumeta, con armi militari, il
podio dove parlavano gli oratori. Avrebbero considerato che i tiri potevano provenire anche dal cozzo
Rahji i Dxuhait situato ai piedi di questa montagna e ben fornito di una via di fuga verso la masseria
Kaggio, dove, in coincidenza con la riunione di Saraceno si erano riuniti i mafiosi di Piana e San Giuseppe
Jato. Dunque non furono accertate tutte le postazioni di tiro, ma si ebbe modo di verificare che i conti
non tornavano ugualmente:
Nel suo primo memoriale il Giuliano precisò di aver impartito a ciascuno lordine di non sparare più di
tre caricatori; e benché come risulta dai reperti egli ne abbia sparati quattro col fucile mitragliatore,
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 31/41
deve ritenersi che la prescrizione risponda a verità e sia stata in via di massima osservata, in quanto è
provato per testimonianze di Fortuna Ettore (R, 199), di Marino Salvatore (V/279), e Cuccia Vito
(V/5°,638) che lazione a fuoco si sviluppò sostanzialmente attraverso tre raffiche di armi automatiche
oltre a numerosi colpi isolati. Ora, ciò essendo, è agevole osservare che ove a Portella della Ginestra
avessero sparato soltanto undici individui dalle undici postazioni ivi rilevate (il dodicesimo custodiva i
sequestrati ed usò di un fucile da caccia) impiegando nellazione un fucile mitragliatore Breda mod. 30
un moschetto automatico americano, quattro mitra Beretta e cinque moschetti mod. 91, poichéciascun caricatore conteneva rispettivamente 30, 20, 6 proiettili, si sarebbe avuta nei bossoli di risulta la
seguente situazione: fucile mitragliatorecal. 6,05 (30 x 4) n. 120; moschetti mod. 91 cal. 6,05 (6 x 3 x 5)
n. 90; moschetto automatico americano (20 x 3) n. 60; mitra Beretta cal. 9 (20 x 3 x 4) n. 240; cioè un
totale di n. 510 bossoli in luogo degli 800 e più che furono rinvenuti (v. n.15). E qualora si volesse
limitare lindagine ai 341 bossoli sequestrati il conto del pari non tornerebbe: potrebbero considerarsi
vicini alle cifre suddette e trovare conforme spiegazione i 206 bossoli cal. 6,05 ma non così gli 81 bossoli
cal. 9 per mitra Beretta, posto che tre furono le raffiche, senza dire del bossolo per fucile inglese che
indica la presenza di un altro partecipante provvisto dellarma relativa.
Inoltre è interessante notare che, stante larmamento degli effettivi della banda, una percentuale cosi
elevata di moschetti 91 non sarebbe giustificabile se non nel presupposto di un concorso ben maggiore
di malfattori armati di mitra e nella ipotesi di partecipanti estranei alla banda.
Si apprende dagli imputati, così detti grandi, che gli effettivi della banda disponevano di mitra: io equelli della mia squadra ha detto Terranova Cacaova (W/1,75) eravamo armati di mitra lunghi; e,
se si deve credere a Mazzola Vito, nella imminenza dellazione di Portella della Ginestra, il Giuliano
somministrò agli affiliati alla sua banda nuovi mitra, procurati a mezzo di Pantuso Gaetano, in
sostituzione di quelli di vecchio tipo di cui erano provvisti (Z/1, 131). Per le dichiarazioni rese da Corrao
Remo ai CC. (Z/1, 82) risulta che Russo Angelo era munito di un moschetto semiautomatico di marca
inglese; e il fatto che tutti i componenti della banda fossero forniti di mitra trova conferma nella depo-
sizione del ten. col. Paolantonio (V/6, 711).
Onde è lecito concludere che lesistenza accertata delle postazioni di moschetto mod. 91, alle quali, per
la posizione di uomini e per la situazione dei luoghi, potettero convergere bossoli provenienti da più
armi della stessa specie, denunzia sicuramente la presenza tra i roccioni della Pizzuta anche di persone
che alla banda non appartenevano.
Gli accertamenti generici non vi contraddicono: non vi è certezza che tutti i punti da cui fu aperto il
fuoco siano stati identificati, anzi può dirsi che il processo offra la prova del contrario; nulla si conosce
intorno alla ubicazione degli 81 bossoli per mitra Beretta sequestrati; e nessuna indicazione esiste dei
rimanenti (800 341) 459 bossoli che pure furono rintracciati, dappoiché e lo si è visto da più fonti si
apprese nel dibattimento che i bossoli esplosi erano oltre ottocento.
In altre parti della sentenza i bossoli vengono fatti ammontare a oltre mille, non contando tutti quelli
che erano andati a conficcarsi nella terra o che erano andati a finire negli anfratti, tra le rocce. Si ha
pertanto la percezione esatta del grande fuoco dartificio, dellimponenza della massa di fuoco che si
scaricò sul pianoro, senza gli effetti tuttavia di un bilancio di morti e di feriti ancora più pauroso di quello
che si registrò in quella mattina di fuoco e di tragedia. A fronte di tale enorme divario la spiegazione che
non ci fu un maggior numero di morti perché dopo i primi colpi i banditi dovetteroaggiustare il tiro, o
perché il dislivello tra punti di fuoco e bersagli era tale da non consentire che i colpi avessero il loro
effetto mortale, è una trovata priva di ogni e qualsiasi credibilità. E più onesto e ragionevole affermare
che tutti sentirono fischiare le pallottole al di sopra delle loro teste (come affermarono di fronte ai
giudici i carabinieri presenti quella mattina e numerosi altri testimoni) e che, ad un certo punto,
qualcuno si inserì nel fuoco dartificio e, sicuro delle protezioni che aveva, eseguì degli ordini ai quali non
poteva sottrarsi.
11. I capisquadra sapevano
La struttura piramidale della banda non consentiva a tutti di venire a conoscenza delle verità più
nascoste, anche se tutti la sera della vigilia della strage (come in modo analogo succederà il 22 giugno)
vennero informati dellobiettivo immediato da raggiungere. Ferreri e Pisciotta certamente conoscevano
alcune cose sui mandanti; potevano essersene fatta unidea; ma questidea non poteva che arrivare fino
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 32/41
ad un certo punto. Essi però erano soggetti il cui grado di rassicurazione dipendeva anche da loro a tal
punto che non potevano permettersi di compromettere inutilmente i benefici di cui i loro protettori,
anche a costo di rischiare, erano stati elargitori e garanti. Tutto dipendeva da come si comportavano.
Anche Terranova Cacaova sapeva molte cose. Scrivono i giudici di Roma:
I. Il primo a far cenno della esistenza di mandanti fu Terranova Antonino, inteso Cacaova:
diversamente da quanto aveva dichiarato prima (v. n. 48, II), nelle udienze del 10 e dell11 maggio 1951 eglidisse che il Giuliano, nel parlargli tra il 18 ed il 20 aprile 1947 dellazione divisata contro i comunisti, aveva
fatto anche i nomi dei mandanti, nomi che ora più non ricordava, ma che avrebbe cercato di ricordare se
altri non fosse stato in grado dindicarli; ed aggiunse di aver saputo in seguito dallo stesso Giuliano che a
disporre gli assalti alle sedi comuniste erano stati i medesimi mandanti che avevano voluto la strage di
Portella; inoltre il Giuliano gli aveva detto pure che, se nelle elezioni politiche del 1948 la Democrazia
cristiana avesse riportato vittoria, sarebbero stati tutti liberi, quale che fosse il numero dei reati sino allora
commessi e, nel caso contrario, con laiuto degli stessi mandanti si sarebbero rifugiati in Brasile.
II. Ma, dopo coteste prime caute avvisaglie del Terranova. nelle udienze dal 14 al 17 maggio 1951 e
successive Pisciotta Gaspare sviluppò con audacia senza pari la sua difesa pur tra incoerenze e
contraddizioni.
Disse che ad ordinare la strage di Portella della Ginestra erano stati lon. Bernardo Mattarella, lon.Tommaso Leone Marchesano e il principe Gianfranco Alliata: dopo lavventura separatista il Giuliano gli
aveva detto che la Democrazia cristiana ed il Partito monarchico, in caso di vittoria alle elezioni (e mantiene
lequivoco sulla data e natura di esse) avevano promesso loro limpunità, ed, in caso contrario,
lemigrazione in Brasile, nelle terre del principe Alliata; aveva tentato di dissuadere il Giuliano dal mettersi
con costoro perché lavrebbero tradito al pari dei separatisti, ma non gli aveva dato retta. Personalmente
non aveva mai visto né il Mattarella, né il Marchesano, né lAlliata, conosceva soltanto lon. Giacomo
Cusumano Geloso che fungeva da ambasciatore tra la banda e Roma; tuttavia aveva assistito a quattro
riunioni tra i predetti e il Giuliano avanti il 1° maggio 1947: precisamente ad Alcamo presso le case nuove, a
Bocca di Falco in casa del mafioso Ernesto Mirasole [nda: leggi Minasola], a Passo di Rigano ed in contrada
Parrino, ma or dicendo di avervi preso parte (V/2, 216 r), or di non esservi intervenuto, essendo rimasto,
unitamente ad altri della banda, a circa 500 metri dallabitato, dove lincontro avveniva, per guardare le
spalle al capo bandito (V/2, 222), ed or di essere stato presente soltanto ai convegni avuti dal Giuliano con ilCusumano Geloso e non pure a quelli avuti con lAlliata, Marchesano ed il Mattarella, cui non era
intervenuto poiché ad essi non si interessava (V/7°, 870 r). Un colloquio aveva avuto il Giuliano col
Mattarella e col Cusumano Geloso, a Parrino, anche dopo le elezioni del 1948, per chiedere losservanza dei
patti, al quale colloquio avevano partecipato il mafioso Albano Domenico di Borgetto, Provenzano Giovanni
da Montelepre Costanzo Rosario da Terrasini, nonché vari componenti della banda tra cui lui, Terranova
Antonino, Mannino Frank, Pisciotta Francesco, i fratelli Passatempo, Licari Pietro e Sciortino Giuseppe; e
sapeva che il Mattarella ed il Cusumano Geloso eransi recati a Roma per provocare la concessione
dellamnistia, senza alcun risultato positivo, per lopposizione del ministro on. Scelba che aveva detto di
non voler trattare più con i banditi. Dopo di allora lon. Mattarella non si era più visto ed il Giuliano,
risentito, aveva ordinato il sequestro della famiglia di lui residente a Castellammare del Golfo.
Sostenne che la lettera menzionata da Giovanni Genovese era stata consegnata allo Sciortino dalCusumano Geloso e che, secondo questi gli aveva detto, proveniva ed era sottoscritta dal ministro Scelba;
non rispondeva a verità che fosse stata bruciata: si trovava presso Sciortino Pasquale, in America, ed egli,
avendogliela il Giuliano fatta vedere, era in grado di ripeterne il contenuto che poteva riassumere presso a
poco così: caro Giuliano, noi siamo sullorlo della disfatta del comunismo, col vostro e col nostro aiuto
possiamo distruggere il comunismo, qualora la vittoria sarà nostra, voi avrete limpunità su tutto.
Ed asserì che il Cusumano Geloso, cui, dopo la morte del Giuliano, si era rivolto perché intervenisse a suo
favore presso il principe Alliata, gli aveva promesso 50 milioni di lire ed il passaporto per emigrare in
Brasile, nelle terre del suddetto principe, dove avrebbe fatto il gran signore, ma egli ne aveva condizionato
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 33/41
laccettazione alla celebrazione del processo per i fatti di Portella della Ginestra, nel quale, ai fini di
giustizia, si sarebbe dovuta dire tutta la verità.
Affermò che banditismo, mafia e polizia costituivano in Sicilia una trinità e che il banditismo avrebbe
potuto essere distrutto fin dal 1947 se lIspettorato generale di PS lavesse voluto: egli stesso era stato in
rapporti con lispettore generale Messana che, tramite il Ferreri inteso Fra Diavolo, gli aveva fatto avere
nel maggio 1947 un tesserino di libera circolazione, con facoltà di portare armi, intestato al nome di FaraciGiuseppe; egli ed il Ferreri avevano il compito di sopprimere il Giuliano ove fosse passato al comunismo.
Anche lispettore generale Ciro Verdiani aveva avuto rapporti con lui e con il Giuliano. Più volte il Verdiani si
era incontrato, con loro: una volta a Giacalone quattro o cinque giorni prima delleccidio di Bellolampo;
unaltra a Castelvetrano la sera del 24 dicembre 1949 nella casa campestre di Marotta Giuseppe, dove,
rilevato allo scalo ferroviario di Marsala, il Verdiani era giunto in compagnia di Ignazio ed Antonio Miceli, di
Domenico Albano e del Marotta stesso portando un panettone e del vino marsala che erano stati
consumati da tutti insieme, prima che lispettore si appartasse a discutere col Giuliano; ed infine a Catania
dove sera incontrato con lui e con lAlbano.
Rivelò che di due tesserini di riconoscimento per libera circolazione, con facoltà di portare armi, (in
sostituzione di quello avuto dal Messana) lo aveva munito pure il col. Luca, al cui servizio si era posto, per
cooperare con lui alla cattura od alla uccisione del Giuliano, quando si avvide che era uomo capace disopprimere il banditismo; tesserini rilasciati ambedue sotto il falso nome di Faraci Giuseppe luno con
fotografia a firma del predetto col. Luca, laltro senza fotografia a firma congiunta del medesimo e del
Questore Marzano.
Palesò che Verdiani soleva comunicare con il Giuliano tramite Ignazio Miceli, cui appoggiava le sue lettere,
ed il Giuliano, dopo averle lette, usava il sistema di passarle a lui affinché le riconsegnasse al Miceli per la
custodia; ed aggiunse che sapeva, per avere intercettato lo scritto, che il Verdiani, cui egli aveva rifiutato
ogni collaborazione per la cattura e per la eliminazione del capo bandito, aveva tentato dinformare il
Giuliano dei suoi contatti con il col. Luca.
Le circostanze che emergono dalle affermazioni di Pisciotta e Terranova non sono del tutto campate in aria.
Andavano solo vagliate e riscontrate attentamente. Anche le reticenze del secondo si sarebbero dovutespiegare, così come avevano fatto i giudici di Viterbo. A questo proposito essi tennero in considerazione il
fatto che nella struttura gerarchica della banda, Cacaova era sì un caposquadra, ma era anche un
subalterno di Pisciotta che rappresentava il capocordata del gruppo del quale facevano anche parte Frank
Mannino, Francesco Pisciotta, Rosario Candela ed Angelo Taormina. Osservarono che Terranova non parlò
prima che il suo diretto superiore gerarchico dicesse le cose come stavano, dal suo punto di vista; non
sapeva fino a che punto poteva esporsi e così aspettò che fosse Gasparino a fare il primo passo. E questi
afferma e nega, lascia trasparire delle mezze verità e fa delle affermazioni che anche i carabinieri
confermano. Egli, ad esempio, aveva ricevuto, una settimana prima che Giuliano fosse ucciso
un attestato di benemerenza datato 28 giugno 1950, rilasciato al Pisciotta in apparenza dal Ministro
dellInterno on. Scelba per lattiva cooperazione dallo stesso prestata per restituire alla zona di
Montelepre e comuni vicini la tranquillità e la concordia e per il totale ripristino della legge; attestatoche il gen. Luca dichiarò di aver lui stesso, ad insaputa del Ministro, creato e consegnato al Pisciotta, che
laveva preteso, quale prezzo della sua cooperazione, in luogo della taglia posta sul Giuliano e dellofferta di
espatrio, spiegando di averlo fatto per giungere allo stanamento del bandito dappoiché, dopo dieci mesi
di lavoro, non era ancora riuscito a sapere dove si trovasse (V/6, 684, 687, 689).
Pisciotta, dunque, parla come superiore gerarchico, dice le cose finché può dirle, suggerisce agli altri di
seguirlo nella strada intrapresa. Ma gli altri non ne potevano sapere più di lui. Ad esempio del vero
memoriale di Giuliano. I giudici ne ebbero due, con i quali il capobanda si autoaccusava delle stragi; ma il
memoriale autentico dichiara Pisciotta- fu consegnato da lui in persona al capitano dei carabinieri Antonio
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 34/41
Perenze. Questi smentì laffermazione, e anche i giudici romani dovendo scegliere tra la parola di un
graduato dei Cc e quella di un bandito scelsero quella del graduato. Ma questa volta non ne avevano tutte
le ragioni. Anzi. Perché il solerte capitano era lautore dei falsi sulla morte di Giuliano, e quindi la persona
meno indicata a dire che Pisciotta mentiva. Del resto lo scenario che proprio i carabinieri gli avevano
preparato non favoriva per nulla la scoperta della verità. Tutto sembrava essere stato congegnato per
nasconderla, a partire da quella casa di Gregorio De Maria, al cui interno il capobanda sarebbe stato ucciso,
senza che egli fosse per nulla insospettito dal gran traffico che attorno e dentro la sua casa cera statoquella notte dal 4 al 5 luglio del 50.
Dunque, solo quando Pisciotta parla autorizza gli altri suoi uomini a imitarlo:
E, come il Pisciotta ebbe fatto coteste affermazioni circa i mandanti, Terranova Antonino Cacaova, con
latteggiamento di chi finalmente possa liberarsi di un segreto, dichiarò: ora che ha parlato Pisciotta
Gaspare posso dire di aver saputo personalmente dal Giuliano che a mandarlo a sparare a Portella furono
Alliata, Marchesano, Cusumano e Mattarella; si faceva anche il nome di Scelba proseguì ma non son
sicuro.
E nellintento di sostenere lassunto del Pisciotta, mal ricordando le parole di costui, aggiunse che nel
settembre ottobre 1948 il Giuliano gli aveva proposto di sequestrare lon. Mattarella perché non aveva
mantenuto la promessa ed egli si era rifiutato di farlo.
Grandi se pur fallaci speranze venivano riposte, adunque, su cotesto primo espediente di difesa e non si
mancò di fare, come sarà dimostrato in seguito, altri non leciti tentativi per accreditarlo.
Il lettore potrà meglio vedere da sé dette valutazioni anche per le correlazioni che esse hanno nel
contesto sistematico dellapproccio unidirezionale alla lettura dellaccusa.
Pisciotta fu superprotetto dai carabinieri durante il processo di Viterbo. Luca e Perenze lo difesero come
meglio poterono, ma le loro testimonianze non valsero ad evitargli lergastolo. Il loro atteggiamento è
tuttavia abbastanza spiegabile. Gasparino era stato già dai tempi di Messana un fattivo collaboratore
delle forze dellordine che gli avevano fatto avere carte di libera circolazione e documenti falsi. Perenze
se lo portava a spasso, e Luca si dimostrava magnanime. E Gasparino si fidava e sperava. Cosa gli era
stato chiesto in cambio? Non certo lo stanamento o luccisione di Giuliano. Questi era già stato mollato
dalla mafia; i Miceli lo avevano scaricato e sapevano benissimo dove si trovava. Dunque il luogotenentedi Giuliano aveva un compito preciso: venire in possesso del memoriale del suo capo, di cui conosceva il
contenuto, avendolo visto e tenuto con sé per lunghi mesi, come egli stesso dichiarava.
Si noti la concentricità delle funzioni, come in un sistema di scatole cinesi, o di matriosche: Ferreri arriva
alla conclusione della fase eversiva, poi muore; Pisciotta ha in sé le funzioni di Ferreri, ma le spinge più in
avanti finché non si arriva alleliminazione di Giuliano; questi ha in sé le funzioni di Ferreri e Pisciotta
finché questi non si dimostra disponibile a prendere in carico luccisione del suo capo. Pisciotta è lultimo
a morire perché contiene tutti. Tre anelli concentrici, cronologicamente significativi. Si può affermare che
il primo rappresenta la consapevolezza sul bimestre delle stragi; Pisciotta ha questa consapevolezza ma
non fino al punto di essere a conoscenza diretta dellanima segreta di Fra Diavolo: poteva solo
sospettarla, altrimenti avrebbe fatto la stessa fine di Ferreri. Muore perché sa qualcosa che gli altri due
non potevano da defunti sapere, e cioè in quale gioco era entrato per far sì che gli ultimi segreti sul
fronte del banditismo fossero definitivamente seppelliti. Poi doveva anche lui scomparire. Nella speranzache i carabinieri lo aiutassero fino in fondo, non contento della sconfitta di Viterbo, pensò di potersi
rifare a Roma. Ma non arrivò alla conclusione della sentenza di quei giudici. La differenza tra Giuliano e
lui è questa: il primo tratta con le armi in pugno, come dimostrava la strage di Bellolampo, battesimo di
fuoco dellarrivo del colonnello Luca in Sicilia; il secondo tratta mettendosi a totale disposizione dei
carabinieri. Si fida, spera di redimersi, di tornare libero dopo un condono, unamnistia, un trattamento
speciale tutto per lui. Rifiuta il denaro per la taglia imposta per la cattura del capobanda; gli promettono
di mandarlo in America, ma lui rifiuta. Vuole un attestato di benemerenza, vuole tornare al consorzio
civile, riabbracciare la sua fidanzata, conforto e tormento al tempo stesso, nel calvario che lo
accompagna dalle carceri giudiziarie di Viterbo allUcciardone. Si autoaccusa dellassassinio del suo capo
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 35/41
e continua a sperare. Nella vicenda della sua morte, come del resto in quella di Ferreri e Giuliano, è
questo che sgomenta: si eliminano dei banditi pluricondannati allergastolo, con i quali i rappresentanti
dello Stato avevano ampiamente trattato, fino a fornire aiuti e protezione; è luso spregiudicato dei
confidenti; è il ricorso alla criminalità per finalità politiche e di parte. Anche i giudici romani non
poterono fare a meno di rilevare alcune anomalie:
Le affermazioni dellimputato Gaspare Pisciotta circa le sue relazioni con la polizia (v. n. 51, A, II) furonosmentite dal teste Messana che escluse nel modo più reciso di aver avuto rapporti con lui e di avergli
rilasciato un tesserino di riconoscimento, come pure negò di aver avuto proprio confidente il Ferreri (V/5,
624); ma, in contrasto con tale testimonianza, il gen. Luca depose che, nellatto di rilasciare al Pisciotta i
due tesserini di cui si è fatto cenno, questi gliene mostrò un altro, molto logoro per luso, dalla fotografia
sbiadita, rilasciato al nome di Faraci Giuseppe, in data 20 maggio 1947, dallIspettorato generale di PS per la
Sicilia, nel quale tesserino la firma del funzionario, costituita da un segno indecifrabile, somigliava a quella
consueta dellispettore Messana (V/5, 674 r); e i testi, ten. col. Paolantonio e m.llo Calandra, fecero
affermazioni che non consentono di avere dubbio sulla predetta qualità di confidente del Ferreri.
Il teste Verdiani invece ammise lincontro con il Giuliano, avvenuto a sera inoltrata, in una località tra
Corleone e Castelvetrano, la vigilia o lantivigilia del Natale 1949: lo scopo che si proponeva egli disse
era di ottenere intanto la cessazione di ogni attività criminosa contro le forze di polizia e di giungere poi allacostituzione, o alla cattura, o alla eliminazione del Giuliano con qualunque mezzo; ed al capo bandito aveva
fatto credere che si sarebbe adoperato affinché alla madre, Lombardo Maria, chera detenuta, fosse
concessa la libertà provvisoria. Chiarì di aver avuto col Giuliano, tramite Ignazio Miceli, rapporti epistolari
ed esibì una lettera ricevuta il 18 febbraio 1950 con la quale il capo bandito si offriva di inviargli un
memoriale intorno ai fatti di Portella: si era trattato di un errore gli scriveva tra laltro il Giuliano
perché lobbiettivo non era quello di colpire quelli che disgraziatamente capitarono, ma bene altro, tutto
ciò sempre per colpa dei comunisti stessi perché sono stati loro che ci hanno costretti a ciò; ed, alludendo
a quanto avrebbe scritto nel memoriale, proseguiva: se lei riconosce che sia necessario anche farlo sentire
a sua Eccellenza Pili può dirglielo e se chi sa vuole parlarmi personalmente sono disposto ad incontrarci di
nuovo, mi farebbe piacere perché sarebbe di grande conforto e concludeva raccomandando la sorte delle
sorelle Marianna e Giuseppina allora detenute (V/5, 661).
Rivelò ancora il Verdiani di aver ricevuto, circa due mesi dopo, dal Giuliano un memoriale scritto e
sottoscritto di suo pugno, che egli si era affrettato a rimettere in data 18 maggio 1950 a SE Pili, procuratore
generale della Repubblica in Palermo, per luso di giustizia; e di aver avuto con Pisciotta Gaspare un solo
rapporto epistolare allorché questi con lettera 14 giugno 1950, inviatagli tramite lo stesso intermediario, si
offrì di eliminare il Giuliano. Esibì la lettera, che per altro la Corte non acquisì al processo, ed il Pisciotta
riconobbe di averla scritta lui (V/5, 655, 659).
Messana mentiva sapendo di mentire, ma anche Verdiani non era da meno e la sapeva più lunga del
diavolo.
12- Lo sfondo del terrorismo
Ad esempio in merito a quellautoaccusa che Pisciotta avrebbe comunicato al vecchio ispettore, il 14 giugno
1950, prima ancora di dichiarare in piena aula di tribunale nella primavera del 51, quasi con un anno di
anticipo, di essere stato lui luccisore di Giuliano. Perché può essere messa in discussione lautenticità di
questa lettera che Gasparino avrebbe confermato, davanti ai giudici, come scritta di suo pugno? Per
diverse ragioni:
1) non fu acquisita come abbiamo visto- dai giudici e pertanto di essa non si ha traccia alcuna;
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 36/41
2) perché al momento in cui fu fatta vedere a Pisciotta, essa non faceva altro che confermare una versione
dei fatti che esonerava totalmente i carabinieri dalla responsabilità di avere ucciso Giuliano. E Pisciotta,
per un tornaconto personale non aveva interesse a mettersi contro di loro. Ce laveva contro la Ps che
laveva fatto arrestare, ma non contro i carabinieri dai quali sperava gli aiuti che in dibattimento
realmente ci furono;
3) quella è lunica lettera che Pisciotta avrebbe scritto a Verdiani, e cioè a una persona verso la quale eglinutriva la più totale diffidenza.
In sostanza i banditi sono inghiottiti nelle sabbie mobili di un sistema istituzionale con vaste fratture di
deviazione che mentre sembra tendere loro una mano per salvarli, li fa sprofondare e scomparire. Il fatto è
che lazione esercitata non si sviluppa nel gioco democratico, ma in quello sotterraneo delle complicità, di
vaste trame che per la loro natura e gravità non potevano non avere coperture alte. Perché altissime erano
le partite in gioco. Anche i giudici della Corte di Assise avevano notato lapparente stranezza di alcune
circostanze:
a)che, di tante bande armate costituite in Sicilia durante loccupazione dellisola da parte delle truppe
straniere, solo la banda comandata dal Giuliano aveva potuto sopravvivere per tanti anni; b) che, mentre
era stato possibile a tre ex partigiani continentali, Celestini Forniz, Trucco, di giungere fino al Giuliano erimanere per qualche tempo presso di lui; ad una giornalista straniera, Maria Cilyacus, di intervistarlo e di
ritornare in Sicilia per raggiungerlo nuovamente nel suo nascondiglio, intento nel quale forse sarebbe
riuscita se non fosse stata arrestata, tempestivamente; al giornalista Rizza, al fotografo Meldolesi,
alloperatore cinematografico DAmbrosio di incontrarsi con lui, alla presenza del suo luogotenente, nella
stalla di Salemi, e di intervistarlo, ritrarre fotografie e fare un cortometraggio solo le forze di polizia,
malgrado non avessero rallentato mai la lotta contro la banda, non erano riuscite a scovarlo, al punto che lo
stesso comandante del CFRB, dopo dieci mesi di permanenza in Sicilia, non aveva potuto ancora sapere
dove il Giuliano si celasse; c) che pochi giorni prima della strage era pervenuta al capo bandito, a mezzo del
cognato Sciortino Pasquale, una lettera misteriosa la cui relazione col delitto appariva, in base alle
dichiarazioni rese da Genovese Giovanni, chiara ed indubitabile; d) che il Giuliano era stato ucciso appena
dopo che col secondo memoriale aveva escluso lesistenza del supposto mandato e di mandanti; potesse
far pensare al concorso nei delitti di che trattasi di compartecipi estranei alla banda, non ancora accertati iquali alla banda ed al suo capo fossero stati larghi di protezione e di aiuti.
E avevano colto labnormità di alcuni fatti:
quali appunto: a) il visibile contrasto per emulazione secondo la spiegazione data dal teste Luca ,
manifestatosi tra la Pubblica Sicurezza e lArma dei Carabinieri dopo leccidio di Bellolampo (v. n. 44, IV),
per effetto del quale lispettore generale di PS Ciro Verdiani, non soltanto omise di consegnare al
comandante del CFRB ogni atto dellufficio fino allora diretto e nulla gli fece conoscere della organizzazione
confidenziale della quale si era servito cosicché il nuovo organo dovette incominciare a costruire ex novo
quelledificio che era stato già costruito a spese dello Stato e nellinteresse esclusivo della generalità dei
cittadini , ma continuò ad occuparsi, nonostante che più non lo dovesse, del bandito Giuliano, sia
ponendo in essere quellattività di cui si è detto (v. n. 52), sia trascurando di dare esecuzione ad unoqualsiasi tra i tanti mandati di cattura emessi dallAutorità giudiziaria contro Giuliano Salvatore e Pisciotta
Gaspare; e non a questo limitandosi, poiché, qualche giorno prima che il Giuliano fosse soppresso,
attraverso il quasi mafioso Marotta pervenne o doveva pervenire al Giuliano una lettera con cui lo si
metteva in guardia facendogli intendere che Gaspare Pisciotta era entrato nellorbita del colonnello Luca ed
operava per costui; b) lavere lispettore generale di PS Messana prescelto a suo confidente Ferreri
Salvatore, condannato con sentenza passata in giudicato alla pena dellergastolo e latitante, contro il quale
invece avrebbe dovuto far eseguire la condanna; c) latteggiamento in contrasto con la funzione che è
propria degli appartenenti allArma dei carabinieri ed alle forze destinate alla repressione del banditismo
avuto dallallora col. Luca e dal cap. Perenze, anche in epoca posteriore alla morte del Giuliano, nei
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 37/41
confronti del fuorilegge Gaspare Pisciotta, che oltre tutto fu lasciato in stato di libertà fino a quando gli
agenti della Questura di Palermo non riuscirono a catturarlo, atteggiamento culminato nelle ricordate
affermazioni sullalibi fatte nel dibattimento; d) lavere avuto il Giuliano rapporti, oltre che con funzionari di
PS, anche con un magistrato, col Procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo, Emanuele Pili,
come era lecito desumere dalla lettera esibita dal teste Verdiani.
Ma quei giudici avevano anche dichiarato di non aver motivo di occuparsi né della mafia, né delbanditismo, né dei rapporti tra mafia e banditismo, sebbene alcuno dei difensori ed anche il PM vi si
fossero soffermati, trattandosi di problemi che, se pure attraenti e degni di esame, interessavano la
sociologia ed esulavano dal tema di una sentenza penale. Neanche i giudici romani se ne occuparono, pur
avendo sollevato il problema dei forti condizionamenti della mafia nellambiente sociale. Le loro
affermazioni sono semplicemente sbalorditive, perché non ebbero nessun effetto:
[] non è possibile assolvere un compito siffatto, in una causa in cui i protagonisti vivono in un mondo di
mafia e di banditismo, senza tenere conto delle regole che lo governano. Esattamente i primi giudici hanno
affermato che una sentenza penale non può occuparsi di problemi che riguardano la sociologia e tali
certamente sono quelli che riguardano i fenomeni della mafia e del banditismo sotto il profilo delle cause
che li hanno determinati e che tuttora ne condizionano lesistenza, sotto il profilo, cioè, storico e sociale.
Ma non sono cotesti gli aspetti che preme considerare e non si esauriscono in essi i problemi inerenti allarealtà della mafia e del banditismo: altri ve ne sono che interessano così il sociologo, come il giudice, per i
riflessi di psicologia giudiziaria, quali appunto il contenuto essenziale che i due fenomeni caratterizza, la
legge che li governa e in un certo senso li accomuna, lestensione della mafia nellambiente sociale,
lincidenza sulla personalità morale dei soggetti che vivono ed operano in un ambiente siffattamente
influenzato. []
Esaminando lattività svolta dal Giuliano e dalla sua banda durante i moti dellEVIS si è osservato che il
movimento separatista trovò i suoi principali sostenitori nel ceto agrario e nella mafia; che lEVIS agitò i
medesimi interessi politici e rappresentò le stesse correnti politicosociali; che il Giuliano elevato a
paladino di cotesti interessi fu strumento di coloro che li sostenevano. Ed accennando ad Ignazio Miceli,
capo della mafia di Monreale che pare fosse una delle famiglie più importanti della Sicilia al nipote
Antonino Miceli e ad altri mafiosi (Domenico Albano, capo della mafia di Borgetto), si è rilevato comecostoro avessero tenuto in pugno le sorti della banda e del suo capo e ne fossero stati i protettori fino a
quando non era parso loro di scorgere una via di salvezza nel secondare il compito delle forze di
repressione del banditismo. Si può, adunque, sicuramente affermare anche se, in ossequio allomertà,
Terranova Antonino Cacaova ha detto dignorare tutto sulla mafia (W/1, 712) che tra la mafia e il
Giuliano vi fu un legame costante determinato da una convergenza dinteressi di cui il capo bandito fu
portatore.
Su questa linea, arrivata incontaminata fino ad oggi, si spiegano le ragioni degli atteggiamenti della
magistratura rispetto ai tragici fatti di cui ci siamo occupati e rispetto ai quali, agli stessi giudici risultava
evidente la matrice terroristica:
una distinzione era pure da farsi tra delitto comune, delitto politico e delitto terroristico e, se mai, le azionicriminose volute ed attuate dal Giuliano e dalla sua banda, sia a Portella della Ginestra, sia contro le
menzionate sedi dei partiti di sinistra, dovevano ricondursi nellambito del delitto terroristico del quale
avevano tutti i caratteri, dalla preordinazione dei mezzi di esecuzione alla potenzialità diffusiva degli stessi,
dalla vasta estensione degli effetti immediati alla volontà degli agenti di terrorizzare le popolazioni. []la
disamina degli antecedenti del fatto conduce a ritenere che il Giuliano non era solo in quella lotta perché
vera attorno a lui lo si è visto un mondo legato, interessato alla conservazione del tradizionale regime
della terra, e perché il delitto segnò il passaggio ad un programma di violenza terroristica per arginare il
movimento sindacale nelle campagne dopo il fallimento della propaganda e della intimidazione culminata
nei risultati delle elezioni regionali.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 38/41
Anche secondo il ten. col. Paolantonio mafia e banditismo erano collegati (V/6, 723); e se, del tutto
coerentemente alla sua inclinazione ed alla sua mentalità, il Giuliano concepì il disegno di debellare i
comunisti locali col terrore e di ristabilire in tal modo la sua autorità in quelle zone dove pareva
compromessa, nonché di suscitare con la violenza una crociata antibolscevica in Sicilia, è certo che, come
nei moti dellEVIS, così in questa lotta, egli si elevò a tutore degli interessi di coloro che lo sostenevano,
interessi nei quali era necessariamente accomunato, pur mirando alla realizzazione di fini particolari tra cui
la liberazione sua e di quelli della sua banda.
Ciò traspare dallappello alla difesa del nobile sentimento che ci lega alla nostra cara terra vale a dire
alla difesa della tradizionale organizzazione economico-sociale della terra che i comunisti cercavano di
smantellare appello contenuto nei manifestini a stampa diffusi in occasione degli attentati alle sedi
comuniste (v. n. 24); più chiaramente risulta dal breve discorso tenuto a Cippi prima di muovere verso
Portella della Ginestra col quale il Giuliano spiegò che occorreva combattere e distruggere i comunisti
perché cominciavano a costituire un pericolo non solo per lui e per la banda, che non vedevano la possi-
bilità di una riabilitazione, ma per i proprietari che venivano privati delle loro terre (v. n. 26); trova riscontro
nel pensiero manifestato ai quattro cacciatori dal bandito che li custodiva ed espresso con la frase: i
comunisti vogliono togliere la terra e la mafia, ora gliela diamo noi sulle corna la terra (v. n. 20) [] è
chiaro che la spinta fondamentale al delitto va pur sempre ricercata nellinteresse a fermare la
penetrazione comunista nelle campagne per conservare le vecchie strutture agrarie, interesse che eraproprio anche di altri.
Ebbero il torto storico di non agire di conseguenza, o forse fu tale scelta la motivazione che ne spiega la
ragione storica. I banditi pagarono le spese per tutti.
(GIUSEPPE CASARRUBEA)
Cfr., infra, pp. 185-187.
Cfr. Claudia Fusani, Moro, un Br fu fatto evadere, in La Repubblica, 17 dicembre 2000, p. 23 e Giovanni
Pellegrino, Segreto di Stato (intervista a), Torino, Einaudi, 2000.
Cfr. Sentenza, p. 29.
Cfr. infra, pp. 35-37.
Cfr. Provincia regionale di Palermo- Comune di Piana degli Albanesi- Biblioteca G. Schirò, Portella della
Ginestra 50 anni dopo (1947-1997), documenti raccolti, scelti, introdotti e annotati da Giuseppe
Casarrubea, Caltanissetta- Roma, Sciascia, 1999, pp. 29-57 e passim.
Documento acquisito agli atti del processo di Viterbo tramite la Legione dei carabinieri di Palermo, sta in
Archivio generale della Corte di Appello di Roma (Agca), processo 13/50, cartella,1 vol. D, riportato in G.
Casarrubea, Fra Diavolo e il governo nero. Doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra, Milano, Franco
Angeli, 1998, appendice di documenti.
Doc. in Agca, cit, allegato a Legione territoriale dei Carabinieri di Carini, Rapporto circa lattentato alla
sede del Partito Comunista di Carini avvenuto la sera del 22 giugno ad opera di elementi ritenuti
appartenenti alla banda Giuliano, rimasti sconosciuti, n. 181, 25 giugno 1947. Uguale appello fu
rinvenuto dopo la strage di Partinico. Si notino due espressioni di Giuliano, che fece proprio il testo,
anche se da lui non scritto: 1) ho assunto questo impegno; 2) dora innanzi inizierò una lotta senza
quartiere .
Cfr. Pietro Ingrao, Le forze del disordine, LUnità, 24 giugno 1947, prima pagina.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 39/41
Cfr. Girolamo Li Causi, La situazione in Sicilia, in LUnità, 28 giugno 1947, prima pagina.
Troia Giuseppe era figlio di Benedetto e Rosalia Costanzo; era nato il 19/1/1884 a San Giuseppe Jato,
dove era residente in Via Nuova, 52. Era imparentato con Pietro Benedetto Gricoli, figlio di Giacomo e
della fu Carmela Costanzo (San Giuseppe Jato, 14/8/1916).
Cfr. Procura della Repubblica di Palermo (PRP), Verbale di sommarie informazioni, 5 maggio 1947, in
AGCA cit., cartella 1, vol. D, ff.53 e sgg.
Cfr. Tribunale di Palermo, Ufficio Istruzione (TPUI), Verbale di esame testimoniale senza giuramento,11giugno 1947, ivi, cartella 1, vol. D, ff. 336 3 segg.
Cfr. ibidem, TPUI, Esame di testimonio senza giuramento, ff.247-248.
Cfr. Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere. Associazioni politiche e strutture paramilitari segrete
dal 1946 ad oggi, Roma, Editori Riuniti, 1996, pp. 16-18.
Cfr. ibidem, p. 25
Cfr. Associazioni di familiari vittime di stragi, Il terrorismo e le sue maschere. Luso politico delle stragi,
Bologna, Pendragon, 1966, p. 19 e Roberto Faenza , Marco Fini, Gli americani in Italia, Milano, 1976, p.
138 (documento del Dipartimento di Stato Usa 86500/7-742, ivi cit.).
Cfr. G. De Lutiis, Il lato oscuro del potere, cit., p. 27
Cfr. Nico Perrone, De Gasperi e lAmerica, cit., p. 74.
Cfr. ibidem, pp.79-80.
Cfr. ibidem, p. 89.
Cfr. Giuseppe Calandra, Memoriale dattiloscritto, fasc. II, p. 121.
Cfr. AGCA, cit., Corte di Assise di Viterbo (Cav), Dichiarazione di Antonino Terranova, dibattimento del 1°
maggio 1951; cartella 8, f.5 e 11.
Cfr. ibidem, p. 16.Cfr. Gli uomini della P2 in Sicilia: chi e dove, in I Siciliani, marzo-aprile 1985, nn. 26-27.
Cfr. CPIM, Atti interni, cit., Testo delle dichiarazioni dellonorevole Giovanni Francesco Alliata rese al
comitato dindagine nella seduta del 16 aprile 1970, allegato 14, p.512.Nel dicembre del 51 il Barbera
capeggiava a Palermo il Partito nazionale monarchico, mentre, Leone Marchesano, Alliata e Cusumano
Geloso avevano fondato il Fronte nazionale monarchico. Cfr. anche il memoriale Ramirez in appendice.
Cfr., AGCA , Cav. cit., Dichiarazione di Antonino Terranova, cit., p. 21.
Cfr AGCA, II corte di appello di Roma, Sentenza 10 agosto 1956, vol. II, pp.282-283, 333, 339.
Cfr. AGCA, Cav, cit., p.123.
Si trova in AGCA, cartella 6 vol.Z, n.5. E trascritta con tutti gli errori secondo loriginale. Si può fare
risalire al nov-dic. 1949.Cfr. Archivio Arcidiocesi di Monreale, lettera del patriarca di Venezia a mons. Filippi, 25 ottobre 1949.
Cfr. ibidem, lettera dellabate Timoteo Campi del monastero di S. Giustino di Padova a mons. Filippi, 27
ottobre 1949.
Cfr. ibidem, telegramma del segretario particolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri
allarcivescovo di Monreale, 31 ottobre 1949.
Cfr. Commissione Parlamentare dInchiesta sul fenomeno della Mafia in Sicilia, Atti relativi alla strage
di Portella della Ginestra (CPIM-PG), parte prima, doc. 607, Documenti consegnati dal senatore
Girolamo Li Causi, in data 5 maggio 1970, riguardanti lattività della banda Giuliano , p. 355 e sgg.
Cfr. CPIM-PG, Lettera di Pisciotta a Maria Locullo, Viterbo, 2 marzo 1952, parte terza, pag. 921.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 40/41
Cfr. G. Lo Bianco, Il carabiniere e il bandito, Milano, Mursia, 1999, pp. 236-237.
Cfr. Commissione Stragi , Breve storia dei servizi segreti italiani, in www.misteriditalia.com
/servizisegreti/
Cfr. CPIM-PG, parte prima, p. 87.
Cfr. Sentenza, infra, p. 43.
Lo stralcio della sentenza della corte di assise di Viterbo, ci fa cogliere il grave rilievo dei giudici circa
lomessa denuncia allautorità giudiziaria di Salvatore Ferreri e dei fratelli Pianello che avevano
partecipato alla strage di Portella della Ginestra e con molta probabilità anche a quella di Partinico. Vi si
fa riferimento anche allomessa comunicazione allautorità giudiziaria, da parte dei carabinieri
inquirenti, del fermo dei primi arrestati. Fatto ancora più grave se si pensa che non fu richiesta la
prescritta autorizzazione. Il documento è ancora importante perché vi si afferma con certezza la
presenza di Fra Diavolo tra i gruppi di fuoco. In CPIM, Atti interni, allegato 4, p.147-149.
Cfr. infra, pp. 298-299.
Cfr., infra, p. 362.Cfr. AGCA, CAV, Rapporto giudiziario circa le ulteriori indagini in merito alla strage di contrada Portella
Ginestra ed alle aggressioni, seguite pure da strage, alle sedi dei partiti socialcomunisti in Provincia di
Palermo,4 settembre 1947, n.37, allegato 29, processo 13/50, cart. n. 3, vol. L; ora in CPIM-PG, doc.
XXIII, n. 6, Pubblicazione degli Atti riferibili alla strage di Portella della Ginestra, parte quarta, doc. 649,
pp. 441 e sgg.
Cfr. infra, p. 105.
Cfr. infra, pp. 311-312.
Cfr. ibidem, p.322.
Cfr. verbale di continuazione di dibattimento,20 luglio 1951, cartella 4, vol. V, n.5 ora in Provincia
regionale di Palermo Comune di Piana degli Albanesi- Biblioteca G.Schirò, Portella della Ginestra 50
anni dopo (1947-1997), Caltanissetta- Roma, 1999, vol. II, p. 172.
Cfr., infra, pp. 117-119.
Cfr., infra, p. 228-229.
Cfr. infra, p. 246.
Cfr. infra, pp. 249-250.
Cfr. infra, pp.143 e sgg.
Cfr. infra, p.148-149.
Cfr, infra, pp. 162-163
Cfr. infra, pp. 167-168.
Cfr. infra, p. 203.
8/8/2019 Lettura della Sentenza della Corte di Appello di Roma (1956)
http://slidepdf.com/reader/full/lettura-della-sentenza-della-corte-di-appello-di-roma-1956 41/41
Cfr. infra, p. 205
Cfr. infra, p. 176, e pp. 345-347.