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L’estetica fenomenologica di Mikel Dufrenne: una proposta per l’attualità Sara Stella Dello Buono Sommario Nel 2001 la mostra Form follows Fiction ha sottoposto all’at- tenzione dei fruitori opere che si servono di immagini stereotipi- che o familiari e che risultano, pertanto, apparentemente ‘facili’, accessibili, piane. Vi è però una difficoltà per la fruizione este- tica: il riconoscimento del valore artistico delle suddette opere non è certo. Se un’opera d’arte somiglia troppo agli oggetti del- la nostra quotidianità possiamo ancora definirla tale? Come ci disponiamo nei suoi confronti? Nel cercare di rispondere a que- sti interrogativi vengono in aiuto le riflessioni di Mikel Dufrenne sul comportamento dell’oggetto estetico, sulla definizione di que- st’ultimo come quasi-soggetto, sulla dimensione temporale in cui l’esperienza estetica accade. Copyright c 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali.

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L’estetica fenomenologica di Mikel Dufrenne:una proposta per l’attualità

Sara Stella Dello Buono

Sommario

Nel 2001 la mostra Form follows Fiction ha sottoposto all’at-tenzione dei fruitori opere che si servono di immagini stereotipi-che o familiari e che risultano, pertanto, apparentemente ‘facili’,accessibili, piane. Vi è però una difficoltà per la fruizione este-tica: il riconoscimento del valore artistico delle suddette operenon è certo. Se un’opera d’arte somiglia troppo agli oggetti del-la nostra quotidianità possiamo ancora definirla tale? Come cidisponiamo nei suoi confronti? Nel cercare di rispondere a que-sti interrogativi vengono in aiuto le riflessioni di Mikel Dufrennesul comportamento dell’oggetto estetico, sulla definizione di que-st’ultimo come quasi-soggetto, sulla dimensione temporale in cuil’esperienza estetica accade.

Copyright c© 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattatiinternazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Lepagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca,scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca perscopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma nonlimitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori)in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte diITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportataanche in utilizzi parziali.

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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura

È possibile riconoscere nelle arti figurative, almeno a partire dal-le avanguardie storiche, un’evoluzione nel segno della deformazionedell’oggetto artistico e dell’irriconoscibilità della forma rappresenta-

ta. Spesso il frequentatore di musei incontra oggetti che non sembrano volermanifestare alcun messaggio, né farsi portavoce di valori, e di certo non sem-brano avere attinenza con la categoria del bello. La problematica posta davarie esperienze dell’arte contemporanea è dunque la seguente: quali sono icriteri che consentono di identificare come opera d’arte un oggetto che nonsi può riconoscere, che sfugge alla nostra comprensione e che sembra esserescarsamente disposto alla comunicazione con i fruitori?

L’eterogeneità delle forme dell’arte, soprattutto nella seconda metà delVentesimo, ha educato i fruitori a una certa tolleranza e ampiezza di vedu-te, per cui, ad esempio, le performance dei body-artist sono state accolte dauna parte di pubblico come ‘artistiche’. Il ‘disgustoso’ è riuscito a imporsinell’estetica contemporanea. Il che significa che siamo disponibili a svinco-lare il giudizio estetico dal monismo della categoria del bello e ad affrancarcidai canoni rappresentativi, tanto nella creazione quanto nella fruizione diopere. Compiamo queste scelte tenendo fermo un punto: l’opera d’arte è unoggetto estetico, cioè possiede una capacità espressiva che affetta la nostrasensibilità. In questo senso l’orrore è accettabile nel novero dell’esteticità.Ma che fare ‘dell’ottuso’?

Ottusi sono gli oggetti che non sono acuti, non risaltano per la forza concui ci vengono incontro e, anche se sollecitati dal fruitore, non hanno riso-nanza, interagiscono poco. Ad esempio sono ottuse le opere che somiglianotroppo a oggetti ordinari per essere considerate opere d’arte. Ciò riguardanon solo i ready-made propriamente detti, ma anche tutte le opere che pre-levano elementi dalla realtà quotidiana e li modificano, oppure che tendonoa simulare la realtà. Proprio in questa direzione si sono mossi gli artistidella mostra Form follows Fiction. Forma e finzione nell’arte di oggi chesi è tenuta presso la Sala della Manica Lunga del Castello di Rivoli dal 17ottobre 2001 al 27 gennaio 2002. Furono esposte le opere di ventuno artisti:tutti nati nella decade degli anni Sessanta, originari di paesi diversi ma legatialla città di New York per formazione artistica e culturale. L’esposizione diRivoli tematizza la commistione di finzione e realtà che ricorre nella nostraesperienza quotidiana: pubblicità e promozione di prodotti, informazionee notizie, alterazione controllata di funzioni corporee, interventi sul corpo,seconde vite virtuali che scorrono parallele a quelle reali.

La mostra è stata concepita allo scopo di mostrare come il processo im-maginativo, nell’artista, si sovrapponga all’operazione di lettura della realtàe divenga istanza creatrice e regolatrice nella produzione dell’opera. At-traversando l’esposizione, si ha l’impressione di essere capitati dentro unostrano sogno: si passano in rassegna opere enormi che introducono lo spet-tatore in spaccati di vita quotidiana con particolari inquietanti, oppure inmondi fantastici e paesaggi inusuali.

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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura

Le opere esposte per Form follows Fiction sono creazioni di universi,microcosmi, individuali e autosufficienti. A tal proposito sono state definitedal curatore Jeffrey Deitch «mondi estetici»1, tutti eterogenei perché natidalle esperienze personali occorse ai singoli artisti. Conseguentemente questiartisti non hanno costituito un movimento, non hanno una vera e propriapoetica comune, inoltre contenuto e stile delle varie opere sono tra loro irri-ducibili. D’altro canto, però, le opere trovano non solo ispirazione ma ancheil sostegno necessario per avvicinarsi al fruitore nella realtà riproposta daimedia, patrimonio comune e condiviso. Questo secondo aspetto garantiscealle opere un certo grado di intersoggettività: esse richiamano all’attenzionedello spettatore immagini e fatti di cronaca che potrebbero risultargli no-ti, sia perché effettivamente vissuti sia perché simili ad altri elementi dellanostra attualità. Però non siamo in presenza di una rassegna stampa o diun testo di sociologia. È un’esposizione di opere d’arte. Esse sono costruitesimilmente a oggetti e immagini reali con l’aggiunta di elementi perturbanti,che rendono ‘strano’ quel che si presenta davanti agli occhi del fruitore.

Ad esempio Kurt Kauper propone una serie di ritratti di dive in abitoelegante2, con espressione di sufficienza, arcigne e molto borghesi, alcune traqueste, però, sono uomini. Oppure vi sono le fotografie di Gregory Crewdsondi un ipotetico vicinato che trasmette inquietudine, come se qualcosa stesseper accadere3.

Le situazioni presentate dalle opere sono surreali e ironiche, come il ta-volo da ping pong-pozza d’acqua fiorito di Gabriel Orozco4. L’elementofinzionale può essere più o meno importante e interagisce con la citazionerealistica. A volte è ridotto ai minimi termini e solo la cornice, lo spazioritagliato nel museo e occupato fisicamente dall’opera d’arte, la fa percepirecome tale. Per un certo verso queste opere sono dei ready-made: i mediadiffondono la conoscenza di un evento, che viene recepito e trattato dall’arte.

È l’enfasi con cui si esibisce un fatto conosciuto che ne trasfigura il signifi-cato, intensificandone e modificandone la percezione; essa è l’elemento capa-ce di trasformare un oggetto qualunque in estetico, di suscitare un’emozionenel fruitore. In certi casi l’opera è un dipinto a olio con lo stile grafico di undisegno animato, o è realizzata al computer ma si conferma comunque netta-mente evocativa di un frammento di realtà. Altre volte la finzione consistenella mera accentuazione di certi particolari che rendono ‘perturbante’ larappresentazione della realtà. Ad esempio, l’opera di Kara Walker proponeuna rivisitazione inquietante di un racconto tradizionale che coinvolge il te-ma della segregazione delle razze. L’opera è stata realizzata con silhouettes

1J. Deitch (a cura di), Form Follows Fiction, Charta, Milano 2001, p. 98 (numerazionenostra).

2Vd. Figura 1, p. 23.3Vd. Figura 2, p. 24, Figura 3, p. 25 e Figura 4, p. 26.4Vd. Figura 5, p. 27.

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nere attaccate sulle pareti bianche, quindi attraverso una tecnica delicata ediscreta che veicola immagini molto violente5.

Il curatore ritiene infatti che le opere esposte ricavino spunto o addirit-tura siano suggestionate da aspetti e modi della nostra vita quotidiana:

Le notizie si sono gradualmente trasformate in intrattenimento e lagiurisprudenza è stata sopraffatta dalle pubbliche relazioni causan-do lo sgretolamento della razionalità tradizionale. [. . . ] Da quandol’economia industriale si è trasformata in economia dei servizi, eco-nomia dell’esperienza e persino economia dell’estetica, la creazione diun mondo immaginario che il consumatore può acquistare è diven-tata tanto importante quanto la creazione di prodotti veri e propri.[. . . ] Il mondo della politica, del business e dell’intrattenimento so-no oggi caratterizzati da un’abilità sempre più sofisticata e esaustivanell’influenzare la percezione della realtà. [. . . ] Tuttavia non è la neweconomy a influenzare maggiormente la nostra vita ma il modo in cuiinternet permette alla gente comune di inventarsi una serie di nuoveidentità e immergersi in una rete totalmente immaginaria.6

Da un lato vi è l’economia, velocissima e ‘leggera’ per quanto concernemezzi e merci di scambio; dall’altro la tecnologia e le possibilità che essa offredi integrare il nostro vissuto esperienziale con situazioni virtuali. Il binomiodi questi due elementi segna la cifra della nostra epoca, la qualità dellanostra vita quotidiana. Manipolazione di fatti e notizie; messe in scena piùo meno verisimili; avatar e seconde vite ci abituano alla commistione di realee immaginario. Ed essa è tanto potente da investire non più solo gli oggettidelle nostre esperienze, ma anche il soggetto dell’attività percettiva. Gliartisti mettono a punto ‘modelli di realtà’ e «non conducono gli spettatori inun mondo immaginario, ma li trasportano in uno spazio fluido»7 di scambiotra realtà e opera d’arte, tra ironia e seria volontà comunicativa.

Di fronte alle opere di Form follows Fiction, che anche quando sono figu-rative non mostrano oggetti e caratteri che riconosceremmo come ‘artistici’,il fruitore deve cogliere l’ironia che è alla base della loro creazione. Diver-samente egli mancherebbe di cogliere l’espressività – e quindi l’artisticità –degli oggetti esposti.

Riconoscere la capacità espressiva dell’oggetto e stabilire che c’è soloun certo numero di passi che il fruitore (nella fattispecie l’immaginazionedel fruitore) può compiere verso l’opera per raggiungerla senza soverchiarla,sono i due elementi che ci consentono di fruire di queste opere. Il fruitorenon deve farsi ingannare dalla difficoltà o dalla scarsa comunicatività diun’opera: non deve cedere alla tentazione di trascendere l’opera, di superarlao sezionarla. L’opera contiene tutto quel che vuole comunicare.

5Vd. Figura 6, p. 28.6Ibid.7Ibid.

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La differenza fondamentale tra un’opera concepita nel Settecento e del-l’Ottocento e un’opera o un evento artistico della nostra contemporaneità di-pende dal fatto che questi ultimi si affidano principalmente all’impatto emo-tivo che hanno sul fruitore. L’artisticità non riposa non più nella struttura,nella corrispondenza a certi canoni della forma artistica, nel riconoscimentodi uno stereotipo rappresentativo, nell’avere una cornice, nella collocazionein un museo, ecc.) e dalla tempistica di questo forte impatto. Il momentoin cui si riconosce il potere espressivo dell’oggetto, l’istante in cui si com-prende di non avere innanzi a sé un oggetto comune bensì un’opera d’arte,è il momento in cui il fruitore intenziona l’oggetto come opera d’arte ed èbrevissimo. Il tempo ha un ruolo essenziale e a questo proposito RosalindKrauss afferma, parafrasando Clement Greenberg, «lo sguardo che l’artesollecita, [. . . ] è il mezzo della transazione tra osservatore e opera? Il tempodi quello sguardo è importante, perché deve essere tempo annichilito»8, ladurata di quel momento collassa. Ho innanzi a me un’opera: lo so subitoo non lo saprò mai, «per comprendere le opere d’arte – per coglierle comeinteri – vi è la funzione di una rivelazione la cui propria essenza è che la suaimmediatezza sospende la dimensione temporale»9.

La storia dell’arte del Novecento, ha esibito innumerevoli esempi di ope-re d’arte ‘difficili’ perché irriconoscibili, prive di un oggetto chiaramenteidentificabile e molto obbligate, nei contenuti, dalla sensibilità individualedegli artisti. Non si sottomettono alla potestà dell’oggettività (che un’artemimetica garantirebbe), al più si può ipotizzare che stiano sotto la pote-stà dell’artista, la quale è per noi inafferrabile. A questo genere di arteappartengono manifestamente le opere della mostra Form follows Fiction,che sono un effetto riversato in oggetti artistici dell’immaginario dei lorocreatori. Il giudizio generale che ispira il presente lavoro è che non sia ne-cessario, ma neppure sufficiente, avere un oggetto definito (una deposizione,una Madonna con Bambino, una natura morta, un paesaggio) come sogget-to di una rappresentazione per poterla definire ‘artistica’. Possiamo avereoggetti estetici che riteniamo espressivi pur non potendoli classificare attra-verso le categorie o i nomi che abbiamo desunto e imparato a utilizzare nellanostra esperienza a contatto con le opere d’arte più tradizionali. Se possia-mo cogliere l’espressione di cui questi oggetti sono portatori, allora si trattadi opere d’arte autentiche. Al contrario sarà finta e sofisticata l’arte chesensibilmente riproduce una forma che non le è propria, una forma dietro laquale non vi è alcuna possibilità di suscitare il sentimento del fruitore.

Per certi versi il vuoto sulla tela, l’irruenza del colore puro, tutti gli8«The look that art solicits, [. . . ] is the medium of the transaction between viewer

and work? The time of that look is important, because it must be time annhilated» (R.Krauss, The Optical Unconscious, MIT Press, Boston 1994, p. 98).

9«To understand the works of art – to grasp them as wholes – is the function of arevelation whose very essence is that its all-at-onceness simply suspends the temporaldimension» (ibid.).

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elementi che determinano la scarsezza oggettuale delle opere, che privanoqueste ultime di un contenuto ‘dicibile’, narrabile in parole, possono essereconsiderati non solo elementi d’innovazione stilistica, ma anche opportuni-tà10 per spingere i fruitori ad abbandonare false credenze e fraintendimentisull’arte. La falsa credenza è quella che pone l’arte sullo stesso piano dei di-scorsi, che si aspetta che l’opera d’arte comunichi una verità, come farebberouno studio scientifico e una ricerca storiografica. La crisi della figurazione,caratteristica dell’arte contemporanea, è primariamente la crisi del nostromodo usuale di fruire delle opere d’arte, cioè la contemplazione. E la cri-si della contemplazione, della visione, ci obbliga a rimettere in discussioneil nesso vedere-sapere che è radicato nella nostra cultura occidentale, bastipensare che in greco antico l’aoristo del verbo år�w – che significa ‘vedere’– è Êdein, che si può tradurre come ‘sapere’ in base al fatto che ‘ho visto equindi so’, avallando l’ipotesi che «il destino della visione è l’idea»11.

Duchamp è una personalità emblematica dell’arte contemporanea per-ché nella sua produzione manifestamente si spezza il nesso visione-idea; lacontemplazione cessa d’esser la risposta adeguata del fruitore; l’artista sipreoccupa di gestire (o anche solo tenere in considerazione) il corpo del frui-tore. Questi sono gli elementi in base ai quali si può affermare che il lavorodell’artista contemporaneo, del Novecento, è radicalmente diverso e nuovo.

L’opera difforme, dissonante, per essere riconosciuta ‘opera d’arte’ puòsolo affidarsi all’intuizione del fruitore il quale, non appena entra a contattocon essa, assume una certa condotta (si lascia affabulare dall’opera, oppurene resta disgustato o irritato e decreta che di opera d’arte non può trattarsi,passa disinteressatamente oltre, ecc.). Orbene, rispetto a questa immedia-tezza, il corpo e lo sguardo del fruitore che funzione hanno? Dopo il primosguardo, «il fruitore scopre di avere un corpo che supporta lo sguardo, uncorpo con piedi che fanno male o una schiena dolorante, e che il quadro,anch’esso incorporato, è poveramente illuminato affinché la sua cornice gettiun’ombra distratta sulla sua superficie ora percepita come vetro con troppavernice»12. Non appena il fruitore smette d’essere assorbito e irretito dalquadro, il suo sguardo diviene d’altro tipo: non più porta spalancata sulcuore del fruitore, non più via d’accesso che consente all’opera di andarea sollecitare risposte immediate da parte del corpo del fruitore e delle suefunzioni fisiologiche, al contrario si tratta di un tipo di sguardo che ci faperdere di vista l’insieme dell’opera, che allarga il campo visivo oltre l’operaed essa diviene muta.

10Cfr. H. Rosenberg, La s-definizione dell’arte, tr. it. di M. Vitta, Feltrinelli, Milano1975.

11«The destiny of vision is idea» (R. Krauss, op. cit., p. 111).12«The viewer discovers to have a body that supports this gaze, a body with feet that

hurt or a back that aches, and that picture, also embodied, is poorly lit so that its framecasts a distracting shadow over its surface now perceived as glassy with too much varnish»(ibid., p. 98).

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L’opera ‘cosalizzata’ «reificata, semplicemente ritorna lo sguardo, mera-mente guardandoti ‘vuotamente’ in risposta»13. Il fraintendimento dell’opera,la sua riduzione a ‘cosa’ è una condotta che il fruitore può assumere e cheRosalind Krauss definisce «collasso nella fisicità ottusa»14. Ciò non significaaffatto che l’arte d’ora in poi debba essere esclusivamente concettuale e lasua fruizione solo cerebrale. Infatti, il motivo per cui Krauss si occupa diDuchamp e lo reputa così centrale nell’arte recente è che nella sua produ-zione si scorge un dissidio fondamentale dell’arte contemporanea: Duchampè il giocatore di scacchi, è colui che dichiara di aver sempre sognato di di-ventare un matematico e colui che «arricciò il naso all’arte astratta perchési appellava meramente alla retina e non alla ‘materia grigia’»15. Ma Du-champ è anche l’autore di Fountain, Objet d’art e Prière de toucher, di unaproduzione parallela e radicalmente contrapposta al Grande Vetro (l’operapiù ascetica, lo si è detto). Come si conciliano questi due aspetti?

Si conciliano nell’opera Étant Donnés16, in cui Duchamp ci fa capire co-sa sia la ‘realtà disincarnata’ che è andato cercando tutta la vita: una cosamentale, che non possiamo raggiungere attraverso la percezione ordinaria,ma neppure con la sola comprensione logica. Come affermato nel manualedi istruzioni dell’opera scritto dallo stesso Duchamp, per essere giusti neiconfronti di Étant Donnés dobbiamo essere «Non osservatori. Voyeur»17.C’è un modo, nel fruire di queste opere, di essere allo stesso tempo sen-sorialmente e spiritualmente presenti e ciò non significa affatto mettere incampo la percezione ordinaria (cioè la fisicità ottusa) né la comprensioneintellettuale. Ovviamente vi è coessenzialità tra la sensibilità seconda (quel-la che consente il coinvolgimento emotivo dell’opera d’arte) e l’intelligenzaseconda (che consente il riconoscimento di quest’ultima come opera d’arte).Esse sono ‘seconde’, eterogenee, rispetto alla percezione e alla riflessione cheimpiegheremmo nella vita ordinaria.

L’arte contemporanea non si mostra apertamente, non si svela e, con-seguentemente, ci propone una forma di sapere diversa da quella che ci èusuale, cioè logico-discorsiva. Di quest’arte possiamo fruire solo attraversouna sensitività intensiva, concentrata, che non lasci spazio alle interpolazionidel pensiero razionale. Se un osservatore di fronte a un quadro del periodoastratto di Kandinsky comincia a domandarsi quali oggetti vi siano nascosti,quali intenzioni abbiano portato il pittore a sistemare una certa macchia dicolore in un certo punto del quadro, è finita: non ha nessuna possibilità diuscire indenne come fruitore da questa esperienza. Quali sono, dunque glielementi di cui si dota la fruizione intensiva?

13«Reified, simply returns the look, merely gazing ‘blankly’ back at you» (ibid.).14«Collapse into the dumbly physical» (ibid.).15«Wrinkled his nose at abstract art because it appealed merely to the retina and not

to the ‘gray matter’» (ibid., p. 108).16Vd. Figura 7, p. 29.17«Not viewer. Voyeur» (ibid., p. 111).

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Il quadro si ‘bruca’ diceva Klee e Merleau-Ponty affermava che la visionedi un quadro da parte del fruitore, al pari di quella che ispira artisticamenteil pittore, è ‘divorante’18. La fruizione estetica è qualcosa che supera ilsemplice vedere (quel vedere che, si è detto, è innescato dalla percezioneordinaria, parcellizzata, e rimanda subito al pensiero logico-discorsivo) ecoinvolge la sensorietà di tutto il corpo che «si raccoglie nell’occhio in quantol’occhio dev’essere il delegato del corpo»19.

Ma cosa, nel quadro, ci scuote? Se l’oggetto non è chiaramente rap-presentato, se la pittura non è mimetica, il fruitore non avrà nulla da ri-conoscere nel quadro. Ciò che l’opera fa vedere piuttosto lo si scopre: anchese vi è un oggetto con lo stesso nome nella realtà, quello che ci si paven-ta innanzi in un’esposizione artistica è sempre inedito. Può darsi che nonvi prestiamo attenzione, ma di fronte a un’opera siamo subito predispostia una fruizione estetica, quindi a una percezione e una riflessione differen-ti da quelle normalmente in atto nella vita quotidiana. La straordinarietàdell’oggetto estetico è tale per cui dal principio del nostro incontro con essosiamo attenti, pronti ad adoperarci per andargli incontro. Così, come sidiceva nelle parti precedenti, non ci peritiamo di un’analisi delle parti, nonvediamo tela, legno della cornice, linee spezzate, ecc., bensì immediatamentevediamo il quadro. In questa breve fase iniziale della fruizione lo spettato-re solitamente non sbaglia, è sempre volenteroso quando intuisce di avereinnanzi a sé un opera d’arte.

I rischi di fraintendimento, di una fruizione aberrante, subentrano dopoche l’incontro con l’oggetto e dopo la prima percezione che abbiamo di esso.Se l’enigma della visione ci colpisce e ci lascia sgomenti, mettiamo in campole nostre risorse, ovvero l’intelletto. Ci adoperiamo in un’analisi razionaledelle parti dell’opera e proviamo a immaginare, a istituire collegamenti tral’opera e il mondo.

Ma l’opera è un mondo, non deve essere superata, o gettata tra al-tri oggetti, per essere compresa. Non sono né la percezione analitica nél’immaginazione associativa a doverci guidare. Dobbiamo, se vogliamo ac-cedere alla fruizione autentica dell’opera, abbandonare l’ethos quotidiano:cioè la finalizzazione pratica che attribuiamo a qualunque oggetto il quale,per esser ritenuto a noi noto, deve avere un nome, un’origine, una schedatecnica, un valore d’uso. L’opera d’arte è originale rispetto al mondo, quan-do si fa spazio e si presenta mette tra parentesi il mondo e gli oggetti chelo costituiscono e ci presenta affettivamente il sensibile, il quale non coin-cide con il mondo. L’opera d’arte «è l’hic et nunc intorno a cui si formaun mondo possibile. Dopo di che possiamo passare al reale; se il nostroocchio è stato abbastanza educato dalla pittura, possiamo lasciarci ispirare

18Cfr. M. Dufrenne, «Dipingere, sempre», in Id., Estetica e filosofia, tr. it. di P. Stagi,Marietti, Genova 1989, p. 138.

19Ibid.

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dalla mineralità propria di questa montagna possibile allorché percepiamoun passaggio di montagna. La pittura ci propone un possibile che ci istrui-sce intorno al reale»20. L’immaginazione aderisce alla natura del possibile eserve a portarci a un livello differente da quello usuale – della vita quotidia-na – di attenzione nei confronti dell’oggetto. Tale attenzione non si riversain una comprensione logico-razionale ma ci porta ad accogliere attraversotutti i nostri organi recettivi la potenza affettiva dell’opera. La potenzadell’opera risveglia in noi il sentimento che ci mette in contatto immediatocon il possibile che l’opera presenta.

L’immediatezza dell’esperienza estetica nella lettura di Dufrenne è lagaranzia del rispetto del criterio di universalità e condivisione dell’opera,ci conferma che queste opere ‘difficili’ sono comunque fruibili. Anzi questeultime ci portano a rivalutare l’arte figurativa poiché la pittura astratta «an-nuncia un possibile, un mondo che non è popolato di oggetti determinati,che resta aperto e tuttavia singolare, l’atmosfera o la tonalità di un mondo.Questa pittura [. . . ] ci insegna, per un effetto retroattivo, a vedere comela pittura figurativa, essa pure, più che rappresentare esprime»21. Se accet-tiamo che non è la riproduzione di oggetti il motivo ispiratore delle opered’arte, le quali – invece – comunicano direttamente con la nostra sensibilità,allora decadono quelle due scissioni, l’una tra soggetto creatore e oggetto,l’altra tra soggetto fruitore e oggetto, che sono alla radice della crisi dell’artedal Romanticismo ai giorni nostri.

Lo sguardo contemplativo e il canone estetico a cui, nel passato, la formaartistica si è adeguata erano elementi, o funzioni, garanti dell’universalità edella possibilità di giudicare l’opera. Questo tipo di concezione dell’esperienzaestetica, kantiana, si coniuga con la struttura del museo per come è stataconcepita fino alla fine dell’Ottocento. Infatti nell’estetica kantiana «il piace-re dell’esperienza estetica, differisce dall’esercizio del desiderio, è incanalatoprecisamente in una riflessione sulla possibilità della comunicazione universa-le»22, il piacere e la fruizione sono disincarnati e per questo trans-individuali.Su questo assunto si basa la concezione museale classica:

questo spazio di accesso cognitivo all’universalità del linguaggio dell’artedescrive, certamente, non solo una teoria del giudizio estetico, ma lasua collocazione istituzionale nei grandi musei che sono parte dello svi-luppo della cultura di Diciannovesimo e Ventesimo secolo. Il museocome sappiamo era infatti costruito attorno a uno spazio condiviso delsenso visivo fondato sulla possibilità di soggetti individuali forman-

20Ibid., p. 142.21Ibid.22«Aesthetic experience’s pleasure, diverted from the exercise of desire, is channelled

precisely into a reflection on the possibility of universal communicability» (R. Krauss, op.cit., p. 114).

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ti una comunità. Proprio questo è il sistema di museo in cui ÉtantDonnés s’insinua solo per interromperlo ‘rendendolo strano’.23

Oggi, invece «il distacco contemplativo può essere uno dei modi concui atteggiarsi di fronte all’opera ma non il solo possibile»24, certe opere– già quelle surrealiste, ad esempio – implicano una fruizione che coinvolgemeno i sensi e si affida maggiormente all’osservazione della forma dell’oggettoe dei percorsi fantasiosi che esso ispira. Ma talaltre opere, ed è il casodi quelle di Form follows Fiction, somigliano molto – troppo – a oggettiordinari. Una fruizione troppo attenta ai contenuti di queste opere sarebbe,paradossalmente, riduttiva: le farebbe apparire interessanti, ma non veree proprie opere d’arte. Possiamo invece accedere completamente al lorouniverso se la nostra immaginazione ci consente di arrestarci al loro livelloe non di cercare il loro referente reale (il fatto di cronaca, ad esempio).Attraverso l’immaginazione percepiamo quella patina, quel non so che, che fasì che The Third Memory sia un’opera d’arte e non il reportage giornalisticosulla rapina25.

L’opera d’arte ci restituisce i fatti in una modalità differente da quellache i mezzi d’informazione utilizzerebbero, fa apparire diversamente aspettigià noti e caratterizzanti la nostra condizione (ad esempio la crudeltà nel ca-so delle opere di Kara Walker, l’intervento distruttivo sulla natura da partedell’uomo in Tim e Sue Noble, il mondo dei manga in Murakami). Si trattadi opere che sottolineano aspetti della nostra attualità, che magari neppureci riguardano da vicino, e ce li fanno percepire esteticamente, sensibilmente.Non stimolano una riflessione sulla nostra società, i suoi mali e le sue con-quiste. Si fermano un passo prima. Si limitano a rendere interessanti per noie per la nostra sensibilità questi aspetti. Rosenthal, nella presentazione del-la mostra Sensation, ha affermato rispetto alle ‘incursioni’ nel mondo realecompiute degli artisti: «gli artisti figurativi hanno l’abilità peculiare – e per-tanto, che a loro piaccia o meno la responsabilità – di attrarre l’attenzionesu quella cosa elusiva che noi chiamiamo realtà, che può, quando fusa confantasia e ossessioni personali, portare avanti qualcosa che può essere rico-nosciuto come arte»26. E per adempiere a questo scopo l’opera d’arte può

23«This space of cognitive access to the universality of the language of art describes, ofcourse, not just a theory of aesthetic judgement, but its institutional setting in the greatmuseums that are part of the development of nineteenth and twentieth century culture.The museum as we know it was indeed constructed around the shared space of a sense ofthe visual grounded in the possibility of individual subjects forming a community. Yet thissystem of the museum that Étant Donnés enters only to disrupt by ‘making it strange’»(ibid.).

24M. Mazzocut-Mis, Voyeurismo tattile. Un’estetica dei valori tattili e visivi, IlMelangolo, Genova 2002, p. 176.

25Vd. Figura 8, p. 30.26«Visual artists have a peculiar ability – and therefore, whether they like it or not, a

responsibility – to draw attention to that elusive thing we call reality, which may, whenfused with fantasy and personal obsession, bring forth something that can be recognised

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anche cercare una comunicazione a due, esclusiva, con ciascun fruitore. Intal modo però, un giudizio universale e pienamente condiviso è possibile solonegativamente: è possibile stabilire con certezza solo se un oggetto non èun’opera d’arte, solo se sistematicamente manca di svolgere il compito chel’opera d’arte da sempre ha, di emozionare e interessare il fruitore.

Per il tema qui in discussione – cioè il discernimento tra opere d’arte eoggetti ordinari, non artistici – risulta calzante la trattazione offerta da MikelDufrenne in Phénoménologie de l’expérience esthétique, opera pubblicata nel1953 e comprensiva di due parti: la prima è volta a definire l’oggetto estetico,la seconda la percezione estetica.

Nell’estetica di Mikel Dufrenne la percezione di un oggetto passa attra-verso e sviluppa su tre piani: presenza, rappresentazione e riflessione. Nellapresenza l’oggetto si fa meramente presente all’attenzione del soggetto; nellarappresentazione il soggetto produce uno schema trascendentale dell’oggetto;nella riflessione il soggetto elabora una lettura compiuta di quel che l’oggettopuò essere per lui e ne fornisce una completa collocazione. Questo processoinveste tutti gli oggetti che il soggetto incontra, ma assume modalità dif-ferenti a seconda del tipo di oggetto. Infatti, mentre un oggetto ordinario(o ‘culturale’, scrive Barilli27) diviene ‘trasparente’, chiaro e definito manoa mano che l’intelletto opera su di esso, l’oggetto estetico si sottrae a unadecodificazione teoretica e conserva una certa opacità agli occhi del soggetto.Gli oggetti estetici sono étranges nel senso duplice di strani, ambigui, e diestranei. La loro opacità si manifesta nella situazione in cui il soggetto versaa seguito della percezione: non sappiamo bene che dire degli oggetti esteti-ci, al contrario vediamo gli oggetti comuni e sappiamo cosa sono – magarianche come sono fatti – e sappiamo, impiegando l’immaginazione, che usopossiamo farne. Come, nel dettaglio, la percezione di un oggetto esteticodifferisce dalla percezione di un oggetto ordinario?

Nella nostra esperienza gli oggetti comuni passano dal piano della presen-za (in cui essi sono di fronte a noi) al piano della rappresentazione mentalee della riflessione, in cui vengono riconosciuti e compresi. Ossia, attraver-so l’immaginazione (definita da Dufrenne ‘trascendentale’) i dati sensibi-li sono schematizzati in una rappresentazione dell’oggetto. Poi subentral’immaginazione ‘empirica’ che consente di cogliere le relazioni che l’oggettointrattiene con i possibili e le conoscenze, cioè con gli altri oggetti e la pras-si (gli usi). L’immaginazione ha dunque fondamentalmente il compito diconsentire il passaggio dal piano della presenza – cioè del vissuto, in cui lecose sono a noi direttamente presenti – a quello della rappresentazione, cheè il piano del pensato. L’immaginazione opera questo passaggio attuandouna rottura dell’opacità che contraddistingue la presenza: su questo piano

as art» (A. Brooks, L. Jardine, M. Maloney, N. Rosenthal, R. Shone, Sensation: YoungBritish Artists from the Saatchi Collection, Thames & Hudson, London 1997, pp. 10-11).

27R. Barilli, Per un’estetica mondana, il Mulino, Bologna 1964, p. 281.

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non sono possibili né chiarezza, né distinzione dato che tutti gli oggetti eil soggetto partecipano della medesima condizione, sono tra loro pari. Ildiscernimento tra soggetto e oggetto (ovvero la posizione di un soggetto e diun oggetto in quanto tali) è reso possibile dalla produzione dell’immagine.Realizzando quest’ultima, l’immaginazione istituisce un legame tra mente ecorpo e si configura come attività trascendentale: infatti la rappresentazio-ne, in questo caso, non può essere considerata immagine interna, mentale, ela produzione di immagini non è da intendersi come un’attività psicologicadel soggetto. La rappresentazione è intesa da Dufrenne kantianamente: èil prodotto dell’attività sintetica di una nostra facoltà ed è solo attraver-so di essa che la materia bruta dell’esperienza intercetta forme eidetiche.L’immaginazione è attiva ogni qualvolta il soggetto è attento al mondo chelo circonda: «non si può scegliere tra presenza e immaginazione, tra corpoe spirito, collocare unilateralmente il soggetto umano nell’una o nell’altrasfera, poiché il suo connotato più proprio è di porsi nel luogo di incrocio traquesti due piani»28. Proprio perché ha una funzione primaria nella relazionetra io e mondo, è necessario che l’immaginazione non sia libera ed errante.

Affinché la rappresentazione si produca è necessario l’intervento dell’in-telletto, che fa sì che la rappresentazione possa «purificarsi dall’immagina-zione»29. L’intelletto, essendo facoltà giudicativa, reprime o corregge certeassociazioni dell’immaginazione. Essa è in effetti una componente non suf-ficiente della percezione dal momento che accanto all’ordine reale, in cui lecose semplicemente sono al mondo, esiste un ordine logico, per cui le cosesono tra loro connesse da una relazione di causa-effetto e, come esemplifica,Dufrenne «non è la stessa cosa provare nell’immaginazione la solidarietà didue oggetti, e pensare secondo l’intelletto un legame necessario»30. Eviden-temente la relazione logica tra gli enti non può trovarsi negli stessi, né puòdipendere da loro. Bisogna allora dedurre che «l’intelletto solamente puòconsacrare l’oggettività di una natura promulgando una necessità che rivelaed esclude la fantasia»31. L’attività dell’intelletto, però, non scalza né ri-duce l’importanza di quella dell’immaginazione, senza la quale non avrebberagion d’essere l’intervento di quest’ultimo32.

28Ibid., p. 279.29«Se purger de l’imagination» (M. Dufrenne, Phénoménologie de l’expérience esthéti-

que, 2 voll., PUF, Paris 1953, vol. II, p. 462, tr. it. nostra, come quelle che seguono tratteda questo testo).

30«Ce n’est pas la même chose d’éprouver dans l’imagination la solidarité de deux objets,et de penser selon l’entendement un lien nécessaire» (ibid., p. 463).

31«L’entendement seul peut consacrer l’objectivité d’une nature en promulguant unenécessité qui décèle et exclut la fantaisie» (ibid.).

32«L’intelletto non può nulla senza l’immaginazione, la ricognizione senza la riprodu-zione. E ciò che è vero sul piano trascendentale, dove la sintesi unificatrice che istituisceil concetto dell’oggetto è possibile solo attraverso la sintesi riproduttiva che sola dà consi-stenza alle rappresentazioni, è vero anche sul piano empirico dove l’enunciato di una leggesuppone il confronto di più termini o di più oggetti. Così se l’intelletto ordina una natura,è innanzitutto necessario, come abbiamo detto, che l’immaginazione promuova un mondo

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Il lavoro dell’immaginazione sul dato della percezione prepara e fornisceun oggetto all’intelletto. Espletando questa funzione non replica l’oggettoin cui ci si è imbattuti ma lo vivifica e arricchisce di quelle conoscenze cheil soggetto ha sempre in sé e che non derivano né dall’esperienza, né dallacomprensione razionale, bensì dal vissuto. Poi la spontaneità delle asso-ciazioni dell’immaginazione si arresta. L’intelletto deve, allora, primaria-mente separare percepito e immaginato, tornare sull’oggetto con l’obiettivodi «disfare l’apparenza per cercarne la legge»33. Così facendo, l’intellettoconferisce al dato «rigore» e «obiettività»34. Il soggetto è in grado di indi-viduare un dato come oggetto nel momento in cui lo pone a distanza da sée gli riconosce necessità, ovvero «imprime al flusso delle apparenze il sigillodella necessità, converte in unità necessaria l’unità contingente delle asso-ciazioni suggerite dall’esperienza vissuta»35, trasforma con il «potere delleregole»36 la natura in intelligibile. Immaginazione e intelletto non stannoin una relazione dialettica, nel senso che il secondo sarebbe il superamentodella prima. In primo luogo non è del tutto vero che dopo l’immaginazioneè attivo l’intelletto perché il processo in questione è piuttosto un circuito:l’immaginazione produce un dato, che viene sottoposto all’intelletto e in-corporato dal soggetto nel repertorio di quelle conoscenze a priori materialiche l’immaginazione utilizza. In secondo luogo, immaginazione e intellettonon hanno preminenza né maggior valore l’uno rispetto all’altro. In terzoluogo Dufrenne, li interpreta kantianamente, come attività di un soggettoche è unità di appercezione, essi sono per lui aspetti differenti di un’unicaattività, di quell’andare del soggetto verso l’oggetto37.

attraverso questo potere che ha di unire, di collegare la cosa significata al segno, a costodi ciò che la riflessione ratifica dopo la significazione, dia forza di legge all’associazioneesplicandola attraverso un legame logico di identità o di causalità» [L’entendement ne peutrien sans l’imagination, la recognition sans la reproduction. Et ce qui est vrai sur le plantranscendental, où la synthèse unificatrice qui institue le concept de l’objet n’est possibleque par la synthèse reproductrice qui seule donne consistance aux représentations, estvrai aussi sur le plan empirique où l’énoncé d’une loi suppose la confrontation de plusieursobjets. Ainsi l’entendement ordonne une nature, il faut d’abord, comme nous avons dit,que l’imagination promeuve un monde, par ce pouvoir qu’elle a d’unir, de joindre la chosesignifiée au signe, quitte à ce que la réflexion ratifie ensuite la signification, donne forcede loi à l’association en l’expliquant par un lien logique d’identité ou de causalité] (ibid.).

33«Défaire l’apparence pour en chercher la loi» (ibid., p. 462).34«Rigueur»; «objectivité» (ibid., p. 464).35«Imprime au flux des apparences le sceau de la nécessité, il convertit en unité nécessaire

l’unité contingente des associations suggérées par l’expérience vécue» (ibid.).36«Pouvoir des règles» (ibid.).37«Tra l’immaginazione e l’intelletto, vi è la stessa relazione ambigua che tra la pre-

senza e l’immaginazione. Inferiore e superiore, natura e spirito, non cessano di unirsi edistinguersi in noi; non cessiamo di essere uno nel momento in cui ci dividiamo per ricon-giungerci, e le dialettiche di rottura che operiamo per essere spirito ci elevano allo spiritosenza rompere la nostra unità» [Entre l’imagination et l’entendement, il y a la mêmerelation ambiguë qu’entre la présence et l’imagination. Inférieur et supérieur, nature etesprit, ne cessent de s’unir et de se distinguer en nous; nous ne cessons d’être un dans le

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Contrariamente al significato distinguibile nell’uso comune dei termini,la ‘riflessione’ non corrisponde all’attività dell’intelletto, non nell’estetica diDufrenne che mutua il significato di questi termini dalla terza Critica kantia-na. L’intelletto non esaurisce la riflessione dal momento che, della riflessione,esso è solo uno strumento. L’intelletto, nell’estetica di Dufrenne, ha preci-samente la medesima funzione del giudizio determinante kantiano: è ciò checonsente alle categorie di applicarsi al percepito. Attraverso l’intelletto socome le cose mi si danno, a quali condizioni, cioè in qualità di oggetti. Inquesto senso, l’attività svolta dal soggetto nei confronti dell’oggetto è co-stitutiva. Ma a questo punto Dufrenne pone il problema della sussunzione:come accade che delle cose, alcune cose, mi si diano nell’esperienza? E comepossono, poi, queste stesse cose adattarsi sia alle formalizzazioni necessa-rie perché io le comprenda, sia alle mie concrete esigenze d’uso? Dufrenneconcorda con Kant che debba esistere un accordo tra la natura e le nostrefacoltà in base al quale la relazione tra soggetto e oggetto è possibile: «la‘Deduzione trascendentale’ stabilisce la possibilità di un dato, e la Criticadel giudizio stabilisce che è necessario postulare che questo dato in qualitàdi dato si accorda con le esigenze a priori che lo rendono possibile»38. Lariflessione, allora, si compone di due movimenti: il primo è quello costi-tutivo, dell’intelletto, per cui un oggetto particolare viene riconosciuto daun soggetto secondo la griglia delle categorie in una certa forma universale.L’intelletto applica un universale a un particolare. Il secondo movimento èeuristico, utilizza l’oggetto determinato come base di partenza e confrontadelle rappresentazioni tra loro e con le nostre facoltà alla ricerca di un uni-versale. In questo caso si tratta del giudizio riflettente, il quale scandagliala varietà della realtà fenomenica per rinvenirvi le leggi che consentono dicomprendere questa infinita varietà come Natura. Il principio che guida ilgiudizio riflettente in questa ricerca è un a priori che il giudizio si dà dasolo: la finalità della natura. Per meglio dire si tratta di una massima, dalmomento che la finalità della natura non attribuisce nulla all’oggetto maè solo una direttiva per l’attività del soggetto. Porre la finalità come ipo-tesi e premessa della ricerca significa congetturare come esistenti l’armoniae l’unità della natura. Anche in questo caso non c’è un superamento delgiudizio determinante a opera del giudizio riflettente, viceversa essi sonocomplementari: «la sussunzione sollecita la riflessione; è attraverso la rifles-sione che ci si interroga, e che ci si assicura che l’oggetto prenda posto nelmondo e divenga intelligibile accordandosi agli altri elementi già elaboratidella conoscenza e confermando la speranza che un sistema totale della co-noscenza è possibile. La riflessione è insomma riflessione sulla possibilità del

moment que nous nous divisons pour nous conquérir, et les dialectiques de rupture quenous opérons pour être esprit nous haussent à l’esprit sans rompre notre unité] (ibid.).

38«La ‘Déduction transcendentale’ établit la possibilité d’un donné, et la Critique dujugement établit qu’il faut postuler que ce donné en tant que donné s’accorde avec lesexigences a priori qui le rendent possible» (ibid.).

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giudizio determinante»39. Per Dufrenne è assai rilevante, nel merito dellaterza Critica kantiana, l’assunto per cui il giudizio determinante non espletala relazione tra soggetto e oggetto: il riconoscimento di un oggetto come taleda parte del soggetto non è che un aspetto della loro relazione, che può esse-re «più profonda che nell’attività costitutiva», ossia può configurarsi come«una comunione con l’oggetto»40. Volendo esemplificare questo fondamen-tale esito del percorso criticista, si può dire che di fronte a qualcosa di bellonon è corretto affermare che il bello è predicato oggettivo, qualità, della talcosa. Bisognerà invece considerare il bello un predicato relativo, che sussi-ste cioè grazie alla relazione tra soggetto e oggetto. Attraverso il giudizioriflettente, interrogo il mondo, cerco qualcosa41.

L’aspetto interessante in questa spiegazione che Dufrenne fornisce delgiudizio riflettente è l’accento che egli pone sul fatto che il soggetto si mettein gioco: intende con ciò evidenziare che il soggetto non è qui inteso im-personalmente, come chiunque svolga l’attività di soggetto, o come soggettotrascendentale capace di mediare tra particolare e universale; piuttosto ilsoggetto nel giudizio riflettente è presente personalmente, in carne e ossa.E agisce, si apre al mondo per organizzarsi come unità di appercezione. Aquesto proposito, per Kant come per Dufrenne, è ammissibile, e forse neces-sario, che il giudizio riflettente si esprima in una facoltà soggettiva, quelladel sentimento. Proprio a causa della soggettività, nella Critica della ragionpura e nella Critica della ragion pratica Kant aveva escluso che sul senti-mento potessero fondarsi la conoscenza e la morale in quanto universali enecessarie. Questo limite è rispettato anche nelle opere successive di Kant:nessuna conoscenza scientifica, né alcuna legge morale deriva dal sentimen-to. Vi è tuttavia una funzione per la quale il sentimento è insostituibile:

39«La subsomption sollicite la réflexion; c’est par la réflexion que l’on s’interroge, et quel’on assure que l’objet prend place dans le monde et devient intelligible en s’accordant auxéléments déjà élaborés de la connaissance et en confirmant l’espoir qu’un système totalde la connaissance est possible. La réflexion est en somme réflexion sur la possibilité dujugement déterminant» (ibid., p. 466).

40«Plus profonde que dans l’activité constituante»; «une communion avec l’objet» (ibid.,p. 467).

41«Pongo un ‘come se’, una oggettività della quale io non posso ignorare che è coniatadalla soggettività. E nello stesso tempo, ho coscienza di un’iniziativa assoluta: non con-sidero più l’oggetto come sottointeso, gli chiedo conto, aspetto da lui che risponda a unacerta ipotesi che io pongo; la mia legislazione non è più di un voto, ma io so che pronuncioquesto voto e che attendo dalla natura che essa lo esaudisca. Non posso ignorare che ladomanda che pongo è la mia domanda e che mi metto in questo modo in questione; ciòche trovo, lo trovo per averlo cercato, e quasi per averlo voluto» [Je pose un ‘comme si’,une objectivité dont je ne puis ignorer qu’elle est frappée de subjectivité. Et en mêmetemps, j’ai conscience d’une initiative absolue: je ne considère plus l’objet comme allantde soi, je lui demande des comptes, j’attends de lui qu’il réponde à une certaine hypothèseque je pose; ma législation n’est plus qu’un vœu, mais je sais que je prononce ce vœu etque j’attends de la nature qu’elle l’exauce. Je ne puis ignorer que la question que je poseest ma question et que je me mets par là en question; ce que je trouve, je le trouve pourl’avoir cherché, et presque pour l’avoir voulu] (ibid.).

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riferisce la forma degli oggetti al sentire del soggetto.Il sentimento non è un atteggiamento, un semplice modo d’essere del

soggetto, o un organo come altri, è «un modo d’essere del soggetto che ri-sponde a un modo d’essere dell’oggetto, è in me il correlato di una certaqualità dell’oggetto attraverso la quale l’oggetto mostra la sua intimità»42.Mentre immaginazione e riflessione sono attività fermamente soggettive, va-le a dire nelle quali il soggetto osserva un oggetto e si pone rispetto a essocome polo distinto, nel sentimento si sperimenta «una connivenza irriflessae cieca con il mondo»43. Nel sentimento, al pari che nella presenza, soggettoe oggetto hanno una relazione diretta, sono immediatamente presenti unoall’altro, ma si tratta di una immediatezza diversa per tre ragioni. In primoluogo il sentimento svela l’interiorità del dato: non lo coglie come un oggettonel mondo, come una realtà, bensì come dotato di profondità44. In secondoluogo, dal piano della presenza a quello del sentimento muta l’atteggiamentodel soggetto: fintanto che l’oggetto è piatto, bidimensionale, il soggetto deveosservarlo (e nell’osservazione è immediatamente implicata l’immaginazione)e formalizzarlo; ma se l’oggetto si mostra nella sua profondità, il soggettonon può afferrarlo, non può acquisirlo, bensì si limita a predisporsi alla ri-cezione: «non è più questione di estendere il mio avere, ma di ascoltare unmessaggio»45. Per questo motivo il sentimento – a differenza dell’intelletto,per esempio – impone che il soggetto sia personalmente in causa nella rela-zione con l’oggetto: «che io sia capace o no di sentirlo, è per me una prova,e mi darà forse la misura della mia autenticità; non è per i nostri sentimenti,per la loro qualità e la loro penetranza, che siamo davvero giudicati?»46.Il soggetto tramite il sentimento si apre a una dimensione in cui è trascesoe non si comporta come un soggetto: le operazioni che gli sono consuete(apprensione, rappresentazione, azione) sono inibite, neutralizzate, tutto ciòche può fare è sentire l’oggetto ed essergli congiunto. Infine il sentimento èper forza distinto dalla presenza perché trova spazio solo quando l’attivitàdell’intelletto è ormai conclusa e la rappresentazione evasa, ci si rivolge alsentimento quando «si cerca qualcosa d’altro»47. Per meglio dire: c’è sen-timento solo se non c’è rappresentazione, e solitamente questo accade dopoche la rappresentazione ha esaurito il suo compito. Però è anche possibile

42«Un mode d’être du sujet qui répond à un mode d’être de l’objet, il est en moi lecorrélat d’une certaine qualité de l’objet, par quoi l’objet manifeste son intimité» (ibid.,p. 469).

43«Une connivence irréfléchie et aveugle avec le monde» (ibid.).44Sulla profondità dell’oggetto estetico si tornerà più approfonditamente nel prossimo

capitolo.45«Il n’est plus question d’étendre mon avoir, mais d’entendre un message» (ibid., p.

470).46«Que je sois capable de l’éprouver, c’est une éprouve pour moi, et qui donnera peut-

être la mesure de mon authenticité; n’est-ce pas à nos sentiments, à leur qualité et à leurpénétration, que nous sommes vraiment jugés?» (ibid.).

47«On cherche autre chose» (ibid.).

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avere sentimento di un oggetto senza mai averne prodotto rappresentazionené riflessione. Ancora una volta nello studio delle attitudini del soggetto,per Dufrenne, non si può fissare una scansione, una dialettica di supera-mento per cui dopo la riflessione vi sarebbe il sentimento. La vita cognitivae relazionale non può mai essere pensata come un processo ripartito in fa-si. Pertanto non è detto che il sentimento debba essere preceduto dallariflessione, mentre è certo che non può coesisterle perché il soggetto è di-versamente impegnato nelle due attività. La presenza è il primo momentocostitutivo della percezione, la rappresentazione operata dall’intelletto è im-mediatamente innescata dalla presenza di un oggetto al soggetto. Presenza erappresentazione sono i primi momenti costitutivi della percezione. Dove sicolloca dunque il sentimento? Esso è un evento separato e distinto all’internodella percezione rispetto all’unità presenza-rappresentazione: «il sentimentoè un’altra direzione nella quale può impegnarsi la percezione: noi oscillia-mo dalla percezione al sentimento secondo la spontaneità della coscienzae senza che il movimento sia costretto da una necessità dialettica»48. Inquesto senso, sottolinea Dufrenne, la percezione deve smettere tutti gli abitisinora indagati perché il sentimento possa attuarsi: l’immaginazione deveessere repressa e per quel che concerne l’intelletto bisogna che «rinunciamo[alla] giurisdizione sull’apparenza»49. Al posto di tutto ciò, nel sentimento,accade che «ci apriamo a una realtà che deve essere provata dal fondo dinoi stessi, in un movimento che bisognerà che chiamiamo ontologico»50 dalmomento che non vi siamo coinvolti per un’attività solamente interpretativao conoscitiva.

È bene precisare che il sentimento, il sentire le cose, non ha qui nulla ache fare con l’emozione. L’emozione è una sensazione fisiologica, è passione,affezione e inerisce alla ricettività dei sensi. Il sentimento ha invece valenzaconoscitiva, in prima istanza perché tramite esso si può cogliere la forma delsensibile: «il sentimento ha una funzione noetica: rivela un mondo, mentrel’emozione commenta un mondo già dato, sia per trasformarlo magicamente,come dice Sartre – e l’emozione è allora sregolatezza –, sia per intraprendereun’azione valida, come dice Ricoeur»51. Per di più il sentimento, oltre alsentire, comprende una riflessione sulla nostra capacità d’essere affetti, cioèè attivo non solo nell’attività senziente ma anche nel vaglio critico delle pos-sibilità conoscitive del sentire. La conoscenza che deriva dal sentimento, ma

48«Le sentiment est une autre direction dans laquelle peut s’engager la perception: nousoscillons de la perception au sentiment selon la spontanéité de la conscience, et sans quele mouvement soit contraint par une nécessité dialectique» (ibid.).

49«Renonçons à une juridiction sur l’apparence» (ibid.).50«Nous nous ouvrions à une réalité qui doit être éprouvée du fond de nous-même, en

un mouvement qu’il nous faudra appeler ontologique» (ibid.).51«Le sentiment a une fonction noétique: il révèle un monde, alors que l’émotion com-

mente un monde déjà donné, soit pour le transformer magiquement, comme dit M. Sartre– et l’émotion est alors dérégulation –, soit pour engager une action valable, comme ditM. Ricoeur» (ibid.).

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si può anche dire quella conoscenza che è il sentimento, è irriflessa: consentedi comprendere il mondo affettivo in quanto è la possibilità dataci di cono-scere senza passare attraverso lo schematismo dell’intelletto. È nel campodell’arte (sia per quanto concerne l’artista, sia per il fruitore) che più facil-mente si può rintracciare l’attività del sentimento come è intesa da Dufrenne:di fronte a un’opera d’arte la partecipazione dei nostri sentimenti non arrivaa coinvolgere le emozioni (in questo senso «il mondo dell’arte è un mondoinoffensivo»52), eppure vi è un nostro coinvolgimento sentimentale. Si trattadi quel che Dufrenne chiama sentimento puro e che è «potere di accogliere,sensibilità a un certo mondo, attitudine a percepirlo»53. Concludendo le sueriflessioni sul sentimento Dufrenne ricorda, però, che è necessaria una certa«disponibilità per accogliere l’affettivo – al quale possiamo sempre sottrarci,attraverso l’esercizio del giudizio, per rifugiarci in un’oggettività secondo laricetta stoica – un certo impegno nei confronti del mondo dal quale esso nonè né pensato né agito, ma precisamente sentito»54, quindi ribadisce quantoaffermato sin dall’inizio a proposito del sentimento: non è un destino, produ-ce risposte diverse da soggetto a soggetto e può anche non risolversi in nulla.Dipende dalla sensibilità, dalla capacità che il soggetto individualmente hadi essere affetto.

Ma il sentimento cosa coglie? Che tipo di conoscenza genera? «Ciò che[il sentimento] comprende esercitando la sua funzione noetica, è, al di làdell’apparenza alla quale l’intelletto si arresta per ordinarla o interpretarla,l’espressione»55. L’apparenza, l’esteriorità di un oggetto, è una sorta di su-perficie su cui l’attenzione del soggetto si posa consentendogli di entrare incontatto con la cosa, in primo luogo perché l’apparenza segnala l’esistenzadell’oggetto. Tutto ciò avviene sul piano della presenza, in cui ha luogol’incontro di un soggetto e di un oggetto implicati in una relazione esteticae non accade nulla di più perché l’oggetto è inoffensivo: non compie alcunaazione, non va incontro al soggetto, gli si paventa solamente. L’oggetto è unsegno, ma non significa consapevolmente. Di conseguenza si può affermareche se, tornando su un oggetto, scopro ‘parti nascoste’, non notate prima,non posso ascrivere questa mancanza all’oggetto. Le cose semplicementesono e come tali appaiono, non spiegano e non ingannano: «la cosa in effettinon può fare segno perché è ciò che è; non nasconde nulla, non istituisce unadialettica dell’interiorità e dell’esteriorità.[. . . ] Così la cosa non deve far se-gno poiché è totalmente segno, non deve esteriorizzarsi, perché è totalmente

52«Le monde de l’art est un monde inoffensif» (ibid.).53«Pouvoir d’accueil, sensibilité à une certain monde, aptitude à percevoir» (ibid.).54«Disponibilité pour accueillir l’affectif – à quoi nous pouvons toujours nous refuser, par

l’exercice du jugement, pour nous réfugier dans l’objectivité selon la recette stoïcienne – uncertain engagement à l’égard du monde par quoi il n’est ni pensé ni agi, mais précisémentsenti» (ibid.).

55«Ce qu’[il] saisit en exerçant sa fonction noétique, c’est au delà de l’apparence àlaquelle l’entendement s’arrête pour l’ordonner ou l’interpréter, l’expression» (ibid., p.473).

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esteriorità»56. L’apparenza, il mostrarsi, è l’unica prerogativa dell’oggetto, enel caso di un oggetto estetico è un’apparenza opaca. L’espressione, che è «ilpotere di emettere dei segni e di esteriorizzarsi»57 dell’oggetto «costituisceil terzo elemento della struttura dell’opera»58.

Nell’uso comune del linguaggio espressiva è un’azione per cui il soggettoesterna, in base a una volizione, a un contenuto che è nella sua coscienza,qualcosa che riguarda lui o un suo particolare stato: ad esempio se sorridoesprimo gioia, se prendo la parola vi è un pensiero che sento di dover espri-mere. L’oggetto estetico è espressivo se i fruitori rispondono a esso mossi daun sentimento. L’aspetto interessante del movimento dell’espressione è che,portando fuori qualcosa che era nella nostra coscienza, lo mostra anche a noi:«l’espressione ci rivela perché ci fa essere ciò che esprimiamo; essa crea uninteriore costituendo un esteriore; una vita interiore è possibile solo così [. . . ]essere è essere visibile, se non sentirsi visto»59. L’espressività dell’oggetto cisollecita a costituirci come soggetti. Non per questo ci rende soggetti agenti(e quindi aventi un mondo), ma promuove una definizione di ciò che siamofacendo scaturire il nostro sentimento, «l’apparenza fa conoscere una cosa el’espressione un soggetto o un quasi soggetto. La prima è segno mentre laseconda fa segno»60.

Da un lato, non potrebbe esservi espressione senza l’apparizione dell’og-getto. D’altro canto il solo manifestarsi dell’oggetto, senza l’espressione, nonconsentirebbe alcun progresso nella relazione estetica che rimarrebbe fermaal piano della presenza diretta dell’oggetto al soggetto: «l’interiorità secondola fisica aristotelica resta a questo riguardo un’esteriorità. L’apparenza mirimanda alla cosa, ma la cosa è ancora apparenza, e il progresso della cono-scenza consiste solo nello scoprire nuove apparenze, chiarendo l’apparenzaattraverso l’apparenza, l’idea non essendo a questo riguardo altro che la si-stematizzazione delle apparenze permettente la sostituzione di un’apparenzachiara a un’apparenza confusa»61. Esiste un tipo d’immediatezza corporea,

56«La chose en effet ne peut faire signe parce qu’elle n’est que ce qu’elle est; elle necache rien, elle n’institue pas une dialectique de l’intérieur et de l’extérieur. [. . . ] Ainsi lachose n’a pas à faire signe parce qu’elle est totalement signe, elle n’a pas à s’extérioriser,parce qu’elle est totalement extériorité» (ibid.).

57«Le pouvoir d’émettre des signes et de s’extérioriser» (ibid., p. 474).58M. Dufrenne, Fenomenologia dell’esperienza estetica, tr. it. di L. Magrini, Lerici,

Roma 1969, p. 283.59«L’expression nous révèle parce qu’elle nous fait être ce que nous exprimons; elle crée

un intérieur en constituant un extérieur; une vie intérieure n’est possible que par là [. . . ]être c’est être visible, sinon se sentir vu» (M. Dufrenne, Phénoménologie de l’expérienceesthétique, cit., vol. II, p. 474).

60«L’apparence fait connaître une chose et l’expression un sujet ou un quasi-sujet. Lapremière est signe alors que la seconde fait signe» (ibid., p. 473).

61«L’intériorité selon la physique aristotélicienne reste à cet égard une extériorité.L’apparence me renvoie à la chose, mais la chose est encore apparence, et le progrès dela connaissance ne consiste qu’à découvrir de nouvelles apparences, éclairant l’apparencepar l’apparence, l’idée à cet égard n’étant rien d’autre que la systématisation des appa-

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ed è quella del rapporto tra soggetto e oggetto sul piano della presenza.Poi ve ne è una d’altra specie, in cui pre-riflessivo e riflesso s’intreccianoed essa caratterizza la relazione tra soggetto e oggetto quando è implicatal’espressione.

Il dato della percezione è invenuto nella mera presenza, nell’incontro di-retto tra soggetto e oggetto. L’oggetto della percezione è in questa fase unimmediato sul quale s’inserisce l’attività dell’immaginazione, che in primoluogo lo fa apparire come segno (e quindi come significativo), secondaria-mente inizia il lavoro di svelamento dell’oggetto e svolgimento del significatoche esso porta con sé. L’immaginazione adempie a questo secondo compitoconnettendo la percezione del dato alle pre-conoscenze del soggetto. Poi in-terviene l’intelletto, la cui funzione è quella di controllare l’immaginazioneaffinché sia preservata una certa aderenza al dato percepito. Infatti, sel’immaginazione proseguisse la sua attività liberamente, l’oggetto e il suosignificato, la cui presa di coscienza è in corso di sviluppo, sarebbero sep-pelliti dalle suggestioni immaginifiche. L’attività di controllo e limitazionedell’intelletto consiste nel

legare il possibile all’attuale e dargli così l’autorità facendone un quasi-attuale. Essa costituisce il senso aggiungendolo al dato, il dato divienepiù di ciò che è e questo più costituisce il suo significato. E l’intellettointerviene allorché la decifrazione dei segni diviene sistematica, co-me per l’archeologo o il poliziotto, allorché noi siamo più preoccupatidel senso intellettuale che del senso pratico, dell’avvenire della com-prensione più che dell’avvenire dell’uso. Il senso allora non abita piùl’apparenza, è dedotto; noi passiamo dal segno al significato seguendoun ragionamento che l’immaginazione può ispirare, ma che non puògiustificare.62

L’apporto del lavoro dell’intelletto è dunque una rappresentazione, chedell’intelletto è un correlato. La rappresentazione è un elemento che pertienealla prassi logico-scientifica: sintetizza in un concetto, in un oggetto cultu-rale, il dato e ha per effetto il dominio, la legislazione che il soggetto imponeal mondo per farlo suo. L’immaginazione fa apparire rilevanti degli oggetti,ma solo l’intelletto ce li fa pensare significanti e ci impone la ricerca di unsignificato, «ci domandiamo: che cosa significa? E siamo già nella scienza:

rences permettant la substitution d’une apparence claire à une apparence confuse» (ibid.,p. 476).

62«Lier le possible à l’actuel et lui donner par là de l’autorité en en faisant un quasi-actuel. Elle constitue le sens en ajoutant au donné, le donné devient plus ce qu’il est et ceplus constitue sa signification. Et l’entendement intervient lorsque le déchiffrage des signesdevient systématique, comme pour l’archéologue ou le policier, lorsque nous sommes plussoucieux du sens intellectuel que du sens pratique, de l’avenir de la compréhension plusque de l’avenir de l’utilisation. Le sens alors n’habite plus l’apparence, il est déduit; nouspassons du signe au signifié en suivant un raisonnement que l’imagination peut inspirer,mais qu’elle ne peut justifier» (ibid., p. 477).

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non percepiamo più una cosa nel mondo, ma un fenomeno in una natura»63.La rappresentazione, la comprensione di un oggetto attraverso la donazionedi significato è il dominio che il soggetto esercita sul mondo limitatamentealla presenza e all’esperienza. Questa limitazione è aderenza al sensibile edè la garanzia di correttezza del processo intellettuale. Il principale effettodel processo intellettuale, della donazione di senso, è il nome, la parola concui il soggetto segna e domina la cosa.

Quando invece ci riferiamo – anche al medesimo oggetto – attraversol’espressione, utilizzando il sentimento, non decifriamo più un’apparenza,non costituiamo più significati e nomi, piuttosto ‘leggiamo’ il senso dellecose. Si tratta di una comprensione immediata e corporale tanto quan-to la comprensione vissuta della presenza tramite l’apparenza dell’oggetto.Nell’espressione «l’espresso vi appare per primo, e in un colpo solo; il signi-ficato attraversa il significante. Al punto che dobbiamo ritrovare il signi-ficante e interrogarlo»64 per avere la certezza di aver ben compreso il suosignificato. Dopo l’esperienza affettiva dell’oggetto ci poniamo a distanzada esso e cerchiamo una conferma di quel che abbiamo acquisito tramiteil sentimento, proviamo a sottoporlo al vaglio del pensiero e del discorso.Ma sino a che l’intelletto non interviene, il senso è in primo piano e si dàimmediatamente al soggetto. L’espressione tende a rigettare sia l’attivitàche, tramite l’intelletto, dalla mera apparenza consente di trasformare unoggetto in oggetto culturale, sia l’attività dell’immaginazione, pretende cheio sia «attento e non attivo»65. Nel caso dell’espressione, l’oggetto è tra-sparente perché ha capacità di affezione sui miei sentimenti e «non possoimmaginare un sentimento, posso solo leggerlo; non c’è nulla di nascostoche io possa scoprire»66, non vi è necessità di alcun supporto ulteriore, nédi anticipazioni, né di rimandi ad altri oggetti, «tutto è nell’espressione, el’espresso mi viene subito dato»67.

Concludendo un oggetto non ordinario, estetico, peculiare per la capacitàche ha di suscitare il sentimento del soggetto, non richiede per essere espe-rito un apporto energico da parte del fruitore. Dufrenne definisce l’oggettoestetico un ‘quasi-soggetto’ perché esso imposta da sé il seguito che deveavere nella percezione del soggetto. Per una fruizione autentica il soggettonon deve immaginare nulla oltre i contorni dell’opera, non deve peritarsi inoperazioni di lettura che scadranno necessariamente nell’arbitrarietà. Il frui-tore deve piuttosto limitarsi a essere aperto nei confronti dell’opera, anche

63«Nous nous demandons: que signifie? Et déjà nous sommes dans la science: nous nepercevons plus une chose dans le monde, mais un phénomène dans une nature» (ibid.).

64«L’exprimé y apparaît en premier, et tout d’un coup; le signifié traverse le signifiant.Au point que nous avons a retrouver le signifiant et à l’interroger» (ibid., p. 479).

65«Attentif et non actif» (ibid., p. 480).66«Je ne puis imaginer un sentiment, je ne puis que le lire; il n’a rien de caché que je

puisse découvrir» (ibid.).67«Tout est dans l’expression, et l’exprimé m’est tout de suit donné» (ibid.).

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quando quest’ultima è discreta nella ricerca di un impatto emotivo.

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Figura 1: Kurt Kauper, Diva Fiction (2000)

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Figura 2: Gregory Crewdson, Untitled (House fire) (1999)

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Figura 3: Gregory Crewdson, Untitled (pregnant women, pool) (1999)

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Figura 4: Gregory Crewdson, Untitled (sod man) (1999)

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Figura 5: Gabriel Orozco, Ping Pond Table (1998)

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Figura 6: Kara Walker, The End of Uncle Tom (Grand allegorical Tableauof Eva in Heaven) (1995)

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Figura 7: Marcel Duchamp, Étant donnés: 1. La chute d’eau, 2. Le gazd’éclairage (1946-1966)

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Figura 8: Pierre Huyghe, The Third Memory (1999)

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