le regole di riferimento della prestazione lavorativa

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Corso di formazione aziendale FAD - Residenziale: Gestione della turnistica: aspetti normativi ed applicativi _______________________________________________________________________________________ Parte I in Formazione a Distanza (FAD): le regole di riferimento della prestazione lavorativa: normativa, contratti e regole aziendali 1 A cura di Stefano Carloni e Gianni Ascione Parte I in Formazione a Distanza: Le regole di riferimento della prestazione lavorativa: normativa, contratti e regole aziendali Dispensa smart, per una consultazione veloce Perugia, ottobre 2013

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Corso di formazione aziendale FAD - Residenziale: Gestione della turnistica: aspetti normativi ed applicativi

_______________________________________________________________________________________ Parte I in Formazione a Distanza (FAD): le regole di riferimento della prestazione lavorativa: normativa, contratti e regole aziendali

1

A cura di Stefano Carloni e Gianni Ascione

Parte I in Formazione a Distanza:

Le regole di riferimento della prestazione lavorativa: normativa, contratti e regole aziendali

Dispensa smart, per una consultazione veloce

Perugia, ottobre 2013

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_______________________________________________________________________________________ Parte I in Formazione a Distanza (FAD): le regole di riferimento della prestazione lavorativa: normativa, contratti e regole aziendali

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Sommario

Introduzione ............................................................................................................................................................ 3

Modulo 1 – Le regole del gioco: leggi, contratti e privatizzazione .......................................................................... 4

Unità didattica 1: il rapporto di lavoro tra diritto pubblico e privato ................................................................. 4

Modulo 2 – la prestazione lavorativa ...................................................................................................................... 5

Unità didattica 1: il quadro delle regole di riferimento ....................................................................................... 5

Unità didattica 2: i principali istituti della prestazione lavorativa ....................................................................... 6

Orario di lavoro ................................................................................................................................................ 6

L’orario di lavoro del personale turnista ......................................................................................................... 7

lavoro notturno ............................................................................................................................................... 8

Straordinario .................................................................................................................................................... 8

servizio di pronta disponibilità ........................................................................................................................ 9

I Riposi ........................................................................................................................................................... 10

Unità didattica 3: le assenze .............................................................................................................................. 12

Le Ferie .......................................................................................................................................................... 12

assenze per malattia ...................................................................................................................................... 15

Congedo per cure dovute ad invalidità ......................................................................................................... 18

I permessi di cui alla legge 104 ...................................................................................................................... 19

Modulo 3 – diritti, obblighi e responsabilità nel pubblico impiego ...................................................................... 21

Unità didattica 1: i diritti, le principali fattispecie ............................................................................................. 21

Diritti patrimoniali. ........................................................................................................................................ 21

Diritti non patrimoniali. ................................................................................................................................. 22

La nuova classificazione del personale, il diritto alla progressione e le novità della riforma “Brunetta”. .... 22

Altri diritti – cenni. ......................................................................................................................................... 23

Unità didattica 2: gli obblighi e le responsabilità, il quadro .............................................................................. 24

Gli obblighi ..................................................................................................................................................... 24

Doveri dei dipendenti legati alla professione ................................................................................................ 26

Le responsabilità ............................................................................................................................................ 29

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Introduzione

Con questo breve lavoro intendiamo offrire ai coordinatori un’apertura di campo sui temi fondamentali del

lavoro pubblico e della prestazione lavorativa in particolare.

Oggi la vita si è complicata e il lavoro dei coordinatori, pure, richiedendo conoscenze e competenze che vanno

oltre la funzione e il ruolo tipici di questo professionista.

Alle competenze organizzative, gestionali, comunicative, si affiancano le conoscenze dei profili giuridici dei

principali istituti della prestazione lavorativa; perché il coordinatore possa modulare le sue scelte e i suoi

margini di manovra in modo anche giuridicamente consapevole e orientato; ad evitare sequele spiacevoli e

rogne.

Senza alcuna pretesa di esaustività, ovviamente, abbiamo tentato, fin dove possibile, una versione in prosa del

giuridichese, per rendere più fruibili i contenuti; speriamo di esserci riusciti e di non avervi troppo complicato

la vita.

Abbiamo realizzato due versioni della dispensa: una “smart”, più sintetica e di veloce consultazione e una più

completa (“mattone”) per chi desidera più informazioni sugli istituti trattati.

Da parte nostra, buon lavoro!

Stefano Carloni e Gianni Ascione

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Modulo 1 – Le regole del gioco: leggi, contratti e privatizzazione

Unità didattica 1: il rapporto di lavoro tra diritto pubblico e privato

Il rapporto di lavoro nel privato e nel pubblico non è proprio la stessa cosa anche se, negli ultimi 20 anni,

diversi interventi normativi hanno avviato il processo di così detta “privatizzazione del pubblico impiego”,

teso ad estendere al pubblico impiego le regole stabilite per il lavoro privato, sia pure con delle eccezioni e

mantenendo alcune peculiarità.

Il senso della manovra di privatizzazione si collega al più generale e noto passaggio culturale che, da un

certo momento in poi, vede l’amministrazione pubblica riorientare la propria funzione dall’amministrazione

autorità (e dal rapporto amministrazione – amministrato) a quella di erogatore di servizi pubblici (ed al

rapporto amministrazione – utente – cliente).

Concretamente la privatizzazione veniva sviluppata lungo due filoni:

• passaggio dai contratti collettivi di diritto pubblico (quelli adottati con Decreto del Presidente della

Repubblica, che diventavano vere e proprie norme giuridiche) a quelli di diritto privato, più liberi e flessibili;

• affidamento alla contrattazione collettiva del compito di disciplinare il rapporto di lavoro, anche in deroga

alle leggi e alle altre norme in materia, salve espresse riserve di legge.

Vi è da dire che nel corso del tempo, il mix tra disciplina privatistica (soprattutto contrattuale) e

pubblicistica ha subito cambiamenti, passando da una privatizzazione abbastanza spinta a sostanziali

retromarce, soprattutto a partire dalla riforma Brunetta del 2009 (legge delega n. 15 e decreto legislativo

delegato n. 150, entrambi del 2009).

In sintesi il Testo Unico sul pubblico impiego, n. 165 del 2001, (che vanta, ad oggi, ben 174 aggiornamenti,

l’ultimo dei quali con Decreto-Legge 31 agosto 2013, n. 101, così detto “decreto del fare”) adotta per i

pubblici dipendenti un modello “misto”. Difatti,

Quanto alla privatizzazione,

• estende ai pubblici dipendenti le norme del codice Civile sul lavoro (Libro V, Titolo II, Capo I) e delle leggi sui

rapporti di lavoro subordinato nell’impresa

• affida alla contrattazione collettiva di diritto privato la determinazione dei diritti e delle obbligazioni

direttamente pertinenti al rapporto di lavoro e la possibilità per la stessa di derogare alle leggi sul rapporto

di lavoro quando le leggi stesse lo consentono esplicitamente

• estende ai pubblici dipendenti l’applicazione dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 1970)

• consente alla pubblica amministrazione di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di

impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa;

ed inoltre, dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti

formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo;

• prefigura, anche il pubblico impiego, un regime di licenziabilità per eccedenza di personale e di “cassa

integrazione”, simile a quello previsto per il privato.

Passando dalla privatizzazione alla disciplina di diritto pubblico, il Testo Unico 165/2001

• fa in ogni caso salve le disposizioni di diritto pubblico riportate nello stesso Testo Unico e in norme che

introducano discipline dei rapporti di lavoro per i pubblici dipendenti, per le quali la legge non preveda

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espressamente la possibilità di deroga da parte dei contratti collettivi o ne preveda espressamente

l’inderogabilità

• conserva il regime di diritto pubblico per il rapporto di lavoro di alcune categorie di personale (magistrati e

avvocati dello Stato, militari, diplomatici e dipendenti delle prefetture, professori e ricercatori universitari,

ecc.)

Ciò premesso, una fondamentale distinzione tra privato e pubblico sta nella modalità principale di

assunzione:

• assunzione diretta, per il privato e gli enti pubblici economici (che operano in regime di diritto privato);

• assunzione per pubblico concorso o procedura selettiva, per il pubblico impiego.

In sintesi

Il pubblico impiego è stato privatizzato nel 1993; ciò vuol dire

a) che ai pubblici dipendenti si applicano, fra le altre regole di diritto privato,

_ il Codice Civile, nella parte dedicata al lavoro

_ lo Statuto dei Lavoratori, legge 300 del 1970

b) che la regolazione dei diritti e degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro è affidata ai contratti

collettivi, così come i contratti possono derogare alle regole normative sul rapporto di lavoro nel pubblico

impiego, se la legge lo consente espressamente

Quanto all’assunzione, nel pubblico impiego resta la regola fondamentale del concorso pubblico o della

procedura selettiva (salve le assunzioni temporanee o atipiche); nel privato, invece, l’assunzione è per

chiamata diretta.

Modulo 2 – la prestazione lavorativa

Unità didattica 1: il quadro delle regole di riferimento

La legge, ma soprattutto i contratti, disciplinano l’esecuzione della prestazione lavorativa, che concerne

sostanzialmente due aspetti:

A. icontenuti della prestazione in senso stretto (vale a dire, quello che ciascun professionista, in relazione al

proprio profilo professionale, deve fare);

B. lemodalità di esecuzione della prestazione (modi, tempi, organizzazione, ecc.).

A. Quanto ai contenuti, aboliti i mansionari, con la nota Legge n. 42 del 1999 viene precisato che il campo di

attività e le responsabilità deiprofessionisti del comparto sanità sono determinati dai contenuti:

• dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali;

• degli ordinamenti didattici dei corsi di diploma universitario (ora di laurea) e di formazione post-base;

• degli specifici codici deontologici. E tutto ciò, precisa ancora espressamente la legge, nel reciproco

rispetto delle specifiche competenze professionali tra questi professionisti e gli altri professionisti,

medici e non, della Sanità.

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In pratica, ciò che un professionista di comparto può fare o non fare trova le sue linee guida nel profilo

professionale, in quello che ha imparato all’università e in quanto riportato nel codice deontologico.

B. Quanto alle modalità di esecuzione, esse fanno riferimento agli istituti di legge e di contratto che

regolano la prestazione: orario di lavoro e di servizio, straordinari, reperibilità, turni, ecc. Di questo

neparleremo specificamente nell’unità didattica successiva.

Naturalmente, al rapporto di lavoro si correla un’ampia serie di diritti, doveri ed obblighi, di cui parleremo

nel terzo modulo. Qui accenniamo a due fondamentali obblighi previsti dal codice civile, che fanno

riferimento specifico alla prestazione lavorativa:

• l’obbligo di diligenza e obbedienza (articolo 2104 del codice civile) Il lavoratore deve usare la diligenza

richiesta dall’attività esercitata, nell'interesse dell'impresa; deve inoltre osservare le disposizioni per

l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai superiori gerarchici. Ciò

significa che il lavoratore deve rendere una prestazione professionale non inferiore a quella che si

richiede mediamente con riguardo alla natura dell'attività esercitata (articolo 1176 comma 2 del codice

civile).

• l’obbligo di fedeltà (articolo 2105 del codice civile), ossia di tenere un comportamento leale verso il

datore di lavoro, tutelandone l’interesse; il comportamento leale presuppone: a) il divieto di non

concorrenza, cioè di trattare affari in conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore; b)

l’obbligo di segretezza, cioè di non divulgare o usare a danno dell’impresa informazioni riguardanti

l’organizzazione o i metodi produttivi (know – how).

Unità didattica 2: i principali istituti della prestazione lavorativa

Vediamo ora praticamente, i principali istituti contrattuali e di legge, che gravitano intorno al rapporto di

lavoro e alla prestazione lavorativa dei pubblici dipendenti.Ci riferiremo, in modo particolare, ai temi

concretiche interessano il personale turnista dell’area di comparto di quest’Azienda: orario di lavoro, lavoro

notturno, straordinario, reperibilità e riposi.

Orario di lavoro

Cosa è

È il periodo in cui il lavoratore è al lavoro, a disposizione del proprio datore di lavoro nell'esercizio della sua

attività o delle sue funzioni. In questo periodo il lavoratore è soggetto al potere organizzativo e direttivo del

datore di lavoro.

Come è quantificato e articolato

L'orario individuale di lavoro del personale del comparto sanità è, di regola, di 36 ore settimanali e può

essere articolato su 5 o 6 giorni alla settimana, oppure prevedere diverse turnazioni, laddove le esigenze

del servizio richiedano la presenza del personale nell’arco delle dodici o ventiquattro ore. Le leggi e la

contrattazione collettiva hanno tuttavia previsto regimi derogatori di orario, per un certo arco di tempo,

fermo rimanendo il monte orario annuo complessivo. Ne parliamo qui di seguito.

Per i dipendenti che prestano servizio a tempo parziale, l'orario di lavoro viene ridotto in proporzione.

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Il dipendente è tenuto al rispetto dell’orario di inizio e di fine lavoro, così come programmato nell’ambito

dell’articolazione giornaliera.

L’orario di lavoro del personale turnista

Cosa è il turno di lavoro

Il turno di lavoro, per essere considerato tale, deve essere superiore alla metà delle ore previste e,

comunque, se vengono lavorate meno di 4 ore non si ha diritto alla corresponsione delle indennità di turno,

percepite a qualsiasi titolo.

Tra un turno di lavoro ed il successivo il lavoratore ha diritto ad un “adeguato” riposo giornaliero per

tutelare la salute e la dignità del lavoratore, nonché per evitare che possano correre dei rischi i pazienti

assistiti da personale non riposato adeguatamente, dovendo garantire che i pazienti siano assistiti da

personale nel pieno delle proprie energie.

L’orario di lavoro del personale turnista che presta attività assistenziali o di supporto tecnico con orario di

servizio nelle 12 o 24 ore è rigido e deve necessariamente rispettare l’articolazione dei turni mensili.

La programmazione dei turni

Gli orari di lavoro del personale turnista vengono predisposti mensilmente dai responsabili di servizio, i

quali provvedono ad esporre i relativi turni di lavoro entro il 20 del mese precedente a quello di riferimento

(Cassazione 21 maggio 2008 n. 14668).

La programmazione dei turni, nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse umane, dovrà prevedere, nei limiti

del possibile, una equa rotazione del personale, tesa a garantire la funzionalità del servizio in ragione delle

eventuali specifiche capacità professionali.

La rotazione dovrà, in particolare, assicurare al personale una imparziale distribuzione dei turni

antimeridiani, pomeridiani, notturni, festivi, prefestivi e quelli che implichino l’eventuale esposizione a

rischi professionali specifici, in modo tale da far risultare una distribuzione equilibrata e avvicendata dei

turni effettuati dal personale della medesima struttura operativa, anche ai fini della corresponsione delle

relative indennità.

I turni diurni, antimeridiani e pomeridiani, possono essere attuati in strutture operative che prevedano un

orario di servizio ininterrotto giornaliero di almeno 12 ore.

Durata giornaliera e settimanale dell’orario di lavoro: regimi derogatori

Il decreto legislativo 66/2003ha di fatto rimosso il limite dell’orario di lavoro giornaliero, fissando solo il

periodo di riposo di 11 ore nell’arco delle 24 ore (art. 7). Pertanto l’orario giornaliero può arrivare fino a 13

ore (ed a 78 ore settimanali).

Fissa inoltre una durata media dell’orario settimanale di 48 ore omnicomprensive, applicabile per un arco

massimo di quattro mesi; limite derogabile dai contratti collettivi.

In attuazione della deroga, l’art. 26 del CCNL 1998 – 2001 commi 6 e seguenti (introdotti dal CCNL 2008), ha

stabilito una durata media settimanale dell’orario di lavoro, superiore alle 36 ore: fino a 48 ore per 9 mesi

nel primo anno di applicazione e poi, 6 mesi, comunque totalizzato

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Quando la prestazione di lavoro giornaliera antimeridiana supera le sei ore continuative il personale,

purché non turnista, ha diritto a una pausa di almeno 30 minuti al fine del recupero psicofisico e per

l’eventuale consumazione del pasto.

Il diritto alla pausa mensa, essendo una misura volta a tutelare la salute dei lavoratori, è un diritto

irrinunciabile e, come tale, ad esso il dipendente non può rinunciare se non eccezionalmente e per periodi

limitati di tempo per far fronte ad imprescindibili e documentate esigenze di servizio.

lavoro notturno

Cosa è

È il periodo lavorativo ricompreso tra le 22 e le 6 del mattino.

I turni di lavoro notturno non possono essere superiori a 10 nel mese per lo stesso dipendente, facendo

comunque salve le eventuali esigenze eccezionali o quelle derivanti da calamità o eventi naturali.

Chi è tenuto a svolgere il lavoro notturno

i lavoratori che devono operare su turni a copertura delle ventiquattro ore.

Sono esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno:

• i lavoratori a cui le competenti strutture sanitarie pubbliche hanno accertato l'inidoneità al lavoro notturno;

• le lavoratrici dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino; Possono essere esclusi, a domanda, dall'obbligo di effettuare lavoro notturno:

• la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;

• la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;

• la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.

Straordinario

Cosa è

È la prestazione lavorativa rivolta a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali; pertanto lo straordinario

non può essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di

coperturadell'orario di lavoro.

Il lavoratore, quando richiesto, è tenuto ad effettuare il lavoro straordinario, salvo gravi e giustificati motivi

di impedimento, ovvero in applicazione di disposizioni legislative totalmente o parzialmente esentative.

Il regime orario

Il limite individuale per il ricorso al lavoro straordinario non potrà superare, per ciascun dipendente, n. 180

ore annuali.

Il predetto limite individuale potrà essere superato, in relazione ad esigenze particolari ed eccezionali, per

non più del 5% del personale in servizio e, comunque, fino al limite massimo di n. 250 ore annuali.

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Il dipendente a part-time di tipo orizzontale, previo suo consenso, può essere chiamato a svolgere

prestazioni di lavoro supplementare nella misura massima del 10% della durata del lavoro a tempo parziale,

riferita a periodi non superiori a un mese e da utilizzare nell’arco di più di una settimana.

In questo caso la mancanza di consenso da parte del lavoratore non costituisce causa di procedimento

disciplinare o di licenziamento.

Il personale con rapporto a part-time di tipo verticale (nel quale la giornata lavorativa è a orario intero) può

effettuare prestazioni di tipo straordinario nelle sole giornate di effettiva attività lavorativa entro il limite

massimo individuale di 20 ore all’anno.

Allorché la tipologia del part-time sia mista (combinazione dell’orizzontale con il verticale) prevale la

disciplina del part-time verticale ed è, quindi, consentito nei limiti sopra indicati il lavoro straordinario nei

giorni di effettiva presenza in servizio.

Come si attiva

La prestazione di lavoro straordinario deve essere preventivamente comandata al dipendente dal proprio

“Responsabile”,sulla base delle esigenze organizzative e di servizio (nell’ambito del budget orario

assegnato).

È esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione, per cui eventuali eccedenze orarie non potranno dar

luogo a remunerazione.

Il comando allo straordinario va essere formalizzato in un documento, sottoscritto dal responsabile, da cui

risulti il nominativo e la qualifica del dipendente che lo effettua, nonché la data, la motivazione e la durata

dell’intervento richiesto.

Le prestazioni di lavoro straordinario effettuate dal dipendente devono essere dimostrate tramite il sistema

di rilevazione automatizzata delle presenze in uso presso l’Azienda.

Servizio di pronta disponibilità

Cosa è

Consiste nella immediata reperibilità del dipendente e nell'obbligo per lo stesso di raggiungere la struttura

nel tempo previsto e, comunque, nel più breve tempo possibile.

Come funziona

Operativamente, il personale incaricato di attivare la pronta disponibilità dovrà effettuare telefonicamente

la chiamata del dipendente in pronta disponibilità tramite il centralino.

La chiamata dovrà poi essere confermata per iscritto da chi l’ha effettuata, con specifica indicazione del

proprio nominativo, quello del reperibile chiamato e la sua qualifica, nonché la data, ora e motivazione

dell’intervento richiesto.

L’organizzazione dei turni di pronta disponibilità

La normativa contrattuale prevede che, all’inizio di ogni anno, le aziende predispongono un piano annuale

per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica, così da evitare che ci possa

essere un uso irregolare della pronta disponibilità.

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Le regole generali riguardo ai turni di pronta disponibilità sono le seguenti:

• non possono essere svolti più di 6 turni al mese;

• ogni turno non può durare più di 12 ore e meno di 4 ore;

• i turni vanno limitati alle notti ed ai giorni festivi, pertanto, non possono essere previsti nei giorni feriali;

• non possono essere svolti più turni consecutivi;

• sono prevedibili due turni nei giorni festivi;

• i dipendenti tenuti a svolgere tale servizio sono quelli afferenti alle unità operative con attività continua ed in numero strettamente necessario a soddisfare le esigenze funzionali dell'unità;

• il servizio va organizzato utilizzando, di norma, il personale della stessa unità operativa;

• nel caso in cui il turno di pronta disponibilità cada in giorno festivo spetta un riposo compensativo, a richiesta del dipendente, senza riduzione del debito orario settimanale (36 h.);

• in caso di chiamata, ferma rimanendo l’indennità di pronta disponibilità, l'attività lavorativa viene computata come lavoro straordinario.

Chi è tenuto alla pronta disponibilità

In relazione al piano annuale per le emergenze, sono tenuti a svolgere il servizio di pronta disponibilità solo

i dipendenti in servizio presso le unità operative con attività continua ed in numero strettamente

necessario a soddisfare le esigenze funzionali dell’unità. Il contratto collettivo specifica, al riguardo che

possono svolgere la pronta disponibilità solo i dipendenti addetti alle attività operatorie e nelle strutture di

emergenza.

Sono, pertanto esclusi, salvo situazioni eccezionali, che interessano alcune categorie di personale:

• tutto il personale delle categorie A, B, C e D, dei profili del ruolo amministrativo;

• il personale appartenente alle categorie A, C e D, dei profili del ruolo tecnico;

• il personale del ruolo sanitario appartenente alla categoria D, del profilo della riabilitazione e le caposala.

• Per eccezionali esigenze di funzionalità delle strutture è consentito di svolgere servizi di pronta

disponibilità anche ai seguenti profili professionali:

• personale del ruolo tecnico appartenente alla categoria B di entrambe le posizioni economiche B e Bs;

• personale del ruolo sanitario appartenente alla categoria D, livello economico Ds;

• L’Azienda, in base alle proprie esigenze organizzative,potrà inoltre valutare, con le procedure di

concertazione con i sindacati (art. 6, comma 1, lettera b), CCNL 7 aprile 1999), eventuali ulteriori

situazioni in cui ammettere la pronta disponibilità.

I Riposi

Riposo settimanale

Cosa è

È la pausa settimanale obbligatoria, dalle attività lavorative. Pertanto, non è rinunciabile e non può essere

monetizzato.

Il numero dei riposi settimanali spettanti a ciascun dipendente è fissato in 52 all’anno, indipendentemente

dalla forma di articolazione dell’orario di lavoro. In tale numero non sono conteggiate le domeniche

ricorrenti durante i periodi di assenza per motivi diversi dalle ferie.

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Come si fruisce

Esso cade normalmente di Domenica e non deve essere inferiore alle ventiquattro ore. Per i dipendenti

turnisti, il riposo può essere fissato in altro giorno che, di regola, corrisponderà al giorno successivo allo

smonto turno.

Ove non possa essere fruito di domenica, il riposo settimanale deve essere fruito di norma entro la

settimana successiva, in giorno concordato fra il dipendente ed il dirigente responsabile della struttura,

avuto riguardo alle esigenze di servizio. Si cumula con le ore undici ore di riposo giornaliero stabilite dal

Decreto Legislativo 33 del 2003 (per un totale di 35 ore).

La festività nazionale e quella del Santo Patrono coincidenti con la domenica non danno luogo a riposo

compensativo né a monetizzazione.

Le regole dei contratti collettivi

I Contratti collettivi possono stabilire regole diverse per il personale dei servizi preposti al trattamento o

alle cure che vengono prestate da ospedali; ed, inoltre, nel caso in cui l’attività lavorativa venga svolta in

turni ogni volta che il dipendente cambia squadra (turno) può non usufruire del riposo giornaliero e/o

settimanale (articolo 17, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 66).

Qualora un dipendente presti servizio di pronta disponibilità in un giorno di riposo settimanale, su richiesta,

può ottenere un giorno di riposo compensativo senza riduzione del debito orario, cioè dovrà comunque

assicurare l'orario ordinario di lavoro di 36 ore nella settimana in cui usufruisce del riposo compensativo.

Riposo giornaliero

Cosa è

È la pausa tra la fine di una giornata di lavoro e l'inizio della giornata successiva, è quindi da intendersi

riposo giornaliero anche la pausa lavorativa che va dal cosiddetto smonto notte all’inizio del turno

seguente. È, in genere, fissato in undici ore consecutive ogni ventiquattro (articolo 7 del decreto legislativo

n. 66 del 2003).

Come si fruisce

durante il riposo giornaliero il lavoratore può disporre liberamente del suo tempo.

Deve essere fruito in modo consecutivo, fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati

durante la giornata o da regimi di reperibilità.

Pertanto, per consentire il necessario recupero psico-fisico ai lavoratori, è necessario prevedere adeguati

periodi di riposo tra i turni che permettano ai dipendenti la fruizione di un riposo giornaliero di 11 ore

consecutive ogni 24 ore, tendendo presente che, in determinati casi, è possibile derogare a tale

disposizione.

Il periodo di riposo giornaliero, eventualmente cumulato con il riposo settimanale, da diritto al lavoratore a

fruire di 35 ore consecutive di riposo (cioè: 24 ore più 11 ore), nelle ipotesi in cui il periodo di riposo tra i

turni sia stato individuato in 11 ore.

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Riposo compensativo dovuto allo sviluppo del turno di lavoro programmato

Cosa è. Il riposo compensativo matura in tutti i casi in cui la prestazione lavorativa è stata, come numero di

ore lavorate, superiore a quella prevista dalla normativa di legge o contrattuale.

Si hanno casi di superamento del debito orario settimanale (36 h), qualora sia previsto un maggior orario

giornaliero per il completamento di turni programmati. Di conseguenza, lo scostamento tra l’orario stabilito

e quello teorico, debitamente contabilizzato, comporta l’attribuzione di riposi compensativi, che vengono

inseriti nella programmazione dei turni.

Altri casi che possono dare luogo a riposi compensativi sono quelli relativi ad ore di straordinario prestate e

non retribuite, o eccedenti il limite massimo consentito.

Come si fruisce

Il diritto al riposo compensativo è subordinato al fatto che il dipendente abbia puntualmente seguito il

turno assegnato e sia stato sempre presente al lavoro, in modo da avere maturato un credito orario

effettivo, eccedente il debito orario settimanale; tale da consentirgli di fruire del corrispondente riposo

compensativo previsto dall’articolazione turno di lavoro.

Mancato riconoscimento e anomalie

Il mancato riconoscimento al lavoratore al godimento di riposi compensativi di cui ha diritto gli da la

possibilità di chiedere all’Azienda un particolare ristoro per il danno subito, che viene definito "biopsichico".

Se invece vengono riconosciuti al personale riposi compensativi non interamente maturati, colui che li ha

autorizzati, può essere incolpato per omissione di controllo.

In entrambi le predette ipotesi emergono gravi criticità legate alle gestione del personale, per le quali si

potrebbe configurare anche l'ipotesi di danno erariale.

Unità didattica 3: le assenze

Tanti sono gli istituti normativi e contrattuali che prevedono forme di assenze, retribuite o meno, dal

lavoro. Per ovvi motivi di spazio e tempo, ci occuperemo qui delle fattispecie più ricorrenti e critiche: le

ferie e le malattie.

Le Ferie

Cosa sono

assenze retribuite che la legge riconosce al lavoratore con l’obiettivo di garantire allo stesso il recupero

delle energie psico-fisiche spese nella prestazione lavorativa.

L’art. 36, comma 3 della Costituzione, prevede il diritto del lavoratore ad un periodo di ferie annuali

retribuite irrinunciabili (non sostituibili dalla relativa indennità salvo il caso di cessazione del rapporto di

lavoro per dimissioni o licenziamento).

Quante sono

Non sono uguali per tutti; esse dipendono dal regime di orario (6 o 5 giorni lavorativi a settimana), dagli

anni di servizio, dal tipo di rapporto di lavoro (part time o full time). Vediamo in breve.

Nei contratti di lavoro a tempo pieno, se i dipendenti vengono impiegati in regime orario di

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• settimana lunga (6 gg. lavorativi settimanali), hanno diritto, per i primi 3 anni di servizio, a 30 giorni

lavorativi di ferie, che diventano 32 dal quarto anno ( i 30 ed i 32 giorni di ferie sono comprensivi delle

due giornate di riposo in aggiunta al congedo ordinario, previste dall’articolo 1, comma 1, lettera "a",

della Legge 23 dicembre 1977, n. 937 “attribuzione di giornate di riposo ai dipendenti delle pubbliche

amministrazioni”).

• settimana corta (5 gg. lavorativi settimanali) hanno diritto a 4 giorni di ferie in meno all’anno.

Festività soppresse. In aggiunta alle ferie, a tutti i dipendenti con rapporto di lavoro

• a tempo pieno (36 ore settimanali), sono attribuite 4 giornate di riposo (c.d. festività soppresse) da

fruire nell'anno solare ai sensi ed alle condizioni previste dalla sopra menzionata Legge n. 937/77,

• a tempo parziale verticale hanno diritto ad un numero di giorni di festività soppresse proporzionato

alle giornate di lavoro prestate nell’anno.

Nei contratti di lavoro a tempo parziale (part – time) occorre distinguere tra la forma cosiddetta

orizzontale e quella verticale:

• part time orizzontale (su 6 o 5 giorni a settimana): le ferie spettano nella stessa misura goduta dai

prestatori di lavoro subordinato a tempo pieno,

• part time verticale (meno di 5 giorni a settimana) le ferie sono proporzionate alla durata della

prestazione (ad es. il lavoratore con contratto di lavoro part-time di tipo verticale, con prestazione

lavorativa di 18 ore settimanali, se svolta su tre giorni alla settimana, ha diritto al 50% dei giorni di ferie

spettanti ad un lavoratore con contratto a tempo pieno).

Nel lavoro a progetto, invece, la normativa in questione non trova applicazione poiché si tratta di

prestazioni di natura non subordinata ma autonoma.

Come maturano

La maturazione delle ferie è collegata all’effettiva prestazione di lavoro. Quindi, nell’anno di assunzione o

di cessazione dal servizio la durata delle ferie è determinata in proporzione ai dodicesimi di servizio

prestato (la frazione di mese superiore a quindici giorni è considerata a tutti gli effetti come mese intero).

La durata del periodo di maturazione delle ferie da prendere in considerazione è di dodici mesi

corrispondente, nella maggior parte dei casi, al periodo che va dal 1 gennaio al 31 dicembre.

Di regola è esclusa la maturazione delle ferie nei periodi di assenza non retribuita, salva eventuale, diversa

disposizione contrattuale in casi particolari. In particolare, nel caso di aspettativa senza assegni le ferie

sono ridotte in misura proporzionale alla durata dell’assenza, in quanto essa determina una sospensione

del rapporto di lavoro (e quindi dei diritti e dei doveri ad esso relativi).

L’assenza per malattia o infortunio non riduce, di regola, il monte ferie, anche se tali assenze si siano

protratte per l’intero anno solare; ma in questo caso si perdono le c.d. festività soppresse nell’anno

successivo.

Se le assenze per malattia superano in totale i diciotto mesi, calcolati considerando i tre anni precedenti

l'ultimo episodio morboso, (art. 23, comma 2, del CCNL del 1/9/1995), non comportano la maturazione

delle ferie (si tratta dell’eventuale ulteriore periodo di 18 mesi che può essere concesso per le malattie più

gravi).

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Come si fruiscono

Anzitutto, vanno fruite in giorni e non in ore. Il regime di fruizione deve contemperare le esigenze

dell’organizzazione con quelle del lavoratore e in questa direzione sono orientare le regole che disciplinano

l’istituto.

Il dipendente può chiedere le ferie secondo le sue convenienze e il datore di lavoro (o chi per lui: dirigente,

responsabile, coordinatore) può rifiutarle, in ragione delle prioritarie esigenze organizzative che deve

tutelare.

Difatti la normativa contrattuale dispone:

• che al dipendente deve essere assicurato, quando ne faccia richiesta, soltanto il godimento di almeno

quindici giorni continuativi di ferie nel periodo 1° giugno - 30 settembre; ciò significa che, se un

dipendente presenta una richiesta di 15 giorni continuativi di ferie entro il predetto periodo, questa,

per esigenze di servizio, può essere legittimamente accolta con la modifica dell’inizio e fine ferie,

sempre che si rimanga entro il detto quadrimestre (giugno, luglio, agosto e settembre).

• e che, “compatibilmente con le oggettive esigenze del servizio, il dipendente può frazionare le ferie in

più periodi. La fruizione delle ferie dovrà avvenire nel rispetto dei turni di ferie prestabiliti …”

I dipendenti possono fruire esclusivamente delle ferie spettanti per l’anno solare in corso.

Naturalmente, non è poi consentito ai dipendenti di allontanarsi dal servizio usufruendo dell’istituto delle

ferie senza la preventiva autorizzazione del proprio responsabile.

Naturalmente, alla scadenza del periodo di ferie (come di ogni altra assenza dal lavoro a qualsiasi titolo,

malattia, aspettativa, ecc.) il dipendente ha l’obbligo di riprendere l’attività lavorativa.

Non gli è consentito, infatti, ricorrere per decisione unilaterale, alle ferie per prolungare l’assenza dal

servizio, dal momento che di ogni richiesta di ferie il responsabile deve preventivamente valutare la

compatibilità con le esigenze di servizio.

Il regime delle ferie non godute

Le ferie non godute dal personale nel corso dell’anno solare possono essere rinviate:

- per motivi di servizio, al 1° semestre (fino al 30 giugno) dell’anno successivo; - per motivate esigenze personali, al 1° quadrimestre (fino al 30 aprile) dell’anno successivo,

compatibilmente con le esigenze di servizio. Ovviamente per entrambe le ipotesi il rinvio delle ferie dovrà essere opportunamente motivato.

Sospensione e interruzione delle ferie

Interruzione volontaria. Il dipendente, di regola, non può interrompere le proprie ferie in godimento.

Eccezioni:

• sopraggiungimento di malattia, di durata superiore a tre giorni o che abbia dato luogo a ricovero

ospedaliero (anche un’eventuale richiesta di fruire di un permesso sindacale durante un periodo di ferie

è inammissibile);

• malattia del bambino, fino agli otto anni di età, che dia luogo a ricovero ospedaliero, (L’art. 3, comma 2,

punto 4, della Legge n. 53/2000 e l’art. 47, comma 4, del D.Lgs. n.151/2001)

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interruzione per motivi di servizio. Le ferie già in godimento dal dipendente possono essere interrotte o

sospese dal datore di lavoro per motivi di servizio.

In tali eventualità il dipendente ha diritto al rimborso delle spese documentate per il viaggio di rientro in

sede e per quello di eventuale ritorno al luogo di svolgimento delle ferie, nonché delle spese anticipate e

documentate per il periodo di ferie non goduto.

Sospensione per malattia

Diciamo subito che la sospensione non è automatica ma presuppone la comunicazione dello stato di

malattia effettuata dal lavoratore (con l'osservanza di tutte le disposizioni in vigore: documentazione dello

stato di malattia, certificazione, comunicazione del recapito se diverso dal solito, rispetto delle fasce orarie,

ecc.).

Le ferie aggiuntive in casi particolari

Si tratta di periodi di riposo, aggiuntivi rispetto alle ferie, finalizzati a ridurre il rischio di pregiudizio alla

salute, mediante l’allontanamento dei lavoratori dalla condizione ambientale che lo produce. Vediamo i

casi principali.

Ferie per rischio radiologico

I tecnici sanitari di radiologia medica ed al personale esposto in modo permanente al rischio radiologico,

hanno diritto a 15 giorni di ferie aggiuntive (così detto “riposo biologico”), per tutta la durata del periodo di

esposizione.

Le ferie sono da fruirsi in unica soluzione nell'anno di competenza, senza possibilità di frazionamento.

Ferie per rischio anestesiologico.

Il personale dirigente esposto in modo permanente al rischio radiologico, ha diritto ad 8 giorni di ferie

aggiuntive, per tutta la durata del periodo di esposizione.

Le ferie aggiuntive

• non sono cumulabili. Ciò vuol dire che si potrà fruire, al massimo di 15 giorni aggiuntivi (e non,

eventualmente, 15 + 8).

• Vanno inoltre fruite in unica soluzione e nell’anno di competenza.

• sono indipendenti dalla particolare articolazione dell'orario di lavoro svolto (su 5 o 6 giorni alla

settimana); pertanto, nella fruizione delle ferie aggiuntive, rimangono assorbiti i riposi settimanali e

compensativi (per l'orario articolato su 5 giorni) e le eventuali festività ricadenti nel periodo.

assenze per malattia

Cosa sono e il loro regime giuridico

Assenze dovute a malattia, intesa come causa di incapacità temporanea a svolgere l’attività lavorativa.

Durante la malattia il lavoratore ha diritto:

a) alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi, nell’arco di tre anni b) alla indennità di malattia

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per il computo dei 18 mesi per la conservazione del posto, si sommano tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo episodio morboso in corso.

A richiesta e per casi particolarmente gravi, il lavoratore ha diritto ad ulteriori 18 mesi, conservando il posto

ma senza diritto ad alcun trattamento economico.

Anche il dipendente a tempo determinato, in caso di assenza per malattia, ha diritto alla conservazione del

posto di lavoro per un periodo pari alla durata del contratto a termine che, però, non può essere

superiore a 18 mesi.

Quanto all’indennità di malattia, è garantito il seguente trattamento economico:

• 100% della retribuzione fissa mensile, comprese le indennità pensionabili, con esclusione di ogni altro compenso accessorio, comunque denominato, per i primi 9 mesi di assenza;

• 90% della retribuzione per i successivi 3 mesi di assenza;

• 50 % della retribuzione per gli ulteriori 6 mesi.

Il certificato medico, attestante uno stato di malattia del dipendente, è di per sé anche una domanda per

ottenere l’indennità di malattia

Le novità della legge 133. Alcune novità per i lavoratori pubblici, sia a tempo indeterminato, determinato o

a part-time, riguardanti il trattamento economico in caso di malattia, sono state introdotte dalla Legge

06.08.08, n. 133.

L’art. 71, comma 1 stabilisce che nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico

fondamentale, decurtato di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e

continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio.

Non subiscono tuttavia alcuna decurtazione, durante i primi dieci giorni, le assenze per malattia dovute a:

• infortunio sul lavoro;

• causa di servizio;

• ricovero e post ricovero ospedaliero o a day hospital;

• patologie gravi che richiedano terapie salvavita. In tal caso sono esclusi anche i giorni di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie salvavita temporaneamente e/o parzialmente invalidanti.

L’amministrazione procede, pertanto, fatte salve le ipotesi di esclusione sopra indicate, al recupero delle

somme non spettanti al dipendente nei primi dieci giorni di ciascun episodio di malattia.

Comportamento in caso di malattia

La certificazione della malattia. Il dipendente, all'inizio del proprio turno di lavoro, è tenuto a comunicare

tempestivamente l'assenza per malattia (anche nel caso di eventuale sua prosecuzione) al diretto

“responsabile” (direttore, responsabile di struttura semplice, coordinatore, ecc.), avendo cura di indicare il

domicilio presso il quale risiede durante lo stato di malattia e la presumibile durata della prognosi.

Entro i tre giorni successivi all’inizio della malattia o alla eventuale prosecuzione della stessa il dipendente,

nei casi in cui è consentita la certificazione da parte di professionisti estranei al SSN, deve recapitare o

spedire a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento il certificato medico di giustificazione dell’assenza.

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Attualmente, a seguito della così detta “legge Brunetta”, i certificati di malattia devono essere trasmessi

per via telematica dai medici e le Amministrazioni ricevono per via telematica l'attestato di malattia dei

propri dipendenti, che consiste nel certificato di malattia privo dell'esplicitazione della diagnosi (l'omissione

della diagnosi è finalizzata a tutelare la riservatezza del lavoratore).

L’attestazione medica telematica copre l’intera giornata lavorativa ed è necessaria anche per un solo giorno

di malattia.

In caso di assenza per malattia che si protragga per un periodo superiore a dieci giorni e, in ogni caso, dopo

il secondo evento di malattia nell'anno solare, questa deve essere giustificata esclusivamente mediante

certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio

Sanitario Nazionale.

Solo nel caso di assenze per prestazioni sanitarie, terapie, accertamenti diagnostici la certificazione può

essere rilasciata dalla struttura pubblica o privata presso cui è avvenuta la prestazione; anche nel caso di

assenze oltre la seconda.

La visita fiscale e il rispetto delle fasce di reperibilità. Abbiamo detto che il lavoratore, nel comunicare la

malattia, deveindicare il domicilio presso il quale risiede durante lo stato di malattia.

Il dipendente deve rendersi reperibile al domicilio comunicato, entro fasce orarie, che attualmente vanno

dalle ore 9.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i

festivi (Decreto Ministeriale del 18 dicembre 2009 n. 206).

Le fasce di reperibilità devono essere rispettate pure in presenza di eventuale autorizzazione del medico

curante ad uscire.

Non sussiste obbligo di reperibilità in caso di assenza per malattia correlata a:

• patologia grave che richieda terapie salvavita;

• infortunio sul lavoro;

• causa di servizio riconosciuta;

• stati patologici sottesi o connessi ad invalidità riconosciuta. Se il dipendente deve allontanarsi, durante le fasce di reperibilità, dall'indirizzo comunicato per visite

mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi di assoluta necessità ed

urgenza, che devono essere comunque adeguatamente documentati, è tenuto a darne tempestiva e

preventiva comunicazione al competente ufficio dell’Azienda, precisando l'orario in cui non sarà reperibile

ed esibire, poi, al rientro in servizio, idonea documentazione della assenza effettuata.

L'assenza ingiustificata in occasione della visita medico-fiscale o la mancata presentazione alla visita di

controllo ambulatoriale comporta l'apertura di un procedimento disciplinare a carico del dipendente e la

decadenza dal diritto al trattamento economico in base alla legge n. 638/1983.

L’esecuzione dei controlli. L'Amministrazione, in base alla legge n.111 del 15/07/11, deve disporre il

controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente, anche nel caso di assenza di un solo

giorno (tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative), quando l’assenza si verifica nei giorni

precedenti o successivi a quelli non lavorativi, negli altri casi è a discrezione del datore di lavoro (Direzione

Aziendale e/o della Direzione Personale e/o della D.M.O. e/o del D.P.S. e/o del proprio diretto

responsabile).

Malattia causata da colpa di terzi

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Qualora l'assenza per malattia derivi da infermità causata da colpa di un terzo, (per esempio lavoratore che

risulti vittima di un incidente stradale per causa altrui) il dipendente è obbligato anche a segnalare

all'Azienda gli estremi dell'evento che ne ha causato l'infermità, al fine di consentire la rivalsa nei confronti

del responsabile per ottenere il risarcimento del danno subito.

In caso di omissione, l'Azienda si rivarrà direttamente sul dipendente, trattenendogli la retribuzione per il

relativo periodo di assenza.

Rientro in servizio prima del tempo. Il dipendente che intenda riprendere servizio prima della scadenza

indicata sul certificato medico, potrà chiedere al medico di attivare la procedura prevista per la rettifica del

certificato telematico con l’indicazione della una nuova prognosi a limitazione della precedente.

Malattia e responsabilità del dipendente

L’inosservanza delle disposizioni previste in caso di assenza di malattia può comportare l’apertura di un

procedimento disciplinare.

Inoltre, ai sensi del decreto “Brunetta”, la giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una

certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia, comporta comunque

l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento e costituisce reato (reclusione da uno a cinque

anni e multa da euro 400,00 a 1.600,00).

Nei predetti casi, poi, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, il dipendente è

obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi

per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subito dall’Amministrazione.

Assenza per indisposizione in corso di servizio

Nel caso in cui il dipendente debba assentarsi dal lavoro per indisposizione intervenuta durante l’orario di

servizio, potrà, a propria scelta, ricorrere a:

• permessi retribuiti per gravi motivi personali o familiari (18 ore complessive annue), previa presentazione di idonea certificazione medica;

• permessi brevi soggetti a recupero, in caso di assenza dal servizio per un periodo inferiore o uguale alla metà dell’orario giornaliero;

• assenza giornaliera per malattia, con applicazione delle disposizioni di cui all’art. 71 citato, sia per quanto concerne le modalità di certificazione che per quanto attiene la decurtazione retributiva.

Congedo per cure dovute ad invalidità

Cosa è

Il Decreto legislativo 18 luglio 2011 n. 119 del 2011 ha riconosciuto, ai dipendenti mutilati e invalidi civili

con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%, la possibilità di usufruire ogni anno, anche

frazionatamente, di un congedo per cure non superiore a 30 giorni.

Durante tale congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente percepisce il trattamento

economico previsto dal regime delle assenze per malattia.

Il dipendente per poter usufruire dei vantaggi previsti dalla legge deve:

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• presentare domanda accompagnata dal certificato del medico convenzionato con il S.S.N. o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica che attesti la necessità delle cure in relazione all’invalidità riconosciuta;

• documentare in maniera idonea la sottoposizione alle cure.

I permessi di cui alla legge 104

Cosa sono

Benefici a favore dei lavoratori portatori di handicap grave ed a favore dei lavoratori che assistono persone

affette da handicap grave.

E’ portatore di handicap grave la persona a cui sia stato riconosciuto tale stato dalla competente Commissione

Medico-Legale della A.S.L., ai sensi dell’art. 3, comma 3, della Legge n.104/92 e s.m.i.

Chi ne può fruire

• Dipendenti portatori di handicap grave.

• Dipendenti che siano genitori naturali o adottivi di figli con handicap grave.

• Dipendenti che assistano parenti ed affini entro il 2° grado (i gradi di parentela ed affinità sono computati ai

sensi degli artt. 76 e 78 del Codice Civile), coniugi affetti da handicap grave.

• Dipendenti che assistano parenti ed affini entro il 3° grado affetti da handicap grave, qualora i genitori o il

coniuge della persona riconosciuta disabile abbiano compiuto sessantacinque anni di età oppure siano

anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

I benefici spettano ai dipendenti con rapporto di lavoro sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.

Solo in particolari condizioni le agevolazioni possono essere estese ai parenti e affini di 3° grado delle persone

da assistere.

Cosa fare per ottenere i permessi 104

Formulare domanda presso l’Ente di appartenenza, mediante utilizzo di eventuali, appositi modelli.

A ciascuna domanda deve essere allegata la prescritta documentazione comprovante la disabilità grave (per i

dettagli, consulta la dispensa).

L’entità dei permessi a cui si ha diritto

Il dipendente in situazione di disabilità grave ha la possibilità di fruire alternativamente in ogni mese di:

¬2 ore di permesso al giorno per ciascun giorno lavorativo del mese;

¬3 giorni interi di permesso al mese;

¬18 ore mensili da ripartire nelle giornate lavorative secondo le esigenze personali, frazionabili e fruibili per

un tempo pari o superiore ad un’ora; le predette ore, se fruite per l’intera giornata, comporteranno un

abbattimento dell’orario teorico giornaliero (pari a 7 ore e 12 minuti).

Il dipendente per l’assistenza a ciascun familiare in situazione di disabilità grave ha la possibilità di fruire

alternativamente di:

¬3 giorni interi di permesso al mese;

¬18 ore mensili da ripartire nelle giornate lavorative secondo le esigenze personali, frazionabili e fruibili per

un tempo pari o superiore ad un’ora; le predette ore, se fruite per l’intera giornata, comporteranno un

abbattimento dell’orario teorico giornaliero (pari a 7 ore e 12 minuti).

Page 20: Le regole di riferimento della prestazione lavorativa

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I genitori che assistono figli (naturali o adottati) di età inferiore ai tre anni in situazione di disabilità grave

possono fruire alternativamente:

¬del prolungamento del congedo parentale retribuito fino al terzo anno di vita del bambino, ad avvenuta

fruizione del congedo di maternità e del congedo parentale ordinario;

¬di due ore di permesso giornaliero;

¬di tre giorni interi di permesso al mese.

Si precisa che, trattandosi di istituti finalizzati all’assistenza del minore inferiore a tre anni, in situazione di

disabilità grave, la fruizione degli stessi deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese.

Conseguentemente, nel mese in cui uno o entrambi i genitori, anche alternativamente, abbiano fruito di uno o

più giorni di permesso ai sensi dell’art. 33 comma 3 della legge 104/1992, gli stessi non potranno beneficiare

per il medesimo figlio delle ore di permesso giornaliero o del prolungamento del congedo parentale.

Nell’ipotesi di assistenza di un minore di età inferiore ai tre anni, il nuovo dettato normativo prevede, altresì, la

possibilità di fruire dei permessi lavorativi in argomento, in alternativa ai genitori, anche per i parenti e gli

affini aventi diritto, sempre nel limite previsto di tre giorni mensili.

Come se ne usufruisce

a) Il Responsabile dell’Unità Operativa è tenuto ad organizzare il servizio in modo da favorire la fruizione di

tali permessi. La fruizione dei permessi, deve essere programmata mensilmente con il proprio

Responsabile e solo in presenza di circostanze eccezionali, debitamente motivate, può essere

differita/modificata la fruizione dei permessi, in giornate diverse da quelle programmate, sempre che sia

garantita la funzionalità dell’attività lavorativa dell’Unità Operativa di appartenenza.

b) Se l’assistenza al portatore di handicap è presentata per periodi inferiori ad un mese, i permessi vengono

proporzionalmente ridotti con le seguenti modalità: un giorno di permesso ogni 10 giorni di assistenza.

c) Anche nel caso di richiesta di frazionamento orario dei permessi, le modalità di utilizzo dovranno essere

programmate, di regola, con cadenza mensile.

d) Il dipendente potrà avvalersi dei permessi come segue:

• da un minimo di 1 ora ad un massimo di 4 ore al giorno, se il turno di lavoro è articolato su 6 ore

giornaliere.

• da un minimo di 1 ora ad un massimo di 6 ore al giorno, se il turno è articolato su otto e più ore

lavorative giornaliere.

e) Tutti i suddetti permessi non sono cumulabili con quelli dei mesi successivi.

f) Il part-time verticale implica una riduzione proporzionale dei permessi (orari e giornalieri).

g) Il part-time orizzontale comporta una riduzione proporzionale solo sui permessi orari, non riduce, quindi, il

numero di giornate mensili di permesso.

Obblighi del dipendente beneficiario dei permessi

• comunicare l’avvenuto ricovero a tempo pieno della persona assistita entro e non oltre 24 ore dall’evento,

dal momento che tale ricovero interrompe la fruizione dei permessi; per avere nuovamente diritto ad

usufruire dei permessi, l’interessato è tenuto a produrre idonea documentazione dell’avvenuta dimissione,

rilasciata a firma di un medico appartenente alla struttura di ricovero.

• comunicare qualsiasi cambiamento che faccia venir meno definitivamente il diritto alla fruizione dei

benefici previsti, con particolare riferimento a:

Page 21: Le regole di riferimento della prestazione lavorativa

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• revoca del giudizio di grave condizione di disabilità da parte della Commissione medica integrata;

• decesso del disabile;

Modulo 3 – diritti, obblighi e responsabilità nel pubblico impiego

Unità didattica 1: i diritti, le principali fattispecie

Focalizziamo ora brevemente su alcuni diritti fondamentali dell’impiego pubblico privatizzato, segnalando,

ove ricorrano, le specificità dell’impiego pubblico.

In proposito, si distinguono due grosse categorie di diritti:

• patrimoniali, ossia attinenti al trattamento economico del lavoratore

• non patrimoniali, attinenti invece al trattamento giuridico.

Diritti patrimoniali.

Tra i diritti patrimoniali parliamo del diritto alla retribuzione, che costituisce il corrispettivo dell’attività

svolta dal dipendente pubblico.

La struttura della retribuzione è definita dai contratti collettivi; nel caso del Comparto Sanità, dall’articolo

32 del contratto collettivo 1998 – 2001; inoltre, l’articolo 37 del contratto collettivo integrativo del 1999 dà

la definizione di retribuzione.

In sostanza, la retribuzione è, generalmente, così suddivisa:

Trattamento fondamentale

• Stipendio tabellare

• Retribuzione individuale di anzianità (ha sostituito i così detti “scatti di anzianità” ed è fissa per chi l’ha

maturata mentre per i nuovi assunti è fusa con lo stipendio)

• Indennità integrativa speciale (ora conglobata nello stipendio tabellare in base all’articolo 24 del

contratto collettivo del comparto 2002 – 2005)

• Sviluppo economico interno all’area funzionale

Trattamento accessorio

• Compensi per lavoro straordinario

• Indennità previste dai contratti o dalla legge.

A queste voci vanno infine aggiunti la tredicesima mensilità e l’assegno per il nucleo familiare, se spetta.

Page 22: Le regole di riferimento della prestazione lavorativa

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22

Diritti non patrimoniali.

Il diritto all’ufficio. È il diritto alla permanenza nel rapporto di lavoro che, a seguito della privatizzazione,

non è assoluto e incondizionato ma comporta solo l’interesse del dipendente pubblico a non essere

rimosso dall’impiego se non nelle ipotesi e con le garanzie delle norme e dei contratti (esempio:

raggiungimento dell’età pensionabile, recesso del dipendente, decesso, licenziamento disciplinare, messa

in mobilità per esubero).

Il diritto allo svolgimento delle mansioni. In base all’articolo 52 del decreto legislativo 165 del 2001, il

lavoratore ha diritto e nel contempo deve essere adibito solo alle mansioni

• per le quali è stato assunto

• considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi

• corrispondenti alla qualifica superiore, successivamente acquisita per effetto di sviluppo professionale,

concorsi e procedure selettive.

L’esercizio di fatto di mansioni superiori. Se per l’impiego privato l’assegnazione a mansioni superiori

diviene di regola definitiva entro tre mesi (articolo 2103 del codice civile), per il lavoro pubblico dipendente

vige una disciplina più restrittiva, per evitare incontrollate progressioni di carriera, al di fuori dei percorsi

previsti dai contratti e dalla legge.

L’articolo 52 del decreto legislativo 165 del 2001 limita l’esercizio di mansioni superiori a due casi:

a) vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili a 12 se intanto siano state avviate le

procedure di copertura del posto;

b) sostituzione di dipendente assente, esclusa l’assenza per ferie.

La nuova classificazione del personale, il diritto alla progressione e le novità della riforma

“Brunetta”.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Sanità - valevole per il quadriennio 1998/2001

(integrato dal contratto collettivo integrativo del 20/09/2001), ha introdotto una nuova classificazione del

personale, superando la precedente classificazione basata sulle posizioni funzionali, sui livelli e sui profili.

Sono scomparse le 8 posizioni funzionali, sostituite da 4 categorie, denominate A, B, C e D. In ciascuna

categoria è compreso un certo numero di profili professionali. I reinquadramenti hanno previsto anche

alcuni cambiamenti di nome: per esempio, gli infermieri professionali sono diventati più semplicemente

“infermieri; le vigilatrici di infanzia, “infermieri pediatrici”; i terapisti della riabilitazione, “fisioterapisti”, e

così via.

Il contratto ha anche previsto le posizioni organizzative, ruoli organizzativi ad elevata complessità e

responsabilità, che le Aziende possono istituire in relazione alle esigenze di servizio. La preposizione del

lavoratore alla posizione organizzativa avviene con provvedimento scritto e motivato, in base a criteri

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generali e predefiniti di conferimento; essa comporta la corresponsione di una specifica indennità di

funzione.

Altri diritti – cenni.

Diritti di cui al Testo Unico sulla tutela della maternità e della paternità. Con il Testo Unico Decreto

legislativo 151/2001, pubblicato in attuazione della legge 53/2000 sul sostegno alla maternità e paternità e

sul diritto alla cura e alla formazione, è stato messo ordine in una normativa difficile e disarticolata. In

particolare, sono state modificate ed aggiornate alcune norme relative alla tutela della maternità,

all’assistenza dei portatori di handicap, alle assenze dal lavoro per motivi familiari.

I diritti legati alla tutela delle lavoratrici madri. Si tratta della famosa legge n. 1204 del 30 dicembre 1971

modificata ed integrata dalla citata legge n. 53/2000 e recepita del Testo unico n. 151/2001 sopra citato.

Questa legge prevede, in sintesi:

• il diritto della lavoratrice madre di astenersi dal lavoro, obbligatoriamente e facoltativamente, prima e

dopo il parto, entro certi limiti di tempo, con diritto alla conservazione del posto ed allo stipendio in

tutto o in parte, secondo i casi;

• il diritto alla conservazione delle ferie non godute;

• il diritto a non essere licenziata, dall’inizio della gestazione e fino alla fine del periodo di astensione

obbligatoria dal lavoro dopo il parto;

• il diritto a non essere adibita a lavori pesanti, pericolosi od insalubri durante la gestazione e fino a 7

mesi dopo il parto.

Diritti di assentarsi dal lavoro per varie ragioni. Sono diritti previsti e regolati, per lo più, dai contratti

collettivi nazionali di lavoro. Si tratta dei permessi retribuiti (per partecipare a concorsi, esami, corsi, per

lutto, per matrimonio, ecc.); dei permessi brevi, delle assenze per malattia e delle aspettative, del diritto

alla conservazione del posto ed allo stipendio per malattie od infortuni sul lavoro, ecc.

Da menzionare anche il così detto diritto allo studio, disciplinato dal Decreto del Presidente della

Repubblica (DPR) n. 395 del 1988; si tratta di permessi retribuiti che la pubblica amministrazione può

concedere, per un massimo di 150 ore l’anno, per la frequenza di corsi universitari, post universitari o

scolastici e di qualificazione professionale.

Il diritto di sciopero e i diritti sindacali.

Come abbiamo già detto, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, si

applica anche a quest’ultimo lo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970). L’articolo 28 dello Statuto

estende al pubblico impiego la tutela giurisdizionale (possibilità di ricorrere al giudice) del libero esercizio

dell’attività sindacale e del diritto di sciopero. I sindacati possono infatti ricorrere al giudice contro

l’eventuale comportamento antisindacale del datore di lavoro pubblico.

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Lo Statuto dei lavoratori ha anche importato nella pubblica amministrazione ulteriori diritti collegati alla

libertà individuale e sindacale del lavoratore: la libertà di opinione, il diritto di associazione e di attività

sindacale e i diritti collegati (di assemblea, di affissione, a permessi retribuiti e non, ecc.); diritti che sono

stati meglio specificati nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Per quanto riguarda, in particolare, il diritto di sciopero, si tratta di un diritto previsto dalla Costituzione

(articolo 40) e attualmente regolamentato con la legge n. 146 del 1990.

Questa legge ha dettato le regole per rendere l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali,

compatibile con i diritti fondamentali di tutti i cittadini, tutelati dalla Costituzione, tra i quali anche il diritto

alla salute.

A questo fine le pubbliche amministrazioni concordano con i sindacati e le associazioni degli utenti le

prestazioni indispensabili che devono comunque essere assicurate in caso di sciopero; prevedendo, di

conseguenza, obblighi di preavviso dello sciopero e di preventiva informazione all’utenza.

Sono infine previste sanzioni per chi non rispetta la legge.

In sintesi

Alcune particolarità caratterizzano il lavoro nella pubblica amministrazione.

• Diritto alla retribuzione: vige il principio di parità di trattamento contrattuale per tutti i dipendenti e

non possono essere operate differenziazioni (possibili invece nel privato)

• L’aggiornamento della retribuzione si contratta ogni due anni, (così detto biennio economico)

separatamente dalla parte normativa (ma per ora è tutto bloccato)

• La retribuzione è suddivisa in trattamento fondamentale (stipendio, anzianità, indennità integrativa

speciale, sviluppo economico) e trattamento accessorio (straordinario, indennità)

• Diritto all’ufficio e allo svolgimento delle mansioni: è possibile essere preposti a mansioni superiori in

casi e per tempo determinati, col solo diritto alla differenza di trattamento economico e senza

possibilità di definitiva acquisizione delle mansioni superiori

• Diritto alle progressioni orizzontali e verticali in base alla nuova classificazione del personale

• Diritti legati alla tutela della maternità e paternità, diritto allo studio, diritto di astenersi dal lavoro per

varie ragioni, diritto di sciopero e diritti sindacali

Unità didattica 2: gli obblighi e le responsabilità, il quadro

Gli obblighi

Abbiamo detto che la privatizzazione insiste prevalentemente sulla prestazione lavorativa, regolandola con

i contratti collettivi ed individuali di lavoro e configurando, quindi, reciproci diritti ed obblighi (o, come

dicono i giuristi, obbligazioni) tra datori di lavoro e lavoratori. La normativa di diritto pubblico, invece,

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insiste prevalentemente su doveri legati allo status di pubblico dipendente ed alla funzione esercitata nel

pubblico interesse.

Ciò premesso, accenniamo alle principali particolarità del pubblico impiego in materia di obblighi e doveri,

con una doverosa precisazione sul significato di questi due ultimi termini: sostanzialmente significano la

stessa cosa; il “dovere” è di ispirazione pubblicistica mentre l’ “obbligo” è di ispirazione privatistica. Tant’è

che con una specifica norma contrattuale sono state convertite le rubriche dove era presente il termine

“dovere”, in “obbligo”.

Anzitutto esistono regole comuni a tutti i pubblici dipendenti e regole particolari relative a ciascun

comparto di attività della pubblica amministrazione. La relativa disciplina è contenuta nella Costituzione, in

diverse leggi ed altri atti normativi, nei codici civile e penale e nei contratti collettivi di lavoro.

Doveri Costituzionali. Fra i doveri del dipendente pubblico in generale ricordiamo anzitutto il dovere

costituzionale della Pubblica Amministrazione di garantire il buon andamento e l’imparzialità del suo agire

(articolo 97) e il principio del servizio esclusivo a favore della Nazione (articolo 98).

Gli obblighi derivanti dai Codici di comportamento, dalla legge e dai contratti. Inoltre, la riforma del

pubblico impiego (Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 54 e 55, quest’ultimo modificato dalla

riforma “Brunetta”) ha stabilito che la definizione dei doveri del dipendente spetta

a) al così detto “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, adottato con

Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la Funzione Pubblica, per tutte le

pubbliche amministrazioni;

b) ai “Codici di comportamento di ciascuna amministrazione”, che integrano i primi adattandoli alla realtà

di ciascuna amministrazione;

c) alle disposizioni del titolo IV del Decreto legislativo 165 del 2001 (in particolare , articoli da 55 a 57) e

agli specifici elenchi di obblighi che si trovano nei contratti collettivi nazionali di lavoro, ai quali la

riforma “Brunetta” demanda la definizione delle infrazioni a doveri e obblighi e delle relative sanzioni

disciplinari.

Nel concreto, il vigente Codice di comportamento, emanato con Decreto del Presidente della Repubblica n.

63 del 2013, riporta i “doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici

dipendenti sono tenuti ad osservare”.

Anche i contratti collettivi riportano una serie di doveri; in particolare, per il comparto Sanità, i contratti del

01/09/1995, del 19/04/2004 e del 10/04/2008.

Per l’elenco dei doveri rinvio al corso in Formazione a Distanza sul nuovo Codice di Comportamento e sulla

disciplina, attualmente in svolgimento; basta iscriversi per scaricare le relative dispense.

Dovere del segreto d’ufficio. È previsto dal contratto collettivo e da una specifica norma di legge, l’articolo

28 della legge n. 241 del 1990, che ha sostituito l’articolo 15 del Decreto del Presidente della Repubblica

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(DPR) n. 3 del 1957: “L’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio. Non può trasmettere a chi non ne

abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o in

conclusione, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi

e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell’ambito delle proprie attribuzioni,

l’impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati

dall’ordinamento.”.

Dovere di esclusività. Discende dall’articolo 98 della Costituzione: il dipendente pubblico deve riservare

tutta la sua attività all’amministrazione. Il dovere è previsto nell’articolo 53 del Decreto Legislativo

165/2001 (che richiama espressamente gli articoli 60 – 63 del vecchio Testo Unico degli impiegati civili

dello Stato DPR n. 3/1957): salvo alcune eccezioni, il dipendente non può esercitare alcuna attività o

professione in autonomia, né assumere cariche societarie, cooperative escluse; non può svolgere incarichi

non affidati o autorizzati dall’amministrazione di appartenenza o non previsti da leggi o altre norme.

Questo dovere viene meno in caso di impiego part time non superiore al 50% dell’orario ordinario.

In ogni altro caso, qualunque incarico retribuito, anche in forma occasionale, conferito da altra

amministrazione o da persone fisiche e società, deve essere previsto espressamente dalla legge o altre

normative o comunque preventivamente autorizzato dall’amministrazione di appartenenza. In caso di

mancata autorizzazione, si è soggetti a responsabilità disciplinare ed il compenso viene incamerato

dall’amministrazione e va ad incrementare il fondo per la produttività. Agli effetti, poi, dell’articolo 1,

comma 61, della legge n. 662 del 1996, l’esercizio abusivo di un altro lavoro autonomo o subordinato,

costituisce giusta causa di recesso (licenziamento).

In sintesi

Nonostante la privatizzazione, vi sono alcuni doveri peculiari dei pubblici dipendenti:

• il dovere costituzionale (articolo 97) di agire con imparzialità e secondo buon andamento:

• osservare i codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni

• rispettare il segreto d’ufficio, vale a dire, non dare a chi non ne abbia diritto informazioni o notizie che

conosca a causa delle proprie funzioni

• lavorare esclusivamente per la pubblica amministrazione, salvo che nel caso di impiego part time non

superiore al 50% dell’orario ordinario

• effettuare solo incarichi retribuiti, anche in forma occasionale, previsti dalla legge o preventivamente

autorizzati dalla propria amministrazione, salve le eccezioni previste dal Testo Unico 165 del 2001

Doveri dei dipendenti legati alla professione

Per completezza, accenniamo ad alcuni doveri dei dipendenti in quanto professionisti, che operano in

sanità (personale medico e sanitario non medico, operanti nelle aree infermieristica e ostetrica, tecnica,

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riabilitativa e della prevenzione); si tratta di doveri correlati allo status professionale e non al rapporto di

dipendenza.

Doveri di tutti i professionisti di particolare rilevanza giuridica sono, in particolare:

• il dovere del segreto professionale e l’obbligo del referto

• il dovere di tutelare la riservatezza (privacy) della persona assistita

Il segreto professionale, che per il pubblico dipendente si affianca al segreto d’ufficio, trova specifica

disciplina nell’articolo 622 del codice penale (“rivelazione di segreto professionale”), che punisce la

rivelazione senza giusta causa o l’impiego a proprio o altrui profitto di un segreto, di cui sia venuto a

conoscenza in ragione della propria professione.

La tutela del segreto professionale si rafforza e completa con l’articolo 200 del codice di procedura penale,

che stabilisce l’impossibilità di obbligare a deporre in giudizio, fra gli altri, anche gli esercenti le professioni

sanitarie, su quanto hanno conosciuto per ragione della professione. Lo stesso articolo fa tuttaviasalvi i casi

in cui i professionisti abbiano l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria; ossia, abbiano l’obbligo del referto

(o, nel caso di pubblici dipendenti, anche l’obbligo della denuncia).

Il referto è nella sostanza, un rapporto all’Autorità Giudiziaria, nel quale vanno indicati la persona alla quale

è stata prestata assistenza, le sue generalità, il luogo dove si trovava all’atto dell’intervento, i mezzi con i

quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare (articolo 334 del codice di procedura

penale).

L’articolo 365 del codice penale punisce l’esercente una professione sanitaria che, avendo prestato

assistenza in casi che possono presentare i connotati di un reato, omette o ritarda di riferirne all’Autorità

Giudiziaria o alla polizia giudiziaria entro 48 ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente (articolo

334 del codice di procedura penale citato).

Non ricorre tuttavia l’obbligo del referto nel caso in cui ciò esporrebbe la persona assistita a procedimento

penale (articolo 365, ultimo comma, del codice penale citato).

Il dovere di tutelare i dati e la riservatezza del paziente. Al fondamentale dovere del segreto (professionale

e/o d’ufficio) si affianca, anche (e soprattutto) per i professionisti che operano in sanità, il dovere di

tutelare i dati personali della persona destinataria della prestazione professionale, ai sensi del “Codice in

materia di protezione dei dati personali”, approvato con Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ed in

vigore dal primo gennaio 2004.

Si tratta di normativa articolata e complessa; di rilevo, per i professionisti del ruolo sanitario:

• l’obbligo di tenere separati i dati sensibili dai dati comuni;

• il divieto di comunicare a persone indeterminate i dati relativi alla salute (divieto di diffusione)

• il divieto di informare chi non abbia diritto della presenza del paziente in ospedale

• il divieto di informare chiunque della presenza del paziente in ospedale se questi ha

preventivamente espresso il proprio formale dissenso

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• la possibilità per i professionisti non medici di dare informazioni sullo stato di salute alla persona

interessata solo a determinate condizioni (autorizzazione scritta del responsabile del servizio, avere il

paziente in proprio carico, essere formalmente incaricato del trattamento dei dati)

I doveri dei dipendenti in qualità di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio.

Sono pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio coloro i quali, rispettivamente, esercitano una

pubblica funzione o prestano un pubblico servizio (articoli 357 e 358 del codice penale); sono senz’altro tali

i pubblici dipendenti che non svolgono mansioni d’ordine o attività meramente materiali.

Allo stato di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio si correlano specifici doveri e tipiche

responsabilità, sanzionate penalmente (esempio, corruzione, concussione, abuso d’ufficio,ecc.; ne

parleremo a proposito della responsabilità penale).

Tra i doveri, ne ricordiamo due in particolare: il segreto d’ufficio e l’obbligo di denuncia.

Il segreto d’ufficio. Abbiamo già accennato alla disciplina del segreto contenuta nei contratti collettivi e

nella legge 241 del 1990 (articolo 28); esso trova anche disciplina nel codice di procedura penale, all’art.

201, che completa e rafforza la disciplina della legge 241. Esso testualmente recita:

1. Salvi i casi in cui hanno l`obbligo di riferirne all`autorità giudiziaria (331), i pubblici ufficiali (357 c.p.), i

pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) hanno l`obbligo di astenersi dal deporre

(204) su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti (326 c.p.) .

2. Si applicano le disposizioni dell`art. 200 commi 2 e 3.

L’obbligo di denuncia trova la sua disciplina nel combinato disposto degli articoli 361, 362 del codice penale

e 331 del codice di procedura penale. Queste disposizioni prescrivono l’obbligo del pubblico ufficiale e

dell’incaricato di pubblico servizio di denunciare senza ritardo all’Autorità Giudiziaria le notizie di reato

acquisite nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio che svolgono. Tanto il ritardo quanto

l’omissione della denuncia costituiscono a loro volta reato.

In sintesi

Alcuni doveri dei dipendenti sono legati alla condizione professionale, quali:

• il dovere del segreto professionale, previsto dall’articolo 622 del codice penale, che punisce la

rivelazione del segreto senza giusta causa

• il dovere del referto, previsto dall’articolo 365 del codice penale, che punisce il mancato adempimento

da parte del professionista sanitario all’obbligo di rendere noti all'autorità giudiziaria competente i casi,

in cui ha prestato la propria assistenza od opera, che presentino le caratteristiche di reati perseguibili

d’ufficio (per i quali, cioè, non occorre la querela da parte della vittima del reato)

• il dovere di tutelare i dati e la riservatezza del paziente, previsto dal così detto “Codice Privacy”

approvato con Decreto Legislativo 196 del 2003.

Altri doveri dei dipendenti sono legati al fatto che essi siano pubblici ufficiali o incaricati di pubblico

servizio; e i professionisti come i dipendenti dalla categoria C in poi, che operano nella sanità pubblica

lo sono. I due fondamentali doveri sono:

il dovere del segreto d’ufficio, di cui si è già parlato

• l’obbligo di denuncia, ossia di denunciare senza ritardo all’Autorità Giudiziaria i reati di cui il dipendente

sia venuto a conoscenza a causa o nell’esercizio delle proprie funzioni.

Page 29: Le regole di riferimento della prestazione lavorativa

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Le responsabilità

L’articolo 28 della Costituzione dice che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono

direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione

di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici”.

L’articolo 55 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001 prevede che per i dipendenti pubblici “resta ferma la

disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile..”.

Gli articoli da 18 a 30 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 3 del 1957 (Statuto degli

impiegati civili dello Stato) si occupano in modo più preciso della responsabilità del dipendente pubblico

verso l’amministrazione e verso altri soggetti ad essa estranei (i terzi).

I contratti collettivi nazionali di lavoro, infine, descrivono i casi di responsabilità disciplinare (infrazioni) e le

relative sanzioni.

In pratica, il dipendente pubblico è soggetto a tre forme di responsabilità:

• responsabilità civile: quando dal comportamento contrario a regole, derivi un danno patrimoniale a

terzi, con conseguente obbligo di risarcimento del danno;

• responsabilità penale: quando il dipendente commette un reato nell’esercizio o a causa delle funzioni

svolte;

• responsabilità amministrativa: questa responsabilità si suddivide a sua volta in:

o responsabilità per danno erariale: deriva dal danno patrimoniale derivato all’amministrazione dal

comportamento del dipendente contrario a regole;

o responsabilità contabile: grava sui dipendenti che hanno maneggio del danaro o di cose o valori

dell’amministrazione;

o responsabilità disciplinare: deriva dalla violazione dei doveri del pubblico dipendente, descritti nella

legge, nel codice di comportamento e nei contratti collettivi nazionali di lavoro; comporta

l’apertura di un procedimento disciplinare che, generalmente, si conclude con l’irrogazione di una

sanzione disciplinare.

Recentemente, la responsabilità professionale dei sanitari è stata in parte riconfigurata dal così detto

“Decreto Balduzzi” (Decreto Legge 158/2012, convertito in legge 189 dell’8 novembre 2012). Lo scopo è

quello dicontenere il fenomeno della cosiddetta ''medicina difensiva'' che determina la prescrizione di

esami diagnostici inappropriati al solo scopo di evitare responsabilità civili, con gravi conseguenze sia sulla

salute dei cittadini, sia sull'aumento delle liste di attesa e dei costi a carico delle aziende sanitarie.Il

“Balduzzi” stabilisce così che il professionista che si attiene a linee guida e a buone pratiche accreditate e

validate dalla comunità scientifica, risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave, esclusa quindi, in

ogni caso, la colpa lieve.

In sintesi

Page 30: Le regole di riferimento della prestazione lavorativa

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Tre sono le forme di responsabilità cui è soggetto il pubblico dipendente:

• responsabilità civile per danno procurato a terzi, con obbligo di risarcire il danno personalmente nel caso di dolo o colpa grave; negli altri casi l’obbligo grava solo sull’amministrazione

• responsabilità penale, per reato commesso dal dipendente, sia come tale sia come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio

• amministrativa, che si divide a sua volta in responsabilità per danno erariale (danno nei confronti dell’amministrazione), contabile (per i dipendenti che hanno il maneggio del danaro o valori), disciplinare, per comportamenti contrari ai doveri, punibili con sanzioni disciplinari che vanno dal rimprovero verbale fino al licenziamento.