le nostre montagne raccontano la grande guerra · riflessioni sul 23 novem-bre ... martedì 7...

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I NIZIATIVA 7 GENNAIO 2014 L A F ESTA DEL T RICOLORE Classi quinte di scuola primaria dell’IC Darfo 2 SOMMARIO 1. 1. 1. 1. LA FESTA DEL TRICOLORE 2. 2. 2. 2. IL TRICOLORE (CLASSE GOR- ZONE) 3. 3. 3. 3. ALTRIMENTI SONO FLINCO (CLASSE BOARIO) 4. 4. 4. 4. INCONTRO SPECIALE: UGO BALZARI (CLASSE ANGONE) 5. 5. 5. 5. RIFLESSIONI SUL 23 NOVEM- BRE (CLASSE ANGONE) 6. 6. 6. 6. GIUSEPPE UNGARETTI (CLASSE ANGOLO) 7. 7. 7. 7. UN PICCOLO GRANDE EROE (CLASSE ANGOLO) 8. 8. 8. 8. STORIA DELLALPINO DAI DUE NOMI (CLASSE ERBANNO) 9. 9. 9. 9. IL CARTEGGIO FAMILIARE DEL SOLDATO FRANCESCO VELA (CLASSE MONTECCHIO) 10. 10. 10. 10. MONUMENTI AI CADUTI 11. 11. 11. 11. LE VISITE ALLA CHIESA DEGLI ALPINI DI BOARIO 12. 12. 12. 12. INCONTRO A ROVATO n. 3 - Gennaio/Febbraio 2014 L L E E NOSTRE NOSTRE MONTAGNE MONTAGNE RACCONTANO RACCONTANO LA LA G G RANDE RANDE G G UERRA UERRA PAGINA 1 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014 http://montagneraccontano.wordpress.com/

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INIZIATIVA 7 GENNAIO 2014 LA FESTA DEL TRICOLORE

Classi quinte di scuola primaria dell’IC Darfo 2

SOMMARIO

1.1.1.1. LA FESTA DEL TRICOLORE

2.2.2.2. IL TRICOLORE (CLASSE GOR-

ZONE)

3.3.3.3. ALTRIMENTI SONO FLINCO

(CLASSE BOARIO)

4.4.4.4. INCONTRO SPECIALE: UGO

BALZARI (CLASSE ANGONE)

5.5.5.5. RIFLESSIONI SUL 23 NOVEM-

BRE (CLASSE ANGONE)

6.6.6.6. GIUSEPPE UNGARETTI (CLASSE

ANGOLO)

7.7.7.7. UN PICCOLO GRANDE EROE

(CLASSE ANGOLO)

8.8.8.8. STORIA DELL’ALPINO DAI DUE

NOMI (CLASSE ERBANNO)

9.9.9.9. IL CARTEGGIO FAMILIARE DEL

SOLDATO FRANCESCO VELA

(CLASSE MONTECCHIO)

10.10.10.10. MONUMENTI AI CADUTI

11.11.11.11. LE VISITE ALLA CHIESA DEGLI

ALPINI DI BOARIO

12.12.12.12. INCONTRO A ROVATO

n. 3 - Gennaio/Febbraio 2014

LLEE NOSTRENOSTRE MONTAGNEMONTAGNE RACCONTANORACCONTANO LALA G GRANDERANDE G GUERRAUERRA

PAGINA 1 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

http://montagneraccontano.wordpress.com/

PAGINA 2 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

La Festa del Tricolore (7 gennaio 2014)

Martedì 7 gennaio in occasione della “Giornata del Tricolore” le classi quinte di scuola primaria dell’istitu-to hanno partecipato all’iniziativa organizzata presso la scuola media Tovini di Boario, in collaborazione con l’A.N.A. sezione di Valle Camonica e con l’ANPI Valle Camonica. Era presente anche un rappresentante dell’Arma dei Carabinieri e il Sindaco del Comune di Darfo Boario Terme dott. Ezio Mondini. Per l’occasione è stata allestita la mostra con le tavole pittoriche del calendario d’Istituto 2014 ed è stato cantato l’Inno d’Italia con buona partecipazione di tutti i presenti. Alle ore 8,30 la prof.ssa Raffaella Garlandi (A.N.P.I. Valle Camonica) ha presentato “Altrimenti sono Flin-co” – Storia di Tunì, il diario e le lettere dello zio Tunì, Antonio Salvetti, la cui storia è molto simile a quella di tanti altri giovani che come lui, a vent’anni, ricevettero la cartolina e furono spediti sul fronte del Don in Russia a combattere nella seconda guerra mondiale. Al suo ritorno divenne partigiano sotto la guida del Comandante partigiano Giacomo Cappellini. Nell’illustrare il suo libro ha usato una efficace presentazio-ne in power point e ha invitato i bambini a leggere alcune lettere che aveva selezionato. L’incontro è stato particolarmente commuovente e in certi momenti il silenzio lasciava trasparire un intenso coinvolgimento. Verso le 10,20 il prof. Franco Camossi (referente didattico dell’A.N.A. sezione Valle Camonica) ha pre-sentato un filmato di repertorio (in bianco e nero) sulla spedizione italiana in Russia durante la seconda guerra mondiale, che ha introdotto e contestualizzato l’ambiente e le condizioni di vita dei soldati al fron-te. Le immagini erano molto forti e chiarificatrici di quello che i soldati dovettero affrontare in guerra e delle migliaia di vite che il conflitto ha falciato. Successivamente ha preso la parola il sig. Ugo Balzari di 92 anni, reduce dalla campagna di Russia, che combatté nella battaglia di Nikolajevka, il 26 gennaio 1943. Con estrema capacità espositiva ha raccon-tato la sua vita e il periodo della sua guerra. All' età di vent' anni fu arruolato nel battaglione alpini Edo-lo e sul Don combattè come alpino sciatore. Alcuni anni fa gli è stato chiesto di rifare il viaggio sul Don per testimoniare e ricordare quanto accaduto in quegli anni. Molti sono stati gli alunni che gli hanno posto del-le domande. Alla fine ad ogni classe è stato consegnato il Tricolore italiano. L’iniziativa ha riscosso da par-te dei ragazzi molto entusiasmo.

PAGINA 3 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

La nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, ispirandosi al modello della bandiera della Francia, divenuto dopo la Rivoluzione Francese simbolo di libertà, uguaglianza e fraternità, stabilisce all'art. 12: "La bandiera della Repubblica è il Tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni".

La storia del Tricolore Il Tricolore italiano comparve per la prima volta il 14 novembre 1795 in una manifestazione di studenti a Bologna. A ideare la bandiera tricolore furono due patrioti e studenti dell'Università di Bologna, Luigi Zamboni, emiliano, e Giovanni Battista De Ro-landis, piemontese, che unirono il bianco e il rosso, colori delle rispettive città al verde, colore della speranza in un'Italia unita. Per i loro ideali furono poi torturati e uccisi. Solo il 7 gennaio 1797 appare come bandiera ufficiale della Repubblica Cispada-na.

I colori erano disposti in tre strisce orizzontali: il rosso in alto, il bianco in mezzo, il verde in basso e con al centro il simbolo dell'unione delle quattro popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Da allora, le varie vicende dell'Italia portarono molte modifiche alla bandiera, nella forma e nelle decorazioni, conservando comunque i tre colori originari. Il 2 giugno 1946, con l’avvento della Repubblica, nasce il Tricolore definitivo della Repubblica Italiana.

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Cartina dell’epoca

Il Tricolore (classe 5^ Gorzone)

Arianna, Elena, Daniele, Nicola, Bonela, Paola, Martina, Valeria, Andrea, Marco, Giulia

PAGINA 4 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

IL Museo del Tricolore Nel Palazzo Comunale della città di Reggio Emilia, c’è la “Sala del Tri-colore”, ideata dall’architetto dell’epoca poco noto Lodovico Bolognini. Proprio lì, il 27 dicembre 1796, si riunì il primo Congresso delle città ci-spadane, Reggio, Modena, Bologna e Ferrara, che tre giorni più tardi proclamarono la Repubblica Cispadana. Il 7 gennaio 1797, grazie alla proposta del deputato romagnolo Giuseppe Compagnoni, il Tricolore divenne la bandiera ufficiale della neonata Repubblica. Per questo il deputato viene spesso definito come il “Padre del Tricolore”. A pochi passi, nel Palazzo municipale dove nel 1797 è nata la prima bandiera, ha sede il Museo del Tricolore, allestito tra il 2004 e il 2006. Sono esposti documenti, divise, armi e ricordi di famiglia conservati con affetto e divenuti, grazie al museo, patrimonio della Comunità. Il percorso espositivo si articola su due linee parallele: la storia della bandiera nazionale, dalle sue origini alla conquista dell’indipendenza e dell’unità del Paese, e la storia delle vicende politiche di Reggio Emilia. In onore della bandiera tricolore, sono stati scritti discorsi, poesie e canzoni. Secondo un'antica “poesiola” scritta nei “sussidiari” delle scuole elementari di un tempo, nel vessillo (bandiera) dell'Italia ci sarebbe il verde per ricordare i nostri prati, il bianco per le nostre nevi perenni, ed il rosso in omaggio ai soldati che sono morti in tante travagliate guerre, versando il loro sangue. Il cantante italiano Domenico Modugno ha dedicato al nostro Tricolore una canzone dal titolo: “LA BANDIERA” Col bianco delle nevi delle Alpi Col verde delle valli di Toscana, Col rosso dei tramonti siciliani, Noi facemmo una bandiera Rit. Bianca rossa e verde La bandiera tricolor Bianca rossa e verde La bandiera tricolor Rit.

Palazzo Comunale di Reggio Emilia dove ha sede il Museo del Tricolore

Col bianco dei colombi di San Marco Col verde dei miei prati in Lombardia, Col rosso dei papaveri a-bruzzesi, Noi facemmo una bandiera

Col bianco dei capelli di mia madre Col verde di due occhi tanto belli, Col rosso, rosso sangue dei fratelli, Noi facemmo una bandiera Rit.

PAGINA 5 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

Esibizione delle Frecce Tricolore

Inoltre la bandiera tricolore viene appesa dai cittadini alle finestre in occasione di feste nazionali o anniversari che riguardano la storia dell’Italia. In alcune ricorrenze e manifestazioni, le FRECCE TRICO-LORE si esibiscono tracciando nel cielo i colori della bandiera.

La bandiera dei tre colori: La bandiera dei tre colori è sempre stata la più bella, noi vogliamo sempre quella, noi vogliam la libertà. E la bandiera gialla e nera qui ha finito di regnar! La bandiera gialla e nera qui ha finito di regnar!

Tutti uniti in un sol patto stretti intorno alla bandiera, griderem mattina e sera: viva, viva i tre color!

Una legge del 1996 ha stabilito il 7 gennaio la Giornata della Bandiera. La bandiera italiana è esposta all’esterno degli edifici pubblici, come scuole, municipi, caserme, ospedali e sedi istituzionali in genere. Nelle cerimonie uf-ficiali, le autorità che rappresentano il nostro paese, indossano la fascia tri-colore.

“Altrimenti sono Flinco” - Storia di Tunì (classe 5^ Boario)

Andrea, Angelica, Dastion, Giulia, Julet, Kledi, Laura, Nicol

Martedì 7 gennaio siamo andati alle scuole medie Tovini. Abbiamo incontrato la prof.ssa Raffaella Garlandi che è la nipote di Antonio Solvetti detto Tunì, un combattente della seconda guerra mondiale. Quando la signora Raffaella stava raccontando la storia di suo zio, che ha vissuto la seconda guerra mondiale, io stavo per piangere perché la storia del povero Tunì era molto toccante. Una della parti più tristi del racconto è il momento in cui i soldati tedeschi ave-vano fatto scavare a Tunì e a un suo amico partigiano la loro tomba, poi gli hanno sparato e li hanno seppelliti mezzi vivi; in quel momento mi è scesa una lacrima.

La signora Raffaella ha raccontato anche che Tunì aveva una scatola segreta dove c’erano il suo diario, le lettere e i suoi effetti personali. Questa preziosa scatola segreta, ricca di importanti testimonianze c’è ancora, l’ha ereditata la signora Raffaella. E’ stata una giornata molto bella che ci ha permesso di conoscere una parte importante della storia del nostro paese.

Queste sono le parole di un’altra canzone che parla del tricolore

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Storia di Tunì Antonio era nato nel 1922, a Breno, da una fami-glia di contadini, terzo di sei figli. Dopo aver frequentato la scuola elementare, ha cominciato a lavorare, è cresciuto e aveva tanti progetti per l’avvenire ma … è scoppiata la guer-ra. Come tanti altri, è stato costretto ad allontanarsi dalla sua famiglia prima per ricevere l’addestra-mento militare, poi è partito per la Russia nel 1942.

Nelle lettere racconta le cose terribili che lui e i suoi compagni hanno sofferto: il freddo, la fame, la paura, la morte conti-nuamente vicina, soprattutto durante la battaglia di Nikolajewka. Tunì riesce a tornare in Italia nel febbraio del 1943: è ridotto molto male, finisce all’ ospedale, guarisce e … deve tornare a far la guerra.

Dopo l’8 settembre: l’Italia è divisa in due parti: a nord la Re-pubblica Sociale di Mussolini e a sud il re. Come molti giovani, Tunì scappa e si nasconde aiutato dalla sua famiglia. Questa situazione però non lo soddisfa: si mette in con-tatto con il gruppo dei partigiani guidato da Giacomo Cappelli-ni e si trasferisce in montagna, sopra Cerveno. Armato di entu-siasmo e di fiducia, inizia una nuova vita lottando per ridare di-gnità, giustizia e libertà all’Italia. Dopo un’azione di sabotaggio, nell’ottobre del 1944, durante il ritorno decide di andare a vedere la mamma che non sta bene, nonostante sappia che corre un grave pericolo. Infatti viene se-guito e catturato: in carcere resta nove giorni. La sorella lo visita e prova un grande strazio: Tunì è sofferente per gli interrogatori e le torture a cui è stato sottoposto. La sera del 13 ottobre, Tunì e il suo amico Giuseppe sono cari-cati su un carro e portati al cimitero di Breno dove gli fanno sca-vare la fossa e gli sparano: ancora mezzo vivo viene sepolto. Il 6 febbraio 1945 i familiari possono recuperare i corpi che era-no rimasti intatti per il freddo: la sorella di Tunì, Barberina, assi-ste col padre e rivede per l’ultima volta il fratello. Solo dopo la fine della guerra, il 20 maggio 1945, saranno ce-lebrati i funerali di Giacomo Cappellini, fucilato a Brescia in marzo, e degli altri caduti, tra i quali c’era anche Tunì.

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Si è presentato a noi un anziano signore molto simpatico e pieno di vitalità che portava in testa un cappello di alpino. Si trattava di Ugo Balzari, di anni 92, nato a Milano, Porta Ticinese. Reduce dalla campagna di Russia, arruolato il 7 gennaio 1942, a nemmeno vent'anni, nel battaglione Alpini Edolo e inquadrato nella Divisione Alpina Tridentina destinazione Russia, a fianco dell'alleato tedesco. Era alpino sciatore portaordini. Ci ha raccontato che gli alpini erano cinquantasettemila, ripartiti in tre grandi gruppi: Tridentina, Julia e Cuneense schierati a combattere lungo il fiume Don.

Il signor Balzari, nella ritirata, ha partecipato alla battaglia di Nikolajevka (26 gennaio 1943) du-rante la quale gli Italiani riuscirono a sostenere l'attacco e a uscire dalla “tenaglia” russa. Le perdite furono altissime, ma la battaglia fu un successo poiché i soldati, se pur decimati e disor-ganizzati, riuscirono a liberarsi dall'accerchiamen-to. Lo ascoltavamo con attenzione e interesse; lui sa-peva rendere meno drammatico, per noi ragazzi, il racconto di situazioni e di fatti dolorosi inserendo nei discorsi simpatiche espressioni.

La Giornata del tricolore … un incontro speciale con Ugo (classe 5^ Angone)

Alexander, Alice, Andrea, Cecilia, Chiara, Deiana, Daniele, Elisa N., Elisa S., Ezana, Giorgia, Melany, Nour, Sara, Simone, Stefano

Le sue parole “La guerra, che mi ha visto partire fin da ragazzo, è <INDICIBILE>, non si può raccontare e mi ha profondamente segnato sia come soldato sia come uomo”. “Non si può far capire a nessuno quello che si prova quando si deve ucci-dere un uomo: è un sentimento troppo doloroso e intimo”. “Dopo tanti anni sono ritornato sui luoghi della guerra a chiedere perdo-no a quella popolazione perché sono stati gli Italiani ad invadere la loro terra”.

Dal Giornale ... (29-12-2004) L'alpino Ugo è tornato sul Don “Sono qui per chiedere scusa”. Il viaggio del portaordini Balzari, dopo 62 anni sul fronte della ritirata “Ecco dove abbiamo scavato le trincee, eravamo un facile obiettivo” “Intercettammo un carro con il rancio dei russi, era peggio del nostro”.

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Episodi che ricorderemo...

Il reduce, in quel periodo, ha imparato a suonare l'armonica a bocca senza usare le mani poiché in Russia faceva molto freddo e c'era il rischio che si congelassero. Alla fine di una battaglia durante la quale erano morti tantissimi uomini, il cappellano Don Carlo Gnocchi chiese ai soldati di alline-are tutte le salme per benedirle con l'Olio Santo. Quando si accorse che i morti radunati erano solo italiani ordinò di cercare anche i deceduti di altre nazionalità. Erano talmente nume-rosi che l'Olio non fu sufficiente per tutti perciò dovette utilizzare la neve. Ai morti si toglievano sempre le piastrine di riconoscimento da portare alle famiglie in modo che venissero a conoscenza della perdita del loro caro.

Le nostre riflessioni

Ricorderò sempre come il signor Balzari parlava con coraggio della guerra vissuta; nonostante i suoi 92 anni era proprio in buona salute e ricordava tutto con molta lucidità. Ha parlato talmente bene che mi ha fatto tornare indietro nel tempo , come se stessi vivendo an-ch'io quell'orribile periodo. I soldati erano in una situazione tragica e insop-portabile; andavano comunque avanti forti e co-raggiosi.Questo è un insegnamento per tutti noi. E' stata un'esperienza significativa, nessuno della mia classe se la scorderà mai: incontrare una persona che ha combattuto durante la seconda guerra mondiale non capita tutti i giorni. E' giusto che i giovani d'oggi siano informati sul-le guerre che l'Italia ha subito e combattuto. Quando sentiamo parlare della guerra non ci rendiamo conto di ciò che è veramente successo e non possiamo vederla con occhi veri, come il reduce e tutti gli altri soldati. Sentendolo parlare abbiamo immaginato la sua sofferenza, anche per la perdita di tanti giovani amici e com-pagni. La Festa del Tricolore è stata davvero utile, infatti il signor Ugo Balzari non solo ha spiegato la guerra che ha combattuto ma ci ha fatto capire quanto è importante vivere in pace. Le sue parole volevano dire: “W LA PACE - ȝȝȝȝ LA GUERRA”.

PAGINA 9 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

Nella mattinata del 23 novembre ho vissuto un'emozione par-ticolare per la presenza del coro degli alpini e di tutte le classi quinte dell'istituto. Ho visto un nonno che piangeva e, commosso, mi ha det-to:”Con una magia ci avete portato indietro di cento anni. Siete dei bambini speciali”. E' stato un giorno importante per ricordare i caduti della pri-ma guerra mondiale, leggendo le lettere e cantando con il coro. Credo che tutti i partecipanti si porteranno nel cuore l'emozio-ne di questa esperienza e mi auguro che venga trasmessa anche alle generazioni future. Questa giornata interessantissima, dove tutti hanno letto con trasporto le lettere immaginando di essere al posto del soldato e le risposte date da ogni classe, ci ha anche permesso di far capire alla gente cosa pensiamo noi bambini della guerra. Sia le commoventi lettere sia le canzoni cantate sono state significative per far comprendere la sofferenza vis-suta dai giovani soldati, il dolore, la paura, l'angoscia, la fame, il freddo..., ma anche il grande coraggio che nonostante tutto li animava.

Alcune riflessioni sul 23 Novembre (classe 5^ Angone)

Alexander, Alice, Andrea, Cecilia, Chiara, Deiana, Daniele, Elisa N., Elisa S., Ezana, Giorgia, Melany, Nour, Sara, Simone, Stefano

Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, l’otto febbraio 1888 da genitori italiani originari di Lucca. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morì due anni dopo la nascita del poeta in un incidente sul lavoro, nel 1890. La madre, Maria Lunardini, mandò avanti la gestione di un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al figlio, che si poté iscrivere in una delle più presti-giose scuole di Alessandria. L'amore per la poesia nacque durante questo periodo scolastico, in questi anni, il giovane si avvicinò al-la letteratura francese e alla letteratura italiana. Si trasferì poi in Francia a Parigi per svolgere gli studi universitari, dove perfezionò le sue conoscenze letterarie e il suo stile poetico. Dopo qualche pubblicazione sulla rivista Lacerba, decise di partire volontario per la Gran-de Guerra. Un avvenimento come la guerra del 1915-1918 non poteva non rimanere impresso nella mente e nel cuore dei contemporanei; non poteva non essere raccontato dagli scrittori e dai poeti di quell’epoca secondo il proprio modo di sentire. Le poesie più note e conosciute sono proprio quelle di Giuseppe Ungaretti. Le sue poesie, scritte durante la grande guerra, parlano dei sentimenti più profondi dell’uomo, l’amore, la morte, il destino, la sofferenza, la debolezza, la fraternità. E’ strano vedere come lo scrittore non abbia mai parlato male dei nemici o del sentimento dell’odio, anzi, egli stesso dice: “Nella mia poesia non c’è traccia di odio né per il nemico né per nessuno”.

Giuseppe Ungaretti: la poesia come grido di pace (classe 5^ Angolo)

Alessandro, Alice, Andrea, Claudio, Desirée, Gianluca, Greta, Laura, Lorenzo C., Lorenzo M., Luca, Marco, Margherita, Nermin, Nicole, Silvia, Simone

PAGINA 10 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

“San Marino del Carso” Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto Ma nel cuore Nessuna croce manca È il mio cuore Il paese più straziato

Analisi linguistica della poesia di “San Martino del Carso” Questa poesia dal punto di vista linguistico è diversa da quelle che abbiamo analizzato in classe: non è divisa in stro-fe, non ha rime, non ha segni di punteggiatura, ogni verso inizia con la lettera grande. Ungaretti infatti ha la particolarità di scrivere in versi liberi, spezzati, senza punteggiatura per sottolineare la libertà dei sentimenti che prova, per sottolineare la libertà dell’uomo che, anche se costretto a combattere, rimane attaccato alla sua umanità e nessuno gli può impedire di provare emozioni. In questa poesia, come in tutte le altre, è importantissimo l’u-so delle parole, sembra che l’autore vada a ricercare pro-prio la parola giusta che esprima quello che lui vuole, per fare questo elimina il più possibile la punteggiatura e i nessi sintattici per liberare la parola chiave.

Il contenuto di “San Martino del Carso” Il poeta dice che il paese di San Martino è andato completamente distrutto, rima-ne solo qualche pezzo di muro così come delle tante persone che egli conosceva e che gli erano care non è rimasto proprio niente. Costoro sono comunque sempre presenti; nel suo cuore porta a ricordo di ciascun amico una croce: come un cimi-tero. In pochi versi il poeta riesce a comunica-re il dolore immenso per la perdita delle persone care e per la distruzione del paese a causa della grande guerra.

“Veglia” Un’ intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’ amore non sono mai stato tanto attaccato alla vita Cima 4 il 23 dicembre 1915

C’è la presa di coscienza, della condizione umana, della fraternità degli uomini, della sofferenza nella con-dizione più tragica. “Posso essere anche un rivoltoso, ma non amo la guerra, anzi, sono un uomo di pace.” La poesia che analizziamo fa parte della sua prima produzione poetica. Risale al primo anno di guerra per l’Italia, 1915-1916 quando le truppe nemiche lanciarono sul fronte italiano un’offensiva che costò la vita a molti soldati italiani e distrusse tanti paesi fra i quali San Martino.

PAGINA 11 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

Pietro Zanelli nacque ad Angolo Terme il 3 luglio 1899 e morì, a soli 18 anni, sul monte Ortigara il 21 lu-glio 1917 in seguito alle ferite riportate durante i combattimenti. Abitava in Via San Silvestro con la mamma Antonia Tiraboschi, tre fratelli e due sorelle; il papà Taddeo era morto in giovane età. Fu arruolato nel 1917 nel 9° Reggimento Alpini. Prima fu man-dato ad Edolo in attesa di sapere la propria destinazione, quindi fu inviato al fronte “che non sapeva ancora usare le ar-mi ” dove morì dopo due mesi. In tasca gli trovarono un libricino di preghiere. Infatti era molto religioso; nella lettera che abbiamo letto a scuola, racconta che essendo nel mese di maggio, andava a messa tutte le sere. La notizia della sua morte venne comunicata alla famiglia tra-mite una cartolina postale. A casa c’erano solo la mamma, le due sorelle e Tomaso, il fra-tello più piccolo, perché sia Giacomo di 23 anni che Giovanni di 21 erano anche loro al fronte. Ed è proprio Giacomo che il 12 luglio del 1917, dopo aver saputo della morte del fratello, scrive alla mamma una lettera molto commovente. Leggendola si capisce il dolore provato per la scomparsa di Pietro, la tristezza per la lontananza da casa e l’angoscia per tutto ciò che vede intorno a lui. Eppure cerca di fare coraggio alla mamma scrivendole di non preoccuparsi che Pietro anche se “non si è potuto confessare sarà in Paradiso lo stesso. Perché muore innocente; la sua penitenza l’ha già fatta essendo dovuto spirare senza essere assistito dalla sua mamma, dai suoi fratelli e senza il misero conforto dalla sua famiglia. Chi sa quante volte ci avrà chiamato! Il suo purgatorio l’ha provato mentre lo portavano giù da quel monte in mezzo a quei tormenti. Fatevi coraggio cara Mamma: fu assistito da suo padre che non l’avrà mai abbandonato e tante volte l’ho veduto anch’io nei miei pericoli e mi faceva sempre coraggio.” E mentre i suoi figli si trovavano al fronte la mamma pregava per loro scrivendo questa bellissima preghie-ra: “A voi, che siete il Dio degli eserciti raccomando i nostri soldati combattenti e vi prego di condurli presto al trionfo della vittoria. Infondete loro coraggio e intrepidezza, liberateli dai pericoli, sosteneteli nella dura vita del campo, salvateli dal furore del ferro e dal fuoco, fate che presto ritornino in seno alle desolate famiglie ad apportarvi di nuovo il sorriso.”

Un piccolo grande eroe: Pietro Zanelli

Analisi della poesia “Veglia” Veglia, è una delle prime poesie scritte da Ungaretti ricordando l’esperienza sul Carso dove gli italiani subirono la più disastrosa sconfitta della prima guerra mondiale. Il poeta scrive di aver passato la notte accanto ad un compagno morto con il viso sfigurato dal dolore e le mani irrigidite dal freddo e dalla morte. Eppure in quella notte ha scritto lettere d’amore e si è sentito attaccato alla vita come non mai. A prima vista ci è sembrato molto strano questo contrasto poi, riflettendo con la maestra, ci siamo accorti che il poeta prova attaccamento smisurato per la vita perché si è reso conto, essendo a contatto con la morte, di che dono straordinario essa sia non solo per sé ma per tutta l’umanità. Proprio per questo, con le sue parole, Ungaretti vuole gridare la sua contrarietà alla guerra che mai riusci-rà, anche nei suoi aspetti più crudeli, a sconfiggere l’amore e i sentimenti nel cuore dell’uomo.

PAGINA 12 LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO LA GRANDE GUERRA, n. 3 - Gennaio/Febbraio2014

Storia dell’alpino dai due nomi: il mistero è svelato! (classe 5^ Erbanno) Alessia, Alice, Alina, Andrea, Angela, Attilio, Camilla, Davide, Elia, Elisa, Francesca, Francesco, Gabriele, Giacomo, Lorenzo, Luca, Manuel, Marta, Paolo B., Paolo C., Valentina

A settembre ci era parso che la nostra anima volasse, là sulle montagne, e che, tra le tracce della guerra, sognasse la pace. Poi, a novembre, abbiamo conosciuto attraverso la sua lettera Marco Baisini/Ventura e il nostro cuore si è riempito di stupore e di curiosità. Volevamo a tutti i costi scoprire la storia di questo corag-gioso alpino, che nel librone che raccoglie le lettere dei caduti della prima guerra mondiale non aveva né un'identità certa né una data di nascita e di morte accertate. Non conoscevamo nemmeno il suo volto. Francesca, una delle nostre compagne, ha svolto alcune ricerche che ci hanno aiutato a svelare il mistero, così abbiamo potuto ospitare in classe le signore Ricca e Miranda, nipoti dell'alpino Marco Baisini; le ab-

biamo intervistate e ora siamo soddisfatti! Secondo noi, la confusione con il cognome è nata a causa del pa-pà di Marco, che si chiamava Bonaventura, e quindi da un errore di trascrizione nei registri militari. Le due signore inoltre ci hanno confermato che esisteva uno zio Felice che abitava proprio a Corna, come scrisse Marco nella sua lettera, e che combattè sul-l'Adamello. Marco era il primo di sette fratelli e, dall'età di 16 anni, dovette aiutare la mamma, che era rimasta vedova, a crescere i suoi fra-telli. In famiglia si racconta che fosse un ragazzo serio, responsa-bile e simpatico, che amava ballare e divertirsi. A quei tempi le scarpe si usavano solo nelle occasioni importanti e a ballare si indossavano gli zoccoli. Chissà che rumore sulle pietre delle piaz-ze! Abbiamo guardato una fotografia dei genitori di Marco: erano davvero molto seri. Usando gli archivi parrocchiali, è stato possibile ricostruire l'albe-ro genealogico di questo soldato fino al 1600. L'atto di nascita dice “nato a Erbanno il 14 dicembre 1894 alle ore 11, figlio di Baisini Bonaventura e di Sangalli Bernarda. Battezzato lo stesso giorno, madrina era Morandi Pierina negoziante di Brescia”. Abbiamo letto anche la registrazione della sua morte. Infatti il 28 maggio 1916 il parroco Pedersoli scrisse “Oggi è arrivato dal

Comando militare un telegramma annunziante che il Soldato Alpino Baisini Marco fu Bonaventura e di Ber-narda Sangalli, cadde da eroe nel combattimento avvenuto nella zona dell'Adamello contro gli Austriaci, colpito nel petto da una palla nemica. Prima vittima che Erbanno sacrificò per la Patria.” Le signore Ricca e Miranda ci hanno mostrato anche una foto delle nozze della nonna di Alice, una delle nostre compagne: Dina infatti era nipote di Marco e nella foto ci sono i suoi zii, fratelli e sorelle del soldato.

In un'altra fotografia appare invece il bisnon-no del nostro compagno Gabriele, perchè era un amico di Marco e anche lui combattè nella prima guerra mondiale. Ci è stato possibile anche analizzare un altro importante documento dell'epoca: l'elenco de-gli oggetti consegnati alla famiglia dopo la morte di Marco. Abbiamo maneggiato con cura quel foglio ingiallito, perchè è un docu-mento autentico, che racconta che il sindaco di Erbanno ricevette dal Comando Deposito del 5^ Reggimento Alpini un vaglia di 5.40 lire per la famiglia del soldato morto e gli oggetti che questi aveva con sé sull'Adamello: il libret-to personale, una “borsa di pulizia”, varie let-tere, un fazzoletto, alcune immagini e meda-glie sacre e ben undici libri.

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Abbiamo pensato che a Marco piacesse davvero leggere... Da piccolo aveva frequentato la prima e la seconda ele-mentare, anche se l'obbligo scolastico era fino alla terza elementare; il comune di Erbanno infatti, che allora pagava la maestra, ne aveva assunta una solo per le prime due classi. Una delle medaglie che abbiamo osservato portava quest' iscrizione e ci è piaciuta: il figlio che nacque dal dolore ti ri-nasce o beata nella gloria e il vivo eroe piena di grazia è te-co. Nella famiglia di Miranda e Ricca è stato tramandato que-st'episodio: il 30 marzo 1916, alle quattro di mattina, la mamma di Marco e la sorella che dormiva con lei sentirono bussare alla porta e una grande luce, simile a quella del sole, invase la stanza da letto. Non c'era nessuno, fuori era buio, ma le due donne pensarono subito a Marco. Un mese dopo, il 30 aprile 1916, giunse il telegramma con la notizia della sua morte, avvenuta proprio il 30 marzo 1916. Poco dopo, fu chiamato alle armi il fratello di Marco, papà della signora Miranda, che rimase in guerra per tre anni e sopravvisse. Nella sua lettera Marco chiedeva informazioni sulle terre che lavorava: ora sappiamo che erano sulla riva dell'Oglio,

dove ora passa la pista ci-clabile. La sua famiglia non ne possedeva molte, era povera. Però con molti sacrifici e con l'aiuto di suo cognato la mamma di Marco riuscì a comprare la casa che abitava con i suoi figli. Costava 7 mila lire (circa 3 euro e 50!). Si trova a Erbanno, in via Costiano. Le lettere dei soldati venivano censurate, perciò le due signore non hanno molte notizie della vita di Marco sull'Adamello. Sanno però che Marco ven-ne in licenza durante la guerra e che disse che non voleva più tornare sul-l'Adamello, ma poi partì di nuovo per senso del dovere, proprio quello di cui parlava nella sua lettera. E' trascorsa da poco la giornata della memoria e, ancora una volta, abbia-mo parlato di guerre assurde e dell'importanza di non dimenticare: adesso che abbiamo indagato e conosciuto, adesso che la storia di Marco ci è sta-ta raccontata, la memoria di questa vita finita molto presto fa parte anche della storia di ciascuno di noi.

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Il carteggio familiare del soldato Antonio Francesco Vela (classe 5^ Montecchio)Alessandro, Alessia, Alex, Daniele, Filippo, Marta, Michela, Nicola, Stefano, Sveva, Valeria

Il prof. Roberto Andrea Lorenzi nel libro “Archivi della memoria. Storia orale di Montecchio” narra, attraverso i testimoni orali, la storia di questa piccola comunità dalla fine dell’Ottocento sino alla grande alluvione del 1960. In appendice è ripor-tato il carteggio familiare del soldato Antonio Francesco Vela. Si tratta di 4 lettere scritte dal soldato nel 1917 e 1918. Francesco Antonio Vela è nato nel 1899. Dalle sue quattro lettere ricostruiamo la sua vita di quei mesi. Francesco ha iniziato l’addestramento per andare al fronte a Biassono, a 5 chilometri da Monza. E’ molto socievole, simpatico, fa facilmente cono-scenza con i superiori e gli vogliono tutti bene sin dal primo giorno, intendono pro-muoverlo caporale. I soldati in paese vengono accolti bene, la popolazione è reli-giosamente osservante, al punto che se si sente un soldato bestemmiare o scherzare con una ragazza questo viene punito. Anche qui c’è la “casa

del soldato”, gestita dal Reverendo Arciprete, dove i soldati si riunivano a scrivere e a ascoltare il fonografo (l’antenato del giradischi). Francesco rassicura i suoi familia-ri di non preoccuparsi, partirà per il fronte non prima di due o tre mesi, nel frattem-po andrà a Somma Lombardo ad esercitarsi nei tiri. Richiama l’attenzione dei fami-gliari sulla corrispondenza, ha scritto due lettere agli zii mandandogli anche una fotografia, ma non gli hanno mai risposto, non si spiega il motivo di questa lunga assenza. Consiglia i famigliari di scrivergli uno per volta così tutti i giorni può avere informazioni. Li rassicura che di salute sta bene ma gli servono i soldi. Credeva di tornare a casa in licenza ma è permesso solo a chi ha un familiare gravemente malato, documentato con il telegramma firmato dai carabinieri. Aggiunge un P.S. in cui chiede delle calze di lana e dei guanti perché comincia a fare freddo. Nella terza lettera scrive che è al comando del battaglione marciante come ciclista, l’hanno vestito a nuovo con l’elmetto d’acciaio e è pronto per “difendere” la patria. Deve far accorciare e stringere la divisa nuo-va, non ha più soldi e chiede di mandarglieli, quando riceverà il vaglia di almeno 50 lire, si farà fare an-che una fotografia, forse l’ultima perché ha il timore di morire al fronte. Racconta che il suo tenente ha tro-vato nella tasca di un prigioniero tedesco un foglietto del comando tedesco con scritto di “avanzare, di-struggere tutto uccidere donne e bambini”. Li avverte che la situazione sta peggiorando e la guerra è sem-pre più feroce. Nell’ultima lettera comunica che è sulla linea del fronte, non ha più loro notizie, non ha biso-gno di soldi e si trova al pericolo; li conforta rassicurandoli che per qualche giorno non potrà scrivere e si augura che si aprano le licenze per la sua classe. Si scusa del brutto scritto dovuto alla difficoltà di scrittura perché è sotto una roccia al riparo dalle granate.

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Lettera di Francesco Antonio da Biassono 4 settembre 1917

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Per avere maggiori informazioni siamo andati al munici-pio di Darfo all’ufficio Anagrafe. Giuseppe, l’impiegato dell’ufficio, ci ha aiutato a rintracciare nei registri il no-stro soldato. Abbiamo visto il registro delle nascite dell’-allora Comune di Erbanno con la registrazione al n. 4, della nascita di Vela Antonio Francesco, registrata il 2 marzo 1899 con queste informazioni: nato il 1° marzo 1899 alle ore sei e trenta del mattino da Vela Domeni-co e Barbetti Giovanna, abitanti nel comune di Erbanno, nella sua colonna però non ci sono ulteriori informazioni. Quando è morto? Si è sposato? Dove ha vissuto? Giusep-pe ci ha detto che l’unica traccia di registrazione della morte di un certo Antonio Vela era datata 10 febbraio 1941, morto in Albania, ma nato nel 1906. Non può es-sere la stessa persona!! Perché nati in anni diversi. Giuseppe ha consultato il registro delle nascite nel comu-ne di Erbanno del 1906 per scoprire se le famiglie fos-sero la medesima. Abbiamo scoperto che l’ atto di nascita di questo secondo soldato dal nome Antonio è registrato al n. 16, con il nome di Vela Antonio, protocollata il 28 giugno 1906 con queste informazioni: nato il 25 giugno 1906 alle ore cinque del mattino, da Vela Domenico e Barbetti Giovanna, abitanti nel comune di Eribanno, nella sua colonna sono presenti ulteriori informazioni: è morto in Albania, località Scia-lesit, il 10 febbraio 1941. Giuseppe ha consultato il registro dei morti del comune di Darfo e ci ha fatto vedere che all’atto n. 5 c’era la registrazione della morte di Antonio Vela, morto a trentaquattro anni a se-guito di una ferita d’arma da fuoco, e sepolto a Scialesit (in Albania). Era celibe, non sposato e senza figli. Giuseppe ci ha stampato la scheda individuale di Vela Antonio in cui sono registrati: i nomi dei suoi genitori, la data di nascita, la professione (era segantino), la cittadinanza italiana, la data della morte. A questo punto abbiamo dedotto che si trattava di due fratelli, allora Giuseppe ci ha anche fatto vedere il registro delle nascite del 1867 per approfondire informazioni riguardo al padre Domenico Vela, nato nel 1867 (perché aveva 32 anni alla nascita di Francesco e 39 anni alla nascita di Antonio, come si desume dagli atti di nascita dei due figli). Domenico Vela è nato il 24 novembre 1867 a Erbanno alle ore 10. Sulla stessa pagina c’è l’atto di nascita della moglie di Domenico, nonché mamma di Antonio e Francesco, Barbetti Gio-vanna, nata il 19 novembre 1867 registrata al n. 30. Si sono sposati il 27 gennaio 1899, entrambi all’età di 32 anni. Si può risalire alla composizione della famiglia? Giuseppe ha fatto una ricerca nell’archivio digitale del comune e ha rintracciato la scheda della famiglia di Domenico Vela compilata il 13/12/1929 dove si possono leggere i nomi dei componenti con da-ta nascita e morte e cambio di residenza: Vela Domenico nato il 19 novembre 1867 morto 19 settembre 1952, 1° moglie Barbetti Giovanna nata il 19 novembre 1867 morta il 20 ottobre 1918 2° moglie Sangalli Caterina nata il 1° gennaio 1865 morta il 25 giu-gno 1939 (sposata il … febbraio 1920) 1° figlio Vela Anna Maria (…) nata il 21 novembre 1897 morta 26 giugno 1969 2° figlio Vela Margherita nata il 12 marzo 1901 morta il 26 dicem-bre 1980 3° figlio Vela Antonia Maria nata il 2 febbraio 1903 e emigrata a Breno il 16 aprile 1931 (data del matrimonio) 4° figlio Vela Antonio nato 25 giugno 1906 morto in guerra il 10 febbraio 1941 5° figlio Vela Giulia Santa nata il 27 giugno 1908 emigrata a Monti-chiari nel 1955 6° figlio Vela Giacomo, nato il 18 ottobre 1904 invalido

Manca nell’elenco Vela Francesco Antonio!!!!! La nostra ricerca proseguirà, andremo alla canonica di Erbanno a rin-tracciare nel registro dei battezzati il suo nome. Proviamo anche con i parenti e andremo anche al cimitero di Erbanno e Darfo.

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Il monumento è, per sua natura, un segno collocato intenzionalmente per tramandare una precisa memoria. Le attività delle classi quinte prevedono in questo periodo un’attenzione particolare ai monumenti ai caduti così da: Leggere un monumento nei suoi elementi compositivi e stilistici; Cogliere il valore della presenza dei monumenti nel territorio; Conoscere la memoria che il monumento tramanda; Individuare il gruppo/ gruppi depositari di tale memoria. Il monumento è collocato generalmente in un luogo pubblico o di accesso pubbli-co (piazza, strada, chiesa, municipio, scuola, ecc.); deve ricordare un avvenimento, una persona, un concetto che si intende affermare nella collettività (cittadina, nazionale o internazionale). A partire dalla collocazio-ne sul territorio dei monumenti si avrà modo di ripercorrere vicende della corrispondente memoria collettiva, in riferimento a comuni eventi storici (prima e seconda guerra mondiale). Altro elemento interessante è l’indi-cazione della committenza, a volte pubblica (Amministrazioni comunali), più spesso di parte (Associazioni di partigiani), talora perfino individuale (la famiglia).

La chiesa parrocchiale di Boario Terme, intitolata a Santa Maria delle Nevi, è in realtà conosciuta da tutti, residenti e turisti, con il nome di “Madonna degli Alpini”, che ne ricorda manifestamente le origini: fu eretta infatti per adempiere al voto, formulato dal cappellano militare don Guido Turla durante la drammatica ritirata di Russia, di innalzare un tempio alla Madonna, Regina della pace, in memoria delle indicibili sofferenze affrontate allora dagli Alpini e in suffragio dei caduti di tutte le guerre. Ricorre quest’anno il sessantesimo della posa della prima pietra della costruzione, iniziata appunto nel 1953 su impulso dello stesso don Turla. Le visite guidate nei giorni 26 e 27marzo condotte dalla professoressa Bice Galbiati Grillo, autrice di un libro sulla chiesa stessa, consenti-ranno di osservare e comprendere meglio i diversi elementi della pre-gevole struttura artistica che si ricollegano alla sua storia ponendo attenzione alla cripta-sacrario, tappezzata di lapidi ricordo e alle ico-ne russe della cappella di destra. Calendario: Mercoledì 26 marzo ore 8 - 9 classi 5^ Boario - Erbanno Mercoledì 26 marzo ore 9 -10 classi 5^ Angone - Montecchio Giovedì 27 marzo ore 10 -11 classi 5^ Angolo - Gorzone

Dalla memoria dei “Monumenti ai Caduti” …

Visita guidata alla chiesa Madonna degli Alpini di Boario

“Io sono di buona salute come spero di voi e anche di tutti…”

a Rovato con le classi quinte della Don Milani e i Ricercatori

Sabato 5 aprile 2014 presso l’aula magna della scuola primaria Don Milani dell’I.C. di Rovato è in pro-gramma un incontro “Io sono di buona salute come spero anche di voi e di tutti” tra le classi quinte del nostro e del loro istituto con due storici, in rappresentanza del Corso di Avviamento alla Ricerca Storica di Rovato. La partenza da Boario è verso le 8 e il viaggio viene effettuato in pullman. Alle ore 9,10 1) Ci accoglieranno gli alunni di classe quinta della scuola Don Milani che illustreranno le lapidi in ricordo ai caduti del primo conflitto presenti all’ingresso e gli affreschi sulle pareti in aula magna. Alle ore 9,40 2) “Io sono di buona salute come spero anche di voi e di tutti” da un’idea di Bruno Poli Imitatori, intervengo-no Francesco Zeziola e Bruno Poli Imitatori: breve presentazione ci cosa successe nel 1919; consegna let-tere all’archivio di stato (la slide con i falconi); resoconto a cura del sig. B. Poli Imitatori che con il treno o-gni tanto si fermava a Brescia e allora cominciava a scrivere; come sono le lettere quella della prigionia e una normale; copertina del volume ore 10, 30 3) il progetto “Le nostre montagne raccontano la grande guerra” classi quinte dell’I.C. Darfo 2: il soggior-no in alta Valle Camonica sui luoghi della memoria; i canti scelti degli alpini del coro ANA; le lettere dal fronte: selezione dei materiali e lettere di risposta con la ricostruzione della vita del soldato; il giornalino uscita bimestrale con scelta logo e articoli di corredo; il calendario con le illustrazioni in collaborazione l’ Ass. Arte al ponte; il lavoro sui monumenti ai caduti. Ore 11,30 conclusione dell’iniziativa e rientro in valle Camonica.