le iscrizioni poetiche relative a erode attico: testo
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Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico:
testo rivisto, traduzione e commento
Inaugural-Dissertation Zur
Erlangung der Doktorwürde der Philologischen Fakultät
der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg i. Br.
vorgelegt von
Andrea Toma aus Copertino (Lecce), Italien
SS 2008
Erstgutachter: Prof. Dr. Bernhard Zimmermann Zweitgutachter: Prof. Dr. Onofrio Vox Vorsitzende des Promotionsausschusses Der Gemeinsamen Kommission der Philologischen, Philosophischen und Wirtschafts- und Verhaltenswissenschaftlichen Fakultät: Prof. Dr. Elisabeth Cheauré 24.11.2008
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Introduzione
Il presente lavoro è dedicato all’analisi filologica dei testi poetici collegati
alla figura di Erode Attico, il maggiore rappresentante di quel movimento
culturale fiorito nel II sec. d. C., noto con il nome di Seconda Sofistica secondo la
definizione di Philostr. V. S. 1, 481. Si tratta di un periodo in cui filosofi e retori
ricoprivano le principali cariche dell’Impero romano, esercitavano la loro
munificenza a beneficio delle loro comunità e dominavano il campo intellettuale
servendosi come mezzo di comunicazione della prosa, caratterizzata dall’uso
esperto e disinvolto della parola1. Per questa ragione, sottolinea Bowie 1989a,
209, «the role of poetry and poets in the Greek society of the Second Sophistic is
easy to underestimate». Questo però non significa che essi disprezzarono la poesia
perché sotto i loro nomi sono stati tramandati componimenti appartenenti a generi
diversi, quale quello epico, tragico, lirico ed epigrammatico2. È proprio
quest’ultimo il genere più frequentato dai sofisti. Ne restano tracce sulle stele, le
quali testimoniano vari livelli di cultura e abilità versificatoria. Bowie 1990, 53,
spiega i motivi per cui l’epigramma rimase il genere più popolare: «any well-read
person (pepaideumenos) knew hexameter and elegiac models that could suggest
words and ideas, and did not need to be a professional poet to write metrically for
a few lines. Moreover epigrams were short enough to risk on a readership of
friends, or on a convivial gathering, and continued to have a function in public life
- particularly epitaphs, but also dedicatory, honorific, and commemorative
inscriptions».
Il commento delle iscrizioni poetiche relative al neosofista Erode Attico ne
vuole ricostruire la figura dal punto di vista letterario e si distingue per questo
dalla maggior parte dei lavori precedenti che hanno un carattere prevalentemente
1 Gli studi sulla Seconda Sofistica hanno iniziato a guadagnare maggiore interesse a partire dai contributi di BOWERSOCK 1969 e 1974, il quale sottolinea l’importanza sociale svolta dai sofisti quali mediatori tra le province e la capitale dell’Impero. Ved. GERTH 1956, BOWIE 1970, KENNEDEY 1974, BASILEIOS 1981, BOWIE 1982, ANDERSON 1989, SIRAGO 1989, ANDERSON 1990, ANDERSON 1993, NICOSIA 1994, GLEASON 1995, SCHMITZ 1997, KORENJAK 2000, BOWIE 2003, BORG 2004, ESHLEMAN 2005, WHITMARSH 2005. 2 Sulla produzione letteraria e poetica del II sec. d. C. ved. NORTH 1952, DEN BOER 1955, VAN
GRONINGEN 1965, K INDSTRAND 1973, STANTON 1973, STEINMETZ 1982, BOWIE 1989a , 1989b, CIZEK 1989, STEINMETZ 1989, BOWIE 1990, RUSSELL 1990, BOWIE 1991, SWAIN 1996, RUTHERFORD 1998, WHITMARSH 2001, BOWIE 2002, WHITMARSH 2004.
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storico e archeologico. Gli storici hanno mirato a chiarire aspetti quali il rapporto
di patronato tra Erode e i cittadini delle città da lui beneficate mentre gli
archeologi hanno concentrato l’attenzione sugli edifici che Erode Attico aveva
fatto edificare o ristrutturare, con lo scopo di individuarne uno stile distintivo.
Questi studi hanno preso in esame i testi poetici con l’obiettivo di ricostruire in
modo quanto più completo possibile la figura del neosofista, combinando le
informazioni epigrafiche con quelle che si possono dedurre dalla ricca
documentazione letteraria offerta da Flavio Filostrato, Luciano, Pausania,
Frontone e Aulo Gellio.
L’interesse per Erode Attico da parte degli studiosi nasce dal fatto che egli
sembra incarnare appieno la figura del nuovo sofista: intellettuale di successo e
abile conferenziere, inserito interamente nella vita amministrativa e sociale
dell’Impero, capace di accumulare ingenti patrimoni, promotore di numerose
costruzioni (circa venticinque) in città dell’Italia, Grecia, Epiro e Turchia.
Erode Attico è uno dei pochi personaggi dell’antichità sul quale siano state
tramandate molte notizie: oltre centocinquanta iscrizioni citano il suo nome per le
cariche da lui ricoperte o per la datazione di avvenimenti. Altre iscrizioni invece
ricordano le sue opere evergetiche oppure hanno come tema vicende che
riguardano la vita privata del neosofista. Esse provengono dalle aree geografiche
in cui egli aveva dei possedimenti: Maratona, Cefisia, Corinto e Roma. La sua
presenza in queste aree è ricordata da testimonianze antiche e confermata da
ritrovamenti archeologici. Di queste iscrizioni quattordici sono componimenti
poetici in esametri o distici elegiaci di varia lunghezza, da un minimo di due versi
a un massimo di cinquantanove.
Poiché si tratta di testi poetici incisi su monumenti o basi di statue di
familiari di Erode, in questo lavoro il termine epigramma verrà impiegato nel suo
significato originario di testo scritto su pietra e non nell’accezione comune di
breve componimento letterario, in quanto i testi possono essere assegnati per le
loro caratteristiche a generi diversi da quello dell’epigramma, quale l’inno e
l’encomio.
Poiché questi epigrammi sono incisi su elementi strutturali di edifici, ne
consegue che il messaggio di ogni componimento si coglie appieno solo se
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inserito nel complesso architettonico di appartenenza. Cito solo un esempio,
quello delle tre iscrizioni presenti sulla Porta della Concordia immortale a
Maratona. La sola lettura di IG III 403 = IG II2 5189 µονοαςθαντ[ου]πλη
ρδουχροςεςνεσρχε[ι], l’unica a essere stata scoperta nel 1792, aveva
convinto Graindor 1914, 75, a interpretare questo monumento come testimonianza
della riconciliazione avvenuta tra Erode e la città di Atene dopo le vicende
giudiziarie di Sirmio e a leggere nella Concordia dell’iscrizione la
personificazione di questo nuovo clima cittadino. La scoperta nel 1926
dell’iscrizione IG II2 5189a µονοαςθαντ[ου]πλη !ηγλληςχροςεςν
εσρχει, posta sullo stipite opposto, ha permesso di pervenire alla giusta
interpretazione del complesso architettonico e delle sue iscrizioni. La Porta della
Concordia immortale è infatti il simbolo della felice unione matrimoniale tra
Erode e Regilla, alla quale egli dona un appezzamento di terreno a Maratona in
occasione del loro matrimonio, mentre la Concordia che compare nelle due
iscrizione è la divinità che protegge la relazione matrimoniale. La sua citazione
conferisce a questa zona tra Vrana e Maratona un significato quasi sacrale. Erode
mutua l’idea di una città caratterizzata «dalla progressiva sacralizzazione degli
spazi» (Calandra 2006, 279) dall’imperatore Adriano, la cui imitatio è un punto
costante nella sua vita e attività evergetica ad Atene. A questo processo di
sacralizzazione degli spazi appartiene anche il desiderio di perpetuare la memoria
dei cari. Per questo motivo Erode, dopo la morte della moglie (160-161 d. C.), fa
incidere sul pilastro destro della porta un epigramma funebre (SEG 21, 123 = 99
Ameling) in cui è espresso il suo grande dolore per la perdita della consorte e la
sua immagine pubblica di uomo felice viene messa a confronto con quella privata
di marito afflitto per la morte di Regilla. In questo modo, l’arco, con le sue tre
iscrizioni, sembra rinviare a una zona necropolare o quanto meno memoriale.
Per quanto riguarda l’identità dell’autore degli epigrammi, mancano
elementi decisivi che permettano di attribuire questi testi con certezza alla mano
di Erode Attico stesso. Alcuni epigrammi sono stati composti da poeti su
commissione di Erode Attico: ne sono un esempio i due poemetti provenienti dal
possedimento romano di Erode sulla via Appia (IG XIV 1389 A, B = 146
Ameling A, B). Qui l’identità dell’autore è garantita dal genitivo del suo nome
4
posto prima dell’inizio del primo componimento. In ogni caso queste iscrizioni
poetiche sono degne di interesse perché si fanno portavoce degli interessi diretti di
Erode Attico, visto o come l’autore oppure come il committente attento a ogni
dettaglio e offrono la possibilità di studiare il modo in cui Erode si servì della
cultura classica e della tradizione mitologica e letteraria per conferire alla sua
persona una veste letteraria e definire la sua identità greca nell’ambito del mondo
romano.
Il mito, p. es., offre ad Erode i presupposti necessari per rivendicare una
discendenza mitica e divina pari a quella che ogni Romano poteva ascrivere a sé;
cfr. IG XIV 1389 A, 30-3 = 146 A, 30-3 Ameling. Per un greco come Erode
Attico che aspirava a svolgere una funzione importante anche a Roma, nella κοιν$
πατρς di tutti gli abitanti dell’Impero romano, era importante non risultare
inferiore per fama e nobile discendenza alla classe senatoria romana.
Tutti i componimenti nascono da un’occasione reale quale la dedica di una
statua di Regilla, la morte di un familiare, un avvenimento politico o il
ringraziamento per la guarigione da una malattia. Quasi tutti hanno in comune il
tema dell’amore e/o del dolore di Erode Attico per la morte della consorte Regilla,
dei figli naturali e adottivi. Queste vicende vengono trasferite nella sfera del mito
attraverso un lessico poetico ricercato, peraltro determinato da precise necessità
metriche. Ricorrenti sono i riecheggiamenti classici, soprattutto omerici, la ripresa
di termini adoperati dalla poesia ellenistica, in particolare da Callimaco, i
riferimenti a situazioni e a personaggi mitici; cosicché il lutto per Regilla viene
esemplificato con l’immagine della casa completata a metà di Laodamia, vedova
di Protesilao (SEG 21, 123 = 99 Ameling), il dolore per la morte di un figlio nei
primi mesi di vita che lo porta al taglio dei capelli in segno di lutto ricorda
l’analogo gesto compiuto da Achille per la morte dell’amato Patroclo (SEG 26,
290 = 140 Ameling). Un poemetto frammentario sottolinea il legame di amicizia
di Erode con l’imperatore Lucio Vero (Peek 1942, 330 = 186 Ameling) mentre un
altro (IG II2 3606, 1-5 = 190 Ameling 1, 5) saluta il ritorno ad Atene di Erode e la
sua riconciliazione con gli abitanti della città che in un corteo sontuoso gli danno
il benvenuto secondo un cerimoniale riservato agli imperatori. Infine un tema
ricorrente degli epigrammi collegati alla figura di Erode Attico è quello
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dell’origine della sua famiglia da Maratona, demo ateniese che nel 490 a. C. vide
la vittoria contro il nemico persiano della Grecia unita sotto il comando di
Milziade che egli annovera tra i suoi antenati. L’allusione a noti avvenimenti
mitici testimonia la volontà di Erode da una parte di assimilare le proprie vicende
a quelle del passato mitico, dall’altra di rivolgersi a un pubblico selezionato,
dotto, in grado pertanto di cogliere tale assimilazione, che lo inserisce nel solco
della tradizione poetica della sua patria.
* * *
Qui di seguito, dopo l’elenco delle abbreviazioni usate, presento la biografia
di Erode Attico, la quale mira a ricostruire soprattutto gli avvenimenti storici
relativi alla stesura degli epigrammi. Segue il commento filologico dei testi
poetici. Il loro censimento è stato condotto sul catalogo curato da W. Ameling,
Herodes Atticus: II. Inschriftenkatalog, Hildesheim 1983, di cui ho riprodotto il
testo, apportando delle modifiche in alcuni punti, là dove l’analisi le rendeva
necessarie, e ho offerto una traduzione in lingua italiana, discutendo nel
commento letture e integrazioni significative proposte da altri studiosi. I testi sono
presentati in ordine cronologico. Questo permette di ricollegare ogni
componimento agli eventi storici che ne hanno determinato la stesura, di
comprendere il clima generale di cui esso si fa portavoce e di stabilire possibili
collegamenti tra i diversi componimenti analizzati. Letti sotto questa luce, gli
epigrammi sembrano delineare una biografia poetica di Erode Attico, perché
documentano gli episodi salienti che ne hanno caratterizzato la vita, come se
Erode Attico stesso in questo modo avesse voluto lasciare ai posteri una versione
ufficiale della sua esistenza dominata dai lutti familiari e dalle vicende giudiziarie.
Chiude il lavoro una bibliografia degli studi dedicati fino ad ora alla
discussione delle epigrafi commentate.
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Elenco delle Abbreviazioni
Per la citazione dei testi greci ho usato le abbreviazioni convenzionali
registrate dal LSJ. Faccio riferimento ai testi latini mediante le sigle in uso nel
TLL e ai testi epigrafici mediante quelle riportate da Horsley-Lee 1994. Nel corpo
dell’opera mi sono avvalso anche delle seguenti abbreviazioni:
DNP = Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike, Stuttgart 1996-2005.
Et. M. = Etymologicum Magnum, seu verius Lexicon saepissime vocabulorum
origines indagans: ex pluribus lexicis scholiastis et grammaticis anonymi
cuiusdam opera concinnatum, ad codd. mss. recensuit et notis variorum
instruxit G. Thomas, Oxford 1848.
FGrHist = F. Jacoby et al., Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin
1923-.
LfgrE = B. Snell et al., Lexikon des frühgriechischen Epos, Göttingen 1955-.
LIMC = Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zürich 1981-.
LSJ = H. G. Liddell, R. Scott, H. S. Jones, A Greek-English Lexicon, Oxford
1996.
OCD3 = S. Hornblower and A. Spawforth, The Oxford Classical Dictionary,
Oxford 19963.
OLD = P. G. W. Glare, Oxford Latin Dictionary, Oxford 1982.
RE = G. Wissowa et al., Paulys Realencyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft, Stuttgart - München 1893-1980.
Roscher = W. H. Roscher, Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, I-
VII, Leipzig 1884-1937.
SH = H. Lloyd-Jones / P. Parson, Supplementum Hellenisticum, Berlin - NewYork
1983.
7
TLG = Thesaurus graecae linguae, ab H. Stephano constructus. Tertio ediderunt
C. B. Hase, L. De Sinner et Th. Fix, Parisiis 1831-65.
TLL = Thesaurus linguae latinae, editus iussu et auctoritate Consilii ab
Academiis Societatibusque diversarum nationum electi, Lipsiae 1904.
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Biografia di Erode Attico
Ricca è la documentazione letteraria che permette di ricostruire la vita di
Erode Attico. La fonte principale, da cui partono tutti gli studi dedicati al
neosofista, è l’opera di Flavio Filostrato Vitae Sophistarum. Filostrato offre la
prima biografia di Erode Attico all’interno di un’opera dedicata alle vite dei
principali retori dall’età classica fino al 220 d. C. La biografia di Erode è posta
all’inizio del secondo libro delle Vitae ed è la più estesa. La sua centralità non si
spiega solo alla luce dell’importanza politica e culturale di Erode, ma anche, come
sostiene Civiletti 2002, 30, in virtù del suo legame con il dedicatario dell’opera, il
console Gordiano, discendente di Erode. A questa spiegazione di ordine
strutturale se ne deve aggiungere anche una di natura ideologica e cioè che Erode
Attico era un personaggio che riuniva in sé impegno pubblico, attività politica e
professione retorica. Egli era inoltre un grande amico degli imperatori Adriano,
Antonino Pio, Lucio Vero e Marco Aurelio e rappresentava un sicuro punto di
riferimento per Atene che egli aveva abbellito nel corso degli anni. «Si può allora
comprendere come Erode rappresenti, nell’ottica di Filostrato, il personaggio non
solo più degnamente adatto al confronto con una personalità di alto rango come
Gordiano, ma anche quello che meglio e più grandiosamente esprime il ruolo
politico e culturale dei sofisti, che della magnificenza e della preminenza sociale
ed intellettuale fecero i tratti peculiari della loro orgogliosa personalità» (Civiletti
2002, 31). Evidente è nella biografia di Filostrato il tentativo di presentare gli
avvenimenti più oscuri della vita di Erode sotto un’ottica positiva e di tacere
quelli che di più avrebbero nuociuto a questo intento.
Un’altra fonte letteraria antica è Aulo Gellio, il quale intorno al 140 d. C.,
aveva studiato ad Atene ed era stato spesso ospite di Erode Attico nella villa a
Cefisia. Nella sua opera Noctes Atticae Gellio narra diversi avvenimenti accaduti
mentre egli era in compagnia del retore. Altre informazioni sulla vita di Erode
Attico vengono offerte da Frontone nelle sue epistole indirizzate a Marco Aurelio,
le quali aiutano a fare luce sul periodo romano del neosofista. Erode Attico
compare anche nei due dialoghi lucianei Peregrinus e Demonax; in quest’ultimo
egli viene deriso per le manifestazioni eccessive di dolore per la morte della
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moglie Regilla e del figlio adottivo Polluce. Ulteriori informazioni relative
soprattutto agli edifici fatti costruire da Erode provengono da Pausania, il quale,
benché sia un contemporaneo di Erode, non offre dei racconti molto dettagliati.
* * *
Lucio Vibullio Ipparco Tiberio Claudio Attico Erode (cfr. SIG3 863, n. 1 =
76 Ameling e IG II2 3603 = 89 Ameling) nacque a Maratona tra il 101 e il 103 d.
C3. In molte iscrizioni egli viene semplicemente indicato con il nome di Erode
Attico, accompagnato dall’aggettivo Μαραθνιος; cfr. IG II2 1088, 2090, 3191,
3594/5, 3600, 3603, 3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745,
IOlympia 611, 622. Egli era figlio di Tiberio Claudio Attico Erode, che Filostrato
chiama semplicemente con il nome di Attico. Questi aveva scoperto un tesoro
nella propria casa presso il teatro di Dioniso, ai piedi dell’acropoli di Atene.
L’imperatore Nerva, cui Attico aveva inviato una lettera per informarlo del
ritrovamento e per chiedere come avrebbe dovuto comportarsi di fronte a quella
somma di denaro, lo esortò a farne uso senza moderazione4. Attico sposò poco
dopo questa fortunata vicenda Vibullia Alcia, appartenente alla famiglia dei
Vibulli, forse imparentata con il senatore repubblicano L. Vibullio Rufo. Vibullia
Alcia possedeva ingenti ricchezze, che accrebbero la fortuna del figlio Erode, ed
aveva inoltre rapporti con le città di Sparta e Corinto. Quest’ultima era abitata
dalla famiglia dei Vibulli sin dall’età di Augusto; ved. Tobin 1997, 18, n. 24.
3 A favore del 103 si pronuncia AMELING 1983, II, 2, n. 13. 4 Cfr. Philostr. V. S. 2, 547, 27-548, 5 Αττικ'νδ(τ'νµ(ν)κενουπα*δα,ρδουδ(πατραο,περιε*δεν - Τχη πνητα )κ πλουσου γεν/µενον, λλ0 νδειξεν α,τ2 θησαυρο3 χρ4µαµθητον )ν µι5 τν οκιν, 6ς πρ'ς τ2 θετρ7 )κκτητο, ο8 δι9 µγεθος ε,λαβ$ς µ;λλον <περιχαρ$ςγεν/µενος=γραψεπρ'ςτ'να,τοκρτορα)πιστολ$ν?δεξυγκειµνην·"θησαυρ/ν,Bβασιλε3, )πC τ4ς )µαυτο3 οκας εDρηκα· τ οEν περC α,το3 κελεεις;" καC α,τοκρτωρ,Νεροας δ( Iρχε τ/τε, "χρ" =φη "οKς εDρηκας."Secondo VISCONTI 1794, 2, il tesoro era stato depositato da un ricco romano all’interno di una fessura sul pendio dell’acropoli di Atene durante le guerre civili o le proscrizioni che accompagnarono gli ultimi anni della Repubblica, mentre per LANCIANI 1895, 289, il tesoro era stato nascosto da Serse, dopo la sconfitta della sua flotta nelle acque di Salamina, nella speranza di un secondo ritorno di maggiore successo. MÜNSCHER 1912, 923, è invece dell’avviso che il denaro ritrovato da Attico appartenesse già a suo padre Ipparco, il quale lo avrebbe nascosto al tempo della confisca dei suoi beni da parte dell’imperatore Domiziano. Attico si sarebbe quindi limitato a riportare alla luce un tesoro nascosto non appena un nuovo imperatore salì sul trono di Roma; ved. CIVILETTI 2002, 505-6, n. 13.
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Nell’educazione di Erode il padre Attico svolse un ruolo fondamentale,
perché fornì al figlio tutti i presupposti necessari per la sua futura carriera politica:
soldi, istruzione ma anche privilegiata posizione politica, poiché Attico aveva
ricevuto sotto Nerva o nei primi anni di regno di Traiano gli ornamenta praetoria
da parte del Senato su incarico dell’imperatore. In questo modo gli si aprirono le
porte al Senato romano; ved. Ameling 1983, II, nrr. 34-6.
Erode Attico trascorse la sua prima infanzia a Roma insieme al padre Attico
che nel 108 d. C. ricoprì la carica di console suffetto, una delle più importanti
dell’Impero romano. Erode non giunse a Roma come semplice greco ma come
membro della più alta classe dirigente. «Diese Monate werden ihn daran gewöhnt
haben, auch in Rom, dem Senat und dem Kaiser nichts Außergewöhnliches zu
erblicken, sondern Teile seines täglichen Lebens» (Ameling 1983, I, 36-7). Egli
soggiornò nella casa di P. Calvinio Tullo Ruso, nonno del futuro imperatore
Marco Aurelio. Qui ricevette un’accurata educazione perchè Ruso, filellenico,
aveva fatto istruire i suoi figli in modo tale che la loro educazione iniziasse con
l’apprendimento della lingua greca5.
Questo soggiorno permise a Erode di apprendere il latino, cosa che era
alquanto insolita per i Greci illustri e colti del tempo, che comprendevano poco la
lingua latina, mentre era sempre più comune che gli esponenti della classe
dirigente romana parlassero il greco. Il padre Attico era ben cosciente del fatto che
non conoscere la lingua latina sarebbe stata una gravissima mancanza per
chiunque aspirasse a voler entrare a far parte dell’Ordo senatorius e che scegliere
ottimi maestri per l’educazione del figlio sarebbe stato in ogni caso lo strumento
migliore per assicurargli una preparazione culturale adeguata ai futuri incarichi
politici.
Tra il 116 e il 120 d. C. deve essere datato un soggiorno del giovane Erode
nella città di Sparta, dove egli trascorse il periodo della sua efebia, poiché
un’iscrizione proveniente da Corinto (IG V 1, 45 = 70 Ameling), contenente il
cursus di un certo Corinta, presenta Erode a capo di un gruppo di efebi.
5 Sull’educazione di Erode ved. PAPALAS 1981.
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Al suo rientro nella citta di Atene Erode Attico venne iniziato ai culti
misterici6 e ricevette la sua formale educazione, compiendo i primi studi di
grammatica sotto la guida di Teagene di Cnido e Munazio di Trallo, e quelli
filosofici con il maestro L. Calveno Tauro di Berito, che gli insegnò la filosofia di
Platone7.
Sin da giovane Erode rivelò la sua propensione per la retorica ed ebbe come
insegnanti i migliori retori del tempo. Il primo fu l’ateniese Secondo, figlio di un
carpentiere. Philostr. V. S. 2, 544, 26, riferisce che Erode si servì di un verso
esiodeo (Op. 25), modificato scherzosamente nella parte finale (καC κεραµεMς
κεραµε* κοτει καC NOτορι τκτων) per offendere l’umile origine di Secondo
durante una lite per un interrogativo di retorica. In ogni caso alla morte di
Secondo Erode tenne in suo onore l’orazione funebre in lacrime e fece porre
nell’agora di Atene una statua in ricordo del suo primo maestro di retorica8.
Nel 118 d. C. fu inviata dalla città di Atene una delegazione al nuovo
imperatore Adriano, allora accampato in Pannonia, per rivolgergli un discorso di
saluto. Per i cittadini più in vista di una città questi discorsi rappresentavano una
delle poche occasioni reali in cui poter compiere qualcosa di eccezionale. Questi
cittadini erano anche gli unici a essere veramente interessati a simili incarichi,
poiché, come sottolinea Ameling 1983, I, 42, «Gruß- und Gratulationsadressen
waren ein Officium publicum und kosteten Geld». Quando Adriano salì al trono,
gli Ateniesi, probabilmente su consiglio di Attico, inviarono all’imperatore il
6 Nel II sec. d. C. quasi tutti gli Ateniesi erano iniziati ai culti misterici; cfr. Philostr. V. A. 4, 17, 1-3 Τοια3τα µ(ν τ9 )πC τ4ς νες, )ς δ( τ'ν Πειραι; )σπλεσας περC µυστηρων Qραν, RτεSθηνα*οι πολυανθρωπ/τατα TλλOνων πρττουσιν. Luc. Demon. 11, racconta che gli Ateniesi avrebbero rimproverato Demonatte per essere l’unico in città a non essere iniziato ai culti misterici. 7 Cfr. Philostr. V. S. 2, 564, 5-11, Uς µ(ν δ$ Πολµωνα καC Φαβωρ*νον καC Σκοπελιαν'ν )νδιδασκλοις Xαυτο3 Iγε καC UςΣεκονδ7 τ2 Sθηνα7 )φοτησεν, ερηµνον µοι Yδη, τοMς δ(κριτικοMς τν λ/γων Θεαγνει τε τ2 Κνιδ7 καC Μουνατ7 τ2 )κ Τραλλων συνεγνετο καCΤαρ7τ2Τυρ7)πCτα*ςΠλτωνοςδ/ξαις. 8 Cfr. Philostr. V. S. 1, 544, 17-8 λλ0ποθαν/ντικαCλ/γον)πεφθγξατοκαCδκρυα)πδωκεκατοιγηραι2τελευτOσαντι. ANDERSON 1986, 26 e CIVILETTI 2002, 503, n. 5, sostengono che tale notizia doveva avere la funzione di riabilitare la figura di Erode Attico, il quale, schernendo il maestro per la sua umile origine, non si era di certo distinto per correttezza di comportamento. Il fatto che Erode abbia veramente onorato il maestro Secondo al momento della sua morte è documentato dall’iscrizione SEG 23, 115 = 183 Ameling, la quale presenta una dedica da parte di Erode per un καθηγητOς. Questo termine designa un insegnante privato da identificare qui con Secondo, perchè così egli viene nominato in Suda Σ189 Adler καθηγητ$ςδ(γγονεκαCρδουτο3σοφιστο3. Ved. AMELING 1983, II, 175-6 e TOBIN 1997, 196.
12
giovane Erode a tenere un discorso di omaggio e di augurio. Il padre Attico era
allora non solo il senatore più noto della Grecia, ma anche l’unico così ricco da
potersi fare carico delle spese della delegazione. Erode, proprio quando doveva
tenere il suo discorso e parlare liberamente davanti all’imperatore, interruppe
l’orazione e scappò via per la forte pressione che sentiva su di sè. Filostrato
aggiunge che a causa di questo fallimento egli tentò di togliersi la vita con il
proposito di gettarsi nel fiume Istro9. Ma mentre gli avversari di Erode gli
rinfacciarono anche negli anni successivi questo fallimento, Filostrato lo scusa
alla luce di quanto di simile era avvenuto a Demostene che, da adulto, non era
riuscito a pronunciare la sua orazione di fronte all’imperatore Filippo di
Macedonia. Questo avvenimento non danneggiò in alcun modo la carriera di
Erode. Filostrato lo sfrutta per sottolineare, a conclusione della biografia,
quell’estrema emotività che costituisce uno dei tratti più caratterizzanti della
figura di Erode Attico.
Dopo questo episodio Erode ebbe come insegnante l’oratore Scolepiano, di
cui egli ammirava l’arte dell’improvvisazione.
Un’educazione così accurata, soprattutto in campo retorico, aveva fornito ad
Erode Attico tutti i presupposti necessari per una carriera in patria e a Roma. Nel
125 d. C. Erode iniziò la sua attività politica rivestendo, come era consuetudine,
una delle cariche più basse della carriera municipale, cioè quella di agoranomo10.
Nel 126-127 d. C. egli divenne arconte eponimo e, grazie a questa carica, anche
membro dell’Areopago. Nel 127 d. C. ricoprì anche il suo primo incarico ufficiale
9 Cfr. Philostr. V. S. 2, 565, 13-22 ο\δ(προφροντεςα,τ2ν7=τι τ' λ/γου τιν'ς )νΠαιον])κπεσε*ν )πC το3 α,τοκρτορος ^γνοηκναι µοι δοκο3σιν, Rτι καC ∆ηµοσθνης )πC Φιλππουλγωντα,τ'ν=παθεν·κκε*νοςµ(ν`κωνSθOναζετιµ9ςπροσbτεικαCστεφνουςπολωλυαςSθηναοιςSµφιπ/λεως,ρδηςδ,)πεCτο3το=παθεν,)πCτ'νcστρονIλθενUςNψωνXαυτ'ν,τοσο3τον γ9ρ α,τ2 περι4ν το3 )ν λ/γοις βολεσθαι dνοµαστ2 εeναι, Uς θαντου τιµ;σθαι τ'σφαλ4ναι. 10 Plut. Mor. 794, giudica quella dell’agoranomo un’attività politica senza alcun interesse. I compiti dell’agoranomo erano strettamente collegati con quelli dello stratega, probabilmente suo superiore, cui prestava assistenza nel provvedere a una sufficiente offerta di cereali e nel controllare la qualità del pane. L’approvvigionamento della popolazione con alimenti di base a prezzi bassi era un compito che spesso poteva essere adempiuto quando l’impiegato incaricato era pronto a mettere a disposizione a tal fine una cospicua somma di denaro dalle proprie tasche. Agli occhi degli Ateniesi, quindi, Erode Attico, che godeva del denaro paterno di Attico, appariva l’uomo più appropriato per portare a termine questo incarico nel modo migliore. Dopo aver espletato con successo questo compito, mediante un’epigrafe egli venne onorato come benefattore dal popolo; cfr. IG II2 3600 = 75 Ameling.
13
a Roma. La Grecia, in quanto provincia dell’Impero romano, poteva offrire al
giovane Erode soltanto incarichi provinciali mentre Roma, la capitale, poteva
dargli l’opportunità di rivestire cariche importanti. Attraverso la testimonianza
epigrafica di SIG3 863, n. 1 è possibile ricostruire il cursus honorum di Erode:
probabilmente egli fu questore nel 129 d. C., tribuno della plebe nel 131 d. C. e
pretore nel 133 d. C. A questo periodo trascorso a Roma risale l’incontro con
Favorino di Arelate, uno dei più importanti rappresentanti della Seconda Sofistica,
il quale esercitò una notevole influenza sulla formazione di Erode, che soleva
chiamarlo διδσκαλοςe πατOρ. Favorino, appartenente alla tradizione filosofica
dell’accademia scettica, contribuì, dopo Tauro, alla formazione filosofica di
Erode.
Nel 134-135 d. C. Erode ricevette la nomina di Corrector delle città libere
d’Asia con il titolo di legatus Augusti pro praetore missus ad ordinandum statum
liberarum civitatum provinciae Asiae; cfr. Philostr. V. S. 2, 548. Questo incarico
permise a Erode Attico di controllare giuridicamente e finanziariamente molte
città della costa dell’Asia Minore, di cui a quel tempo era governatore T. Aurelio
Fulvio Boionio Arrio Antonino, più tardi noto con il nome di Antonino Pio11.
Erode dedicò gran parte del suo impegno a rifornire di un acquedotto adeguato la
città di Alessandria di Troade, la quale si trovava in gravi difficoltà a causa di uno
scarso rifornimento d’acqua. In una lettera indirizzata all’imperatore Adriano egli
chiese l’investimento di tre milioni di dracme. L’intervento di Erode eccedette
però la somma stanziata di oltre quattro milioni e provocò la protesta degli
ufficiali delle altre città dell’Asia Minore, i quali lamentavano il fatto che tutto il
tributo delle città venisse speso interamente a beneficio di un’unica città. Le
lamentele giunsero fino alle orecchie dell’imperatore Adriano che si lamentò con
Attico, allora a Roma, dell’atteggiamento del figlio. Il padre prese su di sé l’onere
di regalare al figlio il surplus investito per rifornire la città di una fontana, di un
11 AMELING 1983, I, 53, stabilisce che il 134-135 d. C. è l’anno dell’incarico di Erode in Asia Minore sulla base della testimonianza di Philostr. V. S. 2, 554, 28-555, 9, il quale riferisce la voce, a suo avviso non degna di credito, secondo cui Erode aggredì Antonino Pio sul monte Ida al tempo in cui il primo governava le città libere d’Asia e il secondo tutte le città d’Asia. Questo incarico era stato espletato da Antonino Pio nel 134-135 d. C.
14
acquedotto e di bagni12. Durante l’espletamento di questo incarico in Asia Minore
Erode riuscì a coniugare insieme gli impegni ufficiali e gli interessi culturali,
frequentando il grande sofista Polemone, che egli andò ad ascoltare nella città di
Smirnia. Quando il suo mandato in Asia terminò, Erode fece ritorno di nuovo ad
Atene dove adempì i propri obblighi come insegnante di retorica e agonoteta delle
feste Panellenie; inoltre nel 136 d. C. venne scelto dal popolo ateniese come
agonoteta delle Panatenee per l’anno 140 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 61.
Tra la fine del 137 e l’inizio del 138 d. C. il padre Attico morì ed Erode ne
ereditò i beni. Il testamento del padre fu però all’origine dello scontro tra Erode e
gli abitanti della città poiché Attico, sollecitato dai suoi liberti, aveva espresso la
volontà che ogni Ateniese ricevesse una pensione di una mina all’anno. I liberti
avevano cercato in questo modo di avere l’appoggio del popolo, data l’avversione
di Erode Attico nei confronti di schiavi e liberti13.
La reazione di Erode dinanzi a questa volontà del padre fu inizialmente
dettata dalla rabbia perché il testamento lo obbligava a elargire ogni anno circa
12.000 mine alla popolazione ateniese che tra il 138 e il 139 d. C. si aggirava
intorno ai 12.000 abitanti; ved. Rutledge 1960, 101. Erode si liberò tuttavia da
questo obbligo proponendo di assegnare ad ogni ateniese 5 mine in una sola
donazione. Quando i cittadini si recarono a ritirare il denaro loro spettante,
trovarono la disposizione che li vincolava a saldare i debiti contratti dai loro padri
e nonni nei confronti dei genitori di Erode. Pertanto alcuni ricevettero ben poco
denaro, altri non ebbero nulla mentre altri ancora furono trattenuti ed esortati a
saldare il debito.
Questo atteggiamento non solo provocò disordini nella città di Atene ma
valse ad Erode anche l’accusa di tiranno, come già era accaduto al nonno Ipparco
e gli fece perdere l’elezione alla carica di ρχιερεMς τν Σεβαστν, rivestita
sempre da membri della famiglia di Erode Attico e ora vacante per la morte di
12 Per una discussione di questi monumenti nella città di Alessandria di Troade ved. TOBIN 1997, 327-31. 13 Cfr. Philostr., V. S. 2, 549, 12-7 εeχον µ(ν γ9ρ α\ διαθ4και, Uς εeπον, =γραψε δ( α,τ9ςξυµβουλ]τνµφ0Xαυτ'νπελευθρων,οfχαλεπ$νρντεςτ$νρδουφσινπελευθροιςτεκαCδολοιςποστροφ$ν)ποιο3ντοτο3SθηναωνδOµου,Uςτ4ςδωρε;ςα,τοCαgτιοι.
15
Attico14. Gli Ateniesi elessero questa volta Tiberio Claudio Lisiade III di Melite,
esponente di una famiglia avversaria di quella di Erode.
Subito dopo aver assolto il suo incarico di agonoteta, Erode si trasferì a
Roma tra la fine del 140 e l’inizio del 141 d. C. I motivi della partenza furono
l’aspirazione al consolato, il matrimonio con una donna appartenente a
un’importante famiglia romana e l’incarico di precettore di retorica greca,
conferitogli dall’imperatore Antonino Pio, dei giovani Lucio Vero e Marco
Aurelio; cfr. Cass. Dio 72, 35, 1. Quest’ultimo aveva iniziato intorno al 135 d. C.
gli studi di retorica e li aveva continuati sotto la guida di Frontone a partire dal
138 d. C15. Questa nuova veste di precettore rappresentò per Erode un grande
onore ma anche una seria responsabilità, perché l’apprendimento dell’arte retorica
era per i principi una necessità alla quale non potevano sottrarsi, visto che ogni
comando passava attraverso la comunicazione orale. Erode ricorse a esempi
mitologici per enfatizzare l’importanza del suo ruolo, paragonando se stesso a
Fenice, che aveva avuto il compito di istruire Achille; cfr. Peek 1942, 330 = 186
Ameling.
A questo periodo romano risale il processo intentatogli da Tiberio Claudio
Demostrato, esponente della famiglia dei Claudii di Melite il quale, recatosi a
Roma, incaricò il retore latino Frontone di sostenere a suo nome l’accusa. Oggetto
del processo, che ebbe luogo nel 141 d. C.16, era il testamento di Attico e il modo
in cui era stato trasgredito da Erode, che con il suo atteggiamento aveva provocato
14 cfr. Philostr., V. S., 2, 249, 10-31 hπεCδ(τντο3Sττικο3διαθηκν)πεµνOσθην,νγκηκαCτ9ςαταςναγρψαι,δι06ςπροσκρουσενρδηςSθηναοις·εeχονµ(νγ9ρα\διαθ4και,Uςεeπον, =γραψε δ( α,τ9ς ξυµβουλ] τν µφ0 Xαυτ'ν πελευθρων, οf χαλεπ$ν ρντες τ$νρδουφσινπελευθροιςτεκαCδολοιςποστροφ$ν)ποιο3ντοτο3SθηναωνδOµου,Uςτ4ςδωρε;ς α,τοC αgτιοι. καC πο*α µ(ν τν πελευθρων τ9 πρ'ς τ'ν ρδην, δηλοτω -κατηγορα,iνπεποηταισφνπ;νκντρον^ρµνοςτ4ςXαυτο3γλττης.ναγνωσθεισνδ(τνδιαθηκν ξυνβησαν ο\ Sθηνα*οι πρ'ς τ'ν ρδην πντε µν;ς α,τ'ν )σπαξ Xκστ7καταβλλονταπρασθαιπαρ0α,τντ'µ$εCδιδ/ναι·λλ0)πεCπροσbεσανµ(ντα*ςτραπζαιςjπ(ρ τν Uµολογηµνων, )πανεγιγνσκετο δ( α,το*ς ξυµβ/λαια πατρων τε καC πππων Uςdφειλ/ντωντο*ςρδουγονε3σινντιλογισµο*ςτεjπOγοντοκαCο\µ(νµικρ9^ριθµο3ντο,ο\δ(ο,δν, ο\ δ( συνεχοντο )π0γορ;ςUς καCποδσοντες, παρξυνε τα3τα τοMςSθηναουςUς-ρπασµνουςτ$νδωρε9νκαCο,κ)πασαντοµισο3ντες,ο,δ(π/τετ9µγισταε,εργετε*νkετο.15 «Fronto und Herodes als Lehrer des Prinzen zeigen die Bedeutung, die man am römischen Kaiserhof der Rhetorik beimaß» (AMELING, 1983, I, 71). 16 Per la datazione del processo ved. l’argomentazione di AMELING 1983, II, 32-33.
16
degli scontri in città e causato la morte di un uomo17. L’esito del processo è
oscuro ma il fatto che non siano noti cambiamenti nella condizione patrimoniale
di Erode fa ritenere che esso si sia concluso a suo favore per insufficienza di
prove, con una probabile intesa con gli Ateniesi. Per questo processo Erode
dovette scrivere quell’accusa contro i liberti, cui Philostr. V. S. 2, 549, 17-20 fa
riferimento. Non poca influenza dovettero avere, nello svolgimento del processo,
la sua ricchezza, la sua influenza e i suoi legami con l’imperatore.
Nel 143 d. C. egli rivestì la carica di console18. I motivi di questa veloce
carriera politica di Erode Attico vanno ricercati non solo nella sua educazione, ma
anche nel suo ricco patrimonio e nella natura della discendenza divina e mitica
che egli aveva rivendicato a sè. Per un greco come Erode, che voleva godere degli
stessi diritti e privilegi degli esponenti delle famiglie romane al potere, era
importante poter vantare una nobile discendenza non inferiore a quella dei
Romani, orgogliosi per la loro origine divina da Venere attraverso la figura del
mitico Enea. Erode si dichiarava discendente da Eracle (cfr. IG II2 3606, 2 = 190,
2 Ameling), imparentato con le mitiche figure di Peleo e Achille, membro della
famiglia dei Cerici, sacerdoti ateniesi di Demetra (cfr. IG XIV 1389 A, 30-7 = 146
A, 30-7 Ameling). Inoltre annoverava tra i suoi antenati Milziade e Cimone che
avevano avuto un ruolo fondamentale nella storia di Atene del V. sec. a. C durante
le guerre contro i Persiani19.
Per rafforzare la sua posizione nell’ambito della gerarchia di potere
dell’Impero romano, Erode aveva bisogno di sposare un’esponente di
un’importante e ricca famiglia romana che fosse della stessa posizione sociale
della sua. La promessa sposa si chiamava Appia Annia Atilia Regilla Caucidia
Tertulla, appartenente alla famiglia degli Annii, la quale annoverava tra i suoi
17 cfr. Fronto Ad. M. Caes. 3, 3, 2 Dicendum est de hominibus liberis crudeliter verberatis et spoliatis, uno vero etiam occiso; dicendum de filio impio et precum paternarum inmemore; saevitia et avaritia exprobranda; carnifex quidam Herodes in hac causa est constituendus ... Illa ipsa de laesis et spoliatis hominibus ita a me dicentur, ut fel et bilem sapiant: sic ubi Graeculum et indoctum dixero, non erit internecivum. 18 AMELING 1983, I, 77, ricorda che per quell’anno anche Frontone ricoprì la carica di console e pertanto definisce il 143 d. C. «Epochenjahr der zweiten Sophistik». 19 Cfr. Philostr. V. S. 2, 545, 15-547, 3 νφερεδ()ςτ'ντνΑακιδν,οlςξυµµχουςποτ(-Tλλ9ς )πC τ'ν Πρσην )ποιε*το, πηξου δ( ο,δ( τ'ν Μιλτιδην, ο,δ( τ'ν Κµωνα, Uς mνδρερστωκαCπολλο3ξωSθηναοιςτεκαCτο*ςmλλοιςnλλησιπερCτ9Μηδικ,µ(νγ9ρIρξετροπαωνΜηδικν,δ(πbτησεδκαςτοMςβαρβρους?νµετ9τα3ταDβρισαν.
17
antenati Anchise ed Enea ed era imparentata con Faustina, moglie dell’imperatore
Antonino Pio. La sua discendenza viene descritta in termini poetici in IG XIV
1389 A = 146 A Ameling. I suoi nonni erano stati consoli ordinari nel 108 d. C.
quando il padre di Erode aveva rivestito a Roma la carica di console suffetto.
Regilla poteva vantare inoltre tra i suoi parenti importanti personaggi, quali i
senatori P. Calvisio Tullo Ruso e Bellicio Flacco Torquato, console ordinario
insieme a Erode Attico nel 143 d. C. Quando il matrimonio fu celebrato, tra il 142
e il 143 d. C., Erode aveva già quarant’anni mentre Regilla era ancora una ragazza
di diciassette o forse di quindici anni. Attraverso l’unione matrimoniale Erode
ottenne il controllo di alcuni territori in Italia, quale quello sulla via Appia alla
terza pietra miliare, e forse un terreno a Canosa. Erode, da parte sua, donò a
Regilla un appezzamento di terra a Maratona. In Grecia Regilla divenne
sacerdotessa di Tyche ad Atene e di Demetra Camina ad Olimpia. A lei Erode
dedicò molte statue, accompagnate da iscrizioni che ne celebrano le virtù.
Grazie a questi rapporti di parentela con uomini consolari Erode entrò a far
parte del collegio dei quindecemviri, che aveva funzioni sacerdotali, di cui il
padre Attico era stato già membro. Un’iscrizione ritrovata ad Olimpia20 informa
che Erode era membro di altri due collegi sacerdotali, quale sodalis Augustalis e
sodalis Hadrianalis.
A Roma nacque anche il primo figlio della coppia, che però morì dopo pochi
mesi verso la fine del 143 d. C. Questa perdita addolorò profondamente Erode,
come informa Fronto, Ad M. Caes. 1, 6, 8: Herodi filius natus <hodi>e mortuus
est; id Herodes non aequo fert animo. Volo ut illi aliquid quod ad hanc rem
adtineat pauculorum verborum scribas. Erode fece ritorno ad Atene insieme a
Regilla intorno al 146 a. C. Dalla loro unione matrimoniale nacquero altri cinque
figli: Elpinice (142-143 d. C.), Atenaide (144 d. C.), Regillo (fine anni 40, inizio
anni 50) e Brauda (152-153 d. C.). Quest’ultimo causò ad Erode molti dispiaceri a
causa delle sue difficoltà di apprendimento e della conduzione di una vita
dissoluta21. Infine l’iscrizione SEG 26, 290 = 140 Ameling ricorda la dedica dei
20 AMELING 1983, II, 138, n. 131, ammette di non conoscere personalmente il testo. 21 Cfr. Philostr. V. S. 2, 558, 7-21 )πνθει δ( τα*ς jπερβολα*ς ταταις τ9ς θυγατρας, )πειδ$Sττικ'ν τ'νυ\'ν )νdργoεeχεν. διεββλητοδ(πρ'ςα,τ'νUς^λιθιδηκαCδυσγρµµατονκαCπαχMν τ$ν µνOµην· τ9 γο3ν πρτα γρµµατα παραλαβε*ν µ$ δυνηθντος Iλθεν )ς )πνοιαν τ2
18
capelli di Erode per un figlio sconosciuto, forse da identificare con il bambino di
cui Regilla era incinta al momento della sua morte intorno al 160-161 d. C.22.
Atenaide morì intorno al 155 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 97. In
quell’occasione gli Ateniesi mostrarono grande compassione per il dolore che
aveva colpito Erode e cercarono di consolarlo conferendo alla figlia defunta
l’onore speciale di essere seppellita nella città. L’eccezionalità del provvedimento
diventa chiara alla luce della testimonianza di Cic. Ep. ad Fam. 4, 12, 3, il quale
riferisce che nel 45 a. C. questo favore non era stato accordato a nessun abitante di
Atene. Gli Ateniese decretarono anche di eliminare dal loro calendario, in segno
di lutto, il giorno in cui la fanciulla era morta23. Precedente alla morte di Regilla è
la scomparsa del figlio Regillo.
Quando morì la moglie gli avversari di Erode accusarono il ricco ateniese
della morte della donna, sostenendo che egli, a causa di un litigio familiare,
avrebbe fatto dare a Regilla un calcio nello stomaco dal liberto Alcimedonte24.
Ameling 1983, I, 100, riscontra in questo racconto gli elementi caratteristici che
servono a delineare il ritratto di un uomo accusato di tirannide, poiché sia la
moglie di Periandro25 che di Nerone26 morirono allo stesso modo; ved. anche
Ameling 1986.
La morte della donna in circostanze misteriose gli causò un nuovo processo
intentatogli dal cognato Bradua, che lo accusò della morte della sorella. Filostrato
si limita a riferire che Bradua non riuscì a presentare al Senato romano nulla di
ρδp ξυντρφειν α,τ2 ττταρας πα*δας καC εgκοσιν σOλικας qνοµασµνους π' τνγραµµτων, rνα)ν το*ς τνπαδωνdν/µασι τ9γρµµατα)ξνγκηςα,τ2µελετ2το. Xραδ(α,τ'νκαCµεθυστικ'νκαCνοOτως)ρντα,Rθενζνµ(ν)πεχρησµsδειτoXαυτο3ο,σ])κε*νοτ' =πος· "εKς δ0 =τι που µωρ'ς καταλεπεται ε,ρι οgκ7," τελευτν δ( τ9 µ(ν µητρ2α α,τ2πδωκεν,)ςXτρουςδ(κληρον/µουςτ'νXαυτο3οeκονµετστησεν.22 AMELING 1983, I, 100, data la morte di Regilla al 157 d. C. 23 Cfr. Philostr. V. S. 2, 557, 33-258, 1, τ'δ()πCΠαναθηναδιτoθυγατρCSθηνα*οι)πρυναν)νmστειτεα,τ$νθψαντεςκαCψηφισµενοιτ$ν-µραν,)φ0tςπθανεν,)ξαιρε*ντο3=τους.24 Cfr. Philostr. V. S. 2, 555, 10-5 Ηλθεν)πCτ'νρδηνκαCφ/νουδκη?δεξυντεθε*σα·κεινµ(ν α,τ2 τ$ν γυνα*κα !Oγιλλαν vγδο/ν που µ4να, τ'ν δ( ρδην ο,χ jπ(ρ µεγλωνSλκιµδοντιπελευθρ7προστξαιτυπτ4σαια,τOν,πληγε*σανδ()ςτ$νγαστρατ$νγυνα*καποθανε*ν)νqµ2τ2τ/κ7.25 Cfr. Diog. Laert. 1, 94 χρ/ν7δ$jπ0dργ4ςβαλwνjποβθρ7<λακτσαςτ$νγυνα*κα=γκυονοEσανπκτεινε,πεισθεCςδιαβολα*ςπαλλακδων,6ςDστερον=καυσε.26 Cfr. Tac. Ann. 16, 6, 1 Post finem ludicri Poppaea mortem obiit, fortuita mariti iracundia, a quo gravida ictu calcis adflicta est. neque enim venenum crediderim, quamvis quidam scriptores tradant, odio magis quam ex fide: quippe liberorum cupiens et amori uxoris obnoxius erat.
19
concreto a sostegno dell’accusa e che invece approfittò del processo per elogiare
la sua ricchezza, la sua stirpe e i suoi benefici a favore di una città dell’Italia27. Il
ricorso a questi temi offre al biografo la possibilità di presentare la ricchezza
elargita da Erode e la generosità da lui dimostrata nei confronti di molte città
come prove a sostegno dell’innocenza; cfr. Philostr. V. S. 2, 556, 1-2 πολλ9
τοια3ταπερC )µαυτο3διbεινmν, ε )νxπσp τoγo )κριν/µην.Anche in questo
caso Filostrato non narra come il processo si sia concluso ma lascia intendere
l’innocenza del retore citando la costruzione del teatro in onore di Regilla, la
rinuncia alla carica di proconsole della provincia d’Asia, che avrebbe coronato la
sua carriera politica, la consacrazione degli ornamenti della moglie a Eleusi,
l’ostentazione eccessiva del lutto, che lo spinse a rinchiudersi nella sua dimora e a
eliminarne ogni colore perché Regilla era la luce della casa28. Fu necessario
l’intervento del filosofo Lucio perché Erode ritornasse sulla via della
moderazione. Per non diventare il trastullo di uomini dotti, il ricco ateniese liberò
la casa dall’oscurità, poiché gli era stato riferito che il filosofo, avendo visto che i
servi di Erode lavavano dei ravanelli, aveva esclamato con sarcasmo: δικε*[…]
!Oγιλλανρδηςλευκ9ςNαφαν*δαςσιτοµενος)νµελανpοκ]. Erode fissò il
suo dolore in un epigramma (SEG 23, 121 = 100 Ameling) che fece incidere su
una stele, aggiunta su un arco costruito a Maratona, che divideva il suo territorio
da quello donato a Regilla e celebrava la loro perfetta armonia matrimoniale
27 Cfr. Philostr. V. S. 2, 555, 15-556, 2 )πCτοτοιςUςληθσιγρφεταια,τ'νφ/νουΒραδοαςτ4ς !ηγλλης δελφ'ς ε,δοκιµτατος ν )ν jπτοις καC τ' ξµβολον τ4ς ε,γενεαςπεριηρτηµνοςτ2jποδOµατι,το3τοδ)στιν)πισφριον)λεφντινονµηνοειδς,καCπαρελθwν)ςτ'!ωµαωνβουλευτOριονπιθαν'νµ(νο,δ(νδιbειπερCτ4ςατας,iν)π4γεν,Xαυτο3δ(=παινον)µακρηγ/ρειπερCτο3γνους,Rθεν)πισκπτωνα,τ'νρδης"σM"=φη"τ$νε,γνειαν)ντο*ςστραγλοις=χεις." µεγαλαυχουµνουδ( το3κατηγ/ρουκαC)π0ε,εργεσ]µι;ς τν)ν|ταλ]π/λεων µλα γενναως ρδης "κγw" =φη "πολλ9 τοια3τα περC )µαυτο3 διbειν mν, ε )νxπσpτoγo)κριν/µην."28 Cfr. Philostr. V. S. 2, 556, 5-18 λλ0Rµωςτληθ(ς gσχυεν,ο,γρποτεοτ0~νθατρονα,τoναθε*ναι τοιο3τον, οτ0 ~ν δευτραν κλOρωσιν τ4ς jπτου ρχ4ς )π0 α,τo ναβαλσθαι µ$καθαρς=χοντατ4ςατας,οτ0~ντ'νκ/σµονα,τ4ς)ςτ')νhλευσ*νι\ερ'νναθε*ναιφρονταφ/ν7µεµιασµνον,τουτCγ9ρτιµωροMςτο3φ/νουποιο3ντοςIντ9ςθε9ςµ;λλον<ξυγγνµονας.δ(καCτ'σχ4µατ4ςοκας)π0α,τojπOλλαξεµελανωντ9τνοgκωνmνθηπαραπετσµασικαCχρµασικαCλθ7Λεσβ7—κατηφ$ςδ(λθοςκαCµλας—jπ(ρ?νλγεταικαCΛοκιοςν$ρσοφ'ς)ςξυµβουλαντ2ρδpκαθιστµενος,Uςο,κ=πειθεµεταβαλε*να,τ'νδιασκψαι. La descrizione di Regilla come luce della casa è conservata in IGUR II 340 = 144 AmelingρsδουγυνO,τ'φςτ4ςοκας,τνοςτα3τατ9χωραγγοναν·(vacat) Annia Regilla Herodis uxor lumen domus cuius haec praedia fuerunt, e in IG II2
13200 = 147 Ameling SππαSννα!OγιλλαρδουγυνO,τ'φςτ4ςοκας.
20
mediante la sua denominazione di «Porta della Concordia Immortale»; cfr. IG II2
1589 e 1589a = 97 e 98 Ameling. Egli commissionò anche al poeta Marcello di
Side un lungo componimento in esametri per la consorte defunta, cui egli andava
dedicando statue e stele, accompagnate da formule di maledizione contro
chiunque avesse osato rimuoverle o danneggiarle; cfr. IG XIV 1389 A-B = 146 A-
B Ameling.
Dopo la morte della moglie Erode restò per un certo periodo a Roma, dove
apportò dei mutamenti alla sua villa sulla via Appia e fece erigere un monumento
commemorativo della moglie, presentata nelle vesti di un’eroina. Il suo corpo
però venne seppellito in Attica; cfr. IG XIV 1392 = 145 Ameling. Verso il 162 d.
C. Erode ritornò in Grecia accompagnandovi l’imperatore Lucio Vero che allora
dava inizio alla guerra contro i Parti. Dopo un breve soggiorno a Canosa a causa
delle cattive condizioni di salute di Lucio Vero, Erode e l’imperatore ripresero il
viaggio per Atene, dove Lucio Vero soggiornò per alcuni giorni presso la villa di
Erode. Alla partenza di Lucio Erode compose o fece comporre un poemetto (Peek
1942, 330 = 186 Ameling) di ambientazione bucolica. Ad Atene egli divenne
sacerdote del culto imperiale e di quello di Bacco nella corporazione privata dei
Iobacchoi; cfr. IG II2 1368 = 94 Ameling. A questo periodo risale la costruzione
dell’Odeion, monumento dedicato da Erode alla memoria di Regilla sul pendio a
sud dell’Acropoli, per la cui costruzione furono usati il miglior materiale e marmo
del tempo. Tutto quello che Erode fece ad Atene mirava a dimostrare la sua
innocenza dall’accusa di aver provocato la morte della moglie. Nel 165 d. C. la
peste, importata dall’Oriente in Grecia dai soldati di Lucio Vero, causò la morte di
Elpinice, secondogenita di Erode, sposa di Lucio Vibullio Ipparco29. Anche questa
volta un filosofo, Sesto da Cheronea, dovette esortare alla moderazione Erode che
manifestava il suo lutto in maniera eccessiva. IG II2 12568/9 = 136 Ameling
conserva un componimento in esametri che rende testimonianza di questo dolore.
È a questo punto della sua vita che Erode pensò di ricorrere all’adozione per
assicurarsi la continuazione della famiglia; ved. Ameling 1983, II, 113. Egli si
sentiva senza eredi maschi a causa del cattivo rapporto con Bradua, l’unico figlio
rimasto in vita, il quale aveva dato al padre solo dispiaceri tanto da fargli
29 Sulla peste che scoppiò durante gli anni di regno di Marco Aurelio ved. GILLIAM 1961.
21
esclamare un giorno: «uno solo, ancora stolto, rimane nella casa» (Philostr. V. S.
2, 558, 19; trad. Civiletti). Egli adottò il fratello di suo genero, che prese il nome
di Lucio Vibullo Claudio Erode (cfr. IG II2 3979 = 141 Ameling), di cui non sono
tramandate altre notizie. Si potrebbe quindi concludere che questi sia morto poco
dopo l’adozione.
Erode adottò anche tre giovani, che amò come figli propri, cui diede
un’accurata educazione. Poiché sporadici ritratti lasciano dedurre che i giovani al
tempo dell’adozione avessero circa quindici anni, la data della loro nascita si
collocherebbe intorno al 150 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 114. Il primo si
chiamava Achille (cfr. IG II2 13195 = 162 Ameling, IG II2 3977 = 180 Ameling,
IG II2 10938 = 181 Ameling), il secondo Mnemone, di origine etiopica, detto
piccolo topazio (cfr. IG II2 13196 = 163 Ameling), mentre il terzo era un parente
di Erode Attico, di nome Vibullio Polluce. Dalle iscrizioni a lui dedicate risulta
che questi era un eques romanus30. Come i figli naturali di Erode, anche
quest’ultimi morirono presto a causa della peste, l’uno a poco tempo di distanza
dall’altro: dapprima Polluce, poi Achille e infine Memnone. Alla loro morte
Erode fece collocare statue e stele e iscrizioni nei luoghi che lui era stato solito
frequentare insieme ai giovani, trasferendo in questo modo la loro esistenza e il
tempo trascorso insieme nella sfera eroica e mitica31. Il fatto che alcune iscrizioni
per Polluce contengano il nome di Vibullia Alcia, la quale dedica al giovane
statue e stele, testimonia che la madre di Erode Attico era ancora in vita intorno
agli anni sessanta del secondo secolo; cfr. IG II2 3972 e 3973.
Anche per la morte di Polluce Erode si abbandonò a eccessive
manifestazioni di dolore come aveva già fatto per la morte dei figli e di Regilla;
cfr. anche Luc. Demon. 24, 33. Secondo Robert 1979, 160-5, in quell’occasione
30 cfr. IG II 2 3969 = 173 Ameling [ψηφσµατιτ4ςβουλ4ς][τ4ς)ξSρεουπγουκαC][τ4ς]βουλ4ς[τν πεντακ][ο]σων καC το3 δOµ[ου το3 Sθηναων] ρδης Βιβο[λλι][ο]ν Πολυδευκωνα\ππ[α][!]ωµαωνθρψαςκαCφι[λ]OσαςUςυ\'ντoΝεµ[σει],µετ0α,το3=θυεν,ε,µ[ε]ν4καCµνηστοντ'ν[τρ/]φιµον.vac. 31 Cfr. Philostr. V. S. 2, 558, 22-559, 5 λλ0 Sθηναοις πνθρωπα )δ/κει τα3τα ο,κ)νθυµουµνοις τ'νSχιλλα καC τ'νΠολυδεκην καC τ'νΜµνονα, οlς gσα γνησοις )πνθησετροφµουςvντας,)πειδ$καλοCµλιστακαCγαθοCIσανγεννα*οτεκαCφιλοµαθε*ςκαCτoπαρ0α,τ2 τροφo πρποντες. εκ/νας γο3ν νετθει σφν θηρντων καC τεθηρακ/των καCθηρασ/ντων τ9ς µ(ν )ν δρυµο*ς, τ9ς δ( )π0 γρο*ς, τ9ς δ( πρ'ς πηγα*ς, τ9ς δ( jπ' σκια*ςπλατνων,ο,κφανς,λλ9ξMνρα*ςτο3περικ/ψοντος<κινOσοντος,οlςο,κ~ν)πCτοσο3τονIρεν,εµ$)πανωνξους)γγνωσκεν.
22
Erode avrebbe celebrato un concorso funebre in onore del giovane defunto sullo
stile dei giochi che i Greci organizzarono davanti alle mura di Troia per la morte
di Patroclo e poi di Achille.
Al 173-174 d. C. risale lo scontro di Erode Attico con i fratelli Quintili della
città di Alessandria di Troade, che erano stati consoli ordinari nel 151 d. C.
Philostr. S. V. 2, 559, 10-7, al quale i motivi veri del contrasto non sembrano
essere noti, parla dapprima di uno scontro ai giochi pitici nel giudicare l’agone
musicale, poi di una battuta di Erode che, criticando la stima dell’imperatore
Marco Aurelio per i due fratelli, esclamò: «io persino lo Zeus omerico biasimo,
perché ama i Troiani» (Philostr. V. S. 2, 559, 15-7; trad. di Civiletti). Sulle cause
dello scontro Ameling 1983, I, 108, ponendosi sulla scia di Graindor 1930, 113 e
Oliver 1970, 72, afferma: «In neuerer Zeit wurde angenommen, dass die beiden
Brüder es nicht verwinden konnten, in Herodes einen so großen Wohltäter ihrer
Heimatstadt zu sehen, an dessen Munifizenz sie nicht heranreichen konnten». A
questa conclusione portano infatti le allusioni di Philostr. V. S. 2, 559, 17-560, 17
il quale, ricordando che ai due fratelli si rivolsero gli abitanti di Atene per
accusare Erode Attico di tirannide, sottolinea come subito i Quintili riferirono
quanto avevano appreso dal popolo ateniese all’imperatore. Demostrato,
Prassagora e Mamertino, esponenti del partito politico contrario al ricco ateniese,
si fecero portavoce dell’accusa, inviando una delegazione a Marco Aurelio con la
speranza di ottenere da lui una sentenza di colpevolezza nei confronti del loro
avversario. Al tempo di questa accusa Marco Aurelio era con il suo esercito a
Sirmio, dove conduceva la guerra contro i Marcomanni. Qui si presentarono da
una parte Demostrato e i suoi seguaci che cercarono di ottenere il sostegno di
Faustina la giovane, moglie dell’imperatore, e di sua figlia di tre anni, che con
moine pregava il padre di salvare gli Ateniesi, dall’altra Erode, accompagnato dal
seguito dei liberti, tra cui Alcimedonte e le sue due figlie gemelle, educate da
Erode come proprie. Anche questa volta il destino volle che un tremendo lutto
sconvolgesse Erode alla vigilia del processo. Durante la notte un fulmine,
abbattutosi sulle torri dove abitavano le due fanciulle, ne provocò la morte. Uscito
di senno, Erode si presentò in giudizio il giorno dopo, lanciando le sue accuse
contro l’imperatore perché questi si lasciava abbindolare dalla moglie e da una
23
bambina di tre anni. Secondo Papalas 1978, la frase filostratea τα3τ µοι -
Λουκουξενα,νσµοι=πεµψας·Rθενδικζεις,γυναικµεκαCτριετε*παιδ7
καταχαριζ/µενος (V. S. 2, 561,6-8), pronunciata da Erode, fa pensare che l’accusa
principale, dalla quale il ricco ateniese dovette difendersi, sia stata propriamente
quella relativa al tipo di ospitalità offerta a Lucio Vero a Canosa, in occasione
della quale Erode Attico aveva organizzato banchetti e battute di caccia per il
giovane imperatore dedito ai piaceri e al lusso, incapace di assumersi gli impegni
di governo; cfr. H. A. Ver. 4-5; 6, 7; 8-9, Aur. 8, 9. Secondo Civiletti 2002, 522,
Erode Attico incarnava in quel processo agli occhi austeri dei Romani la
personificazione dei vizi tipici dell’Oriente che avevano fuorviato il giovane
Lucio Vero. Marco Aurelio era rattristato dalle accuse degli Ateniesi contro
Erode, suo primo maestro, e voleva perciò evitare di infliggergli una punizione.
Poiché gli Ateniesi avevano mosso delle accuse anche contro i liberti di Erode,
l’imperatore decise di dare a quest’ultimi una punizione, sebbene molto mite.
Oliver 1970, 75, collega questa accusa rivolta dagli abitanti di Atene ai liberti, con
il provvedimento promosso da Lucio Vero a favore di figli e nipoti dei liberti, ai
quali erano state affidate importanti cariche pubbliche in seguito alle grosse
perdite di uomini. Alla morte di Lucio Vero, Marco Aurelio, rimasto l’unico
detentore del potere, cercò di limitarne l’influenza negli alti organi di governo
attraverso speciali provvedimenti come la regolamentazione dell’accesso
all’Areopago.
Purtroppo Filostrato non rivela il tipo di accuse che gli Ateniesi mossero al
loro antico benefattore, che abbandonò il tribunale senza usare a sua difesa tutto il
tempo che aveva a disposizione. Civiletti 2002, 523, sottolinea come
l’incompletezza del racconto filostrateo relativo al processo di Sirmio sia dovuta
alla volontà del biografo di oscurare le responsabilità di Erode Attico negli scontri
che nella seconda metà del II sec. d. C. caratterizzarono lo scenario politico di
Atene, la quale attraversava allora una forte crisi economica.
Sebbene Erode fosse stato assolto dalle accuse, non fece ritorno ad Atene ma
si recò ad Orico dove diede vita a dei lavori di ricostruzione della città. Questo
alimentò alcune voci, smentite da Philostr. 2, 262, 1-6, secondo cui egli era stato
mandato in esilio dall’imperatore. Intorno al 174-175 d. C. Marco Aurelio inviò
24
agli Ateniesi una lettera, incisa sulla superficie di due marmi bianchi (SEG 29,
127 II = 189 Ameling), i cui frammenti sono stati ritrovati nel 1930, con cui egli
rendeva noti alla città alcuni provvedimenti su casi giudiziari ateniesi. Qui ai righi
87-94 egli invita gli Ateniesi a richiamare in patria il loro benefattore, senza il
quale la città sembrava aver perso il suo supporto finanziario32. Erode ritornò ad
Atene nel 175 d. C., prima della rivolta organizzata da Avidio Cassio contro
l’imperatore, nei confronti della quale egli mostra la sua piena disapprovazione
nell’epistola inviata a Cassio, di cui Philostr. V. S. 2, 563, 12 cita la battuta
iniziale ρδης Κασσ7· )µνης. IG II2 3606 = 190 Ameling contiene un
poemetto che ricorda l’accoglienza festosa di Erode da parte della sua città, a cui
Flavio Filostrato non fa alcun cenno.
L’imperatore Marco Aurelio fece visita alla città di Atene nel 176 d. C.
insieme al figlio Commodo, ed entrambi vennero iniziati ai misteri eleusini
durante i quali Erode servì come mistogogo33. Questo è l’ultimo avvenimento
databile della vita di Erode Attico, il quale morì all’età di settantasei anni di
consunzione nel 177 d. C; ved. Swain 1990, 214-6.
Sebbene egli avesse chiesto ai suoi liberti di essere seppellito a Maratona, gli
Ateniesi vollero collocare il suo corpo nello stadio panatenaico, il più grande dono
che egli aveva fatto alla città di Atene e fecero iscrivere sulla sua tomba il
seguente epitaffio, citato da Philostr. V. S. 2, 566: Sττικο3ρδηςΜαραθνιος,
ο8τδε πντα/κε*ταιτ2δετφ7,πντοθενε,δ/κιµος.
32 Per un’analisi della lettera riguardo ai righi relativi a Erode Attico ved. OLIVER 1970, JONES
1971, WILLIAMS 1975, AMELING 1983, II, 182-205, nr. 189, CORTOSSA 1985, KENNELL 1997 e TOBIN 1997, 41-4. 33 La volontà dell’imperatore di essere iniziato ai misteri eleusini viene espressa dallo stesso nella lettera inviata ad Erode, per manifestare la sua benevolenza nei confronti del vecchio maestro e citata da Philostr. V. S. 2, 562, 24-563, 5 "χα*ρµοι,φλερδη."διαλεχθεCςδ(jπ(ρτντο3πολµουχειµαδων,)νοKςIντ/τε,καCτ$νγυνα*καdλοφυρµενοςmρτια,τ2τεθνεσανεπνττικαCπερCτ4ςτο3σµατοςσθενεας)φεξ4ςγρφει"σοCδ(jγιανειντεεχοµαικαCπερC)µο3Uς ενου σοι διανοε*σθαι, µηδ( -γε*σθαι δικε*σθαι, ε καταφωρσας τιν9ς τν σνπληµµελο3ντας κολσει )π0 α,τοMς )χρησµην Uς οK/ν τε )πιεικε*. δι9 µ(ν δ$ τα3τα µO µοιdργζου,εδτιλελπηκσε<λυπ,πατησονπαρ0)µο3δκας)ντ2\ερ2τ4ς)νmστειSθην;ς)νµυστηροις.η,ξµηνγρ,π/τεπ/λεµοςµλιστα)φλγµαινε,καCµυηθ4ναι,εgηδ(καCσο3µυσταγωγο3ντος."Per un elenco delle fonti antiche che citano l’iniziazione di Marco Aurelio ai misteri eleusini ved. AMELING 1983, I, 160, n. 48.
25
Commento alle iscrizioni poetiche
1 = 139 Ameling
Kaibel 1878, 862; App. Anth. III, 1, 240; IG III 914; IG II2 3553.
Eleusi.
Presso i Grandi Propilei.
Intorno al 157 d. C.
Ved. Clinton 1974, 108, nr. 19; Ameling 1983, II, 142, nr. 139; Tobin 1997,
87.
Ameling 1983, II, 142, assegna IG II2 3553 alla metà del II sec. d. C. e mette
l’iscrizione in relazione ad Erode Attico e a sua figlia Atenaide, sebbene Kirchner
l’avesse già datata al I sec. d. C. con approvazione di Clinton 1974, 108.
Atenaide era nata probabilmente nel 144 d. C. Philostr. 2, 557, 32, la chiama
Panatenaide, forse un nomignolo che le era stato dato per essere nata in
coincidenza con l’inaugurazione dello stadio Panatenaico ad Atene edificato dal
padre; ved. Tobin 1997, 86. Questo nome, insieme a quello dei tre τρ/φιµοι
Polluce, Memnonee Achille,documenta, come mette in risalto Graindor 1930, 35,
il gusto classicheggiante di Erode Attico che emerge in ogni aspetto della sua vita.
Per quanto riguarda la data di stesura del distico bisogna postulare che
risalga al 157 d. C. in quanto per la funzione di πα*ςφXστας,cui il testo allude
(ved. infra), venivano scelti ragazzi e ragazze che avessero già compiuto tredici
anni; ved. Thompson 1948, 179.
κορηνυ\4οςπερινυµονερ/φαντις
θ4κεθεα*ςδαιςµστινSθηναδα.
26
La sacerdotessa offrì alle proprie dee la famosa figlia di suo figlio, Atenaide
come iniziata.
v. 1. κοκοκοκορην υρην υρην υρην υ\4\4\4\4ος περιος περιος περιος περινυµοννυµοννυµοννυµον ερερερερ////φαντιςφαντιςφαντιςφαντις. L’iscrizione nomina una
fanciulla di nome Atenaide, nipote della sacerdotessa dei misteri eleusini
(ερ/φαντις), che compie l’offerta. L’identità della sacerdotessa non viene qui
rivelata, poiché «hierophantidis nomen ex sacrorum ritu tacetur» (Kaibel 1878,
862). Secondo Ameling 1983, II, 141, la sacerdotessa dei misteri è Vibullia Alcia e
il figlio della donna è Erode Attico.
La fanciulla in questione viene qualificata dall’aggettivo περινυµον «far-
famed» (LSJ, s. v.), che non è mai usato in età classica. Per il nesso κορην …
περινυµον cfr. IG II2 4510 fr. a 2 = SEG 28, 225, 2 [B Φλεγα] κορα
περινυµε.
Il sostantivo ερ/φαντις, insieme al maschile εροφντης, indica il
ministro più illustre dei riti eleusini, il quale apparteneva alla nobile discendenza
di Eumolpo, primo organizzatore dei misteri e capostipite della famiglia
sacerdotale dei Cerici tramite il figlio Cerice; sulla discendenza di Erode da
Cerice ved. commento a IG XIV 1389 A, 32-3 = 146 A, 32-3 Ameling. Durante i
riti lo ierofante aveva il compito di mostrare agli iniziati i segni sacri. Per quanto
riguarda le sacerdotesse, la loro prima comparsa è databile intorno al 250 a. C.
grazie a un frammento dello storico Istros FGrHist 334 F 29 ΚαCτ'ν\εροφντην
δ(καCτ9ς\εροφντιδαςκαCτ'νδ]δο3χονκαCτ9ςmλλας\ερεαςµυNνης=χειν
στφανον. Ai culti erano presenti due εροφντιδες, delle quali una era
sacerdotessa di Demetra e l’altra di Core. Quando le iscrizioni distinguono le due
sacerdotesse, il titolo ufficiale per quella di Core è \ερ/φαντιςτ4ςνεωτρας (cfr.
IG II2 3585) mentre non compare mai per esteso quello della sacerdotessa di
Demetra che tuttavia, per analogia, dovrebbe essere \ερ/φαντιςτ4ςπρεσβυτρας;
per un’analisi delle fonti relative alle ierofanti ved. Clinton 1974, 86-8.
v. 2. θεαθεαθεαθεα****ςςςς δδδδαιςαιςαιςαις. Le due dee sono Demetra e Core per le quali la donna
presta il suo servizio religioso.
µµµµστινστινστινστιν. Clinton 1974, 108, sottolinea l’espressione poetica κορην…µστιν
per designare la giovane Atenaide come µυηθε*σα φ Xστας. Questa
27
interpretazione corroborerebbe il collegamento dell’iscrizione con la figlia di
Erode, in quanto anche per Bradua ed Elpinice sono conservate iscrizioni che
attestano il loro servizio come πα*δες φ Xστας. Si tratta di IG II2 3608 = 91
Ameling Τʖιʖ. Κλ. ππιον [Sτελιον Sττικ'ν] Βραδοαν Κλ. [ρδου το3
ρ]χιερωςκαC [!ηγλληςSππου]jπτουθυʖ[γατρ'ςυ\/ν,υ\'ν] τ4ςTλλ[δος,
µυηθντα φ0 X]στας, in cui Bradua viene definito figlio dell’Ellade, e Clinton
1971, 132, nr. 28 = 134 Ameling Sππ[αν Sνναν Sτειλαν !O]γιλλʖ[αν
Sγριππε*ναν] hλπʖ[ινεκην Sτραν] Π[λλαν ρδου καC !η]γʖ[λλης
θυγατρα], per la quale Clinton avanza l’ipotesi che qui la figlia maggiore di
Erode venga onorata come πα*ςφXστας.
28
2 = 100 Ameling
Corinth I 3, 69, nr. 49; SEG 13, 226; 22, 216; Corinth VIII 3, 128.
Corinto. Zona del tempio di Tyche.
Sulla base di una statua che raffigurava Regilla.
Precedente al 160-161 d. C.
Ved. Bousquet 1964, 609-13; Oliver 1970, 26; Ameling 1983, II, 120, nr.
100; Tobin 1997, 78; Galli 2002, 98-104.
La pietra, ritrovata il 22 marzo 1935 nell’area occidentale dell’agorà di
Corinto in prossimità del tempio di Tyche, presenta un epigramma in quattro distici
elegiaci. Il testo rende pubblica la decisione della bulé di Corinto di dedicare una
statua di Regilla, venerata come Tyche della città, fatta scolpire da Erode Attico.
Si tratta di un atto di evergetismo nei confronti di Corinto da parte del ricco
ateniese, alla cui figura l’epigramma conferisce particolare rilievo ai vv. 2-4.
Riguardo all’autore del testo, non ci sono elementi decisivi che permettano di
dimostrare l’attribuzione dell’epigramma a Erode Attico. Galli 2002, 98, afferma
tuttavia che «der offizielle Charakter der Inschrift erhält eine individuelle Note, die
auf den Stifter rückverweist».
Il componimento deve essere datato tra il 143 e il 160-161 d. C. perché
l’epigramma presenta al v. 5 Erode Attico come marito di Regilla; inoltre il fatto
che esso non alluda alla morte della donna fa pensare che la statua sia stata eretta
quando Regilla era ancora in vita. La pietra risale invece alla seconda metà del III
sec. d. C., perché, come annota Kent 1966, 59, «it is impossible to assign such
decadent lettering to so early time. The lunate sigma, uncial omega, and the clumsy
shapes of rho and other letters indicate that the text was engraved at least a century
after Regilla’s death. Nor it is easy to imagine that the Herodes would have
tolerated such a slipshod memorial to his beloved wife». Si tratta dunque di una
copia dell’epigrafe originale andata distrutta e ricopiata da un lapicida non
specializzato e non colto.
29
La superficie si è preservata quasi per intero ad eccezione del lato sinistro
rovinato.
[!ηγλλαςτ]/δ0mγαλµα.φυ$νδ0)χραξετεχνετης
[σ]ωφροσνην)ςλθονραµνην.
[Sττικ]'ςρδηςµγαςπασεν,=ξοχοςmλλων
[παντ]οʖηςρετ4ςεςmκρονε\κ/µενος,
[iπ]/ʖσινTλλOνων=λαχενπερβωτονxπντων 5
[α]σʖονʖαδ0αEτεπ<>ιν,mνθοςSχαιιδος.
[!ηγλ]λʖαʖ,-βουλOσεΤχηνUςε\λσκουσα
[εκ/ναπ]ρ<'ς> τεµνιστOσατολαινην.
2 [π;σαν σ] Linforth, probb. Scranton, Kent, [κλενην σ] Meritt, [γλπτων σ] Kent, [α,τ4ς σ]
Ameling e.g. 5 [i π] Ameling, [ν π] Scranton, probb. alii 6 [α]σʖονʖα Robert-Robert,
[κρσ]σʖονʖαScranton ΠΛΙΝlapis, πϊν Bousquet mνθος Scranton et alii, mνθος= νθπατος
lapis 8 [εκ/να π]ρ<'ς> Kent, [εκ/να π]ρw = lat. “pro” Scranton, [εν λαµπ]ρ2 Bousquet,
prob. Robert, [εν \ε]ρ2 Oliver, )νκαθα?]ρ2Ameling.
Questa è la statua di Regilla. Un’artista ne scolpì la figura, che riproduce
nella pietra la … temperanza. Erode Attico, superiore a tutti, la fece realizzare,
raggiungendo il punto più alto d’ogni sorta di virtù. Ella (che) ebbe in sorte uno
sposo famoso tra tutti i Greci, per di più figlio d’Ausonia, fiore d’Acaia. O Regilla,
il consiglio collocò la tua immagine di pietra presso il recinto sacro, onorandoti
come Tyche.
v.1.[v.1.[v.1.[v.1.[!!!!ηγηγηγηγλλαςτ]λλαςτ]λλαςτ]λλαςτ]////δδδδ0m0m0m0mγαλµαγαλµαγαλµαγαλµα. Kent 1966, 59, stabilisce che il numero esatto
di lettere perdute a inizio di ogni verso è recuperabile grazie alla ovvia
integrazione del verso 3 [Sττικ]/ς. La lacuna del primo verso è facilmente
colmabile, perché l’incipit τ/δ0mγαλµα,preceduto dal nome di una divinità o di
una persona, è tipico degli epigrammi che tramandano la dedica di statue; cfr.
Anacr. A. P. 6, 144, 1 Στροβου πα*, τ/δ0 mγαλµα,Λεκρατες, εEτ0 νθηκας;
Sim. A. P. 13, 19, 1 νθηκεν τ/δ0 mγαλµα Κορνθιος Rσπερ )νκα; 16, 24, 1
Μλωνοςτ/δ0mγαλµακαλο3καλ/ν; Call. A. P. 6, 347, 1 ρτεµι,τCντ/δ0mγαλµα
30
ΦιληρατCςεrσατοτoδε; IDelos 17, 1 Sʖρτʖµιδοςτ/δ0mγαλµ[α]·νθεκενδµ0
Ε[]πολις α,τo; Mil. 445, 1 τ4σδε θε;ς τ/δε mγαλʖ[µα — νθηκε]; 449, 2
συχουτ/δ0mγαλµα.
φυφυφυφυ$$$$ν δν δν δν δ0 )0 )0 )0 )χχχχραξε τεχνεραξε τεχνεραξε τεχνεραξε τεχνετης.της.της.της. Il nesso φυ$ν )χραξε è attestato soltanto in
questo epigramma. Il sostantivo φυO viene spiegato da Hesych. φ956, 1, come
φσις σµατος, -λικα; 958, 1, φυ4ς· φσεως. καC - το3 σµατος jπ/στασις.
Eust. Comm. ad. Il. 1, 265, 10-1, afferma cheφυOviene impiegato da Omero tanto
per le qualità corporali quanto per quelle morali di una persona: φυOν τινες
νενοOκασι τ' )ξ εgδους τε καC ψυχ4ς γαθ/ν, φσις jπ0 mλλων καC Iθος
λγεται. In questo epigramma φυOindica la grazia di Regilla che scaturisce dalla
compresenza di bellezza interiore ed esteriore.
La grafia τεχνετης al posto di τεχντης«artificer» (LSJ, s. v.) è ben attestata
nelle epigrafi del II sec. d. C., come, p. es., in IG II2 1105 e SEG 30, 86.
v. 2.[σ]ωφροσσ]ωφροσσ]ωφροσσ]ωφροσνηννηννηννην))))ςλςλςλςλθονθονθονθονραµραµραµραµνηννηννηννην.Il sostantivo σωφροσνη descrive
la principale virtù delle donne nelle iscrizioni greche, «often the only mentioned,
or the only moral virtue amid a list of physical qualities, social attributes, and
domestic accomplishments» (North 1966, 252); ved. anche Robert 1965, 39. Le
qualità morali di Regilla sono presentate da Marcello in IG XIV 1389 A 10 = 146,
10 Ameling το3το γ9ρ ντ0 γαθο*ο ν/ου εgληχεν mποινον, come il motivo
dell’onore concessole di dimorare nelle isole dei beati dopo la morte; cfr.
commento ad loc.
Per quanto concerne la lacuna iniziale, è difficile stabilire quale parola
preceda il sostantivo σωφροσνη. Gli studiosi che si sono confrontati con questo
testo, hanno avanzato diverse soluzioni. Meritt propone di integrare il verso con
κλεινOν σ. L’aggettivo κλειν/ς significa «famous, renowned» (LSJ, s. v.) ed è
attestato in poesia tanto come epiteto di città, quali Agrigento (Pind. O. 3, 2),
Siracusa (Pind. O. 6, 6 ed Epich. fr. 231 Kassel-Austin) ed Atene (Pind. fr. 76
Maehler, Aesch. Pers. 474, Eur. Ph. 1758) quanto come qualifica di persone; cfr.
Pind. P. 1, 31, Hdt. 7, 228, Aesch. Pr. 834, Soph. Ph. 575, OT. 8. Il nesso κλενη
σωφροσνηè presente in un epigramma di Crates Theb. A. P. 10, 104, Χα*ρε,θε9
δσποινα,σοφννδρνγπηµα,/Ε,τελη,κλειν4ς=γγονεΣωφροσνης·/σ$ν
31
ρετ$ντιµσιν,Rσοιτ9δκαι0σκο3σιν,in cui la Semplicità viene salutata come
figlia della gloriosa Temperanza.
Scranton 1951, 69 e Kent 1966, 128, accolgono invece l’integrazione di
Linforth π;σανσ. Kent 1966, 128, pensa anche alla possibilità di integrare il v. 2
con γλπτων σ, genitivo plurale del sostantivo γλπτος che designa lo scultore;
tuttavia «the spacing strongly favors the shorter word» (Kent 1966, 128). Invece
Ameling 1983, II, 120, rifiuta le proposte degli epigrafisti precedenti e integra il
testo e.g. con α,τ4ς; il nesso α,τ4ςσωφροσνηè attestato in testi epigrafici che,
sotto forma di decreti della bulé e del popolo, elogiano e ricordano la σωφροσνη
di donne, come in ISide 121 A (a.) 5ν$ρα,τ4ςσωφροσνηςτεκαCσεµν/τητος
χριν. Cfr. ancheIMT Kyz. Kapu Dag 1435, 5-6 (55-6)διτετ$ντνγονωνκαC
τ$ντο3νδρ'ςρετ$νκαCτ$νδανα,τ4ςσωφροσνην eIEph. 1200, 10-12δι
τετ$ν δανα,τ4ςσωφροσνηνκαCδι9τ$ντο3νδρ'ςα,τ4ςρακλεδουπρ'ς
τ'νδ4µονενοιαν, dove però il contesto è diverso poiché il sostantivo σωφροσνη
è accompagnato in tutti e due i casi dall’aggettivo gδιος.
Per il participio ραµνηνaoristodiαgρω in clausola di elegiaco cfr. App.
Anth. 2, 621, 11 ρεµηνκοτης)ςτλοςραµνη.Kent 1966, 59, traduce il v. 2
«which has translated all her prudent moderation into stone» e Ameling 1983, II,
120 «im Stein beschwor er ihre edle Gesinnung».
v. 3. [[[[SSSSττικ]ττικ]ττικ]ττικ]''''ςςςς ρρρρδης µδης µδης µδης µγαςγαςγαςγας ππππασενασενασενασεν ====ξοχοςξοχοςξοχοςξοχος mmmmλλων.λλων.λλων.λλων. Per l’integrazione
iniziale ved. supra. Il secondo esametro chiarisce che Erode Attico è il promotore
della realizzazione della statua della moglie. A lui è riferito l’aggettivo µγας.
L’uso di riferire µγας a un nome proprio, senza offrire tuttavia alcuna
informazione aggiuntiva sul suo carattere, è già tipico della poesia omerica e si
riscontra in tutta quanta la produzione poetica greca; a riguardo ved. Bissinger
1966, II, 15-6. Il secondo aggettivo =ξοχος«standing out (from), then excellent»
(Beck 1984, s. v.) rivendica ad Erode una superiorità che lo contraddistingue dagli
altri uomini. Il nesso =ξοχος mλλων ha come modello l’espressione omerica
=ξοχονmλλων attestata in clausola di esametro; cfr. Il. 6, 194; 9, 631, 641; 13, 499;
17, 358; 20, 184; Od. 5, 118; 6, 158; 19, 247; H. Hom. Pan 28; Hes. fr. 25, 32;
229, 12 Merkelbach–West. Cfr. anche IGUR III 1316, 4 =ντ0α,το*ςjπτοιςκλος
32
=λλαβες =ξοχονmλλων e IPergamon 2, 576 A, 6 τ/σσον τνmλλων =ξοχ/ς )στι
Γλκων.
v. 4. [[[[παντπαντπαντπαντ]]]]οʖοʖοʖοʖηςηςηςηςρετρετρετρετ4444ςεςεςεςεςςςςmmmmκρονεκρονεκρονεκρονε\\\\κκκκ////µενος.µενος.µενος.µενος.Il verso è un encomio di Erode
Attico, il quale viene descritto come colui che ha raggiunto l’apice di ogni virtù.
Il sintagma παντοηρετ4è già attestato in Omero in apertura di esametro in
Il. 15, 642; 22, 268; Od. 4, 725, 815; 18, 205. Cfr. anche Theogn. v. 624 West2
παντο*αι δ0 ρεταC καC βι/του παλµαι; Sim. fr. 10, 2 West2 παντοης ρετ4ς
gδριες)νπολµωιed Eur. Med. 845 παντοαςρετ;ςξυνεργος.
Il participio ε\κ/µενος corrisponde a \κ/µενος; ved. commento a τεχνετης
del v. 1. Per l’espressione ες mκρον ε\κ/µενος cfr. Hes. Op. 291 )π$νδ0εςmκρον
rκηται; Tyrt. fr. 9, 43 Gentili-Prato τατηςν3ντιςν$ρρετ4ςεςmκρον/\κσθαι;
Sim. fr. 74, 7 Page rκpτ0)ςmκροννδρεας e Opp. C. 4, 364-5 )π$νδ0εςmκρον
rκωνται / ε,πλανοςστιβης. Il nesso εςmκρονpiù il part. (φ)ικ/µενοςè della
prosa tardo-antica e poi bizantina; cfr., ad es., Max. Tyr. Dial. 40, 4 a; Eun. VS 4,
1, 4; 10, 6, 2; Constantinus Manasses Brev. Chron. 2595.
v. 5.[[[[iiiiππππ]]]]/ʖ/ʖ/ʖ/ʖσινσινσινσινTTTTλλλλλλλλOOOOνωννωννωννων====λλλλαχενπεραχενπεραχενπεραχενπερβωτονβωτονβωτονβωτονxxxxππππντωνντωνντωνντων.L’integrazione iniziale
[iπ]/ʖσινè una proposta di Ameling, il quale respinge νπ]di Scranton perché «[i
π]füllt den nach dem vorhandenen Platz eher alsνπ]»(Ameling, 1983, II, 120).
Il relativo femminile i rende esplicito che soggetto di =λαχεν è Regilla, cui viene
attribuita la grande fortuna di aver ricevuto in sorte come sposo Erode, famoso tra
tutti i Greci. L’aggettivo περβωτος è variante poetica di περιβ/ητος e trova
numerosi riscontri in testi epigrafici, come, p. es., in IG II2 3669 φOµη µ(ν
περβωτοςν0Tλλδα,τ$ννεανθOςαeνος∆εξππ7δκεν)φ0\στορp;IG V 1,
730, 11 γουν'ςπερβωτοςSµκλης,σοCδ(Λυκαονη=νδιον¡Πιτνη; SEG 34,
276, 1 αα* τ'ν περβω[τον )ν Tλλδι mνδρα σοφιστOν] τ'ν πντεσσι βʖ[βλοις
γνωτ'ν )/ντα βροτο*ς]; Magn. Caria 323, 1 Ε,τρ/πιος ζαθησι δικ[α]σπολαις
περβωτος ΜαγνOτων πτρη[ς]. L’aggettivo ha il significato di «noised abroad,
much talked of, famous» (LSJ, s. v). Hesych.π1592, 1, registra che περιβ/ητος
può designare tanto una fama positiva quanto una negativa.
v. 6. [ [ [ [αααα]]]]σʖονʖσʖονʖσʖονʖσʖονʖα δα δα δα δ0000 ααααEEEEτε π<τε π<τε π<τε π<>>>>ϊν,ϊν,ϊν,ϊν, mmmmνθοςνθοςνθοςνθος SSSSχαιιχαιιχαιιχαιιδοςδοςδοςδος. Scranton 1951, 69,
propone di integrare la lacuna mediante il comparativo [κρσ]σʖονʖα con
approvazione di Kent 1966, 59, il quale afferma che «the restoration [κρσ]σʖονʖα
33
(=[κρεσ]), seems clearly superior to [γλσ]σʖονʖα “sweeter” or [βρσσ]σʖονʖα
“shorter,” as well as to other comparatives whose restoration would call for only
three letters (e. g. βσσων, θσσων, µσσων, Nσσων)». Invece [α]σʖονʖα è
integrazione di Robert-Robert 1966, 371, accolta poi da Oliver 1970, 26 e Ameling
1983, II, 101. Quest’ultimo è convinto del fatto che la lacuna del v. 6 debba essere
colmata solo da due lettere. «Für Roberts Ergänzung spricht noch, dass ähnliche
Ausdrücke wie „Blüte Achaias“ oft mit römischen Epitheta kontrastieren»
(Ameling 1983, II, 121). A sostegno di questa affermazione Ameling rinvia a
Robert 1948, 24, il quale cita l’epigramma che gli abitanti di Tespi fecero
comporre per il proconsole d’Achaia Pretestato, ρχεγ/νου γαης Ελλδος
νθπατος, / τε*χος Sχαιϊδος, !µης στφος, αrµατος ε8χος (ved. a riguardo
Plassart 1926, 444-6, nr. 84) e Robert 1948, 64 = SEG 11, 773, 2, per un
epigramma ritrovato a Sparta, in cui il proconsole d’Achaia Anatolio viene onorato
per avere risollevato la città dalle sue rovine dopo il terremoto del 375 d. C.
attraverso un epiteto che ne ricorda la provenienza da Roma, νθπατον!µης
mνθος)ϋκτιµνης.
Mediante il nesso ασονα… πϊν il v. 6 sottolinea quindi che Erode godeva
anche della cittadinanza romana, già evidente dal suo gentilizio Claudio.
Quest’onore speciale era stato conferito al padre Attico, come testimonia Corinth
VIII 2, 58 = 34 Ameling Ti(berio) Claudio Ti(berii) Claudi Hipparchi f(ilio)
Quir(ina tribu) Attico proetoriis ornament(iis) ornato ex s(enato) c(onsulto)
l(aetus) l(ibens) v(otum) s(olvit). Dean 1919, 174, data l’iscrizione al I secolo d. C.
sulla base della forma delle lettere.
π<π<π<π<>>>>ϊν.ϊν.ϊν.ϊν. La lettura di πϊν al posto del tradito ΠΛΙΝ è merito di Bousquet
1964, 611, il quale ritiene di potervi leggere una dieresi come anche sulle parole
Sχαιϊδος e λαϊνην, dove, a suo giudizio, è ancora più chiara. Bousquet
evidenzia che la lettura πλιν= πλOν nell’accezione di Y, come in Eur. Heracl. 231
τα3τ )στC κρεσσω πλOν jπ Sργειοις πεσε*ν, presenterebbe grosse difficoltà di
interpretazione, perché il verso assumerebbe il significato di «en outre supérieur à
la fleur de l’Achaïe» (trad. Bousquet) e apparirebbe un’inutile ripetizione dopo il v.
5, dove Erode Attico è celebrato come il più illustre di tutti i Greci. L’uso di πιν
per πα*δα è attestato in poesia a partire dall’età ellenistica; cfr. Ap. Rh. 1, 276
34
(πιν Rzach, πα*δlibri); 4, 697; Opp. C. 3, 218; Greg. Naz. A. P. 8, 51, 1; Carm.
Dog. 404, 5; 504; 11; Carm. Mor. 524, 2; A. P. 3, 8, 2; 9, 125, 3 e 6. «Mit der
Ergänzung von Robert in Z. 6 entfällt für diese Inschrift die von Bousquet 611
angestrengte Diskussion um H. als υ\'ςτ4ςλλδος» (Ameling 1983, II, 121).
v. 7.[[[[!!!!ηγηγηγηγλλλλ]]]]λʖλʖλʖλʖαʖαʖαʖαʖ,,,,----βουλβουλβουλβουλOOOOσεσεσεσεΤΤΤΤχηνχηνχηνχηνUUUUςςςςεεεε\\\\λλλλσκουσασκουσασκουσασκουσα.L’integrazione[!ηγλ]λʖαʖ
è accolta all’unanimità da tutti gli studiosi. «The Corinthian boule, by way of
rather farfetched flattery, compares Regilla to Tyche by setting up the statue in the
vicinity of Tyche’s sanctuary» (Kent 1966, 59). Per la grafia di ε\λσκουσα =
\λσκουσαved. annotazione al v. 1 e 4.
Già ad Atene Regilla era stata venerata dai commercianti come Tyche della
città, «a cult which Herodes established in the 140’s, an office she probably held
for life» (Tobin 1997, 77); cfr. IG II2 3607 = 90 Ameling Sππαν Sτειλαν
!Oγιλλαν,Κλ.ρδου το3ρχιερωςγυνα*κα, \ερασαµνηνπρτηντ4ςΤχης
τ4ς π/λεως, κατ9 τ' )περτηµα τν κρατστων Sρεοπαγειτν ο\ )ν Πειρα*
πραγµατευταC ο\ περC Βα(λριον) Sγαθ/ποδα Με(λιτα). Bousquet 1964, 612,
identifica la statua di cui parla questo epigramma con quella ritrovata nel 1902
durante gli scavi nella Stoà di Corinto, di cui restano solo le gambe e la
rappresentazione di una ruota. Edwards 1990, 537, sostiene l’identificazione della
Tyche di Corinto con la dea Nemesi e aggiunge che Regilla «was represented in
the guise of the Nemesis of Rhamnous, since both she and her husband were
special devotees of that cult». A favore di questa tesi lo studioso cita la ruota come
strumento di punizione della dea Nemesi presente sia nel poemetto di Marcello IG
XIV 1389 B 93 = 146 B, 93 Ameling (ved. commento ad loc.), sia in Mesom.
Nem. 7-8 Heitsch. Ved. anche Johnson 1931, 12-3 e Galli 2002, 101.
v. 8. [[[[εεεεκκκκ////νανανανα ππππ]]]]ρρρρ<<<<''''ςςςς>>>> τεµτεµτεµτεµνινινινι στστστστOOOOσατοσατοσατοσατο λαινλαινλαινλαινηνηνηνην. All’inizio del verso 8 si
legge sulla pietra ρωτεµενι.Scranton 1951, 69, accoglie l’integrazione di Meritt
πρw τεµνι «“in front of the sanctuary”, with πρ = Lat. pro, assuming that the
poet was writing in Greek but thinking in Latin». Egli poi cerca anche di integrare
la lacuna iniziale del verso proponendo il sostantivo εκ/να, con cui concorda
l’aggettivo λαινην. Il nesso εκwνλαινηè attestato in iscrizioni come, p. es., IG
II2 4223, 6; IG V 1, 456, 1; IG VII 94, 2; 96, 4; IG XII 5, 328, 5; SEG 13, 277, 20;
30, 143, 7; Corinth VIII 1, 88, 8; ved. commento a Corinth VIII 3, 129 = 101
35
Ameling. L’integrazione di Meritt viene invece scartata da Bousquet 1964, 610:
«le latin pro dans [π]ρwτεµνι est bien étonnant, et il est facile de proposer à la
place [)ν λαµπ]ρ2 τεµνι». Questa proposta di Bousquet incontra anche
l’approvazione di Robert 1966, 369 e Oliver 1970, 26, il quale considera anche la
possibilità di integrare con [εν\ε]ρ2. Invece Κent 1966, 59, difende l’integrazione
di Scranton εκ/να e vede in πρun errore per il corretto π]ρ<'ς>da attribuire a
suo giudizio non al poeta che sta cercando di riprodurre la dizione omerica (p. es.
l’aoristo στOσατο), ma al lapicida «who has carved omega in place of omicron
sigma» (Kent 1966, 59). Invece Ameling 1983, II, 120, integra la lacuna e.g. con
)νκαθα?]ρ2.
36
3 = 101 Ameling
Corinth VIII 3,129; inv. 1752 + 2264.
Corinto. Presso la Stoa meridionale.
Su un blocco di pietra.
Precedente al 160-161 d. C.
Ved. Kent 1966, 60; Robert 1966, 742-3; Ameling 1983, II, 121, nr. 101;
Tobin 1997, 72; Galli 2002, 102-4.
L’iscrizione fu ritrovata nel maggio 1936 nell’area centrale della Stoà
meridionale a Corinto. La pietra che, come osserva Kent 1966, 60, presenta i segni
di una rasura, contiene gli ultimi tre versi di un componimento in distici elegiaci, di
cui i primi sono andati perduti poiché «der Text begann vermutlich auf einem
darüberliegenden Block» (Ameling 1983, II, 121).
[——————————————————]
νθυπτουψOφ7καC[˘˘˘]σιουν
Μυσανθερποντος)ν¤µ[ηττ2˘˘]
εκ/ναλαϊνηνστOσατοπ[ρ'ςτεµνι]
2 π/λεως?Ameling e.g. 3 )ν¤µ[ηττ2µελιηδε*] Kent, )νjµ[νο*ς Robert 4 π[ρ'ς
τεµνι]Kent, π[… Robert.
Per decisione del proconsole e … pose presso il recinto sull’Imetto (?) …
un’immagine di pietra del ministro delle Muse.
La somiglianza di questo testo con quello precedente convince Kent 1966,
60, a ritenere quest’ultimi versi parte di un’iscrizione contenente una dedica ad
Erode Attico, definito ministro delle Muse (Μυσανθερποντος), su decreto del
proconsole della città di Corinto.
37
Il testo presenta alcuni problemi nella lettura e nell’integrazione delle lacune:
il primo verso non è più leggibile e la lacuna che precede le lettere finali del
secondo verso (σιουν) non è stata finora integrata. Ameling stampa e.g. π/λεως.
v. 3.ΜυσαΜυσαΜυσαΜυσανθερνθερνθερνθερποντοςποντοςποντοςποντος.L’espressione ministro delle Muse riecheggia la
definizione esiodea del poeta offerta in Es. Th. 99-101α,τ9ροιδ'ς/Μουσων
θερπων κλε*α προτρων νθρπων / jµνOσει µκαρς τε θεοMς οf ¥λυµπον
=χουσιν; cfr. anche H. Hom. Sel. 19-20 οιδοC / Μουσων θερποντες e Ps-
Hom. Margites 1, 1-2 Iλθτις)ςΚολοφναγρωνκαCθε*οςοιδ/ς,/Μουσων
θερπων. L’epressione ministro delle Muse connota, come afferma Galli 2002,
102, uno stile specifico del modo di rappresentarsi nell’età degli Antonini. «Das
Bild des Repräsentationsmodus als “Sophist-Dichter” setzt sich zusammen aus
zahlreichen Belegen vom sophistischen “Diener der Musen” im 2. Jh. n. Chr. […]
Mit der Wahl der Formulierungen markierte der Auftraggeber nicht nur seine
gesellschaftliche Stellung, sondern auch seinen kulturellen Hintergrund und seine
intellektuelle Bildung». A sostegno della sua affermazione lo studioso cita come
esempio SEG 20, 682, 7-8 [τ]α3τα Φλερνος =γραψε ποητ$ς ^δ( σοφισ[τ$ς] /
[ξ]α καC Μουσν, ξα καC Χαρτων, dove un certo Falerno mediante dei
distici rivendica a sè l’immagine di sofista-poeta; su questo tema ved. anche
Bowie 1989a, 1989b e 1990. Galli mette poi in risalto i ritrovamenti archeologici
nell’area del tempio di Tyche a Corinto che evidenziano il ruolo di Erode Attico
come ministro delle Muse. Si tratta di un piccolo gruppo statuario raffigurante
Apollo citaredo e la Musa Melpomene seduta accanto al dio. «Weitere Fragmente
von Musen in gleichen kleinformatigen Dimensionen legen die Vermutung nahe,
dass das Areal des Thycheion einen statuarischen Zyklus von Apollo und den
Musen beherbergte» (Galli 2002, 102).
))))νννν¤¤¤¤µ[ηττµ[ηττµ[ηττµ[ηττ2222˘˘˘˘˘˘˘˘].].].].La parte finale del verso è lacunosa poiché sulla pietra
sono leggibili solo le lettere ΕΝΥΜ. Kent 1966, 60, propone l’integrazione )ν
¤µ[ηττ2 µελιηδε*], leggendovi in questo modo un riferimento al monte Imetto
che si innalza a sud-ovest della città di Atene. L’aggettivo µελιηδOςrichiamerebbe
qui il fatto che il miele profumato dell’Imetto era molto noto nell’antichità; cfr., p.
es., Hor. Carm. 2, 6, 14-5 ubi non Hymetto / mella decedunt. L’integrazione di
38
Kent tuttavia è troppo lunga rispetto allo spazio da colmare e Robert 1966, 742, è
dell’avviso che al posto di ¤µηττ2 si possa anche proporre l’integrazione Dµνοις.
v. 4.εεεεκκκκ////ναλαϊνναλαϊνναλαϊνναλαϊνηνστηνστηνστηνστOOOOσατοπ[ρσατοπ[ρσατοπ[ρσατοπ[ρ''''ςτεµςτεµςτεµςτεµνι]νι]νι]νι].Il verso finale presenta lo stesso
sintagma di Corinth VIII 3, 128, 8 = 100, 8 Ameling; ved. commento ad loc.
Tuttavia diverso è l’ordo verborum. Kent 1966, 60, propone di integrare la lacuna
finale con π[ρ'ςτεµνι]. In tutti e due gli epigrammi πρ'ςτεµνιdescriverebbe il
luogo presso il quale la statua è stata collocata.
39
4 = 102 Ameling
IG IV 1599; Gärtringen 1926, nr. 124; Corinth VIII 1, 86.
Corinto. Presso la fonte Pirene.
Sulla base di una statua rappresentante Regilla.
Precedente al 161 d. C.
Ved. Powell 1903, 43-5, nr. 21; Hill 1964, 102-3; Ameling 1983, II, 122, nr.
102; Tobin 1997, 78; Galli 2002, 87-8.
Un’altra statua di Regilla doveva essere stata collocata a Corinto presso la
fonte Pirene. Qui venne ritrovata su una base di marmo bianco un’iscrizione che
contiene un provvedimento della bulé, reso nella forma poetica del distico
elegiaco, con il quale Regilla viene celebrata come immagine di σωφροσνη.
Bousquet 1964, 613, nota che «l’écriture est fort semblable à celle de la base de
Regilla-Tyché». Non ci sono tuttavia elementi determinanti che permettano di
datare con precisione l’iscrizione, che potrebbe essere precedente al 160-161 d. C.
perché i versi conservati non fanno cenno alla morte di Regilla.
Il testo è composto da un solo distico elegiaco ed è importante per la storia
della fonte Pirene perché dimostra che «the so-called “second marble period” is to
be connected with Herodes Atticus» (Meritt 1931, 64). Erode Attico infatti fu
benefattore della città di Corinto come testimonia la realizzazione dell’Odeon e il
ritrovamento nel 1919 dell’iscrizione Corinth VIII 1, 85 = 194 Ameling ρδης
)νθδε περιεπτει, databile al II sec. d. C., con la quale gli abitanti della città
esprimevano al loro benefattore la propria riconoscenza; ved. Stevens 1934,
Neugebauer 1934, 105 e Ameling 1983, II, 122.
La base della statua era stata adoperata in precedenza per qualche altro scopo
e poi successivamente capovolta per accogliere la presente iscrizione. Meritt 1931,
64, evidenzia la presenza di disegni di strumenti musicali sul lato opposto.
40
[ν]εµατιΣισυφηςβουλ4ςπαρ9χεµατιπηγν
!ηγλλανµ0)σορ5ς,εκ/νασωφροσνης
ψ(ηφσµατι) β(ουλ4ς)
Su permesso della bulé di Sisifo, presso la corrente delle sorgenti vedi me,
Regilla, immagine di temperanza. Per decreto della bulé.
v. 1.[ν]ε[ν]ε[ν]ε[ν]εµατιΣισυφµατιΣισυφµατιΣισυφµατιΣισυφηςβουληςβουληςβουληςβουλ4444ςςςς.La città di Corinto è designata mediante il
suo mitico fondatore Sisifo; sulla sua figura ved. Münzer 1927, 371-6. «The
poetical use of Σισφιοςto Corinthian things is matched by examples in Anthol.
VII, 745 and IX, 151, Paus. V, 2, 5, and Theoc. Id. XXII, 158» (Powell 1903, 44).
La grafia Σισυφα invece di Σισυφεα è attestata in un epigramma citato da Paus.
5, 2, 5 Σισυφαν δ( µολε*ν χθ/ν0 )κλυεν νρα νεκη / µφC Μολιονιδ;ν
ο,λοµν7θαντ7e in uno di Antip. Thess. A. P. 7, 81, 2 φτιδ(Σισυφαχθwν
Περανδρον=χειν.
La fonte Pirene, presso la quale era stata collocata la statua di Regilla, era
vicina al Σισφειον, forse originariamente un heroon, citato da Str. 8, 379jπ'δ(
τo ΠειρOνp τ' Σισφει/ν )στιν, \ερο3 τινος < βασιλεου λευκν λθων
πεποιηµνου διασζον )ρεπια ο,κ dλγα, e la sua nascita è messa in stretto
collegamento con la figura di Sisifo. Egli se la fece donare dal dio Asopo per
avergli comunicato che Zeus aveva rapito sua figlia Egina; cfr. Paus. 2, 5, 1 e
schol. in Eur. Med. 69.Sulla fonte Pirene ved. De Waele 1937, 108-13.
παρπαρπαρπαρ9999χεχεχεχεµατιπηγµατιπηγµατιπηγµατιπηγν:ν:ν:ν: Il presente sintagma è un indizio, secondo Hill 1964,
103, del fatto che la statua di Regilla era posta presso una fontana. Gärtringen
1926, 53, segnala la scelta dei due termini νεµατι… χεµατι, definendola tipica
dello stile di Erode; ved. anche commento a SEG 26, 290, 5 = 140, 5 Ameling.
v. 2. !!!!ηγηγηγηγλλαν µλλαν µλλαν µλλαν µ0 )0 )0 )0 )σορσορσορσορ5555ς, ες, ες, ες, εκκκκ////να σωφροσνα σωφροσνα σωφροσνα σωφροσνηςνηςνηςνης. L’epigramma dà voce a
Regilla che esplicita la sua identità e stabilisce un diretto contatto con il lettore del
testo, presentandosi come immagine di temperanza. Il nesso εκ/νασωφροσνης
compare anche nell’iscrizione funebre MAMA 7, 258, 5. Per σωφροσνη come
caratteristica femminile menzionata nei testi epigrafici ved. commento a Corinth
VIII 3, 128, 2 = 100, 2 Ameling.
41
Galli 2002, 87, afferma, riguardo a questo epigramma, che «diese poetische
Verkleidung einer üblichen Ehreninschrift gilt als exemplarisch für den engen
Zusammenhang zwischen sophistischer Rhetorik und klassischer Dichtung. Durch
die öffentliche Aufstellung dieser gelehrten Dedikation drückte der Euerget-
Sophist ein Zeichen seiner Paideia aus».
42
5 = 146 Ameling
CIG 6280; Kaibel 1878, 1046; App. Anth. III 263-4; IG XIV 1389; IGR I
194; IGUR III 1155.
Descrizione della pietra: Peek 1979, 77.
Roma.
Al terzo miglio della via Appia.
Posteriore alla prima metà del 161 d. C.
Ved. Salmasius 1619; Visconti 1794; Fiorillo 1801; Franzius 1853, 916-26,
nr. 6280; Froehener 1865, 9-24; Wilamowitz 1928, 3-21; Oliver 1970, 34;
Kammerer-Grothaus 1974, 240-5; Pisani Sartorio-Calza 1976, 133-4; Peek 1979,
76-84; Ameling 1983, II, 153-9, nr. 146; Hornum 1993, 238-40, nr. 153; Skenteri
2005, 29-65.
Nel 1607 venne riportata alla luce un’iscrizione di 39 esametri su marmo
pentelico presso la chiesa di San Sebastiano a Roma, al terzo miglio sulla via
Appia, nel territorio appartenuto nel II sec. d. C. a Erode Attico e noto con il nome
di Triopio. Nello stesso luogo, a dieci anni di distanza, fu ritrovata un’altra
iscrizione di 59 versi, la quale reca il nome del suo autore al genitivo
(Μαρκλλου). Dal luogo del loro ritrovamento esse prendono il nome di iscrizioni
triopee. Sebbene si tratti di due testi distinti, tutti i corpora epigrafici pubblicano
le due iscrizioni sotto un medesimo numero, distinguendo rispettivamente il testo
di 59 esametri da quello di 39 con le lettere A e B, poiché esse hanno in comune
la struttura, l’uso del mito come paradigma, il luogo del ritrovamento e
probabilmente l’autore stesso.
Le due iscrizioni vennero acquistate dal Cardinale Scipione Borghese per
ornare la sua villa sul Pincio, e «incastrate in due are di fronte al finto tempietto
dell’Asprucci dedicato ad Annia Regilla, nel 1793» (Pisani Sartorio-Calza 1976,
134). Oggi le iscrizioni sono conservate presso il museo parigino del Louvre. Di
43
IG XIV 1389 A, 31-46 esiste anche una copia conservata a S. Ambrogio a Milano;
ved. Pisani Sartorio-Calza 1976, 134.
Il primo studio dedicato alle iscrizioni triopee è opera del Salmasius che nel
1619 collegò le due iscrizioni con la figura di Erode Attico, mentre nel 1794
Quinto Ennio Visconti identificò l’autore dell’iscrizione (Μαρκλλου) con
Marcello di Side, vissuto nel II sec. d. C. L’alto valore poetico delle due iscrizioni
venne riconosciuto da Leopardi il quale nel 1816 ne offrì una traduzione poetica
in terzine, preceduta da una prefazione in cui dichiarava: «una e due e tre volte
lessi queste inscrizioni, ed alla terza deliberai di tradurle. Un’andatura Omerica,
un sapor pretto Greco ed Attico v’avea trovato, che m’avean mosso a giudicarle
componimenti classici, ed accontarle tra le reliquie della vera incorrotta poesia
Greca care a me troppo più che l’oro e qual altra cosa di questa fatta si tien
preziosissima» (ap. Flora 1940, 544).
Per quanto riguarda la datazione delle due iscrizioni, poiché IG XIV 1389
A, 20 cita l’imperatore Antonino Pio divinizzato (καCβασιλεMς∆ιCπατρCφυ$ν
καCµ4τιν )οικς) e il v. 56 lascia dedurre che l’imperatore in carica sia Marco
Aurelio (Κασαρος φθµοιο παρ/ψεται vµπνια µOτηρ), la stesura di IG XIV
1389 A deve essere posteriore alla prima metà del 161 d. C. Per quanto riguarda
invece IG XIV 1389B la mancanza di riferimenti alla morte di Regilla potrebbe
rappresentare un indizio per datare il testo prima del 160-161 d. C. Tuttavia non
dovrebbe essere neanche esclusa la possibilità che la stesura di IG XIV 1389B sia
successiva alla morte della donna e che non si faccia cenno a questo avvenimento
in un testo scritto per assicurare al terreno del Triopio la protezione divina e
l’inviolabilità nel tempo.
Attraverso il matrimonio con Regilla, una discendente della famiglia degli
Annii Regoli (143 d. C.), Erode Attico entrò in possesso dei territori romani della
donna situtati sulla via Appia.
Alla morte della moglie Erode Attico dedicò alle divinità dell’oltretomba i
praedia di Regilla (cfr. IG XIV 1390 = 143 Ameling) e conferì loro il nome di
Triopio dal Triopeion di Demetra a Cnido. Il nome Triopio, come sottolinea
Graindor 1930, 98-99, ricorda il re della Tessaglia Triope, la cui punizione per
aver violato il maggese della dea Demetra (cfr. IG XIV 1389, 95-8 = 146
44
Ameling, 95-8) doveva valere per Erode Attico come ammonimento per chiunque
avesse voluto imitarne l’impresa sacrilega. Lo studioso francese formula la tesi,
accolta poi da Neugebauer 1934, 112 e Tobin 1997, 356, secondo la quale la
scelta del nome Triopio testimonierebbe la familiarità di Erode con il santuario di
Demetra a Cnido durante la sua carica di Corrector delle città libere d’Asia
Minore. Come lì sorgeva un bosco, descritto da Call. Cer., 25-9 con le
caratteristiche proprie di un locus amoenus, dedicato dai Pelasgi alla dea che lo
amava alla stregua di quello presente ad Eleusi (vv. 29-30 θε9 δ0 )πεµανετο
χρ7 / Rσσον hλευσ*νι), così anche nel territorio del Triopio sulla via Appia
prosperava una vegetazione rigogliosa (cfr. infra). Secondo un’altra ipotesi,
sostenuta da Visconti 1794, 56-7 e ripresa da Lugli 1924, 95-6, il nome del
territorio romano di Erode potrebbe essere collegato con un altro Triope, re di
Argo e padre di Pelasgo, che introdusse per primo il culto della dea nella sua città.
«Ecco dunque perché da Erode Attico si credè conveniente il nome di Triopio a
indicare un campo ed un tempio consacrati a Cerere, come Triopio era detto quel
suo sacrario antichissimo in Argo: tanto più che le iscrizioni Farnesine, scritte in
vetusti caratteri attici, mostrano che voleva Erode conciliare a questo sacro luogo
un aspetto di remotissima antichità» (Visconti 1794, 57). Pisani Sartorio-Calza
1976, 138, n. 29, come già aveva fatto Quilici 1968, 333, n. 5, respingono
categoricamente, sulla base del testo delle iscrizioni triopee, la tesi avanzata da
Nibby nel 1848-9 e ripetuta da Tommassetti nel 1910, secondo cui la
denominazione di Triopio deriverebbe dal fatto che i praedia di Regilla si
trovavano ad un trivio.
La possibilità che Erode abbia voluto chiamare questo territorio come il
Triopeion di Cnido richiamerebbe alla mente l’atteggiamento dell’imperatore
Adriano, modello costante dell’attività evergetica di Erode. Questi infatti aveva
chiamato parti della sua villa a Tivoli con il nome di alcune regioni della Grecia;
ved. Clementi 1973, 22, Pisani Sartorio-Calza 1976, 138-41 e Tobin 1997, 356.
L’ imitatio Adriani è evidente anche nella scelta di collocare una statua di Regilla,
onorata come eroina, in un’area sacra sottoposta da Erode a un processo di
arricchimento architettonico, con il fine di accrescerne la sacralità mediante la
realizzazione di uno o più ingressi monumentali, di un tempio per la nuova e
45
vecchia Demetra, di un campo sepolcrale sacro ad Atena e a Nemesi e di un
edificio con cariatidi, verso il quale, secondo un ipotesi di Graindor 1930, 218,
potrebbero recarsi le donne di Roma invocate ad apertura del poemetto A.
Insieme agli altri edifici sparsi nel verde dei boschi e delle coltivazioni e al
ninfeo detto della ninfa Egeria, il Triopio era diventato un vero e proprio pagus
agricolo ospitale, abitato da servi e coloni, con un agglomerato di edifici rustici da
identificare archeologicamente con i resti presenti sull’estremità della collina tra
la via Appia Pignatelli e la via Militare. Qui Erode aveva fatto costruire la propria
villa patronale trasformando il nucleo architettonico risalente al I sec. d. C.,
portatagli in dote dalla moglie Regilla, «come usavano imperatori e uomini
illustri, in una superba costruzione alle porte della città» (Clementi 1973, 25).
Della villa di Erode restano tracce archeologiche sotto il palazzo di Massenzio, il
quale, secondo la tesi sostenuta da Lanciani, «deve essersi impossessato della villa
di Erode Attico e Annia Regilla, già cadente in rovina, risarcendola come
appendice al suo circo ed all’eròo di suo figlio» (ap. Pisani Santorio-Calza 1976,
8).
Il Triopio, situato lungo la via romana più antica, è quindi la zona del
territorio romano che più di ogni altra beneficiò della munificenza di Erode
Attico, altrimenti riservata alla Grecia, soprattutto ad Atene. Egli era convinto che
la sua fama sarebbe sopravvissuta nei secoli solo se l’avesse affidata ai
monumenti e non alle parole, come ricorda Filostrato (V. S. 2, 552) a proposito
della sua volontà di tagliare l’Istmo di Corinto.
Le iscrizioni triopee hanno offerto la possibilità agli archeologi di
raccogliere una serie di informazioni utili sugli edifici e sulla vegetazione del
Triopio al tempo di Erode Attico. Attraverso i termini poetici viene infatti alla
luce che i terreni del Triopio erano ricchi di coltivazioni di grano, di vigneti, di
oliveti e di prati verdi. Qui dovevano essere impiegati diversi contadini per la
coltivazione delle terre, cui il poeta rivolge al v. 79 l’ammonimento a non
rimuovere nulla dal territorio del Triopio. Oltre al santuario, dove si recano le
donne di Roma, apostrofate nei primi versi, per compiere dei sacrifici in onore di
Regilla, il testo informa della presenza di un tempio per le due Demetre (vv. 5-8)
trasformato nel IX-X sec. nella chiesa di S. Urbano, dove era stata collocata una
46
statua di Regilla, oggi andata perduta, e di un heroon della donna; ved. Tobin
1997, 357. Quest’ultimo permette di escludere la vecchia identificazione del
tempio del dio Redicolo con la tomba di Regilla, la quale invece si trova ad Atene;
per questa informazione sul sepolcro di Regilla cfr. v. 46 e IG XIV 1392 = 145
Ameling. Il terreno del Triopio, circondato da un muro, era stato consacrato da
Erode ad Atena e a Nemesi di Ramnunte come campo sepolcrale, per garantirne
l’inviolabilità: qui infatti era vietata la sepoltura a chiunque non fosse un
discendente di Erode; cfr. vv. 71-4.
A
Μαρκλλου.
δε3ρ0gτε,Θυβριδες,νη'νποτCτ/νδε,γυνα*κες,
!ηγλλης¨δοςµφCθυοσκ/α\ρ9φρουσαι.
iδ(πολυκτενωνµ(ν=ην)ξΑνεαδων,
Sγχσεωκλυτ'ναKµακαC|δαηςSφροδτης,
γOµατοδ0)ςΜαραθνα·θεαCδµινο,ρανιναι 5
τουσιν,∆ητενη∆ητεπαλαιO.
τoσπερ\ερ'νεeδος)υζνοιογυναικ'ς
γκε*ται·α,τ$δ(µεθ0-ρsνpσιννασται
)νµακρωννOσοισιν,rναΚρ/νος)νβασιλεει.
το3τογ9ρντ0γαθο*ον/ουεgληχενmποινον, 10
Uςο\ΖεMςkκτειρενdδυρ/µενονπαρακοτην
γOρ])νζαλ7χOρpπερικεµενονε,νo,
οDνεκο\πα*δαςµ(νµµονος)κµεγροιο
ªρπυιαιΚλωθεςνηρεψαντοµλαιναι
-µισαςπλε/νων·δοιwδ0=τιπα*δελιπσθην 15
νηπιαχ,γντεκακν,=τιπµπανπστω
οrηνσφινηλ$ςκατ9µητραπ/τµος=µαρψε
πρνπεργηραιoσιµιγOµεναι^λακτpσι.
τ2δ(ΖεMς)πηρονdδυροµν7κ/ρητον
καCβασιλεMς∆ιCπατρCφυ$νκαCµ4τιν)οικς, 20
ΖεMςµ(ν)ςqκεαν'νθαλερ$ν=στειλεγυνα*κ[α]
47
αρpσιΖεφροιοκοµζεµεν^λυσpσιν.
α,τ9ρστερ/ενταπερCσφυρ9παιδCπδιλα
δκεν=χειν,τ9λγουσικαCTρµαναφορ4ναι,
IµοςRτ0Ανεανπολµου)ξ4γενSχαιν 25
νκταδι9δνοφερOν·δο\περCποσσCσαωτ$ρ
παµφαν/ων)νκειτοσελ[Oνη]ςκκλο[ςR]µο[ιος]·
τ'νδ(καCΑνεδαιπο[τ0])νερρψαντοπεδλ7
[=µµεναι]Α,σʖοʖνʖ[οιςε],ʖηγενεσσιγραα.
οµινdν/σσηταικαCΚεκροπδηνπερ)/ντα 30
Τυρσηννρχα*ον)πισφριον<γ>ραςνδρν
nρσης)κγεγατακαCTρµω,ε)τε'νδ$
Κ4ρυ<ξ>ρδεωπρ/γονοςΘησηιδαο.
τονεκατειµOειςκαC)πνυµος,Iµ(νmνασσα[ν]
)ςβουλ$νγρεσθαι,rναπρωτ/θρονες¨δραι, 35
Tλλδιδ0οτεγνοςβασιλετεροςοτετιφων$ν
ρδεω·γλσσνδτµινκαλουσινSθηνων.
iδ(καCα,τOπερκαλλσφυροςΑνεινη
καCΓανυµηδεηκαC∆αρδνιονγνοςYην
Τρω'ςhριχθονδαο·σδ0,φλον,\ερ9Nξαι 40
καCθ3σαι·θυωντ9ρο,κκοντοςνγκη,
ε<E>δτοιε,σεβεσσικαC-ρωνλεγζειν.
ο,µ(γγ9ρθνητO,τ9ρο,δ(θαιναττυκται·
τονεκενοτενεwν\ερ'νλχενοτετιτµβον,
ο,δ(γραθνητο*ς,τ9ρο,δ(θεο*σινRµοια. 45
σ4µαµνο\νη2gκελονδOµ7)νSθOνης,
ψυχ$δ(σκ4πτρον!αδαµνθυοςµφιπολεει.
το3τοδ(Φαυστενpκεχαρισµνονtσταιmγαλµαʖ
δOµ7)νCΤρι/πεω,rναο\προςε,ρεςγροC
καCχορ'ς-µερδωνκαC)λαιOεντεςmρουραι. 50
οµ<ι>ντιµOσειεθεO,βασλειαγυναικν,
µφπολονγερων=µεναικαCdπονανµφην·
ο,δ(γ9ρ|φιγνειαν)θρονος|οχαιρα
48
ο,δ0nρσηνγοργπιςπητµησενSθOνη,
ο,δµιν-ρsνpσιπαλαιoσινµεδουσα 55
Κασαροςφθµοιοπαρ/ψεταιvµπνιαµOτηρ
)ςχορ'ν)ρχοµνηνπροτερων-µιθεων.
iλχεν^λυσpσιχοροστασpσιννσσειν
α,τbτ0Sλκµ<O>νητεµκαιρτεΚαδµεινη.
B
π/τνι0Sθηνων)πιOρανεΤριτογνεια 60
`τ0)πC=ργαβροτνρ]ς!αµνοσιαςΟEπι,
γετονεςγχθυροι!µηςXκατοντοπλοιο,
πεοναδ$καCτ/νδε,θε,τειµOσατεχρον,
δ4µον∆η7ο*οφιλ/ξεινονΤρι/παο,
τ/φρακεκαCΤρι/πειαι)νθαντοιςλγησθονʖ. 65
UςRτεκαC!αµνο3ντακαCε,ρυχ/ρους)ςSθOνας
Yλθετεδµαταπατρ'ς)ριγδοποιολιπο3σαι,
¬ςτOνδεNεσθεπολυστφυλονκατ0λω$ν
λOιτεσταχωνκαCδνδρεαβοτρυ/εντα
λειµνωντεκ/µαςxπαλοτρεφων)φπουσαι. 70
µµιγ9ρρδης\ερ$νν9γα*αν¨ηκε
τ$ν,RσσηνπερCτε*χος)τροχον)στεφνωται,
νδρσινdψιγ/νοισινκινOτηνκαCmσυλον
=µµεναι.iδ0)πο\)ξθαντοιοκαρOνου
σµερδαλονσσασαλ/φονκατνευσενSθOνη. 75
µOτ7νηποιν'νβλονµαν<¨ναλ;αν
dχλσσαι,)πεCο,Μοιρωντρε*<ε>ςνγκαι,
RςκεθενXδ<ε>σσινλιτροσνηνναθOp.
κλ3τεπερικτονεςκαCγετονεςγροιται.
\ερ'ςο8τοςχρος,κνητοιδ(θαιναι 80
καCπολυτµητοικαCjποσχε*νοEας¨τοιµαι·
µηδτις-µερδωνvρχους<)<π>0mλσεαδενδρων
<ποηνχιλ2ε,αλδιχλραθουσαν
49
δµω$νκυανουιδος[π]Oξειεµκελλαν
σ4µανοντεχων^(πρ/τερονκεραζων. 85
ο,θµιςµφCνκυσσιβαλε*ν\ρ/χθοναβλ<ον>,
πλ$νRκεναrµατος¡σικαC)κγνοςXσσαµνο<ιο>.
κενοιςδ0ο,κθµιστον,)πεCτιµορος¨στωρ.
καCγ9ρSθηναηπερhριχθ/νιονβασιλ4α
νη2)νκατθηκεσυνστιον=µµεναι\ρν. 90
εδτ7mκλυτατα3τακαCο,κ)πιπεσεταια,το*<ς>,
λλ0ποτιµOσ<ε>ι,µOο\νOτιταγνηται.
λλµινπρ/φατοςΝµεσιςκαCN/µβοςλστω<ρ>
τσονται,στυγερ$νδ(κυλινδOσεικακ/τηταʖ·
ο,δ(γ9ρgφθιµονΤρι/πεωµνοςΑολδαο 95
ναθ0,Rτενει'ν∆ηµOτερος)ξαλπαξεν.
τ2Yτοιποιν$νκαC)πωνυµηνλʖασθα<ι>
χρου,µOτοι¨πηται=πιΤρ<ι>/πειοςhρινς.
11 Uς Salmasius, Qς Wilamowitz 16 γντεκακν Wilamowitz, γντεκακν Kaibel 27
σελ[Oνη]ς Peek, σελ[ηναη]ς Salmasius R]µο[ιος] Peek, probb. Ameling, Skenteri, αgγλης]
Salmasius,α,γ4ς]Visconti, probb. Froehner, Kaibel, ε,]ρ[ς] Sirdmond ap. Wilamowitz 28 πεʖρʖ
Peek, πο[τ0]Salmasius 29 [=µµεναι]Α,σʖοʖνʖ[οιςFranzius, prob. Peek, σµβολονΑ,σονοισιν
Salmasius, υ\σιν Α,σωνων Visconti, =µµεναι dψιγ/νοισιν Froehner 30 µιν edd., µ$
Wilamowitz 31 <γ>ραςFroehner, τρας lapis, prob. Peek 33 Κ4ρυ<ξ> edd., ΚΗΡΥX latina
forma X pro graeca Ξ42 ε<E>δτοιKaibel, probb. Peek, Ameling, Skenteri, ΕΙ∆ΕΤΟΙ lapis,
`δτοι Wilamowitz, <δ>ε* δτοιWilhelm 51 ΜΕΝlapis, µ<ι>ν edd. 59Sλκµ<O>νη edd.,
ΑΛΚΜΝΗlapis.
77τρε*<ε>ςedd., ΑΤΡΕΙΣlapis 78 Xδ<ε>σσινedd., Ε∆ΕΣΣΙΝ lapis 82 )<π>0Franzius,
ΕΝlapis, )ςSalmasius 84 [π]Oξειεedd., PΗΞΕΙΕlatina forma P pro graeca Π86 βλ<ον>
edd., ΒΩΛ lapis 87 Xσσαµνο<ιο> edd., ΕΣΣΑΜΕΝ lapis 88 ΕΣΤΩΡ lapis, probb.
Wilamowitz, Ameling, Skenteri, εrστωρ Froehner, prob. Kaibel 91 α,το*<ς> edd., ΑΥΤΟΙ
lapis, prob. Visconti 92 ποτιµOσ<ε>ι Salmasius, ΑΠΟΤΙΜΗΣΙ lapis, ποτιµOσ<o>ι
Visconti, probb. Moretti, Ameling, Skenteri 93 λστω<ρ> edd., ΑΛΑΣΤΩ lapis 97
λʖασθα<ι> edd., ΑΛΕΑΣΘΑ lapis 98 Τρ<ι>/πειοςedd.,ΤΡΟΠΕΙΟΣlapis.
50
A
Di Marcello.
Venite qui a questo tempio, donne tiberine, a portare offerte sacrificali
intorno alla statua di Regilla. Ella discende dagli Eneidi molto ricchi, inclito
sangue di Anchise e di Afrodite dell’Ida, si sposò tuttavia a Maratona. La
onorano le dee celesti, la nuova Demetra e la vecchia Demetra. A loro è dedicata
l’effigie sacra della donna dalla bella cintura. Ella dimora con le eroine sulle
isole dei beati, dove Cronos regna. Questa ricompensa infatti ha ricevuto in sorte
per il suo buon cuore, poiché Zeus ebbe compassione del marito che si
addolorava per lei giacendo, nella dura vecchiaia, nel letto vedovo, perché a lui
le Moire, nere arpie, strapparono via la metà dei figli. Due figli rimasero ancora
piccoli, inconsapevoli dei mali, ancora del tutto ignari di quale madre la morte
crudele li avesse privati, prima che si occupasse dei fusi della vecchiaia. A lui che
si affliggeva insaziabilmente Zeus e l’imperatore, che è simile a Zeus padre per
natura e per saggezza, diedero una consolazione. Zeus ordinò alle brezze elisie di
Zefiro di trasportare la fiorente donna verso l’oceano. Poi questi concesse al
figlio di portare ai piedi gli splendidi calzari che si dice indossasse Ermes quando
trasse fuori dalla guerra contro gli Achei Enea nel cuore della notte buia. Intorno
ai suoi piedi c’era, salvatore, il cerchio splendente, identico a quello della luna.
Questo incisero anche sul sandalo gli Eneadi, perché fosse segno d’onore per gli
Italici di nobile discendenza. Sebbene (Erode) sia un Cecropide, non gli si
rimprovererà l’antica lunula, segno d’onore degli uomini tirreni, discendente di
Erse ed Ermes, se è vero che Cerice è un antenato di Erode, discendente di Teseo.
Per questo motivo è onorato ed è console eponimo, così da essere ammesso nel
Senato sovrano, dove ha il seggio in prima fila, e in Grecia nessuno è più regale
di Erode per stirpe e per eloquenza; lo chiamano la lingua di Atene. Ella poi
(Regilla), Eneide dalle belle caviglie, era discendente di Ganimede e stirpe
dardanide di Troo, figlio di Erittonio. Tu, se ti è gradito, porta offerte e fa’
sacrifici. Tuttavia non c’è bisogno di sacrifici compiuti contro voglia; è bene
certamente per gli uomini pii avere cura anche degli eroi. Infatti non è mortale
ma neppure dea. Per questo motivo non ebbe un tempio sacro né un monumento
sepolcrale, né offerte come quelle per i mortali ma neppure come quelle per gli
51
dei. Ella ha una tomba simile a un tempio presso il popolo di Atena, ma la sua
anima si prende cura dello scettro di Radamante. Questa statua, gradita a
Faustina, è stata posta nel borgo del Triopio, dove ella aveva prima campi ben
irrigati, filari di viti e terreni coltivati ad ulivi. La dea, regina delle donne, non la
riterrebbe indegna di essere ancella delle offerte e ninfa servente; infatti né la
Saettatrice dal bel trono disprezzò Ifigenia né Atena dalla sguardo tremendo
Erse, né l’alma madre del valente imperatore, la quale regna tra le antiche
eroine, si mostrerà sdegnosa verso di lei che giunge nel coro delle eroine di un
tempo. Ella che ottenne di dirigere i cori degli Elisi insieme ad Alcmena e alla
beata figlia di Cadmo.
B
O augusta Tritogenia, signora di Atene, e Opi Ramnusia che volgi lo
sguardo sulle opere dei mortali, vicine immediate di Roma dalle cento torri,
onorate, o dee, anche questo luogo fertile, terra ospitale del Triopio caro a
Demetra, finché siete tenute in conto come triopee tra gli immortali. Come
quando giungeste a Ramnunte e ad Atene dalle larghe contrade, dopo aver
lasciato le case del padre altisonante, così accorrete presso questo campo ricco
di vigneti, per prendervi cura dei raccolti di spighe e delle viti cariche di uva e
della vegetazione dei prati rigogliosi. A voi infatti Erode consacrò una terra, così
che essa, quanta ne circonda un muro ben rotondo come una corona, fosse
intoccabile e inviolabile per i posteri. Atena annuì facendo sibilare dalla sua testa
immortale il terribile cimiero. A nessuno sia concesso portare via impunemente
una sola zolla di terra o una sola pietra, poiché sono da temersi le punizioni delle
Moire da parte di colui che commetta un sacrilegio nei confronti delle statue
degli dei. Ascoltate vicini e contadini confinanti: questo luogo è sacro, le divinità
sono inamovibili e molto onorate e pronte a porgere ascolto. Nessuno infigga la
zappa, ancella del nero Ade, nei filari di vite o nei boschi di alberi o nell’erba
verdeggiante della pastura rigogliosa, per costruire una nuova tomba o per
distruggere quella precedente. È vietato per chiunque gettare sui cadaveri il
terreno della terra sacra, a meno che questi non sia del sangue e discendente del
52
fondatore. A loro poi è lecito, perché loro soccorritore è il fondatore. Infatti
anche Atena pose il sovrano Erittonio nel tempio perché ne condividesse le
offerte. Se uno non presterà ascolto a questi divieti e non obbedirà loro, ma al
contrario li diprezzerà, non resti impunito. Ma Nemesi terribile e la ruota
vendicatrice lo puniranno, faranno rotolare sfortuna abominevole. Neppure la
forza altera di Triope, discendente di Eolo, fu utile, quando egli devastò il
maggese di Demetra. Per questo evitate la punizione e la denominazione del
luogo perché l’Erinni triopea non vi segua.
IG XIV 1389 A è un lungo epigramma che coniuga insieme elementi propri
del discorso funebre e dell’elogio. L’elogio riguarda non solo Regilla, che viene
celebrata per la sua condizione di eroina dopo la morte, ma anche Erode Attico
stesso, celebrato per i suoi meriti politici e retorici. Il testo presenta sia la
genealogia romana di Regilla e le sue virtù, sia quella greca di Erode e i suoi
meriti; ne scaturisce un confronto tra Regilla ed Erode secondo il modello
plutarcheo delle Vite parallele. Infine IG XIV 1389 A contiene anche un elogio
della famiglia regnante degli Antonini attraverso la figura di Faustina maggiore
deificata, la quale viene presentata come protettrice di Regilla al pari di altre dee
nei confronti di eroine mitiche.
ΜαρκΜαρκΜαρκΜαρκλλουλλουλλουλλου. Il poeta ha posto il suo nome al genitivo per garantire
l’attribuzione del testo alla sua persona. Questo era un sistema comune per
indicare l’autore di un testo nei manoscritti; numerosi esempi vengono offerti
dall’Antologia Palatina e dal Florilegio di Giovanni Stobeo. Skenteri 2005, 34,
ricorda che questo sistema non era particolarmente usato nelle iscrizioni,
soprattutto in quelle di questo periodo e cita esempi di componimenti dove
l’attribuzione del testo al poeta viene garantita mediante il suo nome al
nominativo seguito da un verbo come )ποησεν e =γραψεν; cfr. Powell 1925, 138
= IG II/III 2 4473 Μακε[δ/νιος] )ποη[σεν], Powell 1925, 149 = IDelph 3, 2, 1
[πα]ιʖ9ν δ( καC π[ροσ/]δʖιον ες τ['ν θε'ν )π/]ηʖσε[ν καC προσεκιθρισε]ν
ΛιµOνι[οςΘ]οʖνο[υ]e Powell 1925, 164 Sριστον/[ο]υTστα[ι]. Bowie 1990, 58
cita anche un’elegia di 18 versi, databile al II sec. d. C. (Kaibel 1878, 218 = IG
XII 5, 318), per una giovane donna di nome Socratea, morta di emorragia all’età
53
di ventisei anni, durante la nascita del terzo figlio, scritta da un certo Dionisio di
Magnesia che nell’ultimo verso rivendica esplicitamente a sé la stesura del
componimento (∆ιονσιοςΜγνηςποιητ$ς=γραψεν).
A Visconti 1789, 74, si deve l’identificazione di questo poeta con Marcello
di Side «one of the best of the period» (Bowie 1990, 66). Egli è dell’avviso che la
presenza del solo nome, senza l’aggiunta di Sideta, dimostri che non c’erano a
quel tempo altri poeti di nome Marcello, a cui poter ascrivere il poemetto e che
quindi Marcello di Side fosse l’unico ad avere la fama «di colto e fecondo
scrittore di greci versi» (Visconti 1789, 74). A questi quindi Erode avrebbe
commissionato il poemetto per celebrare la memoria di Regilla, cui egli andava
dedicando una statua.
Suda µ 205 Adler tramanda una breve biografia di questo poeta, definito
medico vissuto nel II sec. d. C., autore di un’opera in esametri in quarantadue libri
intitolata ατρικ, la quale includeva anche una sezione sulla licantropia. Sotto il
nome di Marcello di Side restano ancora tre frammenti, per un totale di 101
esametri di un poemetto didascalico intitolato περCχθων(Heitsch 1964, 18)34, e
un epigramma funebre tramandato da A. P. 7, 15835. Qui viene decantato il fatto
che i versi di Marcello di Side incontrarono l’approvazione degli imperatori
Adriano e Antonino Pio, i quali ne collocarono i libri nella biblioteca pubblica sul
Palatino. L’epigramma arrotonda il numero dei libri scritti da Marcello a quaranta,
chiamandoli Χειρνεια, forse un’allusione al titolo completo dell’opera.
Wellmann 1934, 3, sottolinea che Hier. Adv. Iovin., 2, 6, considerava al suo tempo
Marcello di Side ancora un’autorità nell’ambito dell’insegnamento della
medicina.
v. 1. δε δε δε δε3333ρρρρ0 g0 g0 g0 gτε, Θυβριτε, Θυβριτε, Θυβριτε, Θυβριδες, νηδες, νηδες, νηδες, νη''''ν ποτν ποτν ποτν ποτCCCC ττττ////νδε, γυνανδε, γυνανδε, γυνανδε, γυνα****κεςκεςκεςκες. L’apertura del
componimento mediante l’esortazione alle donne di Roma a compiere sacrifici
intorno alla statua di Regilla suggerisce un inno; ved. a proposito Bowie 1989b
201; Bowie 1990, 68. A questo genere fa anche pensare l’incipit sia di IG XIV 34 Sulla natura di questi frammenti ved. KROLL 1930, 1497. 35 Μαρκλλου τ/δε σ4µα περικλυτο3 ητ4ρος, / φωτ'ς κυδστοιο τετιµνου θαντοισιν, / ο8ββλουςνθηκεν )υκτιµνp )νC!µp /Sδριαν/ς,προτρωνπροφερστερος-γεµονOων, / καCπις Sδριανο*ο, µγ0 =ξοχος Sντων*νος, / vφρα καC )σσοµνοισι µετ0 νδρσι κ3δος mροιτο /εrνεκεν ε,επης, τOν ο\ π/ρε Φο*βος Sπ/λλων, / -ρs7 µλψαντι µτρ7 θεραπOια νοσων /ββλοις )ν πινυτα*ς Χειρωνσι τεσσαρκοντα. Su Marcello di Side ved. KROLL 1930, 56, WELLMANN , 1934, BOWIE 1989b, 201-2, BOWIE 1990, 66-70, SPAWFORTH 1996, 922.
54
1389 B = 146 B Ameling, per la dedica del Triopio ad Atena e a Nemesi, sia di IG
II2 3606 = 190 Ameling, con cui è salutato il ritorno di Erode Attico ad Atene
dopo un lungo periodo di assenza; cfr. infra. Un altro epigramma con
caratteristiche tipiche dell’inno è IPergamon 3, 145, contenente un inno ad
Asclepio composto da Aristide di Smirne [κληθεCς)ννυξντεκαCYµασιπολλ]κι
[πα3σας] / [τειρ/µενον νοσ7 καρφαλ]ʖp κραδην; per questo componimento
ved. Habicht 1969, 144-5, nr. 145. L’incipit con imperativo esortativo è tipico
dell’inno cultuale; cfr. Isyll. 37, 1 Powell Ι(Παι;ναθε'νεσατελαο, Maced.
Paean, 1-2 Powell ∆Oλιονε,φαρτρα[νXκατηβ/λον]εφρονιθυµ2/ε,φηµ[ε*τε,
φροντες, $ , (Παιν,] e Anon., Paean 1-2 Powell ¤µνε*τε)πCσπονδα*ς
Sπ/λλωνοςκυανοπλοκµου /πα*δαΣλευκον,να,τ'ςγενατοχρυ[σ]ολρας.
Per Bowie 1990, 60, le due iscrizioni triopee e IG II2 3606 potrebbero valere come
documenti fondamentali testimonianti l’evoluzione dell’iscrizione nella direzione
di altri generi, quali appunto l’inno. Egli avanza anche l’ipotesi che alcuni poemi
tramandati su pietra fossero concepiti perhaps primarily per la recitazione.
L’espressione δε3ρο gτε, imperativo plurale del verbo εeµι, per chiamare a
raccolta un gruppo di persone ha diverse attestazioni. La prima compare in
Dionys. fr. 4, 1 Gentili-Prato γγελαςγαθ4ςδε3ρ0gτεπευσ/µενοι: qui il poeta
rivolge ai commensali del simposio l’invito ad apprendere la buona notizia, che
egli si appresta a rivelare, e a mettere fine alle contese provocate dai calici. In
Aesch. Eu. 1041 l’imperativo δε3ρ0 gτε è rivolto alle Erinni, trasformate in dee
augustementre in Ar. Av. 252 δε3ρ0gτεπευσ/µενοιτ9νετερα, l’upupa chiama a
raccolta con il nesso δε3ρ0gτεtutti i presenti per annunciare la notizia dell’arrivo
di un vecchio arguto di nuove idee ed imprenditore di nuove gesta. Che δε3ρ0gτε
sia usato per radunare un numero di persone, senza alcuna distinzione, è
dimostrato dalla testimonianza offerta da Plu. Thes. 25, 1, 2, il quale narra che
Teseo usava l’espressione δε3ρ0gτεπντεςλεs quando voleva fondere le diverse
genti in un solo popolo.
ΘυβριΘυβριΘυβριΘυβριδες…γυναδες…γυναδες…γυναδες…γυνα****κες.κες.κες.κες. Con un invito rivolto alle donne si aprono anche
due inni di Callimaco; cfr. Lav. Pall. 1-2, 4 ±σσαι λωτροχ/οι τ;ς Παλλδος
=ξιτεπ;σαι, / =ξιτε· τ;ν rππωνmρτιφρυασσοµεν;ν /…σο3σθ νυν,B ξανθαC
σο3σθε Πελασγιδες e Cer. 1 Τ καλθω κατι/ντος )πιφθγξασθε, γυνα*κες.
55
Peek 1979, 79 confronta A. P. 9, 189, 1-2 ²λθετε πρ'ς τµενος ταυρπιδος
γλα'ν ³Ηρης, / Λεσβδες, xβρ9 ποδν βOµαθ0 Xλισσ/µεναι, in cui l’anonimo
autore dell’epigramma invita le donne dell’isola di Lesbo a recarsi presso il
santuario di Era.
Per designare le donne di Roma, Marcello sceglie l’inusuale ma più
ricercato aggettivo Θυβριδες con il significato di tiberine, cioè latine, al posto
del più comune !ωµα*αι, perché quest’ultimo appariva, come riferisce
Wilamowitz 1928, 12, troppo moderno e più adatto a una stesura in prosa e non a
un testo poetico. Θυβριδες corrisponde alla forma latina Tyberinides che in Ov.
Fast. 2, 597 designa le ninfe del fiume Tevere. Come aggettivo Θυβριςè usato
al singolare anche dal poeta bizantino Christod. A. P. 2, 416. Il sostantivo Θβρις
o Θµβρις designa il fiume Tevere in Diod. A. P. 9, 219, 4 )π0qκυρ/ηνΘβριν
µειψµενος e Leon. A. P. 9, 352, 1 Νε*λοςXορτζειπαρ9Θβριδος\ερ'νDδωρ
mentre in Theocr. 1, 118 καC ποταµοC τοC χε*τε καλ'ν κατ9 Θβριδος Dδωρ
indica un fiume che scorreva in Sicilia. Gli scolia ad loc. testimoniano che già per
l’antichità vi era l’oscillazione tra le grafie Θβρις,Θµβρις e ∆βρις36.
L’aggettivo dimostrativo τ/νδε indica la presenza concreta del tempio
presso il quale le donne di Roma sono invitate a recarsi.
v. 2. !!!!ηγηγηγηγλληςλληςλληςλλης ¨δοςδοςδοςδος µφµφµφµφCCCC θυοσκθυοσκθυοσκθυοσκ////αααα \\\\ρρρρ9999 φφφφρουσαιρουσαιρουσαιρουσαι. Il termine δος indica
propriamente la sede o il seggio della divinità; ved. LSJ, s. v. δος. In Omero
viene impiegato per designare l’Olimpo dove risiedono gli dei immortali; cfr. Il.
5, 360, 367, 868; 8, 456; 24, 144; Od. 6, 42. «In un sol tratto si fondono il
significato concreto e quello traslato, l’immagine degli dei seduti a banchetto e
quello della dimora» (Bettinetti 2001, 52). Il termine passa poi a indicare
l’immagine della statua divina fissa in un luogo e dello spazio da essa organizzato
secondo la spiegazione data da Tim. Lex., s. v. ¨δος.τ'mγαλµα.καCτ/πος,)ν´
rδρυται; ved. anche Philipp 1974, 601. Il sostantivo ¨δος non è solo tipico di un
dio, come, p. es, in Soph. OT 866, El. 1374 e IG XIV 1389 B, 78 = 146 B, 78 36 Cfr. Schol. in Theocr. 1, 118a. WendelΘβριδος:<...>δβριςκατ9γλσσαν-θλασσα.τιν(ςδ(Σικελας=φησανποταµ'νΘµβριδα; b. Θβριςποταµ'ςΣικελας,)φ0´µυθεονταιρακλ4ν<... Rτε> τ9ς )κ τ4ς hρυθεας βο3ς )λανων )ντα3θα φκετο· γενοµνου δ( χειµνοςνυπερβλOτου χσαι τ'ν ποταµ'ν καC )ππεδον ποι4σαι, )φ0 ο8 ο\ Κεφαλοδιοι δεκνυνταικατοικο3ντες;cΘεατητοςδφησιΣυρακοσουςπ'τ4ςDβρεως<dνοµσαιπροσθσειτο3Θ>.Sσκληπιδης δ( Μυρλεαν'ς δι9 το3 δ γρφει κα φησι "δβρις κατ9 γλσσαν - θλασσα."γρφουσιδτινεςκατ9Θµβριδος·=στιδ(καCο8τοςποταµ'ςΣικελας.
56
Ameling, ma anche di un uomo «worshipped as a hero», come in questo poemetto
per Regilla e in IG XIV 2133.
La statua di Regilla è offerta al tempio della nuova e vecchia Demetra da
Erode che si era recato a Roma per difendersi dall’accusa di aver provocato la
morte della moglie, mossagli dal fratello della donna Bradua. Traducendo ¨δος
µφ intorno alla statua bisogna ammettere, come fa Skenteri 2005, 35, che le
donne romane siano invitate a portare i loro sacrifici intorno a un altare nelle
vicinanze della statua di Regilla che in realtà doveva essere stata collocata
all’interno del tempio della nuova e vecchia Demetra.
I sacrifici sono indicati con l’espressione θυοσκ/α \ρ. Θυοσκ/α, come
aggettivo neutro plurale, è attestato solo qui, dal momento che nelle altre
occorrenze θυοσκ/ος è un sostantivo maschile, usato soprattutto da Omero per
indicare l’aruspice, distinto dal sacerdote come in Il. 24, 221 οf µντις εσι
θυοσκ/οι < \ερ4ες37. Il significato di augure, esaminatore di vittime, viene
conferito al sostantivo dal secondo elemento *-σκοος,variante con σ mobile del
tema del più tardo κοω «osservo»; ved. Galiano-Heubeck 1986, 252. L’uso
aggettivale di θυοσκ/α è dovuto, secondo Wilamowitz 1928, 12, proprio a
un’errata interpretazione di Il. 24, 221 da parte dell’autore del componimento, il
quale fa di θυοσκ/α un rafforzativo del sostantivo \ρ, forma ionica di \ερ/ς, che
di per sé indica già le offerte; ved. LSJ, s. v. \ερ/ς.
v. 3. iiii δδδδ((((πολυκτεπολυκτεπολυκτεπολυκτενωνµνωνµνωνµνωνµ((((νννν ====ηνηνηνην ))))ξΑξΑξΑξΑνεαδνεαδνεαδνεαδωνωνωνων. Marcello descrive Regilla
come donna romana, rivendicandole la discendenza mitica dagli Eneidi, ai quali
associa l’epiteto πολυκτανος«opulentus» (TLG, s. v.), usato da Pind. O. 10, 36
gδεπατρδαπολυκτανον e Call. Ap. 35 dove Pfeiffer 1953, 6, restaura la forma
πουλυκτανος sulla base di P.Oxy. 2258 πολχρυσος γ9ρ Sπ/λλων / καC
πουλυκτανος. In IG XIV 801 l’epiteto πολυκτανος è riferito invece ai Romani:
si tratta di un’iscrizione funebre in distici elegiaci del II sec. d. C. dedicata a un
uomo di origine romana; ?δε Πφου γννηµα, σοφο*ς )π<ι>εκελος ν$ρ /
κε*µαι,!ωµαωνσπρµαπολυκτενων,/κλp<ζ>/µενος∆κµοςΣερουλιος,ες
37 Qui µντιεςe θυοσκ/οι devono essere collegati insieme in quanto θυοσκ/ος indica un indovino cui spetta esaminare un sacrificio per predire le cose future; cfr. Apollon. Lex. 88, 33-4, θυοσκ/οςεeδοςµντεως,δι9τνθυµτων<θυµιαµτωνκ/ων,R)στισυνιεCςτ9µλλοντα. Il sostantivoθυοσκ/ος ricorre altre tre volte in Od. 21, 145; 22, 318 e 321.
57
=τη )λθʖwν / )ννα που δεκδων καC τρα, Uς =λεγον. Sebbene l’aggettivo
πολυκτανος non sia attestato in Omero, rientra tuttavia nello stile epico perché
fonde insieme φιλοκτανος di Il. 1, 122 e πολυκτOµων di Il. 5, 613, entrambi
epiteti di mortali; ved. Williams 1978, 41.
Per quanto riguarda la forma non contratta Ανεαδων cfr. Opp. C. 1, 2
φγγος)νυαλωνπολυOρατονΑνεαδωνmentre per quella contratta Ανεαδν
cfr. Dio Cass. 62, 18, 4 =σχατοςΑνεαδνµητροκτ/νος-γεµονεσει e Agath. A.
P. 9, 155 σκOπτροιςΑνεαδν π;σα ννευκε π/λις. Cfr. anche epigramma ap.
Plu. Flam. 12, 12 (= ep. 92, 3 Preger) νπ/ρεν,Ανεαδ;ν ταγ'ςµγας, per la
forma Ανεαδ;ν.
v. 4.SSSSγχγχγχγχσεωκλυτσεωκλυτσεωκλυτσεωκλυτ''''ναναναναKKKKµακαµακαµακαµακαC|C|C|C|δαδαδαδαηςηςηςηςSSSSφροδφροδφροδφροδτηςτηςτηςτης. In quanto appartenente
agli Eneadi Regilla vanta anche una discendenza divina dalla dea Afrodite,
capostipite dei discendenti di Enea insieme al troiano Anchise. L’unione mitica tra
Anchise e Afrodite è narrata da H. Hom. Ven., secondo il quale Zeus aveva infuso
nel cuore della dea il desiderio di unirsi a un uomo mortale perché anche lei, al
pari delle altre divinità, non potesse definirsi immune da un letto mortale e dire
con orgoglio di avere indotto gli altri dei e le altre dee a congiungersi con i
mortali. L’allusione a questa vicenda amorosa, che dà inizio alla discendenza
degli Eneadi, è racchiusa nell’epiteto |δαηςcon cui Marcello di Side qualifica la
dea, perché l’Ida, il monte dove Anchise soleva pascolare i suoi armenti, fu il
luogo della loro unione; cfr. H. Hom. Ven. 53-7.
L’origine da Venere veniva rivendicata dagli imperatori, soprattutto da
quelli della famiglia Giulio-Claudia, quasi fosse lasciata in eredità con il titolo di
Cesare. Perciò secondo Wilamowitz 1928, 12, l’intero v. 4 si riferisce, in prima
istanza, all’imperatrice Faustina e solo indirettamente a Regilla, e sottolinea in
questo modo un legame di parentela tra le due donne, entrambe appartenenti alla
famiglia degli Annii. Ameling 1983, II, 157, respinge invece la tesi dello studioso
tedesco perché il v. 4 sarebbe piuttosto, a suo giudizio, un’indicazione generale
della nobiltà di Regilla e non un accenno alla sua parentela con Faustina
Maggiore. A sostegno di questa interpretazione egli cita la testimonianza di Hdn.
2, 3, 4, il quale racconta come un certo M. Acilio Glabro (cfr. PIR2 A 69)
rivendicasse a sé la discendenza da Enea; Iνδ()κε*νοςε,γενστατοςµ(νπντων
58
τν ε,πατριδννφερε γο3ν )ςΑνεαν τ'νSφροδτης καCSγχσου τ$ν το3
γνουςδιαδοχOν.
L’espressione Sγχσεω κλυτ'ν αKµα καC |δαης Sφροδτης è poi
confrontabile, quasi ne fosse un calco, con Hor. Carm. Saec. 50, dove Augusto
viene definito clarus Anchisae Venerisque sanguis. Questo confronto dimostra
come Marcello di Side riecheggi qui un modulo tipico della magniloquenza epica
per fare riferimento alla gloriosa discendenza della donna.
L’uso del sostantivo αKµα nell’accezione di discendente ha diverse
attestazioni come in Pind. N. 6, 35-6 κρτησεν π' τατας / αKµα πτρας /
χρυσαλακτου ποτ( Καλλας; 11, 33-4 συµβαλε*ν µ9ν ε,µαρ(ς Iν τ/ τε
ΠεισνδρουπλαιαKµ0π'Σπρτας; Theocr. 24, 73 ΠερσOιοναKµα; Nic. Ther.
344 Κρ/νουπρεσβστατοναKµα e Kaibel 1878, 831, 1 = IG XIV 1003, 1 ¶∆ι'ς
SλκµOνηςτεµεγασθεν(ςvβριµοναKµα. Per il nesso κλυτ'ναKµα cfr. Peek 1955,
1511, 7 Αγ4νοςκλυτ'ναKµα, un epigramma funebre del II sec. a. C. proveniente
dall’isola di Corcira per un certo Filistione; su questo epigramma ved. Kaibel
1879, 182-3.
v. 5. γγγγOOOOµατοδµατοδµατοδµατοδ0)0)0)0)ςΜαραθςΜαραθςΜαραθςΜαραθνανανανα.La presentazione di Regilla si conclude con il
riferimento al suo matrimonio. L’espressione γOµατοδ0)ςΜαραθνα si presenta
volutamente ambivalente perché Μαραθνα da una parte indica il nome del demo
ateniese, dall’altra è un’allusione a Erode Attico che nelle iscrizioni viene
designato attraverso il demotico µαραθνιος; cfr. IG II2 1088, 2090, 3191,
3594/5, 3600, 3603, 3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745,
IOlympia 611, 622. Visconti 1794, 43, traduceva l’espressione «fu sposa in
Maratone»; così anche Leopardi: «E ’n Maraton gli sponzalizi suoi» (ap. Flora
1940, 552); invece LSJ s. v. γαµω, «she married Herodes of Marathon». Peek
1979, 79, giudica l’espressione γOµατο δ0 )ς Μαραθνα alquanto prosaica in
quanto significherebbe letteralmente «sie heiratete nach Marathon».
La costruzione del verbo γαµω con )ς e l’accusativo è attestata per la prima
volta in Hdt. 4, 78γυνα*κα=γηµε)ςα,τ9[οκα])πιχωρην, il quale usa la forma
attiva del verbo per riferire del matrimonio di Scile con una donna di Boriatene,
dove egli aveva fatto costruire il suo palazzo. L’unico confronto possibile con
questo passo di Marcello è quello con Eur. Tr. 474 Iµ(ντραννοςκςτρανν0
59
)γηµµην, dove Ecuba dice di essere stata regina e sposata in una casa reale; ved.
Biehl 1989, 214. Μαραθναè quindi, come conclude già Wilamowitz 1928, 12,
il coronamento della presentazione di Regilla che a Roma aveva ricevuto i nobili
natali.
vv. 5- 6.θεαθεαθεαθεαCCCCδδδδµινΟµινΟµινΟµινΟ,,,,ρανιρανιρανιρανιναι/τναι/τναι/τναι/τουσιν,∆ηουσιν,∆ηουσιν,∆ηουσιν,∆ητεντεντεντενη∆ηη∆ηη∆ηη∆ητεπαλαιτεπαλαιτεπαλαιτεπαλαιOOOO.Al v.
6 compaiono i nomi delle due divinità che fanno onore a Regilla: la nuova e
vecchia Demetra, cui era dedicato il tempio che sorgeva nel podere di Erode a
Roma. La nuova Demetra è Faustina Maggiore, moglie dell’imperatore Antonino
Pio, così denominata dopo la sua morte avvenuta nel 141 d. C. L’identificazione
di Faustina con la dea è documentata dalla vasta monetazione commemorativa in
suo onore (ved. Strack 1937, 106), la quale presenta anche l’iscrizione Aeternitas,
sicchè la trasformazioni di Faustina nella nuova Demetra si spiega da una parte
con l’affetto di Antonino Pio per la consorte, dall’altra con il disegno politico
dell’imperatore di rafforzare, nella coscienza dei suoi contemporanei, l’idea
dell’eternità dell’Impero romano attraverso le persone degli Augusti e delle
Auguste, regnanti da vivi e divinizzati da morti. La coniazione di monete con
l’immagine di Faustina deificata inizia nel 141 d. C. e dura fino alla morte del
marito Antonino Pio nel marzo del 161 d. C. Le monete offrono anche
informazioni sulle città di culto della nuova dea, «der aedes Divae Faustinae, ein
Motiv, das bisher auf den Prägungen der Divi selbst noch nicht dargestellt worden
war» Strack 1937, 92. Il riferimento alla nuova Demetra offre a Erode
l’opportunità di enfatizzare il suo legame personale con il santuario della dea ad
Eleusi in qualità di discendente di Cerice, fondatore della famiglia sacerdotale dei
Cerici; ved. commento al v. 33. La nuova e la vecchia Demetra sono qualificate
come θεαC … Ο,ρανιναι (v. 5). Quest’espressione riecheggia la formula
omerica θεοCΟ,ρανωνες, con cui Omero indica tutti i sommi dei senza alcuna
distinzione come in Il. 1, 570; 17, 195; 24, 612; Od. 7, 242; 9, 15; 13, 41. Il
femminile Ο,ρανιναι è attestato solo in questo epigramma.
vv. 7-8. \\\\ερερερερ''''ν εν εν εν εeeeeδος … /δος … /δος … /δος … / γκεγκεγκεγκε****ταιταιταιται. Il sostantivo εeδος indica la statua di
Regilla, cui viene riferito l’aggettivo \ερ/ν, perché la statua viene dedicata
(γκε*ται) alle due dee. Invece secondo Wilamowitz 1928, 12, «\ερ/ν gehört
nicht zu εeδος sondern ist φιερωθν γκε*ται». Questa ipotesi viene respinta da
60
Peek 1979, 79, il quale sottolinea che «γκε*ται heisst doch für sich allein schon
“ist geweiht”».
))))υζυζυζυζνοιο γυναικνοιο γυναικνοιο γυναικνοιο γυναικ''''ς.ς.ς.ς. Regilla non viene qui chiamata per nome ma viene
designata attraverso la perifrasi )υζνοιο γυναικ'ς, la quale vale come
espressione di bellezza della donna, attestata già in Hes. Sc. 31 e fr. 195, 31
Merkelbach-West; cfr. anche Il. 1, 429 = 23, 760γυναικ'ς)ϋζνοιοe 9, 366 =
23, 261 γυνα*κας)ϋζνους.
v. 8.µµµµεθεθεθεθ0-0-0-0-ρρρρssssννννppppσισισισι. Marcello specifica che Regilla si trova ora in compagnia
delle eroine sulle isole dei beati. Il sostantivo -ρsνη, forma contratta di -ρωνα, è
attestato per la prima volta in Ar. Nu. 315. Nell’età di Aristofane gli eroi erano
propriamente i grandi personaggi della guerra troiana e tebana secondo il racconto
di Hes. Op. 156-73, che qui Marcello aveva presente come modello. Pertanto le
eroine, insieme alle quali Regilla si trova sulle isole dei beati, sono secondo
l’immaginazione del poeta personaggi mitici come Penelope, Ecuba ed Elena. Il
sostantivo ritorna anche al v. 55 -ρsνpσιπαλαιoσιν.
νννννασται.νασται.νασται.νασται. Questa forma verbale in clausola è documentata solo in poesia
tarda in Theocr. 9, 9 =στιδµοιπαρ0Dδωρψυχρ'νστιβς,)νδ(ννασταιe D. P.
381 π/ντον)ςγχπορονSκυλOϊον=νθαννασται.
v. 9. ))))ν µακν µακν µακν µακρων νρων νρων νρων νOOOOσοισινσοισινσοισινσοισιν rrrrνα Κρνα Κρνα Κρνα Κρ////ννννοςοςοςος ))))νβασιλενβασιλενβασιλενβασιλεειειειει. Il luogo in cui ora
Regilla dimora è presentato attraverso la ripresa di Hes. Op. 171; 173a. Esiodo al
v. 171 )νµακρωννOσοισιπαρ0·κεαν'νβαθυδνην, aveva indicato nelle isole
dei beati la naturale dimora degli eroi. A questo passo di Esiodo fa riferimento
anche Arist. Pol. 1334a, il quale definisce l’espressione )ν µακρων νOσοισιν
tipica dei poeti; πολλ4ς οEν δε* δικαιοσνης καC πολλ4ς σωφροσνης
<µετχειν> τοMς mριστα δοκο3ντας πρττειν καC πντων τν µακαριζοµνων
πολαοντας,οKονεgτινςεσιν,Qσπερο\ποιηταφασιν,)νµακρωννOσοις.
Riguardo all’allusione a Esiodo Wilamowitz 1928, 12 puntualizza: «rνα
Κρ/νος )νβασιλεει in dem Verse, den man als 169 in Hesiods Erga zählte,
erhalten nur in dem Proklosscholion zu 158 (aus dem ihn ganz späte
Handschriften eingeführt haben). Buttmann hat erkannt, daß Marcellus ihn in
seinem Hesiod hatte, also auch die Interpolation des Genfes Papirus». Ved.
Solmsen 1970, 56.
61
v. 10. ντντντντ0 0 0 0 γαθογαθογαθογαθο****ο νο νο νο ν////ουουουου. L’onore speciale concesso a Regilla viene
presentato come una ricompensa (mποινον) per le sue doti morali, espresse dal
complemento ντ0 γαθο*ο ν/ου, dove la preposizione ντ ha una funzione
casuale e sostituisce il più comune πρ/ς. Kühner-Gerth 1904, II, 429, citano
l’esempio di Soph. OC 1326 οrσ0ντCπαδωντνδεκαCψυχ4ς.
Il termine ν/ος ha qui il significato metaforico di heart «as employed in
feeling and deciding» (LSJ, s. v. ν/ος,3), tipico della lingua omerica; ved. Führer
2000, s. v. Questo significato di ν/ος è sottolineato dall’aggettivo γαθ/ς, come
in Hdt. 1, 60, 23¶Sθηνα*οι,δκεσθεγαθ2ν/7Πεισστρατον, dove γαθ/ς
ν/ος descrive la predisposizione d’animo con cui gli Ateniesi sono esortati ad
accogliere Pisistrato. L’aggettivo γαθ/ς precisa che qui non si stanno lodando le
capacità intellettuali di Regilla, ma le sue straordinarie qualità di buona moglie.
Sγαθ/ςera uno degli aggettivi più ricorrenti nelle epigrafi sepolcrali che lodano
le doti morali di un defunto38e rappresenta piuttosto una virtù astratta dell’animo
umano; ved. Tod 1951, 186. Wilamowitz 1928, 13, annota che γαθ/ςν/ος è una
perifrasi per ρετO. Alle qualità morali di Regilla fanno riferimento anche le
iscrizioniCorinth VIII 3, 128 = 100 Ameling e VIII 1, 86 = 102 Ameling dove
viene lodata la sua σωφροσνη.
mmmmποποποποινον.ινον.ινον.ινον. Si tratta di un termine omerico attestato sempre al plurale con il
significato di «ransom or price paid» (LSJ, s. v. mποινα); per un esame delle
attestazioni di mποινα nei poemi omerici ved. Rüter 1973, s. v. mποινον.
Wilamowitz 1928, 12, definisce il singolare mποινον nell’accezione di «Entgelt,
Lohn» un azzardo di Marcello di Side che a questo termine conferisce il
significato qui desiderato. Quest’accezione di mποινον evidenzia che, sebbene
mποινα sia un termine omerico, il poeta è sensibile all’uso che ne fa Pind. in P. 2,
14; O. 7, 14; I. 3, 7; 8, 4; N. 7, 16, dove mποινα acquista l’accezione di «reward»
(Slater 1969, s. v) e «this word sinks nearly to the status of χριν with the
genitive» (Hewitt 1927, 153).
v. 11.UUUUςοςοςοςο\\\\ΖεΖεΖεΖεMMMMςςςςkkkkκτειρενκτειρενκτειρενκτειρενddddδυρδυρδυρδυρ////µενονµενονµενονµενονπαρακοπαρακοπαρακοπαρακοτηντηντηντην. L’onore straordinario
concesso a Regilla è in realtà un dono di Zeus in virtù della sua compassione per
38 GUARDUCCI 1974, III, 151, elenca gli epiteti che qualificano i defunti, dividendoli in cinque categorie, a seconda che l’epiteto esprima doti morali, virtù religiose, familiari, sociali o il rimpianto dei superstiti.
62
le sofferenze del marito Erode Attico, rimasto vedovo. Le manifestazioni di
dolore per la morte della moglie sono descritte da Philostr. V. S. 2, 556-7; ved.
commento a SEG 23, 121 = 99 Ameling.
Παρακοτης è un sostantivo di tradizione omerica (Il. 6, 430, 8, 156, Hes.
Th. 928) e designa qui Erode come marito. Omerico è anche il participio
attributivo dδυρ/µενον per la sua posizione all’interno dell’esametro a partire
dalla cesura trocaica; cfr. Il. 2, 315; 9, 612; 24, 128; Od. 1, 55, 243; 2, 23; 4, 100;
4, 800; 828; 9, 13; 11, 214; 13, 379; 14, 40; 16, 195; 18, 203; 19, 513, 517.
¹δυρ/µενον descrive la condizione di dolore di Erode e regge il pronome ο\,
riferito a Regilla. L’intera proposizione è preceduta dalla congiunzione temporale
Uς.Wilamowitz 1928, 9, stampa invece l’avverbio Qς corrispondente a οDτως.
v. 12. γ γ γ γOOOOραιραιραιραι ))))νννν ζαλζαλζαλζαλ7777 χχχχOOOOρρρρpppp περικεπερικεπερικεπερικεµενον εµενον εµενον εµενον ε,,,,ννννoooo. Un secondo participio
attributivo (περικεµενον) contribuisce a illustrare la condizione di Erode, qui
ritratto come un uomo ormai vecchio e provato dal dolore della morte della
moglie. Il participio regge il dativo χOρp … ε,νo come in Il. 19, 4 ε8ρε δ(
Πατρ/κλ7περικεµενοννφλονυ\'ν, in cui viene raccontato come la dea Teti
trovi il figlio Achille che giace abbracciando il corpo di Patroclo morto.
Il nesso ζλεονγOρας è, a giudizio di Wilamowitz 1928, 13, un nesso non
conservato, formulato da un poeta antico, perché compare anche in una citazione
di Plu. Mor. 51, 789c = fr. 1149 SH ζαλ7γOρ]†κατανθιδνκOδp†, il quale
sicuramente alludeva in questo modo a un uso piuttosto noto. Dire che Erode si
trovava già nella vecchiaia avvizzita è in realtà un’esagerazione di Marcello,
perché egli, al momento della morte di Regilla, doveva avere circa cinquantasei
anni. A un’indicazione di luogo astratta (γOρ] )νζαλ7) ne segue in clausola
una concreta, quale quella del letto matrimoniale (ε,ν4), caratterizzata dal forte
iperbato (χOρp…ε,νo). Il letto matrimoniale viene definito per ipallage vedovo
(χOρη) e diventa simbolo del lutto di Erode, secondo un’immagine che richiama
alla mente Ap. Rh. 3, 662 σ*γα µλα κλαει χ4ρον λχος εσορ/ωσα, in cui il
pianto di Medea viene paragonato a quello di una giovane sposa che fissa gli
occhi sul letto vuoto. L’uso metaforico dell’aggettivo χ4ρος è attestaτo per la
prima volta, come riporta LSJ, s. v.χ4ρος, in Eur. Alc. 861-2 χOρωνµελθρων, in
cui Admeto esprime la sua disperazione nel vedere la casa vedova di Alcesti. In
63
Omero infatti, ad eccezione di Il. 6, 408 τχαχOρησε3=σοµαι, viene impiegato
solo il sostantivo χOρη che designa la vedova «Widow» (ved. LSJ, s. v.). Per l’uso
metaforico di χ4ρος cfr. Call. Epigr. 15,4 Pfeiffer = A. P. 7, 522, 4 χ4ρον
νι;σθαι σ'ν π/σιν Ε,θυµνη e 20, 6 Pfeiffer = A. P. 7, 517, 6 π;σα τ'ν
ετεκνονχ4ρονδο3σαδ/µον.
v. 13. µµµµµονοςµονοςµονοςµονος ))))κµεγκµεγκµεγκµεγροιο.ροιο.ροιο.ροιο.Anche qui il lessico è prettamente omerico;
tuttavia nuovo è il contesto in quanto µµων in Omero è un epiteto riferito a
esseri umani, mentre qui qualifica µγαρον; cfr. Mette 1965, s. v. µµων.
Un’ulteriore innovazione è lo stesso singolare µγαρον con il significato di casa,
dato che la lingua omerica distingueva il singolare, impiegato per designare «the
chief room in the Homeric Palace», dal plurale con il significato di «house,
palace» LSJ, s. v. µγαρον; ved. anche Beck 1993, s. v.
L’espressione µµων µγαρος indica tanto la casa di Erode, quanto per
metonimia la sua famiglia, cui fa cenno anche l’epigramma SEG 23, 121, 4 = 99,
4 Ameling νηνπ/λιν, οκατα3τα, δ/µος-µιτελOς; ved. commento ad loc. Qui
µµων esprime quell’idea di perfezione della casa-famiglia che sull’arco posto
tra Vrana e Maratona era stata sottolineata dall’espressione µονοαςθαντου
πλη delle due iscrizioni IG II2 5189 = 97 Ameling e IG II2 5189a = 98 Ameling,
che distinguevano il territorio di Erode da quello di Regilla; ved. commento ad
loc.
v. 14. ªªªªρπυιαι Κλωθρπυιαι Κλωθρπυιαι Κλωθρπυιαι Κλωθεςεςεςες νηρενηρενηρενηρεψαντο µψαντο µψαντο µψαντο µλαιναιλαιναιλαιναιλαιναι. Questo verso offre un
esempio di come Marcello fonda insieme in un’unica immagine due reminiscenze
omeriche, precisamente quella di Od. 7, 197 Κλθς τε βαρε*αι / γεινοµν7
νOσαντολν7, in cui Alcinoo dice che Odisseo, suo ospite, potrà subire quello che
le Filatrici implacabili hanno tessuto per lui, dopo che sarà partito dalla terra dei
Feaci, e quella di Od. 1, 241 = 14, 371 = 20, 77 »ρπυιαινηρψαντο, in cui la
morte viene descritta come un rapimento ad opera delle Arpie. Od. 7, 197 è
l’unico testo poetico in cui compare il plurale Κλθες,come sinonimo di Μο*ραι;
cfr. schol. ad loc. ed Hesych. κ 3065 s. v. «Während Μο*ραι,Αeσα,δαµωνusw.
Schicksal auch auf andere Weise zuteilen […], ist die Funktion der K. durch ihren
durchsichtigen N. beschränkt» (Mader 1991, s. v. Κλθες).La forma Κλωθες di
questo poemetto è un’innovazione morfologica di Marcello, qualificata da
64
Wilamowitz 1928, 13, semplicemente come «Mißbildung von Κλθες». A questo
primo aspetto del destino, rappresentato dalle Moire, Marcello somma quello
simboleggiato dalle Arpie, che strappano la vita degli uomini (ªρπυιαι …
νηρψαντο), e riferisce loro l’epiteto µλαιναι, che nell’elegia arcaica è qualifica
tradizionale delle Chere, anch’esse divinità infernali che decidono la fine della
vita; cfr. Tyrt. fr. 8, 5-6 Gentili-Prato θαντουδ(µελανας/κ4ρας e Mimn. fr. 8,
5 Gentili-Prato Κ4ρεςδ(παρεστOκασιµλαιναι, di cui Marcello rispetta anche la
collocazione dell’aggettivo µλας in clausola di esametro. Al medesimo nesso
elegiaco allude anche Quint. Smyrn. 10, 428 Κ4ρες νηρεψαντο µλαιναι, il
quale descrive l’azione delle nere Chere, come già Marcello, attraverso il verbo
omerico νηρεψαντο.
v. 15.----µισµισµισµισαςπλεαςπλεαςπλεαςπλε////νωννωννωννων. Il complemento πα*δας(v. 13)…-µισαςπλε/νων
è caratterizzato dal forte iperbato, dato che tra il sostantivo πα*δαςe l’aggettivo
-µισας intercorrono due versi. Peek 1979, 80, sottolinea come attraverso questa
espressione Marcello lasci indeterminato il numero dei figli di Erode Attico e dia
l’illusione che qui si debba intendere un numero maggiore di figli rispetto a quello
reale. Inoltre i figli sopravvissuti, Bradua ed Elpinice, non erano così piccoli da
non soffrire per la perdita della madre, come Marcello vuol far credere qui; ved.
Wilamowitz 1928, 13. Dalla documentazione epigrafica e dalle informazioni
fornite da Flavio Filostrato risulta che Erode aveva avuto da Regilla cinque figli e
che al momento della morte della donna, Erode ne aveva già persi tre; sui figli che
Erode ebbe da Regilla ved. commento a SEG 26, 290 = 146 Ameling.
L’espressione πα*δας…-µισαςπλε/νων risponde all’esigenze di accrescere il
pathos del testo piuttosto che a quella di aderire alla realtà che Marcello mostra di
non tenere in considerazione.
15-16. δοι δοι δοι δοιwwww δδδδ0 =0 =0 =0 =τι πατι πατι πατι πα****δε λιπδε λιπδε λιπδε λιπσθην / νηπισθην / νηπισθην / νηπισθην / νηπιχωχωχωχω. L’uso del duale νηπιχω,
attestato solo qui, rientra nel rispetto della lingua omerica che rappresenta il
principale modello di Marcello. L’aggettivo νηπαχος è epico, diminutivo di
νOπιoς e in Omero qualifica il sostantivo πα*ς; cfr. Führer 1996, s. v. νηπαχος. Al
singolare νηπαχος è usato in Il. 6, 408, per il figlio di Ettore quando Andromaca
cerca di commuovere l’eroe scegliendo termini che chiamino in causa la sua
funzione di padre e di marito. La stessa funzione patetica ha il nesso πα*ς
65
νηπαχος in Ap. Rh. 4, 136-7, dove le madri, svegliatesi per lo spavento
provocato dal soffio del dragone, custode del vello, abbracciano piene d’angoscia
i figli piccoli che dormano sul loro seno, anch’essi scossi dal sibilo. Cfr. anche
IGUR III 1235, 1 πα*ς =τινηπαχοςερνυµος)νθδεκεταιe 1376, 6-7 λλ0
=τινηπαχ/νµεΤχη/κατεθOκατοµOτηρ.
γνγνγνγντεκακτεκακτεκακτεκακν,ν,ν,ν, ====τιπτιπτιπτιπµπανµπανµπανµπαν ππππστωστωστωστω.La lettura γντεκακν è offerta da
Wilamowitz 1928, 13. Kaibel invece (ap. IG XIV 1389, A) leggeva xγντε come
duale di xγν/ς e collegava il genitivo κακνa νηπιχω. Questa interpretazione
viene anche riportata da LSJ, s. v. mπυστος. Skenteri 2005, 36, nota invece come
la lettura di Wilamowitz restituisca una struttura sintattica della frase accettabile,
poiché l’aggettivo γνς è qui costruito con il genitivo κακν39, cui segue al v.
17 οrην dipendente dall’aggettivo πστω.Quest’ultimo è composto da e dalla
stessa radice del verbo πυνθνοµαι e significa propriamente «wer nichts erfährt,
unkundig» (Bartelink 1973, s. v. mπυστος). L’impiego di due o più aggettivi
formati con prefisso negativo, come al v. 17 (γντε…πστω), è tipico della
lingua omerica, dove però essi sono coordinati per asindeto (cfr., p. es., Il. 9, 63
φρOτωρθµιστοςνστι/ς)στιν)κε*νοςe Od. 1, 242, mϊστοςmπυστος) mentre
qui i due aggettivi sono accompagnati da altri termini miranti a enfatizzare la
disgrazia abbattutasi sui figli di Erode Attico con la morte della madre; per questo
uso ved. Shipp 19722, 11-2.
v. 17. οοοοrrrrηνσφινηληνσφινηληνσφινηληνσφινηλ$$$$ςκατςκατςκατςκατ9999µητµητµητµητραπραπραπραπ////τµοςτµοςτµοςτµος====µαρψεµαρψεµαρψεµαρψε. La frase ha una funzione
di interrogativa indiretta, introdotta dal pronome οrην che accentua la natura
straordinaria di Regilla. La morte che strappa ai figli la loro madre viene
qualificata come νηλOς«unbarmherzig, mitleidslos» (Mader 1996, s. v. νηλεOς),
aggettivo che nei poemi omerici si accompagna al sostantivo Iµαρ. In questo
poemetto il nesso νηλ$ς Iµαρ diventa una metafora di morte; ved. Mader 1996, s.
v.νηλεOς, 2, a β. Non solo dal punto di vista lessicale ma anche dal punto di vista
stilistico l’intero verso riecheggia la lingua omerica attraverso il ricorso
all’artificio della tmesi κατ9… =µαρψε; cfr. Od. 24, 390 )νδυκως κοµεσκεν,
)πεCκατ9γ4ρας=µαρψενcon cui viene presentato il vecchio Dolio.
39 Per esempi di γνς costruito con il genitivo ved. LSJ, s. v., III.
66
18. πρπρπρπρν περ γηραιν περ γηραιν περ γηραιν περ γηραιooooσι µιγσι µιγσι µιγσι µιγOOOOµεναιµεναιµεναιµεναι ^λακλακλακλακττττppppσισισισι. In questo verso sono ancora
riconoscibili le tracce di quattro lettere erase che secondo Peek 1979, 77, sono
ΜΙΓΗ, cioè una dittografia delle prime quattro lettere di µιγOµεναι. Il verso è
caratterizzato, dal punto di vista linguistico, dal dativo plurale γηραιoσι …
^λακτpσι e dall’infinito µιγOµεναι, tipici della lingua omerica, dal punto di vista
stilistico dall’ipallage γηραιoσι…^λακτpσι, la quale, secondo Peek 1979, 80,
indica metaforicamente i lavori femminile concordemente a una definizione data
da Et. M. 424, 44-5 ¼λακτη: Τ' γυναικε*ον )ργαλε*ον, vργανον περC
ελο3σιν α\ γυνα*κες τ' ν4µα. hκ το3 ^λσκω, ^λακτ$, Uς διδσκω, διδακτO.
Poiché i lavori della tessitura rappresentavano l’unica occupazione della donna
nell’età della vecchiaia, con questa metafora il poeta riferisce in modo ricercato
che Regilla è morta giovane e non ha potuto raggiungere l’età avanzata. Per
questo Peek 1979, 80, spiega ^λακταιγηραια* come λακταιγOραος, come già
aveva interpretato Leopardi (ap. Flora 1940, 552-3); ved. anche Ameling 1983, II,
157. Peek esclude in questo modo la possibilità di leggere nell’espressione
γηραιoσι … ^λακτpσι un’allusione al fuso di cui una delle Moire era munita,
secondo un’interpretazione che risale a Salmasius 1619, 147-8, il quale aveva
citato a conforto di questo verso Marz. 9, 17, 2 Parcarum exoras pensa brevesque
colos. La spiegazione di Salmasius ha goduto del consenso di Visconti 1794, 82,
LSJ, s. v. ^λακτη, Wilamowitz 1928, 13, il quale definisce questo verso «ein
schlimmes κακ/ζηλον», e Skenteri 2005, 37. Peek 1979, 80, osserva ancora come
vengano adoperati termini, quali mκρακτος, κλωστOρ, λνον, µτος e ν4µα, ogni
qualvolta si parli del lavoro delle Moire che tessono il destino dell’uomo, e non
manchi mai l’aggiunta del genitivo Μο*ρων.
µιγµιγµιγµιγOOOOµεναιµεναιµεναιµεναι. Leopardi (ap. Flora 1940, 552-3) criticava la proposta di
Visconti 1794, 82, di leggere il verbo µιγOµεναι come sinonimo di πελσαι, cioè
approssimarsi. Pertanto parafrasava l’intera espressione γηραιoσι µιγOµεναι
^λακτpσι come «starsi tra le conocchie senili, usare le conocchie senili,
passarsela da vecchia, filando», e concludeva che il verbo µεγνυµι «nella
consueta significazione tanto è lungi che qui abbia dello strano, che viene anzi nel
greco linguaggio naturalissimo». Peek 1979, 80, si chiede se queste espressioni e
67
immagini non dimostrino che Marcello avesse presente per questo passo un
modello poetico antico non conservato.
vv. 19-20. ττττ2222 δδδδ(((( ΖεΖεΖεΖεMMMMςςςς ))))ππππηρονηρονηρονηρον ddddδυροµδυροµδυροµδυροµνννν7777κκκκ////ρητον / καρητον / καρητον / καρητον / καCCCC βασιλεβασιλεβασιλεβασιλεMMMMς∆ις∆ις∆ις∆ιCCCC
πατρπατρπατρπατρCCCCφυφυφυφυ$$$$νκανκανκανκαCCCCµµµµ4444τιντιντιντιν))))οικοικοικοικς.ς.ς.ς.Zeus e l’imperatore Antonino Pio deificato, come si
comprende dai due accusativi di relazione φυ$ν καC µ4τιν, dipendenti da ∆ιC
πατρC … )οικς, sono caratterizzati dalla compassione per il dolore di Erode
Attico. Riguardo a questi versi Peek 1979, 81, afferma: «mit der nachträglichen
Aufgliederung zweier durch καC verbundener Glieder einer Reihe lässt sich die
Partie a 109-111 gut vergleichen, und Marcellus wird diese Verse ja sicherlich gut
gekannt haben: κOρυκες δ0 α,το*σι καC dτρηροC θερποντες / ο\ µ(ν mρ0 οeνον
=µισγον)νCκρητ4ρσικαCDδωρ, /ο\δ0αEτεσπ/γγοισιπολυτρOτοισι τραπζας /
νζονκαCπρ/τιθεν».
))))ππππηρον.ηρον.ηρον.ηρον. L’aggettivo, che significa «pleasant, grateful» (LSJ, s. v.), viene
usato al plurale nell’espressione )πηραφρειν«bring one acceptable gifts, render
service» (LSJ, s. v.); cfr. anche Il. 1, 572, 578 )πCIραφρων. Marcello come già
aveva fatto per mποινα (ved. supra) usa l’aggettivo al singolare attestato prima di
lui solo in Emp. fr. 96, 17 Diels-Kranz come epiteto di terra (χθν) e in Simm. fr.
6, 3 Powell come epiteto della vecchiaia (γρας). Wilamowitz 1928, 13, spiega
)πηρον come sinonimo di χριν, sostenendo che «)πηραφρεινhat der Dichter
als χαρζεσται befaßt, wie er durfte» e giustifica la mancanza del verbo con il
fatto che i due benefattori, qui nominati l’uno accanto all’altro, nei versi
successivi sono ritratti singolarmente nella loro benevolenza verso Erode. «Man
denke sich statt )πηρον ein χαριζ/µενοςoIραφρων, und alles wäre einfach»
(Wilamowitz 1928, 13).
κκκκ////ρητονρητονρητονρητον. Si tratta di una forma poetica omerica dell’aggettivo κ/ρεστος,
«unersättlich» (Busch 1959, s. v. κ/ρητος,) che ricorre solo nell’Iliade e mai
nell’Odissea. Sκ/ρητος è usato da Omero come epiteto di uomini ed è
accompagnato da genitivi, quali µ/θου (Il. 7, 117), πολµου (Il. 12, 335), δειν4ς
[…]ϋτ4ς (Il. 13, 621), µχης(Il. 13, 639, 20, 2). Qui invece κ/ρητον è usato
come avverbio, riferito al participio dδυροµν7, per enfatizzare il dolore
inconsolabile di Erode, e non ha altri paralleli.
68
vv. 21-22. ΖεΖεΖεΖεMMMMς µς µς µς µ((((νννν ))))ςςςς qqqqκεανκεανκεανκεαν''''ν θαλερν θαλερν θαλερν θαλερ$$$$νννν ====στειλε γυναστειλε γυναστειλε γυναστειλε γυνα****κ[α] / ακ[α] / ακ[α] / ακ[α] / αρρρρppppσισισισι
ΖεφΖεφΖεφΖεφροιο κοµροιο κοµροιο κοµροιο κοµζεµενζεµενζεµενζεµεν ^λυσλυσλυσλυσppppσινσινσινσιν. L’aggettivo θαλερ/ς significa «blühend,
kraftstrotzend, im Vollbesitz der Vitalität» (Führer 1987, s. v. θαλερ/ς, 963, III).
Usato qui come epiteto di Regilla, indicata dal sostantivo γυνO, θαλερ/ς è un
aggettivo di tradizione omerica40, dove qualifica o il sostantivo αζηγ/ς, usato al
plurale (Il. 3, 26; 10, 259; 11, 414; 14, 4; 17, 282) per indicare i giovani dotati di
forza, oppure i sostantivi maschiliπ/σις (Il. 8, 190)e παρακοτης (Il. 6, 430, 8,
156), e il sostantivo femminile παρκοιτις(Il. 3, 53; cfr. anche H. Hom. Cer. 79),
i quali indicano rispettivamente il ruolo di marito e di moglie, di cui l’epiteto
mette in evidenza il fatto che essi sono ancora nel fiore della loro età. Qui
θαλερ/ς accentua il pathos della narrazione con l’allusione alla giovane età di
Regilla defunta.
ααααρρρρppppσιΖεφσιΖεφσιΖεφσιΖεφροιο…ροιο…ροιο…ροιο…^λυσλυσλυσλυσppppσιν.σιν.σιν.σιν. Le brezze di Zefiro vengono definite elisie
(^λυσpσιν) perché Zefiro non è più inteso come vento dell’ovest, dato che nel II
sec. d. C. non si credeva più che le isole dei beati fossero in oriente (cfr. Aesch.
Pr. 132κραιπνοφ/ροιδµ0=πεµψαναEραι), ma semplicemente come immagine
di un vento mite, le cui brezze si lasciano qualificare come λσιαι, sebbene non
provengano dall’Oriente ma si dirigano verso di esso; ved. Wilamowitz, 1928, 13.
Per l’espressioneαρpσιΖεφροιο cfr. anche Orph. H. 81, 1 ΑEραιπαντογενε*ς
Ζεφυρτιδες.
v. 23. αααα,,,,ττττ9999ρρρρστερστερστερστερ////ενταπερενταπερενταπερενταπερCCCCσφυρσφυρσφυρσφυρ9999παιδπαιδπαιδπαιδCCCCππππδιλαδιλαδιλαδιλα. Il v. 23 fa riferimento
al conferimento del patriziato a Bradua, figlio di Erode, il quale in IG II2 3978
viene ricordato con il titolo di ε,πατρδης. Il conferimento del patriziato, su
iniziativa dell’imperatore Antonino Pio, viene confermato da IG XIV 1392 = 145
Ameling; ved. Pisani Sartorio-Calza 1976, 135. A questo titolo Marcello allude
attraverso i calzari splendenti στερ/εντα…πδιλα che Philostr. V. S. 2, 555, 19,
chiama )πισφριον)λεφντινονµηνοειδς perché erano ornati di una mezzaluna,
la quale serviva come chiusura della fibbia e come segno di distinzione dei patrizi
all’interno dell’ordine senatorio; cfr. Juv. 7, 192 adpositam nigrae lunam subtexit
alutae, ved. LSJ, s. v. στερ/εις. Erode in Philostr. S. V. 2, 555, 23-4 deride il
40 Per una trattazione generale dell’aggettivo θαλερ/ς in Omero ved. VIVANTE 1982, 117-8, il quale però passa in rassegna solo i casi in cui l’aggettivo è riferito a cose e non a esseri umani.
69
cognato Bradua che dinanzi al senato non era stato capace di esporre nulla di
persuasivo a sostegno della sua accusa contro Erode, e gli rimprovera di avere la
nobiltà solo nel simbolo della mezzaluna legata alle caviglie. L’aggettivo
στερ/ειςè un epiteto omerico che qualifica il sostantivo ο,ραν/ς; ved. Alpers
1976, s. v.Qui è riferito ai calzari che splendono come stelle. Quest’accezione è
attestata in Il. 16, 134 ποικλονστερ/εντα e 18, 379 mφθιτονστερ/εντα; ved.
Alpers 1976, s. v., 2.
Secondo la tesi di Graindor 1930, 91, attraverso tale carica l’imperatore
Antonino Pio voleva consolare Erode Attico della morte della moglie.
L’avvenimento deve essere datato pertanto tra la morte di Regilla e la prima metà
del 161 d. C., quando Antonino Pio muore e gli succede Marco Aurelio.
v. 24. τ τ τ τ9999 λλλλγουσι καγουσι καγουσι καγουσι καC TC TC TC Tρµαρµαρµαρµανα φορνα φορνα φορνα φορ4444ναι.ναι.ναι.ναι. Attraverso il verbo λγουσι
Marcello introduce, a partire dal v. 24, una narrazione mitologica che si protrae
fino al v. 29. Si tratta di una parentesi epica all’interno di questo lungo
epigramma, la quale da una parte è funzionale a un nuovo cenno di Enea e degli
Eneadi (v. 2), dall’altra vuole avere una finalità eziologica che spieghi l’origine
dei calzari dei patrizi, ornati di mezzaluna. Il poeta racconta che il dio Ermes
indossò i calzari con la mezzaluna nella notte dell’incendio di Troia, quando salvò
Enea dalla distruzione della città. Fiorillo 1801, 146, ricorda che secondo Quint.
Smyrn. 13, 315-29, fu invece la dea Afrodite in persona a salvare il figlio Enea
come racconta brevemente anche Tryph. Il. 651-3 Ανεανδ0=κλεψεκαCSγχσην
Sφροδτη/οκτερουσαγροντακαCυ\α,τ4λεδ(πτρης/Α,σονηνπνασσε.
Tuttavia nella Tabula Iliaca Capitoliana, databile al I sec. d. C., la quale
rappresenta in rilievo la presa di Troia, viene rappresentato Ermes nell’atto di
trarre fuori dalla città in fiamme Enea insieme al padre e al figlio41. Forillo 1801,
147 annota come «viri docti vero qui tabulam illustravêre […] non nostri poëtae
locum adtulerunt. […] In gemmâ, ap. Augustin. Gemm. T. II. N. 3. fuga
repraesentata est Aeneae, ibique Mercurius dux, stellam, in fronte gerit, lunari
forma, radiosam». Sulla Tabula Iliaca Capitolina compare anche l’iscrizione
|λιουΠρσις κατ9Στησκορος: Τρωικ/ς, la quale lascia intendere che l’autore
della Tabula avesse scolpito delle scene tratte dal poemetto di Stesicoro |λιου
41 Sulla Tabula Italica Capitolina ved. SADURSKA 1963 e SADURSKA 1964.
70
Πρσις andato perduto; ved. Horsfall 1979, Lloyd-Jones 1980. Lo stesso
intervento divino è presente poi nell’affresco della casa del Criptoportico a
Pompei. Horsfall 1979, 42-3, nega la dipendenza delle due rappresentazioni da un
comune modello precedente in quanto il pittore dell’affresco della casa del
Criptoportico dipinge in modo classico Enea che porta sulle spalle il padre
Anchise. Invece ritiene probabile che l’autore della Tabula Italica Capitolina
abbia avuto a disposizione una statua, un dipinto o un bassorilievo di età
precedente, ispirato da quelle fonti letterarie cui Marcello allude in modo generico
tramite il verbo λγουσι ed etichetta le parole κατ9 Στησκορος come «an
ostentatious but confused display of Gelehrsamkeit».
Marcello darebbe quindi prova di erudizione poiché, attingendo
probabilmente a fonti letterarie a noi ignote, predilige una versione del mito della
fuga di Enea che ben si coniuga con i fini celebrativi del poemetto, dato che
Ermes, già presentato al v. 32 come antenato divino di Erode, appare ora come il
dio che ha posto Enea sulla via della fondazione di Roma.
Per la forma estesa Tρµων cfr. Hes. fr. 64, 14; 137, 1; 150, 31
Merkelbach–West; Bion fr. 10, 8 Gow; Max. 12, 610; Agath. A. P. 4, 3, 110.
L’infinito epico φορ4ναι «most commonly of clothes, armour, and the like,
bear constantly, wear» (LSJ, s. v. φορω) ha funzione finale-consecutiva; per la
sua posizione in clausola di esametro cfr. Il. 2, 107 α,τ9ρ αEτε Θυστ0
Sγαµµνονι λε*πε φορ4ναι; 7, 149 δκε δ0 hρευθαλωνι φλ7 θερποντι
φορ4ναι; 10, 270 α,τ9ρ Μηρι/νp δκεν ´ παιδC φορ4ναι e Od. 17, 224
σηκοκ/ροντ0=µεναιθαλλ/ντ0)ρφοισιφορ4ναι.
v. 25. IIIIµοςµοςµοςµος RRRRτ(ε).τ(ε).τ(ε).τ(ε). L’impiego delle due congiunzioni temporali non è
omerico ma tipico dell’epica ellenistica di Ap. Rh. 4, 267, 452, 1310, dove la
seconda congiunzione Rτε presenta l’elisione della vocale finale come qui al v. 25;
cfr. ancora Arat. Phaen. 584; Nik. Ther. 936, in cui compare anche il nesso Iµος
Rταν al v. 75.
πολπολπολπολµουµουµουµου))))ξξξξ4444γενγενγενγενSSSSχαιχαιχαιχαιν.ν.ν.ν. La narrazione mitologica dell’intervento divino di
Ermers a favore di Enea è impreziosita dalla ripresa e dalla fusione di nessi
omerici attestati nell’Iliade. L’espressione πολµου )ξ4γεν deriva da Il. 13, 535
)ξ4γεν πολµοιο δυσηχος, là dove si racconta che Polite trasse fuori dalla
71
battaglia il fratello Deifobo. Espressioni simili sono adoperate in Il. 5, 35 µχης
)ξOγαγεθο3ρονρηα e 5, 353 τ$νµ(νmρ0½ριςXλο3σαποδOνεµος=ξαγ0µλου;
cfr. anche Il. 11, 487. Il nesso πολµου)ξ4γενè attestato anche in Quint. Smyrn.
13, 322. Per quanto riguarda invece la presentazione della guerra troiana come
πολµου … Sχαιν cfr. Il. 3, 165 οr µοι )φρµησαν π/λεµον πολδακρυν
Sχαιν; 7, 331 τσεχρ$π/λεµονµ(νªµ0^ο*πα3σαιSχαιν e 22, 487 Yνπερ
γ9ρπ/λεµ/νγεφγpπολδακρυνSχαιν.
v. 26. ννννκταδικταδικταδικταδι9999 δνοφερδνοφερδνοφερδνοφερOOOOνννν. L’indicazione temporale della caduta di Troia
viene formulata mediante un’eco di Od. 15, 50 νκταδι9δνοφερ$ν)λαν, di cui
Marcello conserva la medesima posizione metrica in apertura di esametro; cfr.
anche Theogn. v. 672 West2Μηλου)κπ/ντουνκταδι9δνοφερOν. L’aggettivo
δνοφερ/ς è usato come epiteto di νξanche in Od. 13, 269 νMξδ(µλαδνοφερ$
κτεχ0 ο,ραν/ν ed in Hes. Th. 106-7 οf Γ4ς )ξεγνοντο καC Ο,ρανο3
στερ/εντος,/Νυκτ/ςτεδνοφερ4ς.
v. 27. παµφαν παµφαν παµφαν παµφαν////ωνωνωνων ))))ννννκειτο σελκειτο σελκειτο σελκειτο σελ[[[[OOOOνηνηνηνη]]]]ς κς κς κς κκλοκλοκλοκλο[[[[ςςςς RRRR]]]]µʖοʖµʖοʖµʖοʖµʖοʖ[ιος][ιος][ιος][ιος]. L’aggettivo
παµφαν/ων «bright-shining, radiant» (LSJ, s. v.) appartiene al linguaggio
omerico, dove è attestato 18 volte. In Od. 13, 29 è un epiteto di ^λιος e sottolinea
la luce raggiante del sole del giorno che contrasta con il desiderio nascosto di
Odisseo il quale si augura che presto giunga il tramonto. In Emp. fr. 98, 2 Diels-
Kranz παµφαν/ων viene riferito invece all’etere (ιθOρ). Qui παµφαν/ων
descrive il chiarore dello stemma presente sui calzari indossati dal dio.
Le ultime parole del v. 27 σελ[Oνη]ςκκλο[ςR]µʖοʖ[ιος] sono state restituite
da Peek 1979, 77, il quale, sulla base dell’esame della pietra, da lui personalmente
condotto, propone un’integrazione in maggiore accordo con le tracce delle lettere
e dello spazio tra le stesse. Per la costruzione di Rµοιος con il genitivo (σελOνης),
cfr. Hippocr. Art. 11, 37 το*σι τοτων µοοισιν e Dion. Hal. Pomp. 4, 3 δ(
λεκτικ'ςπoµ(νRµοιοςροδ/του,πoδ()νδεστερος.Skenteri 2005, 37, ricorda
a proposito che questo è «a usage that becomes increasingly frequent in post-
classical Greek» e rimanda a Blass-Debrunner-Rehkopf 1976, 182, 4.
Salmasius 1619, 128, invece aveva proposto σελ[ηναη]ς κκλο[ς αgγλης].
Questa integrazione ricordaOd. 4, 45 = 7, 84 Qςτεγ9ρ^ελουαgγληπλεν^(
σελOνης ma soprattutto Ap. Rh. 4, 167 Uς δ( σεληναης διχοµOνιδα παρθνος
72
αgγλην. Visconti 1794, 86, accettava l’integrazione σελ[ηναη]ς di Salmasius,
forma poetica di σελOνη, però proponeva il sostantivo α,γ4ς che propriamente
indica la luce del sole ma in generale «any bright light» (LSJ, s. v. α,γO); cfr.
Max. Tyr. 37, 8, 5 καC σελOνης α,γα e Hld. Aeth. 1, 17, 3 πρ'ς µικρ9ν τ4ς
σεληναας α,γ$ν. Wilamowitz 1928, 14, invece integra la parte finale
dell’esametro con l’aggettivo ε,]ρ[ς] proposto da Sirdmond (ap. Wilamowitz
1928, 14) e confronta il v. 27 con Emp. fr. 43 Diels-Kranz ¬ς α,γ$ τψασα
σεληναης κκλον ε,ρν; ved. anche Peek 1979, 77. Su questo frammento di
Empedocle in generale ved. Diels 1880, 175-6.
vv. 28-9. ττττ''''ν δν δν δν δ(((( κακακακαCCCC ΑΑΑΑνενενενεδαι πο[τδαι πο[τδαι πο[τδαι πο[τ0] )0] )0] )0] )νερρνερρνερρνερρψαντο πεδψαντο πεδψαντο πεδψαντο πεδλλλλ7777 / [[[[====µµεναιµµεναιµµεναιµµεναι]]]]
ΑΑΑΑ,,,,σʖοʖνʖσʖοʖνʖσʖοʖνʖσʖοʖνʖ[[[[οις εοις εοις εοις ε]]]],ʖ,ʖ,ʖ,ʖηγενηγενηγενηγενεσσι γεσσι γεσσι γεσσι γραα.ραα.ραα.ραα. La corretta lettura e integrazione del v. 29 è
garantita da Peek 1979, 77. Con questi due versi Marcello di Side conclude la sua
narrazione mitologica definendo il simbolo della mezzaluna γραα «gift of
honour» (LSJ, s. v. γρας). Il poeta riafferma la discendenza degli Italici dai
Troiani e riferisce loro l’epiteto ε,ηγενOς (Α,σʖοʖνʖ[οις ε],ʖηγενεσσι). Questo
elogio degli Italici si trasforma anche in quello di Erode che come italico
(ασονα) viene celebrato in Corinth VIII 3, 128, 6 = 100, 6 Ameling; ved.
commento ad loc.
v. 30. οοοο µινµινµινµιν ddddνννν////σσηται.σσηται.σσηται.σσηται. A partire da questo verso Marcello descrive la
discendenza di Erode Attico. Wilamowitz 1928, 14, spiega dν/σσηται come
perfetto senza raddoppiamento del verbo vνοµαι, attestato solo qui. Sebbene
avverta la necessità di un forma verbale al futuro, egli si astiene dal congetturare
perché «müsste man dν/σσε*ται verbessern und eine unepische neue Form
einführen». Secondo Peek 1979, 81, dν/σσηται è invece congiuntivo di vνοµαι,
preceduto dalla negazione ο,,con il valore di futuro in proposizione indipendente,
caratteristico della lingua omerica, come, p. es., in Il. 1, 262 ο,γρπωτοους
gδοννραςο,δ(gδωµαιe 7, 197 ο,γρτςµεβpγεXκwνκονταδηται; ved.
Chantraine 1953, II, 330, §482.
Per quanto riguarda il pronome µιν, secondo Wilamowitz 1928, 30, è
necessario congetturare al suo posto la negazione µO. Questo intervento testuale
viene criticato da Peek che formula la seguente riflessione: «und welcher
73
Schreiber würde gewöhnlichesµO in die ihm doch fremde Form µιν verwandeln?»
(Peek 1979, 81).
ΚεκροπΚεκροπΚεκροπΚεκροπδηνδηνδηνδην. La genealogia di Erode si apre con la sua presentazione come
discendente di Cecrope, primo re autoctono di Atene; sulla figura di Cecrope in
generale ved. Immisch 1890-4, 1014-24. Chiamare Erode Attico Κεκροπδης è un
preziosismo linguistico, che mette in risalto l’appartenenza del retore alla città di
Atene, poiché il sostantivo Κεκροπδης veniva usato come sinonimo di Sθηνα*ος
già a partire da Hdt. 8, 44, 12, dove lo storico racconta che gli Ateniesi presero il
nome di Cecropidi sotto il regno di Cecrope, Sθηνα*οι δ( )πC µ(ν Πελασγν
)χ/ντων τ$ν ν3νTλλδα καλεοµνην IσανΠελασγο, dνοµαζ/µενοιΚραναο,
)πCδ(Κκροποςβασιλος)πεκλOθησανΚεκροπδαι,)κδεξαµνουδ(hρεχθος
τ$ν ρχ$ν Sθηνα*οι µετωνοµσθησαν, cωνος δ( το3 Ξοθου στρατρχεω
γενοµνου Sθηναοισι )κλOθησαν π' τοτου cωνες; cfr. anche Ar. Eq. 1055
Κεκροπδηκακ/βουλε e Call. Del. 315 =νθενειζονταθεωρδος\ερ9Φοβ7/
ΚεκροπδαιπµπουσιτοπOιανη'ς)κενης; ved. anche commento a IG II2 3606,
24 = 190, 24 Ameling per l’uso della forma Κκροπες = Κεκροπδαι.
v. 31.ΤυρσηνΤυρσηνΤυρσηνΤυρσηννννν ρχαρχαρχαρχα****ονονονον ))))πισφπισφπισφπισφριον<γ>ριον<γ>ριον<γ>ριον<γ>ραςραςραςραςνδρνδρνδρνδρνννν. La fibbia con la
mezzaluna ()πισφριον), qualificata come antica (ρχα*ον) in collegamento alla
narrazione mitologica dei vv. 24-9, è presentata ora come segno d’onore dei
Tirreni (Τυρσηνν…νδρν) attraverso il sostantivo <γ>ρας, correzione di
Salmasius 1619, 128, di τρας della stele, accolto all’unanimità da tutti gli
studiosi, ad eccezione di Peek 1979, 77, il quale si chiede se qui Marcello di Side
non abbia voluto realmente intendere Wunderzeichen. L’origine etrusca dei
sandali, qui indicati per sineddoche dalla fibbia con la mezzaluna ()πισφριον),
viene menzionata per la prima volta da Verg. Aen. 8, 458 Tyrrhena pedum
circumdat uincula plantis, in cui Evandro viene ritratto nell’atto di allacciarsi ai
piedi i sandali tirreni, designati mediante il ricorso alla sineddoche uincula, che il
commentatore Serv. Ad Aen. 8, 458, intendeva come calcei senatorii,
ricordandone l’origine dagli Etruschi. Il fatto che Erode indossi anche il sandalo
dei patrizi è un’allusione al possesso della cittadinanza romana. In qualità di
cittadino romano Erode Attico entrò a fare parte dell’ordine senatorio e ricoprì
74
cariche politiche importanti all’interno delle gerarchie di potere dell’Impero
romano.
v. 32. nnnnρσηςρσηςρσηςρσης ))))κγεγακγεγακγεγακγεγατα κατα κατα κατα καC TC TC TC Tρµρµρµρµω.ω.ω.ω. Erode rivendicava anche una
discendenza da Erse ed Ermes, genitori di Cerice (v. 33 Κ4ρυξ), fondatore della
famiglia dei Cerici, sacerdoti ateniesi di Demetra, cui spettavano le funzioni sacre,
quale quella di ierofante, portafiaccole, araldo sacro e sacerdote presso l’altare;
ved. Beschi-Musti, 1982, 411. Riguardo al personaggio di Cerice ved. Oehler
1921, Simon 1992 e Beck 1999.
Le fonti antiche tramandano notizie divergenti sull’identità dei genitori di
Cerice. Per quanto riguarda il padre, secondo l’attidografo Androt. FgrHist 324, F
1, il giovane era figlio di Ermes mentre secondo Andron FgrHist 10, F 13 di
Eumolpo. Quest’ultima informazione viene accolta da Paus. 1, 38, 3
τελευτOσαντος δ( Ε,µ/λπου ΚOρυξ νετερος λεπεται τν παδων, il quale
tuttavia riporta anche la tesi sostenuta dalla stessa famiglia religiosa dei Cerici,
secondo cui Cerice era in realtà il figlio di Ermes, [ΚOρυξ] ν α,τοC ΚOρυκες
θυγατρ'ς Κκροπος Sγλαρου καC Tρµο3 πα*δα εeναι λγουσιν, λλ0 ο,κ
Ε,µ/λπου. La discendenza dal dio viene anche citata da Hesych. κ 2560, s. v.
ΚOρυκες. Ancora più divergenti sono le informazioni relative al nome della madre
del giovane, perché, come sostiene Jacoby III 1954, 109, gli stessi membri della
famiglia sacerdotale dei Cerici nominano in tempi diversi le varie figlie di
Cecrope. Androzione (ved. supra) riporta Pandroso come madre di Cerice.
Secondo Jacoby l’attidografo, che è la fonte più antica sul tema, rispecchia la
tradizione ufficiale del clan dei Cerici del IV sec. a. C. La stessa informazione è
registrata da Pollux 8, 103, schol. in Hom. Il. 1, 334, schol. in Aeschin. 1, 20
mentre Pausania (ved. supra) riporta che i Cerici stessi consideravano madre del
giovane eleusino Aglauro42. Questa iscrizione invece rivendica come madre di
Cerice Erse e acquista maggiore credibilità rispetto alle altre testimonianze coeve,
«da es von einem hervorrangenden Mitgliede des Geschlechtes und gelehrten
Kenner des Attischen Alterthums ausgeht» (Dittenberger 1885, 2, n. 2); ved.
anche Simon 1992, 36. L’unione tra Ermes ed Erse è anche confermata da
42 Invece secondo Hellanic. FgrHist 323a F 1 Aglauro aveva generato ad Ares la figlia Alcippe mentre secondo Philoch. FgrHist 328 F 105 la fanciulla sacrificò se stessa per il bene della città di Atene.
75
Apollod. 3, 14, 3, dal quale si apprende che Erse generò a Ermes il figlio Cefalo.
In Ov. Met. 2, 726-47, 809-13 Erse è descritta come la donna amata dal dio.
Jacoby III, 1954, 109, ritiene che l’oscillazione dell’attribuzione della maternità a
una delle figlie di Cecrope sia dovuta anche al fatto che le fonti antiche relative al
racconto dell’affidamento di Erittonio bambino alle cure delle tre figlie di Cecrope
da parte della dea Atena, presentano a volte Pandroso, a volte Erse, come l’unica
fanciulla che rimase fedele al divieto della dea di non aprire il cesto contenente il
bambino; ved. commento al v. 54.
v. 33.εεεε))))τετετετε''''νδνδνδνδ$.$.$.$. Si tratta di un nesso omerico che, ad eccezione di Od. 23,
107, dove ricorre in clausola di esametro, è adoperato nei poemi omerici sempre
ad apertura di verso; cfr. Il. 7, 359; 12, 233; 13,375; Od. 19, 216; 23, 36.
Ε )τε'ν δ$ viene adoperato anche dall’epica successiva come clausola di
esametro in Ap. Rh. 2, 209; 4, 292 e in Arat. Phaen. 1, 30.
ΘησηιΘησηιΘησηιΘησηιδαο.δαο.δαο.δαο.La genealogia di Erode si conclude con la figura di Teseo, il
sovrano che unificò l’Attica. Wilamowitz 1928, 15, definisce Θησηιδης
«Neubildung nach Πηλιδης», usato con il significato di «Athener». Tanto questo
genitivo in -αο quanto il precedente in -εω (ρδεω) sono tipici della lingua
omerica.
v. 34. το το το τονεκα τειµνεκα τειµνεκα τειµνεκα τειµOOOOεις καεις καεις καεις καC )C )C )C )ππππνυµοςνυµοςνυµοςνυµος. La genealogia divina e mitica di
Erode Attico viene presentata al v. 34 come il motivo degli onori a lui consessi;
vedi a riguardo Galli 2002, 116. Secondo Franzius 1853, 924, «τιµOεις ad
dignitatem senatoriam pertinet; )πνυµος ad consulatum». La forma τειµOεις
della pietra corrisponde aτιµOεις.
vv. 34-35. IIIIµµµµ((((ννννmmmmνασσα[ν]/νασσα[ν]/νασσα[ν]/νασσα[ν]/ ))))ςβουλςβουλςβουλςβουλ$$$$ννννγγγγρεσθαι.ρεσθαι.ρεσθαι.ρεσθαι. In questi versi il poeta
ricorda l’ammissione di Erode Attico al Senato romano. Wilamowitz 1928, 15,
così parafrasa il testo greco: «τιµ;ται καC )πνυµ/ς )στιν, Qστε τ' µ(ν ες τ$ν
σγκλητονκληθ4ναιεςπροεδραν». Peek 1979, 81, osserva che in base a Il. 18,
245 )ςδ0γορ$νγροντο, modello di Marcello per questa espressione, il verbo
γρεσθαι «kann eigentlich nur einen Plural bei sich haben» e pertanto corregge
l’interpretazione di Wilamowitz in «er versammelte sich zu den Vätern, wurde zu
d. V. versammelt» (Peek 1979, 81).
76
La proposizione finale-consecutiva, espressa dall’infinito γρεσθαι,
descrive la partecipazione di Erode alle sedute del Senato romano come il
massimo onore politico conferitogli. Essa è introdotta dalla congiunzione epica I
µ(ν, in correlazione con δ del v. 36, dove Marcello celebra Erode Attico come il
più grande retore della Grecia.«Iµ(ν zeigt, daß eigentlich das Entsprechende für
Athen folgen sollte, dafür tritt das stärkere ein, daß ihm in ganz Hellas der erste,
königliche Rang zusteht durch Adel der Zukunft und Ruhm als Redner»
(Wilamowitz 1928, 15). La correlazione I µν= ^µν…δ è piuttosto rara ed è
attestata solo in Il. 12, 428 e corrisponde a ^µν…^δ,^µν…κα,^µν…τ;per
le attestazioni di queste congiunzioni ved. Denniston 19542, 287. Essa ha il
significato di «“verily on the one hand”, “verily on the other”» (Denniston 19542,
287).
Singolare è l’uso del sostantivo mνασσα come aggettivo, per il quale Peek
1979, 81, ricorda che Kaibel aveva citato a confronto Mart. 14, 1 Jakob
dominusque senatus43.
rrrrναπρωτναπρωτναπρωτναπρωτ////θρονεςθρονεςθρονεςθρονες¨δραι.δραι.δραι.δραι. L’aggettivo πρωτ/θρονοςè un epiteto di Artemide
in Call. Dian. 228. Paus. 10, 38, 6 τ4ς Πρωτοθρονης καλουµνης Sρτµιδος,
conosceva a Efeso l’esistenza di un’altare dedicato alla dea Artemide che ha il
primo trono. Al pluraleπρωτ/θρονεςè attestato solo qui come aggettivo di ¨δραι
e precisa che nel Senato romano il posto di Erode è in prima fila. Cfr. anche
Nonn. Paraphr. Jo. 11, 189-90 χιγερ/ντων/ες¿νγειροµνωνπρωτ/θρονος
¨ζετοβουλO.
vv. 36-37. TTTTλλλλλλλλδι δδι δδι δδι δ0000 οοοοτε γτε γτε γτε γνος βασιλενος βασιλενος βασιλενος βασιλετερος οτερος οτερος οτερος οτε τι φωντε τι φωντε τι φωντε τι φων$$$$ν /ν /ν /ν / ρρρρδεω,δεω,δεω,δεω,
γλγλγλγλσσσσσσσσν δν δν δν δ ττττ µιν καλµιν καλµιν καλµιν καλουσινουσινουσινουσιν SSSSθηνθηνθηνθηνωνωνωνων. In Grecia Erode si distingue per
l’appartenenza a una famiglia che vanta antenati mitici e per la sua abilità retorica,
che gli ha assicurato l’onore di essere battezzato lingua della Grecia. L’elogio
della superiorità di Erode è formulata in toni solenni anche in Corinth VIII 3, 128
= 100 Ameling, dove egli viene definito µγας…=ξοχοςmλλων(v. 3), [iπ]/ʖσιν
TλλOνωνπερβωτονxπντων(v. 5),mνθοςSχαιιδος(v. 6);cfr. commento ad
loc. Il superlativo βασιλετερος è attestato nella lingua omerica in Il. 9, 160, 392;
43 Jakob aveva accolto nel testo di Marziale la lezione senatus di βγ mentre BAILEY 1990 stampa senator di T.
77
10, 239; Od. 15, 533, dove designa la potenza di un sovrano; ved. Schmidt 1982a,
s. v. Esso viene ripreso da Tyrt. fr. 9, 7 Gentili-Prato ο,δ0εΤανταλδεωΠλοπος
βασιλετεροςεgη; Ap. Rh. 4, 1102 ο,γρτιςβασιλετεροςΑOταο e Orph. Arg.
851 κρναντες τιν0 mριστον, < ς βασιλετερ/ς )στιν44. Qui βασιλετερος è
accompagnato dai due accusativi di relazione γνοςe φωνOν.
I vv. 36-7 richiamano degli appellativi con cui gli allievi di Erode Attico
solevano chiamare il loro maestro. Flavio Filostrato, p. es., racconta nella vita di
Adriano di Tiro (V. S. 2, 586, 15) che questi chiamava Erode il re dell’eloquenza
(τ'νβασιλατνλ/γων). Anche Rufo di Perinto (V. S. 2, 598, 11-13) era solito
denominare il maestro signore (δεσπ/την), lingua dei Greci (TλλOνωνγλτταν),
re dei discorsi (λ/γωνβασιλα) e attraverso altri appellativi del genere.
Per quanto riguarda la successione delle due particelle δ τε Wilamowitz
1928, 15, annota che queste possono essere spiegate solo come un antico uso
epico; ved. Denniston 19542, 528-9.
vv. 38-40. Con questi versi Marcello riporta l’attenzione su Regilla,
completandone la discendenza da personaggi mitici, quali Enea (v. 38 Ανεινη),
Ganimede (v. 39 Γανυµηδεη) e l’intera stirpe troiana (v. 39 ∆αρδνιον γνος)
fino al fondatore della città di troia Troo, figlio di Erittonio (v. 40 Τρω'ς
hριχθονδαο). La citazione degli antenati mitici di Regilla richiama alla mente Il.
20, 215-242, dove Enea illustra ad Achille la sua stirpe. In questo modo il poeta
accresce il grado di dignità della donna.
v. 38. iiiiδδδδ(((( κακακακαCCCCαααα,,,,ττττOOOOπερκαλλπερκαλλπερκαλλπερκαλλσφυροςσφυροςσφυροςσφυροςΑνεινη. Il sostantivo Ανεινη è
attestato solo in questo epigramma di Marcello che attraverso l’epiteto omerico
καλλσφυρος «mit schönen Fesseln»(Führer 1989b, s. v.) descrive la bellezza di
Regilla alla stregua di quella di mitiche figure femminili: Marpessa in Il. 9, 557,
560, Danae in Il. 14, 319, Ino in Od. 5, 333 ed Ebe in Od. 11, 603. In H. Hom.
Cer. 453 καλλσφυρος qualifica la bellezza della dea Demetra mentre in H. Hom.
Diosc. 2 è un epiteto di Leda. Sulla funzione dell’epiteto καλλσφυρος cfr. Apoll.
44 DE MARTINO-VOX 1996, 574, precisano che «da un sostantivo è possibile formare comparativi e superlativi» e ricordano i parodici κντατος e Dστατος di Timo Fliasius fr. 51, 2 Di Marco,χαριστερος di Tyrt. fr. 9, 5 Gentili-Prato e λιοδωρ/τερον dal nome proprio λι/δωρος di Lucil., A. P. 11, 134, 4.
78
Lex. Hom. 94, 21 καλλσφυρος. π' Xν'ς µρους τ$ν Rλην καλ$ν βολεται
δηλο3ν.
Per quanto riguarda la particella enclitica περ, essa viene impiegata qui dal
poeta semplicemente per sottolineare il termine cui si riferisce secondo un uso
omerico registrato, p. es., in Il. 21, 308 φλεκασγνητεσθνοςνροςµφ/τερο
περ; per altri esempi ved. Denniston 19542, 482, il quale spiega che «the particle
denotes, not that something is increased in measure, but that the speaker
concentrates on it to the exclusion of some other particular thing thus excluded or
contrasted».
v. 39. ΓανυµηδεΓανυµηδεΓανυµηδεΓανυµηδεηηηη. Il sostantivo è attestato solo qui e presenta Regilla come
discendente di Ganimede, figlio di Troo, il quale in Il. 20, 231-2 viene definito
pari agli dei nonché il più bello di tutti quanti i mortali; ved. Drexler 1886-90 e
Friedländer 1910. «Being famous for his good looks, Ganymedes may well have
been mentioned in this context also in order to further enhance Regilla’s own
beauty» (Skenteri 2005, 42).
vv. 40-1.Con il v. 40 il poeta conclude la prima parte del poemetto dedicata
alla descrizione della discendenza di Erode e di Regilla e inizia a illustrare la
condizione della donna dopo la morte. Il passaggio a questa nuova sezione è
segnato dall’invito a compiere sacrifici, rivolto direttamente al lettore. In questo
modo Marcello ritorna al tema con cui egli aveva aperto il componimento; cfr. vv.
1-2.
\\\\ερερερερ9 N9 N9 N9 Nξαιξαιξαιξαι. Questo sintagma è presente in Il. 1, 147 vφρ0 `µιν Xκεργον
\λσσεαι\ερ9Nξας; Od. 1, 61 Sργεωνπαρ9νηυσCχαρζετο\ερ9Nζων e 3, 5
τοCδ0)πCθινCθαλσσης\ερ9Nζον.
θθθθ3333σαι.σαι.σαι.σαι. Il verbo è qui usato in senso assoluto con il significato di «offer
sacrifice» (LSJ, s. v. θ3ω, 3). Dal momento che tutti e due gli imperativi fanno
riferimento al sacrificio, Wilamowitz 1928, 15, puntualizza che «\ερ9Nξαιmuss
weniger sein als θ3σαι, da nur dies als nicht gefordert hingestellt wird».
v. 41. θυ θυ θυ θυωνωνωνων ττττ9999ρ ορ ορ ορ ο,,,,κκκκ κοντοςκοντοςκοντοςκοντος ννννγκη.γκη.γκη.γκη. L’uso di θος al plurale è
caratteristico di Omero; ved. Führer 1989a, s. v. Il sostantivo indica «Brandopfer
im Ggs. zu Trank- (λοιβO, σπονδO) u. Schlachtopfer» (Führer 1989a, s. v.).
Wilamowitz 1928, 15, pone la sua attenzione sull’insolita sequenza delle parole:
79
«τρ nachgestellt ganz ungewöhnlich, Dindorf belegt es im Thesaurus aus den
Sibyllinen XI 229, wo es nicht entbehrt werden kann. Auch ο, ist kühn von
νγκη getrennt, und κοντος steht für den bequemen Dativ nur um den Hiat zu
meiden; bei normaler Stellung würde der Genitiv für )9ν δ( µ$ θληι leichter
verstanden». Il genitivo κοντος in Omero è usato come genitivo assoluto nel
significato di «gegen das Wollen einer Person»; ved. Philipp 1956, s. v. κων IV,
1-2.
v. 42.ε<ε<ε<ε<E>E>E>E>δδδδτοιετοιετοιετοιε,,,,σεβσεβσεβσεβεσσικαεσσικαεσσικαεσσικαC-C-C-C-ρρρρωνωνωνωνλεγλεγλεγλεγζειν.ζειν.ζειν.ζειν.La pietra presenta ad
apertura di questo verso ΕΙ∆ΕΤΟΙche Kaibel 1878, 465, corregge in ε<E>δ
τοι con approvazione degli studiosi successivi. Qui l’avverbio εEha il significato
di καλ/ν. Si tratta di una proposizione ellittica da cui dipende l’infinito λεγζειν.
Con il valore di predicato εE è attestato in Aesch. Ag. 216, Ch. 166, 338, Eur. Alc.
627, SIG3 953, 9. Wilamowitz 1928, 15, benché stampi nel testo la congettura di
Kaibel, rivela i suoi dubbi: «Ich habe Kaibels εE δ τοι ε,σεβεσσι λεγζειν
nicht ohne Bedenken aufgenommen, denn sei auch εE für καλ/ν gesagt, was
schon nicht bequem ist, so liegt darin nicht die Pflicht, und sie erwartet man.
Daher lag der Einfall ε,σεβς )στι (Jacobs) nahe, aber dann ist λεγζειν zu
schwach, denn das tut auch der, welcher nicht θει. Treffend ist nur ο,κνγκη
θειν,νγκηδ(το*ςγεε,σεβσιντν-ρων)πιστρφεσθαι.Vielleicht ist also
iδτοι (d. h. νγκη) vorzuziehen».Sulla base di questa osservazione Wilhelm
1939, 208, congettura la forma verbale <δ>ε*, da cui dipendono l’infinito
λεγζειν e il dativo della persona ε,σεβεσσι al posto del più comune
accusativo. Per questa costruzione di δε*con il dativo, Wilhelm 1939, 208, cita da
Kühner-Gerth 1898 I, 297 degli esempi, cioè Soph. OC 721 ν3ν σοι (così LA,
Nauck: σ'ν) τ9λαµπρ9τα3ταδε*(così A, δ$ L e Nauck: δ$)φανειν=πη;Eur.
Hipp. 940-1 θεο*σιπροσβαλε*νχθονC/mλληνδεOσειγα*αν; Xen. An. 3, 4, 35 δε*
)πισξαιτ'νrππονΠρσpνδρι; Mem. 3, 3, 10 εgσοιδοιδιδσκεινed Oec. 8,
9διαλγεινδοια,τ2.
vv. 43-45. In questi versi la nuova condizione di Regilla viene espressa
attraverso una serie di espressioni caratterizzate dalla litote e dall’anafora delle
negazioni οτε(v. 44) e ο,δ(v. 45).
80
v. 43. οοοο,,,,µµµµ((((γγγγγγγγ9999ρθνητρθνητρθνητρθνητO,O,O,O,ττττ9999ρορορορο,,,,δδδδ((((θθθθαιναταιναταιναταιναττυκται.τυκται.τυκται.τυκται. «Sensus loci est, si quis
volet rem divinam Regillae facere, faciat. Nemo vero ad hoc cogitur» (Fiorillo
1801, 164-5). Peek 1979, 82, vi legge una possibile eco di Il. 5, 402 ο,µ(νγρτι
καταθνητ/ςγεττυκτο. Caratteristici della lingua omerizzante sono qui sia l’uso
della congiunzione avversativa τρ, per rafforzare l’opposizione al predicato
precedente (cfr. supra), sia la collocazione della forma verbale ττυκται in
clausola, presente anche nell’epigramma SEG 23, 121, 3 = 99, 3 Ameling τ/µοι
οκατα3ταττυκται in onore di Regilla defunta; cfr. commento ad loc. Per Galli
2002, 116 «im Vers 43 ist eine bewusste semantische Ambivalenz festzustellen:
„nicht sterblich - kein Göttin“; dieser rhetorische Chiasmus wird auf den
Charakter der in der Inschrift erwähnten Baulichkeiten übertragen».
L’ambivalenza semantica è determinata, secondo lo studioso, dalla particolarità
della costruzione dedicata a Regilla nel Triopio. «Der Text weist den Betrachter
sehr deutlich darauf hin, daß das, was er beobachtet, kein Grabbau für eine
wirkliche Bestattung ist, sondern ein Denkmal, das auf sakrale sowie sepulkrale
Gestaltungsformen anspielt (Galli 2002, 116).
v. 44. τοτοτοτονεκεννεκεννεκεννεκεν οοοοτετετετε νενενενεwwwwνννν \\\\ερερερερ''''νννν λλλλχενχενχενχεν οοοοτετετετε τιτιτιτι ττττµβονµβονµβονµβον.... Anche in Corinth
VIII, 3, 128, 5 = 100, 5 Ameling [iπ]/ʖσινTλλOνων=λαχενπερβωτονxπντων,
la sorte privilegiata assegnata a Regilla viene espressa dal verbo λαγχνω.
v. 45.οοοο,,,,δδδδ((((γγγγραθνητοραθνητοραθνητοραθνητο****ς,ς,ς,ς,ττττ9999ρορορορο,,,,δδδδ((((θεοθεοθεοθεο****σινσινσινσινRRRRµοια.µοια.µοια.µοια. Wilamowitz 1928, 16,
osserva che «43 und 45 ist mit Absicht der vierte Fuß zerrissen». In tutti e due i
versi il poeta fa uso della litote, della congiunzione avversativa τρ per
rafforzare il significato della disgiuntiva ο,δ, dell’aggettivo θνητ/ς e
rispettivamente dei sostantivi θαιναe θε/ς. Le offerte da portare a Regilla sono
diverse tanto da quelle per i mortali quanto da quelle dovute agli dei perché
devono essere proprie di un’eroina.
46. σ σ σ σ4444µα µµα µµα µµα µν ον ον ον ο\\\\ νηνηνηνη2 g2 g2 g2 gκελον δκελον δκελον δκελον δOOOOµµµµ7 )7 )7 )7 )νννν SSSSθθθθOOOOνης.νης.νης.νης. A questo punto del lungo
epigramma Marcello specifica che la tomba di Regilla si trova in Attica e che è
simile a un tempio. Peek 1979, 82, cita come parallelo per l’espressione σ4µαµν
ο\νη2gκελονSEG XIV 666, 1µν4µ0 gκελονναο*σιθε[νπρπον)στιθαν/ντι]
mentre Ameling 1983, 159 Stat. Silv. 5, 3, 48 par templis opus come già aveva
osservato Fiorillo 1801, 166. Questa stessa informazione relativa alla tomba di
81
Regilla viene anche offerta da IG XIV 1392 = 145 Ameling ρδηςµνηµε*ον
καC το3το εeναι τ4ς αjτο3 συµφορ;ς καC τ4ς ρετ4ς τ4ς γυναικ/ς. =στιν δ( ο,
τφος·τ'γ9ρσµα)ντoTλλδικαCν3νπαρ9τ2νδρ)στιν. Per Galli 2002,
117, questo verso è una prova del fatto che Erode Attico volesse instaurare dei
collegamenti tra le varie costruzioni fatte edificare in diversi luoghi per la
memoria della moglie.
L’uso del termine σ4µα come tomba è già omerico; ved. Langholf 2006, s.
v. σ4µα, 2. Per σ4µα in apertura di esametro accompagnato dal dativo della
persona cfr. Od. 2, 222 e 11, 75, in cui sostantivo e pronome sono separati dalla
particella enclitica δ.
L’espressioneδOµ7 )ν SθOνης è una perifrasi per indicare la città di Atene,
così come nel verso successivo σκ4πτρον !αδαµνθυος descrive le isole dei
beati.
47. ψυχψυχψυχψυχ$$$$ δδδδ(((( σκσκσκσκ4444πτρονπτρονπτρονπτρον !!!!αδαµαδαµαδαµαδαµνθυοςνθυοςνθυοςνθυος µφιπολεµφιπολεµφιπολεµφιπολεει.ει.ει.ει. Il v. 47 si apre con il
sostantivo ψυχO, contrapposto a σ4µα del verso precedente. Qui Marcello
sottolinea il fatto che, sebbene il corpo di Regilla sia custoditο in Attica, l’anima
serve lo scettro di Radamante. Sulla figura mitica di Radamante ved. Jessen 1909-
15, Malten 1914 e Schlapbach 2001.
Σκ4πτρον!αδαµνθυος è una sineddoche e indica le isole dei beati. Già ai
vv. 8-9 il poeta aveva indicato in questa sede la dimora di Regilla dopo la morte.
La contrapposizione tra il destino riservato al corpo (σ4µα) e quello riservato
all’anima (ψυχO) è tipica degli epitaffi, dove è anche attestata la presentazione
delle isole dei beati come luogo riservato alle anime degli uomini divenuti semidei
dopo la morte; ved. Lattimore 1942, 31-6. L’associazione di Radamante con le
isole dei beati risale già ad Od. 4, 563-4 che stabilisce in questo luogo la dimora
del figlio di Zeus ed Europa.
Dai vv. 8-9 e 47 è deducibile che Marcello di Side rappresenti le isole dei
beati secondo una tradizione mitica che aveva fatto di Radamante il regnante di
questo luogo in qualità di paredro di Crono; cfr. Pind. O. 2, 75-7 βουλα*ς )ν
dρθα*σι!αδαµνθυος,/νπατ$ρ=χειµγαςXτο*µονα,τ2πρεδρον,/π/σις
82
πντων !ας / jπρτατον )χοσας θρ/νον45. La presentazione di Regilla come
ancella dello scettro di Radamante è anche un elogio della sua σωφροσνη,
ricordata in Corinth VIII 3, 128, 2 = 100, 2 Ameling e presentata al v. 10 di
questo componimento come il motivo del privilegio ottenuto dopo la sua morte.
La poesia arcaica aveva fatto di Radamante un esempio di giustizia (cfr. Hes. fr.
141 Merkelbach-West; Ibyc. fr. 309 Page) e di saggezza (Theogn. v. 701 West2;
Pind. P. 2, 73-4). «wollte man einen gerechten Mann loben, so sagte man, er zeige
Ραδµανθυς τοMς τρ/πους (Bekker, Anecd. Graec. 1, 61, 23) [= fr. adesp. 656
Kassel-Austin], oder er sei noch gerechter als Rh. (Euripid. Kyklops 273)» (Jessen
1909-15, 78). Per queste qualità Radamante era stato chiamato a giudicare le
anime dei defunti insieme ai fratelli Eaco e Minosse. Come legislatore dei defunti
Radamante compare in Plat. Ap. 41a 3, Gorg. 523e 6-524a 4, Dem. 18, 127,
Aristot. EN 1132b 25, Apollod. 2, 4, 9 e 3, 1, 2.
v. 48. το το το το3333τοδτοδτοδτοδ((((ΦαυστεΦαυστεΦαυστεΦαυστεννννpppp κεχαρισµκεχαρισµκεχαρισµκεχαρισµνοννοννοννον ttttσταισταισταισται mmmmγαλµαʖγαλµαʖγαλµαʖγαλµαʖ....Alla precisazione
della collocazione del corpo e dell’anima di Regilla in due luoghi distinti (vv. 46-
7) segue ora l’indicazione della presenza della statua della donna nel territorio del
Triopio romano (το3το … mγαλµαʖ), cui viene riferita l’espressione Φαυστενp
κεχαρισµνον, attraverso la quale Marcello indica per la prima volta per nome
l’imperatrice Faustina deificata.
vv. 49-50. δδδδOOOOµµµµ7 )7 )7 )7 )ννννCCCC ΤριΤριΤριΤρι////πεω,πεω,πεω,πεω, rrrrνα ονα ονα ονα ο\\\\ ππππρος ερος ερος ερος ε,,,,ρρρρεςεςεςες γρογρογρογροC /C /C /C / κακακακαCCCC χορχορχορχορ''''ςςςς
----µερµερµερµερδων καδων καδων καδων καC )C )C )C )λαιλαιλαιλαιOOOOεντεςεντεςεντεςεντες mmmmρουραι.ρουραι.ρουραι.ρουραι. Questi versi descrivono il Triopio come un
locus amoenus, ricco di coltivazioni di uliveti e vigneti appartenuti a Regilla come
si legge in IG XIV 1391 = 144 Ameling Sννα!ηγλλαρsδουγυνO, τ'φς
τ4ς οκας, τνος τα3τα τ9 χωρα γγοναν· Annia Regilla Herodis uxor lumen
domus cuius haec praedia fuerunt.
δδδδOOOOµµµµ7)7)7)7)ννννCCCCΤριΤριΤριΤρι////πεω.πεω.πεω.πεω. Il sostantivo δ4µοςnell’accezione di«district, country,
land» (LSJ, s. v.), seguito dal genitivo singolare del nome di un paese, rientra tra
le caratteristiche della lingua omerizzante; cfr. Il. 3, 201 = Od. 13, 97 = 15, 534 =
16, 419 )νδOµ7|θκης; Od. 1, 136 Ιθκης)νCδOµ7;1, 237 Τρων)νCδOµ7;
45 In merito JESSEN 1909-15, 81, sostiene che «Pindar vereinigt offenbar zwei verschiedenen ältere Sagen: nach der einen war Kronos der eigentliche Herrscher auf den Inseln der Seligen, nach der anderen, die spät Lukian, ver. hist. 2, 6 ff. so weit ausgeschmückt wiedergibt, war Rh. dort der oberste Gebieter».
83
13, 266 δOµ7=νιΤρων; Il. 16, 437 = 514 Λυκης)νπονιδOµ7; ved. Schmidt
1982c, s. v.δ4µος. Al v. 64 il poeta riprende il nesso δ4µον…Τρι/παο.
----µερµερµερµερδων.δων.δων.δων. Per la chiusura dell’hemiepes maschile con -µερδωνcfr. v. 82
µηδ τις -µερδων vρχους, < )ς mλσεα δνδρων, dove il sostantivo χορ/ς è
sostituito dal sinonimo vρχος, e Maced. A. P. 11, 63, 2 )λπσιν-µερδωνNψατε
τ$νπενην e Opp. C. 1, 127 καCβ/τρυς-µερδωνθλβων)πιλOνιαχαρει.
))))λαιλαιλαιλαιOOOOεντεςεντεςεντεςεντεςmmmmρουραι.ρουραι.ρουραι.ρουραι. Fiorillo 1801, 167, annota «)λαιOεντες pro )λαιεσσαι
dixit.Sic Homerus Od. α´, 246. jλOεντιΖακνθ7, pro a jλησση». L’aggettivo
)λαιOεις è attestato per la prima volta in Soph. fr. 457 Radt νηδMς...)λαιεσσα,
dove significa «oily» (LSJ, s. v.), ed è ripreso in età ellenistica da Nic. Ther. 676
Ασαιδ0 =γχλοαφλοι'ν )λαιOεντακρ/τωνος, con il significato di «of the olive-
tree» (LSJ, s. v.). Qui )λαιOεις qualifica il sostantivo mρουρα al plurale e assume
l’accezione di «planted with olives» (LSJ, s. v.). Per la collocazione di mρουραιin
clausola di esametro cfr. Il. 14, 122; 23, 599; Hes. Op. 461; Ap. Rh. 1, 451; 4,
271, Arat. 1, 150, 868, 902, 1050; Opp. C. 1, 464; 2, 150; D. P. 950.
v. 51. ο ο ο ο µ<ι>νµ<ι>νµ<ι>νµ<ι>ν τιµτιµτιµτιµOOOOσειε θεσειε θεσειε θεσειε θεO,O,O,O, βασβασβασβασλεια γλεια γλεια γλεια γυναικυναικυναικυναικν.ν.ν.ν. La stele presenta la
lezione µOν corretta in µιν per ovvi motivi metrici. Per l’uso dell’ottativo senza mν
Kühner-Gerth 1904, II, 225, annotano: «Demnach ist der Optativ (ohne mν) in
Hauptsätzen zunächst als optativus potentialis der Ausdruck des bloss
Vorgestellten, der subjektiven Annahme, wobei das Verhältnis dieser Annahme
zur Wirklichkeit außer Betracht bleibt». Wilamowitz 1928, 16, precisa: «mν beim
Optativ fortgelassen, seit Arat in der Poesie unbestreitbar».
L’intero verso fa riferimento alla nuova Demetra, cioè a Faustina, qui
indicata come θεO, forma ionica non attestata nell’epica omerica, bensì in quella
ellenistica di Ap. Rh. 3, 252 )πε Nα θε4ς α,τ$ πλεν ρOτειρα; 549 ε )τε'ν
Φινες γε θεo )νCΚπριδι ν/στον / πφραδεν =σσεσθαι; 4, 241 Ο\ δ0, νµου
λαιψηρ9θε4ςβουλoσινντος ³Ηρης;cfr. anche Rhian. fr. 67, 5 Powell e Nic.
Ther. 16 e 487. Al sostantivo θεO si accompagna, a fine di esametro, l’epiteto
βασλειαγυναικν, come in Od. 11, 258, dove qualifica Tiro.
v. 52.µφµφµφµφπολονγερπολονγερπολονγερπολονγερωνωνωνων====µεναικαµεναικαµεναικαµεναικαCdCdCdCdππππονανονανονανονανµφηνµφηνµφηνµφην. In modo simile Ecate
viene presentata come ministra di Persefone in H. Hom. Cer. 440 )κ το3 ο\
πρ/πολος καC dπων =πλετ0 mνασσα; ved. Fiorillo 1801, 168. Per µφπολος
84
nell’accezione di «prist, sacrist» (LSJ., s. v., 3)cfr.Eur. IT 1114; fr. 992 Kannicht
µφπολος ρεος νιρου; Antip. Sid. A. P. 7, 425, γλα3ξ ªδε γλαυκ;ς
Παλλδοςµφπολον e IGUR III 1356, 1 τ$ν∆ι'ςµφπολ/νµεΧελιδ/να; ved.
anche Fiorillo 1801, 168-9.
Per quanto riguarda dπων, in Omero e nei tragici è un sostantivo che
designa il compagno o lo scudiero. Qui invece dπωνè usato come aggettivo nel
significato di «following» (LSJ, s. v.). Si tratta di un uso tardo attestato per la
prima volta in Opp. H. 5, 489 τοpγ9ρdπονινOχετοNιπp.
53.οοοο,,,,δδδδ((((γγγγ9999ρρρρ||||φιφιφιφιγγγγνειαννειαννειαννειαν ))))θρονοςθρονοςθρονοςθρονος||||οχοχοχοχαιρααιρααιρααιρα. Nei versi 53-4 il poeta offre
due esempi di ancelle che dopo la morte ottennero il privilegio di diventare
sacerdotesse delle loro dee protettrici. L’anafora della negazioneο,δ(vv. 53-5)
stabilisce un parallelo tra il comportamento delle dee e quello che verrà assunto da
Faustina nei confronti di Regilla.
Il primo esempio mitico riguarda Ifigenia, salvata dalla dea Artemide in
Aulide, prima che si compisse il sacrificio della vergine per placare l’ira della dea;
su Ifigenia e i culti religiosi connessi ved. Krauskopf 1990, Larson 1995 e
Johnston 1998. Franzius 1853, 925, è del parere che qui Marcello non si riferisca
al sacerdozio di Ifigenia in Tauro, poiché in quel periodo la fanciulla era ancora
una mortale, ma a quello in Brauro, dove Ifigenia aveva un culto accanto a quello
di Artemide. La dea non viene qui chiamata per nome. La sua identità viene
invece rivelata dagli epiteti )θρονος e |οχαιρα. Il primo è insolito per
Artemide, visto che in Omero è sempre riferito ad Aurora, mentre in Pind. I. 2, 5
qualifica la dea Afrodite e in P. 9, 60 e Bacch. 15, 3 le Ore. La seconda qualifica
invece è un epiteto poetico di Artemide che illustra l’amore della dea per la
caccia, ed è attestato sin dai poemi epici in clausola di esametro; ved. Wernicke
1895, 1345.
54.οοοο,,,,δδδδ0n0n0n0nρσηνγοργρσηνγοργρσηνγοργρσηνγοργπιςπιςπιςπιςπητπητπητπητµησενµησενµησενµησενSSSSθθθθOOOOνη.νη.νη.νη. La seconda eroina che dopo
la morte venne onorata con un sacerdozio divino è Erse; ved. Sittig 1912, Kron
1981 e Waldner 1998. Franzius 1853, 925, ricorda che nessun’altra fonte
menziona Erse come sacerdotessa di Atena «sed hanc quoque pro eroina cultam
esse suspicari licet inde, quod eius soror Aglaurus fanum habebat». Seeliger 1886-
90, 2590, aggiunge che Erse, insieme alle sorelle Aglauro e Pandroso, veniva
85
venerata ad Atene come ninfa della fertilità; ved. Baudy 1992. Larson 1995, 39,
cita una processione in suo onore, chiamata Erseforia, confusa con l’Arreforia;
ved. Nilsson 1955 I2, 441-2 e Burkert 1966, 6.
La figura di Erse è legata al mito delle tre figlie di Cecrope che violarono il
divieto della dea Atena di non aprire la cesta in cui giaceva Erittonio neonato,
affidato alle loro cure. Secondo Apollod. 3, 14, 6, tutte e tre le fanciulle vennero
uccise dai serpenti che avvolgevano il bambino, mentre secondo Eur. Ion 24-6,
273-5 e Paus. 1, 18, 2, esse, rese folli dalla dea adirata, si diedero la morte
gettandosi dall’alto dell’acropoli. Il mito conosceva anche altre versioni secondo
le quali soltanto una delle figlie di Cecrope, o Pandroso (Paus. 1, 18, 2 e Apollod.
3, 14, 6) o Erse (Antig. Caryst. 12, 2) sarebbe rimasta fedele alla promessa fatta
alla dea.
Il poeta, che al v. 33 aveva già presentato Erse come madre di Cerice,
facendosi portavoce di Erode Attico, esponente della famiglia dei Cerici,
privilegia la versione del mito che libera Erse dalla hybris nei confronti di Atena e
rivendica in questo modo alla fanciulla l’onore divino dopo la morte come premio
per la sua fedeltà. In questo modo Marcello contribuisce a conferire maggiore
prestigio alla discendenza mitica del ricco ateniese; cfr. anche commento al v. 32.
Il nome della dea Atena viene accompagnato dall’epiteto γοργπις
«terribilis aspectu» (TLG, s. v.); così viene qualificata anche in Soph. Aj. 450 e fr.
760, 2 Radt.
55-6. ο ο ο ο,,,,δδδδ µινµινµινµιν ----ρρρρssssννννppppσι παλαισι παλαισι παλαισι παλαιooooσιν µεδσιν µεδσιν µεδσιν µεδουσα / Καουσα / Καουσα / Καουσα / Κασαροςσαροςσαροςσαρος φθφθφθφθµοιοµοιοµοιοµοιο
παρπαρπαρπαρ////ψεταιψεταιψεταιψεται vvvvµπνια µµπνια µµπνια µµπνια µOOOOτηρτηρτηρτηρ. Per la forma -ρsνpσι ved. commento a v. 8. A
Wilamowitz 1928, 17, si deve l’identificazione della madre dell’imperatore
(Κασαρος … µOτηρ) con Faustina e non con Domizia Calvilla, come avevano
voluto i suoi predecessori. Faustina maggiore viene presentata attraverso gli
epitetiµεδουσα e vµπνια. In Omero la forma maschile µεδων viene impiegata
come epiteto di Zeus nella formula Ζε3πτερcδηθενµεδωνκδιστεµγιστε,
attestata, p. es., in Il. 3, 276; ved. Führer 1993a, s. v. Il femminile µεδουσα è una
qualifica di molte divinità, quali Afrodite in H. Hom. Ven. 10, 4, Mnemosyne in
Hes. Th. 54, e Atena in Ar. Eq. 585, 763 e Plu. Them. 10. La costruzione con il
dativo (-ρsνpσι παλαιoσιν) è già attestata in Pind. O. 7, 87-8 Ζε3 πτερ,
86
ντοισινSταβυρου /µεδων e in Maced. A. P. 6, 30, 7 µεδωνκαCχθονCκαC
πελγει.
Per quanto riguarda la definizione di Faustina come vµπνια, questo epiteto
ne mette in risalto il ruolo di nuova Demetra perché vµπνια è un epiteto di
Demetra in Call. Aet. fr. 1, 10 Pfeiffer, ripreso anche da Nonn. 11, 213. Hesych ο
828, glossa vµπνια come καρποφ/ρος e s. v. vµπνιοςλειµν (ο 831) aggiunge:
τνπυρνωνκαC∆ηµητρωνκαρπν·)πεC¥µπνια-∆ηµOτηρ.
Il v. 56 si caratterizza per il riferimento all’imperatore in carica Marco
Aurelio, cui viene riferito l’epiteto omerico gφθιµος«strong, mighty» (Beck 1989,
s. v.), che Marcello riprende al v. 98 per caratterizzare la forza con cui Triope
devastò il maggese di Demetra a Cnido (ved. infra).
57.))))ςχορςχορςχορςχορ''''νννν))))ρχοµρχοµρχοµρχοµνηνπροτερνηνπροτερνηνπροτερνηνπροτερωνωνωνων----µιθεµιθεµιθεµιθεωνωνωνων. Il v. 57 è una metafora della
trasformazione in eroina di Regilla, che viene ritratta mentre giunge nel coro delle
antiche semidee. Per l’espressione προτερων-µιθεωνcfr. Orph. Lith. 70 λετο
δ(προτροιςπεπονηµνον-µιθοισιν/=ργονe 619-20.
58.iiiiλλλλχενχενχενχεν ^λυσλυσλυσλυσppppσιχοροστασσιχοροστασσιχοροστασσιχοροστασppppσινσινσινσινννννσσειν.σσειν.σσειν.σσειν.Mentre Leopardi (ap. Flora
1940, 554) riferiva la frase relativa a vµπνιαµOτηρ del v. 55, Wilamowitz 1928,
17, esclude tale interpretazione «denn in dem Spiele mit den Götternamen wird
keine Konsequenz verlangt […]. Regilla als Chorführerin der seligen Frauen soll
in unserer Phantasie haften und ihre Apotheose krönen». Più prudentemente
Skenteri 2005, 43, definisce la sorte assegnata a Regilla non un’apoteosi ma
«something in between the fate of ordinary mortals and the trasformation into an
actual god». La studiosa è dell’opinione che questi versi siano un chiaro esempio
dell’abilità di Marcello nel creare ambiguità. «It is probable that the poet
intentionally introduces an ambiguity here, so that the readers can believe what
they want, and the same time both Herodes and the Emperor can be satisfied with
the result» (Skenteri 2005, 38).
χοροστασχοροστασχοροστασχοροστασppppσινσινσινσιν. Il termine viene definito da Bulloch 1985, 174 «a rare noun,
apparently a Hellenistic coinage formed from the common expression χορ'ν
\στανννναι». Si tratta infatti di un termine poetico attestato, p. es., in Hermesian. 7,
58 Powell, Call. Lav. Pall. 66, Antip. Sid. A. P. 9, 603, 2, D. P. 482, Nonn. D. 46,
165 e Leont. A. P. 16, 284, 2.
87
ννννσσεινσσεινσσεινσσειν. La posizione dell’infinito presente νσσειν in clausola è
tradizionale della lingua omerica; cfr. Il. 1, 288; 2, 108; 6, 478; Od. 11, 491.
v. 59. αααα,,,,ττττbbbbττττ0S0S0S0Sλκµ<λκµ<λκµ<λκµ<O>O>O>O>νητεµνητεµνητεµνητεµκαιρκαιρκαιρκαιρτεΚαδµειτεΚαδµειτεΚαδµειτεΚαδµεινη.νη.νη.νη.Con questo verso si
conclude IG XIV 1389 A. La collocazione nelle isole dei beati di Alcmena, sposa
di Anfitrione e madre di Eracle (Od. 11, 266-8), ricorda una versione del mito
presente in Pherecyd. FgrHist F 84, Plu. Rom. 28, 12 e Paus. 9, 16, 7, secondo cui
la donna, dopo la morte fu portata da Ermes sulle isole dei beati, dove fu data in
sposa a Radamente; per le varianti del mito ved. Wernike 1894b; riguardo alla
figura mitica di Alcmena ved. Trendall 1981, Larson 1995, 91-3 e Harder 1996.
Nessun precedente ha invece la presentazione di Semele, madre del dio
Dioniso (Il. 14, 325), sulle isole dei beati, poiché alla sua morte Semele venne
condotta dal figlio sull’Olimpo, dove divenne immortale; ved. Keune 1923,
Larson 1995, 93-6 e Heinze 2001.
Qui Semele viene indicata attraverso il patronimico Καδµεινη. Tale forma
è usata solo da Marcello e deriva dall’omerico Καδµεινες, corrispondente a
Καδµε*οι,con cui sono indicati gli abitanti della città di Tebe; cfr. Steiner 1989, s.
v.Καδµεινες. Del modello omerico il poeta conserva la posizione del sostantivo
in clausola, ottenendo la preziosità metrica di concludere il componimento con un
esametro spondaico. Alla figlia di Cadmo è anche riferito l’aggettivo µκαιρα,
epiteto comune a molte divinità; ved. Kruse 1928, 615-6, il quale ricorda anche
che µκαρ era un epiteto cultuale di Dioniso, cui veniva tributato un culto a
Maratona e a Lesbo.
* * *
La seconda iscrizione, a differenza della prima, non contiene il nome del
suo autore; tuttavia è molto probabile che sia stata scritta da Marcello stesso, il
quale nei due testi dà prova della sua abilità nel creare con un linguaggio poetico
tradizionale dei componimenti del tutto nuovi.
IG 1389 B si apre con un’invocazione alla dea Atena e alla dea Nemesi di
Ramnunte, perché proteggano e frequentino il borgo del Triopio, e si conclude
con una richiesta di punizione per chiunque abbia intenzione di apportare delle
88
modifiche al terreno di proprietà di Erode. Skenteri 2005, 51, interpreta i primi
versi di IG XIV 1389 B come prova dell’introduzione a Roma dei due culti
ateniesi di Atena e di Nemesi di Ramnunte a opera di Erode Attico.
v. 60. ππππ////τνιτνιτνιτνι0S0S0S0Sθηνθηνθηνθηνωνωνωνων))))πιπιπιπιOOOOρανεΤριτογρανεΤριτογρανεΤριτογρανεΤριτογνειανειανειανεια. La dea Atena viene invocata
mediante i suoi epiteti tradizionali, quali π/τνια e Τριτογνεια. Per l’apertura di
una preghiera rivolta ad Atena, apostrofata come π/τνια e signora della città cfr.
Il. 6, 305 π/τνι0Sθηναη)ρυσπτολιδ*αθεων.
Τριτογνειαviene già adoperato nei poemi omerici come epiclesi della dea.
In Il. 4, 515 e Od. 3, 378 ricorre anche in clausola di esametro come in questo
verso. Per le occorrenze poetiche di Τριτογνεια ved. TLG, s. v.; per la sua
interpretazione Kruse 1939.
Mediante il nesso Sθηνων)πιOρανε Marcello celebra la signoria della dea
sulla città di Atene. L’aggettivo )πιOρανος significa «ruling, governing» (LSJ, s.
v.) ed è qui costruito con il genitivo oggettivoSθηνων. Come epiteto della dea
Artemide invece viene impiegato da Nonn. D. 2, 682-3 )πεC Νοτην χθ/να
ΚηφεMς / νσσατο ΚηφOνων )πιOρανος ΑθιοπOων. Atena viene citata come
protettrice della città di Atene anche in un altro componimento in onore di Erode
Attico, cioè IG II2 3606, 9 = 190, 9, Ameling (πολιOοχος), in cui la dea apre il
corteo che si avvia verso Eleusi per dare il benvenuto a Erode che ritorna in patria
dopo un lungo periodo di assenza; cfr. commento ad. loc.
v. 61. ```` ττττ0 )0 )0 )0 )ππππC =C =C =C =ργα βροτργα βροτργα βροτργα βροτνννν ρρρρ]]]]ςςςς !!!!αµνοαµνοαµνοαµνοσιας Οσιας Οσιας Οσιας ΟEEEEπιπιπιπι. Su Nemesi ved.
Herter 1935, Hornum 1993 e Stenger 2000. Per il collegamento di Erode con i
culti della dea Nemesi di Ramnunte cfr. IG II2 3969 = 173 Ameling [ψηφσµατι
τ4ςβουλ4ς][τ4ς)ξSρεουπγουκαC][τ4ς]βουλ4ς[τνπεντακ][ο]σωνκαCτο3
δOµ[ου το3 Sθηναων] ρδης Βιβο[λλι][ο]ν Πολυδευκωνα \ππ[α]
[!]ωµαων θρψας καC φι[λ]Oσας Uς υ\'ν τo Νεµ[σει], µετ0 α,το3 =θυεν,
ε,µ[ε]ν4καCµνηστοντ'ν[τρ/]φιµον.
La Nemesi di Ramnunte viene qui chiamata con il nome Upi che in Call.
Dian. 204 e 240 identifica la dea Artemide. La forma dorica ¶πις invece ricorre
in Plat. Ax. 371a e Alex. Aet. fr. 4, 5 Powell. «Questa epiclesi della dea è
sicuramente testimoniata soltanto per il culto di Efeso da Macr. Sat. 5, 22, 4»
(Bornmann 1968, 116). In Symon. A. P. 13, 20, 1 e Hdt. 4, 35, 1 ¶πις è invece il
89
nome proprio di una donna; ved. Höfer 1897-1902. Secondo Hornum 1993, 7,
«the use of Oupis as an epithet of Nemesis probably reflected, at most, the
assimilation of two goddesses in the Roman Imperial period, a merging which is
found primarily in the arena and can be seen as stemming less from
Nemesis’origins than from a logical association in a context where both goddesses
are active».
La grafia !αµνοσιας è attestata solo in questo componimento di Marcello
mentre la forma !αµνουσα, quale epiclesi della dea Nemesi, derivata dalla
collocazione del suo tempio nel demo attico di Ramnunte, è presente in Hesych. ρ
100. Cfr. anche Call. Dian. 232 in cui compare la forma !αµνουσς, quale epiteto
di Elena, figlia di Nemesi e Zeus, come viene raccontato in Cypr. fr. 10 West. Sul
culto della dea Nemesi nel demo attico di Ramnunte ved. Herter 1935, 2346-52.
La sfera d’azione di Nemesi è illustrata dalla relativa τ0)πC=ργαβροτνρ]ς,
per la quale Peek 1979, 82, cita a confronto Arch. fr. 177, 2 West2 σMδ0=ργ0)π0
νθρπωνρ;ις. In modo simile viene apostrofata in Orph. H. 61, 2 πανδερκOς,
)σορσαβονθνητνπολυφλων.
v. 62. γε γε γε γετονεςτονεςτονεςτονες γχγχγχγχθυροιθυροιθυροιθυροι !!!!µηςµηςµηςµης XXXXκατοντοπκατοντοπκατοντοπκατοντοπλοιο.λοιο.λοιο.λοιο. Il nesso γετονες
γχθυροι, attestato già in Theogn. fr. 302 West2 γετοστ0γχιθροις, dimostra
secondo Peek 1979, 82, «dass eine in nachhomerischer Epik geprägte Wendung
hier wie dort übernommen ist». Il poeta definisce Roma con l’epiteto
Xκατοντ/πυλος, «ad immensam magnitudinem designandam» (Fiorillo 1801, 55).
Tκατοντ/πυλοςè attestato solo qui ed è formato sul modello di Il. 9, 383 αrθ0
Xκατ/µπυλο εσι, dove si dice che Tebe ha cento porte. La variante grafica
Xκατοντπυλος viene invece usata di nuovo per la città di Tebe in un epigramma
anonimo di A. P. 7, 7, 2 Ενθδεθε*ος±µηρος,ςTλλδαπ;σανmεισε,/ΘOβης
)κγεγαwςτ4ςXκατονταπλου, mentre in Diod. Sic. 17, 75, 1, e Polyb. Hist. 1, 73,
1, è il nome proprio di una città del Nordafrica; per un composto in Xκατοντο- cfr.
SEG 28, 741, 10πυ[γµOν,i]νο,χεδ/σινTκατονταπολ*ται,il quale tramanda un
epigramma funebre proveniente da Creta, databile intorno al II-III sec. d. C.
v. 63. πεπεπεπεοναδοναδοναδοναδ$$$$κακακακαCCCCττττ////νδε,θενδε,θενδε,θενδε,θε,,,,τειµτειµτειµτειµOOOOσατεχσατεχσατεχσατεχρονρονρονρον. Questo verso contiene la
preghiera rivolta alle dee di onorare il territorio del Triopio, di cui il poeta mette
in risalto la fertilità attraverso l’aggettivo πεονα,il quale, insieme all’imperativo
90
τειµOσατε, presenta la trascrizione di iota come ει, dovuta a problemi di iotacismo
che determina nel lapicida simile errori come al v. 40; ved. Fiorillo 1801, 55. Per
il nesso πεονα…χρον cfr. Hes. Op. 390 ποναχρον.
Per quanto riguarda il duale θε, Cougny 1890, III, nr. 263, lo aveva
corretto inΘεα[]. Invece secondo Wilamowitz 1928, 17, «der Dual archaistisch
gesucht, nicht mißverständlich, weil der Singular θεO lautete, 51».
v. 64. δδδδ4444µον ∆ηµον ∆ηµον ∆ηµον ∆η7777οοοο****ο φιλο φιλο φιλο φιλ////ξεινον Τριξεινον Τριξεινον Τριξεινον Τρι////παοπαοπαοπαο. Per l’accezione di δ4µον
accompagnato dal genitivo (Τρι/παο) ved. commento al v. 49.
Con l’aggettivo ∆η2ος«sacred to Demeter» (LSJ, s. v.) il poeta sottolinea
che il borgo del Triopio è dedicato al culto di Demetra. ∆η2ος compare qui per la
prima volta e successivamente in Nonn. D. 6, 3 ∆ηsης jµναιον )εδνσαντο
θεανης, dove indica la figlia di Demetra.
v. 65. τ τ τ τ////φρα κε καφρα κε καφρα κε καφρα κε καCCCC ΤριΤριΤριΤρι////πειαιπειαιπειαιπειαι ))))νννν θανθανθανθαντοιςτοιςτοιςτοις λλλλγησθονʖγησθονʖγησθονʖγησθονʖ.... τ/φρα ha qui il
valore di vφρα. Nella lingua omerica τ/φρα è un avverbio di tempo «up to or
during that time, so lang» (LSJ, s. v. τ/φρα) ed è correlato alla congiunzione
vφρα come, per esempio, in Il. 1, 509 τ/φραδ0)πCΤρεσσιτθεικρτοςvφρ0~ν
Sχαιο. La relazione più comune è vφρα … τ/φρα… in responsione ad apertura
di esametro (Ebeling 1885, I, s. v. vφρα). Per quest’uso di τ/φραequivalente a
vφρα Peek 1979, 82, cita l’esempio di Antim. fr. 3, 2 Matthews, al quale è
possibile aggiungere anche Ap. Rh. 3, 807 e 4, 1487, Antiph. A. P. 9, 242,
Phaedim. A. P. 13, 22 e Orph. Arg. 939.
Per quanto riguarda l’aggettivo τρι/πειος, che qualifica le due divinità, esso
è attestato solo in questo componimento dove viene attribuito anche al v. 98
all’Erinni del territorio; ved. Allen-Halliday-Sikes 1904, 93, a proposito di H.
Hom. Ap. 211 <ªµαΦ/ρβαντιΤριοπ7γνος.
Il verbo λγησθον, congiuntivo aoristo duale, è impiegato nel significato di
«count among» (LSJ, s. v. λγω, III). Wilamowitz 1928, 17, lo spiega come
sinonimo di καταριθµε*ν. In questo modo viene impiegato nella lirica corale da
Alcm. fr. 1, 2 Page ο,κ )γw]ν Λκαισον )ν καµο3σιν λγω e Pind. O. 2, 78
Πηλες τε καC Κδ΄µος )ν το*σιν λγονται, «was man geradezu als Vorbild
betrachten möchte» (Wilamowitz 1928, 18).
91
vv. 66-7. UUUUςςςς RRRRτε κατε κατε κατε καC !C !C !C !αµνοαµνοαµνοαµνο3333ντα καντα καντα καντα καCCCC εεεε,,,,ρυχρυχρυχρυχ////ρουςρουςρουςρους ))))ςςςς SSSSθθθθOOOOνας /νας /νας /νας / YYYYλθετελθετελθετελθετε
δδδδµαταπατρµαταπατρµαταπατρµαταπατρ''''ςςςς ))))ριγδοριγδοριγδοριγδοποιολιποποιολιποποιολιποποιολιπο3333σαι.σαι.σαι.σαι.Per questa preghiera rivolta alle due dee
perché presto giungano nella nuova dimora, dopo aver lasciato le case paterne,
Fiorillo 1801, 60, cita Sapph. fr. 1, 7-8 Voigt πτρο[ς δ( δ/µον λποισα /
[χ]ρσιονIλθ[ες. Skenteri 2005, 54, aggiunge che è possibile classificare questo
componimento come un inno cletico conformemente alla definizione che nel III d.
C. ne offre Men. Rh. 333, 8-10 κλητικοCµ(νοEνπο*οεσινο\πολλοC τν τε
παρ9 τo Σαπφο* < Sνακροντι < το*ς mλλοις µελικο*ς, κλ4σιν =χοντες πολλν
θεν. Le dee invocate sono infatti due; a loro vengono riferiti gli epiteti più cari,
accompagnati dalla menzione dei luoghi di culto più importanti quali Ramnunte e
Atene. Nei vv. 68-70 Marcello descrive con cura il territorio del Triopio, nuova
sede di culto delle dee. Per la descrizione di una dea che abbandona i luoghi di
culto a lei più cari cfr. anche Alc. fr. 55 Page Κπρον\µερτ9νλιπο*σακαCΠφον
περιρρταν.
εεεε,,,,ρυχρυχρυχρυχ////ρους.ρους.ρους.ρους. Si tratta di un epiteto ornamentale che qualifica il nome di
continenti come Asia (Pind. O. 7, 33), di nazioni come Grecia (Il. 9, 478, FD III,
1, 51, IG II2 3632, 5) e Libia (Pind. P. 4, 74-5), di regioni quali Iperea (Od. 6, 4) e
di città come Micalesso (Il. 2, 498), Sparta (Pind. N. 10, 97; Hdt. 7, 220), Argo
(IOympia V 630) e Siracusa (Plat. A. P. 7, 99, 5). Qui Ε,ρχορος viene riferito ad
Atene come anche in IG II2 5220.
L’uso della congiunzione temporale Rτε, preceduta da Uς, è caratteristico
della lingua omerica per introdurre una similitudine; ved. LSJ, s. v. Rτε, II 1.
))))ριγδοριγδοριγδοριγδοποιο.ποιο.ποιο.ποιο. Si tratta di un epiteto tradizionale di Zeus, attestato sin dai
poemi omerici; ved. Bruchmann, 1893 s. v., Schwabl 1972 s. v. e Nordheider
1987, s. v. Per la posizione di )ριγδοποιο cfr. Il. 5, 672 <προτρω∆ι'ςυ\'ν
)ριγδοποιοδικοιe12, 235 ςκλεαιΖην'ςµ(ν)ριγδοποιολαθσθαι.
68. ¬¬¬¬ς τς τς τς τOOOOνδενδενδενδε NNNNεσθε πολυστεσθε πολυστεσθε πολυστεσθε πολυστφυλον κατφυλον κατφυλον κατφυλον κατ0 0 0 0 λωλωλωλω$$$$νννν. L’avverbio ¬ς «pro
οDτως» (Fiorillo 1801, 59) introduce, come nei poemi omerici, la proposizione
principale che completa la similitudine. Il verbo Nοµαι significa letteralmente
«move with speed» (LSJ, s. v.); cfr. Il. 18, 411 = 20, 37 jπ'δ(κν4µαιNοντο
ραιαι, 417-8 jπ' δ0 µφπολοι Nοντο mνακτι χρσειαι ζωoσι νεOνισιν
εοικυ*αι, 23, 367 χα*ταιδ0)ρροντοµετ9πνοιoςνµοιο. Franzius 1853, 920,
92
ricorda Hesych. ρ 560 Nεσθαι· σπεδειν. ρµ;ν. Wilamowitz 1928, 18,
aggiunge che «Σ 417 gibt der Paraphrast Nοντοmit)ξρµουνwieder. Marcellus
meint σπεδετε».
Il sintagma πολυστφυλονκατ0λωOν descrive il terreno del Triopio come
un rigoglioso vigneto. Per κατ0λωOν in clausola esametrica cfr. Il. 13, 588 e Od.
24, 336. Πολυστφυλος è un epiteto omerico riferito a città; Fiorillo 1801, 61,
ricorda Il. 2, 507 πολυστφυλονρνην,cui va aggiunto v. 537 πολυστφυλ/νθ0
σταιαν, dove l’epiteto πολυστφυλοςoccupa la stessa posizione metrica che ha
in questo componimento.
vv. 69-70. λλλλOOOOιιιι τεσταχτεσταχτεσταχτεσταχωνκαωνκαωνκαωνκαCCCCδδδδνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυ////ενταενταενταεντα/ λειµλειµλειµλειµνωντεκνωντεκνωντεκνωντεκ////µαςµαςµαςµας
xxxxπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφωνωνωνων ))))φφφφπουσαιπουσαιπουσαιπουσαι. Il borgo del Triopio assume in questi versi le
caratteristiche di un locus amoenus come già in IG XIV 1389 A, 49-50. Cfr. anche
vv. 82-4.
λλλλOOOOιιιι τεσταχτεσταχτεσταχτεσταχων.ων.ων.ων.Wilamowitz 1928, 18, annota: «λOιασταχων befremdet
auf den ersten Blick; man erwartet eher στχυαςλOιων. Aber der Genitiv ist nicht
partitiv, sondern entspricht genau unserem Ährenfelde, das zum Kompositum
geworden ist».
δδδδνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυ////εντα.εντα.εντα.εντα.L’espressione indica le viti cariche d’uva. «Possible δ.
may havebeen stretched to include mµπελοι(cf. η 120 ff., ω340 f.), if they were
large (Richter 131) or grown up trees (Fellner 71, on η 120)» (Beck 1982, s. v.
δνδρεον). Per quanto riguarda l’aggettivo βοτρυ/εις «full of grapes» (LSJ, s. v.),
esso è attestato per la prima volta nell’elegia in Ion fr. 26, 4 West2 )ξ ο8
βοτρυ/εσσ0ον9ςjπ'χθονωνed è ripreso in età ellenistica in senso metaforico
da Ap. Rh. 2, 677 πλοχµοC βοτρυ/εντες )περροντο κι/ντι, per descrivere i
riccioli dei capelli del dio Apollo, e da Mel. A. P. 9, 363, 12 mνθεϊβοτρυ/εντος
)ρεψµενοιτρχακισσο3.
λειµλειµλειµλειµνων τε κνων τε κνων τε κνων τε κ////µαςµαςµαςµας xxxxπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφων.ων.ων.ων. Κ/µη ha per la prima volta un
significato metaforico connesso con la vegetazione in Od. 23, 195 κ/µην
τανυφλλου)λαης, in cui indica il fogliame dell’ulivo; ved. O’ Sullivan 1991, s.
v. κ/µη. Per l’espressione λειµνωνκ/µηFiorillo 181, 63, ricorda Eust. Comm.
ad Il. 1, 478 κ/µαςδ(λγεινδνδρωντ9φλλα,[RθενκαCκοµOτηςλειµνπαρ9
τo τραγ7δ]], καC κοµ;ν τ' )ν τοτοις θλλειν,e cita come esempi Eur. Hipp.
93
210-1 κοµOτpλειµνιeCall. Dian. 41 vροςκεκοµηµνονDλp mentre Peek 1979,
82, porta a confronto Babr. 88, 3 ληουκ/µp e 3, 4 κ/µην…αγλου, in cui il
sostantivo, come qui, è accompagnato da genitivi che designano la vegetazione
dei campi.
Al genitivo λειµνων il poeta riferisce l’aggettivo xπαλοτρεφων per
descrivere come rigogliosi i campi del Triopio. Prima di Marcello, l’aggettivo è
usato in Il. 21, 363 µελδ/µενοςxπαλοτρεφος σιλοιο, dove designa un porco
grasso, ben nutrito; ved. Bornitz 1969, s. v. xπαλοτρεφOς. Peek 1979, 82 esclude
però la possibilità che Marcello derivi xπαλοτρεφOς da questo passo dell’Odissea,
poiché i due contesti sono molto diversi. «Mag es für uns auch anderswo nicht
eher nachweisbar sein» (Peek 1979, 82).
v. 71. µµιµµιµµιµµι γγγγ9999ρρρρρρρρδηςδηςδηςδης \\\\ερερερερ$$$$νννννννν9999 γαγαγαγα****αναναναν ¨ηκεηκεηκεηκε....La dedica del terreno alle
due dee spiega l’apostrofe iniziale ad Atena e a Nemesi perché si rechino presso il
territorio del Triopio. L’esametro si apre con il dativo eolico-epico µµι in
posizione enfatica, retto dall’aoristo ionico con tmesi ν9…¨ηκε. Il verboνηµι
significa qui «“überlassen” in Sinne von “weihen”» (Peek 1979, 83). Questo
significato è stato dedotto da Kaibel 1878, 470, dal confronto con Call. Cer. 46
θεο*σιν νειµνα δνδρεα. Cfr. anche Soph. Aj. 1214 ν3ν δ0 ο8τος νε*ται
στυγερ2 δαµονι e Plat. Leg. 761c 3-4 mλσος … πειµνον. Questi esempi
testimoniano come il verbo νηµι venga impiegato con il significato di dedicare
solo nella forma passiva, così che l’uso fattone da Marcello rappresenta un
unicum; ved. Peek 1979, 83. Non esistono inoltre esempi di tmesi di questo verbo.
v. 72.ττττ$$$$ν,ν,ν,ν,RRRRσσηνπερσσηνπερσσηνπερσσηνπερCCCCτετετετε****χοςχοςχοςχος))))τροχοντροχοντροχοντροχον))))στεφστεφστεφστεφνωται.νωται.νωται.νωται. Il v. 72 è modellato su
Od. 10, 195 ν4σον, τ$ν πρι π/ντος περιτος )στεφνωται e presenta due
pronomi relativi contigui, a proposito dei quali Peek 1979, 83, annota: «dem
merwürdigen τ$νRσσην entspricht im medizinischen Lehrgedicht des Marcellus
(E. Heitsch, Dichterfragmente d. röm. Kaiserzeit II Seite 18) der Versanfang τν
Uποσων» e Skenteri 2005, 50: «τ$νRσσηνexemplifies a usage that becomes more
frequent in Greek of the Roman period, the placing of the definite article before a
relative pronoun. Rσσην refers to the antecedent γα*αν and τ$ν is seemingly
superfluous». Peek 1979 e Skenteri 2005 cercano di spiegare τ$νRσσηνcome un
unico nesso. Se invece si pone una virgola tra i due pronomi, τOνdiventa soggetto
94
in accusativo dell’infinito =µµεναι del verso successivo mentre Rσσην dipende
dall’indicativo )στεφνωται e introduce una proposizione relativa che serve a
specificare l’entità del terreno offerto alle dee. Del Triopio romano il poeta non
enfatizza tanto la grandezza, come farebbe pensare il modello odissiaco, quanto la
sua delimitazione ad opera di un muro circolare che ne protegga l’inviolabilità. La
forma del muro è messa in evidenza dall’aggettivo )τροχοςche ha il significato
di rotondo come in Eur. Ion. 19 ε,τρ/χ7κκλ7, in cui il dio Ermes menziona la
cesta in cui Ione fu esposto dalla madre con il proposito di farlo morire. In Omero
)τροχοςè invece usato come epiteto di ªρµα (Il. 8, 438 e 12, 58) e mµαξα(Il.
24, 150, 179, 189, 266, 711 e Od. 6, 72) nelsignificato di «well wheeled, with
good wheels» (O’ Sullivan 1987, s. v. )τροχον).
vv. 73-4. νδρνδρνδρνδρσινσινσινσινddddψιγψιγψιγψιγ////νοισιννοισιννοισιννοισινκινκινκινκινOOOOτηνκατηνκατηνκατηνκαCmCmCmCmσυλον/συλον/συλον/συλον/====µµεναι.µµεναι.µµεναι.µµεναι. La dedica
del territorio romano ad Atena e a Nemesi è finalizzata a salvaguardarne
l’inviolabilità nel tempo. L’infinito =µµεναι non è mai attestato in clausola di
esametro nella lingua omerica.
Per l’espressione νδρσινdψιγ/νοισιν, che indica i posteri, cfr. Il. 3, 353 e
7, 87 dψιγ/νωννθρπων. Il sostantivo νOρ nel significato generale di uomo è
già largamente adoperato da Omero; ved. Latacz 1967, s. v. νOρ II 1, d.
Gli aggettivi κινOτηνemσυλονsi riferiscono, attraverso il relativo τOν (v.
72),a \ερ$ν…γα*αν del v. 71. Il femminile di κνητος «unmoved, not moving,
motionless» (LSJ; s. v.) occorre per la prima volta in Pind. O. 9, 33ο,δ0SÅδας
κινOταν =χε Nβδον, in cui viene adoperata la forma dorica in -αν; ved.
Wilamowitz 1928, 18. Sκνητος è poi epiteto di Atena e Nemesi al v. 80 κνητοι
δ(θαιναι, dove è usato come aggettivo a due uscite.
Per la definizione di un territorio come mσυλος cfr. Eur. Med. 387 τςγ4ν
mσυλονκαCδ/µους)χεγγους.
vv. 74-5. iiii δδδδ0 )0 )0 )0 )ππππ οοοο\ )\ )\ )\ )ξξξξ θανθανθανθαντοιο καρτοιο καρτοιο καρτοιο καρOOOOνου / σµερδαλνου / σµερδαλνου / σµερδαλνου / σµερδαλον σον σον σον σσασα λσασα λσασα λσασα λ////φονφονφονφον
κατκατκατκατνευσεννευσεννευσεννευσενSSSSθθθθOOOOνηνηνηνη. La pietra presenta la forma )πε al posto di )π, restaurata da
tutti gli editori ad eccezione di Visconti che «legendum existimat )πεC, adtulitque
similes locos ex Homero, in quibus )πεC repetitum est. Sic Iliad αɓ 112 […] et v.
153» (Fiorillo 1801, 64). Per Skenteri 2005, 50 «)πis not a preposition governing
ο\ but a vebal prefix, separated by tmesis from the main verbκατνευσεν on the
95
next line. This is slightly abnormal, since the main verb contains another prefix
and no )πικατανεω is recorded in lexica». Il pronome ο\ è un dativo
indipendente con valore di dativus commode; ved. Smyth 1956, 1481, b.
Questi versi, come già nota Peek 1979, 83, sono un’imitazione della scena
omerica di Il. 1, 528-30 Ç καC κυανpσιν )π0 dφρσι νε3σε Κρονων· /
µβρ/σιαιδ0mραχα*ται)περρσαντοmνακτος/κρατ'ςπ0θαντοιο·µγανδ0
)λλιξεν ¥λυµπον. Qui Marcello descrive i movimenti del cimiero della dea
Atena nell’atto di accettare il dono del Triopio. Questa narrazione, dal tono epico,
racchiusa tra la preghiera iniziale ad Atena e a Nemesi (vv. 60-73), e gli
ammonimenti rivolti ai vicini del Triopio (76-98) risulta secondo Peek 1979, 83,
sorprendente perché esula dal contesto generale dell’epigramma e «durchbricht
die Illusion» (Peek 1979, 83).
Il participio σσασα = σεσασα regge l’accusativo λ/φον, che indica il
cimiero. Questo nesso è attestato in Aesch. Sept. 385 λ/φουςσεει e Ar. Pax 1178
τοMς λ/φους σεων. Il cimiero della dea Atena viene definito σµερδαλον
«gräßlich, grausig, schrecklich, furchterregend» (ved. Führer 2006, s. v.
σµερδαλος), epiteto tradizionale delle diverse parti dell’armatura in Omero, quali
il bronzo che riveste Ettore in Il. 12, 463-4; 13, 191-2 χαλκ2σµερδαλ7, lo scudo
in Il. 20, 259-60 )ν δειν2 σκει … σµερδαλ7 e l’egida in Il. 21, 400-1 κατ0
αγδα…σµερδαλην.
76-7.µµµµOOOOττττ7777νηποιννηποιννηποιννηποιν''''νβνβνβνβλονµλονµλονµλονµαναναναν<¨<¨<¨<¨ναλναλναλναλ;;;;αν/αν/αν/αν/ddddχλχλχλχλσσαι,σσαι,σσαι,σσαι,))))πεπεπεπεCCCCοοοο,,,,ΜοιρΜοιρΜοιρΜοιρωνωνωνων
τρετρετρετρε*<*<*<*<ε>ςε>ςε>ςε>ςννννγκαιγκαιγκαιγκαι. A partire dal v. 76 il testo assume le caratteristiche di una
vera e propria maledizione in versi. La pratica di collocare simili formule presso
le tombe di cari defunti era molto comune, soprattutto in Anatolia; ved. Lattimore
1942, 106-18 e Tobin 1997, 147. Robert 1978, 253, sottolinea come la Frigia
fosse «la domain par excellence des imprécations funéraires». Tobin 1997, 148,
ricorda che poche iscrizioni funebri di maledizione sono state ritrovate in Grecia,
come a Creta, Lesbo, Tebe e Atene, e che il gruppo maggiore di simili documenti
su territorio greco è collegato con la figura di Erode Attico, il quale coniuga
questa tradizione anatolica con quella ateniese delle erme poiché fa incidere
formule di maledizione in prosa sulle erme e le basi delle statue dei suoi familiari
defunti per preservarle da ogni atto di vandalismo; ved. Peek 1942, 141-5, nrr.
96
310-20; Ameling 1983, II, 149, nrr. 143, 160-6, nrr. 147-170; Tobin 1997, 113-
59.
L’espressione µO τ7 νηποιν/ν è ellittica di verbo. Per quanto riguarda il
dativo τ7, forma tragica e attica del pronome indefinito τινι, ma già attestata in
Omero (ved. LSJ, s. v.τις),Wilamowitz 1928, 18, osserva che Marcello «hat die
Schwierigere vorgezogen, wo es ganz einfach war, wenn er µO τινα sagte». Qui
l’espressione µO τ7 νηποιν/ν (scil. εeναι) regge l’infinito aoristo dχλσσαι.
¹χλζειν è un verbo omerico «von der Stelle bewegen, u. zwar m. Mühe» (De
Leeuw 2000, s. v. dχλσσαι) ed è impiegato per la prima volta in Il. 12, 448 π0
οδεοςdχλσσειαν, dove ha come oggetto sottinteso λ;αν (v. 445), lo stesso di
questo epigramma, e in Od. 9, 241 in riferimento al carico di legna sollevato dal
Ciclope. ¹χλζω viene poi recuperato da Call. Del. 4, 33 νρθε δ( πσας / )κ
νετων χλισσε καC εσεκλισε θαλσσp; cfr. anche Ap. Rh. 1, 402; 4, 962,
1678. Fiorillo 1801, 65, nota che «βλος et λ;ας aut λθος coniunguntur
nonnunquam».
οοοο,,,,µοιρµοιρµοιρµοιρωνωνωνωντρετρετρετρε*<*<*<*<ε>ςε>ςε>ςε>ςννννγκαι.γκαι.γκαι.γκαι. L’espressione µοιρων…νγκαι indica
le punizione delle Moire, cui saranno esposti i violatori del luogo sacro; cfr. IG
VII, 447, 10 ¶Μοραςmτρυτοινανκαστ4ρεςmτρακτοι. Questi provvedimenti
delle Moire sono poi presentati mediante litote e catacresi come ο,τρε*<ε>ς,
cioè da temersi. L’aggettivo τρε*ες è integrazione di Salmasius 1619, 10, il quale
lo faceva derivare da τρες. Invece Visconti 1794, 61, lo spiega come un
nominativo plurale di τρεOς così contratto per motivi poetici come )ϋκλε*αςdi Il.
10, 281 e Od. 21, 331 al posto di ε,κλεε*ς. «Il nostro τρεOς è un verbale formato
da τρω come p. e. αδεOς da δω inusitato: qui significa ciò che non incute
terrore nello stesso senso che mφοβος è usato alcuna volta da buoni scrittori per
denotare chi non ha paura» (Visconti 1794, 61). Wilamowitz 1928, 18, mette in
evidenza la peculiare licenza morfologica del plurale τρε*ες al posto del più
regolare τρ4εςe ricorda che l’accusativo τραè già attestato in Euphor. fr. 125
Powell τραδ4µονSθηνν, dove ha il significato di mτρεστονemφοβον come
precisa Hermog. Id. 2, 5, 54-5. A riguardo Magnelli 2002, 113, afferma che è
alquanto difficile sostenere la derivazione dell’aggettivo τρεOς da Euphor. 125 in
Marcello. Tuttavia in tutti e due i testi l’aggettivo appare al lettore dotto «come
97
una rivisitazione di un calembour risalente almeno a Eur. IA 321 τρσας …
Sτρως γεγς e Soph. fr. 887 Radt ΖεMς ν/στον mγοι τ'ν νικ/µαχον καC
παυσανανκαCτρεδαν»(Magnelli 2002, 47).
v. 78. RRRRς κε θες κε θες κε θες κε θενννν XXXXδδδδ<<<<ε>σσινε>σσινε>σσινε>σσιν λιτροσλιτροσλιτροσλιτροσνηννηννηννην ναθναθναθναθOp.Op.Op.Op. Cfr. Il. 22, 100
Πουλυδµας µοι πρτος )λεγχεην ναθOσει. Peek 1979, 83, definisce questo
verso rispetto a quello dell’Iliade una catacresi, poiché «“Schimpf aufladen” ist
von “Frevel zufügen” doch so verschieden». Il dativo Xδ<ε>σσιν compare solo
in questo componimento. Per ¨δος ved. commento a IG XIV 1389 A, 2 = 146 A, 2
Ameling. Per il nesso θενXδ<ε>σσινcfr. Aesch. Pers. 404 θεντεπατρsων
¨δη e Soph. OT 886 δαιµ/νων¨δησβων.
Il termine scelto da Marcello per indicare gli oltraggi da non commettere nei
confronti delle dee è λιτροσνην, sinonimo di λιτρα (ved. LSJ, s. v.
λιτροσνη), attestato per la prima volta in età ellenistica in Ap. Rh. 4, 699 e
successivamente ripreso da Orph. Arg. 1231 e Lith. 62, Tryph. 491 e Quint.
Smyrn. 10, 407. Il sostantivo λιτροσνη ricorre ancora in Agath. A. P. 5, 302, 5 e
7, 574, 10.
v. 79. κλκλκλκλ3333τε περικττε περικττε περικττε περικτονες καονες καονες καονες καCCCC γεγεγεγετονεςτονεςτονεςτονες γροιγροιγροιγροιται.ται.ται.ται. Per la posizione
dell’imperativo aoristo κλ3τε in apertura di esametro «in profaner vertrauter
Anrede als Einl. und best. Wollens od. Befehls» (Markwald 1991, s. v. κλειν,
κλω,2) cfr. Il. 2, 56; 18, 52; Od. 4, 722; 6, 236; 14, 495; 15, 172.
Il v. 79 è un’apostrofe rivolta a coloro che abitano e lavorano nei pressi del
borgo del Triopio. Il lessico scelto per indicare questa categoria di persone è di
derivazione omerica. Περικτονεςè usato da Omero solo al plurale in Il. 18, 212;
19, 104, 109; ved. Markwald 2001, s. v. Hesych. π 1741, 1, annota che
περικτονες è un sinonimo diγετονεςche qui è attributo di γροιται, sostantivo
attestato da Omero solo al nominativo plurale e, ad eccezione di Od. 21, 85,
sempre in clausola. Secondo Peek 1979, 83, l’espressione γετονες γροιται
imita Il. 11, 549 = 15, 272 νρεςγροιταιe Od. 11, 293 βολικοιγροιται.
v. 80. \\\\ερερερερ''''ςοςοςοςο8888τοςτοςτοςτοςχχχχρος.ρος.ρος.ρος. Marcello sottolinea la sacralità del Triopio. Lo
stesso incipit è presente nell’epigramma funebre di Peek 1955, 2061 = IGUR III
1226, databile tra il III e il IV sec. d. C. Peek esclude la possibilità di vedere una
dipendenza tra i due testi e ritiene che «beide Male ist eine Formel aufgegriffen,
98
die auch in Prosa vorkommt» (Peek 1979, 83), come, p. es., in Xen. Anab. 5, 3,
13, 1-2 καCστOλη¨στηκεπαρ9τ'ννα'νγρµµατα=χουσα·ΙΕΡΟΣΟΧΩΡΟΣ
ΤΗΣΑΡΤΕΜΙ∆ΟΣ; cfr. anche Call. Jov. 11-2=νθενχρος/\ερ/ς.
vv. 80-1. κκκκνητοιδνητοιδνητοιδνητοιδ((((θθθθαιναι/κααιναι/κααιναι/κααιναι/καCCCCπολυτπολυτπολυτπολυτµητοικαµητοικαµητοικαµητοικαCjCjCjCjποσχεποσχεποσχεποσχε****νονονονοEEEEαςαςαςας¨τοιµαι.τοιµαι.τοιµαι.τοιµαι.
Per quanto riguarda la qualifica divina κνητοι ved. commento al v. 73. Il
secondo epiteto con cui Atena e Nemesi vengono presentate è πολυτµητοι, «a
common epithet of all deities» (Starkie 1897, 306), usato da Ar. Vesp. 1001 B
πολυτµητοι θεο, il quale fa pronunciare a Filocleone una richiesta di perdono
rivolta agli dei per aver assolto un imputato. In Thes. 594 BπολυτιµOτωθεω e in
Men. Dysc. 381, 479, Aspis 408; Mis. 165; Fab. Inc. 56 fr. 97, 2 e 718, 5 Körte B
πολυτµητοιθεο diventa una semplice esclamazione46.
La terza qualità di Atena e Nemesi, che qui Marcello ricorda, è la prontezza
delle dee a prestare ascolto (jποσχε*νοEας¨τοιµαι).
vv. 82-4. Il poeta indica ora per nome quali parti del Triopio non bisogna
danneggiare per non incorrere nella punizione delle dee. Da questi versi il lettore
riceve l’immagine di un appezzamento di terra rigoglioso, con boschi e
coltivazioni. Il divieto, espresso dall’ottativo preceduto dalla negazione µηδ,
riguarda ogni possibile modifica dei filari di vite (-µερδωνvρχους), dei boschi di
alberi (mλσεαδενδρων) e dell’erba verde dei pascoli (ποηνχιλ2ε,αλδιχλρα
θουσαν). I filari di vitesono già citati al v. 50, dove il genitivo-µερδων occupa
la medesima posizione all’interno dell’esametro.
v. 82.----µερµερµερµερδωνδωνδωνδωνvvvvρχουςρχουςρχουςρχους. Ved. commento al v. 50 χορ'ς-µερδων.
mmmmλσεα δενδρλσεα δενδρλσεα δενδρλσεα δενδρωνωνωνων. λσος è un termine omerico ed indica sempre un
«boschetto sacro, non allo stato incolto; sacro e caro a divinità» (Di Luzio 1965,
s. v.); cfr. Eust. Comm. ad Od. 1, 391 λσεα δ( καC ν3ν χωρα φασCν \ερ9
σνδενδρα; Hesych. α3268 mλσεα· τεµνη. ο\ κθυδροι καCσµφυτοι λιµνες,
καC τ/ποι κατ δνδροι, πρ'ς mλσιν καC αξησιν τν φυτν vντες )πιτOδειοι.
Così annotano anche schol. in Hom. Od. 10, 509 e schol. in Theocr. 5, 32b.
Accompagnato dal genitivo ionico δενδρων, il nesso mλσεα δενδρων varia
l’omerico mλσεαδενδρOεντα di H. Hom. Ap. 76, 143, 221, 245, ripreso poi da
46 Fa eccezione Men. Dysc. 202 Bπολυτµητοιθεο, /τς~ν)µ(σσαιδʖ[αιµ/]νων, dove
Sostrato, nelle vesti dell’amante infelice, invoca gli dei πολυτµητοι; ved. HANDLEY 1965, 167-8.
99
Nonn. D. 14, 211 mλσεαδενδρOεντακαCγριδοςNχινDλης; cfr. anche 13, 399
mλσεαΦησιδαοκατσκιαδενδρδιλ/χµp.
v. 83. ποποποποην χιλην χιλην χιλην χιλ2222 εεεε,,,,αλδαλδαλδαλδι χλωρι χλωρι χλωρι χλωρ9999 θθθθουσανουσανουσανουσαν. Per quanto riguarda invece il
termine χιλ/ς«green fodder for cattle» (LSJ, s. v.), Wilamowitz 1928, 18, è del
parere che «χιλ/ς hat er achtlos aus der gewöhnlichen Sprache aufgenommen; das
Wort ist nicht poetisch. εχιλονhat Lykophron 95». Εχιλον viene anche citato da
Pollux 7, 184, 1, come uno degli aggettivi adoperati dai poeti per designare la
terra lasciata come pascolo per gli animali.
La relativa χλωρ9θουσαν aveva convinto Meineke a emendare Theocr. 25,
158 )ν Dλp χλωρ9 θουσαν al posto di )ν Dλp χλωρ$ ο,σp, che invece viene
difeso da Gow 1950, 458. Per l’espressione ποηνχιλ2ε,αλδιχλωρ9θουσαν,
in cui un participio di un verbo di movimento è preceduto da un avverbio, cfr.
Call. fr. 228, 40 Pfeiffer πυρ;ς…[ων/…οEλακυλινδοµναν; Ap. Rh. 3, 532
καCποταµοMς… κελαδειν9Nοντας; Quint. Smyrn. 8, 465 ποταµν…µακρ9
Nε/ντων e Orph. Arg. ποταµο*ο…πρηÈNοντος. Per l’uso dell’aggettivo χλωρ/ς
per indicare il colore verde dell’erba (ποη) cfr. Sapph. fr. 31, 14 Voigt
χλωροτρα δ( ποας e Longus 1, 17, 4 χλωρ/τερον τ' πρ/σωπον Iν π/ας
θεριν4ς.
Moretti (ap. IGUR III 1155), stampa la forma χλρα con baritonesi. Si tratta
forse di un refuso, accolto anche da Ameling 1983 II, 154. Questa forma eolica
dell’aggettivo χλωρ/ς è documentata solo in Alc. fr. 115 a 9 Lobel-Page κλαµος
χλρ[ο···] e in Theocr. 28, 4 vππαΚπριδος eρονκαλµωχλρον,π0πλω,
uno dei carmi eolici insieme al 29 e al 30.
v. 84. δµω δµω δµω δµω$$$$ν κυανν κυανν κυανν κυανουουουου ιδος [π]ιδος [π]ιδος [π]ιδος [π]OOOOξειε µξειε µξειε µξειε µκελλανκελλανκελλανκελλαν. La zappa (µκελλαν),
viene definita allegoricamente δµω$νκυανου…ιδος(vv. 83-4). Come mezzo
di distruzione di un dio, essa compare nella tragedia in Aesch. Ag. 526 ∆ι'ς
µακλλp, che attribuisce la caduta della città di Troia alla zappa di Zeus
giustiziere, e in Soph. fr. 727 Radt µακλλpΖην'ς)ξαναστραφo.
Visconti 1794, 64, sostiene che questa δµωO fosse l’attrezzo dei Fossori,
cioè di coloro che scavavano le tombe. Questo attrezzo aveva da un lato l’aspetto
di una zappa, dall’altro di una scure; ved. anche Wilamowitz 1928, 18. L’epiteto
di Ade κυνεος non deve essere confrontato con H. Hom. Cer. 347 »ιδη
100
κυανοχα*τα ma con Hes. Sc. 249, in cui le Moire (Κ4ρες) sono definite κυνεαι.
Sia le Moire che Ade sono collegati con la morte e «er [Hades] ist dem Dichter
nur ein Todesdämon und trägt dieselbe Farbe wie dieser in der etruskischen
Malerei. Pluto heißt bei den Römern auch ferreus, adamentinus, und die Farbe des
Spatens ist dieselbe» (Wilamowitz 1928, 18).
[π][π][π][π]OOOOξειε.ξειε.ξειε.ξειε.«Casaubonus dedit, monuitque Viscontus ita legi posse, lapidario
latinam litteram P pro Π insculpente» (Franzius 1853, 920). Salmasius 1619, 10,
invece aveva letto la forma ρOξειεe per questo motivo aveva emendato il dativo
δµωoκυανου…µκελλ].Per il significato di πOγνυµιin questo epigramma cfr.
Theocr. 7, 156 αEτις )γw πξαιµι µγα πτον, 6 δ( γελσσαι e Call. Cer. 53
"χζευ",=φα,"µOτοιπλεκυνµγαν)νχροÉπξω.
v. 85.σσσσ4444µανµανµανµανοντεοντεοντεοντεχωνχωνχωνχων^(^(^(^(πρπρπρπρ////τερονκερατερονκερατερονκερατερονκεραζωνζωνζωνζων. Con il v. 85 diventa chiaro
che le dee puniranno ogni lavoro compiuto all’interno del borgo del Triopio
finalizzato alla costruzione di una nuova tomba o all’abbattimmento di una
precedente; per l’accezione di σ4µα ved. commento al v. 46.
I due verbi τεχω e κεραζω sono di derivazione omerica. Per il verbo
τεχω«produce by work or art, make, build» (LSJ, s. v., 1) cfr. H. Hom. Ap. 76,
221, 245τεξασθαινη/ν; 258 τε3ξαιπερικαλλανη/νe 287 τεξεινπερικαλλα
νη/ν, mentre per il verbo κεραζω«zerstöre» (Wakker 1991a, s. v.) cfr. Il. 5, 557
σταθµοMς νθρπων κεραÅζετον; 16, 752 Rς τε σταθµοMς κεραÅζων; 16, 830
Πτροκλ0 I που =φησθα π/λιν κεραϊξµεν xµOν, 22, 63 καC θαλµους
κεραϊζοµνους; 24, 244 πρCνλαπαζοµνην τεπ/λινκεραϊζοµνην τεe Od. 8,
516 mλλονδ0mλλpmειδεπ/λινκεραϊζµεναπOν.
86-7. οοοο,,,, θθθθµιςµιςµιςµις µφµφµφµφCCCC ννννκυσσι βαλεκυσσι βαλεκυσσι βαλεκυσσι βαλε****νννν \\\\ρρρρ////χθονα βχθονα βχθονα βχθονα βλ<ον>, / πλλ<ον>, / πλλ<ον>, / πλλ<ον>, / πλ$$$$νννν RRRR κενκενκενκεν
ααααrrrrµατοςµατοςµατοςµατος ¡¡¡¡σι κασι κασι κασι καC )C )C )C )κ γκ γκ γκ γνοςνοςνοςνος XXXXσσαµσσαµσσαµσσαµνο<ιο>νο<ιο>νο<ιο>νο<ιο>. La relativa del v. 87 designa nei
discendenti di Erode gli unici a poter godere del diritto di essere seppelliti dopo la
morte nel territorio del Triopio definito con un neologismo \ρ/χθονα, attestato
solo qui.
Il verbo µφιβλλω è separato per tmesi come nella lingua omerica (ved.
Schmidt 1982b, s. v. βλλω) ed è costruito con l’accusativo βλον e il dativo
locativo νκυσσι. Il nesso βαλε*ν…βλονè caratterizzato dall’allitterazione delle
101
lettere β e λ ed è attestato solo qui47. Il relativo epico R ha attratto il pronome
dimostrativo al genitivo, suo antecedente, retto dalla preposizione πλOν.
))))κ γκ γκ γκ γνοςνοςνοςνος XXXXσσαµσσαµσσαµσσαµνο<ιο>.νο<ιο>.νο<ιο>.νο<ιο>. Nella pietra si leggono le lettere ΕΚΓΕΝΟΣ.
Visconti 1794, 64, emendava =κγονος. Fiorillo 1801, 82, a sostegno di questo
intervento testuale citava gli esempi di Il. 5, 813; 20, 206; Od. 3, 123; 11, 236,
Critias fr. B 2, 12 West2 e Alex. Aet. 3, 5 Powell. Kaibel (ap. IG XIV 1890 B)
invece conserva il testo tradito )κ γνος Xσσαµνο<ιο> che spiega come
imitazionedi Il. 5, 896 )κγ9ρ)µε3γνος)σσ, con approvazione degli studiosi
successivi.
Xσσαµνο<ιο> corrisponde ad ε\σαµενοιο. Si tratta di un participio aoristo
poetico del verbo rζω«set up and dedicate temples, statues etc.» (LSJ, s. v., 2).
Questa grafia si trova già in Th. 3, 58, 5 \ερ τε θεν οKς ε,ξµενοι ΜOδων
)κρτησαν )ρηµο3τε καC θυσας τ9ς πατρους τν Xσσαµνων καC κτισντων
φαιρOσεσθε;cfr. anche IG IV 840, 7βω[µ]'νXσσαµνουςπαρ9τ9νεκ/νατο3
νδρ'ςα,τ;ςΣωφνεος,e 841, 23 βωµ'νXσσµενοιπρ'τ;νκ/νωνα,τντ;ν
ποC [τ]2 βʖουλευτηρ7, due iscrizioni databili intorno al III sec. a. C. Qui il
participio Xσσαµνοιοindica Erode come colui che ha fatto erigere nel Triopio la
costruzione commemorativa di Regilla.
Per il verbo εµC seguito da )κ e il genitivo e accompagnato dall’accusativo
di relazione γνος cfr. Il. 14, 113 πατρ'ς δ0 )ξ γαθο3 καC )γw γνος εχοµαι
εeναι; 23, 347 ς )κ θε/φιν γνος Iεν; Od. 14, 199 = 16, 62 )κ µ(ν Κρητων
γνοςεχοµαιε,ρειωνe 15, 267 )ξ|θκηςγνοςεµ.
v. 88. κεκεκεκενοιςδνοιςδνοιςδνοιςδ0000 οοοο,,,,κκκκ θθθθµιστον,µιστον,µιστον,µιστον, ))))πεπεπεπεCCCC τιµτιµτιµτιµοροςοροςοροςορος ¨στωρ.στωρ.στωρ.στωρ. θµιστον è forma
poetica di θµιτον e in unione al verbo)στιν, qui sottinteso, ha il significato di
«unlawful» (LSJ, s. v. θµιστος). L’uso di θµιστον(scil. )στιν), costruito con
il dativo della persona e l’infinito del verbo è di età tarda ed è attestato per la
prima volta in Act. Ap. 10, 28, 2-3 )πστασθεUςθµιτ/ν)στιννδρC|ουδα7
κολλ;σθαι < προσρχεσθαι λλοφλ7. A questo costrutto ricorrono anche Plu.
Sept. Sapient. Conv. 150f )κενοις δ( καC σλπιγγος κοειν θµιτονed Hld.
Aeth. 5, 20, 2 λλ0)µοτεσιωπ4σαιθµιτον.
47 Sulla presenza dell’allitterazione nella produzione letteraria greca ved. ERCOLANI 2003, 173-80.
102
Per quanto riguarda ¨στωρ, il termine compare qui con un significato
diverso da quello attestato in Il. 24, 272 «a peg at the end of the pole» e in altri
autori contemporanei di Marcello come Plu. Alex. 18, 4, 3, Arr. An. 2, 3, 7 e Paus.
Attic. ε77, s. v.¨στωρ. Si tratta di un neologismo il cui significato viene dedotto
da Wilamowitz 1928, 19, secondo il quale «Xστρ greift auf Xσσαµνοιο züruck,
so dass die Neubildung gerechtfertigt und verständlich ist». Moretti (ap. IGUR III
1155) gli attribuisce il significato di conditor. A ¨στωρ viene poi riferito l’epiteto
τιµορος, forma dorica di τιµωρ/ς, che è già attestata in Pind. O. 9, 83, Aesch.
Ag. 514, 1280, 1324, 1578, Ch. 143 ed Eur. fr. 318, 4 Kannicht. Qui τιµορος
viene usato in modo assoluto con il significato di «avenger», cioè «helping one to
vengeance for a thing» (LSJ, s. v. τιµορος).
vv. 89-90. κακακακαCCCC γγγγ9999ρρρρ SSSSθηναθηναθηναθηναη περη περη περη περ hhhhριχθριχθριχθριχθ////νιον βασιλνιον βασιλνιον βασιλνιον βασιλ4444α / νηα / νηα / νηα / νη2 )2 )2 )2 )νκατνκατνκατνκατθηκεθηκεθηκεθηκε
συνσυνσυνσυνστιονστιονστιονστιον====µµεναιµµεναιµµεναιµµεναι\\\\ρρρρν.ν.ν.ν.«Erichthonios mit Erechtheus verwechselt» (Wilamowitz
1928, 19). Eretteo, mitico re di Atene, era stato allevato dalla dea Atena che lo
collocò nel suo tempio, dove annualmente i giovani Ateniesi offrivano alla dea
tori e arieti propiziatori (cfr. Il. 2, 248-51). Peek 1979, 84, riconosce che «der
Vers [90] geht wohl direkt auf B 549 δ0)νSθOνpςεKσενX2)νπονινη2 zurück».
Il ricorso all’esempio mitico per illustrare e soprattutto legittimare la funzione di
Erode, come collaboratore delle dee nel punire i trasgressori, è un espediente già
sfruttato dal poeta in IG XIV 1389 A, 53-4 = 146, A, 53-4 Ameling, dove
Marcello descrive l’onore che la nuova Demetra riserverà a Regilla attraverso gli
esempi mitici di Ifigenia ed Erse.
Per hριχθ/νιονβασιλ4α in clausola cfr. Il. 20, 219. Περè una correzione di
Jacobs (ap. Kaibel 1878, 470) al posto del tradito τε, che non può essere attribuito
al poeta, «nicht wegen des Hiatus, der in der Zäsur zulässig ist, sondern weil τε
hinter καCγ9ρ rein parapleromatisch sein würde» (Wilamowitz 1928, 19).
Per quanto riguarda)νκατθηκε, si tratta di un verbo omerico che Marcello
usa in un contesto nuovo poiché nei poemi omerici )γκατατθηµι è impiegato solo
in senso medico (ved. LSJ, s. v.), ad eccezione di Od. 23, 223 τ$ν δ0 mτην ο,
πρ/σθενX2)γκτθετοθυµ2, dove ha il significato metaforico di «non se lo pose
nell’animo, non ebbe chiaro, non si rese conto» (Galiano-Heubeck 1986, 312).
103
L’accezione di )γκατατθηµι colloco in un posto è già presente in Arat. 34 mντρ7
)γκατθεντο e Opp. C. 3, 11 κλεψιτ/κος!εηκ/λποις)νικτθετοΚρOτης.
Erittonio-Eretteo viene presentato come συνστιος. Qui l’aggettivo è
costruito con il genitivo (\ρν = \ερν)come in Eur. El. 784-5 Ν3νµ(νπαρ0-µ*ν
χρ$συνεστουςµο3/θονηςγενσθαι e Argent. A. P. 6, 248, 3 συνστιεδαιτ'ς
)σης, e ha il significato di associato alla dea nelle offerte.
v. 91. εεεεδδδδττττ7m7m7m7mκλυτατακλυτατακλυτατακλυτατα3333τακατακατακατακαCCCCοοοο,,,,κκκκ))))πιπεπιπεπιπεπιπεσεταιασεταιασεταιασεταια,,,,τοτοτοτο*<*<*<*<ς>.ς>.ς>.ς>. Peek 1979, 84,
individua in questo verso una variazione della formula omerica οf δ0 mρα το3
µλαµ(νκλον^δ0)πθοντο, la quale ricorre sette volte nell’Iliade (7, 397; 9, 79;
14, 133, 378; 15, 300; 23, 54, 738) e quattro nell’Odissea (3, 477; 15, 220; 22,
178; 23, 141). A partire dal v. 91 il poeta introduce le disgrazie che attendono i
trasgressori. L’aggettivo mκλυτος«unheard»(LSJ, s. v.) non è documentato prima
di questo componimento di Marcellο, poiché mκλυτον di Plu. 722e è corretto in
mκλυστον;ved. Frazier-Sirinelli 1996, 236, n. 73.
v. 92.λλλλλλλλ0000ποτιµποτιµποτιµποτιµOOOOσ<ε>ι,µσ<ε>ι,µσ<ε>ι,µσ<ε>ι,µOOOOοοοο\\\\ννννOOOOτιταγτιταγτιταγτιταγνηται.νηται.νηται.νηται. ποτιµOσ<ε>ι è lettura di
Salmasius 1619, 10. Il futuro ποτιµOσ<ε>ι corrisponde a )πιπεσεται del verso
precedente. I due verbi sono protasi dell’apodosi µOο\νOτιταγνηται. L’aggettivo
νOτιτα è un hapax legomenon ed è formato dalla fusione di due aggettivi omerici,
cioè νOποινοςe mντιτος.
Per la negazione µO seguita dal conguntivo (coniuctivus prohibitivus), ved.
Kühner-Gerth I, 1898, 220.
v. 93. λλλλλλλλµινµινµινµινπρπρπρπρ////φατοςΝφατοςΝφατοςΝφατοςΝµεσιςκαµεσιςκαµεσιςκαµεσιςκαCN/CN/CN/CN/µβοςµβοςµβοςµβοςλλλλστω<ρ>.στω<ρ>.στω<ρ>.στω<ρ>.La punizione
del trasgressore (v. 94 τσονται) viene affidata a Nemesi, cui il poeta si rivolge in
apertura dell’epigramma, e al N/µβος, che agisce come un demone vendicatore.
La dea Nemesi viene presentata come πρ/φατος «unforetold, unexpected» (LSJ,
s. v.). L’aggettivo è attestato per la prima volta in Arat. Phaen. 424, 768, Ap. Rh.
1, 645; 2, 268 e Nic. Al. 598.
Qui λστωρ, riferito come predicativo a N/µβος, indicherebbe quasi il
demone vendicatore della famiglia di Erode come in Aesch. Ag. 1501, 1508
λστωρ è il demone della famiglia di Atreo cui Clitemestra attribuisce la
responsabilità del delitto commesso. Su λστωρ come personificazione della
maledizione ved. Wernike 1894a, Dodds 1951, 39-41 e Graf 1996. Il termine
104
N/µβος designa uno strumento magico, simile a una trottola, usato nelle formule
magiche contro colui che doveva essere stregato; ved. Froehner 1865, 20. Del
N/µβος come strumento magico parla anche Archyt. B 1, 260, 12-3 Diels-Kranz
[N/µβοι] -συχ;ι µ(ν κινοµενοι βαρMν φιντι Ëχον, σχυρς δ, dξν. Il suo
funzionamento è descritto da Eur. Hel. 1362-3 N/µβουθ0 ε\λισσοµνα /κκλιος
=νοσιςαθερα. Come strumento impiegato nei misteri dionisiaci è citato da Phal.
A. P. 6, 165, mentre come attrezzo di attrazione magica ne parla Luc. Meretr. 4, 5,
4-6 N/µβον )πιστρφει )π7δOν τινα λγουσα )πιτρ/χ7 τo γλττp, βαρβαρικ9
καCφρικδηdν/µατα.
Il N/µβος era uno degli attributi di Nemesi dell’arte tarda; ved. Edwards
1990. Esso è una metafora dei cambiamenti senza fine nella vita umana, del
passaggio dalla prosperità al disastro, e compare nella produzione letteraria per la
prima volta innanzitutto come strumento della Fortuna e non di Nemesi, come per
es. in Cic. Pis. 22. Questo N/µβος doveva essere uno strumento di punizione cui
allude anche Mesomede, un contemporaneo di Marcello di Side, nell’Inno a
Nemesi 3, 7-8 Heitsch jπ' σ'ν τροχ'ν mστατον στιβ4 / χαροπ9 µερ/πων
στρφεταιτχα. Sul N/µβος come strumento della dea Nemesi ved. commento a
Corinth VIII 3, 128 = 100 Ameling; su Mesomede ved. Whitmarsch 2004.Qui
l’azione del N/µβος di rovesciare sciagure su chiunque osi violare questi divieti
divini viene descritta dal verbo successivo κυλινδOσει, come già notava Kaibel
1878, 470, «Rombi nomen explicat verbum κυλινδOσει v. seq».
LSJ, s. v. N/µβος, dopo averindicato N/µβοςλστωρ di questo epigramma
come espressione metaforica, annotano tra parentesi la possibilità di leggere nel
sostantivo N/µβος piuttosto una variante grafica dell’aggettivo Nεµβ/ς, perché
entrambi derivano dalla medesima radice del verbo Nµβω «turn round and
round» (LSJ, s. v.).
v. 94. στυγερστυγερστυγερστυγερ$$$$νδνδνδνδ((((κυλινδκυλινδκυλινδκυλινδOOOOσεικακσεικακσεικακσεικακ////τηταʖτηταʖτηταʖτηταʖ.... Il verbo al singolare è concordato
a senso con il soggetto più vicino N/µβοςλστωρ (cfr. supra).Il verbo κυλινδω
è già usato da Omero in collegamento alla sventura che un dio fa rotolare sugli
uomini in Il. 17, 688 π4µαθε'ς∆αναο*σικυλνδει; cfr. anche Il. 11, 347 νϊνδ$
τ/δε π4µα κυλνδεται vβριµος nκτωρ ed Od. 2, 163 το*σιν γ9ρ µγα π4µα
κυλνδεται.
105
vv. 95-6. ο ο ο ο,,,,δδδδ(((( γγγγ9999ρρρρ ggggφθιµον Τριφθιµον Τριφθιµον Τριφθιµον Τρι////πεω µπεω µπεω µπεω µνος Ανος Ανος Ανος Αολολολολδαο /δαο /δαο /δαο / ναθναθναθναθ0, R0, R0, R0, Rτε νειτε νειτε νειτε νει''''νννν
∆ηµ∆ηµ∆ηµ∆ηµOOOOτεροςτεροςτεροςτερος ))))ξαλξαλξαλξαλπαξεν.παξεν.παξεν.παξεν. Ancora una volta il poeta ricorre a un esempio mitico:
questa volta si tratta di quello del re della Tessaglia Triope, da cui il promontorio
di Cnido aveva derivato il nome di Triopio. Triope era stato punito dalla dea
Demetra con una fame insaziabile perché aveva distrutto il bosco sacro, che era
stato donato a Demetra dai Pelasgi. Questa versione del mito è documentata anche
da Diod. 5, 61 e Hygin. Astr. 2, 14, 3, mentre secondo Call. H. Cer. e schol. in
Lycophr. 1393 l’oltraggio del bosco sacro di Demetra non fu solo opera di Triope
ma anche di Erisittone; sui rapporti di parentela tra Erisittone e Triope ved. Mayer
1916-24 e Robertson 1984, 369-71. Successivamente Triope, morto dopo aver
combattuto contro un serpente, fu trasformato da Demetra nella costellazione del
Serpentario e collocato in cielo; ved. Wilamowitz 1924, II, 38. La sofferenza della
fame doveva essere per Marcello un ammonimento adatto contro chiunque avesse
voluto imitare l’atteggiamento sacrilego di Triope; ved. Robertson 1984, 375.
Mc Kay 1962, 17, ricorda a proposito di νει/ν del v. 97 che, benché la
lettura della pietra sia chiara, gli editori antichi avevano generalmente preferito
emendare il testo in νη/ν, motivando l’intervento testuale con la confuzione tra i
suoni ειed ηpresente, per es., al v. 63 (πεονα,τειµOσατε).Boeckh (ap. MC Kay
1962, 17) aveva anche individuato in Diodoro e Igino i paralleli letterari a favore
di questo intervento testuale sostenendo che «de templo diruto loquuntur Diodorus
(v. 61) et Hyginus (Poet. Astr. 2, 14)». Questa osservazione di Boeckh si
collegava al fatto che proprio Diodoro, Igino e Marcello sono coloro che
presentano Triope come l’unico responsabile dell’oltraggio nei confronti della dea
Demetra. In realtà Diod. 5, 61 parla non della distruzione di un tempio ma di
quella di un temenos (τα3θαδ(τ'τµενοςτ4ς∆Oµητρος)κκ/ψαντατo[µ(ν]Dλp
καταχρ4σθαι πρ'ς βασιλεων κατασκευOν) mentre Hygin. Astr. 2, 14 usa il
termine templum come «a faulty translation of temenos which he found in some
Greek handbook» (MC Kay 1962, 17). Tutti è due gli scrittori poi collegano
questo atto di Triope con il suo proposito di costruire un palazzo reale con il
legname ricavato dagli alberi del bosco della dea. Quindi νει/ν del v. 96, piuttosto
che costituire un errore grossolano, è una variante meditata di Marcello, che piega
106
il racconto mitico ai propri fini, facendo di Triope colui che fu punito per aver
saccheggiato il maggese sacro alla dea.
Il nessoΤρι/πεωµνος enfatizza la violenza esercitata dal re della Tessaglia
contro il campo di Demetra. Peek 1979, 84, cita come modelli di Τρι/πεωµνος
Il. 7, 38 nκτορος … κρατερ'ν µνος e 11, 268 µνος SτρεÅδαο; ved. anche
Führer 1993b, s. v. µνος. Il sostantivo µνοςè qualificato per enallage da gφθιµον
«strong, mighty» (Beck 1989, s. v.), aggettivo che Omero adopera come epiteto
riferito a uomini e donne; ved. commento al v. 56.
Per quanto riguarda il patronimico ΑολδαοMarcello mostra di seguire la
tradizione mitica testimoniata da Diod. 5, 61, 3 ο\µ(νγ9ρναγρφουσινα,τ'ν
υ\'νεeναιΚανχηςτ4ςΑ/λουκαCΠοσειδνος,ο\δ(Λαπθουτο3Sπ/λλωνος
καCΣτλβηςτ4ςΠηνειο3 e Call. Cer. 98-9 εgπερ)γwµν /σε3τεκαCΑολδος
Κανκαςγνος, secondo cuiTriope discenderebbe per via materna dal dio Eolo.
Il genitivo eolico Αολδαο è sempre attestato in clausola di esametro; cfr. Od. 11,
237; Call. fr. 618, 1 Pfeiffer, Ap. Rh. 2, 849; 3, 361.
v. 97. τ τ τ τ2 Y2 Y2 Y2 Yτοι ποιντοι ποιντοι ποιντοι ποιν$$$$ν καν καν καν καC )C )C )C )πωνυµπωνυµπωνυµπωνυµηνηνηνην λλλλʖʖʖʖασθα<ι> χασθα<ι> χασθα<ι> χασθα<ι> χρου.ρου.ρου.ρου. Per quanto
riguarda il sostantivo )πωνυµη cfr. Ap. Rh. 2, 910 δ( καC Αλιον mντρον
)πωνυµηνκαλουσιν; 3, 245 καµινΚ/λχωνυKες)πωνυµηνΦαθοντα/=κλεον;
4, 658 =νθα λιµ$ν Sργ2ος )πωνυµην πεφτισται; Opp. Hal. 1, 127 νδρ'ς
)πωνυµην θηλφρονος η,δξαντο; 2, 429 τ$ν κνδα κικλOσκουσιν, )πωνυµην
dδυνων; Nonn. D. 8, 12, vψιµονγχιτ/κοισιν)πωνυµηνπ/ρεκισσο3; 9, 19-20
πατρsην )πθηκεν )πωνυµην τοκετο*ο / κικλOσκων ∆ι/νυσον; 13, 97
ξεινοδ/κου µεθπουσαν )πωνυµην ¤ρι4ος; 28, 307 )πωνυµην δ( φυλσσων;
44, 213 vφρα γεραρpς / ρχεγ/νου Ζαγρ4ος )πωνυµην ∆ιονσου; Paraphr.
Joan. 1, 165 )πωνυµην δ( καλψει / πρεσβυτρηνΣµωνος jπρτερον ονοµα
Πτρου.
L’infinito come forma di imperativo alla seconda persona è molto comune
nella poesia epica; ved. Kühner-Gerth 1904, II, 19-23. Il dativo neutro τ2
«therefore» (LSJ, s. v. VIII, 2), tipico dello stile omerico e tragico, si ricollega
all’esempio mitico di Triope dei versi precedenti. Esso permette di ammonire
chiunque abbia in mente di apportare delle modifiche al territorio romano di
107
Erode Attico, che nella sua denominazione Triopio reca il ricordo della punizione
divina di Triope.
v. 98. µµµµOOOO τοιτοιτοιτοι ¨πηταιπηταιπηταιπηται ====πι Τρ<ι>πι Τρ<ι>πι Τρ<ι>πι Τρ<ι>////πειοςπειοςπειοςπειος hhhhρινρινρινρινς.ς.ς.ς. Riguardo a πηται =πι
Fiorillo 1801, 89 afferma: «¨πηται=πι,poëta dixit pro )φπηται».
Per il collegamento di Nemesi con l’Erinni ved. Eur. fr. 1022 Kannicht e
Dion. Hal. Ant. 2, 75, 2. Nel verso finale la vendetta viene garantita dall’Erinni,
qui qualificata come triopea attraverso l’aggettivo Τρι/πειος; ved. Wilamowitz
1928, 19 «die Verwendung der maskulinen Form Τρι/πειος für das Femininum
ist besonders auffallend, aber nur Steigerung einer geltenden Freiheit». Per la
posizione di hρινς in clausola di esametro cfr. Il. 9. 454, 571; 19, 87; Od. 2, 135;
15, 234.
108
6 = 99 Ameling
Geagan 1964, 149-56; SEG 23, 121; Peek 1980, 37, nr. 39; Ameling 1983,
117-8, nr. 99.
Maratona. Campagna.
Sul pilastro di una porta.
Dopo il 160-161 d. C.
Ved. Geagan 1964, 149-56; Oliver 1970, 25; Peek 1980, 37, nr. 39; Ameling
1983, 117-21, nr. 99; Bowie 1989a, 231-2; Tobin 1997, 247-9; Galli 2002, 134-8;
Vox 2003, 211-8; Skenteri 2005, 66-72.
Tra Vrana e Maratona, nella valle nota con il nome di Μντρα τ4ς
Γρα*ας, si estende un terreno appartenuto ad Erode Attico e a sua moglie Regilla,
sul quale era stato costruito un arco, che reca due iscrizioni: IG II2 5189 = 97
Ameling e IG II2 5189a = 98 Ameling; ved. Mallwitz 1964, 157-64; Ameling 1983,
117, nrr. 97-8; Tobin 1997, 242-6; Galli 2002, 135; Vox 2003, 21; Skenteri 2005,
66-7.
µονοαςθαντ[ου] µονοαςθαντ[ου]πλη.
πλη !ηγλληςχρος
ρδουχρος εςνεσρχει.
εςνεσρχε[ι].
La Porta della Concordia immortale. Il territorio in cui entri appartiene a
Erode.
La Porta della Concordia immortale. Il territorio in cui entri appartiene a
Regilla.
L’iscrizione IG II2 5189 venne registrata per la prima volta da Fauvel nel
1792. Come già notava Philippe Le Bas, che visitò Maratona tra il 1843 e il 1844,
109
l’iscrizione è incisa sulla chiave di volta di un arco che segnava l’ingresso nel
terreno; tuttavia essa rimase ignorata fino a quando nel 1964 Mallwitz non ne
pubblicò uno studio.
La sola lettura di IG II2 5189 aveva convinto Grandoir 1914, 75, a vedere
nell’arco di Maratona un segno della riconciliazione tra Erode e gli abitanti di
Atene dopo gli avvenimenti di Sirmio e a interpretare la Concordia dell’iscrizione
come la personificazione del nuovo clima cittadino; ved. commento a IG II2 3606
= 190 Ameling. Nel 1926 Soteriades analizzò il blocco di pietra dell’arco e sul lato
opposto a quello di IG II2 5189 trovò la nuova iscrizione IG II2 5189a, identica alla
precedente tranne nel genitivo di appartenenza !ηγλλης. Da questa scoperta
Soteriades trasse la conclusione che l’arco doveva appartenere a un campo di
proprietà di Erode Attico da un versante e di Regilla dall’altro, donato alla donna
in occasione delle loro nozze. Poiché queste, secondo Ameling 1983, I, 78,
vennero celebrate intorno al 142 d. C. quando Regilla aveva circa 15-17 anni ed
Erode 40, questo è anche l’anno di costruzione dell’arco e di composizione delle
due iscrizioni, le quali, battezzando l’arco con il nome di Porta della Concordia
immortale, enfatizzano pubblicamente la perfetta felicità della coppia di coniugi.
Difficile è stabilire il concreto valore di una simile donazione poiché in ogni
caso, per un uomo benestante come Erode, il terreno era di dimensioni piuttosto
modeste e non rappresentava certo un grande possedimento di cui egli si privava
per farne dono alla moglie. Gli scarsi resti archeologici non portano nemmeno a
concludere che su questo terreno sorgesse una grandissima villa, la quale ne
accrescesse il valore. Mallwitz 1962, 163, ritiene che il valore del dono risieda
piuttosto nella natura stessa del terreno, un locus amoenous, che, a suo giudizio,
doveva includere una villa o qualcosa del genere, poiché è poco credibile che
«Herodes habe seiner Gemahlin ein Stück Macchia verehrt».
Per quanto riguarda il nome Μντρα τ4ς Γρα*ας «the Old Woman’s
Scheepfold», secondo Vanderpool 1970, 44, si tratterebbe di un riferimento a
Regilla e non di una denominazione moderna derivata dal moderno folclore greco
che narra la trasformazione in pietra di una donna e delle su greggi per aver
schernito Martis, la personificazione del mese di marzo; ved. Frazer 1898, II, 438.
«The local peasantry may well have referred to it from the start als the Old
110
Woman’s Mandra, the old woman being Regilla herself. Only after Regilla had
been long forgotten did the Old Woman become identified with one of the seated
statues, and even this, as now seems probable, was a statue of Regilla»
(Vanderpool 1970, 45).
La Porta della Concordia immortale assurge a simbolo dell’unione
matrimoniale tra Erode e Regilla, a custodia della quale presiede la
personificazione divina della Concordia cui, tramite l’epiteto θνατος, Erode
rivendica la qualifica dell’immortalità, tipica di ogni divinità. La Concordia veniva
venerata sin dal IV sec. a. C., come testimoniano le monete provenienti da
Metaponto e le iscrizioni; per le epigrafi contenenti riferimenti alla
personificazione della Concordia ved. Zwicker 1913, 2266-7; su Concordia Austin
1900. Ap. Rh. 2, 717, racconta che già gli argonauti avevano edificato alla
Concordia, nel Ponto Eusino, un altare ancora visibile ai suoi giorni mentre Paus.
5, 14, 9, testimonia l’esistenza ad Olimpia di un altare della Concordia, accanto a
quello di Atena e della madre degli dei. Dio Chrys. 39, 8, 7-10, rivolge una
preghiera alla Concordia insieme ad altre divinità, εχοµαιδ$ τ2 τε∆ιονσ7τ2
προπτορι τ4σδε τ4ς π/λεως καCρακλε* τ2 κτσαντι τOνδε τ$νπ/λινκαC∆ιC
Πολιε*καCSθην5καCSφροδτpΦιλ]καCµονο]καCΝεµσεικαCτο*ςmλλοις
θεο*ς. La prima testimonianza letteraria di µ/νοια intesa come Concordia
matrimoniale è di Charito 3, 2, 16, che cita un tempio della Concordia presso il
quale era tradizione per gli sposi ricevere le loro spose, περC τ' \ερ'ν τ4ς
µονοας ^θροσθη τ' πλ4θος, Rπου πτριον Iν το*ς γαµο3σι τ9ς νµφας
παραλαµβνειν48. Pertanto la Concordia immortale dell’iscrizione di Erode è la
personificazione della virtù indispensabile per un’unione felice, secondo una
convinzione diffusa che trova riscontro in numerose testimonianze letterarie ed
48 Per la discussa datazione di Caritone ved. WEINREICH 1962, 13-4 e SCHMELING 1974, 17-9. WEINREICH 1962 ritiene che Perseo I, 134, his mane edictum, post prandia Callirhoen do, alluda al romanzo di Calliroe e afferma: «galt das Werk im Rom Neros als Typus einer leichten literarischen Kost für die Siesta nach dem Pranzo». A questa testimonianza letteraria, che lega Caritone all’età neroniana SCHMELING 1974 contrappone quella di Philostr. Ep. 1, 66 il quale invia l’epistola a un certo Caritone (Χαρτωνι. ΜεµνOσεσθαι τν σν λ/γων οgει τοMς nλληνας,)πειδ9ν τελευτOσpς· ο\ δ( µηδ(ν vντες, π/τε εσν, τνες ~ν εeεν, π/τε ο,κ εσν) e annota: Though Philostratus’s statements do not single out our Chariton from other possible writers of the same name, we are inclined to believe that Philostratus is here denigrating our Chariton and his novel».
111
epigrafiche; cfr. Muson. XIIIB 69 Hense πο*ος µ(ν γ9ρ γµος χωρCς µονοας
καλ/ς;Dio Chrys. 38, 15 δ( γµοςγαθ'ς τmλλο )στCν <µ/νοιανδρ'ς
πρ'ς γυνα*κα; καC κακ'ς γµος τ mλλο )στCν < - τοτων διχ/νοια;Men. Rh.
411, 14-5 τοEντ'π'το3γµουκρδος;µ/νοιαοgκουκτλ.; IEph. 5, 2065, 12
ÎρµονηθλαµονπOξατ0 )π0 ε,γαµp; OGIS 308, 8-9 προσενενηνχθαι δ(καC
το*ς τκνοιςµετ9πσηςµονοας γνησως. In un epigramma sepolcrale per una
coppia di sposi, MAMA 1, 86, la Concordia viene chiamata µοφροσνη; in modo
molto simile in MAMA 4, 133 viene detta µ/φρονας )γ νε/τητος. In SEG 26,
1145, che conserva un epigramma funebre proveniente da Roccagione, è detto al
rigo 5: concordes animae duo vix[imus anno]s cas[tos]. Pl. ep. 4, 19, 5, in
riferimento al suo matrimonio, scrive: his ex causis im spem ceertissimam adducor,
perpetuam nobis maioremque in dies futuram esse concordiam. Un interessante
parallelo per la presentazione di µ/νοια che presiede a una relazione
matrimoniale è presente su un conio dell’imperatore Antonino Pio, emesso tra il
140 e il 144 d. C., il quale presenta la scritta concordiae e raffigura l’imperatore
Antonino e la deificata Faustina nell’atto di stringere le mani su una coppia più
piccola la quale, a sua volta, stringe le mani su un altare; per questo conio ved.
Strack 1937, 97-8. Anche le monete alessandrine emesse tra il 141 e il 142 d. C.
celebrano la concordia della coppia imperiale; ved. Vogt 1924, 125. Una conferma
di questo sacrificio religioso compiuto da una giovane coppia di sposi a favore
della coppia imperiale per la sua esemplare concordia è offerta da un’iscrizione
proveniente da Ostia CIL XIV 5326, 1-2 imp. Caesari T. Aelio Hadriano Antonino
Aug. Pio PP et divae Faustinae ob insignem eorum concordiam; cfr. anche IG II2
1077, 18θνατονµ/νοιαντνdσωνβασιλων, databile al periodo in cui Erode
sposò Regilla. Dio 71, 31, 1-2, riferisce che gli stessi sacrifici compiuti presso un
altare da parte di giovani coppie erano stati riservati a Faustina minore divinizzata
dopo la morte; τ2 δ( Μρκ7 καC τo Φαυστνp )ψηφσατο - βουλ$ =ν τε τ2
Sφροδισ7τ2<τε>!ωµα7εκ/ναςργυρ;ςνατεθ4ναικαCβωµ'ν\δρυθ4ναι,
καC )π0 α,το3 πσας τ9ς κ/ρας τ9ς )ν τ2 mστει γαµουµνας µετ9 τν νυµφων
θειν,καC)ςτ'θατρονχρυσ4νεκ/νατ4ςΦαυστνης)πCδφρουε,σκιςγ0
~ν)κε*νοςθεωρo,)σφρεσθατεκαC)ντoπροεδρ])ξtςζσα)θε;τοτθεσθαι,
καCπερCα,τ$ντ9ςγυνα*καςτ9ςδυνµειπροεχοσαςσυγκαθζεσθαι.
112
Le iscrizione IG II2 5189 e IG II2 5189a permettono di parlare non solo di
una imitatio Antonini, ma anche di una a) imitatio Adriani e b) imitatio Thesei.
a) L’imitatio Adriani è relativa al fatto che la Porta della Concordia
immortale si richiama all’arco che Adriano aveva fatto erigere ad Atene,
collocando sugli stipiti le due iscrizioni IG II2 5185 (a) αrδεσSθ4ναιΘησως-
πρνπ/λιςe (b) αrδεσÎδριανο3κα*ο,χCΘησωςπ/λις49. In merito Geagan
afferma: «Just as Hadrian, who was a new citizen to Athens in contrast to Theseus,
was eponymous for the ΝαιSθ4ναι […], so Regilla, a new citizen in Marathon
(IG XIV 1389, 5 γOµατοδ)ςΜαραθνα) was eponymous for the νηνπ/λιν in
Marathon»; Arafat 1996, 200, commenta: «Hadrian was intended to been seen as
complementing, rather than replacing, Theseus, as Herodes complements Regilla».
b) L’arco rivela anche una imitatio Thesei perché il testo di Erode, per la
divisione del terreno, presuppone le due iscrizioni in trimetro giambico, già citate
da Strab. 3, 55, e 8, 1, 6, le quali, secondo il racconto di Plu. Thes. 25, 3, Teseo
avrebbe fatto incidere su un arco all’Istmo di Corinto, per distinguere i territori
della Ionia e del Peloponneso, Τδ ο,χCΠελοπ/ννησος, λλ |ωνα […] Τδ
)στCΠελοπ/ννησος,ο,κ|ωνα.
La realizzazione dell’arco e la citazione della Concordia immortale
conferiscono a questa zona tra Vrana e Maratona un significato quasi sacrale.
Erode mutua l’idea di una città caratterizzata «dalla progressiva sacralizzazione
degli spazi» (Calandra 2006, 279) dall’imperatore Adriano, la cui imitatio è un
punto costante nella sua vita e attività evergetica ad Atene. A questo processo di
sacralizzazione degli spazi appartiene anche il desiderio di perpetuare la memoria
dei cari. Per questo motivo alla morte di Regilla (161 d. C.) Erode fece incidere sul
pilastro della porta che guarda a oriente una nuova epigrafe, la quale venne
ritrovata nel 1960 da Geagan e pubblicata nel 196450. Egli descrive in questi
termini lo stato di conservazione del testo: «the text is intact with the following
exceptions: the first two letters each of lines 1, 4 and 6 and the first letter each of
lines 3, 5 and 7 are preserved on the sliver now in the office of the Ephor. The
49 Discusso è il significato dell’arco di Adriano e della sua iscrizione per la topografia di Atene; ved. TOBIN 1997, 244, n. 10. 50 Geagan riferisce che è stato un pastore, residente nella zona di Μντρα τ4ς Γρα*ας, a fargli notare la pietra contenente l’iscrizione.
113
concluding letters of lines 6 and 7 are missing and seem to be irrecoverable due to
chipping along the right hand edge of the face of the stone; a few letters a short
distance from the left hand edge of the text have been obscured by a crack now
developing. The preserved letters range in height from 0.013 to 0.015» (Geagan
1964, 150). Il fatto che l’epigrafe sia stata aggiunta in un secondo momento sul
pilastro della porta e che la superficie sia stata poi adattata al testo, riducendo ogni
rigo di circa venti millimetri per una profondità di due o tre millimetri, dimostra
che il pilastro non era stato originariamente concepito per contenere un’iscrizione.
L’epigramma si articola in tre coppie di distici elegiaci, all’interno delle
quali il secondo verso è spostato di alcune lettere verso l’interno rispetto al primo.
Inoltre il primo esametro è diviso su due righe. L’epigramma è articolato nella
forma di un dialogo: alle parole di un osservatore esterno che formula un elogio di
Erode, si contrappongono nel secondo e terzo distico quelle di Erode in persona,
che smentisce l’opinione dell’interlocutore e afferma la compresenza di gioia e
dolore nella vita umana, «con una combinazione dunque di comunicazione privata
e riflessione consolatoria collettiva» (Vox 2003, 217). Per questo motivo tutti i
commentatori attribuiscono la stesura dell’epigramma tradizionalmente ad Erode
Attico in persona. Omero è il modello seguito da Erode che gioca con allusioni
verbali e concettuali e crea «nessi originali che richiamano fraseologia funeraria»
(Vox 2003, 217).
ʽ˵καρ,Rστις=δειµενηνπ/λιν,ον[ο]µαδ0α,τ$ν
!ηγλλʖηʖςκαλωνζειγαλλ/µενος.ʼ
ʽζωδ0χʖ[ν]µενοςτ/µοιοκατα3ταττυκται
ν/σφ[ι]φληςλ/χουκαCδ/µος-µιτελOς·
Qςmρατοιθνητο*σιθεοCβιοτ$ν)κερασντ[ο] 5
χ[ρ]µαττ0Yδ0ναςγετοναςµφCς=χωʖ.ʼ
5 )κερασντ[ο]Ameling, κερσαντ[ες] Geagan 6 =χωʖAmeling,=χεʖ[ιν] Vox,=χοʖ[υν]
Geagan.
114
«Felice colui che edificò una città nuova, dandole il nome di Regilla, vive
gioiosamente». «Vivo invece afflitto per il fatto che da me è stata costruita questa
città ma è senza l’amata moglie e la casa è incompleta. Così davvero gli dei
mescolarono per i mortali la vita, sì che io abbia gioie e dolori per vicini, da una
parte e dall’altra».
v. 1.ËËË˵µµµκαρ,καρ,καρ,καρ,RRRRστις.στις.στις.στις.L’epigramma si apre con una formula di makarismos,
«predicazione di beatitudine che si applica alle occasioni e ai contenuti più
disparati» (Rossi 1971, 20). Ved. anche Gladigow 1967, 405: «Die Gründe, aus
denen man seit Homer jemand selig pries, werden aus allen Lebensbereichen
genommen: Schönheit, Ruhm, Reichtum erschienen den Griechen nicht weniger
preiswürdig als der Besitz trefflicher Kinder oder einer schönen Braut». Per
esempi di makarismos in autori greci e latini ved. Norden, 19233, 100-1, n. 1.
Lo schema del makarismos si presenta piuttosto rigido; all’interiezione Ë si
accompagnano gli aggettivi più usuali, quali µκαρ, µακριος, vλβιος,
ε,δαµων51, seguiti da un’apostrofe espressa da una relativa introdotta dal
pronome Rςο Rστις, la quale presenta i parametri che qualificano il soggetto come
beato agli occhi di un osservatore esterno. Tale relativa è tipica soprattutto della
predicazione innica, come già dimostra l’esempio omerico di Il. 1, 37-8 κλ3θµευ
ργυρ/τοξ0, ς Χρσην µφιββηκας / Κλλν τε ζαθην Τενδοι/ τε eφι
νσσεις, in cui all’epiteto del dio (ργυρ/τοξε) segue la proposizione relativa
contenente i luoghi di culto della divinità; ved. Norden 19233, 168-76.
Bowie 1989a, 231, sottolinea che la formula incipitaria ˵καρ,Rστις è di
derivazione elegiaca e rinvia a Theogn. vv. 1013-4 West2 ˵καρε,δαµωντε
καC vλβιος, Rστις mπειρος / mθλων ες Sδου δµα µλαν κατβη. Nelle brevi
elegie gnomiche di Teognide l’intervento a makarismos è uno dei moduli
incipitari più ricorrenti che «determinano e segnalano l’organizzazione dell’intero
intervento breve» (Vetta 1980, 143); cfr. anche Theogn. vv. 933-8, 1171-6, 1253-
4, 1335-6, 1375-6 West2. A questo esempio Vox 2003, 212, aggiunge anche
quello di Choeril. 317, 1-2 SH ˵καρ,Rστις=ηνκε*νονχρ/νονgδριςοιδ4ς,/
51 I tre aggettivi designavano originariamente tre tipi diversi di felicità: µκαρindicava una felicitàdi natura divina, vλβιος una di origini non indagabili mentre ε,δαµων descriveva la felicità come dono offerto da una divinità non individuabile; ved. Rossi 1971, 20, n. 32.
115
Μουσωνθερπων,Rτ0κOρατοςIν=τιλειµν, dimostrando in questo modo che
la formula ˵καρ,Rστις è la variazione di un makarismos già attestato in Il. 3,
182-3, benché in forma di vocativo, BµκαρSτρεÅδηµοιρηγεν(ςdλβι/δαιµον,/
INντοιπολλοCδεδµOατοκο3ροιSχαιν. Il testo omerico testimonia pertanto
l’uso della formula di beatitudine nella sfera secolare. Un’altra variazione di
questo makarismos è offerta da Bacch. 3, 10-4 Maehler Ëτρισευδαµ[ωνν$ρ,/
ςπαρ9Ζην'ςλαχwν/πλεσταρχονTλλνωνγρας/οeδεπυργωθνταπλο3τον
µ$ µελαµ- / φαρϊ κρπτειν σκ/τ7: Bacchilide fa consistere la beatitudine di
Ierone di Siracusa, vincitore nella quadriga a Olimpia, nell’avere ottenuto da Zeus
il privilegio di dominare sul più grande numero di Greci. Nel modello omerico si
nota, però, come la beatitudine di Agamennone non sia spiegata tramite una
relativa, come nella predicazione innica, bensì attraverso una proposizione
principale introdotta dalla congiunzione asseverativa I; lo stesso avviene per gli
altri casi di makarismos in Od. 11, 450-1 vλβιος· I γ9ρ τ/ν γε πατ$ρ φλος
vψεται)λθν / καCκε*νοςπατραπροσπτξεται,iθµις)στνe Od. 24, 192-3
vλβιε Λαρταο πϊ, πολυµOχαν0 ¹δυσσε3, / I mρα σMν µεγλp ρετo )κτOσω
mκοιτιν. Tuttavia, nell’Odissea, quando gli uomini, cui è rivolta la formula di
beatitudine, sono sentiti dal parlante come vicini o simili agli dei, il makarismos è
espresso tramite una relativa secondo il canone tipico delle invocazioni agli dei:
cfr. Od. 24, 36-7, in cui Agamennone giustifica la lode per Achille mediante la
relativa ς θνες )ν Τροp Xκ9ς ργεος, la quale precede l’invocazione vλβιε
Πηλοςυ\,θεο*σ0)πιεκελ0Sχιλλε3, che mette in risalto, tramite l’epiteto θεο*σ0
)πιεκελε, la natura divina di Achille, e Od. 5, 306-7 τρCςµκαρες∆αναοCκαC
τετρκις,οfτ/τ0vλοντο/ Τροp)νε,ρεp,χρινSτρεÅδpσιφροντες, a proposito
del quale Heer 1969, 11, scrive: «They are happy because they have ceased to be
insecure; it is not their death, but the moment of their dying and their present
condition that to Odysseus make them happy. It should be observed that the link
with the divine sense appears to be very tenuous». In Omero µκαρ viene
associato all’interiezioneB mentre Ëè molto frequente negli stereotipi Ëδελ,Ë
δειλο,Ëδειλ; ved. Radici Colaci 1979, 16.
116
Il relativoRστις, oltre a dare alla frase il carattere di una massima generale e
a delineare una situazione quasi paradigmatica52, conferisce solennità
all’enunciato del makarismos, poiché, come osservava già Dirichlet 1914, 26, la
lingua colloquiale disponeva di altri mezzi per esprimere il medesimo concetto
come, ad es., del genitivo di causa (cfr. Ar. Pac. 715 ¶µακαραβουλ$σM τ4ς
Θεωρας) o della proposizione causale (cfr. Ar. Ach. 400-1 ¶ τρισµακρι0
Ε,ριπδη,Rθ0δο3λοςοjτωσCσοφςjποκρνεται). Il topos del makarismos, che
si lega fortemente alla concezione greca, secondo cui la felicità umana deve
esprimersi all’esterno dell’uomo, viene adattato da Erode alla struttura dialogica
dell’epigramma.
====δειµε νδειµε νδειµε νδειµε νην πην πην πην π////λινλινλινλιν. Vox 2003, 212, scarta, come aveva già fatto Geagan
1964, 151, la possibile lettura ¨ην al posto di νην poiché, «vista la precisazione
immediatamente successiva che la “città” porta il nome di Regilla, dunque è
semmai π/λις !ηγλλης, non polis dell’ecista (Erode)». Il verbo δµω è poi
attestato come termine tecnico per indicare la costruzione materiale di una città e
non la sua fondazione per mezzo dell’ecista, per la quale è usato il verbo κτζω;
ved. LSJ, s. v.53. Pertanto il nesso =δειµε π/λιν non va tanto confrontato con il
dubbio Call. fr. 43, 80-2 Pfeiffer = 50, 80-2 Massimilla r]λʖαοʖςʖ -µετρην Rστις
=δειµε [π/λ]ιʖν (Hunt; [δ/µ]οʖν Massimilla; [τροφ]οʖνD’Alessio) / )ρ]χσθωµετ9
δʖαʖ*ʖτα, πρεστι δ( καC δ0 mγεσθαι κ]αC πλας· ο,κ dλʖ[]γʖωʖςʖ αʖ[K]µα βο'ς
κʖχʖυʖ[τ]αι, in cui si parla della fondazione di Zancle e dei suoi ecisti, quanto con
Nonn. D. 41, 67-8 καCΒερ/ηςνσσαντοπ/λινπρωτ/σπορον¨δρην,/ iνΚρ/νος
α,τ'ς=δειµε; Christ. A. P. 7, 697, 6Λυχνιδ/ν,iνΦο*νιξΚδµος=δειµεπ/λιν;
P. Sil. S. Soph. 241 εκαCπ;σαν=δειµας)µοCπ/λιν… e IGUR III 1151, 4-6Ιβηρ
cβηρος )νθαδC τετρχυται. / π/λινπαρ0 \ρOν, iν =δειµεΝικτωρ / )λαι/θηλον
µφCΜυγδ/νοςν;µα; ved. Vox 2003, 212.Nella forma media il nesso è usato da
Ath. Deipn. 11, 5, 16-7 α,τ/θι π/λιν )δεµατο ρκλειαν τ$ν Τρηχιναν
52 Ved. SCHWYZER 1950, II, 336: «einleitende Rστις,ποτε gegenüberRς,Rτε haben an sich nur den Begriff der Allgemeinheit, nicht der Wiederhölung». Per una discussione del significato e dell’uso dei relativi Rς eRστιςved. anche TZAMALI 1996, 138-140, nel commento a Sapph. 16, 3 Voigt e 170-1, nel commento a Sapph. 31, 2 Voigt. 53 Cfr. anche Il. 20, 215-6 ∆ρδανον αE πρτον τκετο νεφεληγερτα Ζες, / κτσσε δ(∆αρδανην, Od. 11, 262-3 καN0=τεκενδοπα*δ0,SµφοντεΖ4θ/ντε,οfπρτοιΘOβης¨δος=κτισανXπταπλοιο e Pi. P. 1, 61-2 τ2π/λινκενανθεοδ΄µτ7σMν)λευθερ]/ ¤λλδοςστθ΄µαςρων/ )νν/µοις=κτισσε, in cui =κτισσε riprende οκιστOρdel v. 31.
117
καλεοµνην; da Philo Judaeus, Spec. 2, 119, 6 οκας )ν τα,τ2 καC π/λεις
)δεµαντο e da Ios. Fl. AJ 1, 62, 2 καCπ/λιν)δεµατο.
Nell’epigramma di Erode il sostantivo π/λις ha una particolare enfasi
perché per sineddoche «equivale a χρος di IG II/III 2 3, 1, 5189a […] più
modestamente a οeκος» (Vox 2003, 212), dove tra i due coniugi regna uno stato di
concordia esemplare (µονοας θαντου). Non a caso infatti ai vv. 3-4
compaiono i termini οκα e δ/µος, che descrivono il campo semantico
dell’epigramma. La corrispondenza di =δειµε π/λιν a =δειµε οeκονpermette un
confronto anche con Od. 6, 9 )δεµατοοgκους, in cui Nausitoo, detto simile a un
dio, viene presentato come benefattore dei Feaci, per averli fatti trasferire
dall’ampia Iperea, vicino ai Ciclopi, a Scheria, per aver cinto loro la città di mura
e costruito le dimore. Il fatto che Erode venga caratterizzato nel makarismos
dell’osservatore per la costruzione della π/λις / οκα concorda con l’immagine di
benefattore di Erode che si trae dalla testimonianza filostratea relativa al
ripopolamento delle città di Orico nell’Epiro e di Canosa; cfr. V. S. 2, 551,14-7
kκισε δ( καC τ' )ν τo ¼περ7 ·ρικ'ν jποδεδωκ'ς Yδη καC τ' )ν τo |ταλ]
Κανσιον-µερσαςDδατιµλατοτουδε/µενον.Sull’attività di Erode a Orico
ved. Graindor 1930, 226, mentre per il suo interesse per la città di Canosa ved.
Graindor 1930, 68-9 e Ameling 1983, I, 87-8.
vv. 1-2.οοοονννν[[[[οοοο]]]]µαδµαδµαδµαδ0000αααα,,,,ττττ$$$$νννν////!!!!ηγηγηγηγλλʖηʖλλʖηʖλλʖηʖλλʖηʖςκαλςκαλςκαλςκαλων.ων.ων.ων.Questa espressione è, a parere
di Tobin 1997, 248, con approvazione di Vox 2003, 213, un indizio del fatto che
sicuramente il parlante vedeva sullo stipite che guarda verso l’esterno del terreno
l’iscrizione recante il nome di Regilla; riguardo alla posizione di IG II2 5189a ved.
Mallwitz 1964, 162, Vanderpool 1970, 44 e Tobin 1997, 248.
Il nesso ονοµα / vνοµα καλε*ν, usato per indicare il nome con cui una
persona o una città viene chiamata, è attestato in Od. 8, 550 εgπ0 vνοµ0, Rττι σε
κε*θι κλεονµOτηρ τεπατOρ τε, nella domanda che Alcinoo rivolge ad Odisseo
per conoscerne il nome; in Eur. Ion 259 vνοµα τ σε καλε*ν -µ;ς χρεν; nel
dialogo tra Ione e Creusa; in Bacchae 275-6 ∆ηµOτηρθε—/Γ4δ0)στν,vνοµαδ0
π/τερον βολp κλει; nel discorso di Tiresia sugli elementi essenziali per gli
uomini e in Plat. Crat. 383b, 5-6 Rπερ καλο3µεν vνοµα ¨καστον, το3τ/ )στιν
Xκστ7vνοµα;nelle parole di Ermogene sulla correttezza dei nomi.
118
v. 2.ζζζζειειειειγαλλγαλλγαλλγαλλ////µενοςµενοςµενοςµενος. Mette 1955, s. v.γλλοµαι, annota che il verbo si
costruisce sempre con il dativo. In questo caso però l’epigramma di Erode per
Regilla ne documenta un uso piuttosto raro senza complemento, benché si possa
intendere che qui γαλλ/µενος venga completato dal participio precedente καλων
sul modello di Il. 17, 473 τεχεα δ0 nκτωρ α,τ'ς =χων µοισιν γλλεται
Αακδαο(cfr. anche 18, 132) e Arch. fr. 128, 4 West2 καCµOτενικωνµφδην
γλλεο. Vox 2003, 213, cita, come unico confronto possibile, Hes. Sc. 86 ζεδ0
γαλλ/µενος σMν )υσφρ7 ¼λεκτρυνp e ricorda che «il precedente epico
suggerisce di supplire qui a ζειγαλλ/µενος il complemento σν!ηγλλp(φλp
λ/χ7: vd. v. 4)». Il nesso ζειγαλλ/µενος chiarisce che l’elogio espresso dal
passante è un makarismos privato per lodare la felicità coniugale di Erode,
piuttosto che un makarismos pubblico per celebrare l’ecista che ha edificato una
nuova città. L’osservatore immaginario tace il nome di Erode ma dà risalto alla sua
scelta di conferire alla città il nome della moglie.
Erode sfrutta l’espediente dell’elogio di un osservatore fittizio, ignaro della
tragedia che lo ha colpito, per dare risalto al suo sfogo di dolore nel distico
successivo.
v. 3. ζζζζω δω δω δω δ0 0 0 0 χʖχʖχʖχʖ[[[[νννν]]]]µενοςµενοςµενοςµενος.... A partire da questo verso la voce di Erode si
contrappone a quella dell’osservatore e si configura, sin dall’inizio, come una vera
e propria smentita dell’elogio precedente. Il terzo verso, che si presta a due
possibili letture, poiché una lettera sulla pietra non è più leggibile (ζω δ0
χʖ[ν]µενος oppure ζω δακ[ρ]µενος), si apre infatti con la ripresa del verbo
ζω il quale, indipendentemente dall’integrazione scelta, è accompagnato da un
participio che gli conferisce una sfumatura di significato opposta a quella
posseduta nel verso precedente. Già Geagan 1964, 151, preferisce la prima lettura
ζω δ0 χʖ[ν]µενος, dal momento che «the particle δ emphasizes the logical
structure of the epigram». A favore di questa tesi si aggiunge l’evidente richiamo
a Il. 24, 525-6, Uςγ9ρ)πεκλσαντοθεοCδειλο*σιβροτο*σι/ ζεινχνυµνοις·
α,τοCδτ0κηδεςεσ, in cui Achille esprime una legge di dolore valida per tutti
gli uomini, secondo la quale gli dei danno agli uomini afflitti beni e mali
mescolati insieme; cfr. vv. 527-30 δοιοCγρτεπθοικατακεαται)ν∆ι'ςοδει/
δρων οKα δδωσι κακν, ¨τερος δ( Xων· / ´ µν κ0 µµξας δp ΖεMς
119
τερπικραυνος, / mλλοτε µν τε κακ2 R γε κρεται, mλλοτε δ0 )σθλ2. Per Vox
2003, 213: «l’eco omerica vale ad escludere l’altra possibile lettura».
Le parole pronunciate dall’eroe rispecchiano, dunque, anche il destino di
Erode: come Peleo e Priamo, cui Achille allude nel suo discorso, avevano avuto
una vita felice ed erano stati modelli di prosperità e ricchezza fra gli uomini fino a
quando non avevano ricevuto dagli dei il dolore (v. 538 λλ0)πCκαCτ2θ4κεθε'ς
κακ/ν, v. 547 α,τ9ρ)πε τοιπ4µατ/δ0YγαγονΟ,ρανωνες), così anche Erode
ha sperimentato la sofferenza per la morte di Regilla e non è più l’uomo dalla vita
felice (ζειγαλλ/µενος), come invece commenta erroneamente l’osservatore.
ττττ////µοι.µοι.µοι.µοι.La causa del dolore di Erode viene introdotta dal pronome relativo
neutro τ/, il quale corrisponde qui al latino quod, accompagnato dal pronome
personale µοι. Quest’uso è stato rintracciato da Oliver, come ricorda Geagan
1964, 151, in Od. 11, 540 γηθοσνη,Rο\.Vox 2003, 214, aggiunge gli esempi di
Il. 9, 534 χωσαµνηRο\… e 20, 283 ταρβOσαςRο\…, ricordando che in Ebeling
1885, s. v. Rς, II 87, ne sono registrati altri.
οοοοκκκκα ταα ταα ταα τα3333τα ττα ττα ττα ττυκται.τυκται.τυκται.τυκται. Il nesso è caratterizzato dal prevalere del suono
gutturale e dentale e trova confronto solo in Od. 21, 215 οκα τ0 )γγMς )µε*ο
τετυγµνα; ved. commento a IG XIV 1389 B, 86 = 146 B, 86 Ameling. Il verbo
τεχω è impiegato solo in poesia e indica la costruzione materiale di δµατα,
θλαµον,νη/ν. In Omero è adoperato al passivo (ved. LSJ, s. v.τεχω) e la forma
ττυκταιricorre, salvo rare eccezioni, in clausola finale. La voce verbale ττυκται
può essere collegata per zeugma anche al successivo sintagma ν/σφ[ι] φλης
λ/χου e in questo caso il significato del verbo equivarrebbe a quello del verbo
εµ, conformemente a quanto viene annotato da LSJ, s. v.τεχω «hence in pf. and
plpf. pass. simply for γγνεσθαιor εeναι»; ved. anche Vox 2003, 214.
v. 4.νννν////σφ[ι]φσφ[ι]φσφ[ι]φσφ[ι]φληςληςληςληςλλλλ////χουχουχουχου.Il nesso φληςλ/χου è già ben attestato in Il. 4,
238; 6, 482, 495; 24, 495; Od. 9, 207; 22, 324 mentre nuova è la sua
combinazione con la preposizione ν/σφι.
δδδδ////µοςµοςµοςµος ----µιτελµιτελµιτελµιτελOOOOςςςς. L’aggettivo è presentato come -µιτλης, forse per un
refuso, da SEG, Ameling e Bowie, mentre viene corretto in -µιτελOς da Peek e
Vox.
120
Il secondo distico si conclude con un esplicito richiamo a Il. 2, 700-1 το3δ(
καC µφιδρυφ$ς mλοχος Φυλκp )λλειπτο / καC δ/µος -µιτελOς, dove viene
descritto il dolore straziante di Laodamia per la morte del marito Protesilao.
Questo verso, «indimenticabile commento sul destino delle tante mogli rimaste in
patria a rimpiangere coloro che se ne sono andati» (Mirto 1997, 869), era molto
noto nell’antichità e aveva influenzato la produzione poetica successiva, sia greca
che latina, la quale sviluppò per questa coppia mitica di sposi il tema dell’amore
eterno oltre la morte. Per le allusioni al mito di Laodamia e Protesilao nella
letteratura greca e latina ved. Radke 1957, 935-6.
Il nesso δ/µος -µιτελOς di questo epigramma, quindi, stabilisce subito un
confronto tra la sorte di Erode e quella di Laodamia, entrambi colpiti da un lutto
straziante, in virtù del quale la loro casa è detta -µιτελOς. Letteralmente
l’aggettivo significa «halb-finish» (LSJ, s. v. -µιτελOς) e indica una «casa non
completata». Tuttavia sin dall’antichità l’aggettivo viene spiegato in modo diverso
e Vox 2003, 214, ricorda che l’espressione omerica δ/µος -µιτελOς «veniva
interpretata […] metaforicamente come casa senza figli, oppure casa di chi non ha
(più) sposo/sposa, ovvero casa di vedovo/vedova». Cfr. schol. ad loc.: ∆/µος.
οeκος. µιτελOς. ÔΗτοι mτεκνος, < φpρηµνος το3 Xτρου τν δεσποτν. ÕΗ
τελεωτος. ²θος γ9ρ Iν το*ς γOµασι, θλαµον οκοδοµε*σθαι. ∆ι' ο\ πολλο
φασιν,οκοδοµνθλαµονXαυτ2Πρωτεσλαοςππλευσεν)πCτ'νπ/λεµον.
Βλτιονδ(, ερ4σθαι,-µιτελ4,δι9 τ'µ$γεγενηκ/ταπα*δαςπλε3σαι.Ο\δ(Rτι
νεωστC καC ο,δπω τελεως τ9 κατ9 τ'ν γεγαµηκ/τα οgκοι διεπρξατο, λλ9
πρ/τερον )στρτευσε; Apoll. Soph. 84 -µιτελOς Yτοι καθ0 ν δ/µον ο,δπω
πντα τ9 νοµιζ/µενα καC συγκυρο3ντα τ2 γµ7 συνετελσθη, < καθ0 ν ο,κ
=φθη πατ$ρ κληθ4ναι· τλειος γ9ρ οeκος γνεσιν τκνων jποδεξµενος;
Hesych. δ2184 δ/µος-µιτελOς·τελ$ςοeκος.µιτελOς·-µγαµος.Τλοςγρ
)στι γµος, καC ³Ηρα τελεα καC ΖεMς τλειος, Rτι γαµOλιο εσιν54; Eust.
Comm. ad Il. 1, 506, 18-29 Τ' δ ")λλειπτο δ/µος -µιτελOς" εgδους )στC
συµβολικο3.ο,γ9ρ=λλειψινστγηςxπλς<τοιοτουτιν'ςδηλο*λλ9τ'ντο3
οκοδεσποτο3ντοςφανισµ/ν,Uς τ2µ(ν-µσει, τoλ/χ7δηλαδO,συνεσττος
54 Anche Poll. 3, 38 ricorda che τλος era detto il matrimonio: τλοςγµος)καλε*το,καCτλειοιο\γεγαµηκ/τες.
121
το3δ/µου,τ2δ(λοιπ2µ$vντος,Yτοιτ2Πρωτεσιλ7τ2µηκτ0vντι.δι'καC
Γεωγρφος Sβους παρ0 µOρ7 επwν ντC το3 χωρCς γυναικν )πγει·
-µιτελ$ςγ9ρχ4ροςβος,UςκαCοeκοςτο3Πρωτεσιλουδι/τιχ4ρος.κατ9δ(
τοMς παλαιοMς κα, δι/τι µ$ διαταξµενος εE τ9 κατ9 οeκον ππλευσεν < µ$
παιδοποιησµενοςUς τελωςÖκ4σθαι τ'να,το3δ/µον,UςεeναιοDτω-µιτελ4
δ/µοντ'νmτεκνον.²νιοιδ(καCxπλςοDτω,δι/τι,φασν,οκοδοµνθλαµον
ππλευσεν.¨τεροιδφασιν,Rτιδ/µος-µιτελ$ς-µγαµος,Uςτο3Xτρουτν
οκοντων )στερηµνος. τλος γ9ρ γµος, Rθεν τελεους τοMς γεγαµηκ/τας
=λεγον.
Strab. Geog. 7, 3, 3, 11-2, cita questo nesso dell’Iliade, interpretando
-µιτελOς metaforicamente nel senso di «casa di vedovo», quando parla del popolo
tracio dei Ctisti, chiamati da Omero Ippemolgi, i quali vivono senza donne,
conducendo una vita βους; -γοµενον -µιτελ4 τινα βον τ'ν χ4ρον, καθπερ
καCτ'νοeκον-µιτελ4τ'νΠρωτεσιλουδι/τιχ4ρος. Invece loschol. in Soph. OT.
930 )κενουγ0οEσαπαντελ$ςδµαρ, interpreta il nesso omerico metaforicamente
come «casa senza figli» (το3το πρ'ς τ' γυν$ δ( µOτηρ `δε τν κενου τκνων·
το3το γ9ρ τλειον )ν γµ7·RθενκαC )κ το3 )ναντου±µηρ/ςφησι καCδ/µος
-µιτελOς) quando commenta l’aggettivo παντελOς, riferito a Giocasta, madre dei
figli di Edipo, affermando che la fecondazione è il fine del matrimonio. In questo
modo interpreta anche nel II-III sec. d. C. Clem. Alex. Strom. 2, 23, 140, 1 )πεC
καC γµον τιν9 οκτερουσιν ο\ ποιηταC "-µιτελ4" καC mπαιδα. Proprio
sull’ambiguità dell’espressione omerica giocano le parole che Luciano fa
pronunciare a Protesilao, il quale, a Eaco che gli chiede come mai vuole scagliarsi
addosso a Elena e soffocarla, risponde in DMort 27, 1 ±τιδι9τατην,BΑακ,
πθανον -µιτελ4 µ(ν τ'ν δ/µον καταλιπν, χOραν τε νε/γαµον γυνα*κα.
Tuttavia Luciano stesso offre anche un’interpretazione letterale di δ/µος-µιτελOς
in Cat. 8, 8-9 Τ$ν οκαν )κτελσαι µοι πρ/τερον )πτρεψον· -µιτελ$ς γ9ρ
δ/µος καταλλειπται. Qui il sintagma omerico sortisce l’effetto comico di un
uomo, il tiranno Megapente, il quale, morto, vuole ritornare per poco tempo sulla
terra solo per portare a termine la costruzione materiale della sua casa. Con il suo
significato letterale l’aggettivo viene ripreso anche da Philostr. Her. 12, 3. In
questo passo il viticoltore del dialogo riferisce che Protesilao non conferma tutto
122
quello che Omero ha detto sul suo conto, smentendo così che la sua casa non era
stata portata a termine; καCτ9=πητ9)ςα,τ'νερηµναµOρ7)παινε*κατοιµ$
πντα)παινντ9µOρου,Uςµφδρυφονµ(να,τ2τ$νγυνα*καεeπεν,-µιτελ4
δ( τ$ν οκαν, περιµχητον δ( τ$ν να3ν, )φ0 tς =πλευσε, πολεµικ/ν τε α,τ'ν
καλε*. Anche nella produzione letteraria latina δ/µος -µιτελOς ha avuto dei
riecheggiamenti ed è stato interpretato variamente. Cat. 68, 74, ne offre
un’interpretazione letterale. Parlando del suo amore con Lesbia e del suo incontro
con la donna nella casa dell’amico Allio, Catullo paragona l’ardore sensuale di
Lesbia a quello amoroso di Laodamia che entra nella casa di Protesilao, detta
inceptam frustra. Commentando Catullo 68, Lyne 1998, 201, difende
l’interpretazione letterale del sintagma omerico: «Protesilaus was still in the
process of building his wedding-chambre when he sailed away to war». A
sostegno della sua tesi Lyne cita Od. 23, 192 τ2 δ0 )γw µφιβαλwν θλαµον
δµον,vφρ0)τλεσσα, in cui Odisseo racconta a Penelope, quale prova della sua
identità, come ha costruito il letto nuziale.
Diversamente da Catullo, Val. Fl. Arg. 6, 688, interpreta δ/µος-µιτελOς in
senso metaforico, come mancata realizzazione di un matrimonio mediante il
concepimento dei figli e traduce l’aggettivo -µιτελOς con imperfecta, concordato
con domus, usato in senso figurato per famiglia; coniux miseranda Caico linquitur
et primo domus imperfetta cubili. Per un’interpretazione di questo passo delle
Argonautiche di Valerio Flacco ved. Spaltestein 2005, 197.
Il nesso è presente anche nell’iscrizione registrata in MAMA 1, 301. Per
quanto riguarda δ/µος -µιτελOς dell’epigramma di Erode, l’oscillazione di
significato del nesso è ben attestata anche per l’età di Erode: Ierocle, «un
presumibile contemporaneo di Erode» (Vox 2003, 215) intende il nesso οeκος
-µιτελOς come «casa di chi non è sposato»; Sναγκαι/τατ/ς )στιν περC το3
γµου λ/γος. ªπαν µ(ν γ9ρ -µν τ' γνος =φυ πρ'ς κοινωναν, πρτη δ( καC
στοιχειωδεσττητνκοινωνιν-κατ9τ'νγµον.οτεγ9ρπ/λεις~νIσανµ$
vντωνοgκων,οeκ/ςτε-µιτελ$ςµ(ντ2vντιτο3γµου,τλειοςδ(καCπλOρης
το3γεγαµηκ/τος, mentre in Attica, in base alla testimonianza di Ael. Herod. (?)
Philet. 31, l’espressione vale come «casa senza figli»; Τλειοιπαρ9το*ςSττικο*ς
123
ο\ =ντεκνοι·Rθενπαρ9τ2ποιητoοDτωςκοουσι τ'ν -µιτελ4δ/µονπαρ/σον
mτεκνοςIνΠρωτεσλεως·καCδ/µον-µιτελ4.
Queste constatazioni aiutano a concludere che Erode adopera δ/µος
-µιτελOς non tanto nel significato concreto di «casa non conclusa», visto che,
come ricorda Vox 2003, 215, il primo distico celebra propriamente
un’edificazione completa fino all’intitolazione a Regilla, quanto volutamente nel
doppio significato metaforico sia di «casa di vedovo» per la morte di Regilla, sia
di «casa senza figli», in riferimento alle morti premature dei figli che già lo
avevano addolorato profondamente. Secondo la testimonianza di Philostr. V. S. 2,
255, 10-15, Regilla era anche all’ottavo mese di gravidanza, quando morì; inoltre
i due figli, Atenaide e Regillo, erano morti solo alcuni anni prima della moglie.
v. 5.QQQQςςςςmmmmρατοιθνητορατοιθνητορατοιθνητορατοιθνητο****σιθεοσιθεοσιθεοσιθεοCCCCβιοτβιοτβιοτβιοτ$$$$νννν))))κερασκερασκερασκερασντ[ο].ντ[ο].ντ[ο].ντ[ο]. Sulla funzione delle
tre particelle Qς mρα τοι Geagan 1964, 152, 154, annota che «the particle Qς
connects this third couplet with the previous two […] the particle mρα stresses “the
interest or surprise occasioned by enlightenment or disillusionment”, while τοι
serves to alert the listener to the revelation of a fact». Vox 2003, 216, evidenzia la
novità sia del nesso βιοτ$ν)κερασντ[ο]che della voce verbale senza aumento
che non ha altre attestazioni. )κερασντ[ο]è una integrazione di Ameling 1983,
118, il quale individua nei vv. 5-6 due proposizioni coordinate, diversamente da
Geagan che integra con il participio κερσαντ[ες]; ved. infra. Il verbo κερννυµι è
impiegato per indicare la diluizione del vino con l’acqua; ved. Wakker 1991b, s. v.
Qui regge l’accusativo βιοτOν, usato metaforicamente secondo l’immagine del
mescolare il cratere, espressa dallo schema etymologucum κρ4τηρακερσσαντο;
cfr. Od. 3, 393 e 18, 423. ΒιοτOν è il cratere della vita in cui si mescolano insieme
sia le esperienze positive che negative. Riconoscendo nella mescolanza di gioie e
dolori una volontà degli dei, Erode riecheggia nuovamente Il. 24, 525-30; ved.
supra 55. L’avvicendarsi di gioie e dolori è un tema ricorrente della lirica: Arch. fr.
128, 7 West2 γγνωσκεδοKοςNυσµ'ςνθρ/πους=χει, lo definisce il ritmo che
governa gli uomini. La stessa alternanza è confessata da Theogn. vv. 357-8 West2
Uς δ περ )ξ γαθν =λαβες κακ/ν, ¬ς δ( καC αEθις / )κδ3ναι πειρ θεο*σιν
55 Pi. P. 3, 81-2, aveva mutuato da questo passo dell’Iliade l’enunciato ¿ν παρ0 )σλ'ν πOµατασνδυοδαονταιβροτο*ς / θνατοι,per adattarlo alla situazione del monarca che sa tollerare il male e ostentare il bene che la sorte gli ha dato.
124
)πευχ/µενος, il quale, nei vv. 1033-6 West2 riconosce anche l’impossibilità
dell’uomo di sfuggire a ciò che è stato loro riservato dagli dei in quanto egli può
solo accettare il bene e il male avuto in sorte; cfr. anche Theogn. vv. 591-2 West2
Τολµ;νχρO,τ9διδο3σιθεοCθνητο*σιβροτο*σιν,/Nηϊδωςδ(φρεινµφοτρων
τ'λχος.La mescolanza di gioie e dolori viene anche confessata da Socrate che
dialoga con Protarco in Plat. Phil. 50b 1-4 Μηνειδ$ν3νλ/γος-µ*ν)νθρOνοις
τεκαC)ντραγ7δαις<καCκωµ7δαις>,µ$το*ςδρµασιµ/νονλλ9καCτoτο3
βουσυµπσp τραγ7δ]καCκωµ7δ], λπας-δονα*ςªµακερννυσθαι,καC )ν
mλλοιςδ$µυροις.Libanio nel IV sec. d. C. ripropone questa convinzione in Or. 1,
1, 8-10 Uς εδε*εν ªπαντες, Rτι µοι τ9 τ4ς τχης )κρασαν ο\ θεοC καC οτε
ε,δαιµονστατοςοτεθλιτατος)γ. Kock ricavava da questo passo di Libanio
Com. adesp. fr. 495, non accolto poi nell’edizione di Kassel-Austin.
v. 6. χ χ χ χ[[[[ρ]µατρ]µατρ]µατρ]µατ ττττ0 Y0 Y0 Y0 Yδδδδ0 0 0 0 ννννας γεας γεας γεας γετονας.τονας.τονας.τονας. I sostantivi χρµατα e νας
riecheggiano rispettivamente il contenuto dei due distici precedenti. Questa
compresenza di gioia e dolore, ammessa da Erode, richiama alla mente le parole
che la nutrice pronuncia al riconoscimento di Odisseo in Od. 19, 471 τ$νδ0ªµα
χρµα καC mλγος ¨λε φρνα. Come in Omero, anche in questo epigramma
χ[ρ]µαττ0Yδ0νας offre un forte ossimoro56, che caratterizza concettualmente
la struttura complessiva dell’epigramma. In Eur. Hel. 321 πρ'ς τ9ς τχας τ'
χρµα τοMς γ/ους τ0 =χε, gioia e dolore sono presentati come alternative
dell’animo, in conformità alle circostanze, dal coro che esorta Elena a reagire
come conviene a seconda che Teonoe le riferisca che Menelao è vivo o morto.
I due sentimenti sono poi definiti da Erode in modo metaforico γετονας,
cioè «vicini». Geagan 1964, 152, seguito da Ameling 1983, II, 119 e Vox 2003,
216, rinvia per questo uso di γετων, riferito a sostantivi astratti, a Aesch. Ag.
1003-4 ν/σοςγ9ρ / γετωνµ/τοιχος)ρεδει; invece una certa cautela presenta
Bowie 1989, 231, nel chiamare in causa questo passo di Eschilo. Vox 2003, 216,
aggiunge anche l’esempio di Critias 6, 21 West2 καC τ$ν Ε,σεβης γετονα
Σωφροσνην e ricorda che l’elegiaco Crizia era uno degli autori prediletti di
Erode Attico sulla base della testimonianza di Philostr. V. S. 2, 1, 564 προσκειτο
56 I vv. 469-72 dell’Odissea sono caratterizzati da una combinazione insolita di ritmo, suono e concetti; ved. RUSSO-GALLIANO -HEUBECK 1992, III 98.
125
µ(νγ9ρπ;σιτο*ςπαλαιο*ς,τ2δ(Κριτ]καCπροσετετOκεικαCπαρOγαγενα,τ'ν
)ςYθηTλλOνωντωςµελοµενονκαCπεριορµενον.
µφµφµφµφCCCCςςςς====χχχχωʖωʖωʖωʖ.... La lettura dell’ultima lettera, con cui l’epigramma si conclude, è
piuttosto dubbia. Geagan 1964, 152, riporta che «the third letter may be read as an
omicron, a theta, a lunate epsilon or sigma». Egli però, leggendo al v. 5
κερσαντ[ες], come participio congiunto di θεο, è costretto a integrare con
=χοʖ[υν], imperfetto del verbo χ/ω,perché il senso del terzo distico gli impedisce
di leggere una forma del verbo=χω e ragioni metriche di integrare con forme del
verbo χω o con un aoristo diχ/ω.Pertanto traduce nel seguente modo: «for, in
truth, the gods, when they have mixed the cup of life for mortals, puor out joys
and griefs side by side». Ameling 1983, II, 118, corregge la forma verbale
tramandata dalla pietra in )κερασντ[ο] e integra l’ultimo verso con =χω,
intendendo come soggetto di quest’ultimo Erode Attico stesso e interpreta: «So
also mischten die Götter das Leben den Sterblichen, Freude und Trauer habe ich
als Nachbarn um mich herum». Bowie 1989a, 231, concorda con Ameling e
traduce: «so it is, you see, that for mortals gods have blended life / and I have as
my neighbours on other side both joys and woes». In tal modo Ameling recupera
l’espressione µφCς=χω, attestata con il significato di «1a auf (von) beiden Seiten
[…] 2 gesondert, auseinander, fern, in zwei Teile» (Busch 1965, s. v. µφCς). Qui
µφCς=χω assume il significato di «ho da una parte e dall’altra», «sono stretto in
mezzo a» (Vox 2003, 216) e vale come espressione di impotenza di fronte alle
alterne vicissitudini della vita. Con questo significato, ma con valore positivo,
µφCς =χω è attestato in Robert-Robert 1954, 189-90, nr. 93, un iscrizione in
prosa del 172 d. C., di poco posteriore a quella di Erode per Regilla, con cui si
rivela l’identità di Eutico che giace nella tomba, il quale viene celebrato per aver
visto la città e conosciuto le menti di molti uomini che hanno intorno il cosmo
immenso; νθρπωνοfκ/σµονπεριτονµφC=χουσι.
L’espressione µφCς=χω riechieggia poi una fraseologia tipica da epitimbio,
come dimostrano gli esempi di Greg. Naz. A. P. 8, 137, 2 τµβοςRδ0µφCς=χω;
8, 170, 2 τµβοιδ(θυηπ/λονµφCς=χουσι; SEG 23, 155)ξγαθν[προγ/νων
ερ/πτηντ'νβαρυπεν]θ4/ j'νΜεδ[ωνοςτµβοςRδ0µφCς=χει]; IG XII 5, 304,
126
6-7 [ν µε Περσεφ/νης] / µφCς =χει θ[λαµος] e Mil. 459, 1-2 [τµβος] Rδʖ0
ʖ[µφCς=χειτελ]σʖ[ασαντρε*ς]σʖεβο[ιο]/ Xβδοµδας.
Pertanto con i vv. 5-6 Erode espone una riflessione personale sulla propria
esperienza, fatta di gioie e dolori per volontà degli dei; «The final epigramm adds
a third mood to the joy of the first and the sorrow of the second, a mood of
understanding and acceptance of joy and sorrow» (Geagan 1964, 153).
Vox 2003, 216, pur stampando l’integrazione di Ameling, esprime la sua
perplessità nel ritenere la conclusione dell’epigramma troppo scontata. Proprio la
difficile lettura dell’ultima parola induce lo studioso a proporre come plausibile
integrazione l’infinito consecutivo =χειν, intendendo come soggetto sottinteso i
mortali, ricavabile dal v. 5 θνητο*σι. In questo modo l’epigramma si
concluderebbe con una verità universale che riguarda non solo Erode ma tutto il
genere umano, in armonia al modello dell’Iliade riecheggiato: «Così, in realtà, gli
dei hanno mescolato per i mortali la coppa della vita, sì che abbiano gioie e dolori
per vicini, da un lato e dall’altro» (trad. Vox).
127
7 = 140 Αmeling
Peek 1942, 306; Peek 1955, 1613; Peek 1960, 356; SEG 26, 290.
Cefisia. Quasi sotto la chiesa di Agia Paraskevi.
Su un blocco di marmo bianco.
Intorno al 161 d. C.
Cfr. Peek 1942, 136-9, nr. 306; Ameling 1983, II, 143-6, nr. 140; Tobin
1997, 225-8; Galli 2002, 157-62.
L’iscrizione fu ritrovata su un blocco di marmo bianco nel 1866 a Cefisia, a
nord ovest della pianura di Platea, quasi sotto la chiesa di Agia Paraskevi, durante
gli scavi per la costruzione di un edificio. In quell’occasione venne scoperta anche
una tomba con quattro sarcofagi. Benndorf 1868, il primo a dare una descrizione
dettagliata della tomba, avanzò l’ipotesi che la struttura tombale riportata alla luce
appartenesse alla famiglia di Erode Attico sulla base di testimonianze letterarie e
archeologiche che documentano la presenza del retore proprio nell’area di
ritrovamento della tomba. I sarcofagi sono piuttosto differenti tra loro. Il più
grande e forse anche il primo a essere stato posto nella tomba è collocato sul lato
opposto a quello d’ingresso; il secondo invece è decorato con amorini e con le
figure di Amore e Psiche al centro e ha in comune con il primo motivi sepolcrali
molto usuali. Il terzo sarcofago non è decorato mentre il quarto presenta un
dipinto piuttosto inusuale come tema sepolcrale: la famiglia reale spartana. Da
questa rappresentazione il sarcofago prende il nome di «sarcofago di Leda». Il
mito racconta che Leda, moglie del re di Sparta Tindaro, aveva dato alla luce
quattro figli di Zeus che si era unito a lei nelle sembianze di un cigno. Leda partorì
due uova: da uno uscirono Elena e Polluce, dall’altro Clitemestra e Castore. Il
riferimento a questo mito non risulta in nessun modo casuale in un complesso
tombale collegato alla figura di Erode, se si ricorda che questi e la sua famiglia
avevano stretti legami con la città di Sparta; sul tema ved. Spawforth 1980 e Perry
128
2001, 468-71. Per una descrizione della tomba romana di Erode Attico ved.
Tschira 1948-1949, Tobin 1997, 219-24 e Perry 2001, 464-68, 484-90
Peek 1942, 139, avanza l’ipotesi che l’iscrizione in questione potrebbe
essere appartenuta alla tomba romana di Erode Attico. Tobin 1997, 225, osserva
che il trattamento del blocco di pietra dell’iscrizione è simile a quello della tomba
e che la sua grandezza corrisponde a quella dei blocchi di pietra del dromos, cioè
del passaggio di ingresso che conduce giù alla tomba. Secondo questa ipotesi i
visitatori che scendevano nella tomba potevano leggere l’epigramma relativo alla
dedica di una ciocca di capelli di Erode per un figlio morto nei primi mesi di vita.
Lo stesso epigramma sembra confermare questa ipotesi perché il v. 3 sottolinea
come Erode metta la ciocca sottoterra e non sulla tomba, come era più consueto.
Il blocco di marmo bianco rivela che la superficie non era stata preparata
inizialmente per accogliere un’iscrizione, perché questa appare lisciata
imperfettamente. A questa osservazione si deve aggiungere la constatazione che
l’epigramma fu inciso con poca cura poiché le righe del testo non scorrono
parallelamente tra di loro ma sono leggermente inclinate a destra.
Il blocco di marmo contiene un epigramma funebre in distici elegiaci in
stretto rapporto con il complesso architettonico di appartenenza come nel caso
delle iscrizioni triopee a Roma (IG XIV 1389 A-B = 146 A-B Ameling) e di SEG
23, 121 = 99 Ameling sulla Porta della Concordia immortale a Maratona. Per
Galli 2002, 157 «erweist sich auch bei der Gestaltung des Grabbaus in Kephissia
der gezielte Einsatz der Inschrift als bewußt von dem Sophisten verwendetes
Kommuniktionsmedium» (Galli 2002, 157).
ρδη,σοC τOνδεκ/µην,ο,πντα)νιαυτ/ν
οτεκ/µηνθρψαςοτεσ(πα*δαφλον
µηνCτρτ7κερας,jπ'κεθεσιθOκατογαης,
ρδηςδεσαςmκρακ/µηςδκρυσι·
σ4µ0=τυµονπαδωνψυχα*ςτρισν,Qςποτεσµα 5
δξεσθ0)νθOκαιςjµετροιοπατρ/ς.
v. 1 ρδη,σοC Skenteri, ρδης,ο×alii v. 2 κ/µηνPeek, probb. alii, κ/ρην Ameling.
129
Erode, per te ha posto questa chioma nel profondo della terra Erode, dopo
avere bagnato le punte della chioma con le lacrime, poiché egli non ha cresciuto
né te, caro figlio, né la chioma in meno di un anno; l’ha tagliata al terzo mese:
sia un segno per le tre anime dei figli, che un giorno voi accoglierete nelle vostre
tombe il corpo di vostro padre.
Il tema dell’epigramma è la dedica di una ciocca di capelli per la morte di
una persona cara. Simili offerte sono ben documentate, ricorda Peek 1942, 137, in
età classica come rito nel culto dei morti; ved. Sommer 1912, 64-84. Tuttavia gli
esempi disponibili per queste offerte fanno riferimento soltanto a un tempo mitico
e non dimostrano se l’offerta di una ciocca di capelli fosse in uso nell’Atene del V
sec. a C. In Il. 23, 135-53 i cavalieri dell’esercito greco dedicano a Patroclo
defunto una ciocca dei loro capelli mentre Achille rasa completamente la sua
capigliatura offrendola in onore dell’amico. Il taglio dei capelli viene anche
ricordato come offerta funebre per Achille da Agamennone in Il. 24, 45-6.
L’offerta di una ciocca di capelli presso la tomba di una persona cara è anche la
scena con cui si aprono le Coefore di Eschilo (vv. 6-7). Il mito di Oreste aveva
fatto di questa usanza un elemento essenziale del processo di riconoscimento del
giovane da parte della sorella Elettra. Questa pratica funebre ricorre anche in
Soph. Aj. 1173-5; El. 449, 901; Eur. El. 90, 515; Or. 96, 113; IT 172, 703.
Eust. Comm. ad Il. 2, 11 e 23, 141, spiega che gli antichi Greci crescevano i
capelli lunghi per dedicare poi la loro chioma ad Apollo o ai fiumi e che la
tagliavano anche in segno di dolore. A questa usanza di tagliare i capelli allude
anche Plat. Phaed. 89b 5, dove Socrate, scherzando sulla chioma dell’amico
Fedone, esorta il giovane a non aspettare il giorno successivo per tagliare i capelli
per la morte del maestro, ma ad adempiere questo rito in quello stesso momento.
Entrambi infatti dovrebbero ostentare una capigliatura corta in segno di lutto,
qualora i loro argomenti dovessero venire meno e non potessero essere più
riportati in vita (89b 9 - c 10). Plu. Mor. 267b, informa che in occasione di un
lutto le donne erano solite tagliare i capelli e gli uomini invece farli crescere. Per
questi motivi Peek 1942, 137, conclude che «Herodes hat jedenfalls eine zu seiner
Zeit längst außer Gebrauch gekommene Sitte wiederaufgenommen».
130
v. 1. ρρρρδηδηδηδη,σ,σ,σ,σοοοοCCCC ττττOOOOνδενδενδενδεκκκκ////µηνµηνµηνµηνοοοο,,,,ππππνταντανταντα))))νιαυτνιαυτνιαυτνιαυτ////νννν. Peek 1942, 136, seguito
dagli studiosi successivi, legge la prima parte del verso come ρδης, ο×.
Secondo questa lettura il primo verso riassumerebbe, in uno stile pregnante, gli
elementi significativi dell’epigramma e cioè il nome del padre che compie
l’offerta funebre (ρδης), ripetuto al v. 4; l’espressione di dolore che
l’accompagna (ο×), la quale darebbe subito una chiara idea del clima generale del
componimento; l’oggetto dell’offerta (τOνδεκ/µην), che viene ripetuto tre volte
nel corso dell’epigramma e l’indicazione di un arco di tempo inferiore a un anno
(ο,πντα)νιαυτ/ν), che amplifica il sentimento di dolore di Erode per la perdita
del figlio appena nato. Il componimento risulta però privo del nome del defunto
che è un elemento caratteristico di un epigramma funebre; ved. Fantuzzi-Hunter
2002, 413, i quali affermano che tacere il nome del defunto era «una forma
estrema delle possibilità di deroga alle convenzioni più comuni dell’epigrafe
funeraria». Questa constatazione, insieme alla difficile sintassi del testo, che ha
messo i traduttori alla prova e ne ha impedito la piena comprensione, induce
Skenteri 2005, 75, a distaccarsi dalla lettura tradizionale del testo. A suo giudizio
accettare la lettura data da Peek significa ammettere in un testo corto come quello
epigrafico, «a waste of space, aesthetically questionable and alien to the genre».
Così propone, mediante una diversa divisione delle lettere iniziali, la lettura
ρδη,σοC. Questa correzione permette, da una parte, di conoscere il nome del
bambino, dall’altra, di assegnare all’epigramma in esame tutte le caratteristiche
tipiche del suo genere, quali:
1) il vocativo del nome del defunto seguito dal dativo σο, che funge da
introduzione all’epigramma,
2) il nome del padre che compie l’offerta per il figlio.
Questa correzione si basa sul fatto che, mentre le testimonianze di ο× come
esclamazione di dolore, rintracciabili nel TLG e confrontabili con questo
epigramma, sono Kaibel 1878, 418, 5-8 αα* τ$ν )πC ππλα καC ες µριστα
πεσο3σα[ν / στµµατα καC ββλου(ς) σε*ο, πρ/µοιρε, [τ]φρην Ø / ο× θρOνοισι
βοητ'νjµOναον,ο×προκελεθους /λαµπδας,jστατουκαCκενεο*[ο]λχουςe
IGUR III 1319, 7-8 ο×<U>ς µ(ν θαλpσι λυρ/κτυπος, Uς δ( κραται'ʖ[ς] µφC
π<>λpβι/τουmʖ[ν]θος=χων=θανες, quelle del dativo σο,dopo un vocativo a
131
inizio di epigramma o di una struttura sintattica, sono più convincenti; cfr. Gaet.
A. P. 5, 17, 1 SγχιλουNηγµ*νος)πσκοπε,σοCτδεπµπω; Rufin. A. P. 5, 21,
5-6 µOτιςσοι,µετωρε,προσρχεται<κολακεωνλσσεται; 5, 74, 1 Πµπωσοι,
!οδ/κλεια, τ/δε στφος, mνθεσι καλο*ς; Mel. A. P. 5, 140, 3 Ζηνοφλα, σοC
σκ4πτραΠ/θωνπνειµαν; 5, 191, 7-8 "Κπρι,σοCΜελαγρος,µστης/σν
κµων,στοργ4ςσκ3λατδ0)κρµασε"; Jul. A. P. 6, 28, 7-8 Εριονιε,σοCτδε
Βατων / δρα φρει; Phil. A. P. 6, 101, 7-8 βραδυσκελ$ς ³Ηφαιστε, σοC
Τιµασων/=θηκεν,κµ4ςγυ*ονqρφανωµνος, Antiph. A. P. 6, 199, 1-2 Ενοδη,
σοC τ/νδε φλης νεθOκατο κ/ρσης / π*λον, δοιπορης σµβολον, Sντφιλος;
Diod. A. P. 6, 245, 3-4 Βοιτιε, σο µε,Κβειρε / δσποτα, χειµερηςmνθεµα
ναυτιλης; Phaedim. A. P. 6, 271, 1 ρτεµι,σοCτ9πδιλαΚιχησουεrσατου\'ς;
Antiph. A. P. 6, 287, 1 ρτεµι,σοCταταν,)υπρθενε,π/τναγυναικν; Nicod.
A. P. 6, 314, 1 Πηνελ/πη,τ/δεσοCφ;ροςκαCχλα*ναν¹δυσσεMς; Leon. A. P. 6,
325, 2 Επολι,σοCπµπειδραγενεθλδια; Diod. A. P. 6, 348, 6 ρτεµι,σοCδ(
κυνν θηροφ/νων =µελεν; Diog. Laert. A. P. 7, 88, 1 Φωσφ/ρε, σο,
Πολδευκες,=χωχριν,οDνεκενυ\'ς; Lucill. 11, 258, 3 Ζε3δσποτα,σοCτχα
θOσει.
La novità di questo epigramma consisterebbe dunque, secondo questa
lettura, nella ripetizione del medesimo nome (ρδης) riferito a due persone
distinte; ved. Skenteri 2005, 76. Il bambino cui Erode dedica la ciocca di capelli
non è nominato in altre fonti. Filostrato cita il nome di quattro figli: Elpinice,
Atenaide, che lui chiama Panatenaide, Regillo e Bradua. Ved. anche commento a
IG XIV 1389 A, 13-7 = 146 A, 13-7 Ameling.
ττττOOOOνδεκνδεκνδεκνδεκ////µην.µην.µην.µην.L’espressione presuppone una riproduzione visiva della ciocca
di capelli sulla pietra; ved. Peek 1942, 139. Il sostantivo κ/µηè ripetuto per ben
tre volte in casi differenti ai vv. 1, 2, 4. La stessa ripetizione si registra per πα*ς
(v. 2 πα*δα,v. 5παδων). Cfr. anche θOκατοdel v. 3 e θOκαιςdel v. 6.
ππππνταντανταντα ))))νιαυτνιαυτνιαυτνιαυτ////ν.ν.ν.ν. Il nesso corrisponde a Rλον )νιαυτ/ν, attestato in prosa
come, p. es., in Pseudo-Apoll. 2, 81, 5 συνεδωξεν Rλον )νιαυτ/ν e Plu. Mor.
207c, 9 καC κατσχεν α,τ'ν Rλον )νιαυτ/ν. Per quest’accezione dell’aggettivo
π;ς ved. Kühner-Gerth 1898, I, 631-2. Il nesso πντα )νιαυτ/ν indica
propriamente un arco di tempo di 12 mesi e, preceduto dalla negazione ο,,
132
esprime l’idea di un ciclo non concluso. Con questo significato )νιαυτ/ς è
attestato in Od. 1, 16 λλ0Rτεδ$=τοςIλθεπεριπλοµνων)νιαυτν, dove è messo
in contrapposizione a =τος, altro sostantivo che esprime l’idea di anno; ved.
Emlyn-Jones 1967, 157. La medesima contrapposizione si riscontra anche in Ar.
Ra. 347 χρονους τ0 )τνπαλαιν )νιαυτοMς; ved. Dover 1997, 129. In tutte le
altre occorrenze omeriche i sostantivi =τος ed )νιαυτ/ς sono invece usati senza
alcuna distinzione di significato tanto che l’unico criterio discriminante sembra
essere quello metrico, dal momento che si registra una forte tendenza a usare il
sostantivo )νιαυτ/ς in clausola di esametro. Per i passi dell’Iliade e dell’Odissea
in cui sono usati =τος ed )νιαυτ/ς, ved. Beekes 1969, 139, 140-1; cfr. anche Es.
Th. 184, 493, 636, 740, 795, 799, Op. 561, Sc. 87, fr. 17 a, 6 Merkelbach-West.
vv. 2-3. οοοοτετετετεκκκκ////µηνµηνµηνµηνθρθρθρθρψαςψαςψαςψαςοοοοτετετετεσσσσ((((παπαπαπα****δαδαδαδαφφφφλονλονλονλον////µηνµηνµηνµηνCCCCτρτρτρτρττττ7777κεκεκεκεραςραςραςρας.... Peek
1942, 137, vede in questi due versi una simmetria di costrutto. Egli crede che
κ/µηνe σ dipendano rispettivamente dai participi aoristi θρψαςe κερας. Tale
simmetria verrebbe sottolineata dall’anafora della congiunzione negativa οτε.
Pertanto lo studioso traduce: «weder ließ er ein ganzes Jahr sein Haar wachsen,
noch an dir, seinem lieben Kinde, im dritten Monat die Schur vollziehen». Egli
spiega questi versi con l’usanza ateniese del meion che prevedeva il taglio dei
capelli del neonato durante il secondo giorno della festa delle Apaturie. Durante il
primo anno di vita poi i capelli del bambino venivano nuovamente tagliati durante
la festa delle Apaturie, perché egli fosse inserito in una fratria. Sulla festa delle
Apaturie ved. Töppfer 1894; sulla cerimonia del meion Schultheß 1931. Ameling
1983, II, 145, immagina che il figlio di Erode muoia prima dell’adempimento di
questo rito e che il padre dapprima tagli i capelli dopo la morte del figlio in segno
di lutto e che dopo tre mesi offra la propria ciocca al posto di quella del neonato
durante la cerimonia del meion. Questa spiegazione però dà piuttosto adito ad
altre obiezioni poiché rimane difficile comprendere «the value this act would have
had for a dead infant» (Tobin 1997, 226). Inoltre la ciocca di capelli veniva
dedicata nuovamente al compimento del primo anno di vita del bambino e non
dopo tre mesi, come invece farebbe pensare questo epigramma secondo
l’interpretazione di Peek 1942 e Ameling 1983; ved. Tobin 1997, 226. Mancano,
da una parte, esempi paralleli di offerte di una ciocca di capelli di un padre per il
133
figlio defunto durante la festività delle Apaturie, dall’altra, attestazioni del nesso
πα*δα κερειν; per l’uso di κερω nel significato di «crop a person […] in sign of
mourning» ved. LSJ, s. v. κερω, 2 e cfr. Hdt. 9, 24σφαςτεα,τοMςκεροντες
καCτοMςrππους.
A distanza di diciotto anni Peek 1960, 356, propone una nuova
interpretazione del testo, accolta anche da Bowie 1989a, 232, da Richardson, che
traduce l’epigramma per Tobin 1997, 225, e da Skenteri 2005, 75. Egli riconosce
nei versi 2-3 uno zeugma e considera i due accusativi κ/µηνe σ(πα*δαφλον
retti dal participio θρψας. L’anafora della negazione οτε enfatizzerebbe ora,
secondo Peek, una ricercatezza stilistica: «kein volles Jahr durfte er sein Haar
wachsen lassen, noch nicht, sein liebes Kind, heranwachsen sehen» (trad. Peek). Il
nesso κ/µην θρφειν è attestato solo in Plu. Cic. 35, 7, 5 α,το3 το3 Μλωνος
ε,θαρσςκαCδεςπαρισταµνουτ2γνικαCκ/µηνθρψαικαCµεταβαλε*ν
)σθ4τα φαι9ν παξισαντος. Per θρφειν πα*δα cfr. Theogn. v. 275 West2
πα*δας )πεC θρψαιο; Pind. P. 9, 18 δ( τ9ν ε,λενον θρψατο πα*δα
Κυρναν; Eur. Med. 562 πα*δαςδ(θρψαιµ0ξωςδ/µων)µν; Tr. 702πα*δα
τ/νδε παιδ'ς )κθρψειας~ν. Già in Il. 8, 383; 18, 57 e Od. 2, 131; 19, 368 il
verbo θρφω è usato per indicare tutte le cure necessarie per la crescita di un
bambino.
Ameling 1983, II, 143, critica invece la proposta di Peek «da sie den Dichter
(H.?) vor dem fast unzumutbaren Zeugma bewahrt». Tuttavia egli, tenendo conto
della difficile lettura della pietra, si chiede se sia possibile leggere al v. 2 οτε
κ/ρην θρψας al posto di οτε κ/µην θρψας. Il senso dei tre versi sarebbe il
seguente: «Herodes hat, ach, dieses Haar, nachdem er weder die Tochter, noch
dich, lieben Sohn, ein Jahr lang aufziehen durfte, im dritten Monat abgeschnitten
und in die Tiefe der Erde gelegt» (trad. Ameling). In base a questa lettura,
l’epigramma menzionerebbe una figlia e un figlio di Erode, morti a tre mesi di
distanza l’uno dall’altro. Lo stesso studioso però si rende conto della difficoltà
creata da questa proposta: «will man nicht eine Doppelgeburt annehmen oder
noch ein anderes unbekanntes Kind, so muß der Sohn das Kind von ad M. Caes.
1, 6, 8 sein; das gerade geborene und verstorbene Kind wäre dann eine Tochter.
134
Die Umkehrung der zeitlichen Reihenfolgen im Vers mag metrische Gründe
haben, weil οτεπα*δα… unmöglich ist» (Ameling 1983, II, 145).
µηνµηνµηνµηνCCCC τρτρτρτρττττ7777 κεκεκεκεραςραςραςρας. In questo modo l’epigramma indica l’età in cui il
neonato è morto. Peek 1960, 356, collega µηνC τρτ7 κερας alla prima
indicazione temporale ο, πντα )νιαυτ/ν e ritiene che in questo modo
l’epigramma lasci intendere che Erode soffre ancora per un lutto piuttosto recente,
per il quale ha tagliato già corti i capelli, quando si abbatte su di lui la morte di un
figlio che lo getta in uno stato di profondo dolore, per il quale taglia nuovamente i
capelli corti. Il risalto conferito all’impossibilità di crescere i capelli a causa dei
due lutti fa pensare che Erode avesse l’abitudine di portare i capelli lunghi,
nonostante le statue lo ritraggano sempre con i capelli corti. Per l’allontanamento
dalla realtà negli epigrammi collegati alla figura di Erode Attico ved. IG XIV
1389 A, 12 = 146 A, 12 Ameling.
v. 3. jjjjππππ'''' κεκεκεκεθεσιθθεσιθθεσιθθεσιθOOOOκατογακατογακατογακατογαης.ης.ης.ης. L’espressione jπ'κεθεσιθOκατογαης
completa il secondo esametro. Il nesso jπ'κεθεσιγαης è attestato in Il . 22, 482;
Od. 24, 204; H. Hom. Cer. 398; Hes. Th. 300, 483; Theogn. v. 243 West2 e indica
propriamente la collocazione geografica dell’Ade; cfr. anche IEgVers 24, 11 =
SEG 24, 1216, 10.
v. 4.ρρρρδηςδεδηςδεδηςδεδηςδεσαςσαςσαςσαςmmmmκρακκρακκρακκρακ////µηςδµηςδµηςδµηςδκρυσικρυσικρυσικρυσι. Con questo verso si conclude la
prima parte dell’epigramma e viene reso noto il nome di colui che dedica una
ciocca di capelli per il fanciullo (ved. supra).
Per le lacrime di dolore come consolazione per la scomparsa di una persona
amata ved. Od. 4, 197-8 dove le due usanze di tagliarsi i capelli e versare lacrime
per un defunto vengono presentate come gli unici conforti che gli uomini hanno a
disposizione. Il verbo δεω è qui accompagnato dal dativoδκρυσι come in Od.
7, 260 εrµαταδ0αεC/δκρυσιδεεσκον, in cui Odisseo racconta della sua lunga
permanenza presso Calipso, che lo aveva costretto a versare molte lacrime. Come
espressione di forte dolore per la morte di un uomo, il nesso è attestato nella
forma passiva in Il. 9, 570 δεοντο δ( δκρυσι κ/λποι e Il. 23, 15 δεοντο
ψµαθοι, δεοντο δ( τεχεα φωτν / δκρυσι, in occasione dei funerali di
Patroclo.
135
v. 5-6. σσσσ4444µµµµ0 =0 =0 =0 =τυµον πατυµον πατυµον πατυµον παδων ψυχαδων ψυχαδων ψυχαδων ψυχα****ς τρισς τρισς τρισς τρισν,ν,ν,ν, QQQQς ποτε σς ποτε σς ποτε σς ποτε σµαµαµαµα / δδδδξεσθξεσθξεσθξεσθ0 )0 )0 )0 )νννν
θθθθOOOOκαιςκαιςκαιςκαιςjjjjµετµετµετµετροιοπατρροιοπατρροιοπατρροιοπατρ////ς.ς.ς.ς.A differenza dei primi quattro versi in cui l’epigramma
ha un tono narrativo e descrive l’offerta della ciocca di capelli, negli ultimi due
invece si rivolge direttamente alle anime dei tre figli defunti, indicati mediante
l’enallage παδωνψυχα*ςτρισν, ed esprime l’augurio che la chioma dedicata dal
padre Erode sia per i tre figli lì sepolti un segno del fatto che loro un giorno
accoglieranno il corpo del padre nella tomba. Indipendentemente dalla volontà di
ricollegarsi a una pratica reale o solo mitico-letteraria, la chioma recisa e donata
diventa un contatto con i figli nell’oltretomba. L’esametro gioca sulla somiglianza
di σ4µαe σµα;ved. Peek 1942, 137 e commento a Corinth VIII 1, 86 = 102
Ameling.
Gli studiosi hanno cercato in modi differenti di identificare il bambino a cui
è dedicato l’epigramma e gli altri due figli menzionati al v. 5, e di stabilire la data
di stesura del testo. Secondo Peek 1942, 138, il neonato di questo epigramma
potrebbe essere il figlio di Erode nato nel 143 d. C. durante il suo consolato a
Roma e poi morto subito dopo la nascita, del quale dà notizia Frontone in Ep. 1, 6,
indirizzata all’imperatore Marco Aurelio, Herodi filius natus <hodi>e mortuus
est; id Herodes non aequo fert animo. Tuttavia Peek stesso esprime la sua
perplessità: «so müßten wir freilich annehmen, daß Herodes ihm erst nach dem
Verlust der beiden anderen Kinder ein Kenotaph in Kephissia errichtet hat» (Peek
1942, 138). Pertanto egli si chiede se questo bambino defunto non sia piuttosto il
figlio di cui Regilla era incinta al momento della sua morte, di cui parla Philostr.
V. S. 2, 556, il quale riferisce che Regilla morì di parto prematuro, quando era
ancora all’ottavo mese di gravidanza, per i colpi ricevuti al ventre dal liberto
Alcimedonte su ordine di Erode. Tuttavia nel testo filostrateo non viene detto se il
bambino sia sopravvissuto o meno al parto. Postulare che il figlio anonimo
dell’epigramma sia quest’ultimo significa per Peek 1942, 138 «dem Rhetor
Herodes die Geschmacklosigkeit schon zutrauen, daß er diese Fiktion durchführte
und das Totgeborne ebenso maßlos betrauerte, wie dies im Falle Regillas und der
anderen Kinder überliefert wird». Quest’ultima tesi di Peek permetterebbe di
datare l’epigramma al 161 d. C. e di riconoscere negli altri due figli morti
Atenaide e Regillo.
136
Invece secondo Follet 1977 questo πα*ς non sarebbe un figlio legittimo di
Erode, bensì Polluce, un giovane che il retore ebbe a cuore, la cui morte seguì, a
pochi mesi di distanza, quella di due altri ragazzi a lui molto cari, cioè Memnone e
Achille, da identificare con gli altri due fanciulli del testo; su Polluce ved. Stiglitz
1958. In V. S. 2, 558 Flavio Filostrato designa i tre ragazzi con il termine
τρ/φιµοι. Civiletti 2002, 518, n. 93, ne discute il significato e riferisce che
secondo Morellus, Westermann, Münscher, Graindor e Giner Soria τρ/φιµοι ha
l’accezione di «allievi», mentre secondo Wright, Brussich e Prosdocimi quella di
«figli adottivi». Quest’ultima, secondo Civiletti, darebbe risalto al fatto che
Filostrato usa τρ/φιµοι in netta contrapposizione a γνOσιοι, per sottolineare
l’affetto nutrito da Erode per questi tre ragazzi, «che, pur essendo adottivi, egli
pianse come suoi figli legittimi, perché erano belli e virtuosi, nobili, amanti del
sapere e degni dell’educazione da lui ricevuta» (trad. Civitelli); per questo affetto
paterno di Erode per il giovane Polluce cfr. IG II2 3969 = 173 Ameling
[ψηφσµατι τ4ς βουλ4ς] [τ4ς )ξ Sρεου πγου καC] [τ4ς] βουλ4ς [τν
πεντακ][ο]σων καC το3 δOµ[ου το3 Sθηναων] ρδης Βιβο[λλι][ο]ν
Πολυδευκωνα\ππ[α][!]ωµαωνθρψαςκαCφι[λ]OσαςUςυ\'ντoΝεµ[σει],
µετ0α,το3=θυεν,ε,µ[ε]ν4καCµνηστοντ'ν[τρ/]φιµον e IG II2 3970 = 161
Ameling Πολυδευκωνα, ν νθ0 υ[\]ο3 =στε<ρξ>εν καC )νθδε ρδης
<ν>θηκεν Rτι )νθδε καC περC θOραν εeχον. L’epigramma dovrebbe essere
posteriore alla morte di Polluce che, secondo Follet 1977, 54, avvenne tra il 173-
174 e 174-175 d. C., sulla base della datazione dell’arcontanto di Dionisio, citato
in un’epigrafe in onore del giovane appena defunto, la quale prevede la sua
trasformazione in eroe; cfr. IG II2 3968 = 172 Ameling ÙροαΠολυδευκωνα)πC
γωνοθτου [Ο,]ιβουλλου Πολυδεκου ο\ Nαβδοφ/ροι. )πC mρχοντος
∆ιονυσου; ved. Follet 1977. Questa datazione viene accolta da Robert 1979, 164
mentre viene respinta da Ameling 1983, II, 168, il quale colloca la morte dei tre
τρ/φιµοι tra il 165 e il 170 d. C. e da Meyer 1985, il quale, sulla base della
documentazione archeologica ed epigrafica afferma che «Vibullius Polydeukion
[…] starb in den späteren vierziger Jahren des 2. Jhds., und die Hauptmasse der
ihn ehrenden Denkmäler muß bald darauf errichtet worden sein» (Meyer 1985,
403).
137
Tobin 1997, 228, crede che l’epigramma risalga allo stesso periodo di SEG
21, 123 = 99 Ameling inciso sulla Porta della Concordia immortale a Maratona.
Quest’ipotesi è confermata, secondo la studiosa, non solo dagli aspetti formali in
comune, quali, la forma metrica del distico elegiaco, il secondo verso sempre
rientrato di alcune lettere rispetto al primo, l’adattamento della stele a contenere
un testo non previsto, ma anche dalla condivisione di uno stile poetico
omerizzante, dall’ostentazione del dolore, dalla volontà di conferire una veste
letteraria e mitologica alle vicende personali e di rivolgersi a un pubblico dotto
che colga le allusioni a vicende, personaggi e usanze mitiche. Il neonato di questo
epigramma potrebbe essere, come già sostiene Peek 1942, 138, il figlio di cui
Regilla era incinta al momento della morte. Egli avrebbe occupato, secondo Tobin
1997, 228, il terzo sarcofago della tomba romana di Erode a Cefisia, mentre i
primi due sarcofagi avrebbero contenuto le spoglie di Regillo e Atenaide,
entrambi morti prima della scomparsa della madre e qui apostrofati ai vv. 5-6.
Tuttavia Philostr. V. S. 2, 558, informa che la figlia Atenaide venne sepolta in città
su iniziativa degli Ateniesi. Secondo Tobin 1997, 228, «it is possible that the
Athenians offered to bury Athenais within the city, or perhaps set up a cenotaph
for her». La studiosa sostiene anche che nel sarcofago di Leda, l’ultimo a essere
stato posto nella tomba romana di Erode Attico, sarebbe stata sepolta Elpinice in
base alla testimonianza epigrafica di IG II2 12568/9 = 136 Ameling; ved.
commento ad loc. e Perry 2001, 484-9.
138
8 = 186 Ameling
Peek 1942, 330; Clinton 1972, 182.
Eleusi, presso il santuario.
Su un marmo grigio proveniente dall’Imetto.
Tra il 162 e il 166 d. C.
Ved. Peek 1942, 154-7, nr. 330; Clinton 1972, 182-3; Ameling 1983, II,
177-8, nr. 186; Bowie 1989a, 232-4; Tobin 1997, 205-6; Galli 2002, 209-12.
Dalle rovine intorno al santuario di Eleusi che documentano l’attività di
Erode in un territorio di grande sacralità per la Grecia romana, proviene una stele
contenente un testo poetico. La stele presenta diverse rotture su ogni lato.
Soprattutto quello destro è così danneggiato da non permettere di stabilire se il
testo sia composto in esametri o in distici elegiaci. Peek 1942, 154, primo editore
dell’iscrizione, propone una scansione metrica in distici elegiaci mentre Clinton
1972, 183, crede che si tratti di un poemetto in esametri dattilici. Ameling 1983,
II, 178, accoglie l’ipotesi di Peek e, poiché nota sulla stele le tracce di altri due
righi non più leggibili, conclude che, qualora il testo sia composto in distici
elegiaci, le prime parole identificabili della stele appartengono al secondo
esametro.
La menzione al v. 11 di ρδηςΒ4ρον permette di riconoscere nelle due
personalità del testo le figure di Erode Attico e dell’imperatore Lucio Vero.
L’identificazione è confortata dal fatto che le lettere incise sulla stele sono databili
alla seconda metà del II sec. d. C.
Per quanto concerne la data di composizione, un indizio proviene dal verso
8 τ2δ0=ργωνπρηκτ$ρ, in cui Peek 1942, 155-6, legge un riferimento alla guerra
partica. Per questo motivo la stesura del testo è posteriore alla partenza
dell’imperatore per la Partia, avvenuta nel 162 d. C., e anteriore al ritorno di Vero
a Roma nel 166 d. C. L’autore del testo non è noto e «Herodes’ authorship is only
139
conjectural but receives some support from the poem’s allusions» (Bowie 1989a,
233).
L’iscrizione sembra «to honor the friendship between Herodes and Lucius
Verus» (Tobin 1997, 205), ritratti durante una piacevole conversazione in
un’ambientazione bucolica da identificare con Eleusi. La loro amicizia risale al
periodo in cui Erode aveva rivestito la funzione di insegnante di retorica di Lucio
Vero e Marco Aurelio su incarico dell’imperatore Antonino Pio, come riferiscono
Dio Cass. 71, 35 e H. A. M. Ant. 2, 4, e si era rafforzata quando Erode Attico,
dopo aver preso parte al processo intentatogli a Roma da Bradua, fratello di
Regilla, che lo aveva accusato di avere provocato la morte della sorella, fece
ritorno in patria e accompagnò fino ad Atene Lucio Vero che proprio in quel
periodo si recava in Oriente per condurre la guerra contro i Parti. L’imperatore
non solo soggiornò per un certo periodo a Canosa presso la villa di Erode Attico a
causa delle sue cattive condizioni di salute ma si concesse anche lunghe pause di
ozio tra Corinto e Atene, dove dimorò nuovamente in una villa del suo maestro e
fu iniziato ai misteri eleusini, come documentano IG II2 3592 e 3620. Con il suo
atteggiamento Lucio Vero dimostrava di non avere intenzione di dare subito inizio
alle operazioni di guerra; cfr. H. A. Ver. 6, 9 apud Corinthum et Athenas inter
symphosias et cantica navigabat. Papalas 1978 crede che il tipo di ospitalità
offerta all’imperatore in quell’occasione debba essere considerata l’accusa
principale da cui Erode Attico dovette difendersi al processo di Sirmio al cospetto
di Marco Aurelio. Secondo Civiletti 2002, 522, n. 110, nelle parole ostili del
prefetto del Pretorio Basseo, che prospetta a Erode Attico la condanna capitale, si
coglierebbe l’atteggiamento austero romano che vede nell’ateniese la
personificazione dei vizi tipici dell’Oriente che avevano spinto l’imperatore Lucio
Vero all’ozio e gli avevano provocato una cattiva reputazione.
Nella traduzione adotto le integrazioni di Peek e Ameling.
[ ]
[ ]
[)νσυν]/δ7καCτoδε[φληςπαρ0νκτορα∆ηο3ς]
λσχpτερπσθηνκα[C ]
140
=νθ0νµωνσκπαςI[ν ] 5
π4ξαντ0σπασως[ ]
λλ0µ(ν)νπτρp[µµνωνµθωνµελτησεν]
τ2δ0=ργωνπρηκτ$ρ[=πλετ0)πωνυµη]
µφCδµινπ/λεµ[οιονφοςδειν/ςτεκυδοιµ/ς]
ερωτνς¨τληπ[αρθικ? ] 10
ρδηςΒ4ρονκρ[ατερ/ν ]
πολλνκαCµεγ[λων ντιχαριζ/µενος]
3 [)νσυν]/δ7Peek, prob. Bowie, vel [καθ]/δ7]vel [τwσυν]/δω=συνοδοιπ/ρωPeek [φλης
παρ0νκτορα∆ηο3ς]Peek, prob. Bowie,vel [φλ7]Peek; 4 κα[C Peek, κατ9 Ameling 6
π4ξαντ Peek, probb. Ameling, Bowie, πOξαντ Clinton 7πτρpPeek, probb. Ameling Bowie,
πατρδι Clinton [µµνωνµθωνµελτησεν]Ameling 8πρηκτ$ρPeek, probb. Ameing, Bowie
πρηκτ4ριClinton =πλετ0)πωνυµηvelονοµαvel ζ4λος=φυPeek 9πολµ[οιονφοςδειν/ςτε
κυδοιµ/ς Peek, prob. Bowie 10 π[αρθικ Peek 11 κρατερ/ν scripsi 12 µεγ[λων
ντιχαριζ/µενος]Peek.
Anche in questo [luogo d’incontro presso il santuario della cara Demetra]
provavano piacere conversando e … dove c’era un riparo dal vento … e
consolidarono lietamente … [la loro amicizia] ma uno [rimanendo] in patria [si
occupò dei discorsi] l’altro invece [ricevette il nome] di esecutore di imprese e
intorno a lui [la nube terribile] della battaglia [e lo strepito] chiedendo chi ebbe
il coraggio … Erode … [il vigoroso] Vero … di molte e grandi cose
[ringraziandolo].
v. 3. [ ¯[ ¯[ ¯[ ¯ ˘ ]˘ ]˘ ]˘ ]////δδδδ7777 κακακακαCCCC ττττooooδε [δε [δε [δε [. Peek 1942, 156, sulla base degli altri righi,
stabilisce con sicurezza che le lettere non più leggibili ad apertura del verso sono
cinque. Poiché le sillabe conservate sulla pietra sono una breve e una lunga (]/δ7)
lo studioso ne deduce che quelle mancanti sono due, propriamente una lunga e
una breve per completare il primo colon dell’esametro. Egli propone e.g. diverse
integrazioni: [)νκαθ]/δ7, [)νσυν]/δ7oppure τwσυν]/δω nell’accezione di τw
συνοδοιπ/ρω. La seconda parte dell’esametro dovrebbe essere integrata, a suo
avviso, o con φλ7 παρ0 νκτορα ∆ηο3ς oppure mediante la variante con il
genitivo φλης. Questa integrazione si basa sugli esempi offerti da IG II2 4218, 3
141
φ[ληςπαρ0νκτο]ρα∆ηο3ς; IG II2 3764, 2παρ0νκτορα∆ηο3ςeIG II2 4077,
1 µετ0ε,κλ0 νκτορα∆ηο3ς, che concludono l’esametro.
Le due parole καCτoδε richiamano alla mente le iscrizioni che Erode dedica
al suo amato Polluce, in cui egli ricorda i momenti trascorsi insieme al giovane
nei luoghi in cui egli pone le erme: cfr. IG II2 13194 = 158 Ameling ρως
Πολυδευκων,τα*σδποτ0)ντρι/δοιςσMνσοC)πεστρεφ/µην; IG II2 13201 = 151
Ameling [κ]αC)νθδεσυνεσιτο[3]µενκαCσυνεπισπνδοµενe IG II2 3971 = 177
Ameling Πολυδευ[κωνα] `ρω καC το[*σδε] το*ς λουτρο[*ς
πρ][οσ]<ο>µειλO<σ>[αντα][Xαυτ2ρδης][νθηκεν].
v. 4. λλλλσχσχσχσχpppp τερπτερπτερπτερπσθην κα[σθην κα[σθην κα[σθην κα[C.C.C.C. Il sostantivo λσχη è già usato nella poesia
epica arcaica, come, p. es., in Od. 18, 328 ed Hes. Op. 493, con il significato di
«lounging place» (LSJ, s. v., 2). Poiché nessuna sala di ritrovo è documentata ad
Eleusi, qui λσχη ha, secondo Peek 1942, 156, l’accezione di «conversation»
(LSJ, s. v., II). Questo significato di λσχη è avvalorato dal fatto che il nesso
λσχp τερπσθην ricorda Call. Epigr. 2, 3 Pfeiffer = 34 Gow-Page δ0 σσκις
µφ/τεροι/`λιον)νλσχpκατεδσαµεν, scritto per la morte dell’amico Eraclito,
imitato da Verg. Ecl. 9, 51-2 saepe ego longos / cantando memini puerum me
condere soles. In questa accezione λσχη è attestato per la prima volta in Hdt. 2,
32, 4 e 9, 71, 11. In poesia occorre soprattutto nella tragedia in Aesch. Eu. 366
ΖεMς δ0 α\µοσταγ(ς ξι/µισον =θνος τ/δε λσχας; Soph. Ant. 160 προθετο
λσχην; OC 167 πρ'ς)µ9νλσχαν; Eur. Hipp. 384 µακρατελσχαικαCσχολO,
τερπν'νκακ/ν; IA 1001 λσχαςπονηρ9ςκαCκακοστ/µουςφιλε*; cfr. anche Phal.
A. P. 13, 6, 6 µν;µατο3χαρεντος=ντελσχ]e Call. Aet. 178, 16 λλ0=τικαC
λσχης οeνος =χειν )θλει. A favore dell’interpretazione di λσχη secondo
l’accezione omerica si pronuncia invece Galli 2002, 211, il quale crede che λσχη
indichi una costruzione concreta ad Eleusi. Per l’imperfetto duale τερπσθην cfr.
Od. 5, 227 e 23, 301.
v. 5. ====νθνθνθνθ0000ννννµωνσκµωνσκµωνσκµωνσκπαςπαςπαςπαςI[I[I[I[ν.ν.ν.ν. Si tratta, come ricorda Peek 1942, 156, di una
reminiscenza omerica; cfr. Od. 5, 443 = 7, 282 καC)πCσκπαςIννµοιο; 6, 210
Rθ0)πCσκπας=στ0νµοιοe 12, 336 Rθ0)πCσκπαςIννµοιο. Insieme a τoδε
del v. 3, =νθ0νµωνσκπας dovrebbe indicare un luogo ben preciso all’interno
del santuario di Eleusi, dove Erode e Lucio Vero solevano trascorrere
142
piacevolmente il tempo dialogando. Galli 2002, 211, pensa che si alluda a un
portico al riparo dal vento.
v. 6. ππππ4444ξαντξαντξαντξαντ0000σπασσπασσπασσπασως [.ως [.ως [.ως [.Per il significato dell’aoristo π4ξαν Peek 1942,
156, rinvia a Dem. Phil. 1, 8, µ$ γ9ρ Uς θε2 νοµζετ0 )κεν7 τ9 παρ/ντα
πεπηγναιπργµατ0θνατα e traduce «und befestigten freudig», ipotizzando il
sostantivo φιλανalla fine del verso.
v. 7-8. λλλλλλλλ0000µµµµ((((νννν))))νπνπνπνπτρτρτρτρp[/p[/p[/p[/ττττ2222δδδδ0=0=0=0=ργωνπρηκτργωνπρηκτργωνπρηκτργωνπρηκτ$$$$ρ[.ρ[.ρ[.ρ[.La contrapposizione
µν (v. 7) … τ2 δ (v. 8) rende evidente che il testo ora fa riferimento a due
persone distinte. Secondo l’integrazione offerta da Ameling 1983, II, 178 µµνων
µθωνµελτησεν e.g. al v. 7, la prima resterebbe in patria ()νπτρp) a occuparsi
di retorica, la seconda invece partirebbe per la guerra a condurre le operazioni
militari (=ργωνπρηκτ$ρ). L’integrazione di Ameling sfrutta il riferimento a Il. 9,
443 µθωντεNητ4ρ0=µεναιπρηκτ4ρτε=ργων, riconoscibile al v. 8 τ2δ0=ργων
πρηκτ$ρ. Peek 1942, 156, propone come possibile integrazione del v. 8 =πλετ0
)πωνυµη (o ονοµα) oppure ζ4λος =φυ sul modello di Eur. Tr. 1233 τλOµων
ατρ/ς,vνοµ0=χουσα,τmργαδ0ου; per altri esempi ved. Kühner-Gerth 1904, II,
45.
v. 9. µφµφµφµφCCCCδδδδµινπµινπµινπµινπ////λεµ[ος.λεµ[ος.λεµ[ος.λεµ[ος. La figura di Lucio Vero è messa qui in relazione
con la guerra che, come già propone Peek 1942, 156, va identificata con quella
combattuta dall’imperatore contro la Partia. Per questo motivo l’iscrizione poetica
è databile tra il 162 e il 166 d. C. (ved. supra). Per quanto riguarda la lacuna del v.
9, Peek 1942, 156, con approvazione di Bowie 1989a, 233, propone di leggere
µφCδµινπολµ[οιονφοςδειν/ςτεκυδοιµ/ς.
Il nesso πολµοιο νφος è omerico e descrive in Il. 17, 443 la figura di
Ettore come una nube di guerra che avvolge tutto; )πεC πολµοιο νφος περC
πντα καλπτει / nκτωρ. Essa viene ripresa da Pind. N. 10, 9. Per δειν/ς
κυδοιµ/ς invece cfr. IG IX, 2 640, 7 δεινο3τεκυδοιµου.
v. 10.εεεερωτρωτρωτρωτννννςςςς¨τληπ[.τληπ[.τληπ[.τληπ[.ΕΙΡΩΤΩΝsi presta a due diverse interpretazioni:
ερωτν = )ρωτν participio presente di )ρωτω oppure ερτων = ^ρτων
imperfetto del medesimo verbo. Secondo Peek 1942, 156, dopo ς¨τλη potrebbe
essere posta una virgola mentre l’ultima lettera π[, con cui inizia la nuova frase,
potrebbe nascondere una parola con riferimento alla Partia π[αρθικ-.
143
v. 11.ρρρρδηςΒδηςΒδηςΒδηςΒ4444ρονκρ[ρονκρ[ρονκρ[ρονκρ[. Il verso rivela l’identità dei due protagonisti del
componimento, già caratterizzati ai vv. 7-8. I due nomi devono essere collegati da
un verbo transitivo. «Es ist schwer vorzustellen, wie diese Verse syntaktisch mit
dem Vorhergehenden zusammenhängen sollen, sie werden also eher als ein
selbständiges Distichon aufzufassen sein». Le ultime due lettere κρ potrebbero
fare pensare a un’integrazione con κρατερ/ν.
v. 12. πολλπολλπολλπολλνκανκανκανκαCCCCµεγµεγµεγµεγ[[[[λωνλωνλωνλων. Peek 1942, 157, crede che questo verso possa
essere integrato con il participio presente ντιχαριζ/µενος, il quale occorre anche
in IG II2 4781, 2 = 191 Ameling, dove è conservata una dedica di Erode al dio
Asclepio come ringraziamento per la guarigione da una malattia; ved. commento
ad loc. Bowie 1989a, 233, sostiene che, «if Peek’s tentative suggestion for the end
of the last pentemeter is correct, the inscription must have been associated in some
way with a mark of Herodes’ gratitude to Verus». In questo caso il segno più
evidente dovrebbe essere l’erezione di una statua di Lucio Vero «but the stone
[…] does not seem to have been a statue base, but rather some sort of plaque»
(Bowie 1989a, 233). Lo studioso inoltre riconosce ai vv. 4-6 e 9-10
rispettivamente il tema dell’attività letteraria e dei viaggi in altre terre che un
secolo più tardi Men. Rhet. 395, 13-26, e 398, 26-30 avrebbe indicato come adatti
a un propempticon e che già Stat. nel propempticon di Silv. 3, 2, 136-43 aveva
espresso sottolineando il contrasto tra i viaggi di Mezio Celere (tu rapidum
Euphraten et regia Bactra sacrasque / antiquae Babylonis opes et Zeuma, Latinae
/ pacis iter, qua dulce nemus florentis Idymes, / qua pretiosa Tyros rubeat, qua
purpura suco / Sidoniis iterata cadis, ubi germine primum / candida felices sudent
opobalsama virgae) e la sua attività letteraria (ast ego, devictis dederim quae
busta Pelasgis / quaeve laboratas claudat mihi pagina Thebas).
144
9 = 136 Ameling
Kaibel 1878, 160; IOlympia 638; IG III 1333; IG II2 12568/9; Peek 1955,
1894.
Cefisia, in Attica.
Luogo del ritrovamento non registrato.
Posteriore al 165 d. C.
Ved. Ross 1853, 123, nr. 5; Foucart 1901, 90-1; Oliver 1950, 111, nr. 1;
Ameling 1983, II, 140, nr. 136; Tobin 1997, 234-6; Galli 2002, 147.
Si tratta di due frammenti indicati con le lettere a e b, incisi su una medesima
base. Questa è stata ritrovata da Welcker a Cefisia, dove Erode, oltre a possedere
una villa (cfr. Gell. NA 18, 10, 1-2), fece seppellire i suoi figli e costruire un
heroon per la moglie Regilla e l’amato Polluce; ved. Tobin 1997, 213.
a) [SππαSνναSτ]ειλα
[!OγιλλαSγρ]ιππε*<ν>αhλπι-
[νεκη]SτραΠλλα[γυν$]
Λ.[Ο,ι]βουλλουππρχουΤιβε[ρου]
[Κλαυ]δουSττικο3ρδουΜαραθωνο[υ] 5
jπτουθυγτηρκαCSν[ν]ας
[Sππας]!ηγλλης,Sππου[jπ]του[θυγ]ατρ[/ς].
b) ^λιοςκαCγα*ακαCο,ραν'ςY[µαταπντα]
µρτυρες,Uςµετ/πικ[ρ'νªχοςδκενµφCθυγατρ,]
οDνεκο\καCδνδρ7[)φεζ/µενοιτττιγες]
καCπηγαCπροχ[ουσαιδωρκλαουσιν˘]
σο,ΡOγιλλα[… 5
145
a) 4 Λ.Ameling,[Λουκου] Dittenberger.
b) 1 Y[µαταπντα]Peek, prob.Ameling, [ε,ρMς=σονται]Dittenberger, prob. Kaibel,
2 Uςµετ'πικ[ρ'νªχοςδκενµφCθυγατρ,] Ameling, Uςµερ/π[ωνDittenberger, Uςµε
[τ]' π[νθος )π )σθo τρ3χε γυναικCKaibel 3 δνδρ[ε ¨ως κ =τι µακρ9 τεθηλpKaibel
[)φεζ/µενοιτττιγες]suppl. Ameling e.g. 4προχ[ωσινDδωρ,µνOµηνδιασωσωKaibel,
προχ[ουσαιδωρκλαουσιν˘]suppl. Ameling 5 πατ$ρPeek, ν$ρAmeling.
b) Il sole, la terra e il cielo testimoni [sempre] di come [l’amaro dolore mi
morse a causa di mia figlia], motivo per cui sia le cicale stando su un albero sia
le fonti [versando acqua piangono]…
a te, Regilla…
Il frammento a è un testo in prosa e presenta il nome completo della
secondogenita di Erode Appia Annia Atilia Regilla Agrippina Elpinice Atria Polla;
così è anche nominata in IOlympia 624 = 126 Ameling SππανSννανSτʖειλα[ν]
!Oγιλλανʖ hλπινεκην Sγριππε*ναν Sτραν Πλλαν, ρδου καC [!]ηʖγλλης
θυγατ[ρα, - π/λ]ι[ς - τ]νʖ [¼λεων], mentre in SIG3 860 b = 105 Ameling
compare anche il nome Claudia [Sνν]αν Κλαυδαν [Sτʖειλ]αν !Oγιλλανʖ
Sγριππ[ε*]ναν hλπινεκην Sππαν Πλλαν. Secondo Ameling 1983, II, 20, la
data di nascita della fanciulla va collocata tra il 143 e il 144 d. C. Nella scelta del
nome Elpinice gioca un ruolo fondamentale il richiamo alla discendenza di Erode
Attico da Milziade e al suo ideale collegamento con la battaglia di Maratona,
perché Elpinice, nome molto insolito nel II sec. d. C., era anche il nome della figlia
di Milziade; ved. commento a IG II2 3606 = 190 Ameling.
I righi 3-4 [γυν$] Λ. [Ο,ι]βουλλου ππρχου Τιβε[ρου] informano che
Elpinice era andata in sposa a un uomo di nome Lucio Vibullio Ipparco, lo stesso
che aveva riparato il Ninfeo ad Olimpia; ved. Tobin 1997, 321-2. Lucio Vibullio
Ipparco era figlio di Publio Elio Vibullio Rufo, il quale era stato arconte nell’anno
143-144 d. C.; ved. Follet 1976, 508. I tre personaggi sono nominati assieme in IG
II2 3979a = 142 Ameling [Λ. Βιβολλιος Üππαρ]χʖος, Πο. Βιβουλλου !οφ[ου
υ\/ς],[το3ρχιερωςτνΣεβασ]τʖʖνʖ[Κ]λ.[S]ττικ[ο]3το[3κρατ][στουσυγγενOς.
Erode Attico adottò l’altro figlio di Vibullio Rufo, il quale ricevette il nome di
Lucio Vibullio Claudio Erode; cfr. IG II2 3979 = 141 Ameling; ved. Graindor
1914, 365-8. L’adozione è databile dopo il 165 d. C., anno in cui Elpinice morì a
146
causa della peste che i soldati di Lucio Vero, impegnati nella guerra contro i Parti,
avevano portato dall’Oriente. Allora era rimasto in vita soltanto il figlio Bradua.
Il testo inciso sulla stele b è molto frammentario e conserva un
componimento in esametri il quale ha come tema il lutto, espresso attraverso
immagini poetiche.
v. 1.v. 1.v. 1.v. 1. ^^^^λιος καλιος καλιος καλιος καCCCC γαγαγαγα****α καα καα καα καCCCC οοοο,,,,ρανρανρανραν''''ςςςς Y[Y[Y[Y[µατα πµατα πµατα πµατα πντα].ντα].ντα].ντα]. Kaibel 1878, 160,
stampava al primo verso l’integrazione [ε,ρMς =σονται]di Dittenberger. Il nesso
ο,ραν'ςε,ρςè omerico e indica il luogo in cui dimorano gli dei come, p. es., in
Il. 20, 299 τοCο,ραν'νε,ρMν=χουσιν.
Invece Y[µαταπντα]è integrazione di Peek 1955, 1894, accolta anche da
Ameling 1983, II, 140. Si tratta di un nesso ampiamente attestato nei poemi
omerici in clausola di esametro, come, p. es., in Il. 8, 539 εgην θνατος καC
γOρωςYµαταπντα. L’appello al sole, alla terra e al cielo come testimoni dello
stato di dolore in cui vive Erode conferisce all’epigramma un tono solenne; cfr. Il.
3, 277-80 ¼λι/ς θ0, ς πντ0 )φορ5ς καC πντ0 )πακοεις, / καC ποταµοC καC
γα*α,καCοfjπνερθεκαµ/ντας/νθρπουςτνυσθονRτιςκ0)πορκονdµ/σσp,/
jµε*ςµρτυροι=στε,φυλσσετεδ0Rρκιαπιστ.
v. 2.µµµµρτυρρτυρρτυρρτυρες,ες,ες,ες,UUUUςµετςµετςµετςµετ''''πικ[ρπικ[ρπικ[ρπικ[ρ''''ννννªªªªχοςδχοςδχοςδχοςδκενκενκενκενµφµφµφµφCCCCθυγατρθυγατρθυγατρθυγατρ,],],],]. Kaibel 1878,
160, proponeva di integrare il secondo verso con Uςµε[τ]'π[νθος)π)σθoτρ3χε
γυναικCe interpretava il testo come una dedica alla moglie Regilla defunta. Invece
Ameling 1983, II, 140, crede che il frammento b sia rivolto alla figlia Elpinice
morta (ved. infra) e per questo motivo completa il verso conUςµετ'πικ[ρ'νªχος
δκεν µφC θυγατρ]; per il nesso πικρ'ν ªχος cfr. Meropis fr. 2, 4 Bernabé
πικρ['νδ0m]χος=σχεθενʖρʖαʖκλ[4α].
vv. 3vv. 3vv. 3vv. 3----4.4.4.4. οοοοDDDDνεκνεκνεκνεκ οοοο\\\\ κακακακαCCCC δδδδνδρνδρνδρνδρ7777 [[[[ eeee.... gggg.... ))))φεζφεζφεζφεζ////µενοι τµενοι τµενοι τµενοι τττιγεςττιγεςττιγεςττιγες] /] /] /] / κακακακαCCCC πηγαπηγαπηγαπηγαCCCC
προχπροχπροχπροχ[[[[ουσαιουσαιουσαιουσαιδωρκλαδωρκλαδωρκλαδωρκλαουσινουσινουσινουσιν˘ ˘ ˘ ˘ ].].].].Secondo Kaibel 1878, 160, Erode fingerebbe
qui che gli alberi e le fonti d’acqua piangano la morte della moglie Regilla come in
Gr. Naz. A. P. 8, 97 Εgτιναδνδρον=θηκεγ/οςκαCεg τιναπτρην, / εg τιςκαC
πηγ$ Nε3σεν dδυροµνη, / πτραι καC ποταµοC καC δνδρεα λυπρ9 πλοισθε, /
πντες Καισαρ7 γετονες ^δ( φλοι· / Καισριος πντεσσι τετιµνος, εEχος
νκτων, / αα* τν χων, Yλυθεν ες Sδην e 127 Κρ4ναι καC ποταµοC καC
mλσεα καC λαλαγε3ντες / vρνιθες λιγυροC καλ'ν )π0 κρεµ/νων / αEρα τε
147
µαλακ'ν συργµασι κµαφρουσαι / καC κ4ποιΧαρτων ες ¿ν γειροµνων, /
κλασατε·B χαρεσσ0 Ε,φηµις, Qς σε θανν περ / Ε,φOµιος κλειν$ν θOκατ0
)πωνυµp, oppure che per il dolore le fonti d’acqua si prosciughino e gli alberi
secchino come in Antiphil. A. P. 7, 141, il quale compone un epigramma funebre
per l’eroe omerico Protesilao, Θεσσαλ(Πρωτεσλαε,σ(µ(νπολMςÞσεταιαwν/
Τρο] dφειλοµνου πτµατος ρξµενον / σ;µα δ τοι πτελpσι συνηρεφ(ς
µφικοµε3σι/Νµφαιπεχθοµνης|λουντιπρας/δνδρεαδυσµOνιτακα,Yν
ποτετε*χοςgδωσι/Τριον,α,αλανφυλλοχοε3ντικ/µην./Rσσος)ν-ρεσσιτ/τ0
Iν χ/λος, ο8 µρος κµ$ν / )χθρ'ν )ν ψχοις σsζεται κρεµ/σιν. Kaibel
proponeva anche di integrare i versi 3-4 con δνδρ[ε¨ωςκ=τιµακρ9τεθηλp / καC
πηγαC προχ[ωσιν Dδωρ, µνOµην διασωσω, quale eco di Hom. Epigr. 7, 153,
Χαλκ4 παρθνος εµ, Μδα δ0 )πC σOµατι κε*µαι. / vφρ0 ~ν Dδωρ τε νp καC
δνδρεαµακρ9τεθOλp,/α,το3τoδεµνουσαπολυκλατου)πCτµβου,/γγελω
παριο3σι Μδας Rτι τoδε τθαπται. Invece Ameling 1983, II, 140 propone e.g.
)φεζ/µενοι τττιγες; per questa immagine delle cicale che siedono su un albero
cfr. Il. 3, 151, Hes. Op. 582-3; cfr. anche Sc. 393.
v. 5. σοσοσοσο,,,, ΡΡΡΡOOOOγιλλαγιλλαγιλλαγιλλα.... Poiché il testo a presenta il nome Elpinice e il testo b
conserva al v. 5 il nome Regilla, sorge il problema se i due testi siano stati dedicati
a due donne o a una sola. Secondo Kaibel 1878, 160, «sunt versus Herodis Attici in
Regillae sepulcro vel circa tumulum positi». Per Preuner 1924, 114, i due testi
sono dedicati a Elpinice. Erode dedica alla figlia una statua quando questa era
ancora in vita. Alla sua morte la base della statua viene capovolta per accogliere
l’epigramma in suo onore; ved. anche PIR2 C 802, 41. Con questa tesi concorda
anche Peek 1955, 1894, che integra il v. 5 con il sostantivo πατOρ.InveceAmeling
1983 II, 140, ritiene soprendente il fatto che al v. 5 Elpinice venga apostrofata con
il nome Regilla che nelle iscrizioni indica sempre la moglie di Erode e mai la
figlia; ved. anche Tobin 1997, 76-83. Pertanto Ameling identifica in σο,ΡOγιλλα
del v. 5 la moglie di Erode e si chiede quindi se non sia preferibile integrare il testo
con il sostantivo νOρ. Tobin 1997, 236, accoglie la riflessione di Ameling e
conclude che il testo b è rivolto sia ad Elpinice che a Regilla. La pietra delle due
iscrizioni, secondo la studiosa, potrebbe essere interpretata come base di due statue
rappresentanti madre e figlia. Questa interpretazione rafforzerebbe l’ipotesi
148
secondo la quale Elpinice, come gli altri fratelli, sarebbe stata sepolta a Cefisia in
un complesso sepolcrale nel quale sono stati ritrovati quattro sarcofagi; ved.
commento a SEG 26, 290 = 146 Ameling.
149
10 = 190 Ameling
IG II2 3606.
Maratona. A Beh, a ovest del demo ateniese, in una stalla.
Su un marmo bianco.
Intorno al 175 d. C.
Ved. Graindor 1912, 69-90; Svensson 1926, 529-35; Wilamowitz 1928, 27-
30; Wilamowitz 1929, 489-90; Powell 1933, 190-195; Ameling 1983, II, 205-11,
nr. 190; Tobin 1997, 272-5; Galli 2002, 29-30; Skenteri 2005, 84-110.
L’iscrizione, proveniente da Beh, venne riportata alla luce in una stalla,
dove fungeva da soglia. Insieme ad essa furono scoperti alcuni pezzi architettonici
e una statua che riproduce una figura femminile. La stele è di marmo bianco, alta
ottantotto centimetri e larga sessantuno centimetri e presenta in alto un piccolo
frontone con un disco in rilievo. Nella stele sono leggibili ventisei versi, cui fanno
seguito altri dodici incompleti a causa di una rottura sul lato destro e in basso, che
ha provocato la perdita della parte finale del testo. A differenza del lato sinistro
che si presenta abbastanza stretto, quello destro, riferisce Tobin 1997, 272, doveva
essere piuttosto largo, a giudicare dall’angolo del timpano in alto. Quest’area non
iscritta conteneva o una pittura o un rilievo relativo all’evento narrato.
Poiché il tema dell’iscrizione è il ritorno ad Atene di Erode, accolto con
gioia dai suoi concittadini, la data di stesura del testo deve essere posteriore alle
vicende processuali che videro coinvolto Erode Attico a Sirmio al cospetto
dell’imperatore Marco Aurelio intorno al 174 d. C. Questi era allora accampato lì
con il suo esercito e conduceva la guerra contro le popolazioni germano-
sarmatiche. Qui Erode si era recato con il suo seguito per difendersi
personalmente dalle accuse che gli erano state rivolte. Il processo vide riuniti tutti
i principali nemici del ricco ateniese: oltre ai fratelli Quintili, i quali erano ostili a
Erode Attico a causa del suo potere politico, erano suoi rivali Claudio Demostrato
e gli altri Claudi della famiglia dei Meliti, perché competevano con Erode e la sua
150
famiglia nel rivestire compiti sacri ad Atene. A questi si erano aggiunti gli
Ateniesi che non avevano mai dimenticato il modo in cui Erode aveva aggirato le
disposizioni espresse dal padre Attico nel testamento a favore dei cittadini. Essi
riconoscevano nel ricco ateniese un atteggiamento sempre più simile a quello di
un tiranno. Queste tensioni esplosero nel 174 d. C. quando i fratelli Quintili
sfruttarono l’accusa di tirannide contro Erode, comunicata loro dal popolo
Ateniese, per informare l’imperatore dei disordini che la figura di Erode Attico
provocava ad Atene, e Demostrato, Prassagora e Mamertino, esponenti del partito
politico avversario, si proposero come portavoci e sostenitori dell’accusa.
Sebbene, come sappiamo da Philostr. V. S. 2, 563, il processo non si
concluse con una condanna di Erode, questi preferì non fare ritorno nella città
natale, ma recarsi ad Orico. Questa scelta alimentò già nel passato, riferisce il suo
biografo (V. S. 2, 562), la voce di un possibile esilio del retore.
SEG 29, 127 II = 189 Ameling conserva un testo noto come lettera agli
Ateniesi, in cui l’imperatore Marco Aurelio ai righi 87-94 fa riferimento allo
scontro tra la città di Atene ed Erode Attico ed esorta vivamente gli Ateniesi a
riconciliarsi con il loro antico benefattore. IG II2 3606 = 190 Ameling tramanda
un componimento poetico in distici elegiaci che testimonia questo cambiamento
di stato d’animo degli Ateniesi nei confronti di Erode Attico, conformemente al
desiderio espresso dall’imperatore. Di questa accoglienza festosa Filostrato non fa
alcun cenno. Anderson 1986, 114, giustifica tale omissione come una volontà di
Filostrato di non ritornare su argomenti piuttosto scottanti per la reputazione del
suo sofista prediletto e conclude che «the flamboyant procession certainly
reflected Philostratus’ own view of the master’s grandeur, and […] the matter of
the exile is much more surreptitiously passed over».
vλβιος,BΜαραθν,ν3ν=πλεο,καCµελεδαντ/ς
νδρσιν^(προς,φαδιµονSλκαÅδην
νοστOσαντ0)σορνβωνπ'Σαυροµατων
γαης)κνετης,=νθαφιλοπτολµ7
Α,σονωνβασιλoσυνσπετοτ4λ0)λοντι. 5
τ'νµ(νκισσοφ/ροςπα*ς∆ι'ς\ραν
151
α,τ'ςmγενπτρην)ςοδιµονΕραφιτης,
)ξ/πιθενδ(θεwδωσιβωπρ/εσαν.
το*σιδ0SθηναηπολιOοχοςντεβ/λησε
)ρχοµνοις!ειτ,Χαλκιδικwποταµ, 10
Θρειζ0,=νθ0xλωσυµβλλετονοeδµαN/οςτε,
λα'νmγουσα=ταςπνταςµηγερας,
\ρ4αςµ(νπρταθενκοµ/ωντας)θεραις
κ/σµ7τ2σφετρ7,πνταςριπρεπας,
\ρεαςδ(µετα3θισα/φροναΚπριν)χοσας, 15
τoςδ0=πικυδαλµουςπα*δαςοιδοπ/λους
ΖηνCθεηκολοντας¹λυµπ7rµασικυδρος,
το*σιδ0=π0^ϊθουςrστορας^νορης,
πα*δαςSθηναωνχαλκ2γανοντας)φOβους,
τοMςα,τ/ς,λOθηνπατρ'ςκει/µενος 20
Αγεδεω,λβηςδ<ν>οφοεµονος=σχεθεκορο[υς]
ργυφαιςχλαναιςοgκοθενµφισας,
δωρηθεCς<τ>0)νετoσικατωµαδ'ν^λκτροιο.
τνδ0vπιθενβουλ$κεκριµνηΚεκρ/πων
=ξαιτοςπροτρωκονθρ/οι,-µ(νρεω[ν], 25
-δ0Xτρηµεων¨σπετοτoκατ/πιν.
πντεςδ0)στολδαντονε/πλυταφρ[εαλευκ]·
τνδ0νχο3προβδην=στιχ[ενmλλοςvχλος]
)νδOµωνξενωντεκαCαι[
ο,δτιςοκοφλαξλεπ[ετ0)νCµεγροις] 30
ο,πα*ς,ο,κορηλευ[κλενος,λλ0γροντο]
δγµενοιρδην[
Uςδ0Rτεπα*δαγεʖ
µφιπσpµO[τηρ
τηλ/θεν)[ξπηςγαης 35
χαιροσ[νp
πλOν[
B[ρ]σ[ε
152
17 rµασι κυδρος Wilamowitz, <ε>rµασι κυδρος Powell, µασικδρους Graindor, prob.
Svensson 20 κει/µενος Graindor, κει/µενο<υ>ς Roussel, probb. Oliver, Ameling 21
δ<ν>οφοεµονος Svensson, ∆ΜΟΦΟΕΙΜΟΝΟΣ lapis, δυ[σδα]µονος con. Graindor 23 τ0
Wilamowitz, γ0 lapis 27 φρ[εα λευκ] Graindor, probb. alii 28 =στιχ[εν mλλος vχλος]
Ameling, =στιχ[ενvχλοςmλλος]Svensson, =στιχ [Rµιλοςªπας],Wilamowitz, prob. Powell 29
αι[ lapis, α[δεσµων γυνακων Svensson e.g. 30 λεπ[ετ0 )νC µεγροις] Ameling, λεπ[ετο
Svensson 31 λευ[κλενος Svensson, λευ[κχρως Graindor 1930, 236, λλ0 γροντο]
Wilamowitz, probb. alii, στεντοδ(πντες Graindor 1930, 127 34µO[τηρSvensson 35 )[ξ
πηςγαηςAmeling, )ρχ/µενSvensson 36χαιροσ[νpSvensson, χαιροσ[νοιprop.Ameling
38 B[ρ]σ[εAmeling, UςSvensson, probb. Wilamowitz, Powell.
Felice sei ora, Maratona, e stai a cuore degli uomini più di prima, perché
vedi che l’illustre Alcide ritorna dai Sarmati nomadi, dall’estremità della terra,
dove accompagnò il bellicoso imperatore degli Ausoni, spintosi lontano.
L’Irafiote medesimo, il figlio coronato d’edera di Zeus, conduceva lui, suo
sacerdote, verso la patria degna d’esser cantata. Dietro procedevano le due dee
datrici di vita. Atena protettrice della città li incontrò mentre giungevano presso i
Rhetoi, i due fiumi Calcidici, a Tria, dove le onde del mare e la corrente dei fiumi
si mescolano. Lei conduceva il popolo, tutti i cittadini radunati, prima i sacerdoti
degli dei dalla lunga chioma, tutti splendidi nel loro ornamento, poi le
sacerdotesse con Afrodite temperante. Dopo di loro i ragazzi gloriosi, cantori
addetti al culto di Zeus Olimpio, orgogliosi delle vesti; dietro a loro i giovinetti
abili con le armi, figli degli Ateniesi, efebi vestiti di bronzo splendente, giovani
che egli in persona, facendo ammenda della dimenticanza del padre da parte di
Teseo, aveva liberato dalla disgrazia dal nero manto, vestendo i ragazzi a proprie
spese con mantelli lucenti come l’argento, facendo loro il dono di una fibula di
ambra sulla spalla. Dietro di loro il consesso scelto dei Cecropi, distinto: insieme
marciava avanti, il migliore, l’altro invece, di rango inferiore, lo seguiva di
dietro. Tutti avevano addosso mantelli bianchi lavati di fresco. Vicino a loro
avanzò il resto della folla formata da cittadini e stranieri e… Nessuna sentinella
era lasciata nei palazzi, nessun ragazzo, nessuna fanciulla dalle bianche braccia,
ma si radunavano per dare il benvenuto a Erode… come quando una madre
abbraccia suo figlio… da lontano da remota terra … con gioia … eccetto … si
levò.
153
v. 1 vvvvλβιος,λβιος,λβιος,λβιος,BBBBΜαραθΜαραθΜαραθΜαραθν,νν, νν, νν, ν3333νννν ====πλεο, καπλεο, καπλεο, καπλεο, καCCCC µελεδαντµελεδαντµελεδαντµελεδαντ////ς.ς.ς.ς. Il poemetto si apre
con un’apostrofe rivolta a Maratona, cui è riferito l’aggettivo vλβιος,chedesigna
la felicità come frutto di un dono divino; ved. Nordheider 1999, s. v. Il motivo
della felicità è il ritorno in patria di Erode Attico dopo una lunga assenza (vv. 3-
5). Skenteri 2005, 95, ricorda che in modo simile viene apostrofata la città
egiziana Tebe nei poemetti 42, 4, 1 Heitsch aδχνυσοπ/τνιαΘOβηe 9, 10, 11
ΘOβηπ;σαχ/ρευσον. Il makarismos è un modulo incipitario non estraneo ai testi
poetici connessi alla figura di Erode Attico, poiché esso viene ampiamente
sfruttato in SEG 23, 121 = 99 Ameling; ved. commento ad loc. L’incipit mediante
makarismos conferisce a questo poemetto le caratteristiche proprie di un inno già
osservate in IG XIV 1389 A-B = 146 A-B Ameling.
L’espressione vλβιος,BΜαραθν «ist ein erster Hinweis auf Herodes» (Ameling
1983, II, 207) perché Erode si faceva indicare nelle iscrizioni attraverso il
demotico Μαραθνιος come in IG II2 1088, 2090, 3191, 3594/5, 3600, 3603,
3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745, IOlympia 611, 622. In
questo modo egli voleva sottolineare il suo stretto legame con il demo di nascita,
che nel 490 a. C. era stato teatro della vittoria greca contro il nemico persiano;
ved. Jung 2006, 210. Il ricorso a Maratona offriva al ricco ateniese l’opportunità
di affermare la propria identità come greco all’interno del mondo romano di età
imperiale. In questo demo Erode fece erigere molte costruzioni, per corredare
soprattutto la tomba degli Ateniesi caduti in battaglia, e collocare molte statue dei
suoi cari con lo scopo di stabilire un legame tra la sua famiglia e i
Maratonomachoi, simbolo della paideia del passato, come già sono presentati da
Ar. Ach. 180-1 στιπτοC γροντες, πρνινοι, / τερµονες, Μαραθωνοµχαι,
σφενδµνινοι; ved. Jung 2006, 220. Statue di componenti della famiglia di Erode
vennero poste anche nel tempio della dea Nemesi di Ramnunte, poiché il ruolo
svolto dalla dea durante le guerre persiane era molto noto nell’età della Seconda
Sofistica e rappresentava uno dei temi più trattati nelle declamazioni dei sofisti;
ved. Perry 2001, 482 e Jung 2006, 220. Ancora più chiari diventano questi
collegamenti di Erode Attico con la battaglia di Maratona attraverso i resti
archeologici provenienti dalla villa del retore a Cinuria, dove sono state ritrovate
non solo riproduzioni delle stele dei caduti a Maratona ma anche una copia del
trofeo degli Ateniesi; ved. SEG 1999, 370. Inoltre Erode si dichiarava discendente
154
di Milziade e Cimone (cfr. Philostr. V. S. 2, 546) e aveva chiamato sua figlia
Elpinice come la figlia di Milziade, effettuando fino in fondo «die Identifikation
führender Persönlichkeiten mit den Protagonisten der Marathonschlacht» (Jung
2006, 220).
Maratona viene anche citata in IG XIV 1389 A, 5 = 146, 5 Ameling, dove
conclude la presentazione di Regilla.
Il verbo =πλεο, aoristo terzo di πλοµαι, è qui usato «as copula» (LSJ, s. v.
πλοµαι, B, 3) e ha la funzione di presente.
Il primo verso si chiude con µελεδαντ/ς, aggettivo verbale attestato solo
qui, derivato dal verbo µελεδανω «care for» (LSJ, s. v.), sul modello di altri
aggettivi verbali come φαντ/ς,)υφραντ/ς,θερµαντ/ς,σηµαντ/ς, costruito con il
dativo plurale νδρσιν(v. 2); ved. Svensson 1926, 530.
v. 2 ^(^(^(^(ππππροςροςροςρος. Il comparativo (προς si riferisce all’avverbio di tempo ν3ν
(v. 1) e sottolinea l’eccezionalità dell’evento che produce in Maratona una felicità
e un’attenzione senza precedenti, superiori a quelle sperimentate in occasione
della vittoria ateniese durante le guerre persiane; ved. Ameling 1983, II, 207 e
Anderson 1993, 114.
L’uso di ^ al posto di Y deve essere ascritto all’autore del poemetto.
Svensson 1926, 530, osserva che qui ^ corrisponde a µλλονY come in Il. 1, 117
βολοµ0)γwλα'νσν=µµεναι<πολσθαι; Od. 17, 81 α,τ'ν=χοντασ(βολοµ0
)παυρµενY τινα τνδε;Diog. Laert. 6, 57 "λλ9βολοµαι," =φη, ")νSθOναις
ªλαλεχειν<παρ9Κρατρ7τ4ςπολυτελο3ςτραπζηςπολαειν."; Dio Chrys.
2, 14, 5-15, 1 Αλλ9σ,BSλξανδρε,π/τερον¨λοιο~νSγαµµνων<SχιλλεMς<
)κενωντιςγεγονναιτν-ρων<±µηρος;ved. anche Kühner- Gerth, II, 1904,
303. Tuttavia, poiché in questi esempi Y è accompagnato da un verbo ed è
preceduto da espressioni che significano volere, scegliere, Svensson 1926, 530,
giudica più significativo il confronto con Soph. Aj. 966 hµοCπικρ'ςτθνηκεν<
κενοις γλυκς (cfr. schol ad loc. Papageorgius 1888, 79, il quale aggiunge
µ;λλονa)µοCπικρ'ςτθνηκεν); Aristot. Prob. 950b, 28-9 ∆ι9τπαρακαταθOκην
ασχρ'νποστερ4σαιµικρ9ν<πολMδανεισµενον; ed Eust. Comm. ad Od. 19,
264 καCγρτςτ0λλο*ονdδρεταιmνδρ0dλσασακουρδιον,τ2τκνατκpσι
φιλ/τητιµιγε*σα,Yπερ¹δυσσ4α.
155
φαφαφαφαδιµονδιµονδιµονδιµονSSSSλκαλκαλκαλκαÅÅÅÅδην.δην.δην.δην.AttraversoSλκαÅδην, in clausola esametrica, il poeta
fa riferimento ad Erode Attico, personaggio principale del poemetto, il quale
viene esplicitamente chiamato per nome soltanto al v. 32. Wilamowitz 1928, 27,
riconosce nel sostantivo SλκαÅδην una chiara indicazione della madre di Erode,
Vibullia Alcia Agrippina. Questo farebbe pensare a un errore di incisione da parte
del lapicida al posto di Sλκιδην. Tuttavia Wilamowitz conserva la forma
SλκαÅδην ipotizzando che qui l’autore del poemetto si stia collegando a una saga
familiare, «die auf irgendeinen Alkaios der Sage zurückgriff» (Wilamowitz 1928,
27). SλκαÅδης è il patronimico del dio Eracle ed è attestato per la prima volta in
Pind. O. 6, 68, quale variante grafica di SλκεÅδης; cfr. anche Skenteri 2005, 96.
Ad SλκαÅδης viene riferito l’epiteto omerico φαδιµος «illustris» (Ebeling 1898,
s. v.φαδιµος), il quale accompagna i nomi di eroi come Ettore, Aiace e Achille
nell’Iliade e di Odisseo nell’Odissea. Qui φαδιµοςmira a mettere in primo piano
la nobiltà delle origini di Erode che con il suo ritorno in patria è causa di gioia per
la città di Atene.
vv. 3-5. La visita di Erode Attico a Marco Aurelio, impegnato nelle guerre
contro le popolazioni barbare che premevano lungo i limites dell’Impero romano,
viene presentata come il motivo che ha tenuto il ricco ateniese per molto tempo
lontano dalla sua patria. Come afferma Skenteri 2005, 96, «the real reason for
Herodes’ absence is glossed over» e manca in questo componimento qualsiasi
indizio che colleghi la presenza di Erode Attico presso l’accampamento di Marco
Aurelio a Sirmio con la necessità di difendersi dalle accuse mossegli dai suoi
nemici.
v. 3. νοστνοστνοστνοστOOOOσαντασαντασαντασαντα ))))σορσορσορσορν.ν.ν.ν. Il participio appositivo )σορν spiega il
makarismos iniziale rivolto a Maratona. Il demo ateniese, e per sineddoche
dunque l’intera Atene, viene ritratto nell’atto di osservare il ritorno in patria del
suo illustre cittadino. Per la posizione di )σορνin cesura pentemimere maschile
cfr. Il. 13, 478; Sol. fr. 4a, 2 West2; Theogn. vv. 1018, 1318 West2; Theocr. 8, 56.
Il participio è costruito con il participio predicativo(νοστOσαντα) dell’oggetto (v.
2 φαδιµονSλκαÅδην).
ββββωνωνωνων ππππ'''' ΣαυροµατΣαυροµατΣαυροµατΣαυροµατωνωνωνων. Kretschmer 1920, 2543, spiega che i Sarmati
erano una popolazione appartenente al gruppo degli Sciti, di origine iraniana e
156
quindi indoeuropea; cfr. Diod. 2, 43 e Plin. 4, 19. Il primo storico a dare
informazioni su questo popolo è Erodoto, il quale narra che al suo tempo i Sarmati
abitavano a est del Tanai; cfr. Hdt. 4, 21, 1. Nel 69 d. C. essi attraversarono il
Danubio ma furono ricacciati dai Romani (cfr. Tac. Hist. 1, 79). Contro i Sarmati,
alleati con gli Svevi, fu impegnato l’imperatore Domiziano (cfr. CIL 3 suppl. 1,
6818 e CIL 10, 135) mentre l’imperatore Adriano riuscì a stipulare una pace con il
loro sovrano (cfr. H. A. Hadr. 6). Nuovi tentativi di invasione da parte di questo
popolo dovette affrontare anche Marco Aurelio, come testimonia questo
componimento (cfr. H. A. M. Anton. Phil. 22).
Il nome di questo popolo è accompagnato da βων. La parola mβιοςoccorre
per la prima volta in Il. 13, 6 Sβων τε δικαιοττων νθρπων. Già i
commentatori antichi avevano cercato di stabilire se mβιος fosse impiegato da
Omero come etnonimo oppure come epiteto nel significato di «nomad» (LSJ, s. v.
mβιος, III). Come etnonimo gli scholia ad loc. identificano gli Abi con diverse
popolazioni tra cui i Sarmati (τιν(ς τοτους Σαρµτας φασν, Erbse 1974, III,
303). A favore di un’interpretazione di Sβων come etnonimo si pronuncia Seiler
1955, s. v.mβιος: «Da Hom. offenbar etymologisiert, wie Σχb a, hat er wohl .
als Ethnikon genommen». Negli scrittori greci del II sec. d. C. mβιος è attestato
tanto come etnonimo con la funzione di precisarne meglio un altro,come in Arr.
An. 4, 1, 1 Ο, πολλα*ς δ( -µραις Dστερον φικνο3νται παρ0 Sλξανδρον
πρσβειςπαρτεΣκυθντνSβωνκαλουµνων e Hdn. De prosodia Catholica
3, 1, 118 βιος=θνοςΣκυθικ/ν, quanto come aggettivo; cfr. Luc. DMort. 26, 3 εg
τιςα,τοMςναπµψειεθητεσονταςκλOροιςκαCβοιςνδρσιν;Vett. Val. 9,
46, 12 ο,κβουςδ(λλ0)ξδοκOτωνκαCµειζ/νωνqφελουµνους e CIG 3915,
16 mτεκνος καC mβιος καC προλης. Graindor 1912, 70, Svensson 1926, 529,
Ameling 1983, II, 205 e Tobin 1997, 272, stampano la grafia minuscola senza
offrire alcuna spiegazione. Wilamowitz 1928, 27, con approvazione di Powell
1933, 190, adopera la grafia maiuscola e sostiene che «das fabelhafte Volk ist mit
den Sarmaten-Skythen gleichgesetzt, gemeint sind die Feinde, welche der Kaiser
bekriegt». Skenteri 2005, 86, adotta invece la grafia minuscola e giustifica la sua
scelta sostenendo che qui βωνnon deve essere interpretato come etnonimo che
precisa l’identità dei Sarmati perché «that is not wholly compatible with a poetic
157
style» ma come epiteto perché, «although their mode of residence was, at that
time, more permanent than before, they could still be denoted by a traditional
epithet meaning “nomad” or “having no fixed adobe”» (Skenteri 2005, 88-9).
v. 4. γαγαγαγαηςηςηςης))))κκκκνενενενετηςτηςτηςτης,,,,====νθανθανθανθαφιλοπτολφιλοπτολφιλοπτολφιλοπτολµµµµ7777. L’idea dell’estrema lontananza di
Erode dalla patria è espressa dal complementoγαης)κνετης. Per questo nesso
Ameling 1983, II, 207, cita come parallelo Il. 8, 478 τ9νεαταπερατα…γαης
καCπ/ντοιο. A Marco Aurelio, designato con l’espressione Α,σονωνβασιλo(v.
5) viene attribuito poi l’epiteto φιλοπτολµος, forma omerica di φιλοπ/λεµος
«fond of war» (LSJ, s. v.), posto in clausola di esametro. Sebbene φιλοπτ/λεµος
sembri alquanto insolito come epiteto di Marco Aurelio, in realtà, come sottolinea
Powell 1933, 192, esso è usato in riferimento alle numerose guerre in cui Marco
Aurelio fu impegnato fino al 175 d. C. I primi anni di regno infatti erano stati
caratterizzati dalle guerre in Oriente contro l’Armenia. Nonostante la conduzione
delle operazioni militari fosse stata affidata a Lucio Vero, Marco Aurelio dovette
dedicarsi all’effettiva progettazione della spedizione a causa dell’atteggiamento
assunto da Lucio Vero che con molto ritardo aveva raggiunto Antiochia nel 163 d.
C.; ved. commento a Peek 1942, 330 = 186 Ameling. Con la guerra contro la
Partia si conclusero nel 166 d. C. le operazioni romane in Oriente. A queste
seguirono poi le campagne militari in Italia e in Illiria e la spedizione germanica e
sarmatica. Al di là del Reno e del Danubio, dal Mare del Nord al Mar Nero, si
estendeva una fascia di stati in rapporto di più o meno stretta clientela con i
Romani. Questi facevano da cuscinetto contro gli attacchi di altri popoli. Ma
questa situazione si era alterata proprio negli anni di regno di Marco Aurelio a
causa del sovraffollamento che aveva portato a problemi di approvvigionamento e
causato lo spostamento di grandi masse di barbari verso i territori dell’Impero.
v. 5. ΑΑΑΑ,,,,σονσονσονσονων βασιλων βασιλων βασιλων βασιλoooo. Il sostantivo βασιλες designa durante l’età
imperiale l’imperatore romano; ved. LSJ, s. v. L’aggettivo sostantivato Α,σονων
indica propriamente gli Italici, come in IG XIV 1389 A, 29 = 146, A, 29 Ameling,
ma per estensione corrisponde qui a ßΡωµαων; cfr. A. P. 7, 343, 4 =µπλεον
Α,σονων θεσµν; 7, 589, 4 θεσµν τ0 Α,σονων )λπδα µαψιδην; 7, 591, 2
τ/σσου τ/σσος )wνΑ,σονωνπροµχου; 9, 280, 1 Λαλιος,Α,σονων Dπατον
κλος;9, 660, 2 mφθονοςΑ,σονων)κκχυταινοµµων. La descrizione di Marco
158
Aurelio come Α,σονωνβασιλες, al cui seguito si era posto Erode (συνσπετο),
richiama alla mente la presentazione del ricco ateniese come ασονα in Corinth
VIII 3, 128, 6 = 100, 6 Ameling.
ττττ4444λλλλ0)0)0)0)λλλλοντι.οντι.οντι.οντι. Attraverso la relativa τ4λ0)λοντι l’autore del componimento
conclude la caratterizzazione di Marco Aurelio che, a causa delle guerre contro i
barbari, ha raggiunto insieme ai suoi uomini regioni molto remote dell’Impero.
v. 6. ττττ''''νµνµνµνµ((((ννννκισσοφκισσοφκισσοφκισσοφ////ροςπαροςπαροςπαροςπα****ς∆ις∆ις∆ις∆ι''''ςςςς \\\\ρρρραααανννν.A partire da questo verso il
poemetto descrive il corteo che accompagna ad Atene Erode, qui indicato con il
pronome dimostrativo omerico τ'ν. Egli è scortato in primo luogo dal dio
Dioniso, chiamato Εραφιτης al v. 7, la cui identità viene tratteggiata tramite la
perifrasi κισσοφ/ρος πα*ς ∆ι'ς, la quale da una parte, attraverso πα*ς ∆ι'ς,
mette in risalto il legame del dio con Zeus, che lo aveva generato unendosi a
Semele, dall’altro, mediante l’epiteto κισσοφ/ρος «ivy-wreathed» (LSJ, s. v. ),
menziona l’edera come una delle piante sacre al dio.
L’epiteto κισσοφ/ρος è«elevated poetic vocabulary» (Austin-Olson 2004,
305), attestato per la prima volta in Pind. O. 2, 27 e presente in Ar. Thes. 988a e
Opp. C. 1, 365; cfr. anche Nonn. D. 12, 109.Il verso si conclude con l’espressione
\ραν, la quale presenta Erode Attico come sacerdote del dio.
v. 7. αααα,,,,ττττ////ς…ς…ς…ς… ΕΕΕΕραφιραφιραφιραφιτης.της.της.της. L’apertura del verso mediante α,τ/ς, riferito a
Εραφιτης in clausola, esprime la presenza concreta del dio nel corteo che scorta
Erode Attico in città. Εραφιτης è «ein in der Poesie nicht seltnes Beiwort des
Dionysos» (Jessen 1903, 2119). L’epiteto compare per la prima volta in H. Hom.
Bacch. 2, 17, 20, mentre in Alc. fr. 349a Voigt è impiegata la forma eolica
hρραφετας. L’inno a Dioniso di A. P. 9, 524, contenente gli epiteti del dio in
ordine alfabetico, cita due volte Εραφιτης a inizio e a chiusura del
componimento (vv. 1, 26). Cfr. anche D. P. 576; CIG 3538, 17; Orph. H. 48, 2,
Nonn. D. 9, 23; 14, 118, 229; 21, 81; 42, 315. Nell’antichità Εραφιτης veniva
spiegato in modi differenti; p. es., Hesych. ε 1000, s. v. Εραφιτης·∆ι/νυσος
παρ9τ')Nφθαι )ν τ2µηρ2το3∆ι/ς, mette l’epiteto in relazione agli eventi
mitici precedenti alla nascita del dio, secondo cui Zeus cucì il figlio nella sua
coscia dopo la morte della madre Semele, folgorata dal fulmine del dio. Sulle
diverse interpretazioni antiche di Εραφιτης ved. Jessen 1903, 2119-20. Frisk
159
1960, s. v.,spiegaΕραφιτης come composto dal suffisso -ιτηςe dal sostantivo
*εgραφος, collegabile con l’antico indiano rsabhàh «toro» e conclude che
l’epiteto descrive il dio nelle sembianze di un toro; ved. anche Chantraine 1968, I,
s. v., 323 e Mader 1984, s. v. Su Dioniso nelle sembianze di un toro e le festività
connesse ved. Voigt 1884-6, 1055-9.
mmmmγεν πγεν πγεν πγεν πτρηντρηντρηντρην ))))ςςςς οοοοδιµον.διµον.διµον.διµον. La funzione di guida del dio è espressa
dall’imperfetto poetico del verbo mγω; cfr. anche v. 12 dove il participio mγουσα
descrive il ruolo della dea Atena nel corteo che si prepara ad accogliere Erode
Attico.
La città di Atene è indicata come patria in relazione ad Erode ed è
qualificata dall’epiteto οδιµος «wert, besungen zu werden, Gegenstand eines
Liedes zu sein, je nach Situation in malam oder in bonam partem» (Busch 1969, s.
v.). In Omero οδιµοςè attestato solo una volta come predicativo in Il. 6, 358
νθρποισι πελµεθ0 οδιµοι )σσοµνοισι. Come epiteto di Atene οδιµος è
usato per la prima volta da Pind. fr. 76 Maehler ¶ταCλιπαραCκαC οστφανοι
καC οδιµοι, Tλλδος =ρει-/ σµα, κλειναC Sθ;ναι, δαιµ/νιον πτολεθρον, cui
allude Ps.-Luc. Dem. Enc. 10, 6-7 "α\ λιπαραC καC οδιµοι καC τ4ς Tλλδος
=ρεισµα"; e compare in prosa in Plu. Th. 1, 5, 1-3 )φανετο τ'ν τνκαλνκαC
οιδµων οκιστ$ν Sθηνν ντιστ4σαι καC παραβαλε*ν τ2 πατρC τ4ς νικOτου
καCµεγαλοδ/ξου!µης.
v. 8. ))))ξξξξ////πιθεν δπιθεν δπιθεν δπιθεν δ(((( θεθεθεθεwwww δωσιβδωσιβδωσιβδωσιβω πρω πρω πρω πρ////εσαν.εσαν.εσαν.εσαν. L’avverbio epico )ξ/πιθεν
sottolinea l’ordine in cui procedono nel corteo le altre due divinità (θεw …
πρ/εσαν) che scortano Erode in città. Per la posizione di )ξ/πιθεν in apertura di
hemiepes cfr. Ap. Rh. 3, 1321; Theocr. 25, 267 e Arat. Phaen. 1, 91.
Le due dee sono Demetra e Core, qualificate dall’epiteto al duale δωσιβω,
attestato solo qui e sinonimo di βι/δωρος «che dà vita», usato da Aesch. fr. 168,
17 Radt; Pind. Pae. 4, 26 Maehler e Soph. Phil. 1160. Rari sono infatti i composti
con δωσι- come primo elemento. Un esempio ne è offerto da Hdt. 6, 42 che usa
l’aggettivo δωσδικος, ripreso poi da Polyb. 4, 4, 3 e citato da Suid. δ1480 Adler.
Questa triade di divinità che da Eleusi scorta Erode verso Atene è una scelta
consapevole del poeta poiché ognuna ha una connessione particolare con il ricco
ateniese e con la località verso cui la processione si dirige (cfr. vv. 10-1). La
160
presenza del dio Dioniso è spiegata dal testo stesso con la precisazione che Erode
era un sacerdote del dio, mentre quella di Demetra e Core si giustifica con il fatto
che il corteo, attraverso la piana di Tria, percorre una parte del territorio eleusino
in cui le due dee avevano i loro culti. Skenteri 2005, 98, aggiunge che «in the
celebrations of the Mysteries, the Athenian people were the ones who went out to
visit the three divinities in their temple. The inscription, on the other hand,
describes an occasion on which the gods themselves left their shrines in order to
escort one important individual back to his home in Athens». Per il collegamento
di Erode con i misteri eleusini ved. commento a IG XIV A 31-2 = 146 A, 31-2
Ameling. Per quanto concerne il verbo πρ/εσαν al plurale, anziché al duale come
il soggetto, ved. Kühner-Gerth 1898, I, 70.
v. 9. τοτοτοτο****σιδσιδσιδσιδ0S0S0S0SθηναθηναθηναθηναηπολιηπολιηπολιηπολιOOOOοχοςοχοςοχοςοχοςντεβντεβντεβντεβ////λησελησελησελησε. A partire da questo verso il
poeta descrive un secondo corteo, scortato dalla dea Atena, che va incontro a
Erode Attico per accoglierlo in città.
A differenza di Dioniso, Demetra e Core, che vengono descritti mediante
degli epiteti, la dea Atena è chiamata per nome accompagnato dall’epiteto
πολιOοχος, che la qualifica nella sua funzione di protettrice della città di Atene, e
giustifica la sua presenza a capo del corteo di benvenuto per Erode. Il legame di
Erode Attico con la dea Atena è evidenziato anche nelle iscrizioni triopee: a lei
egli dedica il territorio romano al terzo miglio sulla via Appia insieme alla dea
Nemesi; ved. commento a IG XIV B, 71 = 146 B, 71 Ameling. ΠολιOοχος, forma
epica di πολιο3χος, è un epiteto convenzionale per le divinità poliadi ed è
regolarmente impiegato quale sinonimo poetico di Πολαςe Πολι;τις per Atena,
alla quale erano dedicati templi non solo ad Atene ma in tutta la Grecia; ved.
Roscher 1884-6, 684-7. In poesia l’epiteto qualifica per la prima volta la dea in
Pind. O. 5, 10, dove compare la forma doricaπολιοχος; cfr. anche Ar. Eq. 581;
Nu. 602; Av. 827; Lys. 354. In Th. 317-9, 1139-40 sono presenti invocazioni ad
Atena in qualità di divinità poliade. L’epiteto occorre anche in molte iscrizioni
metriche dedicate alla dea, rinvenute sull’Acropoli; cfr. IG I3 544, 683, 718, 775.
Per quanto riguarda l’aoristo ντεβ/λησε in clausola di esametro cfr. Il. 11,
806; 13, 210, 246; 16, 790; Od. 10, 277; H. Hom. Herm. 143; Hes. Sc. 439; Ap.
Rh. 3, 68, 1213; 4, 1551, 1592.
161
v. 10. ))))ρχοµρχοµρχοµρχοµνοιςνοιςνοιςνοις!!!!ειτειτειτειτ,,,,ΧαλκιδικΧαλκιδικΧαλκιδικΧαλκιδικwwwwποταµποταµποταµποταµ....Nei vv. 10-1 viene precisato il
luogo presso il quale avviene l’incontro tra i due cortei provenienti da due
direzioni diverse. Gli accusativi di moto !ειτ,Χαλκιδικwποταµ sono retti dal
participio )ρχοµνοις. !ειτ «Salzbäche» (Bürchner 1914, 556), è il nome dei
due ruscelli sacri di acqua salmastra presso la via sacra che da Atene conduceva
ad Eleusi, dove sorgeva il tempio delle dee Demetra e Core. Paus. 1, 38, 1, riporta
che i due ruscelli erano sacri alle due dee e che solo ai loro sacerdoti era concesso
estrarne i pesci; λγονταιδ(ο\!ειτοCΚ/ρης\εροCκαC∆Oµητροςεeναι,καCτοMς
χθ3ς )ξ α,τν το*ς \ερε3σιν =στιν α\ρε*ν µ/νοις. Hesych. ρ 202 precisa che il
ruscello sul lato del mare era sacro a Demetra, mentre quello vicino alla città a
Core; !ειτο·)ντoSττικoδοεσCνο\πρ'ςτohλευσ*νι!ειτοCNωγµο.καC
µ(ν πρ'ς τo θαλττp τ4ς πρεσβυτρας θεο3 νοµζεται, δ( πρ'ς τ' mστυ τ4ς
νεωτρας,RθεντοMςλουτροMςxγνζεσθαιτοMςθισους. Questi due ruscelli erano
alimentati da varie sorgenti di acqua salata e poiché si trovavano al di sopra del
livello marino, le loro correnti fluivano velocemente verso il mare. Nel 421-420 a.
C. venne costruito un ponte (cfr. IG I2 81) «coronato da un rilievo con Atena e le
divinità di Eleusi» (Beschi-Musti 1982, 411). Il duale !ειτ è attestato solo qui
mentre in Soph. fr. 1089 Radt occorre il neutro plurale !ειτ. Il sostantivo !ειτ
è poi accompagnato dall’apposizione, Χαλκιδικw ποταµ. L’epiteto Χαλκιδικ
riflette un’opinione comune, ricordata anche da Paus. 1, 38, 1, secondo cui i due
ruscelli erano il riemergere di una corrente marina sotterranea che attingeva
all’Euripo di Calcide.
v. 11.ΘρειΘρειΘρειΘρειζζζζ0,=0,=0,=0,=νθνθνθνθ0x0x0x0xλλλλωσυµβωσυµβωσυµβωσυµβλλετονολλετονολλετονολλετονοeeeeδµαδµαδµαδµαN/N/N/N/οςτεοςτεοςτεοςτε. Il luogo dell’incontro
tra i due cortei è la piana di Tria. Θρειζε = Θριζε; per questa forma Graindor
1912, 85, n. 2, rinvia a Thuc. 1, 114, 2, cui va aggiunto anche 2, 21, 1 e IG II2
1672 fr. b, 109. Il verso descrive questa piana come il punto in cui le onde marine
e le correnti dei Rheitoi si incontrano.
Il duale xλω è epiteto sia di οeδµαsia di N/ος perché l’acqua del mare e
l’acqua dei due Rheitoi sono salate; ved. Skenteri 2005, 89. L’aggettivo ªλιοςè
un epiteto tradizionale di οeδµα, come in H. Hom. Ap. 417; Pind. fr. 221, 4
Maehler; Eur. Hec. 634; Hel. 520. Il nesso doveva essere così comune che in Eur.
162
Hel. 1501ªλιοςglossa l’espressione piuttosto inconsueta γλαυκ'ν)π0οeδµα; ved.
Kannicht 1969, II, 396.
Wilamowitz 1928, 28, rinvia per la forma verbale συµβλλετον a Il. 4, 453
)ςµισγγκειανσυµβλλετονvβριµονDδωρ, dove però il verbo, diversamente da
qui, è usato in modo transitivo. La forma verbale συµβλλετονviene ancora usata
in Il. 5, 774 tχιNο9ςΣιµ/ειςσυµβλλετον^δ(Σκµανδρος, in cui viene descritto
l’arrivo di Era su un carro trascinato da cavalli a Troia nel tratto in cui il Simoente
e lo Scamandro mescolano le loro acque.
v. 12. λαλαλαλα''''νννν mmmmγουσαγουσαγουσαγουσα ====τας πτας πτας πτας πνταςνταςνταςντας µηγερµηγερµηγερµηγεραςαςαςας. Atena viene rappresentata
come guida del suo popolo attraverso il nesso λα'νmγουσα. In Il. 10, 79 λα'ν
mγων descrive colui che guida un esercito di uomini; cfr. anche Il. 2, 580 mγε
λαος. Qui λα'ν mγουσα perde la connotazione bellica dell’uso omerico
all’interno del nuovo contesto della processione giubilante che si fa incontro a
Erode. Il sostantivo λα/ς al singolare rappresenta il popolo di Atene in
processione «als kollektive Einheit» (Schmidt 1991, s. v.), come è esplicitato
dall’apposizione =τας πντας µηγερας. Il sostantivo =της ha il significato di
«citizen» (LSJ, s. v.) come in Pind. Pae. 6, 10-1 Maehler =ταις µαχαναν
ʖ[λ]ξων/τεο*σιν.
Per l’espressione πνταςµηγεραςcfr. Il. 2, 789 e 7, 415. Un’espressione
simile a =τας πντας µηγερας è adoperata poi da Nonn. D. 14, 285-6
µηγερεςδ(πολ*ται/πντες.
v. 13. \\\\ρρρρ4444αςµαςµαςµαςµ((((νπρνπρνπρνπρταθεταθεταθεταθενκοµνκοµνκοµνκοµ////ωνταςωνταςωνταςωντας))))θεθεθεθεραιςραιςραιςραις. A partire da questo verso
il poeta distingue i vari gruppi che formano il corteo guidato dalla dea.
Skenteri 2005, 98, ricorda che ogni anno, nel mese di Boedromione, gli
Ateniesi andavano in processione dalla città ad Eleusi per celebrare i misteri. «The
welcoming procession for Herodes described in this inscription followed the same
route as the Eleusinian procession. It is quite possible that the poet had the
Eleusinian procession in mind when he described the welcoming of Herodes and
that he inserted in his narrative the groups of participants that took part in the
authentic procession».
Il primo gruppo è rappresentato dai sacerdoti degli dei (\ρ4ας…θεν). Al
v. 6 compare l’accusativo singolare \ρα; qui la grafia \ρ4ας è metri causa.
163
Κοµ/ωντας)θεραις è un’espressione omerica che ricorre in Il. 8, 41-2 = 13, 24-5
jπ0vχεσφιτιτσκετοχαλκ/ποδ0rππω/qκυπταχρυσpσιν)θερpσινκοµ/ωντε,
per qualificare i cavalli, e che l’autore del componimento adatta a un nuovo
contesto. Eust. Comm. ad Il. 2, 522, 22-523, 1, notava come fosse insolita la frase
omerica per qualificare la criniera dei cavalli e concludeva che solo l’autorità del
mito permetteva di riferire agli animali parole che descrivono propriamente i
capelli umani.
v. 14.κκκκ////σµσµσµσµ7777ττττ2222σφετσφετσφετσφετρρρρ7,7,7,7,ππππνταςνταςνταςνταςριπρεπριπρεπριπρεπριπρεπας.ας.ας.ας. La descrizione dei sacerdoti
è completata dall’apposizione πντας ριπρεπας. Κ/σµ7 τ2 σφετρ7 viene
tradotto da Oliver 1970, 34, «in full regalia». Egli vi scorge un riferimento agli
ornamenti indossati dai sacerdoti durante la processione. Questo significato di
κ/σµος è già attestato in Il. 14, 187, dove si narra come Era si prepari a ingannare
Zeus mettendosi addosso ogni ornamento. Skenteri 2005, 89, sebbene traduca i
vv. 13-4 «first the priests of the gods, with their flowing hait, all resplendent in
their own ornaments», giudica difficile determinare se «κ/σµ7 τ2 σφετρ7 is
used as an apposition to )θεραις or if it is attached to ριπρεπας» e conclude
«however we think that the former interpretation is more probable».
v. 15. \\\\ρερερερεαςαςαςας δδδδ(((( µεταµεταµεταµετα3333θιθιθιθι σασασασα////φροναφροναφροναφροναΚΚΚΚπρινπρινπρινπριν ))))χοχοχοχοσαςσαςσαςσας. Il secondo gruppo è
costituito dalle sacerdotesse(\ρεας)che conducono in processione un’immagine
di Afrodite (σα/φρονα Κπριν). Secondo Graindor 1912, 85-6, si tratta di una
statua della dea dedicata da Erode. Di questa dà notizia Dam. Isid. fr. 87, 1
Zintzen = Phot. Bibl. 242, 342a, 7-8 ±τι φησCν συγγραφεMς mγαλµα τ4ς
Sφροδτης δε*ν \δρυµνονρδουτο3σοφιστο3νθηµα. Skenteri 2005, 90,
avanza diverse interpretazioni sulla presenza di Afrodite nel corteo: «a statue of
Aphrodite may have been carried in the procession, a picture of some other kind
may have been meant, or a woman may have been dressed up like Aphrodite».
Riguardo all’ultima proposta di interpretazione Skenteri cita Arist. Ath. 14, 4, 4-
13, dove si racconta che Pisistrato fece indossare a una donna i panni della dea
Atena, affinché lo accompagnasse in città durante il suo rientro dall’esilio.
Afrodite è qualificata come σα/φρονα, emendamento di Wilamowitz 1928, 29,
che corregge la lettura di Graindor 1912, 86,mφρονα. Sulla pietra la vocale α è
omessa mentre ο è aggiunta al di sopra della linea del verso. L’aggettivo σφρων
164
viene impiegato solo qui come epiteto di Afrodite. La dea viene citata anche in IG
XIV 1389 A 4 = 146 A, 4 Ameling da Marcello come progenitrice di Regilla.
vv. 16-7. Il terzo gruppo guidato dalla dea Atena è composto da giovani
cantori di Zeus Olimpio (κυδαλµους πα*δας οιδοπ/λους ΖηνC θεηκολοντας
¹λυµπωϊ), con il quale era stato assimilato l’imperatore Adriano (ved. infra). Per
l’espressione κυδαλµουςπα*δαςcfr. Od. 14, 206 = 17, 113 υ\σικυδαλµοισιν e
19, 118 υ\ο*σιν)κκλετοκυδαλµοισι. Κυδλιµος «wacker» (Führer 1991, s. v.
κυδλιµος) è un aggettivo adoperato in Omero come epiteto di uomini; qui
specifica che i giovani appartenevano alle migliori famiglie ateniesi, com’è anche
sottolineato da Graindor 1912, 87, il quale cita CIG 2715a 1, 7-9 α[\ρε*σθαι]ν3ν
)κ τν εE γεγον/των πα*δας τρικοντα, … οrτινες … Þσονται Dµνον, dove si
parla della scelta di trenta giovani discendenti da buone famiglie, perché cantino
un inno.
οιδοποιδοποιδοποιδοπ////λουςλουςλουςλους. Il sostantivo οιδοπ/λος precisa che la funzione di questi
giovani è quella di essere cantori. Si tratta di un sinonimo di οιδ/ς, come si
deduce da A. P. 8, 122, 1, dove Eufemio viene presentato come !Oτωρ )ν
Nητ4ρσιν, οιδοπ/λος δ0 )ν οιδο*ς. Il sostantivo non è mai attestato nell’età
classica ma solo a partire dall’età ellenistica nella produzione epigrammatica; ved.
LSJ, s. v. οιδοπ/λος. Secondo Graindor 1912, 87, il termine οιδοπ/λοςè usato
dall’autore di questo componimento come sinonimo poetico di ,µν7δο,poiché
con quest’ultimo vengono indicati i cantori dell’imperatore Adriano nelle vesti di
Zeus Olimpio come, p. es., in IEph. 5, 1745 [jµ]νωδ'νναο3θεο[3Îδριανο3; cfr.
anche le iscrizioni provenienti dalla città di Smirne, come CIG 3170, 3148, 3160,
le quali documentano questa nuova istituzione di cantori in onore dell’imperatore
Adriano. Secondo questo poemetto tali cantori erano presenti anche ad Atene;
ved. Graindor 1912, 87.
ΖηνΖηνΖηνΖηνCCCCθεηκολθεηκολθεηκολθεηκολονταςονταςονταςοντας¹¹¹¹λυµπλυµπλυµπλυµπ7777. La spiegazione di questa perifrasi è opera di
Graindor 1912, 86. Il participio θεηκολοντας ha il significato di «être
θεηκ/λος». I θεηκ/λοι erano dei sacerdoti istituiti dall’imperatore Adriano per il
culto di Zeus Olimpio, che durante il suo regno conobbe una nuova rinascita; cfr.
IG II2 3313 Α,τοκρτορα Îδριαν'ν ¹λµπιον ο\ πρτοι θεηκ/λοι. Questi
θεηκ/λοι però non venivano scelti tra i ragazzi di Atene, come fa credere il v. 17,
165
ma tra i vecchi della città. Per questo motivo risulta difficile identificare i πα*δας
οιδοπ/λους con i θεηκ/λοι.
La presenza di questo gruppo di giovani per Zeus Olimpio si spiega da una
parte con l’identificazione dell’imperatore Adriano con Zeus Olimpio (ved.
Raubitschek 1945, 130) dall’altra con la carica di ρχιερεMς τν σεβαστν
ricoperta da Erode (ved. Dittenberger 1878, 72-6), la quale designa un sacerdozio
per il culto dell’imperatore regnante e degli altri assimilati alle divinità; ved.
Brandis 1895, 480-2. Che la carica di ρχιερεMςτνσεβαστν riguardasse anche
gli imperatori defunti è ricavabile da iscrizioni della città di Sparta, quali CIG
1363, 1364 b, 1405, che presentano la formula ρχιερεMςτνσεβαστνκαCτν
θεωνπρογ/νωνα,το3.
rrrrµασι κυδροµασι κυδροµασι κυδροµασι κυδρος.ς.ς.ς. Graindor 1912, 70, e Svensson 1926, 529, stampavano
¹λυµπωϊµασικδρους.Il termine µασικδρους è però senza attestazioni e i due
studiosi non offrivano alcuna spiegazione. Skenteri 2005, 90, annota che «rµασι
stands for εrµασι». La grafia rµασι occorre anche in IEgVers 127, 9 rµασιδ0νθ0
Rπλωνκοσµοµεθα. Dubbia è la presenza della dieresi sulla prima iota; Threatte
1980, I, 98, ricorda: «I could see no trace of it on the stone when I examinated it».
vv. 18-23. Questi versi presentano il quarto gruppo del corteo. Si tratta degli
efebi, sui quali l’autore si sofferma maggiormente, perché la loro partecipazione
offre la possibilità di sottolineare una delle tante munificenze compiute da Erode
Attico per una classe degli abitanti di Atene, prima che la città gli movesse
l’accusa di tirannide.
v. 18. I giovani sono descritti come^ϊθουςrστορας^νορης. Il sostantivo
^Åθεοςdesigna il giovane intorno ai 18 anni; ved. Beck 1987, s. v.
Gehrke 1997, 1073, ricorda che «im Alter von 18 Jahren wurden die jungen
Athener in ihren jeweiligen Demen nach Prüfung ihres personenrechtlichen Status
in die Bürgerlisten eingeschrieben und dann phylenweise in die Ephebeia
aufgenommen». Gli efebi avevano come modello la figura di Teseo, l’efebo per
eccellenza che con il suo coraggio aveva liberato Atene dal tributo annuale di
giovani che la città doveva al re di Creta Minosse; cfr. Plu. Thes. 17. Sull’efebia
in generale ved. Thalheim 1903, Pélékidis 1962, Guarducci 1969, II, 380-410 e
Gehrke 1997.
166
¼Åθεος è un termine omerico. In Il. 18, 567, 593; 22, 127-8 e Od. 11, 38 è
in correlazione con παρθνος e designa il ragazzo distinto dalla ragazza, mentre in
Od. 3, 401 e 6, 63 il sostantivo mette in risalto la condizione dei ragazzi che per la
loro giovane età vivono ancora a casa dei genitori; ved. Beck 1987, s. v.^Åθεος.
La definizione degli efebi come ^Åθεοι non è isolata perché compare anche in IG
III, 1151 ^ιθοισιν )φOβοισιν; cfr. anche IG II2 3754 \ππα !ωµαων τ'ν )ν
^ιθοισιν =φηβον. Wilamowitz 1928, 30, definisce Geschmacklosigkeit la
tautologia^ϊθουςrστορας^νορης (v. 18),πα*δαςSθηναων (v. 19) e )φOβους
(v. 20). Egli spiega poi νορης con νδρεας,«weil sie hier mit irgendwelcher
Waffe paradieren». Powell 1933, 194, ricollegandosi a questo giudizio, definisce
l’intera espressione ^ϊθουςrστορας^νορης«a showy phrase for )νRπλοις».
Per quanto riguarda l’aggettivo rστωρ «knowing, learned» (LSJ, s. v., II)
costruito con il genitivo, cfr. H. Hom. Sel. 2 -δυεπε*ς κο3ραι Κρονδεω ∆ι'ς
rστορεςÖδ4ς;Bacch. 9, 43-4 )]γχων/rστορεςκο3ραιδιωξπποι0ρηος;Soph.
El. 850 Κγwτο3δ0 gστωρ,jπερστωρ;Eur. IT 1431 jµ;ςδ( τ9ς τνδ0 gστορας
βουλευµτωνe Plat. Crat. 406b, 3 ρετ4ςrστορα.
v. 19.παπαπαπα****δαςδαςδαςδαςSSSSθηναθηναθηναθηναωνωνωνων. Nel V sec. a. C. l’accesso all’efebia era riservato a
chi vantava di «“essere nato secondo la legge”, cioè da padre e madre ateniesi»
(Guarducci, 1969, II, 384). In età ellenistica ed imperiale l’efebia conosce una
grande estensione nel mondo greco, tanto da diventare un’istituzione per la
formazione fisica e spirituale dell’élite e un elemento essenziale nella
rivendicazione dell’identità greca. Per questo motivo a partire dalla fine del I sec.
a. C. gli stranieri vennero accettati all’interno dell’efebia e Atene si trasformò in
un centro di educazione; ved. Gehrke 1997, 105.
χαλκχαλκχαλκχαλκ2222γανγανγανγανονταςονταςονταςοντας))))φφφφOOOOβουςβουςβουςβους.«The Homeric influence is obvious, for the verb
belongs to the Homeric vocabulary. However, in Homer the word γανοντες
(γαν/ωντες) is always used about objects and never about human beings»
(Skenteri 2005, 105). In Il. 13, 264-5 τ µοι δορατ τ0 =στι καC σπδες
dµφαλ/εσσαι/καCκ/ρυθεςκαCθρηκεςλαµπρ'νγαν/ωντες e 19, 359 ¬ςτ/τε
ταρφειαCκ/ρυθες λαµπρ'νγαν/ωσαι il participio del verbo γανωdescrive lo
splendore delle armi mentre in Od. 7, 127-8 =νθα δ( κοσµηταC πρασιαC παρ9
νεατον vρχον / παντο*αι πεφασιν, )πηεταν'ν γαν/ωσαι e H. Hom. Cer. 9
167
[νρκισσ/ν] θαυµαστ'ν γαν/ωντα quello dei fiori in pieno germoglio; ved.
Mader 1982, s. v. γανω.
v. 20. α α α α,,,,ττττ////ς.ς.ς.ς. Il pronome designa Erode Attico. La sua identità viene
lentamente svelandosi nel corso del poemetto attraverso indizi quali l’apostrofe al
demo di nascita, l’allusione al legame con l’imperatore Marco Aurelio, di cui era
stato maestro, la presenza di Dioniso, di cui era sacerdote, e di Demetra e Core,
nei cui misteri egli svolgeva un ruolo importante in qualità di componente della
famiglia sacerdotale dei Cerici (cfr. IG XIV 1389 A 32-3 = 146 A, 32-3 Ameling),
infine la citazione di uno dei suoi benefici nei confronti della città natale.
v. 20-1 λλλλOOOOθην πατρθην πατρθην πατρθην πατρ''''ς … Ας … Ας … Ας … Αγεγεγεγεδεω.δεω.δεω.δεω. Graindor 1912, 88, seguito da
Wilamowitz 1928, 30, aveva interpretato il genitivo Αγεδεω come un
patronimico di πατρ/ς, e vi aveva letto un riferimento al padre Attico. Egli
fondava la sua tesi su IG XIV 1389 A, 33 = 146 A, 33 Ameling, dove Erode viene
esplicitamente definito discendente di Teseo. L’interpretazione corretta del
patronimico è stata data per la prima volta da Roussel 1941, 164, il quale vi
riconosce invece il riferimento mitologico a Teseo. L’intero nessoλOθηνπατρ'ς
…Αγεδεω allude alla leggenda secondo cui il giovane Teseo, navigando verso
Atene, dopo aver ucciso a Creta il Minotauro, dimenticò di fare issare le vele
bianche al posto di quelle nere, come aveva promesso al padre Egeo nel caso fosse
ritornato a casa vivo. Il mito narra che a quella vista il padre, credendo il figlio
morto, si tolse la vita gettandosi in mare; cfr. Plu. Thes. 22. L’abbigliamento degli
efebi con mantelli neri era stato fissato dalla tradizione come sopravvivenza del
ricordo di Teseo vestito di nero per espiare il suicidio del padre.
κεικεικεικει////µενος.µενος.µενος.µενος. Roussel, 1941, 164, propone la correzione del participio
κει/µενος nell’accusativo plurale κει/µενουςaccordato conκορουςdel v. 21.
Secondo questa correzione sono gli efebi a fare ammenda della dimenticanza di
Teseo, indossando abiti neri. Così traduce Ameling 1983, II, 208: «wodurch sie
sühnen wollten, dass der Aigeussohn (Theseus) nicht an seinen Vater gedacht
hatte». Il participio inciso sulla stele viene difeso invece da Skenteri 2005, 91, che
traduce: «by making amends himself for Aigeus’ son’s forgetfulness of his vater».
Questo passo va spiegato, da una parte, come volontà dell’autore di ricordare agli
Ateniesi una munificenza di Erode, dall’altra, come allusione alla discendenza di
168
Erode da mitici personaggi. Erode come cittadino privato, sottolinea Skenteri
2005, 92, non aveva il diritto di mutare un simile costume, ma come discendente
di Teseo poteva prendere su di sé l’onere di espiare il suicidio di Egeo e garantire
la continuità della tradizione. «Thus, the word α,τ/ς acquires a logical function,
since it enhances Herodes’ prominet role as mourner and sets him in opposition to
the ephebes» (Skenteri 2005, 92).
21. δδδδ<<<<νννν>>>>οφοεοφοεοφοεοφοεµονοςµονοςµονοςµονος. L’aggettivo è correzione di Svensson 1926, 532, di
∆ΜΟΦΟΕΙΜΟΝΟΣdella stele; egli osserva: «Mais c’est à coup sûr une erreur
du lapicide, déconcerté, par un mot qu’il ignorait, et il faut écrire δνοφοεµων que
l’on rapprochera du substantif δν/φος, écrit parfois γν/φος, d’où viennent les
adjectifs δνοφ/εις, δνοφοOς, δνοφδης et δνοφερ/ς – oscure, triste».
∆νοφοεµων è un hapax legomenon e significa «clothed in dark robes» (LSJ,
suppl., s. v.δνοφοεµων). Svensson 1926, 532, n. 1, confronta il neologismo con
τοMς µελανεµονας di Polyb. 2, 16, 13, dove lo storico, a proposito del fiume
Bodenco, ricorda le storie raccontate dai Greci relative a Fedonte e alla sua caduta
e cita gli abiti neri indossati dagli abitanti vicino al fiume in segno di lutto; cfr.
anche CIG 2715a 1, 8 λ[ε]υχειµονο3ντας. Secondo Wilamowitz 1929, 490, «der
Poet hat mit seiner Neubildung wenig Glück gehabt, denn δν/φος ist kein Wort
für Farbe».
Il sostantivo λβη«despiteful treatment, outrage, dishonour» (LSJ, s. v.) è
attestato già nei poemi omerici in Il . 3, 42; 7, 97; 9, 387; 11, 142; 13, 622; 18,
180; 19, 208; Od. 18, 225, 347; 19, 373; 20, 169, 285; 24, 326, 433;
Per quanto concerne=σχεθε,indicativo aoristo poetico di=χω, costruito con
l’accusativo κορους e il genitivo λβηςδνοφοεµονος cfr. Il. 2, 275; Od. 4, 758;
Soph. El. 375 ed Eur. Herc. Fur. 1005.
v. 22. ργυφργυφργυφργυφαις χλααις χλααις χλααις χλαναιςναιςναιςναις µφιµφιµφιµφισαςσαςσαςσας. I mantelli che Erode dona a proprie
spese (οgκοθεν) agli efebi sono qualificati come ργφεαι «silver-shining, silver-
white» (LSJ, s. v). L’aggettivo compare per la prima volta in Il. 18, 50 ργφεον
… σπος ma è in Od. 5, 230 = 10, 543 ργφεον φ;ρος che ργφεος viene
impiegato per indicare il colore bianco e lucente di un tessuto. Quest’accezione è
riscontrabile anche in Hes. Th. 574 ργυφp )σθ4τι; Ap. Rh. 3, 835 = 4, 474
καλπτρην /ργυφην e Nonn. D. 48, 108 ργυφ7…εrµατι. La donazione di
169
mantelli bianchi è documentata anche da IG II2 209057; quest’iscrizione, grazie
alla citazione dell’arconte Sesto di Falero, permette di datare l’avvenimento al
165-166 d. C.; ved. Ameling 1983, ΙΙ, 111-2. Sul dono dei mantelli bianchi cfr.
anche Philostr. V. S. 2, 550, 16-8 µετεκ/σµησεδ(καCτοMςSθηναων)φOβους)ς
τ'ν3νσχ4µαχλαµδαςπρτοςµφισαςλευκς. Il biografo però (V. S. 2, 550,
18-22) offre un altro aition delle vesti nere. Esse sono presentate come segno del
lutto ateniese per Copreo, messaggero del re di Micene Euristeo, che gli Ateniesi
avevano ucciso mentre questi cercava di strappare gli Eraclidi dall’altare; sulla
vicenda cfr. Il. 15, 639-40 ed Eur. Heracl. 1-72.
Secondo Powell 1933, 193, l’aition filostrateo si collega al fatto che il luogo
dell’uccisione di Euristeo è il tempio a Maratona. Sia l’aition di Filostrato che
quello dell’autore di questo poemetto dovevano in realtà coesistere se Plu. Th. 22,
dopo aver descritto i riti compiuti da Teseo per commemorare la morte del padre,
avverte l’esigenza di avvisare il lettore che altri scrittori potranno attribuire questi
riti alla memoria degli Eraclidi.
Per quanto riguarda il participio aoristo µφισας del verboµφιννυµι«to
clothe» (LSJ, s. v.), costruito con il dativo, cfr. Plat. Prot. 321a e Dion. Hal. 6, 16.
v. 23. δωρηθδωρηθδωρηθδωρηθεεεεCCCCςςςς. Il participio aoristo passivo ha qui il significato del
participio aoristo medio δωρησµενος ed è un solecismo «nach Analogie von
)νεθυµOθην, )φιλοτιµηθην» (Wilamowitz 1928, 30); per questo uso cfr. anche
Hesych. H. Homilia ii in S. Longinum centurionem 26, 13-16 hγεµιΛογγ*νος,
δι9τ4ςµητρ/ςσουδωρηθεCςτ$νκεφαλOν,λλ0Qσπερα,τ$)κ/µισνµουτ$ν
κεφαλOν,οDτωςκγwβολοµασετ2θε2προσκοµσαι; ved. anche Lampe 1961,
s. v. δωροµαι.
ττττ ) ) ) )νετνετνετνετooooσι κατωµαδσι κατωµαδσι κατωµαδσι κατωµαδ''''νννν ^λλλλκτροιο.κτροιο.κτροιο.κτροιο. «Wieder τ zu γ verlesen» (Wilamowitz
1928, 29). Le fibule di ambra sono citate solo qui. Graindor 1912, 89, vede il
modello del v. 23 in Il. 14, 180 χρυσεpςδ0)νετoσικατ9στ4θοςπερον;το e Call.
Hec. fr. 42, 5 Hollis mλ[λ]ικαχρυσεηισινʖ)εργοµ[νην)νετ4ισιν. 57 γαθo [τχp] )πC νκp τν θειοττων α,το[κρατ/ρων Μ Α,ρηλου καC Λ ΒOρου] ΣεβαστνSρµενιακνΠαρθικ[νµεγστων,)πCmρχοντοςΣξτου]Φαληρωςκοσµητ$ςτν)φO[βωνΛTρννιος ΚορνOλιος καC] Sττικ'ς SζηνιεMς νγραψεν το[Mς jπ0 α,τ2 )φηβεσαντας, τοMς]πρτους λευκοφορOσαντας δι9 τ[4ς λαµπροττης ε,εργεσας] το3 κρατστου ρχιερως· Τιβ·Κλ·ρ[δουΜαραθωνου.^ρτη]σενπρ/εδρος,Rτ7δοκε*λευκο[φορ4σαιτοMς)φOβουςτ4ς]-µρας)νπρ'ςτ$νhλευσ*να-σ[τρατι9πορεεται,Rτ7δ(]µ$.ο,δεCς)π4ρενρδηςεeπεν·B[=φηβοι,)µο3παρ/ντοςχλαµ]δωνλευκνο,κπορOσετε).
170
v. 24-26. Il quinto gruppo che prende parte al corteo è composto dalle due
βουλαdi Atene.
v. 24 ττττν δν δν δν δ0 v0 v0 v0 vπιθεν.πιθεν.πιθεν.πιθεν. Per questa espressione in apertura di hemiepes cfr.
Choeril. fr. 320, 1 SH τνδ0vπιθενδιβαινεγνοςθαυµαστ'νδσθαι, dove il
poeta elenca i popoli partecipanti alla spedizione contro l’Ellade.
ΚεκρΚεκρΚεκρΚεκρ////πων.πων.πων.πων. LSJ, s. v. Κκροψ, annotano che il plurale Κκροπες
corrisponde alla forma Κεκροπδαι, sostantivo derivato dal nome del mitico
sovrano ateniese, e indica gli abitanti della città di Atene; cfr. commento a IG XIV
1389 A, 30 = 146 A, 30 Ameling. La forma Κκροπες compare anche in IG II2
2139; 7447; 8395; 13150; SEG 28, 350; 30, 294.
v. 25. ====ξαιτοςξαιτοςξαιτοςξαιτος. L’aggettivo qualifica βουλO del verso precedente ed è
pleonastico in quanto ha lo stesso significato del participioκεκριµνηdel v. 24;
ved. Wilamowitz 1928, 30. L’aggettivo compare già in Il. 12, 320 e in Od. 2, 307;
5, 102; 19, 366.
προτπροτπροτπροτρωκρωκρωκρωκον.ον.ον.ον.Al soggettoal singolare (v. 24 βυλO) segue ora il verbo al
plurale (κον). Per questa espressione cfr. Od. 9, 64 ο,δ0mραµοιπροτρων4ες
κονµφιλισσαι. Προτρωha funzione avverbiale; il suo significato corrisponde
a εςτοµπροσθεν, come annota Hesych. π3983.
θρθρθρθρ////οιοιοιοι. L’unità con cui i membri della bulé marciano sotto la guida di
Atena è espressa dall’aggettivo θρ/οι, che, associato al verbo κον, riprende
l’espressione omerica di Il. 14, 38 = Od. 16, 361 = 24, 420 κονθρ/οι, di cui
conserva la posizione metrica all’interno dell’esametro dopo la cesura
pentemimere; per l’espressione κον θρ/οι cfr. anche Ap. Rh. 4, 674.
----µµµµ((((ννννρερερερεω[ν]ω[ν]ω[ν]ω[ν].Si tratta di un vero e proprio calembour che il poeta dispiega
per sottolineare che il consiglio, cui egli sta facendo riferimento, è quello degli
uomini di Marte (Sρεων),cioè dell’Areopago, l’assemblea superiore (ρεων).
Oliver 1970, 34, traduce -µ(νρεω[ν]«named for Ares».
v. 26.----δδδδ0X0X0X0Xττττρηµερηµερηµερηµεωνωνωνων¨σπετοτσπετοτσπετοτσπετοτooooκατκατκατκατ////πιν.πιν.πιν.πιν. Il secondo consiglio è quello dei
Cinquecento, la cui contrapposizione a quello dell’Areopago è espressa dal
comparativo µεων. Il poeta ricorre così all’espediente della paronomasia «qui se
rencontre très souvent chez les écrivains de l’époque imperiale et surtout chez les
représentants de la deuxième sophistique. Notre poète a essayé de choisir les
171
expressions qu’aimait et employait peut-être Hérode Atticus lui-même» (Svensson
1926, 532).
µεµεµεµεωνωνωνων. Ameling 1983, II, 209, spiega il comparativo µεων in riferimento al
fatto che nei decreti la bulé dei Cinquecento viene sempre citata dopo quella
dell’Areopago.
v. 27. ππππντεςντεςντεςντες. L’aggettivo annulla la distinzione dei due consigli dei versi
precedenti e fa riferimento a tutti i membri che indistintamente indossano vesti
bianche lavate di fresco.
))))στολστολστολστολδαντοδαντοδαντοδαντο.Si tratta di una neoformazione dal verbo στολζοµαι«array
oneself in» (LSJ, s. v.). Per Wilamowitz 1928, 30 «)στολδαντο ist belustigend,
aber die Verderbnis einer nicht mehr verstandenen Perfektform kann in einem
schlechten Texte für )στλατο bei Herodot VII 90 gestanden haben, denn so steht
es bei Hesych., vielleicht sogar )στολ., denn die ältere Handschriftenklasse hat bei
Herodot )στελ,was eine weitere Entstellung zu sein scheint».
νενενενε////πλυταφπλυταφπλυταφπλυταφρ[εαλευκρ[εαλευκρ[εαλευκρ[εαλευκ]]]]. La pietra presenta a partire da questo verso una
frattura che ha provocato la perdita delle lettere finali dell’esametro. Φρ[εα
λευκ] è integrazione di Graindor 1912, 70, accettata da tutti gli altri studiosi. Il
nesso φρεα λευκ occorre già in Il. 24, 231. Anche l’epiteto νε/πλυτα è un
termine che proviene dall’epica omerica; in Od. 6, 64 qualifica le vesti(εrµατα);
cfr. anche Hdt. 2, 37, 4 Εrµαταδ(λνεαφορουσιαεCνε/πλυτα.Come epiteto di
φρεα è adoperato in Orph. Lith. 708.
vv. 28.ττττνδνδνδνδ0000νχονχονχονχο3.3.3.3. La preposizione νχο3=γχο3regge qui il genitivo
come già in Il. 24, 709; Od. 6, 5 e 23, 130. Negli altri casi invece γχο3 è un
avverbio nell’espressione formulare γχο3 δ0 \σταµνη; ved. Laser-Lloyd-Jones
1955, s. v. γχο3,V. Con questo nesso il poeta passa a descrivere il resto della
popolazione che prende parte al corteo cittadino senza esclusione di alcuna
categoria.
προβπροβπροβπροβδηνδηνδηνδην ====στιχ[ενστιχ[ενστιχ[ενστιχ[ενmmmmλλοςλλοςλλοςλλος vvvvχλος]χλος]χλος]χλος].La pietra permette di leggere ΕΣΤΙe la
parte superiore di un sigma prima della frattura. Poiché l’avverbio προβδην
significa «as one walks» (LSJ, s. v.), Svensson 1926, 532, integra con =στιχ[εν,
aoristo secondo del verbo στεχω, ben attestato in poesia, come in Il. 16, 258;
172
Soph. Ant. 1129; Call. Del. 153; Theocr. 25, 154. Per l’avverbio προβδηνcfr.
Hes. Op. 729 e Ar. Ra. 352.
L’integrazione finale del verso mλλοςvχλος è un miglioramento di Ameling
1983, II, 206, della proposta di Svensson 1926, 533, di dare come soggetto al
verbo =στιχεν l’espressionevχλοςmλλος, attestata in Ptol. Megalop. FGrHist 160,
F 1.
v. 29.))))νδνδνδνδOOOOµωνξεµωνξεµωνξεµωνξενωντεκανωντεκανωντεκανωντεκαCCCCαι[αι[αι[αι[.I due sostantivi ancora leggibili indicano
due categorie di persone e cioè i residenti in città e gli stranieri ospiti ad Atene.
Svensson 1926, 533, constatando che nel frammento dello storico Tolomeo di
Megalopoli sono citate anche le donne nel corteo di accoglienza di Attalo III,
pensa a una integrazione della parte finale del verso con α[δεσµων γυνακων
exempli gratia; tuttavia non difende questa proposta perché tale nesso «a le défaut
de nous donner un iambe au cinquième pied; ce qui rendrait le vers faux».
v. 30.οοοο,,,,δδδδτιςοτιςοτιςοτιςοκοφκοφκοφκοφλαξλελαξλελαξλελαξλεπ[ετπ[ετπ[ετπ[ετ0)0)0)0)ννννCCCCµεγµεγµεγµεγροις]ροις]ροις]ροις]. Il poeta ricorda che anche
gli schiavi, sentinelle dei palazzi, partecipano al corteo di accoglienza di Erode
che in questo modo risulta popolare in ogni strato della popolazione. Il sostantivo
οκοφλαξ è attestato per la prima volta in Aesch. Supp. 26 come epiteto di Zeus.
Svensson 1926, 533, integra la prima parte della lacuna con l’imperfetto epico
senza aumento λεπετο. Il verso è completato poi da Ameling 1983, II, 206 con
)νCµεγροις.
v. 31. οοοο,,,, παπαπαπα****ς, ος, ος, ος, ο,,,, κοκοκοκορη λευ[κρη λευ[κρη λευ[κρη λευ[κλενος,λενος,λενος,λενος, λλλλλλλλ0 0 0 0 γγγγροντο]ροντο]ροντο]ροντο]. Ogni cittadino,
compresi i fanciulli e le fanciulle, accorre ad accogliere Erode, lasciando la città
deserta. Λευ[κλενος è integrazione di Svensson 1926, 529. É un epiteto
omerico, qui riferito a κορη, e significa «white-armed» (LSJ, s. v); ved.
Vlachodimitris 1991, s. v. λευκλενος. L’integrazione λλ0 γροντο è invece
merito di Wilamowitz 1929, 490.
v. 32.δδδδγµενοιγµενοιγµενοιγµενοιρρρρδην.δην.δην.δην.Per la prima volta Erode viene menzionato con il
suo nome.Per δγµενοιcfr. Il. 18, 524 δγµενοιππ/τεµ4λαδοατοκαC¨λικας
βο3ς; Quint. Srmirn. 2, 99 δγµενοιSργεους ^δ0ΑακδηνSχιλ4α; 12, 348-9
α,τοC δ( παρ0 α,τ/θι µµνον ¨κηλοι / δγµενοι, ππ/τε πυρσ'ς )ελδοµνοισι
φανεηe Nonn. D. 38, 244 δγµενοιµφοτρωθεν)µ$νXτερ/σσυτοναgγλην.
173
vv. 33-36.Gli ultimi versi superstiti sono molto lacunosi e il loro contenuto
può essere soltanto ipotizzato.
v. 33. Il nesso Uς δ0 Rτε introduce, sul modello dei poemi omerici, una
similitudine in cui Erode è paragonato a un bambino (πα*δα).
v. 34. µ[Oτηρ è integrazione di Svensson 1926, 529. Qui la città di Atene,
rappresentata dalla sua protettrice Atena e dalle diverse classi, è raffigurata nelle
vesti di una madre che riabbraccia suo figlio (µφιπσp) al rientro da una terra
lontana (v. 35 τηλ/θεν )[ξ πης γαης) con gioia (v. 36 χαιροσ[νp).
Quest’immagine è presente anche nel poemetto 28, 25-8 Heitsch, dove il testo,
intitolato dal suo editore Λ/γος)πιβατOριος, si rivolge a un generale ritornato in
patria dopo una campagna di successo. Per il congiuntivo aoristo µφιπσpcfr.
Quint. Smirn. 9, 348 RτεζηλOµονινοσ7/µφιπσp.
v. 35. τηλτηλτηλτηλ////θενθενθενθεν )[)[)[)[ξξξξππππηςγαηςγαηςγαηςγαης.ης.ης.ης.Accettare l’integrazione τηλ/θεν)[ξπης
γαηςdel v. 35 significa ammettere che qui l’autore stia echeggiando le parole che
Odisseo in Od. 7, 25 rivolge alla dea Atena nelle sembianze di una fanciulla, per
comunicarle che a causa del suo arrivo nel paese dei Feaci da una terra lontana
non conosce il regnante della città. In merito a questa allusione omerica Skenteri
2005, 106, osserva che «this is the only Homeric reminiscence of comparable
length in the poem. Normally, the direct loans from Homer seem to have acquired
new meanings or different uses. This throws some doubt on the correctness of the
restoration».
v. 36. χαιροσχαιροσχαιροσχαιροσ[[[[ννννpppp. Il termine, restaurato da Svensson 1926, 29, compare
anche in Hesych. χ22 χαιροσνη·χαρ. Skenteri 2005, 106, avanza l’ipotesi che
si tratti di una parola coniata dal poeta di questo poemetto.
v. 37. πλπλπλπλOOOOνννν. L’unica parola leggibile di questo verso non permette di
congetturarne il contenuto.
v. 38. B[B[B[B[ρ]σ[ε.ρ]σ[ε.ρ]σ[ε.ρ]σ[ε. Questa è un’integrazione di Ameling 1983, II, 206, mentre
Svensson 1926, 529, con approvazione di Wilamowitz 1929, 490 e Powell 1933,
191, legge la congiunzione Uς. Poiché qui l’autore sta imitando lo stile omerico
nel costruire una similitudine, probabilmente si tratta dell’avverbio ¬ς che
introduce il secondo membro della similitudine in cui doveva essere narrato
l’incontro festoso delle due processioni.
174
Il tema del corteo cittadino che accoglie un uomo illustre di ritorno in patria
è sfruttato da scrittori greci e latini in prosa. Plutarco riferisce che un simile corteo
accolse Alcibiade che ritornava ad Atene in Alc. 32, 3-4, Demostene in Dem. 27, 5
e Catone il giovane che arrivava ad Antiochia in Cat. Min. 13, 1-3.
Ameling 1983, II, 210, ricorda che questi cortei erano tipici dei regnanti
ellenistici e cita gli esempi di Liv. 31, 14, 12, Polyb. 16, 25, 5-8, IPergamon 246 e
Ptol. Megalop. FGrHist 160, F, i quali descrivono l’arrivo ad Atene di Attalo III.
I cortei di accoglienza vennero poi riservati agli imperatori romani; cfr. Dio.
Chrys. 63, 20, 4-5, in cui si racconta che Nerone fu accolto da un corteo festoso al
suo ritorno in patria dalla Grecia, come narra anche Svet. Nero 25, 2. Nell’età di
Adriano e Marco Aurelio i cortei per l’Adventus Augusti nelle province
dell’Impero divennero una vera e propria usanza, combinando insieme da una
parte la cerimonia di ricevimento di natura religiosa, dall’altra lo sfarzo del corteo
festoso che la Res publica riconosceva come onore ai suoi uomini più illustri; ved.
Alföldi 1970, 88-92.
L’analoga struttura di queste descrizioni negli esempi sopracitati documenta
la circolazione negli ambienti dotti di precetti retorici che regolavano la stesura
dei discorsi di benvenuto.
Nel III sec. d. C. questi precetti retorici vennero messi per iscritto da
Menandro Retore. Egli vi dedica una sezione del suo trattato di retorica come
guida alla preparazione di un discorso di saluto rivolto a importanti personalità
che fanno ritorno in patria dopo un periodo di assenza dalla città; cfr. Men. Rh.
Epideik. 378-388, 15.
1) Il discorso dovrebbe iniziare con un’espressione di gioia e 2) descrivere
l’entusiasmo della città nel ricevere il suo governatore, 3) il quale viene
rappresentato nel suo viaggio di ritorno in patria dopo aver fatto visita
all’imperatore. 4) Il suo arrivo deve essere accompagnato da buoni auguri. 5) Una
sezione molto importante è quella encomiastica in cui vengono elogiate la
famiglia e le beneficenze del governatore per la sua città. 6) Menandro avverte
che un simile discorso deve anche raccontare la partecipazione al corteo di
benvenuto di tutta la cittadinanza distinta nelle sue classi rappresentative. 7) Il
retore che pronuncia il discorso dovrebbe poi, aggiunge Men. Rh. Epideik. 381,
175
13-5, immaginare quello che la città direbbe al suo governatore se potesse
assumere le sembianze di una donna come in una rappresentazione teatrale. La
corrispondenza tra i precetti messi per iscritto da Menandro Retore e i temi
presenti in questo poemetto per il ritorno di Erode Attico ad Atene non può essere
semplicemente casuale; al contrario dimostra che l’autore del testo aveva
familiarità con i precetti relativi alla composizione dei discorsi epidittici. Egli dà
prova della sua abilità e originalità poetica offrendone un esempio in versi,
attraverso i quali egli sottolinea l’onore speciale concesso ad Erode Attico al pari
degli imperatori del suo tempo.
176
11 = 191 Ameling
IG II2 4781; Ephem. Arch. 1894, 171, nr. 13; SEG 1, 55.
Ad Eleusi.
175 d. C.
Ved. Graindor 1922; Ameling 1983, II, 211, nr. 191; Tobin 1997, 202,
µστηνρδ[η]ςSσκληπι'[νε]rσατο∆ηο*
νο3σονλεξO[σ]αντ0ντιχα[ρι]ζ/µενος.
Erode dedicò a Demetra l’iniziato Asclepio, mostrandogli riconoscenza per
aver allontanato la malattia.
Si tratta di un distico elegiaco che Graindor 1922, 94, attribuisce a Erode
Attico stesso. Il testo va datato intorno al 175 d. C. dopo il ritorno ad Atene di
Erode che durante il suo soggiorno a Orico aveva contratto una malattia, da cui
Asclepio lo aveva guarito. IG II2 3606 = 190 Ameling ricorda che Erode fece
ritorno nella città natale passando per Eleusi.
v.1.µv.1.µv.1.µv.1.µστηνστηνστηνστην. Per la posizione di µστην in apertura di esametro cfr. IG II2
4218, 1 e IGRR I 5, 1331, 5. Il sostantivo µστης indica colui che è iniziato ai
misteri (ved. LSJ, s. v.) ed è accompagnato dal genitivo del nome del dio al quale
sono dedicati i riti; cfr. Eur. fr. 472, 10 Kannicht ∆ι'ς|δαουµστης; Mel. A. P.
5, 191, 7-8 Κπρι,σοCΜελαγρος,µστης /σνκµων; 6, 162, 1-2 νθεµ
σοι Μελαγρος X'ν συµπαστορα λχνον, / Κπρι φλη, µστην σν θτο
παννυχδων e Antiphil. A. P. 9, 298, 3 µστηνδ0µφοτρωνµεΘεαCθσαν.
ε]ε]ε]ε]rrrrσατοσατοσατοσατο. LSJ, s. v. rζω, I, 2. «set up and dedicate temples, statues, etc. in
honour of gods»; cfr. Pind. P. 4, 204 =νθ0xγ΄ν'νΠοσειδωνος¨σσαντ0)νναλου
τµενοςe Theogn. fr. 12 West2 ρτεµιθηροφ/νη,θγατερ∆ι/ς,iνSγαµµνων
εrσαθʼ, dove il verbo rζω è usato in merito alla fondazione di un tempio
rispettivamente per Poseidone e per Artemide. Cfr. anche Call. Del. 308-9,
177
Κπριδος ρχαης ριOκοον, `ν ποτε Θησες εrσατο; Iamb. 200b 1 τ$ν
Uγαµµνων, Uς µ3θος, εrσατο e A. P. 6, 347, 1 ρτεµι, τCν τ/δ0 mγαλµα
ΦιληρατCςεrσατοτoδε.
∆ηο∆ηο∆ηο∆ηο****. Si tratta della dea Demetra, cui Erode dedica una statua di Asclepio
nei panni di un iniziato della dea. Sul legame tra le due divinità ved. infra. Per la
posizione di ∆ηο* in clausola esametrica cfr. Call. Cer. 17 e Maced. A. P. 6, 40, 1.
v. 2. νονονονο3333σονσονσονσονλεξλεξλεξλεξO[O[O[O[σ]αντσ]αντσ]αντσ]αντ0000ντιχα[ρι]ζντιχα[ρι]ζντιχα[ρι]ζντιχα[ρι]ζ////µενοςµενοςµενοςµενος. Secondo Tobin 1997, 202, la
statua era stata collocata da Erode nel tempio del dio Asclepio a circa un
chilometro di distanza dal santuario della dea Demetra. Il tempio del dio, edificato
ad Atene nel 420 a. C. (cfr. SEG 25, 226), sorgeva sul pendio meridionale
dell’Acropoli, come riferisce Paus. 1, 21, 4, che in 2, 26, 8 ricorda che la città di
Atene aveva riservato ad Asclepio un giorno di festa denominata epidauria
durante la celebrazione dei misteri eleusini; cfr. anche Philostr. V. A. 4, 18 ãΗν
µ(νδ$hπιδαυρων-µρα.τ9δ(hπιδαριαµετ9πρ/ρρησντεκαC\ερε*αδε3ρο
µυε*ν Sθηναοις πτριον )πC θυσ] δευτρ], τουτC δ( )ν/µισαν Sσκληπιο3
¨νεκα,Rτιδ$)µησανα,τ'ν`κονταhπιδαυρ/θενdψ(µυστηρωνe CIA II 453b.
Luc. Pisc. 42 παρ9δ(τ'Πελασγικ'νmλλοικαCκατ9τ'Sσκληπιε*ον¨τεροικαC
παρ9τ'νρειονπγον=τιπλεους, fa brevemente riferimento al tempio ateniese
del dio come a un luogo di incontro ben noto. Il legame di Asclepio con Eleusi è
documentato ancora da IG II2 3220, fr. a 4 - βουλ$ δ4µος κανηφορOσασαν
Sσκληπι2. L’importanza di Asclepio in età imperiale è testimoniata anche dal
fatto che egli era l’unica divinità a essere coniata sulle monete in bronzo oltre ad
Atena. Inoltre verso la fine del II sec. d. C. Tert. Ad Nat. 2, 14 et tamen
Athenienses sciunt eiusmodi deis sacrificare; nam Aesculapio et matri inter
mortuos parentant, commenta che gli Ateniesi compivano ancora sacrifici per
Asclepio e sua madre.
Chi riceveva la guarigione da parte di Asclepio dava prova della sua
gratitudine verso il dio tramite offerte accompagnate da brevi informazioni
relative alla cura; ved. Thraemer 1884-6, 627 ed Edelstein-Edelstein 1945, II,
520-31. Questo distico però non fa cenno al processo di guarigione al quale Erode
era stato sottoposto. Quello più noto e praticato era l’incubazione, mediante la
quale il dio Asclepio offriva la guarigione miracolosa a chiunque, affetto da una
178
malattia, avesse trascorso una notte in uno dei suoi templi; cfr. Ar. Vesp. 122;
Plut. 421. Il malato riceveva durante il sonno la rivelazione medica divina
attraverso un’indicazione diretta del medicamento da usare oppure mediante
un’allusione al medesimo; cfr. Artemid. 1, 2; 4, 22. L’interpretazione dei sogni
era un compito dei sacerdoti e aveva luogo nel momento più importante del culto.
Il collegamento di Erode con il tempio ateniese del dio Asclepio è ben
documentato da statue del sofista e di sua figlia Atenaide e da IG II2 3553 = 139
Ameling, IG II2 3599+4523 e IG II2 4073 = 137 Ameling. Aleshire 1989, 17,
avanza la tesi secondo cui Erode avrebbe rimosso da questo tempio alcune delle
offerte dedicate al dio in età classica ed ellenistica per porle nella sua villa a
Cinuria.
179
12 = 192 Ameling
Philostr. V. S. 2, 266, 5-6; Preger 1891, 15; Gärtringen 1926, 125; Peek 1955,
391; Peek 1960, 247.
Atene.
177 d. C.
Ved. Kaibel 1880, 459; Wilamowitz 1928, 26; Ameling 1983, II, 211-2, nr.
192; Bowie 1989a, 235.
Philostr. V. S. 2, 565, narra che Erode morì a Maratona all’età di settantasei
anni per consunzione. La data della sua morte va collocata nel 177 d. C. Sebbene
egli avesse dato disposizione di essere seppellito nel demo di origine, gli Ateniesi
fecero trasportare il suo corpo in città da alcuni efebi, scortato da cittadini di ogni
età, e lo seppellirono nello stadio Panatenaico, la più grande costruzione da lui
donata alla città natale; su questa costruzione ved. Tobin 1993; Tobin 1997, 165-73
e Welch 1998, 133-45. Quest’onore lascia intendere, come sostiene Tobin 1997,
177, che gli Ateniesi avevano dimenticato il vecchio rancore nei confronti del loro
benefattore. Lo stesso Filostrato, alla fine della biografia dedicata a Erode,
sottolinea questa riconciliazione delle due parti paragonando l’atteggiamento di
dolore degli Ateniesi a quello di figli rimasti orfani del padre. Il discorso funebre
venne tenuto dal sofista Adriano di Tiro (Philostr. V. S. 2, 586) mentre gli Ateniesi
fecero incidere successivamente sulla tomba di Erode Attico il seguente
epigramma:
Sττικο3ρδηςΜαραθνιος,ο8τδεπντα
κε*ταιτ2δετφ7,πντοθενε,δ/κιµος.
In questo sepolcro giace tutto ciò che rimane di Erode, figlio di Attico, da
Maratona, ma la sua fama è diffusa dappertutto.
180
v. 1. SSSSττικοττικοττικοττικο3333ρρρρδηςΜαραθδηςΜαραθδηςΜαραθδηςΜαραθνιοςνιοςνιοςνιος. L’epigramma rivela l’identità di Erode
Attico secondo la consuetudine che si riscontra nelle iscrizioni a lui dedicate; ved.
commento a IG II2 3606, 1 = 190, 1 Ameling.
vv. 1-2.οοοο8888ττττδε/πδε/πδε/πδε/πντα.ντα.ντα.ντα.Kaibel 1880, 459, riconosceva il modello di questo
nesso in Antim. fr. 131, 1 Matthews =στιδτιςΝµεσιςµεγληθε/ς,iτδεπντα
/πρ'ςµακρων=λαχεν, di cui l’epigramma muta il senso. Matthews 1996, 319,
ipotizza che τδε πντα, in riferimento alla Nemesi di Ramnunte, significhi
«everything here on earth».
Kaibel 1880, 459, con approvazione di Ameling 1983, II, 212, ritiene che il
componimento di Antimaco di Colofone per la Nemesi di Ramnunte fosse stato
scelto intenzionalmente come modello per questo epigramma e ricorda che alla dea
Nemesi, insieme ad Atena, è rivolta l’apostrofe con cui si apre IG XIV 1389 B, 60-
1 = 146 B 60-1 Ameling τ0 )πC =ργα βροτν ρ]ς !αµνοσιας ΟEπι; (ved.
supra). Wilamowitz 1928, 26, afferma che questo epigramma è così breve come le
iscrizioni funebri arcaiche e «will also dasselbe, was er mit den altattischen
Buchstaben seiner Rροι des Triopion wollte».
Il nesso ο8 τδε πντα compare in Attica anche in SEG 30, 306 [)νθδε
κε*ται]ηʖτOρ,ο8τδεπντα; ved. Ameling 1983, II, 212.
v. 2. ππππντντντντοθενεοθενεοθενεοθενε,,,,δδδδ////κιµος.κιµος.κιµος.κιµος.L’epigramma si conclude con un riferimento alla
fama del ricco ateniese presente dovunque. L’avverbio πντοθεν potrebbe essere
interpretato sia in senso metaforico in relazione alla notorietà di Erode, sia in senso
concreto in quanto egli era stato seppellito in un’area dove aveva fatto erigere
numerosi monumenti di grande importanza per la città di Atene.
Nel 1904 durante i lavori per la realizzazione di una strada in corrispondenza
della sommità dello stadio Panatenaico ad Atene venne riportato alla luce un
sarcofago del III sec. d. C. con un cippo che reca un iscrizione (IG II2 6791 = 193
Ameling) scavata su una base o un altare di marmo bianco:
Tʖ[ρδει]
¨ρωι
τιΜαραθωνωι
[δµοςνθεκεν]
181
A Erode, l’eroe di Maratona, il popolo lo dedicò.
Tobin 1997, 181, definisce quest’iscrizione «a simplified version of the
epigramm quoted by Philostratos». Le lettere sono arcaizzanti e preeuclidee e la
vocale epsilon è usata al posto di eta. L’esame della pietra rivela che la prima e
l’ultima riga erano state erase. Skias, primo editore del testo, era ancora in grado di
leggere la lettera iniziale della prima riga; ved. Tobin 1997, 181. Per Graindor
1930, 135, si tratta di una rasura tarda, sebbene nessun altro nome fosse stato
scritto successivamente nello spazio eraso, invece per Tobin 1997, 181, di una
sorta di damnatio memoriae di Erode ad opera di nemici del ricco ateniese. La
studiosa chiama in causa, a sostegno di questa ipotesi, le iscrizioni di maledizione
che Erode Attico aveva fatto collocare sulle erme a protezione delle statue e dei
monumenti da lui fatti edificare per dimostrare che egli aveva reali motivi per
temere atti di vandalismo da parte di nemici nei confronti delle sue costruzioni;
ved. commento a IG XIV 1389 B, 76-7 = 146 B, 76-7 Ameling.
182
Zusammenfassung
Die vorliegende Doktorarbeit ist ein philologischer Kommentar zu allen
poetischen Inschriften, die sich auf Herodes Atticus (101-177 n. Chr.) beziehen.
Er ist einer der höchsten Vertreter der Zweiten Sophistik, einer kulturellen
Bewegung (50-250 n. Chr.), in welcher Philosophen und Rethoren die höchsten
Ämter des römischen Reiches bekleideten und das kulturelle Feld dominierten.
Da sie die Prosa, welche durch eine geschickte und ungezwungene Verwendung
des Wortes charakterisiert ist, als Kommunikationsmittel nutzten, kann es schnell
der Fall sein, das die Rolle der Dichtung in der griechischen Gesellschaft der
Zweiten Sophistik unterschätzt wird. Das bedeutet aber nicht, dass die Sophisten
die Dichtung verachteten, denn einige dichterische Texte sind unter ihrem Namen
überliefert worden. Sie gehören unterschiedlichen Gattungen, wie der epischen,
tragischen, lyrischen oder epigrammatischen an. Letztere ist die Gattung, welche
die Sophisten am meistens bevorzugten. Es bleiben Spuren der sophistischen
Dichtung auf den Steinen, welche die unterschiedlichen Stufen der Kultur und der
Verskunst beweisen. Bowie 1990 erklärt dies mit der Tatsache, dass jeder
gebildete Mensch (pepaideumenos) Hexameter und elegische Modelle kannte und
man kein Poet sein musste, um ein paar metrische Zeilen zu schreiben. In dieser
Form konnte das Epigramm innerhalb freundschaftlicher Beziehungen gelesen
werden und hatte so eine Funktion im öffentlichen Leben.
Mein Kommentar möchte erklären, wie der Sophist Herodes Atticus die
klassische Kultur, und vor allem die mythische und literarische Tradition benutzte
und verarbeitete, um seiner eigenen Figur eine literarische Gestalt zu geben und
seine griechische Identität (Paideia) in der römischen Welt zu betonen. Die rein
philologische Betrachtungsweise der Texte ist das Neue an dieser Arbeit, weil die
bis jetzt über Herodes Atticus geführten Recherchen vor allem einen
geschichtlichen und archäologischen Charakter haben. Die Archäologen sind an
den Gebäuden interessiert, die Herodes Atticus bauen oder umstrukturieren ließ,
um deren charakteristischen Stil festzustellen. Die Historiker hingegen versuchen,
einige Zusammenhänge, wie z. B. die Beziehung zwischen dem Wohltäter
183
Herodes und den Stadtbewohnern der Städte, die von ihm unterstützt wurden, zu
erklären.
Herodes betont immer wieder eine berühmte und göttliche Abstammung
seiner Familie, weil sie die Voraussetzung war, um auch in der römischen Welt
eine wichtige Rolle zu spielen. Seine Beharrlichkeit hängt von der Tatsache ab,
dass die Römer und in erster Linie die Kaiserfamilie stolz darauf waren, eine sehr
berühmte und göttliche Abstammung zu haben, nämlich von Anchises und der
Göttin Aphrodite. Deshalb musste Herodes sich auch in dieser Hinsicht nicht
unterordnen.
Herodes Atticus Vater hatte ihm schon die anderen Voraussetzungen für die
zukünftige politische Karriere in seiner Jugend geliefert, und zwar Geld und eine
ausführliche Ausbildung, zuerst in Rom, später auch in seiner Heimat durch die
besten Lehrer und Rhetoren der Zeit. In Rom hatte er die Möglichkeit, Latein zu
lernen, was damals für einen Griechen ungewöhnlich war. So kam es auch, dass
er die ganzen römischen Institutionen wie den Senat oder die Figur des Kaisers
als nicht fremd empfand.
Um seine Position in Rom zu verstärken, ging Herodes eine Ehe mit einem
römischen Mädchen aus einer reichen Familie ein. Sie hieß Regilla und kam aus
der Familie der Annii Reguli. Mit dieser Ehe konnte Herodes sein Vermögen
vergrößern und die Kontrolle über die Grundstücke seiner Frau an sich nehmen:
eines auf dem dritten Meilenstein der Via Appia und eines in Canusium in
Apulien. Als seine Frau Regilla ungefähr im Jahr 160 n. Chr. starb, wurde
Herodes von ihrem Bruder Brauda angeklagt. In diesem Prozess wurde er
freigesprochen. Da jedoch Zweifel an seiner Unschuld bestehen blieben, widmete
Herodes seiner Ehefrau Gebäude und Statuen wie auch viele Inschriften, von
denen einige Gedichte waren.
Herodes Atticus ist eine der wenigen Persönlichkeiten des Altertums, über
die so viele Informationen überliefert worden sind. Mehr als 150 Inschriften,
welche W. Ameling in seiner Herausgabe Herodes Atticus: II. Inschriftenkatalog,
Hildesheim 1983 gesammelt hat, beziehen sich auf ihn, darunter 14 poetische
Texte. Diese sind Gegenstand dieser Dissertation. Da es sich um auf Stein
gravierte poetische Texte handelt, wird das Wort „Epigramm“ in dieser
184
Dissertation in seinem ursprünglichen Sinn „Text, der auf einem Stein
geschrieben ist“ verwendet, und nicht in der gewöhnlichen Bedeutung der
„kurzen Dichtungsgattung“, weil diese Texte wegen ihrer Charakteristika
verschiedenen Gattungen wie z. B. Hymnus, Enkomion zugeschrieben werden
können. Da die Texte auf Teile von Gebäuden graviert worden sind, ergibt es
sich, dass die Botschaft von jedem Text nur dann vollständig erfasst werden kann,
wenn der Text mit der entsprechenden architektonischen Gesamtheit in
Zusammenhang gebracht wird. Ein Beispiel dafür sind die drei Inschriften auf
dem Tor der ewigen Eintracht. Die Lesung von IG III 403 = IG II2 5189
µονοαςθαντ[ου]πληρδουχροςεςνεσρχε[ι], die einzige der
drei Inschriften, die im Jahr 1794 entdeckt wurde, hatte Graindor 1914, 75,
überzeugt, einerseits dieses Monument als Beweis der Versöhnung zwischen
Herodes und der Stadt Athen nach den gerichtlichen Ereignissen in Sirmium zu
interpretieren, andererseits erkannte er in der in der Inschrift des Tores genannten
Eintracht die Personifizierung dieser neuen bürgerlichen Stimmung. Die
Entdeckung der Inschrift IG II2 5189a µονοας θαντ[ου] πλη !ηγλλης
χροςεςνεσρχει im Jahr 1926 erlaubte, zu der richtigen Interpretation der
architektonischen Gesamtheit und der Inschriften zu kommen. Das Tor der
ewigen Eintracht ist das Symbol des glücklichen Ehebundes zwischen Herodes
und Regilla, welcher er ein Grundstück in Marathon schenkte. Die Eintracht der
Inschriften ist die Gottheit, die jede eheliche Verbindung schützt. Ihre Erwähnung
verleiht diesem Gebiet zwischen Vrana und Marathon eine fast heilige
Bedeutung. Herodes übernimmt die Idee einer Stadt, die durch die progressive
„Sakralisierung“ des Raumes charakterisiert wird, von dem Kaiser Hadrian,
dessen Imitatio eine feste Konstante in seinem Leben und seiner Wohltätigkeit in
Athen ist. Zu diesem Prozess gehört auch der Wunsch, die Erinnerung der Liebe
zu den Familieangehörigen zu verewigen. Aus diesem Grund lässt Herodes auf
dem Tor ein neues Epigramm (SEG 21, 123 = 99 Ameling) eingravieren, als die
Ehefrau Regilla stirbt (160-161 n. Chr.). Hiermit wird seine Trauer ausgedrückt,
und sein offizielles Bild als glücklicher Mann wird mit dem privaten des
betrübten Witwers verglichen. So scheint das Tor mit seinen drei Inschriften auf
185
ein Gebiet einer Nekropole oder mindestens ein Gebiet mit vielen Denkmälern
hinzuweisen.
Was die Identität des Verfassers der Epigramme betrifft, fehlen
entscheidende Hinweise, die erlauben, diese Texte mit Sicherheit Herodes
zuzuschreiben. Einige Epigramme wurden im Auftrag von Herodes Atticus
verfasst. Ein Beispiel dafür sind zwei lange Gedichte von dem römischen
Grundstück des Herodes auf der Via Appia (IG XIV 1389 A, B = 146 Ameling A,
B). Hier wird die Identität des Verfassers durch den Genitiv seines Namens vor
dem Anfang des ersten Gedichtes garantiert. Auf jeden Fall wecken all diese
poetischen Inschriften Interesse, weil sie Träger von Herodes’ Botschaften sind,
der dabei auf jedes kleine Detail achtet, unabhängig davon, ob er der Verfasser
oder der Auftraggeber war.
Alle Gedichte entstehen aus einem konkreten Anlass heraus, wie die
Widmung einer Statue von Regilla, der Tod eines Familienangehörigen, ein
politisches Ereignis oder die Danksagung für die Genesung von einer Krankheit.
Fast alle Texte haben das Thema der Liebe und/oder der Trauer von
Herodes über den Tod der Ehefrau Regilla, sowie der leiblichen oder adoptierten
Kinder gemeinsam. Diese Ereignisse werden in den Bereich des Mythos
übertragen, der sich als das Instrument zeigt, durch welches Herodes seine Ziele
unterstützt oder unterstützen lässt. Dies wird durch einen ausgesuchten poetischen
Wortschatz realisiert, welcher von genauen metrischen Notwendigkeiten
bestimmt wird. Wiederkehrend sind die klassischen (vor allem homerischen)
Anspielungen, die Aufnahme von einem Wort oder einem Begriff, die von der
hellenistischen Dichtung, insbesondere von Kallimachos verwendet wurden und
die Bezüge auf mythische Situationen und Figuren. So wird die Trauer für
Regillas Tod (SEG 21, 123, = 99 Ameling) durch das Bild des halbfertigen
Hauses von Laodamia, Witwe von Protesilaos, dargestellt; das Leiden für den Tod
eines Kindes nach den ersten Monaten seines Lebens, für welches Herodes seine
Haare als Zeichen der Trauer schneidet, erinnert an die ähnliche Geste des
Achilleus hinsichtlich des Todes des geliebten Patroklos (SEG 26, 290 = 140
Ameling). Ein fragmentarisches Gedicht betont das Freundschaftsbündnis
zwischen Herodes und dem Kaiser Lucius Verus (Peek 1942, 330 = 186
186
Ameling), ein anderes (IG II2 3606, 1-5 = 190 Ameling 1, 5) schildert die
Rückkehr des Herodes nach Athen und seine Versöhnung mit den Bewohnern der
Stadt, die ihn mit einem prächtigen Umzug nach dem damals für den Kaiser
reservierten Zeremoniell empfangen. Schließlich ist ein wiederkehrendes Thema
dieser Epigramme die Abstammung der Familie von Herodes aus Marathon, dem
athenischen Gebiet, welches 490 v. Chr. den Sieg gegen die persischen Feinde
unter der Führung von Miltiades, einem Vorfahren von Herodes sah.
Die Anspielung auf bekannte mythische Ereignisse bezeugt Herodes’ Wille,
einerseits seine eigenen biografischen Ereignisse mit jenen der mythischen
Vergangenheit zu assimilieren und sich andererseits an ein gelehrtes Publikum zu
wenden, welches in der Lage war, solch eine Assimilierung, die Herodes in die
poetische Tradition seiner Heimat einfügt, zu begreifen.
Diese Dissertation beginnt mit Herodes’ Biographie, die dazu dient, die
historischen Ereignisse in Bezug auf die Verfassung der Epigramme zu
rekonstruieren.
Daraufhin folgt der Kommentar zu den 14 poetischen Inschriften, die
entsprechend ihrer chronologischen Ordnung vorgestellt werden. Dies erlaubt,
jeden Text mit den historischen Ereignissen, welche seine Verfassung bestimmt
haben, zu verbinden und so die allgemeine Stimmung, von welcher die Texte
Träger sind, nachzuvollziehen und mögliche Verbindungen unter den
verschiedenen Texten zu bestimmen. In diesem Licht scheinen die Epigramme
eine poetische Biographie von Herodes Atticus darzustellen. Sie belegen die
wichtigsten Episoden, welche sein Leben charakterisiert haben, als ob Herodes
Atticus selbst so den Nachkommen eine offizielle Version seiner Existenz
hinterlassen wollte.
Eine Bibliografie der Studien, die bis jetzt den hier kommentierten
Inschriften gewidmet wurden, schließt die Dissertation ab.
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205
Indice generale
Introduzione 1
Elenco delle abbreviazioni 6
Biografia di Erode Attico 8
Commento alle iscrizioni poetiche 25
1 = 139 Ameling 25
2 = 100 Ameling 28
3 = 101 Ameling 36
4 = 102 Ameling 39
5 = 146 Ameling 42
6 = 99 Ameling 108
7 = 140 Ameling 127
8 = 186 Ameling 138
9 = 136 Ameling 144
10 = 190 Ameling 149
11 = 191 Ameling 176
12 = 192 Ameling 179
Zusammenfassung 182
Bibliografia 187