le iscrizioni poetiche relative a erode attico: testo

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Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo rivisto, traduzione e commento Inaugural-Dissertation Zur Erlangung der Doktorwürde der Philologischen Fakultät der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg i. Br. vorgelegt von Andrea Toma aus Copertino (Lecce), Italien SS 2008

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Page 1: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico:

testo rivisto, traduzione e commento

Inaugural-Dissertation Zur

Erlangung der Doktorwürde der Philologischen Fakultät

der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg i. Br.

vorgelegt von

Andrea Toma aus Copertino (Lecce), Italien

SS 2008

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Erstgutachter: Prof. Dr. Bernhard Zimmermann Zweitgutachter: Prof. Dr. Onofrio Vox Vorsitzende des Promotionsausschusses Der Gemeinsamen Kommission der Philologischen, Philosophischen und Wirtschafts- und Verhaltenswissenschaftlichen Fakultät: Prof. Dr. Elisabeth Cheauré 24.11.2008

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1

Introduzione

Il presente lavoro è dedicato all’analisi filologica dei testi poetici collegati

alla figura di Erode Attico, il maggiore rappresentante di quel movimento

culturale fiorito nel II sec. d. C., noto con il nome di Seconda Sofistica secondo la

definizione di Philostr. V. S. 1, 481. Si tratta di un periodo in cui filosofi e retori

ricoprivano le principali cariche dell’Impero romano, esercitavano la loro

munificenza a beneficio delle loro comunità e dominavano il campo intellettuale

servendosi come mezzo di comunicazione della prosa, caratterizzata dall’uso

esperto e disinvolto della parola1. Per questa ragione, sottolinea Bowie 1989a,

209, «the role of poetry and poets in the Greek society of the Second Sophistic is

easy to underestimate». Questo però non significa che essi disprezzarono la poesia

perché sotto i loro nomi sono stati tramandati componimenti appartenenti a generi

diversi, quale quello epico, tragico, lirico ed epigrammatico2. È proprio

quest’ultimo il genere più frequentato dai sofisti. Ne restano tracce sulle stele, le

quali testimoniano vari livelli di cultura e abilità versificatoria. Bowie 1990, 53,

spiega i motivi per cui l’epigramma rimase il genere più popolare: «any well-read

person (pepaideumenos) knew hexameter and elegiac models that could suggest

words and ideas, and did not need to be a professional poet to write metrically for

a few lines. Moreover epigrams were short enough to risk on a readership of

friends, or on a convivial gathering, and continued to have a function in public life

- particularly epitaphs, but also dedicatory, honorific, and commemorative

inscriptions».

Il commento delle iscrizioni poetiche relative al neosofista Erode Attico ne

vuole ricostruire la figura dal punto di vista letterario e si distingue per questo

dalla maggior parte dei lavori precedenti che hanno un carattere prevalentemente

1 Gli studi sulla Seconda Sofistica hanno iniziato a guadagnare maggiore interesse a partire dai contributi di BOWERSOCK 1969 e 1974, il quale sottolinea l’importanza sociale svolta dai sofisti quali mediatori tra le province e la capitale dell’Impero. Ved. GERTH 1956, BOWIE 1970, KENNEDEY 1974, BASILEIOS 1981, BOWIE 1982, ANDERSON 1989, SIRAGO 1989, ANDERSON 1990, ANDERSON 1993, NICOSIA 1994, GLEASON 1995, SCHMITZ 1997, KORENJAK 2000, BOWIE 2003, BORG 2004, ESHLEMAN 2005, WHITMARSH 2005. 2 Sulla produzione letteraria e poetica del II sec. d. C. ved. NORTH 1952, DEN BOER 1955, VAN

GRONINGEN 1965, K INDSTRAND 1973, STANTON 1973, STEINMETZ 1982, BOWIE 1989a , 1989b, CIZEK 1989, STEINMETZ 1989, BOWIE 1990, RUSSELL 1990, BOWIE 1991, SWAIN 1996, RUTHERFORD 1998, WHITMARSH 2001, BOWIE 2002, WHITMARSH 2004.

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storico e archeologico. Gli storici hanno mirato a chiarire aspetti quali il rapporto

di patronato tra Erode e i cittadini delle città da lui beneficate mentre gli

archeologi hanno concentrato l’attenzione sugli edifici che Erode Attico aveva

fatto edificare o ristrutturare, con lo scopo di individuarne uno stile distintivo.

Questi studi hanno preso in esame i testi poetici con l’obiettivo di ricostruire in

modo quanto più completo possibile la figura del neosofista, combinando le

informazioni epigrafiche con quelle che si possono dedurre dalla ricca

documentazione letteraria offerta da Flavio Filostrato, Luciano, Pausania,

Frontone e Aulo Gellio.

L’interesse per Erode Attico da parte degli studiosi nasce dal fatto che egli

sembra incarnare appieno la figura del nuovo sofista: intellettuale di successo e

abile conferenziere, inserito interamente nella vita amministrativa e sociale

dell’Impero, capace di accumulare ingenti patrimoni, promotore di numerose

costruzioni (circa venticinque) in città dell’Italia, Grecia, Epiro e Turchia.

Erode Attico è uno dei pochi personaggi dell’antichità sul quale siano state

tramandate molte notizie: oltre centocinquanta iscrizioni citano il suo nome per le

cariche da lui ricoperte o per la datazione di avvenimenti. Altre iscrizioni invece

ricordano le sue opere evergetiche oppure hanno come tema vicende che

riguardano la vita privata del neosofista. Esse provengono dalle aree geografiche

in cui egli aveva dei possedimenti: Maratona, Cefisia, Corinto e Roma. La sua

presenza in queste aree è ricordata da testimonianze antiche e confermata da

ritrovamenti archeologici. Di queste iscrizioni quattordici sono componimenti

poetici in esametri o distici elegiaci di varia lunghezza, da un minimo di due versi

a un massimo di cinquantanove.

Poiché si tratta di testi poetici incisi su monumenti o basi di statue di

familiari di Erode, in questo lavoro il termine epigramma verrà impiegato nel suo

significato originario di testo scritto su pietra e non nell’accezione comune di

breve componimento letterario, in quanto i testi possono essere assegnati per le

loro caratteristiche a generi diversi da quello dell’epigramma, quale l’inno e

l’encomio.

Poiché questi epigrammi sono incisi su elementi strutturali di edifici, ne

consegue che il messaggio di ogni componimento si coglie appieno solo se

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inserito nel complesso architettonico di appartenenza. Cito solo un esempio,

quello delle tre iscrizioni presenti sulla Porta della Concordia immortale a

Maratona. La sola lettura di IG III 403 = IG II2 5189 µονοαςθαντ[ου]πλη

ρδουχροςεςνεσρχε[ι], l’unica a essere stata scoperta nel 1792, aveva

convinto Graindor 1914, 75, a interpretare questo monumento come testimonianza

della riconciliazione avvenuta tra Erode e la città di Atene dopo le vicende

giudiziarie di Sirmio e a leggere nella Concordia dell’iscrizione la

personificazione di questo nuovo clima cittadino. La scoperta nel 1926

dell’iscrizione IG II2 5189a µονοαςθαντ[ου]πλη !ηγλληςχροςεςν

εσρχει, posta sullo stipite opposto, ha permesso di pervenire alla giusta

interpretazione del complesso architettonico e delle sue iscrizioni. La Porta della

Concordia immortale è infatti il simbolo della felice unione matrimoniale tra

Erode e Regilla, alla quale egli dona un appezzamento di terreno a Maratona in

occasione del loro matrimonio, mentre la Concordia che compare nelle due

iscrizione è la divinità che protegge la relazione matrimoniale. La sua citazione

conferisce a questa zona tra Vrana e Maratona un significato quasi sacrale. Erode

mutua l’idea di una città caratterizzata «dalla progressiva sacralizzazione degli

spazi» (Calandra 2006, 279) dall’imperatore Adriano, la cui imitatio è un punto

costante nella sua vita e attività evergetica ad Atene. A questo processo di

sacralizzazione degli spazi appartiene anche il desiderio di perpetuare la memoria

dei cari. Per questo motivo Erode, dopo la morte della moglie (160-161 d. C.), fa

incidere sul pilastro destro della porta un epigramma funebre (SEG 21, 123 = 99

Ameling) in cui è espresso il suo grande dolore per la perdita della consorte e la

sua immagine pubblica di uomo felice viene messa a confronto con quella privata

di marito afflitto per la morte di Regilla. In questo modo, l’arco, con le sue tre

iscrizioni, sembra rinviare a una zona necropolare o quanto meno memoriale.

Per quanto riguarda l’identità dell’autore degli epigrammi, mancano

elementi decisivi che permettano di attribuire questi testi con certezza alla mano

di Erode Attico stesso. Alcuni epigrammi sono stati composti da poeti su

commissione di Erode Attico: ne sono un esempio i due poemetti provenienti dal

possedimento romano di Erode sulla via Appia (IG XIV 1389 A, B = 146

Ameling A, B). Qui l’identità dell’autore è garantita dal genitivo del suo nome

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posto prima dell’inizio del primo componimento. In ogni caso queste iscrizioni

poetiche sono degne di interesse perché si fanno portavoce degli interessi diretti di

Erode Attico, visto o come l’autore oppure come il committente attento a ogni

dettaglio e offrono la possibilità di studiare il modo in cui Erode si servì della

cultura classica e della tradizione mitologica e letteraria per conferire alla sua

persona una veste letteraria e definire la sua identità greca nell’ambito del mondo

romano.

Il mito, p. es., offre ad Erode i presupposti necessari per rivendicare una

discendenza mitica e divina pari a quella che ogni Romano poteva ascrivere a sé;

cfr. IG XIV 1389 A, 30-3 = 146 A, 30-3 Ameling. Per un greco come Erode

Attico che aspirava a svolgere una funzione importante anche a Roma, nella κοιν$

πατρς di tutti gli abitanti dell’Impero romano, era importante non risultare

inferiore per fama e nobile discendenza alla classe senatoria romana.

Tutti i componimenti nascono da un’occasione reale quale la dedica di una

statua di Regilla, la morte di un familiare, un avvenimento politico o il

ringraziamento per la guarigione da una malattia. Quasi tutti hanno in comune il

tema dell’amore e/o del dolore di Erode Attico per la morte della consorte Regilla,

dei figli naturali e adottivi. Queste vicende vengono trasferite nella sfera del mito

attraverso un lessico poetico ricercato, peraltro determinato da precise necessità

metriche. Ricorrenti sono i riecheggiamenti classici, soprattutto omerici, la ripresa

di termini adoperati dalla poesia ellenistica, in particolare da Callimaco, i

riferimenti a situazioni e a personaggi mitici; cosicché il lutto per Regilla viene

esemplificato con l’immagine della casa completata a metà di Laodamia, vedova

di Protesilao (SEG 21, 123 = 99 Ameling), il dolore per la morte di un figlio nei

primi mesi di vita che lo porta al taglio dei capelli in segno di lutto ricorda

l’analogo gesto compiuto da Achille per la morte dell’amato Patroclo (SEG 26,

290 = 140 Ameling). Un poemetto frammentario sottolinea il legame di amicizia

di Erode con l’imperatore Lucio Vero (Peek 1942, 330 = 186 Ameling) mentre un

altro (IG II2 3606, 1-5 = 190 Ameling 1, 5) saluta il ritorno ad Atene di Erode e la

sua riconciliazione con gli abitanti della città che in un corteo sontuoso gli danno

il benvenuto secondo un cerimoniale riservato agli imperatori. Infine un tema

ricorrente degli epigrammi collegati alla figura di Erode Attico è quello

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dell’origine della sua famiglia da Maratona, demo ateniese che nel 490 a. C. vide

la vittoria contro il nemico persiano della Grecia unita sotto il comando di

Milziade che egli annovera tra i suoi antenati. L’allusione a noti avvenimenti

mitici testimonia la volontà di Erode da una parte di assimilare le proprie vicende

a quelle del passato mitico, dall’altra di rivolgersi a un pubblico selezionato,

dotto, in grado pertanto di cogliere tale assimilazione, che lo inserisce nel solco

della tradizione poetica della sua patria.

* * *

Qui di seguito, dopo l’elenco delle abbreviazioni usate, presento la biografia

di Erode Attico, la quale mira a ricostruire soprattutto gli avvenimenti storici

relativi alla stesura degli epigrammi. Segue il commento filologico dei testi

poetici. Il loro censimento è stato condotto sul catalogo curato da W. Ameling,

Herodes Atticus: II. Inschriftenkatalog, Hildesheim 1983, di cui ho riprodotto il

testo, apportando delle modifiche in alcuni punti, là dove l’analisi le rendeva

necessarie, e ho offerto una traduzione in lingua italiana, discutendo nel

commento letture e integrazioni significative proposte da altri studiosi. I testi sono

presentati in ordine cronologico. Questo permette di ricollegare ogni

componimento agli eventi storici che ne hanno determinato la stesura, di

comprendere il clima generale di cui esso si fa portavoce e di stabilire possibili

collegamenti tra i diversi componimenti analizzati. Letti sotto questa luce, gli

epigrammi sembrano delineare una biografia poetica di Erode Attico, perché

documentano gli episodi salienti che ne hanno caratterizzato la vita, come se

Erode Attico stesso in questo modo avesse voluto lasciare ai posteri una versione

ufficiale della sua esistenza dominata dai lutti familiari e dalle vicende giudiziarie.

Chiude il lavoro una bibliografia degli studi dedicati fino ad ora alla

discussione delle epigrafi commentate.

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Elenco delle Abbreviazioni

Per la citazione dei testi greci ho usato le abbreviazioni convenzionali

registrate dal LSJ. Faccio riferimento ai testi latini mediante le sigle in uso nel

TLL e ai testi epigrafici mediante quelle riportate da Horsley-Lee 1994. Nel corpo

dell’opera mi sono avvalso anche delle seguenti abbreviazioni:

DNP = Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike, Stuttgart 1996-2005.

Et. M. = Etymologicum Magnum, seu verius Lexicon saepissime vocabulorum

origines indagans: ex pluribus lexicis scholiastis et grammaticis anonymi

cuiusdam opera concinnatum, ad codd. mss. recensuit et notis variorum

instruxit G. Thomas, Oxford 1848.

FGrHist = F. Jacoby et al., Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin

1923-.

LfgrE = B. Snell et al., Lexikon des frühgriechischen Epos, Göttingen 1955-.

LIMC = Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zürich 1981-.

LSJ = H. G. Liddell, R. Scott, H. S. Jones, A Greek-English Lexicon, Oxford

1996.

OCD3 = S. Hornblower and A. Spawforth, The Oxford Classical Dictionary,

Oxford 19963.

OLD = P. G. W. Glare, Oxford Latin Dictionary, Oxford 1982.

RE = G. Wissowa et al., Paulys Realencyclopädie der classischen

Altertumswissenschaft, Stuttgart - München 1893-1980.

Roscher = W. H. Roscher, Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, I-

VII, Leipzig 1884-1937.

SH = H. Lloyd-Jones / P. Parson, Supplementum Hellenisticum, Berlin - NewYork

1983.

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TLG = Thesaurus graecae linguae, ab H. Stephano constructus. Tertio ediderunt

C. B. Hase, L. De Sinner et Th. Fix, Parisiis 1831-65.

TLL = Thesaurus linguae latinae, editus iussu et auctoritate Consilii ab

Academiis Societatibusque diversarum nationum electi, Lipsiae 1904.

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Biografia di Erode Attico

Ricca è la documentazione letteraria che permette di ricostruire la vita di

Erode Attico. La fonte principale, da cui partono tutti gli studi dedicati al

neosofista, è l’opera di Flavio Filostrato Vitae Sophistarum. Filostrato offre la

prima biografia di Erode Attico all’interno di un’opera dedicata alle vite dei

principali retori dall’età classica fino al 220 d. C. La biografia di Erode è posta

all’inizio del secondo libro delle Vitae ed è la più estesa. La sua centralità non si

spiega solo alla luce dell’importanza politica e culturale di Erode, ma anche, come

sostiene Civiletti 2002, 30, in virtù del suo legame con il dedicatario dell’opera, il

console Gordiano, discendente di Erode. A questa spiegazione di ordine

strutturale se ne deve aggiungere anche una di natura ideologica e cioè che Erode

Attico era un personaggio che riuniva in sé impegno pubblico, attività politica e

professione retorica. Egli era inoltre un grande amico degli imperatori Adriano,

Antonino Pio, Lucio Vero e Marco Aurelio e rappresentava un sicuro punto di

riferimento per Atene che egli aveva abbellito nel corso degli anni. «Si può allora

comprendere come Erode rappresenti, nell’ottica di Filostrato, il personaggio non

solo più degnamente adatto al confronto con una personalità di alto rango come

Gordiano, ma anche quello che meglio e più grandiosamente esprime il ruolo

politico e culturale dei sofisti, che della magnificenza e della preminenza sociale

ed intellettuale fecero i tratti peculiari della loro orgogliosa personalità» (Civiletti

2002, 31). Evidente è nella biografia di Filostrato il tentativo di presentare gli

avvenimenti più oscuri della vita di Erode sotto un’ottica positiva e di tacere

quelli che di più avrebbero nuociuto a questo intento.

Un’altra fonte letteraria antica è Aulo Gellio, il quale intorno al 140 d. C.,

aveva studiato ad Atene ed era stato spesso ospite di Erode Attico nella villa a

Cefisia. Nella sua opera Noctes Atticae Gellio narra diversi avvenimenti accaduti

mentre egli era in compagnia del retore. Altre informazioni sulla vita di Erode

Attico vengono offerte da Frontone nelle sue epistole indirizzate a Marco Aurelio,

le quali aiutano a fare luce sul periodo romano del neosofista. Erode Attico

compare anche nei due dialoghi lucianei Peregrinus e Demonax; in quest’ultimo

egli viene deriso per le manifestazioni eccessive di dolore per la morte della

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moglie Regilla e del figlio adottivo Polluce. Ulteriori informazioni relative

soprattutto agli edifici fatti costruire da Erode provengono da Pausania, il quale,

benché sia un contemporaneo di Erode, non offre dei racconti molto dettagliati.

* * *

Lucio Vibullio Ipparco Tiberio Claudio Attico Erode (cfr. SIG3 863, n. 1 =

76 Ameling e IG II2 3603 = 89 Ameling) nacque a Maratona tra il 101 e il 103 d.

C3. In molte iscrizioni egli viene semplicemente indicato con il nome di Erode

Attico, accompagnato dall’aggettivo Μαραθνιος; cfr. IG II2 1088, 2090, 3191,

3594/5, 3600, 3603, 3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745,

IOlympia 611, 622. Egli era figlio di Tiberio Claudio Attico Erode, che Filostrato

chiama semplicemente con il nome di Attico. Questi aveva scoperto un tesoro

nella propria casa presso il teatro di Dioniso, ai piedi dell’acropoli di Atene.

L’imperatore Nerva, cui Attico aveva inviato una lettera per informarlo del

ritrovamento e per chiedere come avrebbe dovuto comportarsi di fronte a quella

somma di denaro, lo esortò a farne uso senza moderazione4. Attico sposò poco

dopo questa fortunata vicenda Vibullia Alcia, appartenente alla famiglia dei

Vibulli, forse imparentata con il senatore repubblicano L. Vibullio Rufo. Vibullia

Alcia possedeva ingenti ricchezze, che accrebbero la fortuna del figlio Erode, ed

aveva inoltre rapporti con le città di Sparta e Corinto. Quest’ultima era abitata

dalla famiglia dei Vibulli sin dall’età di Augusto; ved. Tobin 1997, 18, n. 24.

3 A favore del 103 si pronuncia AMELING 1983, II, 2, n. 13. 4 Cfr. Philostr. V. S. 2, 547, 27-548, 5 Αττικ'νδ(τ'νµ(ν)κενουπα*δα,ρδουδ(πατραο,περιε*δεν - Τχη πνητα )κ πλουσου γεν/µενον, λλ0 νδειξεν α,τ2 θησαυρο3 χρ4µαµθητον )ν µι5 τν οκιν, 6ς πρ'ς τ2 θετρ7 )κκτητο, ο8 δι9 µγεθος ε,λαβ$ς µ;λλον <περιχαρ$ςγεν/µενος=γραψεπρ'ςτ'να,τοκρτορα)πιστολ$ν?δεξυγκειµνην·"θησαυρ/ν,Bβασιλε3, )πC τ4ς )µαυτο3 οκας εDρηκα· τ οEν περC α,το3 κελεεις;" καC α,τοκρτωρ,Νεροας δ( Iρχε τ/τε, "χρ" =φη "οKς εDρηκας."Secondo VISCONTI 1794, 2, il tesoro era stato depositato da un ricco romano all’interno di una fessura sul pendio dell’acropoli di Atene durante le guerre civili o le proscrizioni che accompagnarono gli ultimi anni della Repubblica, mentre per LANCIANI 1895, 289, il tesoro era stato nascosto da Serse, dopo la sconfitta della sua flotta nelle acque di Salamina, nella speranza di un secondo ritorno di maggiore successo. MÜNSCHER 1912, 923, è invece dell’avviso che il denaro ritrovato da Attico appartenesse già a suo padre Ipparco, il quale lo avrebbe nascosto al tempo della confisca dei suoi beni da parte dell’imperatore Domiziano. Attico si sarebbe quindi limitato a riportare alla luce un tesoro nascosto non appena un nuovo imperatore salì sul trono di Roma; ved. CIVILETTI 2002, 505-6, n. 13.

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Nell’educazione di Erode il padre Attico svolse un ruolo fondamentale,

perché fornì al figlio tutti i presupposti necessari per la sua futura carriera politica:

soldi, istruzione ma anche privilegiata posizione politica, poiché Attico aveva

ricevuto sotto Nerva o nei primi anni di regno di Traiano gli ornamenta praetoria

da parte del Senato su incarico dell’imperatore. In questo modo gli si aprirono le

porte al Senato romano; ved. Ameling 1983, II, nrr. 34-6.

Erode Attico trascorse la sua prima infanzia a Roma insieme al padre Attico

che nel 108 d. C. ricoprì la carica di console suffetto, una delle più importanti

dell’Impero romano. Erode non giunse a Roma come semplice greco ma come

membro della più alta classe dirigente. «Diese Monate werden ihn daran gewöhnt

haben, auch in Rom, dem Senat und dem Kaiser nichts Außergewöhnliches zu

erblicken, sondern Teile seines täglichen Lebens» (Ameling 1983, I, 36-7). Egli

soggiornò nella casa di P. Calvinio Tullo Ruso, nonno del futuro imperatore

Marco Aurelio. Qui ricevette un’accurata educazione perchè Ruso, filellenico,

aveva fatto istruire i suoi figli in modo tale che la loro educazione iniziasse con

l’apprendimento della lingua greca5.

Questo soggiorno permise a Erode di apprendere il latino, cosa che era

alquanto insolita per i Greci illustri e colti del tempo, che comprendevano poco la

lingua latina, mentre era sempre più comune che gli esponenti della classe

dirigente romana parlassero il greco. Il padre Attico era ben cosciente del fatto che

non conoscere la lingua latina sarebbe stata una gravissima mancanza per

chiunque aspirasse a voler entrare a far parte dell’Ordo senatorius e che scegliere

ottimi maestri per l’educazione del figlio sarebbe stato in ogni caso lo strumento

migliore per assicurargli una preparazione culturale adeguata ai futuri incarichi

politici.

Tra il 116 e il 120 d. C. deve essere datato un soggiorno del giovane Erode

nella città di Sparta, dove egli trascorse il periodo della sua efebia, poiché

un’iscrizione proveniente da Corinto (IG V 1, 45 = 70 Ameling), contenente il

cursus di un certo Corinta, presenta Erode a capo di un gruppo di efebi.

5 Sull’educazione di Erode ved. PAPALAS 1981.

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Al suo rientro nella citta di Atene Erode Attico venne iniziato ai culti

misterici6 e ricevette la sua formale educazione, compiendo i primi studi di

grammatica sotto la guida di Teagene di Cnido e Munazio di Trallo, e quelli

filosofici con il maestro L. Calveno Tauro di Berito, che gli insegnò la filosofia di

Platone7.

Sin da giovane Erode rivelò la sua propensione per la retorica ed ebbe come

insegnanti i migliori retori del tempo. Il primo fu l’ateniese Secondo, figlio di un

carpentiere. Philostr. V. S. 2, 544, 26, riferisce che Erode si servì di un verso

esiodeo (Op. 25), modificato scherzosamente nella parte finale (καC κεραµεMς

κεραµε* κοτει καC NOτορι τκτων) per offendere l’umile origine di Secondo

durante una lite per un interrogativo di retorica. In ogni caso alla morte di

Secondo Erode tenne in suo onore l’orazione funebre in lacrime e fece porre

nell’agora di Atene una statua in ricordo del suo primo maestro di retorica8.

Nel 118 d. C. fu inviata dalla città di Atene una delegazione al nuovo

imperatore Adriano, allora accampato in Pannonia, per rivolgergli un discorso di

saluto. Per i cittadini più in vista di una città questi discorsi rappresentavano una

delle poche occasioni reali in cui poter compiere qualcosa di eccezionale. Questi

cittadini erano anche gli unici a essere veramente interessati a simili incarichi,

poiché, come sottolinea Ameling 1983, I, 42, «Gruß- und Gratulationsadressen

waren ein Officium publicum und kosteten Geld». Quando Adriano salì al trono,

gli Ateniesi, probabilmente su consiglio di Attico, inviarono all’imperatore il

6 Nel II sec. d. C. quasi tutti gli Ateniesi erano iniziati ai culti misterici; cfr. Philostr. V. A. 4, 17, 1-3 Τοια3τα µ(ν τ9 )πC τ4ς νες, )ς δ( τ'ν Πειραι; )σπλεσας περC µυστηρων Qραν, RτεSθηνα*οι πολυανθρωπ/τατα TλλOνων πρττουσιν. Luc. Demon. 11, racconta che gli Ateniesi avrebbero rimproverato Demonatte per essere l’unico in città a non essere iniziato ai culti misterici. 7 Cfr. Philostr. V. S. 2, 564, 5-11, Uς µ(ν δ$ Πολµωνα καC Φαβωρ*νον καC Σκοπελιαν'ν )νδιδασκλοις Xαυτο3 Iγε καC UςΣεκονδ7 τ2 Sθηνα7 )φοτησεν, ερηµνον µοι Yδη, τοMς δ(κριτικοMς τν λ/γων Θεαγνει τε τ2 Κνιδ7 καC Μουνατ7 τ2 )κ Τραλλων συνεγνετο καCΤαρ7τ2Τυρ7)πCτα*ςΠλτωνοςδ/ξαις. 8 Cfr. Philostr. V. S. 1, 544, 17-8 λλ0ποθαν/ντικαCλ/γον)πεφθγξατοκαCδκρυα)πδωκεκατοιγηραι2τελευτOσαντι. ANDERSON 1986, 26 e CIVILETTI 2002, 503, n. 5, sostengono che tale notizia doveva avere la funzione di riabilitare la figura di Erode Attico, il quale, schernendo il maestro per la sua umile origine, non si era di certo distinto per correttezza di comportamento. Il fatto che Erode abbia veramente onorato il maestro Secondo al momento della sua morte è documentato dall’iscrizione SEG 23, 115 = 183 Ameling, la quale presenta una dedica da parte di Erode per un καθηγητOς. Questo termine designa un insegnante privato da identificare qui con Secondo, perchè così egli viene nominato in Suda Σ189 Adler καθηγητ$ςδ(γγονεκαCρδουτο3σοφιστο3. Ved. AMELING 1983, II, 175-6 e TOBIN 1997, 196.

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giovane Erode a tenere un discorso di omaggio e di augurio. Il padre Attico era

allora non solo il senatore più noto della Grecia, ma anche l’unico così ricco da

potersi fare carico delle spese della delegazione. Erode, proprio quando doveva

tenere il suo discorso e parlare liberamente davanti all’imperatore, interruppe

l’orazione e scappò via per la forte pressione che sentiva su di sè. Filostrato

aggiunge che a causa di questo fallimento egli tentò di togliersi la vita con il

proposito di gettarsi nel fiume Istro9. Ma mentre gli avversari di Erode gli

rinfacciarono anche negli anni successivi questo fallimento, Filostrato lo scusa

alla luce di quanto di simile era avvenuto a Demostene che, da adulto, non era

riuscito a pronunciare la sua orazione di fronte all’imperatore Filippo di

Macedonia. Questo avvenimento non danneggiò in alcun modo la carriera di

Erode. Filostrato lo sfrutta per sottolineare, a conclusione della biografia,

quell’estrema emotività che costituisce uno dei tratti più caratterizzanti della

figura di Erode Attico.

Dopo questo episodio Erode ebbe come insegnante l’oratore Scolepiano, di

cui egli ammirava l’arte dell’improvvisazione.

Un’educazione così accurata, soprattutto in campo retorico, aveva fornito ad

Erode Attico tutti i presupposti necessari per una carriera in patria e a Roma. Nel

125 d. C. Erode iniziò la sua attività politica rivestendo, come era consuetudine,

una delle cariche più basse della carriera municipale, cioè quella di agoranomo10.

Nel 126-127 d. C. egli divenne arconte eponimo e, grazie a questa carica, anche

membro dell’Areopago. Nel 127 d. C. ricoprì anche il suo primo incarico ufficiale

9 Cfr. Philostr. V. S. 2, 565, 13-22 ο\δ(προφροντεςα,τ2ν7=τι τ' λ/γου τιν'ς )νΠαιον])κπεσε*ν )πC το3 α,τοκρτορος ^γνοηκναι µοι δοκο3σιν, Rτι καC ∆ηµοσθνης )πC Φιλππουλγωντα,τ'ν=παθεν·κκε*νοςµ(ν`κωνSθOναζετιµ9ςπροσbτεικαCστεφνουςπολωλυαςSθηναοιςSµφιπ/λεως,ρδηςδ,)πεCτο3το=παθεν,)πCτ'νcστρονIλθενUςNψωνXαυτ'ν,τοσο3τον γ9ρ α,τ2 περι4ν το3 )ν λ/γοις βολεσθαι dνοµαστ2 εeναι, Uς θαντου τιµ;σθαι τ'σφαλ4ναι. 10 Plut. Mor. 794, giudica quella dell’agoranomo un’attività politica senza alcun interesse. I compiti dell’agoranomo erano strettamente collegati con quelli dello stratega, probabilmente suo superiore, cui prestava assistenza nel provvedere a una sufficiente offerta di cereali e nel controllare la qualità del pane. L’approvvigionamento della popolazione con alimenti di base a prezzi bassi era un compito che spesso poteva essere adempiuto quando l’impiegato incaricato era pronto a mettere a disposizione a tal fine una cospicua somma di denaro dalle proprie tasche. Agli occhi degli Ateniesi, quindi, Erode Attico, che godeva del denaro paterno di Attico, appariva l’uomo più appropriato per portare a termine questo incarico nel modo migliore. Dopo aver espletato con successo questo compito, mediante un’epigrafe egli venne onorato come benefattore dal popolo; cfr. IG II2 3600 = 75 Ameling.

Page 15: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

13

a Roma. La Grecia, in quanto provincia dell’Impero romano, poteva offrire al

giovane Erode soltanto incarichi provinciali mentre Roma, la capitale, poteva

dargli l’opportunità di rivestire cariche importanti. Attraverso la testimonianza

epigrafica di SIG3 863, n. 1 è possibile ricostruire il cursus honorum di Erode:

probabilmente egli fu questore nel 129 d. C., tribuno della plebe nel 131 d. C. e

pretore nel 133 d. C. A questo periodo trascorso a Roma risale l’incontro con

Favorino di Arelate, uno dei più importanti rappresentanti della Seconda Sofistica,

il quale esercitò una notevole influenza sulla formazione di Erode, che soleva

chiamarlo διδσκαλοςe πατOρ. Favorino, appartenente alla tradizione filosofica

dell’accademia scettica, contribuì, dopo Tauro, alla formazione filosofica di

Erode.

Nel 134-135 d. C. Erode ricevette la nomina di Corrector delle città libere

d’Asia con il titolo di legatus Augusti pro praetore missus ad ordinandum statum

liberarum civitatum provinciae Asiae; cfr. Philostr. V. S. 2, 548. Questo incarico

permise a Erode Attico di controllare giuridicamente e finanziariamente molte

città della costa dell’Asia Minore, di cui a quel tempo era governatore T. Aurelio

Fulvio Boionio Arrio Antonino, più tardi noto con il nome di Antonino Pio11.

Erode dedicò gran parte del suo impegno a rifornire di un acquedotto adeguato la

città di Alessandria di Troade, la quale si trovava in gravi difficoltà a causa di uno

scarso rifornimento d’acqua. In una lettera indirizzata all’imperatore Adriano egli

chiese l’investimento di tre milioni di dracme. L’intervento di Erode eccedette

però la somma stanziata di oltre quattro milioni e provocò la protesta degli

ufficiali delle altre città dell’Asia Minore, i quali lamentavano il fatto che tutto il

tributo delle città venisse speso interamente a beneficio di un’unica città. Le

lamentele giunsero fino alle orecchie dell’imperatore Adriano che si lamentò con

Attico, allora a Roma, dell’atteggiamento del figlio. Il padre prese su di sé l’onere

di regalare al figlio il surplus investito per rifornire la città di una fontana, di un

11 AMELING 1983, I, 53, stabilisce che il 134-135 d. C. è l’anno dell’incarico di Erode in Asia Minore sulla base della testimonianza di Philostr. V. S. 2, 554, 28-555, 9, il quale riferisce la voce, a suo avviso non degna di credito, secondo cui Erode aggredì Antonino Pio sul monte Ida al tempo in cui il primo governava le città libere d’Asia e il secondo tutte le città d’Asia. Questo incarico era stato espletato da Antonino Pio nel 134-135 d. C.

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14

acquedotto e di bagni12. Durante l’espletamento di questo incarico in Asia Minore

Erode riuscì a coniugare insieme gli impegni ufficiali e gli interessi culturali,

frequentando il grande sofista Polemone, che egli andò ad ascoltare nella città di

Smirnia. Quando il suo mandato in Asia terminò, Erode fece ritorno di nuovo ad

Atene dove adempì i propri obblighi come insegnante di retorica e agonoteta delle

feste Panellenie; inoltre nel 136 d. C. venne scelto dal popolo ateniese come

agonoteta delle Panatenee per l’anno 140 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 61.

Tra la fine del 137 e l’inizio del 138 d. C. il padre Attico morì ed Erode ne

ereditò i beni. Il testamento del padre fu però all’origine dello scontro tra Erode e

gli abitanti della città poiché Attico, sollecitato dai suoi liberti, aveva espresso la

volontà che ogni Ateniese ricevesse una pensione di una mina all’anno. I liberti

avevano cercato in questo modo di avere l’appoggio del popolo, data l’avversione

di Erode Attico nei confronti di schiavi e liberti13.

La reazione di Erode dinanzi a questa volontà del padre fu inizialmente

dettata dalla rabbia perché il testamento lo obbligava a elargire ogni anno circa

12.000 mine alla popolazione ateniese che tra il 138 e il 139 d. C. si aggirava

intorno ai 12.000 abitanti; ved. Rutledge 1960, 101. Erode si liberò tuttavia da

questo obbligo proponendo di assegnare ad ogni ateniese 5 mine in una sola

donazione. Quando i cittadini si recarono a ritirare il denaro loro spettante,

trovarono la disposizione che li vincolava a saldare i debiti contratti dai loro padri

e nonni nei confronti dei genitori di Erode. Pertanto alcuni ricevettero ben poco

denaro, altri non ebbero nulla mentre altri ancora furono trattenuti ed esortati a

saldare il debito.

Questo atteggiamento non solo provocò disordini nella città di Atene ma

valse ad Erode anche l’accusa di tiranno, come già era accaduto al nonno Ipparco

e gli fece perdere l’elezione alla carica di ρχιερεMς τν Σεβαστν, rivestita

sempre da membri della famiglia di Erode Attico e ora vacante per la morte di

12 Per una discussione di questi monumenti nella città di Alessandria di Troade ved. TOBIN 1997, 327-31. 13 Cfr. Philostr., V. S. 2, 549, 12-7 εeχον µ(ν γ9ρ α\ διαθ4και, Uς εeπον, =γραψε δ( α,τ9ςξυµβουλ]τνµφ0Xαυτ'νπελευθρων,οfχαλεπ$νρντεςτ$νρδουφσινπελευθροιςτεκαCδολοιςποστροφ$ν)ποιο3ντοτο3SθηναωνδOµου,Uςτ4ςδωρε;ςα,τοCαgτιοι.

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15

Attico14. Gli Ateniesi elessero questa volta Tiberio Claudio Lisiade III di Melite,

esponente di una famiglia avversaria di quella di Erode.

Subito dopo aver assolto il suo incarico di agonoteta, Erode si trasferì a

Roma tra la fine del 140 e l’inizio del 141 d. C. I motivi della partenza furono

l’aspirazione al consolato, il matrimonio con una donna appartenente a

un’importante famiglia romana e l’incarico di precettore di retorica greca,

conferitogli dall’imperatore Antonino Pio, dei giovani Lucio Vero e Marco

Aurelio; cfr. Cass. Dio 72, 35, 1. Quest’ultimo aveva iniziato intorno al 135 d. C.

gli studi di retorica e li aveva continuati sotto la guida di Frontone a partire dal

138 d. C15. Questa nuova veste di precettore rappresentò per Erode un grande

onore ma anche una seria responsabilità, perché l’apprendimento dell’arte retorica

era per i principi una necessità alla quale non potevano sottrarsi, visto che ogni

comando passava attraverso la comunicazione orale. Erode ricorse a esempi

mitologici per enfatizzare l’importanza del suo ruolo, paragonando se stesso a

Fenice, che aveva avuto il compito di istruire Achille; cfr. Peek 1942, 330 = 186

Ameling.

A questo periodo romano risale il processo intentatogli da Tiberio Claudio

Demostrato, esponente della famiglia dei Claudii di Melite il quale, recatosi a

Roma, incaricò il retore latino Frontone di sostenere a suo nome l’accusa. Oggetto

del processo, che ebbe luogo nel 141 d. C.16, era il testamento di Attico e il modo

in cui era stato trasgredito da Erode, che con il suo atteggiamento aveva provocato

14 cfr. Philostr., V. S., 2, 249, 10-31 hπεCδ(τντο3Sττικο3διαθηκν)πεµνOσθην,νγκηκαCτ9ςαταςναγρψαι,δι06ςπροσκρουσενρδηςSθηναοις·εeχονµ(νγ9ρα\διαθ4και,Uςεeπον, =γραψε δ( α,τ9ς ξυµβουλ] τν µφ0 Xαυτ'ν πελευθρων, οf χαλεπ$ν ρντες τ$νρδουφσινπελευθροιςτεκαCδολοιςποστροφ$ν)ποιο3ντοτο3SθηναωνδOµου,Uςτ4ςδωρε;ς α,τοC αgτιοι. καC πο*α µ(ν τν πελευθρων τ9 πρ'ς τ'ν ρδην, δηλοτω -κατηγορα,iνπεποηταισφνπ;νκντρον^ρµνοςτ4ςXαυτο3γλττης.ναγνωσθεισνδ(τνδιαθηκν ξυνβησαν ο\ Sθηνα*οι πρ'ς τ'ν ρδην πντε µν;ς α,τ'ν )σπαξ Xκστ7καταβλλονταπρασθαιπαρ0α,τντ'µ$εCδιδ/ναι·λλ0)πεCπροσbεσανµ(ντα*ςτραπζαιςjπ(ρ τν Uµολογηµνων, )πανεγιγνσκετο δ( α,το*ς ξυµβ/λαια πατρων τε καC πππων Uςdφειλ/ντωντο*ςρδουγονε3σινντιλογισµο*ςτεjπOγοντοκαCο\µ(νµικρ9^ριθµο3ντο,ο\δ(ο,δν, ο\ δ( συνεχοντο )π0γορ;ςUς καCποδσοντες, παρξυνε τα3τα τοMςSθηναουςUς-ρπασµνουςτ$νδωρε9νκαCο,κ)πασαντοµισο3ντες,ο,δ(π/τετ9µγισταε,εργετε*νkετο.15 «Fronto und Herodes als Lehrer des Prinzen zeigen die Bedeutung, die man am römischen Kaiserhof der Rhetorik beimaß» (AMELING, 1983, I, 71). 16 Per la datazione del processo ved. l’argomentazione di AMELING 1983, II, 32-33.

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16

degli scontri in città e causato la morte di un uomo17. L’esito del processo è

oscuro ma il fatto che non siano noti cambiamenti nella condizione patrimoniale

di Erode fa ritenere che esso si sia concluso a suo favore per insufficienza di

prove, con una probabile intesa con gli Ateniesi. Per questo processo Erode

dovette scrivere quell’accusa contro i liberti, cui Philostr. V. S. 2, 549, 17-20 fa

riferimento. Non poca influenza dovettero avere, nello svolgimento del processo,

la sua ricchezza, la sua influenza e i suoi legami con l’imperatore.

Nel 143 d. C. egli rivestì la carica di console18. I motivi di questa veloce

carriera politica di Erode Attico vanno ricercati non solo nella sua educazione, ma

anche nel suo ricco patrimonio e nella natura della discendenza divina e mitica

che egli aveva rivendicato a sè. Per un greco come Erode, che voleva godere degli

stessi diritti e privilegi degli esponenti delle famiglie romane al potere, era

importante poter vantare una nobile discendenza non inferiore a quella dei

Romani, orgogliosi per la loro origine divina da Venere attraverso la figura del

mitico Enea. Erode si dichiarava discendente da Eracle (cfr. IG II2 3606, 2 = 190,

2 Ameling), imparentato con le mitiche figure di Peleo e Achille, membro della

famiglia dei Cerici, sacerdoti ateniesi di Demetra (cfr. IG XIV 1389 A, 30-7 = 146

A, 30-7 Ameling). Inoltre annoverava tra i suoi antenati Milziade e Cimone che

avevano avuto un ruolo fondamentale nella storia di Atene del V. sec. a. C durante

le guerre contro i Persiani19.

Per rafforzare la sua posizione nell’ambito della gerarchia di potere

dell’Impero romano, Erode aveva bisogno di sposare un’esponente di

un’importante e ricca famiglia romana che fosse della stessa posizione sociale

della sua. La promessa sposa si chiamava Appia Annia Atilia Regilla Caucidia

Tertulla, appartenente alla famiglia degli Annii, la quale annoverava tra i suoi

17 cfr. Fronto Ad. M. Caes. 3, 3, 2 Dicendum est de hominibus liberis crudeliter verberatis et spoliatis, uno vero etiam occiso; dicendum de filio impio et precum paternarum inmemore; saevitia et avaritia exprobranda; carnifex quidam Herodes in hac causa est constituendus ... Illa ipsa de laesis et spoliatis hominibus ita a me dicentur, ut fel et bilem sapiant: sic ubi Graeculum et indoctum dixero, non erit internecivum. 18 AMELING 1983, I, 77, ricorda che per quell’anno anche Frontone ricoprì la carica di console e pertanto definisce il 143 d. C. «Epochenjahr der zweiten Sophistik». 19 Cfr. Philostr. V. S. 2, 545, 15-547, 3 νφερεδ()ςτ'ντνΑακιδν,οlςξυµµχουςποτ(-Tλλ9ς )πC τ'ν Πρσην )ποιε*το, πηξου δ( ο,δ( τ'ν Μιλτιδην, ο,δ( τ'ν Κµωνα, Uς mνδρερστωκαCπολλο3ξωSθηναοιςτεκαCτο*ςmλλοιςnλλησιπερCτ9Μηδικ,µ(νγ9ρIρξετροπαωνΜηδικν,δ(πbτησεδκαςτοMςβαρβρους?νµετ9τα3ταDβρισαν.

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17

antenati Anchise ed Enea ed era imparentata con Faustina, moglie dell’imperatore

Antonino Pio. La sua discendenza viene descritta in termini poetici in IG XIV

1389 A = 146 A Ameling. I suoi nonni erano stati consoli ordinari nel 108 d. C.

quando il padre di Erode aveva rivestito a Roma la carica di console suffetto.

Regilla poteva vantare inoltre tra i suoi parenti importanti personaggi, quali i

senatori P. Calvisio Tullo Ruso e Bellicio Flacco Torquato, console ordinario

insieme a Erode Attico nel 143 d. C. Quando il matrimonio fu celebrato, tra il 142

e il 143 d. C., Erode aveva già quarant’anni mentre Regilla era ancora una ragazza

di diciassette o forse di quindici anni. Attraverso l’unione matrimoniale Erode

ottenne il controllo di alcuni territori in Italia, quale quello sulla via Appia alla

terza pietra miliare, e forse un terreno a Canosa. Erode, da parte sua, donò a

Regilla un appezzamento di terra a Maratona. In Grecia Regilla divenne

sacerdotessa di Tyche ad Atene e di Demetra Camina ad Olimpia. A lei Erode

dedicò molte statue, accompagnate da iscrizioni che ne celebrano le virtù.

Grazie a questi rapporti di parentela con uomini consolari Erode entrò a far

parte del collegio dei quindecemviri, che aveva funzioni sacerdotali, di cui il

padre Attico era stato già membro. Un’iscrizione ritrovata ad Olimpia20 informa

che Erode era membro di altri due collegi sacerdotali, quale sodalis Augustalis e

sodalis Hadrianalis.

A Roma nacque anche il primo figlio della coppia, che però morì dopo pochi

mesi verso la fine del 143 d. C. Questa perdita addolorò profondamente Erode,

come informa Fronto, Ad M. Caes. 1, 6, 8: Herodi filius natus <hodi>e mortuus

est; id Herodes non aequo fert animo. Volo ut illi aliquid quod ad hanc rem

adtineat pauculorum verborum scribas. Erode fece ritorno ad Atene insieme a

Regilla intorno al 146 a. C. Dalla loro unione matrimoniale nacquero altri cinque

figli: Elpinice (142-143 d. C.), Atenaide (144 d. C.), Regillo (fine anni 40, inizio

anni 50) e Brauda (152-153 d. C.). Quest’ultimo causò ad Erode molti dispiaceri a

causa delle sue difficoltà di apprendimento e della conduzione di una vita

dissoluta21. Infine l’iscrizione SEG 26, 290 = 140 Ameling ricorda la dedica dei

20 AMELING 1983, II, 138, n. 131, ammette di non conoscere personalmente il testo. 21 Cfr. Philostr. V. S. 2, 558, 7-21 )πνθει δ( τα*ς jπερβολα*ς ταταις τ9ς θυγατρας, )πειδ$Sττικ'ν τ'νυ\'ν )νdργoεeχεν. διεββλητοδ(πρ'ςα,τ'νUς^λιθιδηκαCδυσγρµµατονκαCπαχMν τ$ν µνOµην· τ9 γο3ν πρτα γρµµατα παραλαβε*ν µ$ δυνηθντος Iλθεν )ς )πνοιαν τ2

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18

capelli di Erode per un figlio sconosciuto, forse da identificare con il bambino di

cui Regilla era incinta al momento della sua morte intorno al 160-161 d. C.22.

Atenaide morì intorno al 155 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 97. In

quell’occasione gli Ateniesi mostrarono grande compassione per il dolore che

aveva colpito Erode e cercarono di consolarlo conferendo alla figlia defunta

l’onore speciale di essere seppellita nella città. L’eccezionalità del provvedimento

diventa chiara alla luce della testimonianza di Cic. Ep. ad Fam. 4, 12, 3, il quale

riferisce che nel 45 a. C. questo favore non era stato accordato a nessun abitante di

Atene. Gli Ateniese decretarono anche di eliminare dal loro calendario, in segno

di lutto, il giorno in cui la fanciulla era morta23. Precedente alla morte di Regilla è

la scomparsa del figlio Regillo.

Quando morì la moglie gli avversari di Erode accusarono il ricco ateniese

della morte della donna, sostenendo che egli, a causa di un litigio familiare,

avrebbe fatto dare a Regilla un calcio nello stomaco dal liberto Alcimedonte24.

Ameling 1983, I, 100, riscontra in questo racconto gli elementi caratteristici che

servono a delineare il ritratto di un uomo accusato di tirannide, poiché sia la

moglie di Periandro25 che di Nerone26 morirono allo stesso modo; ved. anche

Ameling 1986.

La morte della donna in circostanze misteriose gli causò un nuovo processo

intentatogli dal cognato Bradua, che lo accusò della morte della sorella. Filostrato

si limita a riferire che Bradua non riuscì a presentare al Senato romano nulla di

ρδp ξυντρφειν α,τ2 ττταρας πα*δας καC εgκοσιν σOλικας qνοµασµνους π' τνγραµµτων, rνα)ν το*ς τνπαδωνdν/µασι τ9γρµµατα)ξνγκηςα,τ2µελετ2το. Xραδ(α,τ'νκαCµεθυστικ'νκαCνοOτως)ρντα,Rθενζνµ(ν)πεχρησµsδειτoXαυτο3ο,σ])κε*νοτ' =πος· "εKς δ0 =τι που µωρ'ς καταλεπεται ε,ρι οgκ7," τελευτν δ( τ9 µ(ν µητρ2α α,τ2πδωκεν,)ςXτρουςδ(κληρον/µουςτ'νXαυτο3οeκονµετστησεν.22 AMELING 1983, I, 100, data la morte di Regilla al 157 d. C. 23 Cfr. Philostr. V. S. 2, 557, 33-258, 1, τ'δ()πCΠαναθηναδιτoθυγατρCSθηνα*οι)πρυναν)νmστειτεα,τ$νθψαντεςκαCψηφισµενοιτ$ν-µραν,)φ0tςπθανεν,)ξαιρε*ντο3=τους.24 Cfr. Philostr. V. S. 2, 555, 10-5 Ηλθεν)πCτ'νρδηνκαCφ/νουδκη?δεξυντεθε*σα·κεινµ(ν α,τ2 τ$ν γυνα*κα !Oγιλλαν vγδο/ν που µ4να, τ'ν δ( ρδην ο,χ jπ(ρ µεγλωνSλκιµδοντιπελευθρ7προστξαιτυπτ4σαια,τOν,πληγε*σανδ()ςτ$νγαστρατ$νγυνα*καποθανε*ν)νqµ2τ2τ/κ7.25 Cfr. Diog. Laert. 1, 94 χρ/ν7δ$jπ0dργ4ςβαλwνjποβθρ7<λακτσαςτ$νγυνα*κα=γκυονοEσανπκτεινε,πεισθεCςδιαβολα*ςπαλλακδων,6ςDστερον=καυσε.26 Cfr. Tac. Ann. 16, 6, 1 Post finem ludicri Poppaea mortem obiit, fortuita mariti iracundia, a quo gravida ictu calcis adflicta est. neque enim venenum crediderim, quamvis quidam scriptores tradant, odio magis quam ex fide: quippe liberorum cupiens et amori uxoris obnoxius erat.

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concreto a sostegno dell’accusa e che invece approfittò del processo per elogiare

la sua ricchezza, la sua stirpe e i suoi benefici a favore di una città dell’Italia27. Il

ricorso a questi temi offre al biografo la possibilità di presentare la ricchezza

elargita da Erode e la generosità da lui dimostrata nei confronti di molte città

come prove a sostegno dell’innocenza; cfr. Philostr. V. S. 2, 556, 1-2 πολλ9

τοια3ταπερC )µαυτο3διbεινmν, ε )νxπσp τoγo )κριν/µην.Anche in questo

caso Filostrato non narra come il processo si sia concluso ma lascia intendere

l’innocenza del retore citando la costruzione del teatro in onore di Regilla, la

rinuncia alla carica di proconsole della provincia d’Asia, che avrebbe coronato la

sua carriera politica, la consacrazione degli ornamenti della moglie a Eleusi,

l’ostentazione eccessiva del lutto, che lo spinse a rinchiudersi nella sua dimora e a

eliminarne ogni colore perché Regilla era la luce della casa28. Fu necessario

l’intervento del filosofo Lucio perché Erode ritornasse sulla via della

moderazione. Per non diventare il trastullo di uomini dotti, il ricco ateniese liberò

la casa dall’oscurità, poiché gli era stato riferito che il filosofo, avendo visto che i

servi di Erode lavavano dei ravanelli, aveva esclamato con sarcasmo: δικε*[…]

!Oγιλλανρδηςλευκ9ςNαφαν*δαςσιτοµενος)νµελανpοκ]. Erode fissò il

suo dolore in un epigramma (SEG 23, 121 = 100 Ameling) che fece incidere su

una stele, aggiunta su un arco costruito a Maratona, che divideva il suo territorio

da quello donato a Regilla e celebrava la loro perfetta armonia matrimoniale

27 Cfr. Philostr. V. S. 2, 555, 15-556, 2 )πCτοτοιςUςληθσιγρφεταια,τ'νφ/νουΒραδοαςτ4ς !ηγλλης δελφ'ς ε,δοκιµτατος ν )ν jπτοις καC τ' ξµβολον τ4ς ε,γενεαςπεριηρτηµνοςτ2jποδOµατι,το3τοδ)στιν)πισφριον)λεφντινονµηνοειδς,καCπαρελθwν)ςτ'!ωµαωνβουλευτOριονπιθαν'νµ(νο,δ(νδιbειπερCτ4ςατας,iν)π4γεν,Xαυτο3δ(=παινον)µακρηγ/ρειπερCτο3γνους,Rθεν)πισκπτωνα,τ'νρδης"σM"=φη"τ$νε,γνειαν)ντο*ςστραγλοις=χεις." µεγαλαυχουµνουδ( το3κατηγ/ρουκαC)π0ε,εργεσ]µι;ς τν)ν|ταλ]π/λεων µλα γενναως ρδης "κγw" =φη "πολλ9 τοια3τα περC )µαυτο3 διbειν mν, ε )νxπσpτoγo)κριν/µην."28 Cfr. Philostr. V. S. 2, 556, 5-18 λλ0Rµωςτληθ(ς gσχυεν,ο,γρποτεοτ0~νθατρονα,τoναθε*ναι τοιο3τον, οτ0 ~ν δευτραν κλOρωσιν τ4ς jπτου ρχ4ς )π0 α,τo ναβαλσθαι µ$καθαρς=χοντατ4ςατας,οτ0~ντ'νκ/σµονα,τ4ς)ςτ')νhλευσ*νι\ερ'νναθε*ναιφρονταφ/ν7µεµιασµνον,τουτCγ9ρτιµωροMςτο3φ/νουποιο3ντοςIντ9ςθε9ςµ;λλον<ξυγγνµονας.δ(καCτ'σχ4µατ4ςοκας)π0α,τojπOλλαξεµελανωντ9τνοgκωνmνθηπαραπετσµασικαCχρµασικαCλθ7Λεσβ7—κατηφ$ςδ(λθοςκαCµλας—jπ(ρ?νλγεταικαCΛοκιοςν$ρσοφ'ς)ςξυµβουλαντ2ρδpκαθιστµενος,Uςο,κ=πειθεµεταβαλε*να,τ'νδιασκψαι. La descrizione di Regilla come luce della casa è conservata in IGUR II 340 = 144 AmelingρsδουγυνO,τ'φςτ4ςοκας,τνοςτα3τατ9χωραγγοναν·(vacat) Annia Regilla Herodis uxor lumen domus cuius haec praedia fuerunt, e in IG II2

13200 = 147 Ameling SππαSννα!OγιλλαρδουγυνO,τ'φςτ4ςοκας.

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mediante la sua denominazione di «Porta della Concordia Immortale»; cfr. IG II2

1589 e 1589a = 97 e 98 Ameling. Egli commissionò anche al poeta Marcello di

Side un lungo componimento in esametri per la consorte defunta, cui egli andava

dedicando statue e stele, accompagnate da formule di maledizione contro

chiunque avesse osato rimuoverle o danneggiarle; cfr. IG XIV 1389 A-B = 146 A-

B Ameling.

Dopo la morte della moglie Erode restò per un certo periodo a Roma, dove

apportò dei mutamenti alla sua villa sulla via Appia e fece erigere un monumento

commemorativo della moglie, presentata nelle vesti di un’eroina. Il suo corpo

però venne seppellito in Attica; cfr. IG XIV 1392 = 145 Ameling. Verso il 162 d.

C. Erode ritornò in Grecia accompagnandovi l’imperatore Lucio Vero che allora

dava inizio alla guerra contro i Parti. Dopo un breve soggiorno a Canosa a causa

delle cattive condizioni di salute di Lucio Vero, Erode e l’imperatore ripresero il

viaggio per Atene, dove Lucio Vero soggiornò per alcuni giorni presso la villa di

Erode. Alla partenza di Lucio Erode compose o fece comporre un poemetto (Peek

1942, 330 = 186 Ameling) di ambientazione bucolica. Ad Atene egli divenne

sacerdote del culto imperiale e di quello di Bacco nella corporazione privata dei

Iobacchoi; cfr. IG II2 1368 = 94 Ameling. A questo periodo risale la costruzione

dell’Odeion, monumento dedicato da Erode alla memoria di Regilla sul pendio a

sud dell’Acropoli, per la cui costruzione furono usati il miglior materiale e marmo

del tempo. Tutto quello che Erode fece ad Atene mirava a dimostrare la sua

innocenza dall’accusa di aver provocato la morte della moglie. Nel 165 d. C. la

peste, importata dall’Oriente in Grecia dai soldati di Lucio Vero, causò la morte di

Elpinice, secondogenita di Erode, sposa di Lucio Vibullio Ipparco29. Anche questa

volta un filosofo, Sesto da Cheronea, dovette esortare alla moderazione Erode che

manifestava il suo lutto in maniera eccessiva. IG II2 12568/9 = 136 Ameling

conserva un componimento in esametri che rende testimonianza di questo dolore.

È a questo punto della sua vita che Erode pensò di ricorrere all’adozione per

assicurarsi la continuazione della famiglia; ved. Ameling 1983, II, 113. Egli si

sentiva senza eredi maschi a causa del cattivo rapporto con Bradua, l’unico figlio

rimasto in vita, il quale aveva dato al padre solo dispiaceri tanto da fargli

29 Sulla peste che scoppiò durante gli anni di regno di Marco Aurelio ved. GILLIAM 1961.

Page 23: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

21

esclamare un giorno: «uno solo, ancora stolto, rimane nella casa» (Philostr. V. S.

2, 558, 19; trad. Civiletti). Egli adottò il fratello di suo genero, che prese il nome

di Lucio Vibullo Claudio Erode (cfr. IG II2 3979 = 141 Ameling), di cui non sono

tramandate altre notizie. Si potrebbe quindi concludere che questi sia morto poco

dopo l’adozione.

Erode adottò anche tre giovani, che amò come figli propri, cui diede

un’accurata educazione. Poiché sporadici ritratti lasciano dedurre che i giovani al

tempo dell’adozione avessero circa quindici anni, la data della loro nascita si

collocherebbe intorno al 150 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 114. Il primo si

chiamava Achille (cfr. IG II2 13195 = 162 Ameling, IG II2 3977 = 180 Ameling,

IG II2 10938 = 181 Ameling), il secondo Mnemone, di origine etiopica, detto

piccolo topazio (cfr. IG II2 13196 = 163 Ameling), mentre il terzo era un parente

di Erode Attico, di nome Vibullio Polluce. Dalle iscrizioni a lui dedicate risulta

che questi era un eques romanus30. Come i figli naturali di Erode, anche

quest’ultimi morirono presto a causa della peste, l’uno a poco tempo di distanza

dall’altro: dapprima Polluce, poi Achille e infine Memnone. Alla loro morte

Erode fece collocare statue e stele e iscrizioni nei luoghi che lui era stato solito

frequentare insieme ai giovani, trasferendo in questo modo la loro esistenza e il

tempo trascorso insieme nella sfera eroica e mitica31. Il fatto che alcune iscrizioni

per Polluce contengano il nome di Vibullia Alcia, la quale dedica al giovane

statue e stele, testimonia che la madre di Erode Attico era ancora in vita intorno

agli anni sessanta del secondo secolo; cfr. IG II2 3972 e 3973.

Anche per la morte di Polluce Erode si abbandonò a eccessive

manifestazioni di dolore come aveva già fatto per la morte dei figli e di Regilla;

cfr. anche Luc. Demon. 24, 33. Secondo Robert 1979, 160-5, in quell’occasione

30 cfr. IG II 2 3969 = 173 Ameling [ψηφσµατιτ4ςβουλ4ς][τ4ς)ξSρεουπγουκαC][τ4ς]βουλ4ς[τν πεντακ][ο]σων καC το3 δOµ[ου το3 Sθηναων] ρδης Βιβο[λλι][ο]ν Πολυδευκωνα\ππ[α][!]ωµαωνθρψαςκαCφι[λ]OσαςUςυ\'ντoΝεµ[σει],µετ0α,το3=θυεν,ε,µ[ε]ν4καCµνηστοντ'ν[τρ/]φιµον.vac. 31 Cfr. Philostr. V. S. 2, 558, 22-559, 5 λλ0 Sθηναοις πνθρωπα )δ/κει τα3τα ο,κ)νθυµουµνοις τ'νSχιλλα καC τ'νΠολυδεκην καC τ'νΜµνονα, οlς gσα γνησοις )πνθησετροφµουςvντας,)πειδ$καλοCµλιστακαCγαθοCIσανγεννα*οτεκαCφιλοµαθε*ςκαCτoπαρ0α,τ2 τροφo πρποντες. εκ/νας γο3ν νετθει σφν θηρντων καC τεθηρακ/των καCθηρασ/ντων τ9ς µ(ν )ν δρυµο*ς, τ9ς δ( )π0 γρο*ς, τ9ς δ( πρ'ς πηγα*ς, τ9ς δ( jπ' σκια*ςπλατνων,ο,κφανς,λλ9ξMνρα*ςτο3περικ/ψοντος<κινOσοντος,οlςο,κ~ν)πCτοσο3τονIρεν,εµ$)πανωνξους)γγνωσκεν.

Page 24: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

22

Erode avrebbe celebrato un concorso funebre in onore del giovane defunto sullo

stile dei giochi che i Greci organizzarono davanti alle mura di Troia per la morte

di Patroclo e poi di Achille.

Al 173-174 d. C. risale lo scontro di Erode Attico con i fratelli Quintili della

città di Alessandria di Troade, che erano stati consoli ordinari nel 151 d. C.

Philostr. S. V. 2, 559, 10-7, al quale i motivi veri del contrasto non sembrano

essere noti, parla dapprima di uno scontro ai giochi pitici nel giudicare l’agone

musicale, poi di una battuta di Erode che, criticando la stima dell’imperatore

Marco Aurelio per i due fratelli, esclamò: «io persino lo Zeus omerico biasimo,

perché ama i Troiani» (Philostr. V. S. 2, 559, 15-7; trad. di Civiletti). Sulle cause

dello scontro Ameling 1983, I, 108, ponendosi sulla scia di Graindor 1930, 113 e

Oliver 1970, 72, afferma: «In neuerer Zeit wurde angenommen, dass die beiden

Brüder es nicht verwinden konnten, in Herodes einen so großen Wohltäter ihrer

Heimatstadt zu sehen, an dessen Munifizenz sie nicht heranreichen konnten». A

questa conclusione portano infatti le allusioni di Philostr. V. S. 2, 559, 17-560, 17

il quale, ricordando che ai due fratelli si rivolsero gli abitanti di Atene per

accusare Erode Attico di tirannide, sottolinea come subito i Quintili riferirono

quanto avevano appreso dal popolo ateniese all’imperatore. Demostrato,

Prassagora e Mamertino, esponenti del partito politico contrario al ricco ateniese,

si fecero portavoce dell’accusa, inviando una delegazione a Marco Aurelio con la

speranza di ottenere da lui una sentenza di colpevolezza nei confronti del loro

avversario. Al tempo di questa accusa Marco Aurelio era con il suo esercito a

Sirmio, dove conduceva la guerra contro i Marcomanni. Qui si presentarono da

una parte Demostrato e i suoi seguaci che cercarono di ottenere il sostegno di

Faustina la giovane, moglie dell’imperatore, e di sua figlia di tre anni, che con

moine pregava il padre di salvare gli Ateniesi, dall’altra Erode, accompagnato dal

seguito dei liberti, tra cui Alcimedonte e le sue due figlie gemelle, educate da

Erode come proprie. Anche questa volta il destino volle che un tremendo lutto

sconvolgesse Erode alla vigilia del processo. Durante la notte un fulmine,

abbattutosi sulle torri dove abitavano le due fanciulle, ne provocò la morte. Uscito

di senno, Erode si presentò in giudizio il giorno dopo, lanciando le sue accuse

contro l’imperatore perché questi si lasciava abbindolare dalla moglie e da una

Page 25: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

23

bambina di tre anni. Secondo Papalas 1978, la frase filostratea τα3τ µοι -

Λουκουξενα,νσµοι=πεµψας·Rθενδικζεις,γυναικµεκαCτριετε*παιδ7

καταχαριζ/µενος (V. S. 2, 561,6-8), pronunciata da Erode, fa pensare che l’accusa

principale, dalla quale il ricco ateniese dovette difendersi, sia stata propriamente

quella relativa al tipo di ospitalità offerta a Lucio Vero a Canosa, in occasione

della quale Erode Attico aveva organizzato banchetti e battute di caccia per il

giovane imperatore dedito ai piaceri e al lusso, incapace di assumersi gli impegni

di governo; cfr. H. A. Ver. 4-5; 6, 7; 8-9, Aur. 8, 9. Secondo Civiletti 2002, 522,

Erode Attico incarnava in quel processo agli occhi austeri dei Romani la

personificazione dei vizi tipici dell’Oriente che avevano fuorviato il giovane

Lucio Vero. Marco Aurelio era rattristato dalle accuse degli Ateniesi contro

Erode, suo primo maestro, e voleva perciò evitare di infliggergli una punizione.

Poiché gli Ateniesi avevano mosso delle accuse anche contro i liberti di Erode,

l’imperatore decise di dare a quest’ultimi una punizione, sebbene molto mite.

Oliver 1970, 75, collega questa accusa rivolta dagli abitanti di Atene ai liberti, con

il provvedimento promosso da Lucio Vero a favore di figli e nipoti dei liberti, ai

quali erano state affidate importanti cariche pubbliche in seguito alle grosse

perdite di uomini. Alla morte di Lucio Vero, Marco Aurelio, rimasto l’unico

detentore del potere, cercò di limitarne l’influenza negli alti organi di governo

attraverso speciali provvedimenti come la regolamentazione dell’accesso

all’Areopago.

Purtroppo Filostrato non rivela il tipo di accuse che gli Ateniesi mossero al

loro antico benefattore, che abbandonò il tribunale senza usare a sua difesa tutto il

tempo che aveva a disposizione. Civiletti 2002, 523, sottolinea come

l’incompletezza del racconto filostrateo relativo al processo di Sirmio sia dovuta

alla volontà del biografo di oscurare le responsabilità di Erode Attico negli scontri

che nella seconda metà del II sec. d. C. caratterizzarono lo scenario politico di

Atene, la quale attraversava allora una forte crisi economica.

Sebbene Erode fosse stato assolto dalle accuse, non fece ritorno ad Atene ma

si recò ad Orico dove diede vita a dei lavori di ricostruzione della città. Questo

alimentò alcune voci, smentite da Philostr. 2, 262, 1-6, secondo cui egli era stato

mandato in esilio dall’imperatore. Intorno al 174-175 d. C. Marco Aurelio inviò

Page 26: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

24

agli Ateniesi una lettera, incisa sulla superficie di due marmi bianchi (SEG 29,

127 II = 189 Ameling), i cui frammenti sono stati ritrovati nel 1930, con cui egli

rendeva noti alla città alcuni provvedimenti su casi giudiziari ateniesi. Qui ai righi

87-94 egli invita gli Ateniesi a richiamare in patria il loro benefattore, senza il

quale la città sembrava aver perso il suo supporto finanziario32. Erode ritornò ad

Atene nel 175 d. C., prima della rivolta organizzata da Avidio Cassio contro

l’imperatore, nei confronti della quale egli mostra la sua piena disapprovazione

nell’epistola inviata a Cassio, di cui Philostr. V. S. 2, 563, 12 cita la battuta

iniziale ρδης Κασσ7· )µνης. IG II2 3606 = 190 Ameling contiene un

poemetto che ricorda l’accoglienza festosa di Erode da parte della sua città, a cui

Flavio Filostrato non fa alcun cenno.

L’imperatore Marco Aurelio fece visita alla città di Atene nel 176 d. C.

insieme al figlio Commodo, ed entrambi vennero iniziati ai misteri eleusini

durante i quali Erode servì come mistogogo33. Questo è l’ultimo avvenimento

databile della vita di Erode Attico, il quale morì all’età di settantasei anni di

consunzione nel 177 d. C; ved. Swain 1990, 214-6.

Sebbene egli avesse chiesto ai suoi liberti di essere seppellito a Maratona, gli

Ateniesi vollero collocare il suo corpo nello stadio panatenaico, il più grande dono

che egli aveva fatto alla città di Atene e fecero iscrivere sulla sua tomba il

seguente epitaffio, citato da Philostr. V. S. 2, 566: Sττικο3ρδηςΜαραθνιος,

ο8τδε πντα/κε*ταιτ2δετφ7,πντοθενε,δ/κιµος.

32 Per un’analisi della lettera riguardo ai righi relativi a Erode Attico ved. OLIVER 1970, JONES

1971, WILLIAMS 1975, AMELING 1983, II, 182-205, nr. 189, CORTOSSA 1985, KENNELL 1997 e TOBIN 1997, 41-4. 33 La volontà dell’imperatore di essere iniziato ai misteri eleusini viene espressa dallo stesso nella lettera inviata ad Erode, per manifestare la sua benevolenza nei confronti del vecchio maestro e citata da Philostr. V. S. 2, 562, 24-563, 5 "χα*ρµοι,φλερδη."διαλεχθεCςδ(jπ(ρτντο3πολµουχειµαδων,)νοKςIντ/τε,καCτ$νγυνα*καdλοφυρµενοςmρτια,τ2τεθνεσανεπνττικαCπερCτ4ςτο3σµατοςσθενεας)φεξ4ςγρφει"σοCδ(jγιανειντεεχοµαικαCπερC)µο3Uς ενου σοι διανοε*σθαι, µηδ( -γε*σθαι δικε*σθαι, ε καταφωρσας τιν9ς τν σνπληµµελο3ντας κολσει )π0 α,τοMς )χρησµην Uς οK/ν τε )πιεικε*. δι9 µ(ν δ$ τα3τα µO µοιdργζου,εδτιλελπηκσε<λυπ,πατησονπαρ0)µο3δκας)ντ2\ερ2τ4ς)νmστειSθην;ς)νµυστηροις.η,ξµηνγρ,π/τεπ/λεµοςµλιστα)φλγµαινε,καCµυηθ4ναι,εgηδ(καCσο3µυσταγωγο3ντος."Per un elenco delle fonti antiche che citano l’iniziazione di Marco Aurelio ai misteri eleusini ved. AMELING 1983, I, 160, n. 48.

Page 27: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

25

Commento alle iscrizioni poetiche

1 = 139 Ameling

Kaibel 1878, 862; App. Anth. III, 1, 240; IG III 914; IG II2 3553.

Eleusi.

Presso i Grandi Propilei.

Intorno al 157 d. C.

Ved. Clinton 1974, 108, nr. 19; Ameling 1983, II, 142, nr. 139; Tobin 1997,

87.

Ameling 1983, II, 142, assegna IG II2 3553 alla metà del II sec. d. C. e mette

l’iscrizione in relazione ad Erode Attico e a sua figlia Atenaide, sebbene Kirchner

l’avesse già datata al I sec. d. C. con approvazione di Clinton 1974, 108.

Atenaide era nata probabilmente nel 144 d. C. Philostr. 2, 557, 32, la chiama

Panatenaide, forse un nomignolo che le era stato dato per essere nata in

coincidenza con l’inaugurazione dello stadio Panatenaico ad Atene edificato dal

padre; ved. Tobin 1997, 86. Questo nome, insieme a quello dei tre τρ/φιµοι

Polluce, Memnonee Achille,documenta, come mette in risalto Graindor 1930, 35,

il gusto classicheggiante di Erode Attico che emerge in ogni aspetto della sua vita.

Per quanto riguarda la data di stesura del distico bisogna postulare che

risalga al 157 d. C. in quanto per la funzione di πα*ςφXστας,cui il testo allude

(ved. infra), venivano scelti ragazzi e ragazze che avessero già compiuto tredici

anni; ved. Thompson 1948, 179.

κορηνυ\4οςπερινυµονερ/φαντις

θ4κεθεα*ςδαιςµστινSθηναδα.

Page 28: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

26

La sacerdotessa offrì alle proprie dee la famosa figlia di suo figlio, Atenaide

come iniziata.

v. 1. κοκοκοκορην υρην υρην υρην υ\4\4\4\4ος περιος περιος περιος περινυµοννυµοννυµοννυµον ερερερερ////φαντιςφαντιςφαντιςφαντις. L’iscrizione nomina una

fanciulla di nome Atenaide, nipote della sacerdotessa dei misteri eleusini

(ερ/φαντις), che compie l’offerta. L’identità della sacerdotessa non viene qui

rivelata, poiché «hierophantidis nomen ex sacrorum ritu tacetur» (Kaibel 1878,

862). Secondo Ameling 1983, II, 141, la sacerdotessa dei misteri è Vibullia Alcia e

il figlio della donna è Erode Attico.

La fanciulla in questione viene qualificata dall’aggettivo περινυµον «far-

famed» (LSJ, s. v.), che non è mai usato in età classica. Per il nesso κορην …

περινυµον cfr. IG II2 4510 fr. a 2 = SEG 28, 225, 2 [B Φλεγα] κορα

περινυµε.

Il sostantivo ερ/φαντις, insieme al maschile εροφντης, indica il

ministro più illustre dei riti eleusini, il quale apparteneva alla nobile discendenza

di Eumolpo, primo organizzatore dei misteri e capostipite della famiglia

sacerdotale dei Cerici tramite il figlio Cerice; sulla discendenza di Erode da

Cerice ved. commento a IG XIV 1389 A, 32-3 = 146 A, 32-3 Ameling. Durante i

riti lo ierofante aveva il compito di mostrare agli iniziati i segni sacri. Per quanto

riguarda le sacerdotesse, la loro prima comparsa è databile intorno al 250 a. C.

grazie a un frammento dello storico Istros FGrHist 334 F 29 ΚαCτ'ν\εροφντην

δ(καCτ9ς\εροφντιδαςκαCτ'νδ]δο3χονκαCτ9ςmλλας\ερεαςµυNνης=χειν

στφανον. Ai culti erano presenti due εροφντιδες, delle quali una era

sacerdotessa di Demetra e l’altra di Core. Quando le iscrizioni distinguono le due

sacerdotesse, il titolo ufficiale per quella di Core è \ερ/φαντιςτ4ςνεωτρας (cfr.

IG II2 3585) mentre non compare mai per esteso quello della sacerdotessa di

Demetra che tuttavia, per analogia, dovrebbe essere \ερ/φαντιςτ4ςπρεσβυτρας;

per un’analisi delle fonti relative alle ierofanti ved. Clinton 1974, 86-8.

v. 2. θεαθεαθεαθεα****ςςςς δδδδαιςαιςαιςαις. Le due dee sono Demetra e Core per le quali la donna

presta il suo servizio religioso.

µµµµστινστινστινστιν. Clinton 1974, 108, sottolinea l’espressione poetica κορην…µστιν

per designare la giovane Atenaide come µυηθε*σα φ Xστας. Questa

Page 29: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

27

interpretazione corroborerebbe il collegamento dell’iscrizione con la figlia di

Erode, in quanto anche per Bradua ed Elpinice sono conservate iscrizioni che

attestano il loro servizio come πα*δες φ Xστας. Si tratta di IG II2 3608 = 91

Ameling Τʖιʖ. Κλ. ππιον [Sτελιον Sττικ'ν] Βραδοαν Κλ. [ρδου το3

ρ]χιερωςκαC [!ηγλληςSππου]jπτουθυʖ[γατρ'ςυ\/ν,υ\'ν] τ4ςTλλ[δος,

µυηθντα φ0 X]στας, in cui Bradua viene definito figlio dell’Ellade, e Clinton

1971, 132, nr. 28 = 134 Ameling Sππ[αν Sνναν Sτειλαν !O]γιλλʖ[αν

Sγριππε*ναν] hλπʖ[ινεκην Sτραν] Π[λλαν ρδου καC !η]γʖ[λλης

θυγατρα], per la quale Clinton avanza l’ipotesi che qui la figlia maggiore di

Erode venga onorata come πα*ςφXστας.

Page 30: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

28

2 = 100 Ameling

Corinth I 3, 69, nr. 49; SEG 13, 226; 22, 216; Corinth VIII 3, 128.

Corinto. Zona del tempio di Tyche.

Sulla base di una statua che raffigurava Regilla.

Precedente al 160-161 d. C.

Ved. Bousquet 1964, 609-13; Oliver 1970, 26; Ameling 1983, II, 120, nr.

100; Tobin 1997, 78; Galli 2002, 98-104.

La pietra, ritrovata il 22 marzo 1935 nell’area occidentale dell’agorà di

Corinto in prossimità del tempio di Tyche, presenta un epigramma in quattro distici

elegiaci. Il testo rende pubblica la decisione della bulé di Corinto di dedicare una

statua di Regilla, venerata come Tyche della città, fatta scolpire da Erode Attico.

Si tratta di un atto di evergetismo nei confronti di Corinto da parte del ricco

ateniese, alla cui figura l’epigramma conferisce particolare rilievo ai vv. 2-4.

Riguardo all’autore del testo, non ci sono elementi decisivi che permettano di

dimostrare l’attribuzione dell’epigramma a Erode Attico. Galli 2002, 98, afferma

tuttavia che «der offizielle Charakter der Inschrift erhält eine individuelle Note, die

auf den Stifter rückverweist».

Il componimento deve essere datato tra il 143 e il 160-161 d. C. perché

l’epigramma presenta al v. 5 Erode Attico come marito di Regilla; inoltre il fatto

che esso non alluda alla morte della donna fa pensare che la statua sia stata eretta

quando Regilla era ancora in vita. La pietra risale invece alla seconda metà del III

sec. d. C., perché, come annota Kent 1966, 59, «it is impossible to assign such

decadent lettering to so early time. The lunate sigma, uncial omega, and the clumsy

shapes of rho and other letters indicate that the text was engraved at least a century

after Regilla’s death. Nor it is easy to imagine that the Herodes would have

tolerated such a slipshod memorial to his beloved wife». Si tratta dunque di una

copia dell’epigrafe originale andata distrutta e ricopiata da un lapicida non

specializzato e non colto.

Page 31: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

29

La superficie si è preservata quasi per intero ad eccezione del lato sinistro

rovinato.

[!ηγλλαςτ]/δ0mγαλµα.φυ$νδ0)χραξετεχνετης

[σ]ωφροσνην)ςλθονραµνην.

[Sττικ]'ςρδηςµγαςπασεν,=ξοχοςmλλων

[παντ]οʖηςρετ4ςεςmκρονε\κ/µενος,

[iπ]/ʖσινTλλOνων=λαχενπερβωτονxπντων 5

[α]σʖονʖαδ0αEτεπ<>ιν,mνθοςSχαιιδος.

[!ηγλ]λʖαʖ,-βουλOσεΤχηνUςε\λσκουσα

[εκ/ναπ]ρ<'ς> τεµνιστOσατολαινην.

2 [π;σαν σ] Linforth, probb. Scranton, Kent, [κλενην σ] Meritt, [γλπτων σ] Kent, [α,τ4ς σ]

Ameling e.g. 5 [i π] Ameling, [ν π] Scranton, probb. alii 6 [α]σʖονʖα Robert-Robert,

[κρσ]σʖονʖαScranton ΠΛΙΝlapis, πϊν Bousquet mνθος Scranton et alii, mνθος= νθπατος

lapis 8 [εκ/να π]ρ<'ς> Kent, [εκ/να π]ρw = lat. “pro” Scranton, [εν λαµπ]ρ2 Bousquet,

prob. Robert, [εν \ε]ρ2 Oliver, )νκαθα?]ρ2Ameling.

Questa è la statua di Regilla. Un’artista ne scolpì la figura, che riproduce

nella pietra la … temperanza. Erode Attico, superiore a tutti, la fece realizzare,

raggiungendo il punto più alto d’ogni sorta di virtù. Ella (che) ebbe in sorte uno

sposo famoso tra tutti i Greci, per di più figlio d’Ausonia, fiore d’Acaia. O Regilla,

il consiglio collocò la tua immagine di pietra presso il recinto sacro, onorandoti

come Tyche.

v.1.[v.1.[v.1.[v.1.[!!!!ηγηγηγηγλλαςτ]λλαςτ]λλαςτ]λλαςτ]////δδδδ0m0m0m0mγαλµαγαλµαγαλµαγαλµα. Kent 1966, 59, stabilisce che il numero esatto

di lettere perdute a inizio di ogni verso è recuperabile grazie alla ovvia

integrazione del verso 3 [Sττικ]/ς. La lacuna del primo verso è facilmente

colmabile, perché l’incipit τ/δ0mγαλµα,preceduto dal nome di una divinità o di

una persona, è tipico degli epigrammi che tramandano la dedica di statue; cfr.

Anacr. A. P. 6, 144, 1 Στροβου πα*, τ/δ0 mγαλµα,Λεκρατες, εEτ0 νθηκας;

Sim. A. P. 13, 19, 1 νθηκεν τ/δ0 mγαλµα Κορνθιος Rσπερ )νκα; 16, 24, 1

Μλωνοςτ/δ0mγαλµακαλο3καλ/ν; Call. A. P. 6, 347, 1 ρτεµι,τCντ/δ0mγαλµα

Page 32: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

30

ΦιληρατCςεrσατοτoδε; IDelos 17, 1 Sʖρτʖµιδοςτ/δ0mγαλµ[α]·νθεκενδµ0

Ε[]πολις α,τo; Mil. 445, 1 τ4σδε θε;ς τ/δε mγαλʖ[µα — νθηκε]; 449, 2

συχουτ/δ0mγαλµα.

φυφυφυφυ$$$$ν δν δν δν δ0 )0 )0 )0 )χχχχραξε τεχνεραξε τεχνεραξε τεχνεραξε τεχνετης.της.της.της. Il nesso φυ$ν )χραξε è attestato soltanto in

questo epigramma. Il sostantivo φυO viene spiegato da Hesych. φ956, 1, come

φσις σµατος, -λικα; 958, 1, φυ4ς· φσεως. καC - το3 σµατος jπ/στασις.

Eust. Comm. ad. Il. 1, 265, 10-1, afferma cheφυOviene impiegato da Omero tanto

per le qualità corporali quanto per quelle morali di una persona: φυOν τινες

νενοOκασι τ' )ξ εgδους τε καC ψυχ4ς γαθ/ν, φσις jπ0 mλλων καC Iθος

λγεται. In questo epigramma φυOindica la grazia di Regilla che scaturisce dalla

compresenza di bellezza interiore ed esteriore.

La grafia τεχνετης al posto di τεχντης«artificer» (LSJ, s. v.) è ben attestata

nelle epigrafi del II sec. d. C., come, p. es., in IG II2 1105 e SEG 30, 86.

v. 2.[σ]ωφροσσ]ωφροσσ]ωφροσσ]ωφροσνηννηννηννην))))ςλςλςλςλθονθονθονθονραµραµραµραµνηννηννηννην.Il sostantivo σωφροσνη descrive

la principale virtù delle donne nelle iscrizioni greche, «often the only mentioned,

or the only moral virtue amid a list of physical qualities, social attributes, and

domestic accomplishments» (North 1966, 252); ved. anche Robert 1965, 39. Le

qualità morali di Regilla sono presentate da Marcello in IG XIV 1389 A 10 = 146,

10 Ameling το3το γ9ρ ντ0 γαθο*ο ν/ου εgληχεν mποινον, come il motivo

dell’onore concessole di dimorare nelle isole dei beati dopo la morte; cfr.

commento ad loc.

Per quanto concerne la lacuna iniziale, è difficile stabilire quale parola

preceda il sostantivo σωφροσνη. Gli studiosi che si sono confrontati con questo

testo, hanno avanzato diverse soluzioni. Meritt propone di integrare il verso con

κλεινOν σ. L’aggettivo κλειν/ς significa «famous, renowned» (LSJ, s. v.) ed è

attestato in poesia tanto come epiteto di città, quali Agrigento (Pind. O. 3, 2),

Siracusa (Pind. O. 6, 6 ed Epich. fr. 231 Kassel-Austin) ed Atene (Pind. fr. 76

Maehler, Aesch. Pers. 474, Eur. Ph. 1758) quanto come qualifica di persone; cfr.

Pind. P. 1, 31, Hdt. 7, 228, Aesch. Pr. 834, Soph. Ph. 575, OT. 8. Il nesso κλενη

σωφροσνηè presente in un epigramma di Crates Theb. A. P. 10, 104, Χα*ρε,θε9

δσποινα,σοφννδρνγπηµα,/Ε,τελη,κλειν4ς=γγονεΣωφροσνης·/σ$ν

Page 33: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

31

ρετ$ντιµσιν,Rσοιτ9δκαι0σκο3σιν,in cui la Semplicità viene salutata come

figlia della gloriosa Temperanza.

Scranton 1951, 69 e Kent 1966, 128, accolgono invece l’integrazione di

Linforth π;σανσ. Kent 1966, 128, pensa anche alla possibilità di integrare il v. 2

con γλπτων σ, genitivo plurale del sostantivo γλπτος che designa lo scultore;

tuttavia «the spacing strongly favors the shorter word» (Kent 1966, 128). Invece

Ameling 1983, II, 120, rifiuta le proposte degli epigrafisti precedenti e integra il

testo e.g. con α,τ4ς; il nesso α,τ4ςσωφροσνηè attestato in testi epigrafici che,

sotto forma di decreti della bulé e del popolo, elogiano e ricordano la σωφροσνη

di donne, come in ISide 121 A (a.) 5ν$ρα,τ4ςσωφροσνηςτεκαCσεµν/τητος

χριν. Cfr. ancheIMT Kyz. Kapu Dag 1435, 5-6 (55-6)διτετ$ντνγονωνκαC

τ$ντο3νδρ'ςρετ$νκαCτ$νδανα,τ4ςσωφροσνην eIEph. 1200, 10-12δι

τετ$ν δανα,τ4ςσωφροσνηνκαCδι9τ$ντο3νδρ'ςα,τ4ςρακλεδουπρ'ς

τ'νδ4µονενοιαν, dove però il contesto è diverso poiché il sostantivo σωφροσνη

è accompagnato in tutti e due i casi dall’aggettivo gδιος.

Per il participio ραµνηνaoristodiαgρω in clausola di elegiaco cfr. App.

Anth. 2, 621, 11 ρεµηνκοτης)ςτλοςραµνη.Kent 1966, 59, traduce il v. 2

«which has translated all her prudent moderation into stone» e Ameling 1983, II,

120 «im Stein beschwor er ihre edle Gesinnung».

v. 3. [[[[SSSSττικ]ττικ]ττικ]ττικ]''''ςςςς ρρρρδης µδης µδης µδης µγαςγαςγαςγας ππππασενασενασενασεν ====ξοχοςξοχοςξοχοςξοχος mmmmλλων.λλων.λλων.λλων. Per l’integrazione

iniziale ved. supra. Il secondo esametro chiarisce che Erode Attico è il promotore

della realizzazione della statua della moglie. A lui è riferito l’aggettivo µγας.

L’uso di riferire µγας a un nome proprio, senza offrire tuttavia alcuna

informazione aggiuntiva sul suo carattere, è già tipico della poesia omerica e si

riscontra in tutta quanta la produzione poetica greca; a riguardo ved. Bissinger

1966, II, 15-6. Il secondo aggettivo =ξοχος«standing out (from), then excellent»

(Beck 1984, s. v.) rivendica ad Erode una superiorità che lo contraddistingue dagli

altri uomini. Il nesso =ξοχος mλλων ha come modello l’espressione omerica

=ξοχονmλλων attestata in clausola di esametro; cfr. Il. 6, 194; 9, 631, 641; 13, 499;

17, 358; 20, 184; Od. 5, 118; 6, 158; 19, 247; H. Hom. Pan 28; Hes. fr. 25, 32;

229, 12 Merkelbach–West. Cfr. anche IGUR III 1316, 4 =ντ0α,το*ςjπτοιςκλος

Page 34: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

32

=λλαβες =ξοχονmλλων e IPergamon 2, 576 A, 6 τ/σσον τνmλλων =ξοχ/ς )στι

Γλκων.

v. 4. [[[[παντπαντπαντπαντ]]]]οʖοʖοʖοʖηςηςηςηςρετρετρετρετ4444ςεςεςεςεςςςςmmmmκρονεκρονεκρονεκρονε\\\\κκκκ////µενος.µενος.µενος.µενος.Il verso è un encomio di Erode

Attico, il quale viene descritto come colui che ha raggiunto l’apice di ogni virtù.

Il sintagma παντοηρετ4è già attestato in Omero in apertura di esametro in

Il. 15, 642; 22, 268; Od. 4, 725, 815; 18, 205. Cfr. anche Theogn. v. 624 West2

παντο*αι δ0 ρεταC καC βι/του παλµαι; Sim. fr. 10, 2 West2 παντοης ρετ4ς

gδριες)νπολµωιed Eur. Med. 845 παντοαςρετ;ςξυνεργος.

Il participio ε\κ/µενος corrisponde a \κ/µενος; ved. commento a τεχνετης

del v. 1. Per l’espressione ες mκρον ε\κ/µενος cfr. Hes. Op. 291 )π$νδ0εςmκρον

rκηται; Tyrt. fr. 9, 43 Gentili-Prato τατηςν3ντιςν$ρρετ4ςεςmκρον/\κσθαι;

Sim. fr. 74, 7 Page rκpτ0)ςmκροννδρεας e Opp. C. 4, 364-5 )π$νδ0εςmκρον

rκωνται / ε,πλανοςστιβης. Il nesso εςmκρονpiù il part. (φ)ικ/µενοςè della

prosa tardo-antica e poi bizantina; cfr., ad es., Max. Tyr. Dial. 40, 4 a; Eun. VS 4,

1, 4; 10, 6, 2; Constantinus Manasses Brev. Chron. 2595.

v. 5.[[[[iiiiππππ]]]]/ʖ/ʖ/ʖ/ʖσινσινσινσινTTTTλλλλλλλλOOOOνωννωννωννων====λλλλαχενπεραχενπεραχενπεραχενπερβωτονβωτονβωτονβωτονxxxxππππντωνντωνντωνντων.L’integrazione iniziale

[iπ]/ʖσινè una proposta di Ameling, il quale respinge νπ]di Scranton perché «[i

π]füllt den nach dem vorhandenen Platz eher alsνπ]»(Ameling, 1983, II, 120).

Il relativo femminile i rende esplicito che soggetto di =λαχεν è Regilla, cui viene

attribuita la grande fortuna di aver ricevuto in sorte come sposo Erode, famoso tra

tutti i Greci. L’aggettivo περβωτος è variante poetica di περιβ/ητος e trova

numerosi riscontri in testi epigrafici, come, p. es., in IG II2 3669 φOµη µ(ν

περβωτοςν0Tλλδα,τ$ννεανθOςαeνος∆εξππ7δκεν)φ0\στορp;IG V 1,

730, 11 γουν'ςπερβωτοςSµκλης,σοCδ(Λυκαονη=νδιον¡Πιτνη; SEG 34,

276, 1 αα* τ'ν περβω[τον )ν Tλλδι mνδρα σοφιστOν] τ'ν πντεσσι βʖ[βλοις

γνωτ'ν )/ντα βροτο*ς]; Magn. Caria 323, 1 Ε,τρ/πιος ζαθησι δικ[α]σπολαις

περβωτος ΜαγνOτων πτρη[ς]. L’aggettivo ha il significato di «noised abroad,

much talked of, famous» (LSJ, s. v). Hesych.π1592, 1, registra che περιβ/ητος

può designare tanto una fama positiva quanto una negativa.

v. 6. [ [ [ [αααα]]]]σʖονʖσʖονʖσʖονʖσʖονʖα δα δα δα δ0000 ααααEEEEτε π<τε π<τε π<τε π<>>>>ϊν,ϊν,ϊν,ϊν, mmmmνθοςνθοςνθοςνθος SSSSχαιιχαιιχαιιχαιιδοςδοςδοςδος. Scranton 1951, 69,

propone di integrare la lacuna mediante il comparativo [κρσ]σʖονʖα con

approvazione di Kent 1966, 59, il quale afferma che «the restoration [κρσ]σʖονʖα

Page 35: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

33

(=[κρεσ]), seems clearly superior to [γλσ]σʖονʖα “sweeter” or [βρσσ]σʖονʖα

“shorter,” as well as to other comparatives whose restoration would call for only

three letters (e. g. βσσων, θσσων, µσσων, Nσσων)». Invece [α]σʖονʖα è

integrazione di Robert-Robert 1966, 371, accolta poi da Oliver 1970, 26 e Ameling

1983, II, 101. Quest’ultimo è convinto del fatto che la lacuna del v. 6 debba essere

colmata solo da due lettere. «Für Roberts Ergänzung spricht noch, dass ähnliche

Ausdrücke wie „Blüte Achaias“ oft mit römischen Epitheta kontrastieren»

(Ameling 1983, II, 121). A sostegno di questa affermazione Ameling rinvia a

Robert 1948, 24, il quale cita l’epigramma che gli abitanti di Tespi fecero

comporre per il proconsole d’Achaia Pretestato, ρχεγ/νου γαης Ελλδος

νθπατος, / τε*χος Sχαιϊδος, !µης στφος, αrµατος ε8χος (ved. a riguardo

Plassart 1926, 444-6, nr. 84) e Robert 1948, 64 = SEG 11, 773, 2, per un

epigramma ritrovato a Sparta, in cui il proconsole d’Achaia Anatolio viene onorato

per avere risollevato la città dalle sue rovine dopo il terremoto del 375 d. C.

attraverso un epiteto che ne ricorda la provenienza da Roma, νθπατον!µης

mνθος)ϋκτιµνης.

Mediante il nesso ασονα… πϊν il v. 6 sottolinea quindi che Erode godeva

anche della cittadinanza romana, già evidente dal suo gentilizio Claudio.

Quest’onore speciale era stato conferito al padre Attico, come testimonia Corinth

VIII 2, 58 = 34 Ameling Ti(berio) Claudio Ti(berii) Claudi Hipparchi f(ilio)

Quir(ina tribu) Attico proetoriis ornament(iis) ornato ex s(enato) c(onsulto)

l(aetus) l(ibens) v(otum) s(olvit). Dean 1919, 174, data l’iscrizione al I secolo d. C.

sulla base della forma delle lettere.

π<π<π<π<>>>>ϊν.ϊν.ϊν.ϊν. La lettura di πϊν al posto del tradito ΠΛΙΝ è merito di Bousquet

1964, 611, il quale ritiene di potervi leggere una dieresi come anche sulle parole

Sχαιϊδος e λαϊνην, dove, a suo giudizio, è ancora più chiara. Bousquet

evidenzia che la lettura πλιν= πλOν nell’accezione di Y, come in Eur. Heracl. 231

τα3τ )στC κρεσσω πλOν jπ Sργειοις πεσε*ν, presenterebbe grosse difficoltà di

interpretazione, perché il verso assumerebbe il significato di «en outre supérieur à

la fleur de l’Achaïe» (trad. Bousquet) e apparirebbe un’inutile ripetizione dopo il v.

5, dove Erode Attico è celebrato come il più illustre di tutti i Greci. L’uso di πιν

per πα*δα è attestato in poesia a partire dall’età ellenistica; cfr. Ap. Rh. 1, 276

Page 36: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

34

(πιν Rzach, πα*δlibri); 4, 697; Opp. C. 3, 218; Greg. Naz. A. P. 8, 51, 1; Carm.

Dog. 404, 5; 504; 11; Carm. Mor. 524, 2; A. P. 3, 8, 2; 9, 125, 3 e 6. «Mit der

Ergänzung von Robert in Z. 6 entfällt für diese Inschrift die von Bousquet 611

angestrengte Diskussion um H. als υ\'ςτ4ςλλδος» (Ameling 1983, II, 121).

v. 7.[[[[!!!!ηγηγηγηγλλλλ]]]]λʖλʖλʖλʖαʖαʖαʖαʖ,,,,----βουλβουλβουλβουλOOOOσεσεσεσεΤΤΤΤχηνχηνχηνχηνUUUUςςςςεεεε\\\\λλλλσκουσασκουσασκουσασκουσα.L’integrazione[!ηγλ]λʖαʖ

è accolta all’unanimità da tutti gli studiosi. «The Corinthian boule, by way of

rather farfetched flattery, compares Regilla to Tyche by setting up the statue in the

vicinity of Tyche’s sanctuary» (Kent 1966, 59). Per la grafia di ε\λσκουσα =

\λσκουσαved. annotazione al v. 1 e 4.

Già ad Atene Regilla era stata venerata dai commercianti come Tyche della

città, «a cult which Herodes established in the 140’s, an office she probably held

for life» (Tobin 1997, 77); cfr. IG II2 3607 = 90 Ameling Sππαν Sτειλαν

!Oγιλλαν,Κλ.ρδου το3ρχιερωςγυνα*κα, \ερασαµνηνπρτηντ4ςΤχης

τ4ς π/λεως, κατ9 τ' )περτηµα τν κρατστων Sρεοπαγειτν ο\ )ν Πειρα*

πραγµατευταC ο\ περC Βα(λριον) Sγαθ/ποδα Με(λιτα). Bousquet 1964, 612,

identifica la statua di cui parla questo epigramma con quella ritrovata nel 1902

durante gli scavi nella Stoà di Corinto, di cui restano solo le gambe e la

rappresentazione di una ruota. Edwards 1990, 537, sostiene l’identificazione della

Tyche di Corinto con la dea Nemesi e aggiunge che Regilla «was represented in

the guise of the Nemesis of Rhamnous, since both she and her husband were

special devotees of that cult». A favore di questa tesi lo studioso cita la ruota come

strumento di punizione della dea Nemesi presente sia nel poemetto di Marcello IG

XIV 1389 B 93 = 146 B, 93 Ameling (ved. commento ad loc.), sia in Mesom.

Nem. 7-8 Heitsch. Ved. anche Johnson 1931, 12-3 e Galli 2002, 101.

v. 8. [[[[εεεεκκκκ////νανανανα ππππ]]]]ρρρρ<<<<''''ςςςς>>>> τεµτεµτεµτεµνινινινι στστστστOOOOσατοσατοσατοσατο λαινλαινλαινλαινηνηνηνην. All’inizio del verso 8 si

legge sulla pietra ρωτεµενι.Scranton 1951, 69, accoglie l’integrazione di Meritt

πρw τεµνι «“in front of the sanctuary”, with πρ = Lat. pro, assuming that the

poet was writing in Greek but thinking in Latin». Egli poi cerca anche di integrare

la lacuna iniziale del verso proponendo il sostantivo εκ/να, con cui concorda

l’aggettivo λαινην. Il nesso εκwνλαινηè attestato in iscrizioni come, p. es., IG

II2 4223, 6; IG V 1, 456, 1; IG VII 94, 2; 96, 4; IG XII 5, 328, 5; SEG 13, 277, 20;

30, 143, 7; Corinth VIII 1, 88, 8; ved. commento a Corinth VIII 3, 129 = 101

Page 37: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

35

Ameling. L’integrazione di Meritt viene invece scartata da Bousquet 1964, 610:

«le latin pro dans [π]ρwτεµνι est bien étonnant, et il est facile de proposer à la

place [)ν λαµπ]ρ2 τεµνι». Questa proposta di Bousquet incontra anche

l’approvazione di Robert 1966, 369 e Oliver 1970, 26, il quale considera anche la

possibilità di integrare con [εν\ε]ρ2. Invece Κent 1966, 59, difende l’integrazione

di Scranton εκ/να e vede in πρun errore per il corretto π]ρ<'ς>da attribuire a

suo giudizio non al poeta che sta cercando di riprodurre la dizione omerica (p. es.

l’aoristo στOσατο), ma al lapicida «who has carved omega in place of omicron

sigma» (Kent 1966, 59). Invece Ameling 1983, II, 120, integra la lacuna e.g. con

)νκαθα?]ρ2.

Page 38: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

36

3 = 101 Ameling

Corinth VIII 3,129; inv. 1752 + 2264.

Corinto. Presso la Stoa meridionale.

Su un blocco di pietra.

Precedente al 160-161 d. C.

Ved. Kent 1966, 60; Robert 1966, 742-3; Ameling 1983, II, 121, nr. 101;

Tobin 1997, 72; Galli 2002, 102-4.

L’iscrizione fu ritrovata nel maggio 1936 nell’area centrale della Stoà

meridionale a Corinto. La pietra che, come osserva Kent 1966, 60, presenta i segni

di una rasura, contiene gli ultimi tre versi di un componimento in distici elegiaci, di

cui i primi sono andati perduti poiché «der Text begann vermutlich auf einem

darüberliegenden Block» (Ameling 1983, II, 121).

[——————————————————]

νθυπτουψOφ7καC[˘˘˘]σιουν

Μυσανθερποντος)ν¤µ[ηττ2˘˘]

εκ/ναλαϊνηνστOσατοπ[ρ'ςτεµνι]

2 π/λεως?Ameling e.g. 3 )ν¤µ[ηττ2µελιηδε*] Kent, )νjµ[νο*ς Robert 4 π[ρ'ς

τεµνι]Kent, π[… Robert.

Per decisione del proconsole e … pose presso il recinto sull’Imetto (?) …

un’immagine di pietra del ministro delle Muse.

La somiglianza di questo testo con quello precedente convince Kent 1966,

60, a ritenere quest’ultimi versi parte di un’iscrizione contenente una dedica ad

Erode Attico, definito ministro delle Muse (Μυσανθερποντος), su decreto del

proconsole della città di Corinto.

Page 39: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

37

Il testo presenta alcuni problemi nella lettura e nell’integrazione delle lacune:

il primo verso non è più leggibile e la lacuna che precede le lettere finali del

secondo verso (σιουν) non è stata finora integrata. Ameling stampa e.g. π/λεως.

v. 3.ΜυσαΜυσαΜυσαΜυσανθερνθερνθερνθερποντοςποντοςποντοςποντος.L’espressione ministro delle Muse riecheggia la

definizione esiodea del poeta offerta in Es. Th. 99-101α,τ9ροιδ'ς/Μουσων

θερπων κλε*α προτρων νθρπων / jµνOσει µκαρς τε θεοMς οf ¥λυµπον

=χουσιν; cfr. anche H. Hom. Sel. 19-20 οιδοC / Μουσων θερποντες e Ps-

Hom. Margites 1, 1-2 Iλθτις)ςΚολοφναγρωνκαCθε*οςοιδ/ς,/Μουσων

θερπων. L’epressione ministro delle Muse connota, come afferma Galli 2002,

102, uno stile specifico del modo di rappresentarsi nell’età degli Antonini. «Das

Bild des Repräsentationsmodus als “Sophist-Dichter” setzt sich zusammen aus

zahlreichen Belegen vom sophistischen “Diener der Musen” im 2. Jh. n. Chr. […]

Mit der Wahl der Formulierungen markierte der Auftraggeber nicht nur seine

gesellschaftliche Stellung, sondern auch seinen kulturellen Hintergrund und seine

intellektuelle Bildung». A sostegno della sua affermazione lo studioso cita come

esempio SEG 20, 682, 7-8 [τ]α3τα Φλερνος =γραψε ποητ$ς ^δ( σοφισ[τ$ς] /

[ξ]α καC Μουσν, ξα καC Χαρτων, dove un certo Falerno mediante dei

distici rivendica a sè l’immagine di sofista-poeta; su questo tema ved. anche

Bowie 1989a, 1989b e 1990. Galli mette poi in risalto i ritrovamenti archeologici

nell’area del tempio di Tyche a Corinto che evidenziano il ruolo di Erode Attico

come ministro delle Muse. Si tratta di un piccolo gruppo statuario raffigurante

Apollo citaredo e la Musa Melpomene seduta accanto al dio. «Weitere Fragmente

von Musen in gleichen kleinformatigen Dimensionen legen die Vermutung nahe,

dass das Areal des Thycheion einen statuarischen Zyklus von Apollo und den

Musen beherbergte» (Galli 2002, 102).

))))νννν¤¤¤¤µ[ηττµ[ηττµ[ηττµ[ηττ2222˘˘˘˘˘˘˘˘].].].].La parte finale del verso è lacunosa poiché sulla pietra

sono leggibili solo le lettere ΕΝΥΜ. Kent 1966, 60, propone l’integrazione )ν

¤µ[ηττ2 µελιηδε*], leggendovi in questo modo un riferimento al monte Imetto

che si innalza a sud-ovest della città di Atene. L’aggettivo µελιηδOςrichiamerebbe

qui il fatto che il miele profumato dell’Imetto era molto noto nell’antichità; cfr., p.

es., Hor. Carm. 2, 6, 14-5 ubi non Hymetto / mella decedunt. L’integrazione di

Page 40: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

38

Kent tuttavia è troppo lunga rispetto allo spazio da colmare e Robert 1966, 742, è

dell’avviso che al posto di ¤µηττ2 si possa anche proporre l’integrazione Dµνοις.

v. 4.εεεεκκκκ////ναλαϊνναλαϊνναλαϊνναλαϊνηνστηνστηνστηνστOOOOσατοπ[ρσατοπ[ρσατοπ[ρσατοπ[ρ''''ςτεµςτεµςτεµςτεµνι]νι]νι]νι].Il verso finale presenta lo stesso

sintagma di Corinth VIII 3, 128, 8 = 100, 8 Ameling; ved. commento ad loc.

Tuttavia diverso è l’ordo verborum. Kent 1966, 60, propone di integrare la lacuna

finale con π[ρ'ςτεµνι]. In tutti e due gli epigrammi πρ'ςτεµνιdescriverebbe il

luogo presso il quale la statua è stata collocata.

Page 41: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

39

4 = 102 Ameling

IG IV 1599; Gärtringen 1926, nr. 124; Corinth VIII 1, 86.

Corinto. Presso la fonte Pirene.

Sulla base di una statua rappresentante Regilla.

Precedente al 161 d. C.

Ved. Powell 1903, 43-5, nr. 21; Hill 1964, 102-3; Ameling 1983, II, 122, nr.

102; Tobin 1997, 78; Galli 2002, 87-8.

Un’altra statua di Regilla doveva essere stata collocata a Corinto presso la

fonte Pirene. Qui venne ritrovata su una base di marmo bianco un’iscrizione che

contiene un provvedimento della bulé, reso nella forma poetica del distico

elegiaco, con il quale Regilla viene celebrata come immagine di σωφροσνη.

Bousquet 1964, 613, nota che «l’écriture est fort semblable à celle de la base de

Regilla-Tyché». Non ci sono tuttavia elementi determinanti che permettano di

datare con precisione l’iscrizione, che potrebbe essere precedente al 160-161 d. C.

perché i versi conservati non fanno cenno alla morte di Regilla.

Il testo è composto da un solo distico elegiaco ed è importante per la storia

della fonte Pirene perché dimostra che «the so-called “second marble period” is to

be connected with Herodes Atticus» (Meritt 1931, 64). Erode Attico infatti fu

benefattore della città di Corinto come testimonia la realizzazione dell’Odeon e il

ritrovamento nel 1919 dell’iscrizione Corinth VIII 1, 85 = 194 Ameling ρδης

)νθδε περιεπτει, databile al II sec. d. C., con la quale gli abitanti della città

esprimevano al loro benefattore la propria riconoscenza; ved. Stevens 1934,

Neugebauer 1934, 105 e Ameling 1983, II, 122.

La base della statua era stata adoperata in precedenza per qualche altro scopo

e poi successivamente capovolta per accogliere la presente iscrizione. Meritt 1931,

64, evidenzia la presenza di disegni di strumenti musicali sul lato opposto.

Page 42: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

40

[ν]εµατιΣισυφηςβουλ4ςπαρ9χεµατιπηγν

!ηγλλανµ0)σορ5ς,εκ/νασωφροσνης

ψ(ηφσµατι) β(ουλ4ς)

Su permesso della bulé di Sisifo, presso la corrente delle sorgenti vedi me,

Regilla, immagine di temperanza. Per decreto della bulé.

v. 1.[ν]ε[ν]ε[ν]ε[ν]εµατιΣισυφµατιΣισυφµατιΣισυφµατιΣισυφηςβουληςβουληςβουληςβουλ4444ςςςς.La città di Corinto è designata mediante il

suo mitico fondatore Sisifo; sulla sua figura ved. Münzer 1927, 371-6. «The

poetical use of Σισφιοςto Corinthian things is matched by examples in Anthol.

VII, 745 and IX, 151, Paus. V, 2, 5, and Theoc. Id. XXII, 158» (Powell 1903, 44).

La grafia Σισυφα invece di Σισυφεα è attestata in un epigramma citato da Paus.

5, 2, 5 Σισυφαν δ( µολε*ν χθ/ν0 )κλυεν νρα νεκη / µφC Μολιονιδ;ν

ο,λοµν7θαντ7e in uno di Antip. Thess. A. P. 7, 81, 2 φτιδ(Σισυφαχθwν

Περανδρον=χειν.

La fonte Pirene, presso la quale era stata collocata la statua di Regilla, era

vicina al Σισφειον, forse originariamente un heroon, citato da Str. 8, 379jπ'δ(

τo ΠειρOνp τ' Σισφει/ν )στιν, \ερο3 τινος < βασιλεου λευκν λθων

πεποιηµνου διασζον )ρεπια ο,κ dλγα, e la sua nascita è messa in stretto

collegamento con la figura di Sisifo. Egli se la fece donare dal dio Asopo per

avergli comunicato che Zeus aveva rapito sua figlia Egina; cfr. Paus. 2, 5, 1 e

schol. in Eur. Med. 69.Sulla fonte Pirene ved. De Waele 1937, 108-13.

παρπαρπαρπαρ9999χεχεχεχεµατιπηγµατιπηγµατιπηγµατιπηγν:ν:ν:ν: Il presente sintagma è un indizio, secondo Hill 1964,

103, del fatto che la statua di Regilla era posta presso una fontana. Gärtringen

1926, 53, segnala la scelta dei due termini νεµατι… χεµατι, definendola tipica

dello stile di Erode; ved. anche commento a SEG 26, 290, 5 = 140, 5 Ameling.

v. 2. !!!!ηγηγηγηγλλαν µλλαν µλλαν µλλαν µ0 )0 )0 )0 )σορσορσορσορ5555ς, ες, ες, ες, εκκκκ////να σωφροσνα σωφροσνα σωφροσνα σωφροσνηςνηςνηςνης. L’epigramma dà voce a

Regilla che esplicita la sua identità e stabilisce un diretto contatto con il lettore del

testo, presentandosi come immagine di temperanza. Il nesso εκ/νασωφροσνης

compare anche nell’iscrizione funebre MAMA 7, 258, 5. Per σωφροσνη come

caratteristica femminile menzionata nei testi epigrafici ved. commento a Corinth

VIII 3, 128, 2 = 100, 2 Ameling.

Page 43: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

41

Galli 2002, 87, afferma, riguardo a questo epigramma, che «diese poetische

Verkleidung einer üblichen Ehreninschrift gilt als exemplarisch für den engen

Zusammenhang zwischen sophistischer Rhetorik und klassischer Dichtung. Durch

die öffentliche Aufstellung dieser gelehrten Dedikation drückte der Euerget-

Sophist ein Zeichen seiner Paideia aus».

Page 44: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

42

5 = 146 Ameling

CIG 6280; Kaibel 1878, 1046; App. Anth. III 263-4; IG XIV 1389; IGR I

194; IGUR III 1155.

Descrizione della pietra: Peek 1979, 77.

Roma.

Al terzo miglio della via Appia.

Posteriore alla prima metà del 161 d. C.

Ved. Salmasius 1619; Visconti 1794; Fiorillo 1801; Franzius 1853, 916-26,

nr. 6280; Froehener 1865, 9-24; Wilamowitz 1928, 3-21; Oliver 1970, 34;

Kammerer-Grothaus 1974, 240-5; Pisani Sartorio-Calza 1976, 133-4; Peek 1979,

76-84; Ameling 1983, II, 153-9, nr. 146; Hornum 1993, 238-40, nr. 153; Skenteri

2005, 29-65.

Nel 1607 venne riportata alla luce un’iscrizione di 39 esametri su marmo

pentelico presso la chiesa di San Sebastiano a Roma, al terzo miglio sulla via

Appia, nel territorio appartenuto nel II sec. d. C. a Erode Attico e noto con il nome

di Triopio. Nello stesso luogo, a dieci anni di distanza, fu ritrovata un’altra

iscrizione di 59 versi, la quale reca il nome del suo autore al genitivo

(Μαρκλλου). Dal luogo del loro ritrovamento esse prendono il nome di iscrizioni

triopee. Sebbene si tratti di due testi distinti, tutti i corpora epigrafici pubblicano

le due iscrizioni sotto un medesimo numero, distinguendo rispettivamente il testo

di 59 esametri da quello di 39 con le lettere A e B, poiché esse hanno in comune

la struttura, l’uso del mito come paradigma, il luogo del ritrovamento e

probabilmente l’autore stesso.

Le due iscrizioni vennero acquistate dal Cardinale Scipione Borghese per

ornare la sua villa sul Pincio, e «incastrate in due are di fronte al finto tempietto

dell’Asprucci dedicato ad Annia Regilla, nel 1793» (Pisani Sartorio-Calza 1976,

134). Oggi le iscrizioni sono conservate presso il museo parigino del Louvre. Di

Page 45: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

43

IG XIV 1389 A, 31-46 esiste anche una copia conservata a S. Ambrogio a Milano;

ved. Pisani Sartorio-Calza 1976, 134.

Il primo studio dedicato alle iscrizioni triopee è opera del Salmasius che nel

1619 collegò le due iscrizioni con la figura di Erode Attico, mentre nel 1794

Quinto Ennio Visconti identificò l’autore dell’iscrizione (Μαρκλλου) con

Marcello di Side, vissuto nel II sec. d. C. L’alto valore poetico delle due iscrizioni

venne riconosciuto da Leopardi il quale nel 1816 ne offrì una traduzione poetica

in terzine, preceduta da una prefazione in cui dichiarava: «una e due e tre volte

lessi queste inscrizioni, ed alla terza deliberai di tradurle. Un’andatura Omerica,

un sapor pretto Greco ed Attico v’avea trovato, che m’avean mosso a giudicarle

componimenti classici, ed accontarle tra le reliquie della vera incorrotta poesia

Greca care a me troppo più che l’oro e qual altra cosa di questa fatta si tien

preziosissima» (ap. Flora 1940, 544).

Per quanto riguarda la datazione delle due iscrizioni, poiché IG XIV 1389

A, 20 cita l’imperatore Antonino Pio divinizzato (καCβασιλεMς∆ιCπατρCφυ$ν

καCµ4τιν )οικς) e il v. 56 lascia dedurre che l’imperatore in carica sia Marco

Aurelio (Κασαρος φθµοιο παρ/ψεται vµπνια µOτηρ), la stesura di IG XIV

1389 A deve essere posteriore alla prima metà del 161 d. C. Per quanto riguarda

invece IG XIV 1389B la mancanza di riferimenti alla morte di Regilla potrebbe

rappresentare un indizio per datare il testo prima del 160-161 d. C. Tuttavia non

dovrebbe essere neanche esclusa la possibilità che la stesura di IG XIV 1389B sia

successiva alla morte della donna e che non si faccia cenno a questo avvenimento

in un testo scritto per assicurare al terreno del Triopio la protezione divina e

l’inviolabilità nel tempo.

Attraverso il matrimonio con Regilla, una discendente della famiglia degli

Annii Regoli (143 d. C.), Erode Attico entrò in possesso dei territori romani della

donna situtati sulla via Appia.

Alla morte della moglie Erode Attico dedicò alle divinità dell’oltretomba i

praedia di Regilla (cfr. IG XIV 1390 = 143 Ameling) e conferì loro il nome di

Triopio dal Triopeion di Demetra a Cnido. Il nome Triopio, come sottolinea

Graindor 1930, 98-99, ricorda il re della Tessaglia Triope, la cui punizione per

aver violato il maggese della dea Demetra (cfr. IG XIV 1389, 95-8 = 146

Page 46: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

44

Ameling, 95-8) doveva valere per Erode Attico come ammonimento per chiunque

avesse voluto imitarne l’impresa sacrilega. Lo studioso francese formula la tesi,

accolta poi da Neugebauer 1934, 112 e Tobin 1997, 356, secondo la quale la

scelta del nome Triopio testimonierebbe la familiarità di Erode con il santuario di

Demetra a Cnido durante la sua carica di Corrector delle città libere d’Asia

Minore. Come lì sorgeva un bosco, descritto da Call. Cer., 25-9 con le

caratteristiche proprie di un locus amoenus, dedicato dai Pelasgi alla dea che lo

amava alla stregua di quello presente ad Eleusi (vv. 29-30 θε9 δ0 )πεµανετο

χρ7 / Rσσον hλευσ*νι), così anche nel territorio del Triopio sulla via Appia

prosperava una vegetazione rigogliosa (cfr. infra). Secondo un’altra ipotesi,

sostenuta da Visconti 1794, 56-7 e ripresa da Lugli 1924, 95-6, il nome del

territorio romano di Erode potrebbe essere collegato con un altro Triope, re di

Argo e padre di Pelasgo, che introdusse per primo il culto della dea nella sua città.

«Ecco dunque perché da Erode Attico si credè conveniente il nome di Triopio a

indicare un campo ed un tempio consacrati a Cerere, come Triopio era detto quel

suo sacrario antichissimo in Argo: tanto più che le iscrizioni Farnesine, scritte in

vetusti caratteri attici, mostrano che voleva Erode conciliare a questo sacro luogo

un aspetto di remotissima antichità» (Visconti 1794, 57). Pisani Sartorio-Calza

1976, 138, n. 29, come già aveva fatto Quilici 1968, 333, n. 5, respingono

categoricamente, sulla base del testo delle iscrizioni triopee, la tesi avanzata da

Nibby nel 1848-9 e ripetuta da Tommassetti nel 1910, secondo cui la

denominazione di Triopio deriverebbe dal fatto che i praedia di Regilla si

trovavano ad un trivio.

La possibilità che Erode abbia voluto chiamare questo territorio come il

Triopeion di Cnido richiamerebbe alla mente l’atteggiamento dell’imperatore

Adriano, modello costante dell’attività evergetica di Erode. Questi infatti aveva

chiamato parti della sua villa a Tivoli con il nome di alcune regioni della Grecia;

ved. Clementi 1973, 22, Pisani Sartorio-Calza 1976, 138-41 e Tobin 1997, 356.

L’ imitatio Adriani è evidente anche nella scelta di collocare una statua di Regilla,

onorata come eroina, in un’area sacra sottoposta da Erode a un processo di

arricchimento architettonico, con il fine di accrescerne la sacralità mediante la

realizzazione di uno o più ingressi monumentali, di un tempio per la nuova e

Page 47: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

45

vecchia Demetra, di un campo sepolcrale sacro ad Atena e a Nemesi e di un

edificio con cariatidi, verso il quale, secondo un ipotesi di Graindor 1930, 218,

potrebbero recarsi le donne di Roma invocate ad apertura del poemetto A.

Insieme agli altri edifici sparsi nel verde dei boschi e delle coltivazioni e al

ninfeo detto della ninfa Egeria, il Triopio era diventato un vero e proprio pagus

agricolo ospitale, abitato da servi e coloni, con un agglomerato di edifici rustici da

identificare archeologicamente con i resti presenti sull’estremità della collina tra

la via Appia Pignatelli e la via Militare. Qui Erode aveva fatto costruire la propria

villa patronale trasformando il nucleo architettonico risalente al I sec. d. C.,

portatagli in dote dalla moglie Regilla, «come usavano imperatori e uomini

illustri, in una superba costruzione alle porte della città» (Clementi 1973, 25).

Della villa di Erode restano tracce archeologiche sotto il palazzo di Massenzio, il

quale, secondo la tesi sostenuta da Lanciani, «deve essersi impossessato della villa

di Erode Attico e Annia Regilla, già cadente in rovina, risarcendola come

appendice al suo circo ed all’eròo di suo figlio» (ap. Pisani Santorio-Calza 1976,

8).

Il Triopio, situato lungo la via romana più antica, è quindi la zona del

territorio romano che più di ogni altra beneficiò della munificenza di Erode

Attico, altrimenti riservata alla Grecia, soprattutto ad Atene. Egli era convinto che

la sua fama sarebbe sopravvissuta nei secoli solo se l’avesse affidata ai

monumenti e non alle parole, come ricorda Filostrato (V. S. 2, 552) a proposito

della sua volontà di tagliare l’Istmo di Corinto.

Le iscrizioni triopee hanno offerto la possibilità agli archeologi di

raccogliere una serie di informazioni utili sugli edifici e sulla vegetazione del

Triopio al tempo di Erode Attico. Attraverso i termini poetici viene infatti alla

luce che i terreni del Triopio erano ricchi di coltivazioni di grano, di vigneti, di

oliveti e di prati verdi. Qui dovevano essere impiegati diversi contadini per la

coltivazione delle terre, cui il poeta rivolge al v. 79 l’ammonimento a non

rimuovere nulla dal territorio del Triopio. Oltre al santuario, dove si recano le

donne di Roma, apostrofate nei primi versi, per compiere dei sacrifici in onore di

Regilla, il testo informa della presenza di un tempio per le due Demetre (vv. 5-8)

trasformato nel IX-X sec. nella chiesa di S. Urbano, dove era stata collocata una

Page 48: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

46

statua di Regilla, oggi andata perduta, e di un heroon della donna; ved. Tobin

1997, 357. Quest’ultimo permette di escludere la vecchia identificazione del

tempio del dio Redicolo con la tomba di Regilla, la quale invece si trova ad Atene;

per questa informazione sul sepolcro di Regilla cfr. v. 46 e IG XIV 1392 = 145

Ameling. Il terreno del Triopio, circondato da un muro, era stato consacrato da

Erode ad Atena e a Nemesi di Ramnunte come campo sepolcrale, per garantirne

l’inviolabilità: qui infatti era vietata la sepoltura a chiunque non fosse un

discendente di Erode; cfr. vv. 71-4.

A

Μαρκλλου.

δε3ρ0gτε,Θυβριδες,νη'νποτCτ/νδε,γυνα*κες,

!ηγλλης¨δοςµφCθυοσκ/α\ρ9φρουσαι.

iδ(πολυκτενωνµ(ν=ην)ξΑνεαδων,

Sγχσεωκλυτ'ναKµακαC|δαηςSφροδτης,

γOµατοδ0)ςΜαραθνα·θεαCδµινο,ρανιναι 5

τουσιν,∆ητενη∆ητεπαλαιO.

τoσπερ\ερ'νεeδος)υζνοιογυναικ'ς

γκε*ται·α,τ$δ(µεθ0-ρsνpσιννασται

)νµακρωννOσοισιν,rναΚρ/νος)νβασιλεει.

το3τογ9ρντ0γαθο*ον/ουεgληχενmποινον, 10

Uςο\ΖεMςkκτειρενdδυρ/µενονπαρακοτην

γOρ])νζαλ7χOρpπερικεµενονε,νo,

οDνεκο\πα*δαςµ(νµµονος)κµεγροιο

ªρπυιαιΚλωθεςνηρεψαντοµλαιναι

-µισαςπλε/νων·δοιwδ0=τιπα*δελιπσθην 15

νηπιαχ,γντεκακν,=τιπµπανπστω

οrηνσφινηλ$ςκατ9µητραπ/τµος=µαρψε

πρνπεργηραιoσιµιγOµεναι^λακτpσι.

τ2δ(ΖεMς)πηρονdδυροµν7κ/ρητον

καCβασιλεMς∆ιCπατρCφυ$νκαCµ4τιν)οικς, 20

ΖεMςµ(ν)ςqκεαν'νθαλερ$ν=στειλεγυνα*κ[α]

Page 49: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

47

αρpσιΖεφροιοκοµζεµεν^λυσpσιν.

α,τ9ρστερ/ενταπερCσφυρ9παιδCπδιλα

δκεν=χειν,τ9λγουσικαCTρµαναφορ4ναι,

IµοςRτ0Ανεανπολµου)ξ4γενSχαιν 25

νκταδι9δνοφερOν·δο\περCποσσCσαωτ$ρ

παµφαν/ων)νκειτοσελ[Oνη]ςκκλο[ςR]µο[ιος]·

τ'νδ(καCΑνεδαιπο[τ0])νερρψαντοπεδλ7

[=µµεναι]Α,σʖοʖνʖ[οιςε],ʖηγενεσσιγραα.

οµινdν/σσηταικαCΚεκροπδηνπερ)/ντα 30

Τυρσηννρχα*ον)πισφριον<γ>ραςνδρν

nρσης)κγεγατακαCTρµω,ε)τε'νδ$

Κ4ρυ<ξ>ρδεωπρ/γονοςΘησηιδαο.

τονεκατειµOειςκαC)πνυµος,Iµ(νmνασσα[ν]

)ςβουλ$νγρεσθαι,rναπρωτ/θρονες¨δραι, 35

Tλλδιδ0οτεγνοςβασιλετεροςοτετιφων$ν

ρδεω·γλσσνδτµινκαλουσινSθηνων.

iδ(καCα,τOπερκαλλσφυροςΑνεινη

καCΓανυµηδεηκαC∆αρδνιονγνοςYην

Τρω'ςhριχθονδαο·σδ0,φλον,\ερ9Nξαι 40

καCθ3σαι·θυωντ9ρο,κκοντοςνγκη,

ε<E>δτοιε,σεβεσσικαC-ρωνλεγζειν.

ο,µ(γγ9ρθνητO,τ9ρο,δ(θαιναττυκται·

τονεκενοτενεwν\ερ'νλχενοτετιτµβον,

ο,δ(γραθνητο*ς,τ9ρο,δ(θεο*σινRµοια. 45

σ4µαµνο\νη2gκελονδOµ7)νSθOνης,

ψυχ$δ(σκ4πτρον!αδαµνθυοςµφιπολεει.

το3τοδ(Φαυστενpκεχαρισµνονtσταιmγαλµαʖ

δOµ7)νCΤρι/πεω,rναο\προςε,ρεςγροC

καCχορ'ς-µερδωνκαC)λαιOεντεςmρουραι. 50

οµ<ι>ντιµOσειεθεO,βασλειαγυναικν,

µφπολονγερων=µεναικαCdπονανµφην·

ο,δ(γ9ρ|φιγνειαν)θρονος|οχαιρα

Page 50: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

48

ο,δ0nρσηνγοργπιςπητµησενSθOνη,

ο,δµιν-ρsνpσιπαλαιoσινµεδουσα 55

Κασαροςφθµοιοπαρ/ψεταιvµπνιαµOτηρ

)ςχορ'ν)ρχοµνηνπροτερων-µιθεων.

iλχεν^λυσpσιχοροστασpσιννσσειν

α,τbτ0Sλκµ<O>νητεµκαιρτεΚαδµεινη.

B

π/τνι0Sθηνων)πιOρανεΤριτογνεια 60

`τ0)πC=ργαβροτνρ]ς!αµνοσιαςΟEπι,

γετονεςγχθυροι!µηςXκατοντοπλοιο,

πεοναδ$καCτ/νδε,θε,τειµOσατεχρον,

δ4µον∆η7ο*οφιλ/ξεινονΤρι/παο,

τ/φρακεκαCΤρι/πειαι)νθαντοιςλγησθονʖ. 65

UςRτεκαC!αµνο3ντακαCε,ρυχ/ρους)ςSθOνας

Yλθετεδµαταπατρ'ς)ριγδοποιολιπο3σαι,

¬ςτOνδεNεσθεπολυστφυλονκατ0λω$ν

λOιτεσταχωνκαCδνδρεαβοτρυ/εντα

λειµνωντεκ/µαςxπαλοτρεφων)φπουσαι. 70

µµιγ9ρρδης\ερ$νν9γα*αν¨ηκε

τ$ν,RσσηνπερCτε*χος)τροχον)στεφνωται,

νδρσινdψιγ/νοισινκινOτηνκαCmσυλον

=µµεναι.iδ0)πο\)ξθαντοιοκαρOνου

σµερδαλονσσασαλ/φονκατνευσενSθOνη. 75

µOτ7νηποιν'νβλονµαν<¨ναλ;αν

dχλσσαι,)πεCο,Μοιρωντρε*<ε>ςνγκαι,

RςκεθενXδ<ε>σσινλιτροσνηνναθOp.

κλ3τεπερικτονεςκαCγετονεςγροιται.

\ερ'ςο8τοςχρος,κνητοιδ(θαιναι 80

καCπολυτµητοικαCjποσχε*νοEας¨τοιµαι·

µηδτις-µερδωνvρχους<)<π>0mλσεαδενδρων

<ποηνχιλ2ε,αλδιχλραθουσαν

Page 51: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

49

δµω$νκυανουιδος[π]Oξειεµκελλαν

σ4µανοντεχων^(πρ/τερονκεραζων. 85

ο,θµιςµφCνκυσσιβαλε*ν\ρ/χθοναβλ<ον>,

πλ$νRκεναrµατος¡σικαC)κγνοςXσσαµνο<ιο>.

κενοιςδ0ο,κθµιστον,)πεCτιµορος¨στωρ.

καCγ9ρSθηναηπερhριχθ/νιονβασιλ4α

νη2)νκατθηκεσυνστιον=µµεναι\ρν. 90

εδτ7mκλυτατα3τακαCο,κ)πιπεσεταια,το*<ς>,

λλ0ποτιµOσ<ε>ι,µOο\νOτιταγνηται.

λλµινπρ/φατοςΝµεσιςκαCN/µβοςλστω<ρ>

τσονται,στυγερ$νδ(κυλινδOσεικακ/τηταʖ·

ο,δ(γ9ρgφθιµονΤρι/πεωµνοςΑολδαο 95

ναθ0,Rτενει'ν∆ηµOτερος)ξαλπαξεν.

τ2Yτοιποιν$νκαC)πωνυµηνλʖασθα<ι>

χρου,µOτοι¨πηται=πιΤρ<ι>/πειοςhρινς.

11 Uς Salmasius, Qς Wilamowitz 16 γντεκακν Wilamowitz, γντεκακν Kaibel 27

σελ[Oνη]ς Peek, σελ[ηναη]ς Salmasius R]µο[ιος] Peek, probb. Ameling, Skenteri, αgγλης]

Salmasius,α,γ4ς]Visconti, probb. Froehner, Kaibel, ε,]ρ[ς] Sirdmond ap. Wilamowitz 28 πεʖρʖ

Peek, πο[τ0]Salmasius 29 [=µµεναι]Α,σʖοʖνʖ[οιςFranzius, prob. Peek, σµβολονΑ,σονοισιν

Salmasius, υ\σιν Α,σωνων Visconti, =µµεναι dψιγ/νοισιν Froehner 30 µιν edd., µ$

Wilamowitz 31 <γ>ραςFroehner, τρας lapis, prob. Peek 33 Κ4ρυ<ξ> edd., ΚΗΡΥX latina

forma X pro graeca Ξ42 ε<E>δτοιKaibel, probb. Peek, Ameling, Skenteri, ΕΙ∆ΕΤΟΙ lapis,

`δτοι Wilamowitz, <δ>ε* δτοιWilhelm 51 ΜΕΝlapis, µ<ι>ν edd. 59Sλκµ<O>νη edd.,

ΑΛΚΜΝΗlapis.

77τρε*<ε>ςedd., ΑΤΡΕΙΣlapis 78 Xδ<ε>σσινedd., Ε∆ΕΣΣΙΝ lapis 82 )<π>0Franzius,

ΕΝlapis, )ςSalmasius 84 [π]Oξειεedd., PΗΞΕΙΕlatina forma P pro graeca Π86 βλ<ον>

edd., ΒΩΛ lapis 87 Xσσαµνο<ιο> edd., ΕΣΣΑΜΕΝ lapis 88 ΕΣΤΩΡ lapis, probb.

Wilamowitz, Ameling, Skenteri, εrστωρ Froehner, prob. Kaibel 91 α,το*<ς> edd., ΑΥΤΟΙ

lapis, prob. Visconti 92 ποτιµOσ<ε>ι Salmasius, ΑΠΟΤΙΜΗΣΙ lapis, ποτιµOσ<o>ι

Visconti, probb. Moretti, Ameling, Skenteri 93 λστω<ρ> edd., ΑΛΑΣΤΩ lapis 97

λʖασθα<ι> edd., ΑΛΕΑΣΘΑ lapis 98 Τρ<ι>/πειοςedd.,ΤΡΟΠΕΙΟΣlapis.

Page 52: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

50

A

Di Marcello.

Venite qui a questo tempio, donne tiberine, a portare offerte sacrificali

intorno alla statua di Regilla. Ella discende dagli Eneidi molto ricchi, inclito

sangue di Anchise e di Afrodite dell’Ida, si sposò tuttavia a Maratona. La

onorano le dee celesti, la nuova Demetra e la vecchia Demetra. A loro è dedicata

l’effigie sacra della donna dalla bella cintura. Ella dimora con le eroine sulle

isole dei beati, dove Cronos regna. Questa ricompensa infatti ha ricevuto in sorte

per il suo buon cuore, poiché Zeus ebbe compassione del marito che si

addolorava per lei giacendo, nella dura vecchiaia, nel letto vedovo, perché a lui

le Moire, nere arpie, strapparono via la metà dei figli. Due figli rimasero ancora

piccoli, inconsapevoli dei mali, ancora del tutto ignari di quale madre la morte

crudele li avesse privati, prima che si occupasse dei fusi della vecchiaia. A lui che

si affliggeva insaziabilmente Zeus e l’imperatore, che è simile a Zeus padre per

natura e per saggezza, diedero una consolazione. Zeus ordinò alle brezze elisie di

Zefiro di trasportare la fiorente donna verso l’oceano. Poi questi concesse al

figlio di portare ai piedi gli splendidi calzari che si dice indossasse Ermes quando

trasse fuori dalla guerra contro gli Achei Enea nel cuore della notte buia. Intorno

ai suoi piedi c’era, salvatore, il cerchio splendente, identico a quello della luna.

Questo incisero anche sul sandalo gli Eneadi, perché fosse segno d’onore per gli

Italici di nobile discendenza. Sebbene (Erode) sia un Cecropide, non gli si

rimprovererà l’antica lunula, segno d’onore degli uomini tirreni, discendente di

Erse ed Ermes, se è vero che Cerice è un antenato di Erode, discendente di Teseo.

Per questo motivo è onorato ed è console eponimo, così da essere ammesso nel

Senato sovrano, dove ha il seggio in prima fila, e in Grecia nessuno è più regale

di Erode per stirpe e per eloquenza; lo chiamano la lingua di Atene. Ella poi

(Regilla), Eneide dalle belle caviglie, era discendente di Ganimede e stirpe

dardanide di Troo, figlio di Erittonio. Tu, se ti è gradito, porta offerte e fa’

sacrifici. Tuttavia non c’è bisogno di sacrifici compiuti contro voglia; è bene

certamente per gli uomini pii avere cura anche degli eroi. Infatti non è mortale

ma neppure dea. Per questo motivo non ebbe un tempio sacro né un monumento

sepolcrale, né offerte come quelle per i mortali ma neppure come quelle per gli

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51

dei. Ella ha una tomba simile a un tempio presso il popolo di Atena, ma la sua

anima si prende cura dello scettro di Radamante. Questa statua, gradita a

Faustina, è stata posta nel borgo del Triopio, dove ella aveva prima campi ben

irrigati, filari di viti e terreni coltivati ad ulivi. La dea, regina delle donne, non la

riterrebbe indegna di essere ancella delle offerte e ninfa servente; infatti né la

Saettatrice dal bel trono disprezzò Ifigenia né Atena dalla sguardo tremendo

Erse, né l’alma madre del valente imperatore, la quale regna tra le antiche

eroine, si mostrerà sdegnosa verso di lei che giunge nel coro delle eroine di un

tempo. Ella che ottenne di dirigere i cori degli Elisi insieme ad Alcmena e alla

beata figlia di Cadmo.

B

O augusta Tritogenia, signora di Atene, e Opi Ramnusia che volgi lo

sguardo sulle opere dei mortali, vicine immediate di Roma dalle cento torri,

onorate, o dee, anche questo luogo fertile, terra ospitale del Triopio caro a

Demetra, finché siete tenute in conto come triopee tra gli immortali. Come

quando giungeste a Ramnunte e ad Atene dalle larghe contrade, dopo aver

lasciato le case del padre altisonante, così accorrete presso questo campo ricco

di vigneti, per prendervi cura dei raccolti di spighe e delle viti cariche di uva e

della vegetazione dei prati rigogliosi. A voi infatti Erode consacrò una terra, così

che essa, quanta ne circonda un muro ben rotondo come una corona, fosse

intoccabile e inviolabile per i posteri. Atena annuì facendo sibilare dalla sua testa

immortale il terribile cimiero. A nessuno sia concesso portare via impunemente

una sola zolla di terra o una sola pietra, poiché sono da temersi le punizioni delle

Moire da parte di colui che commetta un sacrilegio nei confronti delle statue

degli dei. Ascoltate vicini e contadini confinanti: questo luogo è sacro, le divinità

sono inamovibili e molto onorate e pronte a porgere ascolto. Nessuno infigga la

zappa, ancella del nero Ade, nei filari di vite o nei boschi di alberi o nell’erba

verdeggiante della pastura rigogliosa, per costruire una nuova tomba o per

distruggere quella precedente. È vietato per chiunque gettare sui cadaveri il

terreno della terra sacra, a meno che questi non sia del sangue e discendente del

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fondatore. A loro poi è lecito, perché loro soccorritore è il fondatore. Infatti

anche Atena pose il sovrano Erittonio nel tempio perché ne condividesse le

offerte. Se uno non presterà ascolto a questi divieti e non obbedirà loro, ma al

contrario li diprezzerà, non resti impunito. Ma Nemesi terribile e la ruota

vendicatrice lo puniranno, faranno rotolare sfortuna abominevole. Neppure la

forza altera di Triope, discendente di Eolo, fu utile, quando egli devastò il

maggese di Demetra. Per questo evitate la punizione e la denominazione del

luogo perché l’Erinni triopea non vi segua.

IG XIV 1389 A è un lungo epigramma che coniuga insieme elementi propri

del discorso funebre e dell’elogio. L’elogio riguarda non solo Regilla, che viene

celebrata per la sua condizione di eroina dopo la morte, ma anche Erode Attico

stesso, celebrato per i suoi meriti politici e retorici. Il testo presenta sia la

genealogia romana di Regilla e le sue virtù, sia quella greca di Erode e i suoi

meriti; ne scaturisce un confronto tra Regilla ed Erode secondo il modello

plutarcheo delle Vite parallele. Infine IG XIV 1389 A contiene anche un elogio

della famiglia regnante degli Antonini attraverso la figura di Faustina maggiore

deificata, la quale viene presentata come protettrice di Regilla al pari di altre dee

nei confronti di eroine mitiche.

ΜαρκΜαρκΜαρκΜαρκλλουλλουλλουλλου. Il poeta ha posto il suo nome al genitivo per garantire

l’attribuzione del testo alla sua persona. Questo era un sistema comune per

indicare l’autore di un testo nei manoscritti; numerosi esempi vengono offerti

dall’Antologia Palatina e dal Florilegio di Giovanni Stobeo. Skenteri 2005, 34,

ricorda che questo sistema non era particolarmente usato nelle iscrizioni,

soprattutto in quelle di questo periodo e cita esempi di componimenti dove

l’attribuzione del testo al poeta viene garantita mediante il suo nome al

nominativo seguito da un verbo come )ποησεν e =γραψεν; cfr. Powell 1925, 138

= IG II/III 2 4473 Μακε[δ/νιος] )ποη[σεν], Powell 1925, 149 = IDelph 3, 2, 1

[πα]ιʖ9ν δ( καC π[ροσ/]δʖιον ες τ['ν θε'ν )π/]ηʖσε[ν καC προσεκιθρισε]ν

ΛιµOνι[οςΘ]οʖνο[υ]e Powell 1925, 164 Sριστον/[ο]υTστα[ι]. Bowie 1990, 58

cita anche un’elegia di 18 versi, databile al II sec. d. C. (Kaibel 1878, 218 = IG

XII 5, 318), per una giovane donna di nome Socratea, morta di emorragia all’età

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di ventisei anni, durante la nascita del terzo figlio, scritta da un certo Dionisio di

Magnesia che nell’ultimo verso rivendica esplicitamente a sé la stesura del

componimento (∆ιονσιοςΜγνηςποιητ$ς=γραψεν).

A Visconti 1789, 74, si deve l’identificazione di questo poeta con Marcello

di Side «one of the best of the period» (Bowie 1990, 66). Egli è dell’avviso che la

presenza del solo nome, senza l’aggiunta di Sideta, dimostri che non c’erano a

quel tempo altri poeti di nome Marcello, a cui poter ascrivere il poemetto e che

quindi Marcello di Side fosse l’unico ad avere la fama «di colto e fecondo

scrittore di greci versi» (Visconti 1789, 74). A questi quindi Erode avrebbe

commissionato il poemetto per celebrare la memoria di Regilla, cui egli andava

dedicando una statua.

Suda µ 205 Adler tramanda una breve biografia di questo poeta, definito

medico vissuto nel II sec. d. C., autore di un’opera in esametri in quarantadue libri

intitolata ατρικ, la quale includeva anche una sezione sulla licantropia. Sotto il

nome di Marcello di Side restano ancora tre frammenti, per un totale di 101

esametri di un poemetto didascalico intitolato περCχθων(Heitsch 1964, 18)34, e

un epigramma funebre tramandato da A. P. 7, 15835. Qui viene decantato il fatto

che i versi di Marcello di Side incontrarono l’approvazione degli imperatori

Adriano e Antonino Pio, i quali ne collocarono i libri nella biblioteca pubblica sul

Palatino. L’epigramma arrotonda il numero dei libri scritti da Marcello a quaranta,

chiamandoli Χειρνεια, forse un’allusione al titolo completo dell’opera.

Wellmann 1934, 3, sottolinea che Hier. Adv. Iovin., 2, 6, considerava al suo tempo

Marcello di Side ancora un’autorità nell’ambito dell’insegnamento della

medicina.

v. 1. δε δε δε δε3333ρρρρ0 g0 g0 g0 gτε, Θυβριτε, Θυβριτε, Θυβριτε, Θυβριδες, νηδες, νηδες, νηδες, νη''''ν ποτν ποτν ποτν ποτCCCC ττττ////νδε, γυνανδε, γυνανδε, γυνανδε, γυνα****κεςκεςκεςκες. L’apertura del

componimento mediante l’esortazione alle donne di Roma a compiere sacrifici

intorno alla statua di Regilla suggerisce un inno; ved. a proposito Bowie 1989b

201; Bowie 1990, 68. A questo genere fa anche pensare l’incipit sia di IG XIV 34 Sulla natura di questi frammenti ved. KROLL 1930, 1497. 35 Μαρκλλου τ/δε σ4µα περικλυτο3 ητ4ρος, / φωτ'ς κυδστοιο τετιµνου θαντοισιν, / ο8ββλουςνθηκεν )υκτιµνp )νC!µp /Sδριαν/ς,προτρωνπροφερστερος-γεµονOων, / καCπις Sδριανο*ο, µγ0 =ξοχος Sντων*νος, / vφρα καC )σσοµνοισι µετ0 νδρσι κ3δος mροιτο /εrνεκεν ε,επης, τOν ο\ π/ρε Φο*βος Sπ/λλων, / -ρs7 µλψαντι µτρ7 θεραπOια νοσων /ββλοις )ν πινυτα*ς Χειρωνσι τεσσαρκοντα. Su Marcello di Side ved. KROLL 1930, 56, WELLMANN , 1934, BOWIE 1989b, 201-2, BOWIE 1990, 66-70, SPAWFORTH 1996, 922.

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1389 B = 146 B Ameling, per la dedica del Triopio ad Atena e a Nemesi, sia di IG

II2 3606 = 190 Ameling, con cui è salutato il ritorno di Erode Attico ad Atene

dopo un lungo periodo di assenza; cfr. infra. Un altro epigramma con

caratteristiche tipiche dell’inno è IPergamon 3, 145, contenente un inno ad

Asclepio composto da Aristide di Smirne [κληθεCς)ννυξντεκαCYµασιπολλ]κι

[πα3σας] / [τειρ/µενον νοσ7 καρφαλ]ʖp κραδην; per questo componimento

ved. Habicht 1969, 144-5, nr. 145. L’incipit con imperativo esortativo è tipico

dell’inno cultuale; cfr. Isyll. 37, 1 Powell Ι(Παι;ναθε'νεσατελαο, Maced.

Paean, 1-2 Powell ∆Oλιονε,φαρτρα[νXκατηβ/λον]εφρονιθυµ2/ε,φηµ[ε*τε,

φροντες, $ , (Παιν,] e Anon., Paean 1-2 Powell ¤µνε*τε)πCσπονδα*ς

Sπ/λλωνοςκυανοπλοκµου /πα*δαΣλευκον,να,τ'ςγενατοχρυ[σ]ολρας.

Per Bowie 1990, 60, le due iscrizioni triopee e IG II2 3606 potrebbero valere come

documenti fondamentali testimonianti l’evoluzione dell’iscrizione nella direzione

di altri generi, quali appunto l’inno. Egli avanza anche l’ipotesi che alcuni poemi

tramandati su pietra fossero concepiti perhaps primarily per la recitazione.

L’espressione δε3ρο gτε, imperativo plurale del verbo εeµι, per chiamare a

raccolta un gruppo di persone ha diverse attestazioni. La prima compare in

Dionys. fr. 4, 1 Gentili-Prato γγελαςγαθ4ςδε3ρ0gτεπευσ/µενοι: qui il poeta

rivolge ai commensali del simposio l’invito ad apprendere la buona notizia, che

egli si appresta a rivelare, e a mettere fine alle contese provocate dai calici. In

Aesch. Eu. 1041 l’imperativo δε3ρ0 gτε è rivolto alle Erinni, trasformate in dee

augustementre in Ar. Av. 252 δε3ρ0gτεπευσ/µενοιτ9νετερα, l’upupa chiama a

raccolta con il nesso δε3ρ0gτεtutti i presenti per annunciare la notizia dell’arrivo

di un vecchio arguto di nuove idee ed imprenditore di nuove gesta. Che δε3ρ0gτε

sia usato per radunare un numero di persone, senza alcuna distinzione, è

dimostrato dalla testimonianza offerta da Plu. Thes. 25, 1, 2, il quale narra che

Teseo usava l’espressione δε3ρ0gτεπντεςλεs quando voleva fondere le diverse

genti in un solo popolo.

ΘυβριΘυβριΘυβριΘυβριδες…γυναδες…γυναδες…γυναδες…γυνα****κες.κες.κες.κες. Con un invito rivolto alle donne si aprono anche

due inni di Callimaco; cfr. Lav. Pall. 1-2, 4 ±σσαι λωτροχ/οι τ;ς Παλλδος

=ξιτεπ;σαι, / =ξιτε· τ;ν rππωνmρτιφρυασσοµεν;ν /…σο3σθ νυν,B ξανθαC

σο3σθε Πελασγιδες e Cer. 1 Τ καλθω κατι/ντος )πιφθγξασθε, γυνα*κες.

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55

Peek 1979, 79 confronta A. P. 9, 189, 1-2 ²λθετε πρ'ς τµενος ταυρπιδος

γλα'ν ³Ηρης, / Λεσβδες, xβρ9 ποδν βOµαθ0 Xλισσ/µεναι, in cui l’anonimo

autore dell’epigramma invita le donne dell’isola di Lesbo a recarsi presso il

santuario di Era.

Per designare le donne di Roma, Marcello sceglie l’inusuale ma più

ricercato aggettivo Θυβριδες con il significato di tiberine, cioè latine, al posto

del più comune !ωµα*αι, perché quest’ultimo appariva, come riferisce

Wilamowitz 1928, 12, troppo moderno e più adatto a una stesura in prosa e non a

un testo poetico. Θυβριδες corrisponde alla forma latina Tyberinides che in Ov.

Fast. 2, 597 designa le ninfe del fiume Tevere. Come aggettivo Θυβριςè usato

al singolare anche dal poeta bizantino Christod. A. P. 2, 416. Il sostantivo Θβρις

o Θµβρις designa il fiume Tevere in Diod. A. P. 9, 219, 4 )π0qκυρ/ηνΘβριν

µειψµενος e Leon. A. P. 9, 352, 1 Νε*λοςXορτζειπαρ9Θβριδος\ερ'νDδωρ

mentre in Theocr. 1, 118 καC ποταµοC τοC χε*τε καλ'ν κατ9 Θβριδος Dδωρ

indica un fiume che scorreva in Sicilia. Gli scolia ad loc. testimoniano che già per

l’antichità vi era l’oscillazione tra le grafie Θβρις,Θµβρις e ∆βρις36.

L’aggettivo dimostrativo τ/νδε indica la presenza concreta del tempio

presso il quale le donne di Roma sono invitate a recarsi.

v. 2. !!!!ηγηγηγηγλληςλληςλληςλλης ¨δοςδοςδοςδος µφµφµφµφCCCC θυοσκθυοσκθυοσκθυοσκ////αααα \\\\ρρρρ9999 φφφφρουσαιρουσαιρουσαιρουσαι. Il termine δος indica

propriamente la sede o il seggio della divinità; ved. LSJ, s. v. δος. In Omero

viene impiegato per designare l’Olimpo dove risiedono gli dei immortali; cfr. Il.

5, 360, 367, 868; 8, 456; 24, 144; Od. 6, 42. «In un sol tratto si fondono il

significato concreto e quello traslato, l’immagine degli dei seduti a banchetto e

quello della dimora» (Bettinetti 2001, 52). Il termine passa poi a indicare

l’immagine della statua divina fissa in un luogo e dello spazio da essa organizzato

secondo la spiegazione data da Tim. Lex., s. v. ¨δος.τ'mγαλµα.καCτ/πος,)ν´

rδρυται; ved. anche Philipp 1974, 601. Il sostantivo ¨δος non è solo tipico di un

dio, come, p. es, in Soph. OT 866, El. 1374 e IG XIV 1389 B, 78 = 146 B, 78 36 Cfr. Schol. in Theocr. 1, 118a. WendelΘβριδος:<...>δβριςκατ9γλσσαν-θλασσα.τιν(ςδ(Σικελας=φησανποταµ'νΘµβριδα; b. Θβριςποταµ'ςΣικελας,)φ0´µυθεονταιρακλ4ν<... Rτε> τ9ς )κ τ4ς hρυθεας βο3ς )λανων )ντα3θα φκετο· γενοµνου δ( χειµνοςνυπερβλOτου χσαι τ'ν ποταµ'ν καC )ππεδον ποι4σαι, )φ0 ο8 ο\ Κεφαλοδιοι δεκνυνταικατοικο3ντες;cΘεατητοςδφησιΣυρακοσουςπ'τ4ςDβρεως<dνοµσαιπροσθσειτο3Θ>.Sσκληπιδης δ( Μυρλεαν'ς δι9 το3 δ γρφει κα φησι "δβρις κατ9 γλσσαν - θλασσα."γρφουσιδτινεςκατ9Θµβριδος·=στιδ(καCο8τοςποταµ'ςΣικελας.

Page 58: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

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Ameling, ma anche di un uomo «worshipped as a hero», come in questo poemetto

per Regilla e in IG XIV 2133.

La statua di Regilla è offerta al tempio della nuova e vecchia Demetra da

Erode che si era recato a Roma per difendersi dall’accusa di aver provocato la

morte della moglie, mossagli dal fratello della donna Bradua. Traducendo ¨δος

µφ intorno alla statua bisogna ammettere, come fa Skenteri 2005, 35, che le

donne romane siano invitate a portare i loro sacrifici intorno a un altare nelle

vicinanze della statua di Regilla che in realtà doveva essere stata collocata

all’interno del tempio della nuova e vecchia Demetra.

I sacrifici sono indicati con l’espressione θυοσκ/α \ρ. Θυοσκ/α, come

aggettivo neutro plurale, è attestato solo qui, dal momento che nelle altre

occorrenze θυοσκ/ος è un sostantivo maschile, usato soprattutto da Omero per

indicare l’aruspice, distinto dal sacerdote come in Il. 24, 221 οf µντις εσι

θυοσκ/οι < \ερ4ες37. Il significato di augure, esaminatore di vittime, viene

conferito al sostantivo dal secondo elemento *-σκοος,variante con σ mobile del

tema del più tardo κοω «osservo»; ved. Galiano-Heubeck 1986, 252. L’uso

aggettivale di θυοσκ/α è dovuto, secondo Wilamowitz 1928, 12, proprio a

un’errata interpretazione di Il. 24, 221 da parte dell’autore del componimento, il

quale fa di θυοσκ/α un rafforzativo del sostantivo \ρ, forma ionica di \ερ/ς, che

di per sé indica già le offerte; ved. LSJ, s. v. \ερ/ς.

v. 3. iiii δδδδ((((πολυκτεπολυκτεπολυκτεπολυκτενωνµνωνµνωνµνωνµ((((νννν ====ηνηνηνην ))))ξΑξΑξΑξΑνεαδνεαδνεαδνεαδωνωνωνων. Marcello descrive Regilla

come donna romana, rivendicandole la discendenza mitica dagli Eneidi, ai quali

associa l’epiteto πολυκτανος«opulentus» (TLG, s. v.), usato da Pind. O. 10, 36

gδεπατρδαπολυκτανον e Call. Ap. 35 dove Pfeiffer 1953, 6, restaura la forma

πουλυκτανος sulla base di P.Oxy. 2258 πολχρυσος γ9ρ Sπ/λλων / καC

πουλυκτανος. In IG XIV 801 l’epiteto πολυκτανος è riferito invece ai Romani:

si tratta di un’iscrizione funebre in distici elegiaci del II sec. d. C. dedicata a un

uomo di origine romana; ?δε Πφου γννηµα, σοφο*ς )π<ι>εκελος ν$ρ /

κε*µαι,!ωµαωνσπρµαπολυκτενων,/κλp<ζ>/µενος∆κµοςΣερουλιος,ες

37 Qui µντιεςe θυοσκ/οι devono essere collegati insieme in quanto θυοσκ/ος indica un indovino cui spetta esaminare un sacrificio per predire le cose future; cfr. Apollon. Lex. 88, 33-4, θυοσκ/οςεeδοςµντεως,δι9τνθυµτων<θυµιαµτωνκ/ων,R)στισυνιεCςτ9µλλοντα. Il sostantivoθυοσκ/ος ricorre altre tre volte in Od. 21, 145; 22, 318 e 321.

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=τη )λθʖwν / )ννα που δεκδων καC τρα, Uς =λεγον. Sebbene l’aggettivo

πολυκτανος non sia attestato in Omero, rientra tuttavia nello stile epico perché

fonde insieme φιλοκτανος di Il. 1, 122 e πολυκτOµων di Il. 5, 613, entrambi

epiteti di mortali; ved. Williams 1978, 41.

Per quanto riguarda la forma non contratta Ανεαδων cfr. Opp. C. 1, 2

φγγος)νυαλωνπολυOρατονΑνεαδωνmentre per quella contratta Ανεαδν

cfr. Dio Cass. 62, 18, 4 =σχατοςΑνεαδνµητροκτ/νος-γεµονεσει e Agath. A.

P. 9, 155 σκOπτροιςΑνεαδν π;σα ννευκε π/λις. Cfr. anche epigramma ap.

Plu. Flam. 12, 12 (= ep. 92, 3 Preger) νπ/ρεν,Ανεαδ;ν ταγ'ςµγας, per la

forma Ανεαδ;ν.

v. 4.SSSSγχγχγχγχσεωκλυτσεωκλυτσεωκλυτσεωκλυτ''''ναναναναKKKKµακαµακαµακαµακαC|C|C|C|δαδαδαδαηςηςηςηςSSSSφροδφροδφροδφροδτηςτηςτηςτης. In quanto appartenente

agli Eneadi Regilla vanta anche una discendenza divina dalla dea Afrodite,

capostipite dei discendenti di Enea insieme al troiano Anchise. L’unione mitica tra

Anchise e Afrodite è narrata da H. Hom. Ven., secondo il quale Zeus aveva infuso

nel cuore della dea il desiderio di unirsi a un uomo mortale perché anche lei, al

pari delle altre divinità, non potesse definirsi immune da un letto mortale e dire

con orgoglio di avere indotto gli altri dei e le altre dee a congiungersi con i

mortali. L’allusione a questa vicenda amorosa, che dà inizio alla discendenza

degli Eneadi, è racchiusa nell’epiteto |δαηςcon cui Marcello di Side qualifica la

dea, perché l’Ida, il monte dove Anchise soleva pascolare i suoi armenti, fu il

luogo della loro unione; cfr. H. Hom. Ven. 53-7.

L’origine da Venere veniva rivendicata dagli imperatori, soprattutto da

quelli della famiglia Giulio-Claudia, quasi fosse lasciata in eredità con il titolo di

Cesare. Perciò secondo Wilamowitz 1928, 12, l’intero v. 4 si riferisce, in prima

istanza, all’imperatrice Faustina e solo indirettamente a Regilla, e sottolinea in

questo modo un legame di parentela tra le due donne, entrambe appartenenti alla

famiglia degli Annii. Ameling 1983, II, 157, respinge invece la tesi dello studioso

tedesco perché il v. 4 sarebbe piuttosto, a suo giudizio, un’indicazione generale

della nobiltà di Regilla e non un accenno alla sua parentela con Faustina

Maggiore. A sostegno di questa interpretazione egli cita la testimonianza di Hdn.

2, 3, 4, il quale racconta come un certo M. Acilio Glabro (cfr. PIR2 A 69)

rivendicasse a sé la discendenza da Enea; Iνδ()κε*νοςε,γενστατοςµ(νπντων

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τν ε,πατριδννφερε γο3ν )ςΑνεαν τ'νSφροδτης καCSγχσου τ$ν το3

γνουςδιαδοχOν.

L’espressione Sγχσεω κλυτ'ν αKµα καC |δαης Sφροδτης è poi

confrontabile, quasi ne fosse un calco, con Hor. Carm. Saec. 50, dove Augusto

viene definito clarus Anchisae Venerisque sanguis. Questo confronto dimostra

come Marcello di Side riecheggi qui un modulo tipico della magniloquenza epica

per fare riferimento alla gloriosa discendenza della donna.

L’uso del sostantivo αKµα nell’accezione di discendente ha diverse

attestazioni come in Pind. N. 6, 35-6 κρτησεν π' τατας / αKµα πτρας /

χρυσαλακτου ποτ( Καλλας; 11, 33-4 συµβαλε*ν µ9ν ε,µαρ(ς Iν τ/ τε

ΠεισνδρουπλαιαKµ0π'Σπρτας; Theocr. 24, 73 ΠερσOιοναKµα; Nic. Ther.

344 Κρ/νουπρεσβστατοναKµα e Kaibel 1878, 831, 1 = IG XIV 1003, 1 ¶∆ι'ς

SλκµOνηςτεµεγασθεν(ςvβριµοναKµα. Per il nesso κλυτ'ναKµα cfr. Peek 1955,

1511, 7 Αγ4νοςκλυτ'ναKµα, un epigramma funebre del II sec. a. C. proveniente

dall’isola di Corcira per un certo Filistione; su questo epigramma ved. Kaibel

1879, 182-3.

v. 5. γγγγOOOOµατοδµατοδµατοδµατοδ0)0)0)0)ςΜαραθςΜαραθςΜαραθςΜαραθνανανανα.La presentazione di Regilla si conclude con il

riferimento al suo matrimonio. L’espressione γOµατοδ0)ςΜαραθνα si presenta

volutamente ambivalente perché Μαραθνα da una parte indica il nome del demo

ateniese, dall’altra è un’allusione a Erode Attico che nelle iscrizioni viene

designato attraverso il demotico µαραθνιος; cfr. IG II2 1088, 2090, 3191,

3594/5, 3600, 3603, 3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745,

IOlympia 611, 622. Visconti 1794, 43, traduceva l’espressione «fu sposa in

Maratone»; così anche Leopardi: «E ’n Maraton gli sponzalizi suoi» (ap. Flora

1940, 552); invece LSJ s. v. γαµω, «she married Herodes of Marathon». Peek

1979, 79, giudica l’espressione γOµατο δ0 )ς Μαραθνα alquanto prosaica in

quanto significherebbe letteralmente «sie heiratete nach Marathon».

La costruzione del verbo γαµω con )ς e l’accusativo è attestata per la prima

volta in Hdt. 4, 78γυνα*κα=γηµε)ςα,τ9[οκα])πιχωρην, il quale usa la forma

attiva del verbo per riferire del matrimonio di Scile con una donna di Boriatene,

dove egli aveva fatto costruire il suo palazzo. L’unico confronto possibile con

questo passo di Marcello è quello con Eur. Tr. 474 Iµ(ντραννοςκςτρανν0

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59

)γηµµην, dove Ecuba dice di essere stata regina e sposata in una casa reale; ved.

Biehl 1989, 214. Μαραθναè quindi, come conclude già Wilamowitz 1928, 12,

il coronamento della presentazione di Regilla che a Roma aveva ricevuto i nobili

natali.

vv. 5- 6.θεαθεαθεαθεαCCCCδδδδµινΟµινΟµινΟµινΟ,,,,ρανιρανιρανιρανιναι/τναι/τναι/τναι/τουσιν,∆ηουσιν,∆ηουσιν,∆ηουσιν,∆ητεντεντεντενη∆ηη∆ηη∆ηη∆ητεπαλαιτεπαλαιτεπαλαιτεπαλαιOOOO.Al v.

6 compaiono i nomi delle due divinità che fanno onore a Regilla: la nuova e

vecchia Demetra, cui era dedicato il tempio che sorgeva nel podere di Erode a

Roma. La nuova Demetra è Faustina Maggiore, moglie dell’imperatore Antonino

Pio, così denominata dopo la sua morte avvenuta nel 141 d. C. L’identificazione

di Faustina con la dea è documentata dalla vasta monetazione commemorativa in

suo onore (ved. Strack 1937, 106), la quale presenta anche l’iscrizione Aeternitas,

sicchè la trasformazioni di Faustina nella nuova Demetra si spiega da una parte

con l’affetto di Antonino Pio per la consorte, dall’altra con il disegno politico

dell’imperatore di rafforzare, nella coscienza dei suoi contemporanei, l’idea

dell’eternità dell’Impero romano attraverso le persone degli Augusti e delle

Auguste, regnanti da vivi e divinizzati da morti. La coniazione di monete con

l’immagine di Faustina deificata inizia nel 141 d. C. e dura fino alla morte del

marito Antonino Pio nel marzo del 161 d. C. Le monete offrono anche

informazioni sulle città di culto della nuova dea, «der aedes Divae Faustinae, ein

Motiv, das bisher auf den Prägungen der Divi selbst noch nicht dargestellt worden

war» Strack 1937, 92. Il riferimento alla nuova Demetra offre a Erode

l’opportunità di enfatizzare il suo legame personale con il santuario della dea ad

Eleusi in qualità di discendente di Cerice, fondatore della famiglia sacerdotale dei

Cerici; ved. commento al v. 33. La nuova e la vecchia Demetra sono qualificate

come θεαC … Ο,ρανιναι (v. 5). Quest’espressione riecheggia la formula

omerica θεοCΟ,ρανωνες, con cui Omero indica tutti i sommi dei senza alcuna

distinzione come in Il. 1, 570; 17, 195; 24, 612; Od. 7, 242; 9, 15; 13, 41. Il

femminile Ο,ρανιναι è attestato solo in questo epigramma.

vv. 7-8. \\\\ερερερερ''''ν εν εν εν εeeeeδος … /δος … /δος … /δος … / γκεγκεγκεγκε****ταιταιταιται. Il sostantivo εeδος indica la statua di

Regilla, cui viene riferito l’aggettivo \ερ/ν, perché la statua viene dedicata

(γκε*ται) alle due dee. Invece secondo Wilamowitz 1928, 12, «\ερ/ν gehört

nicht zu εeδος sondern ist φιερωθν γκε*ται». Questa ipotesi viene respinta da

Page 62: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

60

Peek 1979, 79, il quale sottolinea che «γκε*ται heisst doch für sich allein schon

“ist geweiht”».

))))υζυζυζυζνοιο γυναικνοιο γυναικνοιο γυναικνοιο γυναικ''''ς.ς.ς.ς. Regilla non viene qui chiamata per nome ma viene

designata attraverso la perifrasi )υζνοιο γυναικ'ς, la quale vale come

espressione di bellezza della donna, attestata già in Hes. Sc. 31 e fr. 195, 31

Merkelbach-West; cfr. anche Il. 1, 429 = 23, 760γυναικ'ς)ϋζνοιοe 9, 366 =

23, 261 γυνα*κας)ϋζνους.

v. 8.µµµµεθεθεθεθ0-0-0-0-ρρρρssssννννppppσισισισι. Marcello specifica che Regilla si trova ora in compagnia

delle eroine sulle isole dei beati. Il sostantivo -ρsνη, forma contratta di -ρωνα, è

attestato per la prima volta in Ar. Nu. 315. Nell’età di Aristofane gli eroi erano

propriamente i grandi personaggi della guerra troiana e tebana secondo il racconto

di Hes. Op. 156-73, che qui Marcello aveva presente come modello. Pertanto le

eroine, insieme alle quali Regilla si trova sulle isole dei beati, sono secondo

l’immaginazione del poeta personaggi mitici come Penelope, Ecuba ed Elena. Il

sostantivo ritorna anche al v. 55 -ρsνpσιπαλαιoσιν.

νννννασται.νασται.νασται.νασται. Questa forma verbale in clausola è documentata solo in poesia

tarda in Theocr. 9, 9 =στιδµοιπαρ0Dδωρψυχρ'νστιβς,)νδ(ννασταιe D. P.

381 π/ντον)ςγχπορονSκυλOϊον=νθαννασται.

v. 9. ))))ν µακν µακν µακν µακρων νρων νρων νρων νOOOOσοισινσοισινσοισινσοισιν rrrrνα Κρνα Κρνα Κρνα Κρ////ννννοςοςοςος ))))νβασιλενβασιλενβασιλενβασιλεειειειει. Il luogo in cui ora

Regilla dimora è presentato attraverso la ripresa di Hes. Op. 171; 173a. Esiodo al

v. 171 )νµακρωννOσοισιπαρ0·κεαν'νβαθυδνην, aveva indicato nelle isole

dei beati la naturale dimora degli eroi. A questo passo di Esiodo fa riferimento

anche Arist. Pol. 1334a, il quale definisce l’espressione )ν µακρων νOσοισιν

tipica dei poeti; πολλ4ς οEν δε* δικαιοσνης καC πολλ4ς σωφροσνης

<µετχειν> τοMς mριστα δοκο3ντας πρττειν καC πντων τν µακαριζοµνων

πολαοντας,οKονεgτινςεσιν,Qσπερο\ποιηταφασιν,)νµακρωννOσοις.

Riguardo all’allusione a Esiodo Wilamowitz 1928, 12 puntualizza: «rνα

Κρ/νος )νβασιλεει in dem Verse, den man als 169 in Hesiods Erga zählte,

erhalten nur in dem Proklosscholion zu 158 (aus dem ihn ganz späte

Handschriften eingeführt haben). Buttmann hat erkannt, daß Marcellus ihn in

seinem Hesiod hatte, also auch die Interpolation des Genfes Papirus». Ved.

Solmsen 1970, 56.

Page 63: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

61

v. 10. ντντντντ0 0 0 0 γαθογαθογαθογαθο****ο νο νο νο ν////ουουουου. L’onore speciale concesso a Regilla viene

presentato come una ricompensa (mποινον) per le sue doti morali, espresse dal

complemento ντ0 γαθο*ο ν/ου, dove la preposizione ντ ha una funzione

casuale e sostituisce il più comune πρ/ς. Kühner-Gerth 1904, II, 429, citano

l’esempio di Soph. OC 1326 οrσ0ντCπαδωντνδεκαCψυχ4ς.

Il termine ν/ος ha qui il significato metaforico di heart «as employed in

feeling and deciding» (LSJ, s. v. ν/ος,3), tipico della lingua omerica; ved. Führer

2000, s. v. Questo significato di ν/ος è sottolineato dall’aggettivo γαθ/ς, come

in Hdt. 1, 60, 23¶Sθηνα*οι,δκεσθεγαθ2ν/7Πεισστρατον, dove γαθ/ς

ν/ος descrive la predisposizione d’animo con cui gli Ateniesi sono esortati ad

accogliere Pisistrato. L’aggettivo γαθ/ς precisa che qui non si stanno lodando le

capacità intellettuali di Regilla, ma le sue straordinarie qualità di buona moglie.

Sγαθ/ςera uno degli aggettivi più ricorrenti nelle epigrafi sepolcrali che lodano

le doti morali di un defunto38e rappresenta piuttosto una virtù astratta dell’animo

umano; ved. Tod 1951, 186. Wilamowitz 1928, 13, annota che γαθ/ςν/ος è una

perifrasi per ρετO. Alle qualità morali di Regilla fanno riferimento anche le

iscrizioniCorinth VIII 3, 128 = 100 Ameling e VIII 1, 86 = 102 Ameling dove

viene lodata la sua σωφροσνη.

mmmmποποποποινον.ινον.ινον.ινον. Si tratta di un termine omerico attestato sempre al plurale con il

significato di «ransom or price paid» (LSJ, s. v. mποινα); per un esame delle

attestazioni di mποινα nei poemi omerici ved. Rüter 1973, s. v. mποινον.

Wilamowitz 1928, 12, definisce il singolare mποινον nell’accezione di «Entgelt,

Lohn» un azzardo di Marcello di Side che a questo termine conferisce il

significato qui desiderato. Quest’accezione di mποινον evidenzia che, sebbene

mποινα sia un termine omerico, il poeta è sensibile all’uso che ne fa Pind. in P. 2,

14; O. 7, 14; I. 3, 7; 8, 4; N. 7, 16, dove mποινα acquista l’accezione di «reward»

(Slater 1969, s. v) e «this word sinks nearly to the status of χριν with the

genitive» (Hewitt 1927, 153).

v. 11.UUUUςοςοςοςο\\\\ΖεΖεΖεΖεMMMMςςςςkkkkκτειρενκτειρενκτειρενκτειρενddddδυρδυρδυρδυρ////µενονµενονµενονµενονπαρακοπαρακοπαρακοπαρακοτηντηντηντην. L’onore straordinario

concesso a Regilla è in realtà un dono di Zeus in virtù della sua compassione per

38 GUARDUCCI 1974, III, 151, elenca gli epiteti che qualificano i defunti, dividendoli in cinque categorie, a seconda che l’epiteto esprima doti morali, virtù religiose, familiari, sociali o il rimpianto dei superstiti.

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62

le sofferenze del marito Erode Attico, rimasto vedovo. Le manifestazioni di

dolore per la morte della moglie sono descritte da Philostr. V. S. 2, 556-7; ved.

commento a SEG 23, 121 = 99 Ameling.

Παρακοτης è un sostantivo di tradizione omerica (Il. 6, 430, 8, 156, Hes.

Th. 928) e designa qui Erode come marito. Omerico è anche il participio

attributivo dδυρ/µενον per la sua posizione all’interno dell’esametro a partire

dalla cesura trocaica; cfr. Il. 2, 315; 9, 612; 24, 128; Od. 1, 55, 243; 2, 23; 4, 100;

4, 800; 828; 9, 13; 11, 214; 13, 379; 14, 40; 16, 195; 18, 203; 19, 513, 517.

¹δυρ/µενον descrive la condizione di dolore di Erode e regge il pronome ο\,

riferito a Regilla. L’intera proposizione è preceduta dalla congiunzione temporale

Uς.Wilamowitz 1928, 9, stampa invece l’avverbio Qς corrispondente a οDτως.

v. 12. γ γ γ γOOOOραιραιραιραι ))))νννν ζαλζαλζαλζαλ7777 χχχχOOOOρρρρpppp περικεπερικεπερικεπερικεµενον εµενον εµενον εµενον ε,,,,ννννoooo. Un secondo participio

attributivo (περικεµενον) contribuisce a illustrare la condizione di Erode, qui

ritratto come un uomo ormai vecchio e provato dal dolore della morte della

moglie. Il participio regge il dativo χOρp … ε,νo come in Il. 19, 4 ε8ρε δ(

Πατρ/κλ7περικεµενοννφλονυ\'ν, in cui viene raccontato come la dea Teti

trovi il figlio Achille che giace abbracciando il corpo di Patroclo morto.

Il nesso ζλεονγOρας è, a giudizio di Wilamowitz 1928, 13, un nesso non

conservato, formulato da un poeta antico, perché compare anche in una citazione

di Plu. Mor. 51, 789c = fr. 1149 SH ζαλ7γOρ]†κατανθιδνκOδp†, il quale

sicuramente alludeva in questo modo a un uso piuttosto noto. Dire che Erode si

trovava già nella vecchiaia avvizzita è in realtà un’esagerazione di Marcello,

perché egli, al momento della morte di Regilla, doveva avere circa cinquantasei

anni. A un’indicazione di luogo astratta (γOρ] )νζαλ7) ne segue in clausola

una concreta, quale quella del letto matrimoniale (ε,ν4), caratterizzata dal forte

iperbato (χOρp…ε,νo). Il letto matrimoniale viene definito per ipallage vedovo

(χOρη) e diventa simbolo del lutto di Erode, secondo un’immagine che richiama

alla mente Ap. Rh. 3, 662 σ*γα µλα κλαει χ4ρον λχος εσορ/ωσα, in cui il

pianto di Medea viene paragonato a quello di una giovane sposa che fissa gli

occhi sul letto vuoto. L’uso metaforico dell’aggettivo χ4ρος è attestaτo per la

prima volta, come riporta LSJ, s. v.χ4ρος, in Eur. Alc. 861-2 χOρωνµελθρων, in

cui Admeto esprime la sua disperazione nel vedere la casa vedova di Alcesti. In

Page 65: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

63

Omero infatti, ad eccezione di Il. 6, 408 τχαχOρησε3=σοµαι, viene impiegato

solo il sostantivo χOρη che designa la vedova «Widow» (ved. LSJ, s. v.). Per l’uso

metaforico di χ4ρος cfr. Call. Epigr. 15,4 Pfeiffer = A. P. 7, 522, 4 χ4ρον

νι;σθαι σ'ν π/σιν Ε,θυµνη e 20, 6 Pfeiffer = A. P. 7, 517, 6 π;σα τ'ν

ετεκνονχ4ρονδο3σαδ/µον.

v. 13. µµµµµονοςµονοςµονοςµονος ))))κµεγκµεγκµεγκµεγροιο.ροιο.ροιο.ροιο.Anche qui il lessico è prettamente omerico;

tuttavia nuovo è il contesto in quanto µµων in Omero è un epiteto riferito a

esseri umani, mentre qui qualifica µγαρον; cfr. Mette 1965, s. v. µµων.

Un’ulteriore innovazione è lo stesso singolare µγαρον con il significato di casa,

dato che la lingua omerica distingueva il singolare, impiegato per designare «the

chief room in the Homeric Palace», dal plurale con il significato di «house,

palace» LSJ, s. v. µγαρον; ved. anche Beck 1993, s. v.

L’espressione µµων µγαρος indica tanto la casa di Erode, quanto per

metonimia la sua famiglia, cui fa cenno anche l’epigramma SEG 23, 121, 4 = 99,

4 Ameling νηνπ/λιν, οκατα3τα, δ/µος-µιτελOς; ved. commento ad loc. Qui

µµων esprime quell’idea di perfezione della casa-famiglia che sull’arco posto

tra Vrana e Maratona era stata sottolineata dall’espressione µονοαςθαντου

πλη delle due iscrizioni IG II2 5189 = 97 Ameling e IG II2 5189a = 98 Ameling,

che distinguevano il territorio di Erode da quello di Regilla; ved. commento ad

loc.

v. 14. ªªªªρπυιαι Κλωθρπυιαι Κλωθρπυιαι Κλωθρπυιαι Κλωθεςεςεςες νηρενηρενηρενηρεψαντο µψαντο µψαντο µψαντο µλαιναιλαιναιλαιναιλαιναι. Questo verso offre un

esempio di come Marcello fonda insieme in un’unica immagine due reminiscenze

omeriche, precisamente quella di Od. 7, 197 Κλθς τε βαρε*αι / γεινοµν7

νOσαντολν7, in cui Alcinoo dice che Odisseo, suo ospite, potrà subire quello che

le Filatrici implacabili hanno tessuto per lui, dopo che sarà partito dalla terra dei

Feaci, e quella di Od. 1, 241 = 14, 371 = 20, 77 »ρπυιαινηρψαντο, in cui la

morte viene descritta come un rapimento ad opera delle Arpie. Od. 7, 197 è

l’unico testo poetico in cui compare il plurale Κλθες,come sinonimo di Μο*ραι;

cfr. schol. ad loc. ed Hesych. κ 3065 s. v. «Während Μο*ραι,Αeσα,δαµωνusw.

Schicksal auch auf andere Weise zuteilen […], ist die Funktion der K. durch ihren

durchsichtigen N. beschränkt» (Mader 1991, s. v. Κλθες).La forma Κλωθες di

questo poemetto è un’innovazione morfologica di Marcello, qualificata da

Page 66: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

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Wilamowitz 1928, 13, semplicemente come «Mißbildung von Κλθες». A questo

primo aspetto del destino, rappresentato dalle Moire, Marcello somma quello

simboleggiato dalle Arpie, che strappano la vita degli uomini (ªρπυιαι …

νηρψαντο), e riferisce loro l’epiteto µλαιναι, che nell’elegia arcaica è qualifica

tradizionale delle Chere, anch’esse divinità infernali che decidono la fine della

vita; cfr. Tyrt. fr. 8, 5-6 Gentili-Prato θαντουδ(µελανας/κ4ρας e Mimn. fr. 8,

5 Gentili-Prato Κ4ρεςδ(παρεστOκασιµλαιναι, di cui Marcello rispetta anche la

collocazione dell’aggettivo µλας in clausola di esametro. Al medesimo nesso

elegiaco allude anche Quint. Smyrn. 10, 428 Κ4ρες νηρεψαντο µλαιναι, il

quale descrive l’azione delle nere Chere, come già Marcello, attraverso il verbo

omerico νηρεψαντο.

v. 15.----µισµισµισµισαςπλεαςπλεαςπλεαςπλε////νωννωννωννων. Il complemento πα*δας(v. 13)…-µισαςπλε/νων

è caratterizzato dal forte iperbato, dato che tra il sostantivo πα*δαςe l’aggettivo

-µισας intercorrono due versi. Peek 1979, 80, sottolinea come attraverso questa

espressione Marcello lasci indeterminato il numero dei figli di Erode Attico e dia

l’illusione che qui si debba intendere un numero maggiore di figli rispetto a quello

reale. Inoltre i figli sopravvissuti, Bradua ed Elpinice, non erano così piccoli da

non soffrire per la perdita della madre, come Marcello vuol far credere qui; ved.

Wilamowitz 1928, 13. Dalla documentazione epigrafica e dalle informazioni

fornite da Flavio Filostrato risulta che Erode aveva avuto da Regilla cinque figli e

che al momento della morte della donna, Erode ne aveva già persi tre; sui figli che

Erode ebbe da Regilla ved. commento a SEG 26, 290 = 146 Ameling.

L’espressione πα*δας…-µισαςπλε/νων risponde all’esigenze di accrescere il

pathos del testo piuttosto che a quella di aderire alla realtà che Marcello mostra di

non tenere in considerazione.

15-16. δοι δοι δοι δοιwwww δδδδ0 =0 =0 =0 =τι πατι πατι πατι πα****δε λιπδε λιπδε λιπδε λιπσθην / νηπισθην / νηπισθην / νηπισθην / νηπιχωχωχωχω. L’uso del duale νηπιχω,

attestato solo qui, rientra nel rispetto della lingua omerica che rappresenta il

principale modello di Marcello. L’aggettivo νηπαχος è epico, diminutivo di

νOπιoς e in Omero qualifica il sostantivo πα*ς; cfr. Führer 1996, s. v. νηπαχος. Al

singolare νηπαχος è usato in Il. 6, 408, per il figlio di Ettore quando Andromaca

cerca di commuovere l’eroe scegliendo termini che chiamino in causa la sua

funzione di padre e di marito. La stessa funzione patetica ha il nesso πα*ς

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νηπαχος in Ap. Rh. 4, 136-7, dove le madri, svegliatesi per lo spavento

provocato dal soffio del dragone, custode del vello, abbracciano piene d’angoscia

i figli piccoli che dormano sul loro seno, anch’essi scossi dal sibilo. Cfr. anche

IGUR III 1235, 1 πα*ς =τινηπαχοςερνυµος)νθδεκεταιe 1376, 6-7 λλ0

=τινηπαχ/νµεΤχη/κατεθOκατοµOτηρ.

γνγνγνγντεκακτεκακτεκακτεκακν,ν,ν,ν, ====τιπτιπτιπτιπµπανµπανµπανµπαν ππππστωστωστωστω.La lettura γντεκακν è offerta da

Wilamowitz 1928, 13. Kaibel invece (ap. IG XIV 1389, A) leggeva xγντε come

duale di xγν/ς e collegava il genitivo κακνa νηπιχω. Questa interpretazione

viene anche riportata da LSJ, s. v. mπυστος. Skenteri 2005, 36, nota invece come

la lettura di Wilamowitz restituisca una struttura sintattica della frase accettabile,

poiché l’aggettivo γνς è qui costruito con il genitivo κακν39, cui segue al v.

17 οrην dipendente dall’aggettivo πστω.Quest’ultimo è composto da e dalla

stessa radice del verbo πυνθνοµαι e significa propriamente «wer nichts erfährt,

unkundig» (Bartelink 1973, s. v. mπυστος). L’impiego di due o più aggettivi

formati con prefisso negativo, come al v. 17 (γντε…πστω), è tipico della

lingua omerica, dove però essi sono coordinati per asindeto (cfr., p. es., Il. 9, 63

φρOτωρθµιστοςνστι/ς)στιν)κε*νοςe Od. 1, 242, mϊστοςmπυστος) mentre

qui i due aggettivi sono accompagnati da altri termini miranti a enfatizzare la

disgrazia abbattutasi sui figli di Erode Attico con la morte della madre; per questo

uso ved. Shipp 19722, 11-2.

v. 17. οοοοrrrrηνσφινηληνσφινηληνσφινηληνσφινηλ$$$$ςκατςκατςκατςκατ9999µητµητµητµητραπραπραπραπ////τµοςτµοςτµοςτµος====µαρψεµαρψεµαρψεµαρψε. La frase ha una funzione

di interrogativa indiretta, introdotta dal pronome οrην che accentua la natura

straordinaria di Regilla. La morte che strappa ai figli la loro madre viene

qualificata come νηλOς«unbarmherzig, mitleidslos» (Mader 1996, s. v. νηλεOς),

aggettivo che nei poemi omerici si accompagna al sostantivo Iµαρ. In questo

poemetto il nesso νηλ$ς Iµαρ diventa una metafora di morte; ved. Mader 1996, s.

v.νηλεOς, 2, a β. Non solo dal punto di vista lessicale ma anche dal punto di vista

stilistico l’intero verso riecheggia la lingua omerica attraverso il ricorso

all’artificio della tmesi κατ9… =µαρψε; cfr. Od. 24, 390 )νδυκως κοµεσκεν,

)πεCκατ9γ4ρας=µαρψενcon cui viene presentato il vecchio Dolio.

39 Per esempi di γνς costruito con il genitivo ved. LSJ, s. v., III.

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18. πρπρπρπρν περ γηραιν περ γηραιν περ γηραιν περ γηραιooooσι µιγσι µιγσι µιγσι µιγOOOOµεναιµεναιµεναιµεναι ^λακλακλακλακττττppppσισισισι. In questo verso sono ancora

riconoscibili le tracce di quattro lettere erase che secondo Peek 1979, 77, sono

ΜΙΓΗ, cioè una dittografia delle prime quattro lettere di µιγOµεναι. Il verso è

caratterizzato, dal punto di vista linguistico, dal dativo plurale γηραιoσι …

^λακτpσι e dall’infinito µιγOµεναι, tipici della lingua omerica, dal punto di vista

stilistico dall’ipallage γηραιoσι…^λακτpσι, la quale, secondo Peek 1979, 80,

indica metaforicamente i lavori femminile concordemente a una definizione data

da Et. M. 424, 44-5 ¼λακτη: Τ' γυναικε*ον )ργαλε*ον, vργανον περC

ελο3σιν α\ γυνα*κες τ' ν4µα. hκ το3 ^λσκω, ^λακτ$, Uς διδσκω, διδακτO.

Poiché i lavori della tessitura rappresentavano l’unica occupazione della donna

nell’età della vecchiaia, con questa metafora il poeta riferisce in modo ricercato

che Regilla è morta giovane e non ha potuto raggiungere l’età avanzata. Per

questo Peek 1979, 80, spiega ^λακταιγηραια* come λακταιγOραος, come già

aveva interpretato Leopardi (ap. Flora 1940, 552-3); ved. anche Ameling 1983, II,

157. Peek esclude in questo modo la possibilità di leggere nell’espressione

γηραιoσι … ^λακτpσι un’allusione al fuso di cui una delle Moire era munita,

secondo un’interpretazione che risale a Salmasius 1619, 147-8, il quale aveva

citato a conforto di questo verso Marz. 9, 17, 2 Parcarum exoras pensa brevesque

colos. La spiegazione di Salmasius ha goduto del consenso di Visconti 1794, 82,

LSJ, s. v. ^λακτη, Wilamowitz 1928, 13, il quale definisce questo verso «ein

schlimmes κακ/ζηλον», e Skenteri 2005, 37. Peek 1979, 80, osserva ancora come

vengano adoperati termini, quali mκρακτος, κλωστOρ, λνον, µτος e ν4µα, ogni

qualvolta si parli del lavoro delle Moire che tessono il destino dell’uomo, e non

manchi mai l’aggiunta del genitivo Μο*ρων.

µιγµιγµιγµιγOOOOµεναιµεναιµεναιµεναι. Leopardi (ap. Flora 1940, 552-3) criticava la proposta di

Visconti 1794, 82, di leggere il verbo µιγOµεναι come sinonimo di πελσαι, cioè

approssimarsi. Pertanto parafrasava l’intera espressione γηραιoσι µιγOµεναι

^λακτpσι come «starsi tra le conocchie senili, usare le conocchie senili,

passarsela da vecchia, filando», e concludeva che il verbo µεγνυµι «nella

consueta significazione tanto è lungi che qui abbia dello strano, che viene anzi nel

greco linguaggio naturalissimo». Peek 1979, 80, si chiede se queste espressioni e

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immagini non dimostrino che Marcello avesse presente per questo passo un

modello poetico antico non conservato.

vv. 19-20. ττττ2222 δδδδ(((( ΖεΖεΖεΖεMMMMςςςς ))))ππππηρονηρονηρονηρον ddddδυροµδυροµδυροµδυροµνννν7777κκκκ////ρητον / καρητον / καρητον / καρητον / καCCCC βασιλεβασιλεβασιλεβασιλεMMMMς∆ις∆ις∆ις∆ιCCCC

πατρπατρπατρπατρCCCCφυφυφυφυ$$$$νκανκανκανκαCCCCµµµµ4444τιντιντιντιν))))οικοικοικοικς.ς.ς.ς.Zeus e l’imperatore Antonino Pio deificato, come si

comprende dai due accusativi di relazione φυ$ν καC µ4τιν, dipendenti da ∆ιC

πατρC … )οικς, sono caratterizzati dalla compassione per il dolore di Erode

Attico. Riguardo a questi versi Peek 1979, 81, afferma: «mit der nachträglichen

Aufgliederung zweier durch καC verbundener Glieder einer Reihe lässt sich die

Partie a 109-111 gut vergleichen, und Marcellus wird diese Verse ja sicherlich gut

gekannt haben: κOρυκες δ0 α,το*σι καC dτρηροC θερποντες / ο\ µ(ν mρ0 οeνον

=µισγον)νCκρητ4ρσικαCDδωρ, /ο\δ0αEτεσπ/γγοισιπολυτρOτοισι τραπζας /

νζονκαCπρ/τιθεν».

))))ππππηρον.ηρον.ηρον.ηρον. L’aggettivo, che significa «pleasant, grateful» (LSJ, s. v.), viene

usato al plurale nell’espressione )πηραφρειν«bring one acceptable gifts, render

service» (LSJ, s. v.); cfr. anche Il. 1, 572, 578 )πCIραφρων. Marcello come già

aveva fatto per mποινα (ved. supra) usa l’aggettivo al singolare attestato prima di

lui solo in Emp. fr. 96, 17 Diels-Kranz come epiteto di terra (χθν) e in Simm. fr.

6, 3 Powell come epiteto della vecchiaia (γρας). Wilamowitz 1928, 13, spiega

)πηρον come sinonimo di χριν, sostenendo che «)πηραφρεινhat der Dichter

als χαρζεσται befaßt, wie er durfte» e giustifica la mancanza del verbo con il

fatto che i due benefattori, qui nominati l’uno accanto all’altro, nei versi

successivi sono ritratti singolarmente nella loro benevolenza verso Erode. «Man

denke sich statt )πηρον ein χαριζ/µενοςoIραφρων, und alles wäre einfach»

(Wilamowitz 1928, 13).

κκκκ////ρητονρητονρητονρητον. Si tratta di una forma poetica omerica dell’aggettivo κ/ρεστος,

«unersättlich» (Busch 1959, s. v. κ/ρητος,) che ricorre solo nell’Iliade e mai

nell’Odissea. Sκ/ρητος è usato da Omero come epiteto di uomini ed è

accompagnato da genitivi, quali µ/θου (Il. 7, 117), πολµου (Il. 12, 335), δειν4ς

[…]ϋτ4ς (Il. 13, 621), µχης(Il. 13, 639, 20, 2). Qui invece κ/ρητον è usato

come avverbio, riferito al participio dδυροµν7, per enfatizzare il dolore

inconsolabile di Erode, e non ha altri paralleli.

Page 70: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

68

vv. 21-22. ΖεΖεΖεΖεMMMMς µς µς µς µ((((νννν ))))ςςςς qqqqκεανκεανκεανκεαν''''ν θαλερν θαλερν θαλερν θαλερ$$$$νννν ====στειλε γυναστειλε γυναστειλε γυναστειλε γυνα****κ[α] / ακ[α] / ακ[α] / ακ[α] / αρρρρppppσισισισι

ΖεφΖεφΖεφΖεφροιο κοµροιο κοµροιο κοµροιο κοµζεµενζεµενζεµενζεµεν ^λυσλυσλυσλυσppppσινσινσινσιν. L’aggettivo θαλερ/ς significa «blühend,

kraftstrotzend, im Vollbesitz der Vitalität» (Führer 1987, s. v. θαλερ/ς, 963, III).

Usato qui come epiteto di Regilla, indicata dal sostantivo γυνO, θαλερ/ς è un

aggettivo di tradizione omerica40, dove qualifica o il sostantivo αζηγ/ς, usato al

plurale (Il. 3, 26; 10, 259; 11, 414; 14, 4; 17, 282) per indicare i giovani dotati di

forza, oppure i sostantivi maschiliπ/σις (Il. 8, 190)e παρακοτης (Il. 6, 430, 8,

156), e il sostantivo femminile παρκοιτις(Il. 3, 53; cfr. anche H. Hom. Cer. 79),

i quali indicano rispettivamente il ruolo di marito e di moglie, di cui l’epiteto

mette in evidenza il fatto che essi sono ancora nel fiore della loro età. Qui

θαλερ/ς accentua il pathos della narrazione con l’allusione alla giovane età di

Regilla defunta.

ααααρρρρppppσιΖεφσιΖεφσιΖεφσιΖεφροιο…ροιο…ροιο…ροιο…^λυσλυσλυσλυσppppσιν.σιν.σιν.σιν. Le brezze di Zefiro vengono definite elisie

(^λυσpσιν) perché Zefiro non è più inteso come vento dell’ovest, dato che nel II

sec. d. C. non si credeva più che le isole dei beati fossero in oriente (cfr. Aesch.

Pr. 132κραιπνοφ/ροιδµ0=πεµψαναEραι), ma semplicemente come immagine

di un vento mite, le cui brezze si lasciano qualificare come λσιαι, sebbene non

provengano dall’Oriente ma si dirigano verso di esso; ved. Wilamowitz, 1928, 13.

Per l’espressioneαρpσιΖεφροιο cfr. anche Orph. H. 81, 1 ΑEραιπαντογενε*ς

Ζεφυρτιδες.

v. 23. αααα,,,,ττττ9999ρρρρστερστερστερστερ////ενταπερενταπερενταπερενταπερCCCCσφυρσφυρσφυρσφυρ9999παιδπαιδπαιδπαιδCCCCππππδιλαδιλαδιλαδιλα. Il v. 23 fa riferimento

al conferimento del patriziato a Bradua, figlio di Erode, il quale in IG II2 3978

viene ricordato con il titolo di ε,πατρδης. Il conferimento del patriziato, su

iniziativa dell’imperatore Antonino Pio, viene confermato da IG XIV 1392 = 145

Ameling; ved. Pisani Sartorio-Calza 1976, 135. A questo titolo Marcello allude

attraverso i calzari splendenti στερ/εντα…πδιλα che Philostr. V. S. 2, 555, 19,

chiama )πισφριον)λεφντινονµηνοειδς perché erano ornati di una mezzaluna,

la quale serviva come chiusura della fibbia e come segno di distinzione dei patrizi

all’interno dell’ordine senatorio; cfr. Juv. 7, 192 adpositam nigrae lunam subtexit

alutae, ved. LSJ, s. v. στερ/εις. Erode in Philostr. S. V. 2, 555, 23-4 deride il

40 Per una trattazione generale dell’aggettivo θαλερ/ς in Omero ved. VIVANTE 1982, 117-8, il quale però passa in rassegna solo i casi in cui l’aggettivo è riferito a cose e non a esseri umani.

Page 71: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

69

cognato Bradua che dinanzi al senato non era stato capace di esporre nulla di

persuasivo a sostegno della sua accusa contro Erode, e gli rimprovera di avere la

nobiltà solo nel simbolo della mezzaluna legata alle caviglie. L’aggettivo

στερ/ειςè un epiteto omerico che qualifica il sostantivo ο,ραν/ς; ved. Alpers

1976, s. v.Qui è riferito ai calzari che splendono come stelle. Quest’accezione è

attestata in Il. 16, 134 ποικλονστερ/εντα e 18, 379 mφθιτονστερ/εντα; ved.

Alpers 1976, s. v., 2.

Secondo la tesi di Graindor 1930, 91, attraverso tale carica l’imperatore

Antonino Pio voleva consolare Erode Attico della morte della moglie.

L’avvenimento deve essere datato pertanto tra la morte di Regilla e la prima metà

del 161 d. C., quando Antonino Pio muore e gli succede Marco Aurelio.

v. 24. τ τ τ τ9999 λλλλγουσι καγουσι καγουσι καγουσι καC TC TC TC Tρµαρµαρµαρµανα φορνα φορνα φορνα φορ4444ναι.ναι.ναι.ναι. Attraverso il verbo λγουσι

Marcello introduce, a partire dal v. 24, una narrazione mitologica che si protrae

fino al v. 29. Si tratta di una parentesi epica all’interno di questo lungo

epigramma, la quale da una parte è funzionale a un nuovo cenno di Enea e degli

Eneadi (v. 2), dall’altra vuole avere una finalità eziologica che spieghi l’origine

dei calzari dei patrizi, ornati di mezzaluna. Il poeta racconta che il dio Ermes

indossò i calzari con la mezzaluna nella notte dell’incendio di Troia, quando salvò

Enea dalla distruzione della città. Fiorillo 1801, 146, ricorda che secondo Quint.

Smyrn. 13, 315-29, fu invece la dea Afrodite in persona a salvare il figlio Enea

come racconta brevemente anche Tryph. Il. 651-3 Ανεανδ0=κλεψεκαCSγχσην

Sφροδτη/οκτερουσαγροντακαCυ\α,τ4λεδ(πτρης/Α,σονηνπνασσε.

Tuttavia nella Tabula Iliaca Capitoliana, databile al I sec. d. C., la quale

rappresenta in rilievo la presa di Troia, viene rappresentato Ermes nell’atto di

trarre fuori dalla città in fiamme Enea insieme al padre e al figlio41. Forillo 1801,

147 annota come «viri docti vero qui tabulam illustravêre […] non nostri poëtae

locum adtulerunt. […] In gemmâ, ap. Augustin. Gemm. T. II. N. 3. fuga

repraesentata est Aeneae, ibique Mercurius dux, stellam, in fronte gerit, lunari

forma, radiosam». Sulla Tabula Iliaca Capitolina compare anche l’iscrizione

|λιουΠρσις κατ9Στησκορος: Τρωικ/ς, la quale lascia intendere che l’autore

della Tabula avesse scolpito delle scene tratte dal poemetto di Stesicoro |λιου

41 Sulla Tabula Italica Capitolina ved. SADURSKA 1963 e SADURSKA 1964.

Page 72: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

70

Πρσις andato perduto; ved. Horsfall 1979, Lloyd-Jones 1980. Lo stesso

intervento divino è presente poi nell’affresco della casa del Criptoportico a

Pompei. Horsfall 1979, 42-3, nega la dipendenza delle due rappresentazioni da un

comune modello precedente in quanto il pittore dell’affresco della casa del

Criptoportico dipinge in modo classico Enea che porta sulle spalle il padre

Anchise. Invece ritiene probabile che l’autore della Tabula Italica Capitolina

abbia avuto a disposizione una statua, un dipinto o un bassorilievo di età

precedente, ispirato da quelle fonti letterarie cui Marcello allude in modo generico

tramite il verbo λγουσι ed etichetta le parole κατ9 Στησκορος come «an

ostentatious but confused display of Gelehrsamkeit».

Marcello darebbe quindi prova di erudizione poiché, attingendo

probabilmente a fonti letterarie a noi ignote, predilige una versione del mito della

fuga di Enea che ben si coniuga con i fini celebrativi del poemetto, dato che

Ermes, già presentato al v. 32 come antenato divino di Erode, appare ora come il

dio che ha posto Enea sulla via della fondazione di Roma.

Per la forma estesa Tρµων cfr. Hes. fr. 64, 14; 137, 1; 150, 31

Merkelbach–West; Bion fr. 10, 8 Gow; Max. 12, 610; Agath. A. P. 4, 3, 110.

L’infinito epico φορ4ναι «most commonly of clothes, armour, and the like,

bear constantly, wear» (LSJ, s. v. φορω) ha funzione finale-consecutiva; per la

sua posizione in clausola di esametro cfr. Il. 2, 107 α,τ9ρ αEτε Θυστ0

Sγαµµνονι λε*πε φορ4ναι; 7, 149 δκε δ0 hρευθαλωνι φλ7 θερποντι

φορ4ναι; 10, 270 α,τ9ρ Μηρι/νp δκεν ´ παιδC φορ4ναι e Od. 17, 224

σηκοκ/ροντ0=µεναιθαλλ/ντ0)ρφοισιφορ4ναι.

v. 25. IIIIµοςµοςµοςµος RRRRτ(ε).τ(ε).τ(ε).τ(ε). L’impiego delle due congiunzioni temporali non è

omerico ma tipico dell’epica ellenistica di Ap. Rh. 4, 267, 452, 1310, dove la

seconda congiunzione Rτε presenta l’elisione della vocale finale come qui al v. 25;

cfr. ancora Arat. Phaen. 584; Nik. Ther. 936, in cui compare anche il nesso Iµος

Rταν al v. 75.

πολπολπολπολµουµουµουµου))))ξξξξ4444γενγενγενγενSSSSχαιχαιχαιχαιν.ν.ν.ν. La narrazione mitologica dell’intervento divino di

Ermers a favore di Enea è impreziosita dalla ripresa e dalla fusione di nessi

omerici attestati nell’Iliade. L’espressione πολµου )ξ4γεν deriva da Il. 13, 535

)ξ4γεν πολµοιο δυσηχος, là dove si racconta che Polite trasse fuori dalla

Page 73: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

71

battaglia il fratello Deifobo. Espressioni simili sono adoperate in Il. 5, 35 µχης

)ξOγαγεθο3ρονρηα e 5, 353 τ$νµ(νmρ0½ριςXλο3σαποδOνεµος=ξαγ0µλου;

cfr. anche Il. 11, 487. Il nesso πολµου)ξ4γενè attestato anche in Quint. Smyrn.

13, 322. Per quanto riguarda invece la presentazione della guerra troiana come

πολµου … Sχαιν cfr. Il. 3, 165 οr µοι )φρµησαν π/λεµον πολδακρυν

Sχαιν; 7, 331 τσεχρ$π/λεµονµ(νªµ0^ο*πα3σαιSχαιν e 22, 487 Yνπερ

γ9ρπ/λεµ/νγεφγpπολδακρυνSχαιν.

v. 26. ννννκταδικταδικταδικταδι9999 δνοφερδνοφερδνοφερδνοφερOOOOνννν. L’indicazione temporale della caduta di Troia

viene formulata mediante un’eco di Od. 15, 50 νκταδι9δνοφερ$ν)λαν, di cui

Marcello conserva la medesima posizione metrica in apertura di esametro; cfr.

anche Theogn. v. 672 West2Μηλου)κπ/ντουνκταδι9δνοφερOν. L’aggettivo

δνοφερ/ς è usato come epiteto di νξanche in Od. 13, 269 νMξδ(µλαδνοφερ$

κτεχ0 ο,ραν/ν ed in Hes. Th. 106-7 οf Γ4ς )ξεγνοντο καC Ο,ρανο3

στερ/εντος,/Νυκτ/ςτεδνοφερ4ς.

v. 27. παµφαν παµφαν παµφαν παµφαν////ωνωνωνων ))))ννννκειτο σελκειτο σελκειτο σελκειτο σελ[[[[OOOOνηνηνηνη]]]]ς κς κς κς κκλοκλοκλοκλο[[[[ςςςς RRRR]]]]µʖοʖµʖοʖµʖοʖµʖοʖ[ιος][ιος][ιος][ιος]. L’aggettivo

παµφαν/ων «bright-shining, radiant» (LSJ, s. v.) appartiene al linguaggio

omerico, dove è attestato 18 volte. In Od. 13, 29 è un epiteto di ^λιος e sottolinea

la luce raggiante del sole del giorno che contrasta con il desiderio nascosto di

Odisseo il quale si augura che presto giunga il tramonto. In Emp. fr. 98, 2 Diels-

Kranz παµφαν/ων viene riferito invece all’etere (ιθOρ). Qui παµφαν/ων

descrive il chiarore dello stemma presente sui calzari indossati dal dio.

Le ultime parole del v. 27 σελ[Oνη]ςκκλο[ςR]µʖοʖ[ιος] sono state restituite

da Peek 1979, 77, il quale, sulla base dell’esame della pietra, da lui personalmente

condotto, propone un’integrazione in maggiore accordo con le tracce delle lettere

e dello spazio tra le stesse. Per la costruzione di Rµοιος con il genitivo (σελOνης),

cfr. Hippocr. Art. 11, 37 το*σι τοτων µοοισιν e Dion. Hal. Pomp. 4, 3 δ(

λεκτικ'ςπoµ(νRµοιοςροδ/του,πoδ()νδεστερος.Skenteri 2005, 37, ricorda

a proposito che questo è «a usage that becomes increasingly frequent in post-

classical Greek» e rimanda a Blass-Debrunner-Rehkopf 1976, 182, 4.

Salmasius 1619, 128, invece aveva proposto σελ[ηναη]ς κκλο[ς αgγλης].

Questa integrazione ricordaOd. 4, 45 = 7, 84 Qςτεγ9ρ^ελουαgγληπλεν^(

σελOνης ma soprattutto Ap. Rh. 4, 167 Uς δ( σεληναης διχοµOνιδα παρθνος

Page 74: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

72

αgγλην. Visconti 1794, 86, accettava l’integrazione σελ[ηναη]ς di Salmasius,

forma poetica di σελOνη, però proponeva il sostantivo α,γ4ς che propriamente

indica la luce del sole ma in generale «any bright light» (LSJ, s. v. α,γO); cfr.

Max. Tyr. 37, 8, 5 καC σελOνης α,γα e Hld. Aeth. 1, 17, 3 πρ'ς µικρ9ν τ4ς

σεληναας α,γ$ν. Wilamowitz 1928, 14, invece integra la parte finale

dell’esametro con l’aggettivo ε,]ρ[ς] proposto da Sirdmond (ap. Wilamowitz

1928, 14) e confronta il v. 27 con Emp. fr. 43 Diels-Kranz ¬ς α,γ$ τψασα

σεληναης κκλον ε,ρν; ved. anche Peek 1979, 77. Su questo frammento di

Empedocle in generale ved. Diels 1880, 175-6.

vv. 28-9. ττττ''''ν δν δν δν δ(((( κακακακαCCCC ΑΑΑΑνενενενεδαι πο[τδαι πο[τδαι πο[τδαι πο[τ0] )0] )0] )0] )νερρνερρνερρνερρψαντο πεδψαντο πεδψαντο πεδψαντο πεδλλλλ7777 / [[[[====µµεναιµµεναιµµεναιµµεναι]]]]

ΑΑΑΑ,,,,σʖοʖνʖσʖοʖνʖσʖοʖνʖσʖοʖνʖ[[[[οις εοις εοις εοις ε]]]],ʖ,ʖ,ʖ,ʖηγενηγενηγενηγενεσσι γεσσι γεσσι γεσσι γραα.ραα.ραα.ραα. La corretta lettura e integrazione del v. 29 è

garantita da Peek 1979, 77. Con questi due versi Marcello di Side conclude la sua

narrazione mitologica definendo il simbolo della mezzaluna γραα «gift of

honour» (LSJ, s. v. γρας). Il poeta riafferma la discendenza degli Italici dai

Troiani e riferisce loro l’epiteto ε,ηγενOς (Α,σʖοʖνʖ[οις ε],ʖηγενεσσι). Questo

elogio degli Italici si trasforma anche in quello di Erode che come italico

(ασονα) viene celebrato in Corinth VIII 3, 128, 6 = 100, 6 Ameling; ved.

commento ad loc.

v. 30. οοοο µινµινµινµιν ddddνννν////σσηται.σσηται.σσηται.σσηται. A partire da questo verso Marcello descrive la

discendenza di Erode Attico. Wilamowitz 1928, 14, spiega dν/σσηται come

perfetto senza raddoppiamento del verbo vνοµαι, attestato solo qui. Sebbene

avverta la necessità di un forma verbale al futuro, egli si astiene dal congetturare

perché «müsste man dν/σσε*ται verbessern und eine unepische neue Form

einführen». Secondo Peek 1979, 81, dν/σσηται è invece congiuntivo di vνοµαι,

preceduto dalla negazione ο,,con il valore di futuro in proposizione indipendente,

caratteristico della lingua omerica, come, p. es., in Il. 1, 262 ο,γρπωτοους

gδοννραςο,δ(gδωµαιe 7, 197 ο,γρτςµεβpγεXκwνκονταδηται; ved.

Chantraine 1953, II, 330, §482.

Per quanto riguarda il pronome µιν, secondo Wilamowitz 1928, 30, è

necessario congetturare al suo posto la negazione µO. Questo intervento testuale

viene criticato da Peek che formula la seguente riflessione: «und welcher

Page 75: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

73

Schreiber würde gewöhnlichesµO in die ihm doch fremde Form µιν verwandeln?»

(Peek 1979, 81).

ΚεκροπΚεκροπΚεκροπΚεκροπδηνδηνδηνδην. La genealogia di Erode si apre con la sua presentazione come

discendente di Cecrope, primo re autoctono di Atene; sulla figura di Cecrope in

generale ved. Immisch 1890-4, 1014-24. Chiamare Erode Attico Κεκροπδης è un

preziosismo linguistico, che mette in risalto l’appartenenza del retore alla città di

Atene, poiché il sostantivo Κεκροπδης veniva usato come sinonimo di Sθηνα*ος

già a partire da Hdt. 8, 44, 12, dove lo storico racconta che gli Ateniesi presero il

nome di Cecropidi sotto il regno di Cecrope, Sθηνα*οι δ( )πC µ(ν Πελασγν

)χ/ντων τ$ν ν3νTλλδα καλεοµνην IσανΠελασγο, dνοµαζ/µενοιΚραναο,

)πCδ(Κκροποςβασιλος)πεκλOθησανΚεκροπδαι,)κδεξαµνουδ(hρεχθος

τ$ν ρχ$ν Sθηνα*οι µετωνοµσθησαν, cωνος δ( το3 Ξοθου στρατρχεω

γενοµνου Sθηναοισι )κλOθησαν π' τοτου cωνες; cfr. anche Ar. Eq. 1055

Κεκροπδηκακ/βουλε e Call. Del. 315 =νθενειζονταθεωρδος\ερ9Φοβ7/

ΚεκροπδαιπµπουσιτοπOιανη'ς)κενης; ved. anche commento a IG II2 3606,

24 = 190, 24 Ameling per l’uso della forma Κκροπες = Κεκροπδαι.

v. 31.ΤυρσηνΤυρσηνΤυρσηνΤυρσηννννν ρχαρχαρχαρχα****ονονονον ))))πισφπισφπισφπισφριον<γ>ριον<γ>ριον<γ>ριον<γ>ραςραςραςραςνδρνδρνδρνδρνννν. La fibbia con la

mezzaluna ()πισφριον), qualificata come antica (ρχα*ον) in collegamento alla

narrazione mitologica dei vv. 24-9, è presentata ora come segno d’onore dei

Tirreni (Τυρσηνν…νδρν) attraverso il sostantivo <γ>ρας, correzione di

Salmasius 1619, 128, di τρας della stele, accolto all’unanimità da tutti gli

studiosi, ad eccezione di Peek 1979, 77, il quale si chiede se qui Marcello di Side

non abbia voluto realmente intendere Wunderzeichen. L’origine etrusca dei

sandali, qui indicati per sineddoche dalla fibbia con la mezzaluna ()πισφριον),

viene menzionata per la prima volta da Verg. Aen. 8, 458 Tyrrhena pedum

circumdat uincula plantis, in cui Evandro viene ritratto nell’atto di allacciarsi ai

piedi i sandali tirreni, designati mediante il ricorso alla sineddoche uincula, che il

commentatore Serv. Ad Aen. 8, 458, intendeva come calcei senatorii,

ricordandone l’origine dagli Etruschi. Il fatto che Erode indossi anche il sandalo

dei patrizi è un’allusione al possesso della cittadinanza romana. In qualità di

cittadino romano Erode Attico entrò a fare parte dell’ordine senatorio e ricoprì

Page 76: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

74

cariche politiche importanti all’interno delle gerarchie di potere dell’Impero

romano.

v. 32. nnnnρσηςρσηςρσηςρσης ))))κγεγακγεγακγεγακγεγατα κατα κατα κατα καC TC TC TC Tρµρµρµρµω.ω.ω.ω. Erode rivendicava anche una

discendenza da Erse ed Ermes, genitori di Cerice (v. 33 Κ4ρυξ), fondatore della

famiglia dei Cerici, sacerdoti ateniesi di Demetra, cui spettavano le funzioni sacre,

quale quella di ierofante, portafiaccole, araldo sacro e sacerdote presso l’altare;

ved. Beschi-Musti, 1982, 411. Riguardo al personaggio di Cerice ved. Oehler

1921, Simon 1992 e Beck 1999.

Le fonti antiche tramandano notizie divergenti sull’identità dei genitori di

Cerice. Per quanto riguarda il padre, secondo l’attidografo Androt. FgrHist 324, F

1, il giovane era figlio di Ermes mentre secondo Andron FgrHist 10, F 13 di

Eumolpo. Quest’ultima informazione viene accolta da Paus. 1, 38, 3

τελευτOσαντος δ( Ε,µ/λπου ΚOρυξ νετερος λεπεται τν παδων, il quale

tuttavia riporta anche la tesi sostenuta dalla stessa famiglia religiosa dei Cerici,

secondo cui Cerice era in realtà il figlio di Ermes, [ΚOρυξ] ν α,τοC ΚOρυκες

θυγατρ'ς Κκροπος Sγλαρου καC Tρµο3 πα*δα εeναι λγουσιν, λλ0 ο,κ

Ε,µ/λπου. La discendenza dal dio viene anche citata da Hesych. κ 2560, s. v.

ΚOρυκες. Ancora più divergenti sono le informazioni relative al nome della madre

del giovane, perché, come sostiene Jacoby III 1954, 109, gli stessi membri della

famiglia sacerdotale dei Cerici nominano in tempi diversi le varie figlie di

Cecrope. Androzione (ved. supra) riporta Pandroso come madre di Cerice.

Secondo Jacoby l’attidografo, che è la fonte più antica sul tema, rispecchia la

tradizione ufficiale del clan dei Cerici del IV sec. a. C. La stessa informazione è

registrata da Pollux 8, 103, schol. in Hom. Il. 1, 334, schol. in Aeschin. 1, 20

mentre Pausania (ved. supra) riporta che i Cerici stessi consideravano madre del

giovane eleusino Aglauro42. Questa iscrizione invece rivendica come madre di

Cerice Erse e acquista maggiore credibilità rispetto alle altre testimonianze coeve,

«da es von einem hervorrangenden Mitgliede des Geschlechtes und gelehrten

Kenner des Attischen Alterthums ausgeht» (Dittenberger 1885, 2, n. 2); ved.

anche Simon 1992, 36. L’unione tra Ermes ed Erse è anche confermata da

42 Invece secondo Hellanic. FgrHist 323a F 1 Aglauro aveva generato ad Ares la figlia Alcippe mentre secondo Philoch. FgrHist 328 F 105 la fanciulla sacrificò se stessa per il bene della città di Atene.

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75

Apollod. 3, 14, 3, dal quale si apprende che Erse generò a Ermes il figlio Cefalo.

In Ov. Met. 2, 726-47, 809-13 Erse è descritta come la donna amata dal dio.

Jacoby III, 1954, 109, ritiene che l’oscillazione dell’attribuzione della maternità a

una delle figlie di Cecrope sia dovuta anche al fatto che le fonti antiche relative al

racconto dell’affidamento di Erittonio bambino alle cure delle tre figlie di Cecrope

da parte della dea Atena, presentano a volte Pandroso, a volte Erse, come l’unica

fanciulla che rimase fedele al divieto della dea di non aprire il cesto contenente il

bambino; ved. commento al v. 54.

v. 33.εεεε))))τετετετε''''νδνδνδνδ$.$.$.$. Si tratta di un nesso omerico che, ad eccezione di Od. 23,

107, dove ricorre in clausola di esametro, è adoperato nei poemi omerici sempre

ad apertura di verso; cfr. Il. 7, 359; 12, 233; 13,375; Od. 19, 216; 23, 36.

Ε )τε'ν δ$ viene adoperato anche dall’epica successiva come clausola di

esametro in Ap. Rh. 2, 209; 4, 292 e in Arat. Phaen. 1, 30.

ΘησηιΘησηιΘησηιΘησηιδαο.δαο.δαο.δαο.La genealogia di Erode si conclude con la figura di Teseo, il

sovrano che unificò l’Attica. Wilamowitz 1928, 15, definisce Θησηιδης

«Neubildung nach Πηλιδης», usato con il significato di «Athener». Tanto questo

genitivo in -αο quanto il precedente in -εω (ρδεω) sono tipici della lingua

omerica.

v. 34. το το το τονεκα τειµνεκα τειµνεκα τειµνεκα τειµOOOOεις καεις καεις καεις καC )C )C )C )ππππνυµοςνυµοςνυµοςνυµος. La genealogia divina e mitica di

Erode Attico viene presentata al v. 34 come il motivo degli onori a lui consessi;

vedi a riguardo Galli 2002, 116. Secondo Franzius 1853, 924, «τιµOεις ad

dignitatem senatoriam pertinet; )πνυµος ad consulatum». La forma τειµOεις

della pietra corrisponde aτιµOεις.

vv. 34-35. IIIIµµµµ((((ννννmmmmνασσα[ν]/νασσα[ν]/νασσα[ν]/νασσα[ν]/ ))))ςβουλςβουλςβουλςβουλ$$$$ννννγγγγρεσθαι.ρεσθαι.ρεσθαι.ρεσθαι. In questi versi il poeta

ricorda l’ammissione di Erode Attico al Senato romano. Wilamowitz 1928, 15,

così parafrasa il testo greco: «τιµ;ται καC )πνυµ/ς )στιν, Qστε τ' µ(ν ες τ$ν

σγκλητονκληθ4ναιεςπροεδραν». Peek 1979, 81, osserva che in base a Il. 18,

245 )ςδ0γορ$νγροντο, modello di Marcello per questa espressione, il verbo

γρεσθαι «kann eigentlich nur einen Plural bei sich haben» e pertanto corregge

l’interpretazione di Wilamowitz in «er versammelte sich zu den Vätern, wurde zu

d. V. versammelt» (Peek 1979, 81).

Page 78: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

76

La proposizione finale-consecutiva, espressa dall’infinito γρεσθαι,

descrive la partecipazione di Erode alle sedute del Senato romano come il

massimo onore politico conferitogli. Essa è introdotta dalla congiunzione epica I

µ(ν, in correlazione con δ del v. 36, dove Marcello celebra Erode Attico come il

più grande retore della Grecia.«Iµ(ν zeigt, daß eigentlich das Entsprechende für

Athen folgen sollte, dafür tritt das stärkere ein, daß ihm in ganz Hellas der erste,

königliche Rang zusteht durch Adel der Zukunft und Ruhm als Redner»

(Wilamowitz 1928, 15). La correlazione I µν= ^µν…δ è piuttosto rara ed è

attestata solo in Il. 12, 428 e corrisponde a ^µν…^δ,^µν…κα,^µν…τ;per

le attestazioni di queste congiunzioni ved. Denniston 19542, 287. Essa ha il

significato di «“verily on the one hand”, “verily on the other”» (Denniston 19542,

287).

Singolare è l’uso del sostantivo mνασσα come aggettivo, per il quale Peek

1979, 81, ricorda che Kaibel aveva citato a confronto Mart. 14, 1 Jakob

dominusque senatus43.

rrrrναπρωτναπρωτναπρωτναπρωτ////θρονεςθρονεςθρονεςθρονες¨δραι.δραι.δραι.δραι. L’aggettivo πρωτ/θρονοςè un epiteto di Artemide

in Call. Dian. 228. Paus. 10, 38, 6 τ4ς Πρωτοθρονης καλουµνης Sρτµιδος,

conosceva a Efeso l’esistenza di un’altare dedicato alla dea Artemide che ha il

primo trono. Al pluraleπρωτ/θρονεςè attestato solo qui come aggettivo di ¨δραι

e precisa che nel Senato romano il posto di Erode è in prima fila. Cfr. anche

Nonn. Paraphr. Jo. 11, 189-90 χιγερ/ντων/ες¿νγειροµνωνπρωτ/θρονος

¨ζετοβουλO.

vv. 36-37. TTTTλλλλλλλλδι δδι δδι δδι δ0000 οοοοτε γτε γτε γτε γνος βασιλενος βασιλενος βασιλενος βασιλετερος οτερος οτερος οτερος οτε τι φωντε τι φωντε τι φωντε τι φων$$$$ν /ν /ν /ν / ρρρρδεω,δεω,δεω,δεω,

γλγλγλγλσσσσσσσσν δν δν δν δ ττττ µιν καλµιν καλµιν καλµιν καλουσινουσινουσινουσιν SSSSθηνθηνθηνθηνωνωνωνων. In Grecia Erode si distingue per

l’appartenenza a una famiglia che vanta antenati mitici e per la sua abilità retorica,

che gli ha assicurato l’onore di essere battezzato lingua della Grecia. L’elogio

della superiorità di Erode è formulata in toni solenni anche in Corinth VIII 3, 128

= 100 Ameling, dove egli viene definito µγας…=ξοχοςmλλων(v. 3), [iπ]/ʖσιν

TλλOνωνπερβωτονxπντων(v. 5),mνθοςSχαιιδος(v. 6);cfr. commento ad

loc. Il superlativo βασιλετερος è attestato nella lingua omerica in Il. 9, 160, 392;

43 Jakob aveva accolto nel testo di Marziale la lezione senatus di βγ mentre BAILEY 1990 stampa senator di T.

Page 79: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

77

10, 239; Od. 15, 533, dove designa la potenza di un sovrano; ved. Schmidt 1982a,

s. v. Esso viene ripreso da Tyrt. fr. 9, 7 Gentili-Prato ο,δ0εΤανταλδεωΠλοπος

βασιλετεροςεgη; Ap. Rh. 4, 1102 ο,γρτιςβασιλετεροςΑOταο e Orph. Arg.

851 κρναντες τιν0 mριστον, < ς βασιλετερ/ς )στιν44. Qui βασιλετερος è

accompagnato dai due accusativi di relazione γνοςe φωνOν.

I vv. 36-7 richiamano degli appellativi con cui gli allievi di Erode Attico

solevano chiamare il loro maestro. Flavio Filostrato, p. es., racconta nella vita di

Adriano di Tiro (V. S. 2, 586, 15) che questi chiamava Erode il re dell’eloquenza

(τ'νβασιλατνλ/γων). Anche Rufo di Perinto (V. S. 2, 598, 11-13) era solito

denominare il maestro signore (δεσπ/την), lingua dei Greci (TλλOνωνγλτταν),

re dei discorsi (λ/γωνβασιλα) e attraverso altri appellativi del genere.

Per quanto riguarda la successione delle due particelle δ τε Wilamowitz

1928, 15, annota che queste possono essere spiegate solo come un antico uso

epico; ved. Denniston 19542, 528-9.

vv. 38-40. Con questi versi Marcello riporta l’attenzione su Regilla,

completandone la discendenza da personaggi mitici, quali Enea (v. 38 Ανεινη),

Ganimede (v. 39 Γανυµηδεη) e l’intera stirpe troiana (v. 39 ∆αρδνιον γνος)

fino al fondatore della città di troia Troo, figlio di Erittonio (v. 40 Τρω'ς

hριχθονδαο). La citazione degli antenati mitici di Regilla richiama alla mente Il.

20, 215-242, dove Enea illustra ad Achille la sua stirpe. In questo modo il poeta

accresce il grado di dignità della donna.

v. 38. iiiiδδδδ(((( κακακακαCCCCαααα,,,,ττττOOOOπερκαλλπερκαλλπερκαλλπερκαλλσφυροςσφυροςσφυροςσφυροςΑνεινη. Il sostantivo Ανεινη è

attestato solo in questo epigramma di Marcello che attraverso l’epiteto omerico

καλλσφυρος «mit schönen Fesseln»(Führer 1989b, s. v.) descrive la bellezza di

Regilla alla stregua di quella di mitiche figure femminili: Marpessa in Il. 9, 557,

560, Danae in Il. 14, 319, Ino in Od. 5, 333 ed Ebe in Od. 11, 603. In H. Hom.

Cer. 453 καλλσφυρος qualifica la bellezza della dea Demetra mentre in H. Hom.

Diosc. 2 è un epiteto di Leda. Sulla funzione dell’epiteto καλλσφυρος cfr. Apoll.

44 DE MARTINO-VOX 1996, 574, precisano che «da un sostantivo è possibile formare comparativi e superlativi» e ricordano i parodici κντατος e Dστατος di Timo Fliasius fr. 51, 2 Di Marco,χαριστερος di Tyrt. fr. 9, 5 Gentili-Prato e λιοδωρ/τερον dal nome proprio λι/δωρος di Lucil., A. P. 11, 134, 4.

Page 80: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

78

Lex. Hom. 94, 21 καλλσφυρος. π' Xν'ς µρους τ$ν Rλην καλ$ν βολεται

δηλο3ν.

Per quanto riguarda la particella enclitica περ, essa viene impiegata qui dal

poeta semplicemente per sottolineare il termine cui si riferisce secondo un uso

omerico registrato, p. es., in Il. 21, 308 φλεκασγνητεσθνοςνροςµφ/τερο

περ; per altri esempi ved. Denniston 19542, 482, il quale spiega che «the particle

denotes, not that something is increased in measure, but that the speaker

concentrates on it to the exclusion of some other particular thing thus excluded or

contrasted».

v. 39. ΓανυµηδεΓανυµηδεΓανυµηδεΓανυµηδεηηηη. Il sostantivo è attestato solo qui e presenta Regilla come

discendente di Ganimede, figlio di Troo, il quale in Il. 20, 231-2 viene definito

pari agli dei nonché il più bello di tutti quanti i mortali; ved. Drexler 1886-90 e

Friedländer 1910. «Being famous for his good looks, Ganymedes may well have

been mentioned in this context also in order to further enhance Regilla’s own

beauty» (Skenteri 2005, 42).

vv. 40-1.Con il v. 40 il poeta conclude la prima parte del poemetto dedicata

alla descrizione della discendenza di Erode e di Regilla e inizia a illustrare la

condizione della donna dopo la morte. Il passaggio a questa nuova sezione è

segnato dall’invito a compiere sacrifici, rivolto direttamente al lettore. In questo

modo Marcello ritorna al tema con cui egli aveva aperto il componimento; cfr. vv.

1-2.

\\\\ερερερερ9 N9 N9 N9 Nξαιξαιξαιξαι. Questo sintagma è presente in Il. 1, 147 vφρ0 `µιν Xκεργον

\λσσεαι\ερ9Nξας; Od. 1, 61 Sργεωνπαρ9νηυσCχαρζετο\ερ9Nζων e 3, 5

τοCδ0)πCθινCθαλσσης\ερ9Nζον.

θθθθ3333σαι.σαι.σαι.σαι. Il verbo è qui usato in senso assoluto con il significato di «offer

sacrifice» (LSJ, s. v. θ3ω, 3). Dal momento che tutti e due gli imperativi fanno

riferimento al sacrificio, Wilamowitz 1928, 15, puntualizza che «\ερ9Nξαιmuss

weniger sein als θ3σαι, da nur dies als nicht gefordert hingestellt wird».

v. 41. θυ θυ θυ θυωνωνωνων ττττ9999ρ ορ ορ ορ ο,,,,κκκκ κοντοςκοντοςκοντοςκοντος ννννγκη.γκη.γκη.γκη. L’uso di θος al plurale è

caratteristico di Omero; ved. Führer 1989a, s. v. Il sostantivo indica «Brandopfer

im Ggs. zu Trank- (λοιβO, σπονδO) u. Schlachtopfer» (Führer 1989a, s. v.).

Wilamowitz 1928, 15, pone la sua attenzione sull’insolita sequenza delle parole:

Page 81: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

79

«τρ nachgestellt ganz ungewöhnlich, Dindorf belegt es im Thesaurus aus den

Sibyllinen XI 229, wo es nicht entbehrt werden kann. Auch ο, ist kühn von

νγκη getrennt, und κοντος steht für den bequemen Dativ nur um den Hiat zu

meiden; bei normaler Stellung würde der Genitiv für )9ν δ( µ$ θληι leichter

verstanden». Il genitivo κοντος in Omero è usato come genitivo assoluto nel

significato di «gegen das Wollen einer Person»; ved. Philipp 1956, s. v. κων IV,

1-2.

v. 42.ε<ε<ε<ε<E>E>E>E>δδδδτοιετοιετοιετοιε,,,,σεβσεβσεβσεβεσσικαεσσικαεσσικαεσσικαC-C-C-C-ρρρρωνωνωνωνλεγλεγλεγλεγζειν.ζειν.ζειν.ζειν.La pietra presenta ad

apertura di questo verso ΕΙ∆ΕΤΟΙche Kaibel 1878, 465, corregge in ε<E>δ

τοι con approvazione degli studiosi successivi. Qui l’avverbio εEha il significato

di καλ/ν. Si tratta di una proposizione ellittica da cui dipende l’infinito λεγζειν.

Con il valore di predicato εE è attestato in Aesch. Ag. 216, Ch. 166, 338, Eur. Alc.

627, SIG3 953, 9. Wilamowitz 1928, 15, benché stampi nel testo la congettura di

Kaibel, rivela i suoi dubbi: «Ich habe Kaibels εE δ τοι ε,σεβεσσι λεγζειν

nicht ohne Bedenken aufgenommen, denn sei auch εE für καλ/ν gesagt, was

schon nicht bequem ist, so liegt darin nicht die Pflicht, und sie erwartet man.

Daher lag der Einfall ε,σεβς )στι (Jacobs) nahe, aber dann ist λεγζειν zu

schwach, denn das tut auch der, welcher nicht θει. Treffend ist nur ο,κνγκη

θειν,νγκηδ(το*ςγεε,σεβσιντν-ρων)πιστρφεσθαι.Vielleicht ist also

iδτοι (d. h. νγκη) vorzuziehen».Sulla base di questa osservazione Wilhelm

1939, 208, congettura la forma verbale <δ>ε*, da cui dipendono l’infinito

λεγζειν e il dativo della persona ε,σεβεσσι al posto del più comune

accusativo. Per questa costruzione di δε*con il dativo, Wilhelm 1939, 208, cita da

Kühner-Gerth 1898 I, 297 degli esempi, cioè Soph. OC 721 ν3ν σοι (così LA,

Nauck: σ'ν) τ9λαµπρ9τα3ταδε*(così A, δ$ L e Nauck: δ$)φανειν=πη;Eur.

Hipp. 940-1 θεο*σιπροσβαλε*νχθονC/mλληνδεOσειγα*αν; Xen. An. 3, 4, 35 δε*

)πισξαιτ'νrππονΠρσpνδρι; Mem. 3, 3, 10 εgσοιδοιδιδσκεινed Oec. 8,

9διαλγεινδοια,τ2.

vv. 43-45. In questi versi la nuova condizione di Regilla viene espressa

attraverso una serie di espressioni caratterizzate dalla litote e dall’anafora delle

negazioni οτε(v. 44) e ο,δ(v. 45).

Page 82: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

80

v. 43. οοοο,,,,µµµµ((((γγγγγγγγ9999ρθνητρθνητρθνητρθνητO,O,O,O,ττττ9999ρορορορο,,,,δδδδ((((θθθθαιναταιναταιναταιναττυκται.τυκται.τυκται.τυκται. «Sensus loci est, si quis

volet rem divinam Regillae facere, faciat. Nemo vero ad hoc cogitur» (Fiorillo

1801, 164-5). Peek 1979, 82, vi legge una possibile eco di Il. 5, 402 ο,µ(νγρτι

καταθνητ/ςγεττυκτο. Caratteristici della lingua omerizzante sono qui sia l’uso

della congiunzione avversativa τρ, per rafforzare l’opposizione al predicato

precedente (cfr. supra), sia la collocazione della forma verbale ττυκται in

clausola, presente anche nell’epigramma SEG 23, 121, 3 = 99, 3 Ameling τ/µοι

οκατα3ταττυκται in onore di Regilla defunta; cfr. commento ad loc. Per Galli

2002, 116 «im Vers 43 ist eine bewusste semantische Ambivalenz festzustellen:

„nicht sterblich - kein Göttin“; dieser rhetorische Chiasmus wird auf den

Charakter der in der Inschrift erwähnten Baulichkeiten übertragen».

L’ambivalenza semantica è determinata, secondo lo studioso, dalla particolarità

della costruzione dedicata a Regilla nel Triopio. «Der Text weist den Betrachter

sehr deutlich darauf hin, daß das, was er beobachtet, kein Grabbau für eine

wirkliche Bestattung ist, sondern ein Denkmal, das auf sakrale sowie sepulkrale

Gestaltungsformen anspielt (Galli 2002, 116).

v. 44. τοτοτοτονεκεννεκεννεκεννεκεν οοοοτετετετε νενενενεwwwwνννν \\\\ερερερερ''''νννν λλλλχενχενχενχεν οοοοτετετετε τιτιτιτι ττττµβονµβονµβονµβον.... Anche in Corinth

VIII, 3, 128, 5 = 100, 5 Ameling [iπ]/ʖσινTλλOνων=λαχενπερβωτονxπντων,

la sorte privilegiata assegnata a Regilla viene espressa dal verbo λαγχνω.

v. 45.οοοο,,,,δδδδ((((γγγγραθνητοραθνητοραθνητοραθνητο****ς,ς,ς,ς,ττττ9999ρορορορο,,,,δδδδ((((θεοθεοθεοθεο****σινσινσινσινRRRRµοια.µοια.µοια.µοια. Wilamowitz 1928, 16,

osserva che «43 und 45 ist mit Absicht der vierte Fuß zerrissen». In tutti e due i

versi il poeta fa uso della litote, della congiunzione avversativa τρ per

rafforzare il significato della disgiuntiva ο,δ, dell’aggettivo θνητ/ς e

rispettivamente dei sostantivi θαιναe θε/ς. Le offerte da portare a Regilla sono

diverse tanto da quelle per i mortali quanto da quelle dovute agli dei perché

devono essere proprie di un’eroina.

46. σ σ σ σ4444µα µµα µµα µµα µν ον ον ον ο\\\\ νηνηνηνη2 g2 g2 g2 gκελον δκελον δκελον δκελον δOOOOµµµµ7 )7 )7 )7 )νννν SSSSθθθθOOOOνης.νης.νης.νης. A questo punto del lungo

epigramma Marcello specifica che la tomba di Regilla si trova in Attica e che è

simile a un tempio. Peek 1979, 82, cita come parallelo per l’espressione σ4µαµν

ο\νη2gκελονSEG XIV 666, 1µν4µ0 gκελονναο*σιθε[νπρπον)στιθαν/ντι]

mentre Ameling 1983, 159 Stat. Silv. 5, 3, 48 par templis opus come già aveva

osservato Fiorillo 1801, 166. Questa stessa informazione relativa alla tomba di

Page 83: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

81

Regilla viene anche offerta da IG XIV 1392 = 145 Ameling ρδηςµνηµε*ον

καC το3το εeναι τ4ς αjτο3 συµφορ;ς καC τ4ς ρετ4ς τ4ς γυναικ/ς. =στιν δ( ο,

τφος·τ'γ9ρσµα)ντoTλλδικαCν3νπαρ9τ2νδρ)στιν. Per Galli 2002,

117, questo verso è una prova del fatto che Erode Attico volesse instaurare dei

collegamenti tra le varie costruzioni fatte edificare in diversi luoghi per la

memoria della moglie.

L’uso del termine σ4µα come tomba è già omerico; ved. Langholf 2006, s.

v. σ4µα, 2. Per σ4µα in apertura di esametro accompagnato dal dativo della

persona cfr. Od. 2, 222 e 11, 75, in cui sostantivo e pronome sono separati dalla

particella enclitica δ.

L’espressioneδOµ7 )ν SθOνης è una perifrasi per indicare la città di Atene,

così come nel verso successivo σκ4πτρον !αδαµνθυος descrive le isole dei

beati.

47. ψυχψυχψυχψυχ$$$$ δδδδ(((( σκσκσκσκ4444πτρονπτρονπτρονπτρον !!!!αδαµαδαµαδαµαδαµνθυοςνθυοςνθυοςνθυος µφιπολεµφιπολεµφιπολεµφιπολεει.ει.ει.ει. Il v. 47 si apre con il

sostantivo ψυχO, contrapposto a σ4µα del verso precedente. Qui Marcello

sottolinea il fatto che, sebbene il corpo di Regilla sia custoditο in Attica, l’anima

serve lo scettro di Radamante. Sulla figura mitica di Radamante ved. Jessen 1909-

15, Malten 1914 e Schlapbach 2001.

Σκ4πτρον!αδαµνθυος è una sineddoche e indica le isole dei beati. Già ai

vv. 8-9 il poeta aveva indicato in questa sede la dimora di Regilla dopo la morte.

La contrapposizione tra il destino riservato al corpo (σ4µα) e quello riservato

all’anima (ψυχO) è tipica degli epitaffi, dove è anche attestata la presentazione

delle isole dei beati come luogo riservato alle anime degli uomini divenuti semidei

dopo la morte; ved. Lattimore 1942, 31-6. L’associazione di Radamante con le

isole dei beati risale già ad Od. 4, 563-4 che stabilisce in questo luogo la dimora

del figlio di Zeus ed Europa.

Dai vv. 8-9 e 47 è deducibile che Marcello di Side rappresenti le isole dei

beati secondo una tradizione mitica che aveva fatto di Radamante il regnante di

questo luogo in qualità di paredro di Crono; cfr. Pind. O. 2, 75-7 βουλα*ς )ν

dρθα*σι!αδαµνθυος,/νπατ$ρ=χειµγαςXτο*µονα,τ2πρεδρον,/π/σις

Page 84: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

82

πντων !ας / jπρτατον )χοσας θρ/νον45. La presentazione di Regilla come

ancella dello scettro di Radamante è anche un elogio della sua σωφροσνη,

ricordata in Corinth VIII 3, 128, 2 = 100, 2 Ameling e presentata al v. 10 di

questo componimento come il motivo del privilegio ottenuto dopo la sua morte.

La poesia arcaica aveva fatto di Radamante un esempio di giustizia (cfr. Hes. fr.

141 Merkelbach-West; Ibyc. fr. 309 Page) e di saggezza (Theogn. v. 701 West2;

Pind. P. 2, 73-4). «wollte man einen gerechten Mann loben, so sagte man, er zeige

Ραδµανθυς τοMς τρ/πους (Bekker, Anecd. Graec. 1, 61, 23) [= fr. adesp. 656

Kassel-Austin], oder er sei noch gerechter als Rh. (Euripid. Kyklops 273)» (Jessen

1909-15, 78). Per queste qualità Radamante era stato chiamato a giudicare le

anime dei defunti insieme ai fratelli Eaco e Minosse. Come legislatore dei defunti

Radamante compare in Plat. Ap. 41a 3, Gorg. 523e 6-524a 4, Dem. 18, 127,

Aristot. EN 1132b 25, Apollod. 2, 4, 9 e 3, 1, 2.

v. 48. το το το το3333τοδτοδτοδτοδ((((ΦαυστεΦαυστεΦαυστεΦαυστεννννpppp κεχαρισµκεχαρισµκεχαρισµκεχαρισµνοννοννοννον ttttσταισταισταισται mmmmγαλµαʖγαλµαʖγαλµαʖγαλµαʖ....Alla precisazione

della collocazione del corpo e dell’anima di Regilla in due luoghi distinti (vv. 46-

7) segue ora l’indicazione della presenza della statua della donna nel territorio del

Triopio romano (το3το … mγαλµαʖ), cui viene riferita l’espressione Φαυστενp

κεχαρισµνον, attraverso la quale Marcello indica per la prima volta per nome

l’imperatrice Faustina deificata.

vv. 49-50. δδδδOOOOµµµµ7 )7 )7 )7 )ννννCCCC ΤριΤριΤριΤρι////πεω,πεω,πεω,πεω, rrrrνα ονα ονα ονα ο\\\\ ππππρος ερος ερος ερος ε,,,,ρρρρεςεςεςες γρογρογρογροC /C /C /C / κακακακαCCCC χορχορχορχορ''''ςςςς

----µερµερµερµερδων καδων καδων καδων καC )C )C )C )λαιλαιλαιλαιOOOOεντεςεντεςεντεςεντες mmmmρουραι.ρουραι.ρουραι.ρουραι. Questi versi descrivono il Triopio come un

locus amoenus, ricco di coltivazioni di uliveti e vigneti appartenuti a Regilla come

si legge in IG XIV 1391 = 144 Ameling Sννα!ηγλλαρsδουγυνO, τ'φς

τ4ς οκας, τνος τα3τα τ9 χωρα γγοναν· Annia Regilla Herodis uxor lumen

domus cuius haec praedia fuerunt.

δδδδOOOOµµµµ7)7)7)7)ννννCCCCΤριΤριΤριΤρι////πεω.πεω.πεω.πεω. Il sostantivo δ4µοςnell’accezione di«district, country,

land» (LSJ, s. v.), seguito dal genitivo singolare del nome di un paese, rientra tra

le caratteristiche della lingua omerizzante; cfr. Il. 3, 201 = Od. 13, 97 = 15, 534 =

16, 419 )νδOµ7|θκης; Od. 1, 136 Ιθκης)νCδOµ7;1, 237 Τρων)νCδOµ7;

45 In merito JESSEN 1909-15, 81, sostiene che «Pindar vereinigt offenbar zwei verschiedenen ältere Sagen: nach der einen war Kronos der eigentliche Herrscher auf den Inseln der Seligen, nach der anderen, die spät Lukian, ver. hist. 2, 6 ff. so weit ausgeschmückt wiedergibt, war Rh. dort der oberste Gebieter».

Page 85: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

83

13, 266 δOµ7=νιΤρων; Il. 16, 437 = 514 Λυκης)νπονιδOµ7; ved. Schmidt

1982c, s. v.δ4µος. Al v. 64 il poeta riprende il nesso δ4µον…Τρι/παο.

----µερµερµερµερδων.δων.δων.δων. Per la chiusura dell’hemiepes maschile con -µερδωνcfr. v. 82

µηδ τις -µερδων vρχους, < )ς mλσεα δνδρων, dove il sostantivo χορ/ς è

sostituito dal sinonimo vρχος, e Maced. A. P. 11, 63, 2 )λπσιν-µερδωνNψατε

τ$νπενην e Opp. C. 1, 127 καCβ/τρυς-µερδωνθλβων)πιλOνιαχαρει.

))))λαιλαιλαιλαιOOOOεντεςεντεςεντεςεντεςmmmmρουραι.ρουραι.ρουραι.ρουραι. Fiorillo 1801, 167, annota «)λαιOεντες pro )λαιεσσαι

dixit.Sic Homerus Od. α´, 246. jλOεντιΖακνθ7, pro a jλησση». L’aggettivo

)λαιOεις è attestato per la prima volta in Soph. fr. 457 Radt νηδMς...)λαιεσσα,

dove significa «oily» (LSJ, s. v.), ed è ripreso in età ellenistica da Nic. Ther. 676

Ασαιδ0 =γχλοαφλοι'ν )λαιOεντακρ/τωνος, con il significato di «of the olive-

tree» (LSJ, s. v.). Qui )λαιOεις qualifica il sostantivo mρουρα al plurale e assume

l’accezione di «planted with olives» (LSJ, s. v.). Per la collocazione di mρουραιin

clausola di esametro cfr. Il. 14, 122; 23, 599; Hes. Op. 461; Ap. Rh. 1, 451; 4,

271, Arat. 1, 150, 868, 902, 1050; Opp. C. 1, 464; 2, 150; D. P. 950.

v. 51. ο ο ο ο µ<ι>νµ<ι>νµ<ι>νµ<ι>ν τιµτιµτιµτιµOOOOσειε θεσειε θεσειε θεσειε θεO,O,O,O, βασβασβασβασλεια γλεια γλεια γλεια γυναικυναικυναικυναικν.ν.ν.ν. La stele presenta la

lezione µOν corretta in µιν per ovvi motivi metrici. Per l’uso dell’ottativo senza mν

Kühner-Gerth 1904, II, 225, annotano: «Demnach ist der Optativ (ohne mν) in

Hauptsätzen zunächst als optativus potentialis der Ausdruck des bloss

Vorgestellten, der subjektiven Annahme, wobei das Verhältnis dieser Annahme

zur Wirklichkeit außer Betracht bleibt». Wilamowitz 1928, 16, precisa: «mν beim

Optativ fortgelassen, seit Arat in der Poesie unbestreitbar».

L’intero verso fa riferimento alla nuova Demetra, cioè a Faustina, qui

indicata come θεO, forma ionica non attestata nell’epica omerica, bensì in quella

ellenistica di Ap. Rh. 3, 252 )πε Nα θε4ς α,τ$ πλεν ρOτειρα; 549 ε )τε'ν

Φινες γε θεo )νCΚπριδι ν/στον / πφραδεν =σσεσθαι; 4, 241 Ο\ δ0, νµου

λαιψηρ9θε4ςβουλoσινντος ³Ηρης;cfr. anche Rhian. fr. 67, 5 Powell e Nic.

Ther. 16 e 487. Al sostantivo θεO si accompagna, a fine di esametro, l’epiteto

βασλειαγυναικν, come in Od. 11, 258, dove qualifica Tiro.

v. 52.µφµφµφµφπολονγερπολονγερπολονγερπολονγερωνωνωνων====µεναικαµεναικαµεναικαµεναικαCdCdCdCdππππονανονανονανονανµφηνµφηνµφηνµφην. In modo simile Ecate

viene presentata come ministra di Persefone in H. Hom. Cer. 440 )κ το3 ο\

πρ/πολος καC dπων =πλετ0 mνασσα; ved. Fiorillo 1801, 168. Per µφπολος

Page 86: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

84

nell’accezione di «prist, sacrist» (LSJ., s. v., 3)cfr.Eur. IT 1114; fr. 992 Kannicht

µφπολος ρεος νιρου; Antip. Sid. A. P. 7, 425, γλα3ξ ªδε γλαυκ;ς

Παλλδοςµφπολον e IGUR III 1356, 1 τ$ν∆ι'ςµφπολ/νµεΧελιδ/να; ved.

anche Fiorillo 1801, 168-9.

Per quanto riguarda dπων, in Omero e nei tragici è un sostantivo che

designa il compagno o lo scudiero. Qui invece dπωνè usato come aggettivo nel

significato di «following» (LSJ, s. v.). Si tratta di un uso tardo attestato per la

prima volta in Opp. H. 5, 489 τοpγ9ρdπονινOχετοNιπp.

53.οοοο,,,,δδδδ((((γγγγ9999ρρρρ||||φιφιφιφιγγγγνειαννειαννειαννειαν ))))θρονοςθρονοςθρονοςθρονος||||οχοχοχοχαιρααιρααιρααιρα. Nei versi 53-4 il poeta offre

due esempi di ancelle che dopo la morte ottennero il privilegio di diventare

sacerdotesse delle loro dee protettrici. L’anafora della negazioneο,δ(vv. 53-5)

stabilisce un parallelo tra il comportamento delle dee e quello che verrà assunto da

Faustina nei confronti di Regilla.

Il primo esempio mitico riguarda Ifigenia, salvata dalla dea Artemide in

Aulide, prima che si compisse il sacrificio della vergine per placare l’ira della dea;

su Ifigenia e i culti religiosi connessi ved. Krauskopf 1990, Larson 1995 e

Johnston 1998. Franzius 1853, 925, è del parere che qui Marcello non si riferisca

al sacerdozio di Ifigenia in Tauro, poiché in quel periodo la fanciulla era ancora

una mortale, ma a quello in Brauro, dove Ifigenia aveva un culto accanto a quello

di Artemide. La dea non viene qui chiamata per nome. La sua identità viene

invece rivelata dagli epiteti )θρονος e |οχαιρα. Il primo è insolito per

Artemide, visto che in Omero è sempre riferito ad Aurora, mentre in Pind. I. 2, 5

qualifica la dea Afrodite e in P. 9, 60 e Bacch. 15, 3 le Ore. La seconda qualifica

invece è un epiteto poetico di Artemide che illustra l’amore della dea per la

caccia, ed è attestato sin dai poemi epici in clausola di esametro; ved. Wernicke

1895, 1345.

54.οοοο,,,,δδδδ0n0n0n0nρσηνγοργρσηνγοργρσηνγοργρσηνγοργπιςπιςπιςπιςπητπητπητπητµησενµησενµησενµησενSSSSθθθθOOOOνη.νη.νη.νη. La seconda eroina che dopo

la morte venne onorata con un sacerdozio divino è Erse; ved. Sittig 1912, Kron

1981 e Waldner 1998. Franzius 1853, 925, ricorda che nessun’altra fonte

menziona Erse come sacerdotessa di Atena «sed hanc quoque pro eroina cultam

esse suspicari licet inde, quod eius soror Aglaurus fanum habebat». Seeliger 1886-

90, 2590, aggiunge che Erse, insieme alle sorelle Aglauro e Pandroso, veniva

Page 87: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

85

venerata ad Atene come ninfa della fertilità; ved. Baudy 1992. Larson 1995, 39,

cita una processione in suo onore, chiamata Erseforia, confusa con l’Arreforia;

ved. Nilsson 1955 I2, 441-2 e Burkert 1966, 6.

La figura di Erse è legata al mito delle tre figlie di Cecrope che violarono il

divieto della dea Atena di non aprire la cesta in cui giaceva Erittonio neonato,

affidato alle loro cure. Secondo Apollod. 3, 14, 6, tutte e tre le fanciulle vennero

uccise dai serpenti che avvolgevano il bambino, mentre secondo Eur. Ion 24-6,

273-5 e Paus. 1, 18, 2, esse, rese folli dalla dea adirata, si diedero la morte

gettandosi dall’alto dell’acropoli. Il mito conosceva anche altre versioni secondo

le quali soltanto una delle figlie di Cecrope, o Pandroso (Paus. 1, 18, 2 e Apollod.

3, 14, 6) o Erse (Antig. Caryst. 12, 2) sarebbe rimasta fedele alla promessa fatta

alla dea.

Il poeta, che al v. 33 aveva già presentato Erse come madre di Cerice,

facendosi portavoce di Erode Attico, esponente della famiglia dei Cerici,

privilegia la versione del mito che libera Erse dalla hybris nei confronti di Atena e

rivendica in questo modo alla fanciulla l’onore divino dopo la morte come premio

per la sua fedeltà. In questo modo Marcello contribuisce a conferire maggiore

prestigio alla discendenza mitica del ricco ateniese; cfr. anche commento al v. 32.

Il nome della dea Atena viene accompagnato dall’epiteto γοργπις

«terribilis aspectu» (TLG, s. v.); così viene qualificata anche in Soph. Aj. 450 e fr.

760, 2 Radt.

55-6. ο ο ο ο,,,,δδδδ µινµινµινµιν ----ρρρρssssννννppppσι παλαισι παλαισι παλαισι παλαιooooσιν µεδσιν µεδσιν µεδσιν µεδουσα / Καουσα / Καουσα / Καουσα / Κασαροςσαροςσαροςσαρος φθφθφθφθµοιοµοιοµοιοµοιο

παρπαρπαρπαρ////ψεταιψεταιψεταιψεται vvvvµπνια µµπνια µµπνια µµπνια µOOOOτηρτηρτηρτηρ. Per la forma -ρsνpσι ved. commento a v. 8. A

Wilamowitz 1928, 17, si deve l’identificazione della madre dell’imperatore

(Κασαρος … µOτηρ) con Faustina e non con Domizia Calvilla, come avevano

voluto i suoi predecessori. Faustina maggiore viene presentata attraverso gli

epitetiµεδουσα e vµπνια. In Omero la forma maschile µεδων viene impiegata

come epiteto di Zeus nella formula Ζε3πτερcδηθενµεδωνκδιστεµγιστε,

attestata, p. es., in Il. 3, 276; ved. Führer 1993a, s. v. Il femminile µεδουσα è una

qualifica di molte divinità, quali Afrodite in H. Hom. Ven. 10, 4, Mnemosyne in

Hes. Th. 54, e Atena in Ar. Eq. 585, 763 e Plu. Them. 10. La costruzione con il

dativo (-ρsνpσι παλαιoσιν) è già attestata in Pind. O. 7, 87-8 Ζε3 πτερ,

Page 88: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

86

ντοισινSταβυρου /µεδων e in Maced. A. P. 6, 30, 7 µεδωνκαCχθονCκαC

πελγει.

Per quanto riguarda la definizione di Faustina come vµπνια, questo epiteto

ne mette in risalto il ruolo di nuova Demetra perché vµπνια è un epiteto di

Demetra in Call. Aet. fr. 1, 10 Pfeiffer, ripreso anche da Nonn. 11, 213. Hesych ο

828, glossa vµπνια come καρποφ/ρος e s. v. vµπνιοςλειµν (ο 831) aggiunge:

τνπυρνωνκαC∆ηµητρωνκαρπν·)πεC¥µπνια-∆ηµOτηρ.

Il v. 56 si caratterizza per il riferimento all’imperatore in carica Marco

Aurelio, cui viene riferito l’epiteto omerico gφθιµος«strong, mighty» (Beck 1989,

s. v.), che Marcello riprende al v. 98 per caratterizzare la forza con cui Triope

devastò il maggese di Demetra a Cnido (ved. infra).

57.))))ςχορςχορςχορςχορ''''νννν))))ρχοµρχοµρχοµρχοµνηνπροτερνηνπροτερνηνπροτερνηνπροτερωνωνωνων----µιθεµιθεµιθεµιθεωνωνωνων. Il v. 57 è una metafora della

trasformazione in eroina di Regilla, che viene ritratta mentre giunge nel coro delle

antiche semidee. Per l’espressione προτερων-µιθεωνcfr. Orph. Lith. 70 λετο

δ(προτροιςπεπονηµνον-µιθοισιν/=ργονe 619-20.

58.iiiiλλλλχενχενχενχεν ^λυσλυσλυσλυσppppσιχοροστασσιχοροστασσιχοροστασσιχοροστασppppσινσινσινσινννννσσειν.σσειν.σσειν.σσειν.Mentre Leopardi (ap. Flora

1940, 554) riferiva la frase relativa a vµπνιαµOτηρ del v. 55, Wilamowitz 1928,

17, esclude tale interpretazione «denn in dem Spiele mit den Götternamen wird

keine Konsequenz verlangt […]. Regilla als Chorführerin der seligen Frauen soll

in unserer Phantasie haften und ihre Apotheose krönen». Più prudentemente

Skenteri 2005, 43, definisce la sorte assegnata a Regilla non un’apoteosi ma

«something in between the fate of ordinary mortals and the trasformation into an

actual god». La studiosa è dell’opinione che questi versi siano un chiaro esempio

dell’abilità di Marcello nel creare ambiguità. «It is probable that the poet

intentionally introduces an ambiguity here, so that the readers can believe what

they want, and the same time both Herodes and the Emperor can be satisfied with

the result» (Skenteri 2005, 38).

χοροστασχοροστασχοροστασχοροστασppppσινσινσινσιν. Il termine viene definito da Bulloch 1985, 174 «a rare noun,

apparently a Hellenistic coinage formed from the common expression χορ'ν

\στανννναι». Si tratta infatti di un termine poetico attestato, p. es., in Hermesian. 7,

58 Powell, Call. Lav. Pall. 66, Antip. Sid. A. P. 9, 603, 2, D. P. 482, Nonn. D. 46,

165 e Leont. A. P. 16, 284, 2.

Page 89: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

87

ννννσσεινσσεινσσεινσσειν. La posizione dell’infinito presente νσσειν in clausola è

tradizionale della lingua omerica; cfr. Il. 1, 288; 2, 108; 6, 478; Od. 11, 491.

v. 59. αααα,,,,ττττbbbbττττ0S0S0S0Sλκµ<λκµ<λκµ<λκµ<O>O>O>O>νητεµνητεµνητεµνητεµκαιρκαιρκαιρκαιρτεΚαδµειτεΚαδµειτεΚαδµειτεΚαδµεινη.νη.νη.νη.Con questo verso si

conclude IG XIV 1389 A. La collocazione nelle isole dei beati di Alcmena, sposa

di Anfitrione e madre di Eracle (Od. 11, 266-8), ricorda una versione del mito

presente in Pherecyd. FgrHist F 84, Plu. Rom. 28, 12 e Paus. 9, 16, 7, secondo cui

la donna, dopo la morte fu portata da Ermes sulle isole dei beati, dove fu data in

sposa a Radamente; per le varianti del mito ved. Wernike 1894b; riguardo alla

figura mitica di Alcmena ved. Trendall 1981, Larson 1995, 91-3 e Harder 1996.

Nessun precedente ha invece la presentazione di Semele, madre del dio

Dioniso (Il. 14, 325), sulle isole dei beati, poiché alla sua morte Semele venne

condotta dal figlio sull’Olimpo, dove divenne immortale; ved. Keune 1923,

Larson 1995, 93-6 e Heinze 2001.

Qui Semele viene indicata attraverso il patronimico Καδµεινη. Tale forma

è usata solo da Marcello e deriva dall’omerico Καδµεινες, corrispondente a

Καδµε*οι,con cui sono indicati gli abitanti della città di Tebe; cfr. Steiner 1989, s.

v.Καδµεινες. Del modello omerico il poeta conserva la posizione del sostantivo

in clausola, ottenendo la preziosità metrica di concludere il componimento con un

esametro spondaico. Alla figlia di Cadmo è anche riferito l’aggettivo µκαιρα,

epiteto comune a molte divinità; ved. Kruse 1928, 615-6, il quale ricorda anche

che µκαρ era un epiteto cultuale di Dioniso, cui veniva tributato un culto a

Maratona e a Lesbo.

* * *

La seconda iscrizione, a differenza della prima, non contiene il nome del

suo autore; tuttavia è molto probabile che sia stata scritta da Marcello stesso, il

quale nei due testi dà prova della sua abilità nel creare con un linguaggio poetico

tradizionale dei componimenti del tutto nuovi.

IG 1389 B si apre con un’invocazione alla dea Atena e alla dea Nemesi di

Ramnunte, perché proteggano e frequentino il borgo del Triopio, e si conclude

con una richiesta di punizione per chiunque abbia intenzione di apportare delle

Page 90: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

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modifiche al terreno di proprietà di Erode. Skenteri 2005, 51, interpreta i primi

versi di IG XIV 1389 B come prova dell’introduzione a Roma dei due culti

ateniesi di Atena e di Nemesi di Ramnunte a opera di Erode Attico.

v. 60. ππππ////τνιτνιτνιτνι0S0S0S0Sθηνθηνθηνθηνωνωνωνων))))πιπιπιπιOOOOρανεΤριτογρανεΤριτογρανεΤριτογρανεΤριτογνειανειανειανεια. La dea Atena viene invocata

mediante i suoi epiteti tradizionali, quali π/τνια e Τριτογνεια. Per l’apertura di

una preghiera rivolta ad Atena, apostrofata come π/τνια e signora della città cfr.

Il. 6, 305 π/τνι0Sθηναη)ρυσπτολιδ*αθεων.

Τριτογνειαviene già adoperato nei poemi omerici come epiclesi della dea.

In Il. 4, 515 e Od. 3, 378 ricorre anche in clausola di esametro come in questo

verso. Per le occorrenze poetiche di Τριτογνεια ved. TLG, s. v.; per la sua

interpretazione Kruse 1939.

Mediante il nesso Sθηνων)πιOρανε Marcello celebra la signoria della dea

sulla città di Atene. L’aggettivo )πιOρανος significa «ruling, governing» (LSJ, s.

v.) ed è qui costruito con il genitivo oggettivoSθηνων. Come epiteto della dea

Artemide invece viene impiegato da Nonn. D. 2, 682-3 )πεC Νοτην χθ/να

ΚηφεMς / νσσατο ΚηφOνων )πιOρανος ΑθιοπOων. Atena viene citata come

protettrice della città di Atene anche in un altro componimento in onore di Erode

Attico, cioè IG II2 3606, 9 = 190, 9, Ameling (πολιOοχος), in cui la dea apre il

corteo che si avvia verso Eleusi per dare il benvenuto a Erode che ritorna in patria

dopo un lungo periodo di assenza; cfr. commento ad. loc.

v. 61. ```` ττττ0 )0 )0 )0 )ππππC =C =C =C =ργα βροτργα βροτργα βροτργα βροτνννν ρρρρ]]]]ςςςς !!!!αµνοαµνοαµνοαµνοσιας Οσιας Οσιας Οσιας ΟEEEEπιπιπιπι. Su Nemesi ved.

Herter 1935, Hornum 1993 e Stenger 2000. Per il collegamento di Erode con i

culti della dea Nemesi di Ramnunte cfr. IG II2 3969 = 173 Ameling [ψηφσµατι

τ4ςβουλ4ς][τ4ς)ξSρεουπγουκαC][τ4ς]βουλ4ς[τνπεντακ][ο]σωνκαCτο3

δOµ[ου το3 Sθηναων] ρδης Βιβο[λλι][ο]ν Πολυδευκωνα \ππ[α]

[!]ωµαων θρψας καC φι[λ]Oσας Uς υ\'ν τo Νεµ[σει], µετ0 α,το3 =θυεν,

ε,µ[ε]ν4καCµνηστοντ'ν[τρ/]φιµον.

La Nemesi di Ramnunte viene qui chiamata con il nome Upi che in Call.

Dian. 204 e 240 identifica la dea Artemide. La forma dorica ¶πις invece ricorre

in Plat. Ax. 371a e Alex. Aet. fr. 4, 5 Powell. «Questa epiclesi della dea è

sicuramente testimoniata soltanto per il culto di Efeso da Macr. Sat. 5, 22, 4»

(Bornmann 1968, 116). In Symon. A. P. 13, 20, 1 e Hdt. 4, 35, 1 ¶πις è invece il

Page 91: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

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nome proprio di una donna; ved. Höfer 1897-1902. Secondo Hornum 1993, 7,

«the use of Oupis as an epithet of Nemesis probably reflected, at most, the

assimilation of two goddesses in the Roman Imperial period, a merging which is

found primarily in the arena and can be seen as stemming less from

Nemesis’origins than from a logical association in a context where both goddesses

are active».

La grafia !αµνοσιας è attestata solo in questo componimento di Marcello

mentre la forma !αµνουσα, quale epiclesi della dea Nemesi, derivata dalla

collocazione del suo tempio nel demo attico di Ramnunte, è presente in Hesych. ρ

100. Cfr. anche Call. Dian. 232 in cui compare la forma !αµνουσς, quale epiteto

di Elena, figlia di Nemesi e Zeus, come viene raccontato in Cypr. fr. 10 West. Sul

culto della dea Nemesi nel demo attico di Ramnunte ved. Herter 1935, 2346-52.

La sfera d’azione di Nemesi è illustrata dalla relativa τ0)πC=ργαβροτνρ]ς,

per la quale Peek 1979, 82, cita a confronto Arch. fr. 177, 2 West2 σMδ0=ργ0)π0

νθρπωνρ;ις. In modo simile viene apostrofata in Orph. H. 61, 2 πανδερκOς,

)σορσαβονθνητνπολυφλων.

v. 62. γε γε γε γετονεςτονεςτονεςτονες γχγχγχγχθυροιθυροιθυροιθυροι !!!!µηςµηςµηςµης XXXXκατοντοπκατοντοπκατοντοπκατοντοπλοιο.λοιο.λοιο.λοιο. Il nesso γετονες

γχθυροι, attestato già in Theogn. fr. 302 West2 γετοστ0γχιθροις, dimostra

secondo Peek 1979, 82, «dass eine in nachhomerischer Epik geprägte Wendung

hier wie dort übernommen ist». Il poeta definisce Roma con l’epiteto

Xκατοντ/πυλος, «ad immensam magnitudinem designandam» (Fiorillo 1801, 55).

Tκατοντ/πυλοςè attestato solo qui ed è formato sul modello di Il. 9, 383 αrθ0

Xκατ/µπυλο εσι, dove si dice che Tebe ha cento porte. La variante grafica

Xκατοντπυλος viene invece usata di nuovo per la città di Tebe in un epigramma

anonimo di A. P. 7, 7, 2 Ενθδεθε*ος±µηρος,ςTλλδαπ;σανmεισε,/ΘOβης

)κγεγαwςτ4ςXκατονταπλου, mentre in Diod. Sic. 17, 75, 1, e Polyb. Hist. 1, 73,

1, è il nome proprio di una città del Nordafrica; per un composto in Xκατοντο- cfr.

SEG 28, 741, 10πυ[γµOν,i]νο,χεδ/σινTκατονταπολ*ται,il quale tramanda un

epigramma funebre proveniente da Creta, databile intorno al II-III sec. d. C.

v. 63. πεπεπεπεοναδοναδοναδοναδ$$$$κακακακαCCCCττττ////νδε,θενδε,θενδε,θενδε,θε,,,,τειµτειµτειµτειµOOOOσατεχσατεχσατεχσατεχρονρονρονρον. Questo verso contiene la

preghiera rivolta alle dee di onorare il territorio del Triopio, di cui il poeta mette

in risalto la fertilità attraverso l’aggettivo πεονα,il quale, insieme all’imperativo

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90

τειµOσατε, presenta la trascrizione di iota come ει, dovuta a problemi di iotacismo

che determina nel lapicida simile errori come al v. 40; ved. Fiorillo 1801, 55. Per

il nesso πεονα…χρον cfr. Hes. Op. 390 ποναχρον.

Per quanto riguarda il duale θε, Cougny 1890, III, nr. 263, lo aveva

corretto inΘεα[]. Invece secondo Wilamowitz 1928, 17, «der Dual archaistisch

gesucht, nicht mißverständlich, weil der Singular θεO lautete, 51».

v. 64. δδδδ4444µον ∆ηµον ∆ηµον ∆ηµον ∆η7777οοοο****ο φιλο φιλο φιλο φιλ////ξεινον Τριξεινον Τριξεινον Τριξεινον Τρι////παοπαοπαοπαο. Per l’accezione di δ4µον

accompagnato dal genitivo (Τρι/παο) ved. commento al v. 49.

Con l’aggettivo ∆η2ος«sacred to Demeter» (LSJ, s. v.) il poeta sottolinea

che il borgo del Triopio è dedicato al culto di Demetra. ∆η2ος compare qui per la

prima volta e successivamente in Nonn. D. 6, 3 ∆ηsης jµναιον )εδνσαντο

θεανης, dove indica la figlia di Demetra.

v. 65. τ τ τ τ////φρα κε καφρα κε καφρα κε καφρα κε καCCCC ΤριΤριΤριΤρι////πειαιπειαιπειαιπειαι ))))νννν θανθανθανθαντοιςτοιςτοιςτοις λλλλγησθονʖγησθονʖγησθονʖγησθονʖ.... τ/φρα ha qui il

valore di vφρα. Nella lingua omerica τ/φρα è un avverbio di tempo «up to or

during that time, so lang» (LSJ, s. v. τ/φρα) ed è correlato alla congiunzione

vφρα come, per esempio, in Il. 1, 509 τ/φραδ0)πCΤρεσσιτθεικρτοςvφρ0~ν

Sχαιο. La relazione più comune è vφρα … τ/φρα… in responsione ad apertura

di esametro (Ebeling 1885, I, s. v. vφρα). Per quest’uso di τ/φραequivalente a

vφρα Peek 1979, 82, cita l’esempio di Antim. fr. 3, 2 Matthews, al quale è

possibile aggiungere anche Ap. Rh. 3, 807 e 4, 1487, Antiph. A. P. 9, 242,

Phaedim. A. P. 13, 22 e Orph. Arg. 939.

Per quanto riguarda l’aggettivo τρι/πειος, che qualifica le due divinità, esso

è attestato solo in questo componimento dove viene attribuito anche al v. 98

all’Erinni del territorio; ved. Allen-Halliday-Sikes 1904, 93, a proposito di H.

Hom. Ap. 211 <ªµαΦ/ρβαντιΤριοπ7γνος.

Il verbo λγησθον, congiuntivo aoristo duale, è impiegato nel significato di

«count among» (LSJ, s. v. λγω, III). Wilamowitz 1928, 17, lo spiega come

sinonimo di καταριθµε*ν. In questo modo viene impiegato nella lirica corale da

Alcm. fr. 1, 2 Page ο,κ )γw]ν Λκαισον )ν καµο3σιν λγω e Pind. O. 2, 78

Πηλες τε καC Κδ΄µος )ν το*σιν λγονται, «was man geradezu als Vorbild

betrachten möchte» (Wilamowitz 1928, 18).

Page 93: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

91

vv. 66-7. UUUUςςςς RRRRτε κατε κατε κατε καC !C !C !C !αµνοαµνοαµνοαµνο3333ντα καντα καντα καντα καCCCC εεεε,,,,ρυχρυχρυχρυχ////ρουςρουςρουςρους ))))ςςςς SSSSθθθθOOOOνας /νας /νας /νας / YYYYλθετελθετελθετελθετε

δδδδµαταπατρµαταπατρµαταπατρµαταπατρ''''ςςςς ))))ριγδοριγδοριγδοριγδοποιολιποποιολιποποιολιποποιολιπο3333σαι.σαι.σαι.σαι.Per questa preghiera rivolta alle due dee

perché presto giungano nella nuova dimora, dopo aver lasciato le case paterne,

Fiorillo 1801, 60, cita Sapph. fr. 1, 7-8 Voigt πτρο[ς δ( δ/µον λποισα /

[χ]ρσιονIλθ[ες. Skenteri 2005, 54, aggiunge che è possibile classificare questo

componimento come un inno cletico conformemente alla definizione che nel III d.

C. ne offre Men. Rh. 333, 8-10 κλητικοCµ(νοEνπο*οεσινο\πολλοC τν τε

παρ9 τo Σαπφο* < Sνακροντι < το*ς mλλοις µελικο*ς, κλ4σιν =χοντες πολλν

θεν. Le dee invocate sono infatti due; a loro vengono riferiti gli epiteti più cari,

accompagnati dalla menzione dei luoghi di culto più importanti quali Ramnunte e

Atene. Nei vv. 68-70 Marcello descrive con cura il territorio del Triopio, nuova

sede di culto delle dee. Per la descrizione di una dea che abbandona i luoghi di

culto a lei più cari cfr. anche Alc. fr. 55 Page Κπρον\µερτ9νλιπο*σακαCΠφον

περιρρταν.

εεεε,,,,ρυχρυχρυχρυχ////ρους.ρους.ρους.ρους. Si tratta di un epiteto ornamentale che qualifica il nome di

continenti come Asia (Pind. O. 7, 33), di nazioni come Grecia (Il. 9, 478, FD III,

1, 51, IG II2 3632, 5) e Libia (Pind. P. 4, 74-5), di regioni quali Iperea (Od. 6, 4) e

di città come Micalesso (Il. 2, 498), Sparta (Pind. N. 10, 97; Hdt. 7, 220), Argo

(IOympia V 630) e Siracusa (Plat. A. P. 7, 99, 5). Qui Ε,ρχορος viene riferito ad

Atene come anche in IG II2 5220.

L’uso della congiunzione temporale Rτε, preceduta da Uς, è caratteristico

della lingua omerica per introdurre una similitudine; ved. LSJ, s. v. Rτε, II 1.

))))ριγδοριγδοριγδοριγδοποιο.ποιο.ποιο.ποιο. Si tratta di un epiteto tradizionale di Zeus, attestato sin dai

poemi omerici; ved. Bruchmann, 1893 s. v., Schwabl 1972 s. v. e Nordheider

1987, s. v. Per la posizione di )ριγδοποιο cfr. Il. 5, 672 <προτρω∆ι'ςυ\'ν

)ριγδοποιοδικοιe12, 235 ςκλεαιΖην'ςµ(ν)ριγδοποιολαθσθαι.

68. ¬¬¬¬ς τς τς τς τOOOOνδενδενδενδε NNNNεσθε πολυστεσθε πολυστεσθε πολυστεσθε πολυστφυλον κατφυλον κατφυλον κατφυλον κατ0 0 0 0 λωλωλωλω$$$$νννν. L’avverbio ¬ς «pro

οDτως» (Fiorillo 1801, 59) introduce, come nei poemi omerici, la proposizione

principale che completa la similitudine. Il verbo Nοµαι significa letteralmente

«move with speed» (LSJ, s. v.); cfr. Il. 18, 411 = 20, 37 jπ'δ(κν4µαιNοντο

ραιαι, 417-8 jπ' δ0 µφπολοι Nοντο mνακτι χρσειαι ζωoσι νεOνισιν

εοικυ*αι, 23, 367 χα*ταιδ0)ρροντοµετ9πνοιoςνµοιο. Franzius 1853, 920,

Page 94: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

92

ricorda Hesych. ρ 560 Nεσθαι· σπεδειν. ρµ;ν. Wilamowitz 1928, 18,

aggiunge che «Σ 417 gibt der Paraphrast Nοντοmit)ξρµουνwieder. Marcellus

meint σπεδετε».

Il sintagma πολυστφυλονκατ0λωOν descrive il terreno del Triopio come

un rigoglioso vigneto. Per κατ0λωOν in clausola esametrica cfr. Il. 13, 588 e Od.

24, 336. Πολυστφυλος è un epiteto omerico riferito a città; Fiorillo 1801, 61,

ricorda Il. 2, 507 πολυστφυλονρνην,cui va aggiunto v. 537 πολυστφυλ/νθ0

σταιαν, dove l’epiteto πολυστφυλοςoccupa la stessa posizione metrica che ha

in questo componimento.

vv. 69-70. λλλλOOOOιιιι τεσταχτεσταχτεσταχτεσταχωνκαωνκαωνκαωνκαCCCCδδδδνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυ////ενταενταενταεντα/ λειµλειµλειµλειµνωντεκνωντεκνωντεκνωντεκ////µαςµαςµαςµας

xxxxπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφωνωνωνων ))))φφφφπουσαιπουσαιπουσαιπουσαι. Il borgo del Triopio assume in questi versi le

caratteristiche di un locus amoenus come già in IG XIV 1389 A, 49-50. Cfr. anche

vv. 82-4.

λλλλOOOOιιιι τεσταχτεσταχτεσταχτεσταχων.ων.ων.ων.Wilamowitz 1928, 18, annota: «λOιασταχων befremdet

auf den ersten Blick; man erwartet eher στχυαςλOιων. Aber der Genitiv ist nicht

partitiv, sondern entspricht genau unserem Ährenfelde, das zum Kompositum

geworden ist».

δδδδνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυνδρεαβοτρυ////εντα.εντα.εντα.εντα.L’espressione indica le viti cariche d’uva. «Possible δ.

may havebeen stretched to include mµπελοι(cf. η 120 ff., ω340 f.), if they were

large (Richter 131) or grown up trees (Fellner 71, on η 120)» (Beck 1982, s. v.

δνδρεον). Per quanto riguarda l’aggettivo βοτρυ/εις «full of grapes» (LSJ, s. v.),

esso è attestato per la prima volta nell’elegia in Ion fr. 26, 4 West2 )ξ ο8

βοτρυ/εσσ0ον9ςjπ'χθονωνed è ripreso in età ellenistica in senso metaforico

da Ap. Rh. 2, 677 πλοχµοC βοτρυ/εντες )περροντο κι/ντι, per descrivere i

riccioli dei capelli del dio Apollo, e da Mel. A. P. 9, 363, 12 mνθεϊβοτρυ/εντος

)ρεψµενοιτρχακισσο3.

λειµλειµλειµλειµνων τε κνων τε κνων τε κνων τε κ////µαςµαςµαςµας xxxxπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφπαλοτρεφων.ων.ων.ων. Κ/µη ha per la prima volta un

significato metaforico connesso con la vegetazione in Od. 23, 195 κ/µην

τανυφλλου)λαης, in cui indica il fogliame dell’ulivo; ved. O’ Sullivan 1991, s.

v. κ/µη. Per l’espressione λειµνωνκ/µηFiorillo 181, 63, ricorda Eust. Comm.

ad Il. 1, 478 κ/µαςδ(λγεινδνδρωντ9φλλα,[RθενκαCκοµOτηςλειµνπαρ9

τo τραγ7δ]], καC κοµ;ν τ' )ν τοτοις θλλειν,e cita come esempi Eur. Hipp.

Page 95: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

93

210-1 κοµOτpλειµνιeCall. Dian. 41 vροςκεκοµηµνονDλp mentre Peek 1979,

82, porta a confronto Babr. 88, 3 ληουκ/µp e 3, 4 κ/µην…αγλου, in cui il

sostantivo, come qui, è accompagnato da genitivi che designano la vegetazione

dei campi.

Al genitivo λειµνων il poeta riferisce l’aggettivo xπαλοτρεφων per

descrivere come rigogliosi i campi del Triopio. Prima di Marcello, l’aggettivo è

usato in Il. 21, 363 µελδ/µενοςxπαλοτρεφος σιλοιο, dove designa un porco

grasso, ben nutrito; ved. Bornitz 1969, s. v. xπαλοτρεφOς. Peek 1979, 82 esclude

però la possibilità che Marcello derivi xπαλοτρεφOς da questo passo dell’Odissea,

poiché i due contesti sono molto diversi. «Mag es für uns auch anderswo nicht

eher nachweisbar sein» (Peek 1979, 82).

v. 71. µµιµµιµµιµµι γγγγ9999ρρρρρρρρδηςδηςδηςδης \\\\ερερερερ$$$$νννννννν9999 γαγαγαγα****αναναναν ¨ηκεηκεηκεηκε....La dedica del terreno alle

due dee spiega l’apostrofe iniziale ad Atena e a Nemesi perché si rechino presso il

territorio del Triopio. L’esametro si apre con il dativo eolico-epico µµι in

posizione enfatica, retto dall’aoristo ionico con tmesi ν9…¨ηκε. Il verboνηµι

significa qui «“überlassen” in Sinne von “weihen”» (Peek 1979, 83). Questo

significato è stato dedotto da Kaibel 1878, 470, dal confronto con Call. Cer. 46

θεο*σιν νειµνα δνδρεα. Cfr. anche Soph. Aj. 1214 ν3ν δ0 ο8τος νε*ται

στυγερ2 δαµονι e Plat. Leg. 761c 3-4 mλσος … πειµνον. Questi esempi

testimoniano come il verbo νηµι venga impiegato con il significato di dedicare

solo nella forma passiva, così che l’uso fattone da Marcello rappresenta un

unicum; ved. Peek 1979, 83. Non esistono inoltre esempi di tmesi di questo verbo.

v. 72.ττττ$$$$ν,ν,ν,ν,RRRRσσηνπερσσηνπερσσηνπερσσηνπερCCCCτετετετε****χοςχοςχοςχος))))τροχοντροχοντροχοντροχον))))στεφστεφστεφστεφνωται.νωται.νωται.νωται. Il v. 72 è modellato su

Od. 10, 195 ν4σον, τ$ν πρι π/ντος περιτος )στεφνωται e presenta due

pronomi relativi contigui, a proposito dei quali Peek 1979, 83, annota: «dem

merwürdigen τ$νRσσην entspricht im medizinischen Lehrgedicht des Marcellus

(E. Heitsch, Dichterfragmente d. röm. Kaiserzeit II Seite 18) der Versanfang τν

Uποσων» e Skenteri 2005, 50: «τ$νRσσηνexemplifies a usage that becomes more

frequent in Greek of the Roman period, the placing of the definite article before a

relative pronoun. Rσσην refers to the antecedent γα*αν and τ$ν is seemingly

superfluous». Peek 1979 e Skenteri 2005 cercano di spiegare τ$νRσσηνcome un

unico nesso. Se invece si pone una virgola tra i due pronomi, τOνdiventa soggetto

Page 96: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

94

in accusativo dell’infinito =µµεναι del verso successivo mentre Rσσην dipende

dall’indicativo )στεφνωται e introduce una proposizione relativa che serve a

specificare l’entità del terreno offerto alle dee. Del Triopio romano il poeta non

enfatizza tanto la grandezza, come farebbe pensare il modello odissiaco, quanto la

sua delimitazione ad opera di un muro circolare che ne protegga l’inviolabilità. La

forma del muro è messa in evidenza dall’aggettivo )τροχοςche ha il significato

di rotondo come in Eur. Ion. 19 ε,τρ/χ7κκλ7, in cui il dio Ermes menziona la

cesta in cui Ione fu esposto dalla madre con il proposito di farlo morire. In Omero

)τροχοςè invece usato come epiteto di ªρµα (Il. 8, 438 e 12, 58) e mµαξα(Il.

24, 150, 179, 189, 266, 711 e Od. 6, 72) nelsignificato di «well wheeled, with

good wheels» (O’ Sullivan 1987, s. v. )τροχον).

vv. 73-4. νδρνδρνδρνδρσινσινσινσινddddψιγψιγψιγψιγ////νοισιννοισιννοισιννοισινκινκινκινκινOOOOτηνκατηνκατηνκατηνκαCmCmCmCmσυλον/συλον/συλον/συλον/====µµεναι.µµεναι.µµεναι.µµεναι. La dedica

del territorio romano ad Atena e a Nemesi è finalizzata a salvaguardarne

l’inviolabilità nel tempo. L’infinito =µµεναι non è mai attestato in clausola di

esametro nella lingua omerica.

Per l’espressione νδρσινdψιγ/νοισιν, che indica i posteri, cfr. Il. 3, 353 e

7, 87 dψιγ/νωννθρπων. Il sostantivo νOρ nel significato generale di uomo è

già largamente adoperato da Omero; ved. Latacz 1967, s. v. νOρ II 1, d.

Gli aggettivi κινOτηνemσυλονsi riferiscono, attraverso il relativo τOν (v.

72),a \ερ$ν…γα*αν del v. 71. Il femminile di κνητος «unmoved, not moving,

motionless» (LSJ; s. v.) occorre per la prima volta in Pind. O. 9, 33ο,δ0SÅδας

κινOταν =χε Nβδον, in cui viene adoperata la forma dorica in -αν; ved.

Wilamowitz 1928, 18. Sκνητος è poi epiteto di Atena e Nemesi al v. 80 κνητοι

δ(θαιναι, dove è usato come aggettivo a due uscite.

Per la definizione di un territorio come mσυλος cfr. Eur. Med. 387 τςγ4ν

mσυλονκαCδ/µους)χεγγους.

vv. 74-5. iiii δδδδ0 )0 )0 )0 )ππππ οοοο\ )\ )\ )\ )ξξξξ θανθανθανθαντοιο καρτοιο καρτοιο καρτοιο καρOOOOνου / σµερδαλνου / σµερδαλνου / σµερδαλνου / σµερδαλον σον σον σον σσασα λσασα λσασα λσασα λ////φονφονφονφον

κατκατκατκατνευσεννευσεννευσεννευσενSSSSθθθθOOOOνηνηνηνη. La pietra presenta la forma )πε al posto di )π, restaurata da

tutti gli editori ad eccezione di Visconti che «legendum existimat )πεC, adtulitque

similes locos ex Homero, in quibus )πεC repetitum est. Sic Iliad αɓ 112 […] et v.

153» (Fiorillo 1801, 64). Per Skenteri 2005, 50 «)πis not a preposition governing

ο\ but a vebal prefix, separated by tmesis from the main verbκατνευσεν on the

Page 97: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

95

next line. This is slightly abnormal, since the main verb contains another prefix

and no )πικατανεω is recorded in lexica». Il pronome ο\ è un dativo

indipendente con valore di dativus commode; ved. Smyth 1956, 1481, b.

Questi versi, come già nota Peek 1979, 83, sono un’imitazione della scena

omerica di Il. 1, 528-30 Ç καC κυανpσιν )π0 dφρσι νε3σε Κρονων· /

µβρ/σιαιδ0mραχα*ται)περρσαντοmνακτος/κρατ'ςπ0θαντοιο·µγανδ0

)λλιξεν ¥λυµπον. Qui Marcello descrive i movimenti del cimiero della dea

Atena nell’atto di accettare il dono del Triopio. Questa narrazione, dal tono epico,

racchiusa tra la preghiera iniziale ad Atena e a Nemesi (vv. 60-73), e gli

ammonimenti rivolti ai vicini del Triopio (76-98) risulta secondo Peek 1979, 83,

sorprendente perché esula dal contesto generale dell’epigramma e «durchbricht

die Illusion» (Peek 1979, 83).

Il participio σσασα = σεσασα regge l’accusativo λ/φον, che indica il

cimiero. Questo nesso è attestato in Aesch. Sept. 385 λ/φουςσεει e Ar. Pax 1178

τοMς λ/φους σεων. Il cimiero della dea Atena viene definito σµερδαλον

«gräßlich, grausig, schrecklich, furchterregend» (ved. Führer 2006, s. v.

σµερδαλος), epiteto tradizionale delle diverse parti dell’armatura in Omero, quali

il bronzo che riveste Ettore in Il. 12, 463-4; 13, 191-2 χαλκ2σµερδαλ7, lo scudo

in Il. 20, 259-60 )ν δειν2 σκει … σµερδαλ7 e l’egida in Il. 21, 400-1 κατ0

αγδα…σµερδαλην.

76-7.µµµµOOOOττττ7777νηποιννηποιννηποιννηποιν''''νβνβνβνβλονµλονµλονµλονµαναναναν<¨<¨<¨<¨ναλναλναλναλ;;;;αν/αν/αν/αν/ddddχλχλχλχλσσαι,σσαι,σσαι,σσαι,))))πεπεπεπεCCCCοοοο,,,,ΜοιρΜοιρΜοιρΜοιρωνωνωνων

τρετρετρετρε*<*<*<*<ε>ςε>ςε>ςε>ςννννγκαιγκαιγκαιγκαι. A partire dal v. 76 il testo assume le caratteristiche di una

vera e propria maledizione in versi. La pratica di collocare simili formule presso

le tombe di cari defunti era molto comune, soprattutto in Anatolia; ved. Lattimore

1942, 106-18 e Tobin 1997, 147. Robert 1978, 253, sottolinea come la Frigia

fosse «la domain par excellence des imprécations funéraires». Tobin 1997, 148,

ricorda che poche iscrizioni funebri di maledizione sono state ritrovate in Grecia,

come a Creta, Lesbo, Tebe e Atene, e che il gruppo maggiore di simili documenti

su territorio greco è collegato con la figura di Erode Attico, il quale coniuga

questa tradizione anatolica con quella ateniese delle erme poiché fa incidere

formule di maledizione in prosa sulle erme e le basi delle statue dei suoi familiari

defunti per preservarle da ogni atto di vandalismo; ved. Peek 1942, 141-5, nrr.

Page 98: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

96

310-20; Ameling 1983, II, 149, nrr. 143, 160-6, nrr. 147-170; Tobin 1997, 113-

59.

L’espressione µO τ7 νηποιν/ν è ellittica di verbo. Per quanto riguarda il

dativo τ7, forma tragica e attica del pronome indefinito τινι, ma già attestata in

Omero (ved. LSJ, s. v.τις),Wilamowitz 1928, 18, osserva che Marcello «hat die

Schwierigere vorgezogen, wo es ganz einfach war, wenn er µO τινα sagte». Qui

l’espressione µO τ7 νηποιν/ν (scil. εeναι) regge l’infinito aoristo dχλσσαι.

¹χλζειν è un verbo omerico «von der Stelle bewegen, u. zwar m. Mühe» (De

Leeuw 2000, s. v. dχλσσαι) ed è impiegato per la prima volta in Il. 12, 448 π0

οδεοςdχλσσειαν, dove ha come oggetto sottinteso λ;αν (v. 445), lo stesso di

questo epigramma, e in Od. 9, 241 in riferimento al carico di legna sollevato dal

Ciclope. ¹χλζω viene poi recuperato da Call. Del. 4, 33 νρθε δ( πσας / )κ

νετων χλισσε καC εσεκλισε θαλσσp; cfr. anche Ap. Rh. 1, 402; 4, 962,

1678. Fiorillo 1801, 65, nota che «βλος et λ;ας aut λθος coniunguntur

nonnunquam».

οοοο,,,,µοιρµοιρµοιρµοιρωνωνωνωντρετρετρετρε*<*<*<*<ε>ςε>ςε>ςε>ςννννγκαι.γκαι.γκαι.γκαι. L’espressione µοιρων…νγκαι indica

le punizione delle Moire, cui saranno esposti i violatori del luogo sacro; cfr. IG

VII, 447, 10 ¶Μοραςmτρυτοινανκαστ4ρεςmτρακτοι. Questi provvedimenti

delle Moire sono poi presentati mediante litote e catacresi come ο,τρε*<ε>ς,

cioè da temersi. L’aggettivo τρε*ες è integrazione di Salmasius 1619, 10, il quale

lo faceva derivare da τρες. Invece Visconti 1794, 61, lo spiega come un

nominativo plurale di τρεOς così contratto per motivi poetici come )ϋκλε*αςdi Il.

10, 281 e Od. 21, 331 al posto di ε,κλεε*ς. «Il nostro τρεOς è un verbale formato

da τρω come p. e. αδεOς da δω inusitato: qui significa ciò che non incute

terrore nello stesso senso che mφοβος è usato alcuna volta da buoni scrittori per

denotare chi non ha paura» (Visconti 1794, 61). Wilamowitz 1928, 18, mette in

evidenza la peculiare licenza morfologica del plurale τρε*ες al posto del più

regolare τρ4εςe ricorda che l’accusativo τραè già attestato in Euphor. fr. 125

Powell τραδ4µονSθηνν, dove ha il significato di mτρεστονemφοβον come

precisa Hermog. Id. 2, 5, 54-5. A riguardo Magnelli 2002, 113, afferma che è

alquanto difficile sostenere la derivazione dell’aggettivo τρεOς da Euphor. 125 in

Marcello. Tuttavia in tutti e due i testi l’aggettivo appare al lettore dotto «come

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una rivisitazione di un calembour risalente almeno a Eur. IA 321 τρσας …

Sτρως γεγς e Soph. fr. 887 Radt ΖεMς ν/στον mγοι τ'ν νικ/µαχον καC

παυσανανκαCτρεδαν»(Magnelli 2002, 47).

v. 78. RRRRς κε θες κε θες κε θες κε θενννν XXXXδδδδ<<<<ε>σσινε>σσινε>σσινε>σσιν λιτροσλιτροσλιτροσλιτροσνηννηννηννην ναθναθναθναθOp.Op.Op.Op. Cfr. Il. 22, 100

Πουλυδµας µοι πρτος )λεγχεην ναθOσει. Peek 1979, 83, definisce questo

verso rispetto a quello dell’Iliade una catacresi, poiché «“Schimpf aufladen” ist

von “Frevel zufügen” doch so verschieden». Il dativo Xδ<ε>σσιν compare solo

in questo componimento. Per ¨δος ved. commento a IG XIV 1389 A, 2 = 146 A, 2

Ameling. Per il nesso θενXδ<ε>σσινcfr. Aesch. Pers. 404 θεντεπατρsων

¨δη e Soph. OT 886 δαιµ/νων¨δησβων.

Il termine scelto da Marcello per indicare gli oltraggi da non commettere nei

confronti delle dee è λιτροσνην, sinonimo di λιτρα (ved. LSJ, s. v.

λιτροσνη), attestato per la prima volta in età ellenistica in Ap. Rh. 4, 699 e

successivamente ripreso da Orph. Arg. 1231 e Lith. 62, Tryph. 491 e Quint.

Smyrn. 10, 407. Il sostantivo λιτροσνη ricorre ancora in Agath. A. P. 5, 302, 5 e

7, 574, 10.

v. 79. κλκλκλκλ3333τε περικττε περικττε περικττε περικτονες καονες καονες καονες καCCCC γεγεγεγετονεςτονεςτονεςτονες γροιγροιγροιγροιται.ται.ται.ται. Per la posizione

dell’imperativo aoristo κλ3τε in apertura di esametro «in profaner vertrauter

Anrede als Einl. und best. Wollens od. Befehls» (Markwald 1991, s. v. κλειν,

κλω,2) cfr. Il. 2, 56; 18, 52; Od. 4, 722; 6, 236; 14, 495; 15, 172.

Il v. 79 è un’apostrofe rivolta a coloro che abitano e lavorano nei pressi del

borgo del Triopio. Il lessico scelto per indicare questa categoria di persone è di

derivazione omerica. Περικτονεςè usato da Omero solo al plurale in Il. 18, 212;

19, 104, 109; ved. Markwald 2001, s. v. Hesych. π 1741, 1, annota che

περικτονες è un sinonimo diγετονεςche qui è attributo di γροιται, sostantivo

attestato da Omero solo al nominativo plurale e, ad eccezione di Od. 21, 85,

sempre in clausola. Secondo Peek 1979, 83, l’espressione γετονες γροιται

imita Il. 11, 549 = 15, 272 νρεςγροιταιe Od. 11, 293 βολικοιγροιται.

v. 80. \\\\ερερερερ''''ςοςοςοςο8888τοςτοςτοςτοςχχχχρος.ρος.ρος.ρος. Marcello sottolinea la sacralità del Triopio. Lo

stesso incipit è presente nell’epigramma funebre di Peek 1955, 2061 = IGUR III

1226, databile tra il III e il IV sec. d. C. Peek esclude la possibilità di vedere una

dipendenza tra i due testi e ritiene che «beide Male ist eine Formel aufgegriffen,

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98

die auch in Prosa vorkommt» (Peek 1979, 83), come, p. es., in Xen. Anab. 5, 3,

13, 1-2 καCστOλη¨στηκεπαρ9τ'ννα'νγρµµατα=χουσα·ΙΕΡΟΣΟΧΩΡΟΣ

ΤΗΣΑΡΤΕΜΙ∆ΟΣ; cfr. anche Call. Jov. 11-2=νθενχρος/\ερ/ς.

vv. 80-1. κκκκνητοιδνητοιδνητοιδνητοιδ((((θθθθαιναι/κααιναι/κααιναι/κααιναι/καCCCCπολυτπολυτπολυτπολυτµητοικαµητοικαµητοικαµητοικαCjCjCjCjποσχεποσχεποσχεποσχε****νονονονοEEEEαςαςαςας¨τοιµαι.τοιµαι.τοιµαι.τοιµαι.

Per quanto riguarda la qualifica divina κνητοι ved. commento al v. 73. Il

secondo epiteto con cui Atena e Nemesi vengono presentate è πολυτµητοι, «a

common epithet of all deities» (Starkie 1897, 306), usato da Ar. Vesp. 1001 B

πολυτµητοι θεο, il quale fa pronunciare a Filocleone una richiesta di perdono

rivolta agli dei per aver assolto un imputato. In Thes. 594 BπολυτιµOτωθεω e in

Men. Dysc. 381, 479, Aspis 408; Mis. 165; Fab. Inc. 56 fr. 97, 2 e 718, 5 Körte B

πολυτµητοιθεο diventa una semplice esclamazione46.

La terza qualità di Atena e Nemesi, che qui Marcello ricorda, è la prontezza

delle dee a prestare ascolto (jποσχε*νοEας¨τοιµαι).

vv. 82-4. Il poeta indica ora per nome quali parti del Triopio non bisogna

danneggiare per non incorrere nella punizione delle dee. Da questi versi il lettore

riceve l’immagine di un appezzamento di terra rigoglioso, con boschi e

coltivazioni. Il divieto, espresso dall’ottativo preceduto dalla negazione µηδ,

riguarda ogni possibile modifica dei filari di vite (-µερδωνvρχους), dei boschi di

alberi (mλσεαδενδρων) e dell’erba verde dei pascoli (ποηνχιλ2ε,αλδιχλρα

θουσαν). I filari di vitesono già citati al v. 50, dove il genitivo-µερδων occupa

la medesima posizione all’interno dell’esametro.

v. 82.----µερµερµερµερδωνδωνδωνδωνvvvvρχουςρχουςρχουςρχους. Ved. commento al v. 50 χορ'ς-µερδων.

mmmmλσεα δενδρλσεα δενδρλσεα δενδρλσεα δενδρωνωνωνων. λσος è un termine omerico ed indica sempre un

«boschetto sacro, non allo stato incolto; sacro e caro a divinità» (Di Luzio 1965,

s. v.); cfr. Eust. Comm. ad Od. 1, 391 λσεα δ( καC ν3ν χωρα φασCν \ερ9

σνδενδρα; Hesych. α3268 mλσεα· τεµνη. ο\ κθυδροι καCσµφυτοι λιµνες,

καC τ/ποι κατ δνδροι, πρ'ς mλσιν καC αξησιν τν φυτν vντες )πιτOδειοι.

Così annotano anche schol. in Hom. Od. 10, 509 e schol. in Theocr. 5, 32b.

Accompagnato dal genitivo ionico δενδρων, il nesso mλσεα δενδρων varia

l’omerico mλσεαδενδρOεντα di H. Hom. Ap. 76, 143, 221, 245, ripreso poi da

46 Fa eccezione Men. Dysc. 202 Bπολυτµητοιθεο, /τς~ν)µ(σσαιδʖ[αιµ/]νων, dove

Sostrato, nelle vesti dell’amante infelice, invoca gli dei πολυτµητοι; ved. HANDLEY 1965, 167-8.

Page 101: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

99

Nonn. D. 14, 211 mλσεαδενδρOεντακαCγριδοςNχινDλης; cfr. anche 13, 399

mλσεαΦησιδαοκατσκιαδενδρδιλ/χµp.

v. 83. ποποποποην χιλην χιλην χιλην χιλ2222 εεεε,,,,αλδαλδαλδαλδι χλωρι χλωρι χλωρι χλωρ9999 θθθθουσανουσανουσανουσαν. Per quanto riguarda invece il

termine χιλ/ς«green fodder for cattle» (LSJ, s. v.), Wilamowitz 1928, 18, è del

parere che «χιλ/ς hat er achtlos aus der gewöhnlichen Sprache aufgenommen; das

Wort ist nicht poetisch. εχιλονhat Lykophron 95». Εχιλον viene anche citato da

Pollux 7, 184, 1, come uno degli aggettivi adoperati dai poeti per designare la

terra lasciata come pascolo per gli animali.

La relativa χλωρ9θουσαν aveva convinto Meineke a emendare Theocr. 25,

158 )ν Dλp χλωρ9 θουσαν al posto di )ν Dλp χλωρ$ ο,σp, che invece viene

difeso da Gow 1950, 458. Per l’espressione ποηνχιλ2ε,αλδιχλωρ9θουσαν,

in cui un participio di un verbo di movimento è preceduto da un avverbio, cfr.

Call. fr. 228, 40 Pfeiffer πυρ;ς…[ων/…οEλακυλινδοµναν; Ap. Rh. 3, 532

καCποταµοMς… κελαδειν9Nοντας; Quint. Smyrn. 8, 465 ποταµν…µακρ9

Nε/ντων e Orph. Arg. ποταµο*ο…πρηÈNοντος. Per l’uso dell’aggettivo χλωρ/ς

per indicare il colore verde dell’erba (ποη) cfr. Sapph. fr. 31, 14 Voigt

χλωροτρα δ( ποας e Longus 1, 17, 4 χλωρ/τερον τ' πρ/σωπον Iν π/ας

θεριν4ς.

Moretti (ap. IGUR III 1155), stampa la forma χλρα con baritonesi. Si tratta

forse di un refuso, accolto anche da Ameling 1983 II, 154. Questa forma eolica

dell’aggettivo χλωρ/ς è documentata solo in Alc. fr. 115 a 9 Lobel-Page κλαµος

χλρ[ο···] e in Theocr. 28, 4 vππαΚπριδος eρονκαλµωχλρον,π0πλω,

uno dei carmi eolici insieme al 29 e al 30.

v. 84. δµω δµω δµω δµω$$$$ν κυανν κυανν κυανν κυανουουουου ιδος [π]ιδος [π]ιδος [π]ιδος [π]OOOOξειε µξειε µξειε µξειε µκελλανκελλανκελλανκελλαν. La zappa (µκελλαν),

viene definita allegoricamente δµω$νκυανου…ιδος(vv. 83-4). Come mezzo

di distruzione di un dio, essa compare nella tragedia in Aesch. Ag. 526 ∆ι'ς

µακλλp, che attribuisce la caduta della città di Troia alla zappa di Zeus

giustiziere, e in Soph. fr. 727 Radt µακλλpΖην'ς)ξαναστραφo.

Visconti 1794, 64, sostiene che questa δµωO fosse l’attrezzo dei Fossori,

cioè di coloro che scavavano le tombe. Questo attrezzo aveva da un lato l’aspetto

di una zappa, dall’altro di una scure; ved. anche Wilamowitz 1928, 18. L’epiteto

di Ade κυνεος non deve essere confrontato con H. Hom. Cer. 347 »ιδη

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100

κυανοχα*τα ma con Hes. Sc. 249, in cui le Moire (Κ4ρες) sono definite κυνεαι.

Sia le Moire che Ade sono collegati con la morte e «er [Hades] ist dem Dichter

nur ein Todesdämon und trägt dieselbe Farbe wie dieser in der etruskischen

Malerei. Pluto heißt bei den Römern auch ferreus, adamentinus, und die Farbe des

Spatens ist dieselbe» (Wilamowitz 1928, 18).

[π][π][π][π]OOOOξειε.ξειε.ξειε.ξειε.«Casaubonus dedit, monuitque Viscontus ita legi posse, lapidario

latinam litteram P pro Π insculpente» (Franzius 1853, 920). Salmasius 1619, 10,

invece aveva letto la forma ρOξειεe per questo motivo aveva emendato il dativo

δµωoκυανου…µκελλ].Per il significato di πOγνυµιin questo epigramma cfr.

Theocr. 7, 156 αEτις )γw πξαιµι µγα πτον, 6 δ( γελσσαι e Call. Cer. 53

"χζευ",=φα,"µOτοιπλεκυνµγαν)νχροÉπξω.

v. 85.σσσσ4444µανµανµανµανοντεοντεοντεοντεχωνχωνχωνχων^(^(^(^(πρπρπρπρ////τερονκερατερονκερατερονκερατερονκεραζωνζωνζωνζων. Con il v. 85 diventa chiaro

che le dee puniranno ogni lavoro compiuto all’interno del borgo del Triopio

finalizzato alla costruzione di una nuova tomba o all’abbattimmento di una

precedente; per l’accezione di σ4µα ved. commento al v. 46.

I due verbi τεχω e κεραζω sono di derivazione omerica. Per il verbo

τεχω«produce by work or art, make, build» (LSJ, s. v., 1) cfr. H. Hom. Ap. 76,

221, 245τεξασθαινη/ν; 258 τε3ξαιπερικαλλανη/νe 287 τεξεινπερικαλλα

νη/ν, mentre per il verbo κεραζω«zerstöre» (Wakker 1991a, s. v.) cfr. Il. 5, 557

σταθµοMς νθρπων κεραÅζετον; 16, 752 Rς τε σταθµοMς κεραÅζων; 16, 830

Πτροκλ0 I που =φησθα π/λιν κεραϊξµεν xµOν, 22, 63 καC θαλµους

κεραϊζοµνους; 24, 244 πρCνλαπαζοµνην τεπ/λινκεραϊζοµνην τεe Od. 8,

516 mλλονδ0mλλpmειδεπ/λινκεραϊζµεναπOν.

86-7. οοοο,,,, θθθθµιςµιςµιςµις µφµφµφµφCCCC ννννκυσσι βαλεκυσσι βαλεκυσσι βαλεκυσσι βαλε****νννν \\\\ρρρρ////χθονα βχθονα βχθονα βχθονα βλ<ον>, / πλλ<ον>, / πλλ<ον>, / πλλ<ον>, / πλ$$$$νννν RRRR κενκενκενκεν

ααααrrrrµατοςµατοςµατοςµατος ¡¡¡¡σι κασι κασι κασι καC )C )C )C )κ γκ γκ γκ γνοςνοςνοςνος XXXXσσαµσσαµσσαµσσαµνο<ιο>νο<ιο>νο<ιο>νο<ιο>. La relativa del v. 87 designa nei

discendenti di Erode gli unici a poter godere del diritto di essere seppelliti dopo la

morte nel territorio del Triopio definito con un neologismo \ρ/χθονα, attestato

solo qui.

Il verbo µφιβλλω è separato per tmesi come nella lingua omerica (ved.

Schmidt 1982b, s. v. βλλω) ed è costruito con l’accusativo βλον e il dativo

locativo νκυσσι. Il nesso βαλε*ν…βλονè caratterizzato dall’allitterazione delle

Page 103: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

101

lettere β e λ ed è attestato solo qui47. Il relativo epico R ha attratto il pronome

dimostrativo al genitivo, suo antecedente, retto dalla preposizione πλOν.

))))κ γκ γκ γκ γνοςνοςνοςνος XXXXσσαµσσαµσσαµσσαµνο<ιο>.νο<ιο>.νο<ιο>.νο<ιο>. Nella pietra si leggono le lettere ΕΚΓΕΝΟΣ.

Visconti 1794, 64, emendava =κγονος. Fiorillo 1801, 82, a sostegno di questo

intervento testuale citava gli esempi di Il. 5, 813; 20, 206; Od. 3, 123; 11, 236,

Critias fr. B 2, 12 West2 e Alex. Aet. 3, 5 Powell. Kaibel (ap. IG XIV 1890 B)

invece conserva il testo tradito )κ γνος Xσσαµνο<ιο> che spiega come

imitazionedi Il. 5, 896 )κγ9ρ)µε3γνος)σσ, con approvazione degli studiosi

successivi.

Xσσαµνο<ιο> corrisponde ad ε\σαµενοιο. Si tratta di un participio aoristo

poetico del verbo rζω«set up and dedicate temples, statues etc.» (LSJ, s. v., 2).

Questa grafia si trova già in Th. 3, 58, 5 \ερ τε θεν οKς ε,ξµενοι ΜOδων

)κρτησαν )ρηµο3τε καC θυσας τ9ς πατρους τν Xσσαµνων καC κτισντων

φαιρOσεσθε;cfr. anche IG IV 840, 7βω[µ]'νXσσαµνουςπαρ9τ9νεκ/νατο3

νδρ'ςα,τ;ςΣωφνεος,e 841, 23 βωµ'νXσσµενοιπρ'τ;νκ/νωνα,τντ;ν

ποC [τ]2 βʖουλευτηρ7, due iscrizioni databili intorno al III sec. a. C. Qui il

participio Xσσαµνοιοindica Erode come colui che ha fatto erigere nel Triopio la

costruzione commemorativa di Regilla.

Per il verbo εµC seguito da )κ e il genitivo e accompagnato dall’accusativo

di relazione γνος cfr. Il. 14, 113 πατρ'ς δ0 )ξ γαθο3 καC )γw γνος εχοµαι

εeναι; 23, 347 ς )κ θε/φιν γνος Iεν; Od. 14, 199 = 16, 62 )κ µ(ν Κρητων

γνοςεχοµαιε,ρειωνe 15, 267 )ξ|θκηςγνοςεµ.

v. 88. κεκεκεκενοιςδνοιςδνοιςδνοιςδ0000 οοοο,,,,κκκκ θθθθµιστον,µιστον,µιστον,µιστον, ))))πεπεπεπεCCCC τιµτιµτιµτιµοροςοροςοροςορος ¨στωρ.στωρ.στωρ.στωρ. θµιστον è forma

poetica di θµιτον e in unione al verbo)στιν, qui sottinteso, ha il significato di

«unlawful» (LSJ, s. v. θµιστος). L’uso di θµιστον(scil. )στιν), costruito con

il dativo della persona e l’infinito del verbo è di età tarda ed è attestato per la

prima volta in Act. Ap. 10, 28, 2-3 )πστασθεUςθµιτ/ν)στιννδρC|ουδα7

κολλ;σθαι < προσρχεσθαι λλοφλ7. A questo costrutto ricorrono anche Plu.

Sept. Sapient. Conv. 150f )κενοις δ( καC σλπιγγος κοειν θµιτονed Hld.

Aeth. 5, 20, 2 λλ0)µοτεσιωπ4σαιθµιτον.

47 Sulla presenza dell’allitterazione nella produzione letteraria greca ved. ERCOLANI 2003, 173-80.

Page 104: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

102

Per quanto riguarda ¨στωρ, il termine compare qui con un significato

diverso da quello attestato in Il. 24, 272 «a peg at the end of the pole» e in altri

autori contemporanei di Marcello come Plu. Alex. 18, 4, 3, Arr. An. 2, 3, 7 e Paus.

Attic. ε77, s. v.¨στωρ. Si tratta di un neologismo il cui significato viene dedotto

da Wilamowitz 1928, 19, secondo il quale «Xστρ greift auf Xσσαµνοιο züruck,

so dass die Neubildung gerechtfertigt und verständlich ist». Moretti (ap. IGUR III

1155) gli attribuisce il significato di conditor. A ¨στωρ viene poi riferito l’epiteto

τιµορος, forma dorica di τιµωρ/ς, che è già attestata in Pind. O. 9, 83, Aesch.

Ag. 514, 1280, 1324, 1578, Ch. 143 ed Eur. fr. 318, 4 Kannicht. Qui τιµορος

viene usato in modo assoluto con il significato di «avenger», cioè «helping one to

vengeance for a thing» (LSJ, s. v. τιµορος).

vv. 89-90. κακακακαCCCC γγγγ9999ρρρρ SSSSθηναθηναθηναθηναη περη περη περη περ hhhhριχθριχθριχθριχθ////νιον βασιλνιον βασιλνιον βασιλνιον βασιλ4444α / νηα / νηα / νηα / νη2 )2 )2 )2 )νκατνκατνκατνκατθηκεθηκεθηκεθηκε

συνσυνσυνσυνστιονστιονστιονστιον====µµεναιµµεναιµµεναιµµεναι\\\\ρρρρν.ν.ν.ν.«Erichthonios mit Erechtheus verwechselt» (Wilamowitz

1928, 19). Eretteo, mitico re di Atene, era stato allevato dalla dea Atena che lo

collocò nel suo tempio, dove annualmente i giovani Ateniesi offrivano alla dea

tori e arieti propiziatori (cfr. Il. 2, 248-51). Peek 1979, 84, riconosce che «der

Vers [90] geht wohl direkt auf B 549 δ0)νSθOνpςεKσενX2)νπονινη2 zurück».

Il ricorso all’esempio mitico per illustrare e soprattutto legittimare la funzione di

Erode, come collaboratore delle dee nel punire i trasgressori, è un espediente già

sfruttato dal poeta in IG XIV 1389 A, 53-4 = 146, A, 53-4 Ameling, dove

Marcello descrive l’onore che la nuova Demetra riserverà a Regilla attraverso gli

esempi mitici di Ifigenia ed Erse.

Per hριχθ/νιονβασιλ4α in clausola cfr. Il. 20, 219. Περè una correzione di

Jacobs (ap. Kaibel 1878, 470) al posto del tradito τε, che non può essere attribuito

al poeta, «nicht wegen des Hiatus, der in der Zäsur zulässig ist, sondern weil τε

hinter καCγ9ρ rein parapleromatisch sein würde» (Wilamowitz 1928, 19).

Per quanto riguarda)νκατθηκε, si tratta di un verbo omerico che Marcello

usa in un contesto nuovo poiché nei poemi omerici )γκατατθηµι è impiegato solo

in senso medico (ved. LSJ, s. v.), ad eccezione di Od. 23, 223 τ$ν δ0 mτην ο,

πρ/σθενX2)γκτθετοθυµ2, dove ha il significato metaforico di «non se lo pose

nell’animo, non ebbe chiaro, non si rese conto» (Galiano-Heubeck 1986, 312).

Page 105: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

103

L’accezione di )γκατατθηµι colloco in un posto è già presente in Arat. 34 mντρ7

)γκατθεντο e Opp. C. 3, 11 κλεψιτ/κος!εηκ/λποις)νικτθετοΚρOτης.

Erittonio-Eretteo viene presentato come συνστιος. Qui l’aggettivo è

costruito con il genitivo (\ρν = \ερν)come in Eur. El. 784-5 Ν3νµ(νπαρ0-µ*ν

χρ$συνεστουςµο3/θονηςγενσθαι e Argent. A. P. 6, 248, 3 συνστιεδαιτ'ς

)σης, e ha il significato di associato alla dea nelle offerte.

v. 91. εεεεδδδδττττ7m7m7m7mκλυτατακλυτατακλυτατακλυτατα3333τακατακατακατακαCCCCοοοο,,,,κκκκ))))πιπεπιπεπιπεπιπεσεταιασεταιασεταιασεταια,,,,τοτοτοτο*<*<*<*<ς>.ς>.ς>.ς>. Peek 1979, 84,

individua in questo verso una variazione della formula omerica οf δ0 mρα το3

µλαµ(νκλον^δ0)πθοντο, la quale ricorre sette volte nell’Iliade (7, 397; 9, 79;

14, 133, 378; 15, 300; 23, 54, 738) e quattro nell’Odissea (3, 477; 15, 220; 22,

178; 23, 141). A partire dal v. 91 il poeta introduce le disgrazie che attendono i

trasgressori. L’aggettivo mκλυτος«unheard»(LSJ, s. v.) non è documentato prima

di questo componimento di Marcellο, poiché mκλυτον di Plu. 722e è corretto in

mκλυστον;ved. Frazier-Sirinelli 1996, 236, n. 73.

v. 92.λλλλλλλλ0000ποτιµποτιµποτιµποτιµOOOOσ<ε>ι,µσ<ε>ι,µσ<ε>ι,µσ<ε>ι,µOOOOοοοο\\\\ννννOOOOτιταγτιταγτιταγτιταγνηται.νηται.νηται.νηται. ποτιµOσ<ε>ι è lettura di

Salmasius 1619, 10. Il futuro ποτιµOσ<ε>ι corrisponde a )πιπεσεται del verso

precedente. I due verbi sono protasi dell’apodosi µOο\νOτιταγνηται. L’aggettivo

νOτιτα è un hapax legomenon ed è formato dalla fusione di due aggettivi omerici,

cioè νOποινοςe mντιτος.

Per la negazione µO seguita dal conguntivo (coniuctivus prohibitivus), ved.

Kühner-Gerth I, 1898, 220.

v. 93. λλλλλλλλµινµινµινµινπρπρπρπρ////φατοςΝφατοςΝφατοςΝφατοςΝµεσιςκαµεσιςκαµεσιςκαµεσιςκαCN/CN/CN/CN/µβοςµβοςµβοςµβοςλλλλστω<ρ>.στω<ρ>.στω<ρ>.στω<ρ>.La punizione

del trasgressore (v. 94 τσονται) viene affidata a Nemesi, cui il poeta si rivolge in

apertura dell’epigramma, e al N/µβος, che agisce come un demone vendicatore.

La dea Nemesi viene presentata come πρ/φατος «unforetold, unexpected» (LSJ,

s. v.). L’aggettivo è attestato per la prima volta in Arat. Phaen. 424, 768, Ap. Rh.

1, 645; 2, 268 e Nic. Al. 598.

Qui λστωρ, riferito come predicativo a N/µβος, indicherebbe quasi il

demone vendicatore della famiglia di Erode come in Aesch. Ag. 1501, 1508

λστωρ è il demone della famiglia di Atreo cui Clitemestra attribuisce la

responsabilità del delitto commesso. Su λστωρ come personificazione della

maledizione ved. Wernike 1894a, Dodds 1951, 39-41 e Graf 1996. Il termine

Page 106: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

104

N/µβος designa uno strumento magico, simile a una trottola, usato nelle formule

magiche contro colui che doveva essere stregato; ved. Froehner 1865, 20. Del

N/µβος come strumento magico parla anche Archyt. B 1, 260, 12-3 Diels-Kranz

[N/µβοι] -συχ;ι µ(ν κινοµενοι βαρMν φιντι Ëχον, σχυρς δ, dξν. Il suo

funzionamento è descritto da Eur. Hel. 1362-3 N/µβουθ0 ε\λισσοµνα /κκλιος

=νοσιςαθερα. Come strumento impiegato nei misteri dionisiaci è citato da Phal.

A. P. 6, 165, mentre come attrezzo di attrazione magica ne parla Luc. Meretr. 4, 5,

4-6 N/µβον )πιστρφει )π7δOν τινα λγουσα )πιτρ/χ7 τo γλττp, βαρβαρικ9

καCφρικδηdν/µατα.

Il N/µβος era uno degli attributi di Nemesi dell’arte tarda; ved. Edwards

1990. Esso è una metafora dei cambiamenti senza fine nella vita umana, del

passaggio dalla prosperità al disastro, e compare nella produzione letteraria per la

prima volta innanzitutto come strumento della Fortuna e non di Nemesi, come per

es. in Cic. Pis. 22. Questo N/µβος doveva essere uno strumento di punizione cui

allude anche Mesomede, un contemporaneo di Marcello di Side, nell’Inno a

Nemesi 3, 7-8 Heitsch jπ' σ'ν τροχ'ν mστατον στιβ4 / χαροπ9 µερ/πων

στρφεταιτχα. Sul N/µβος come strumento della dea Nemesi ved. commento a

Corinth VIII 3, 128 = 100 Ameling; su Mesomede ved. Whitmarsch 2004.Qui

l’azione del N/µβος di rovesciare sciagure su chiunque osi violare questi divieti

divini viene descritta dal verbo successivo κυλινδOσει, come già notava Kaibel

1878, 470, «Rombi nomen explicat verbum κυλινδOσει v. seq».

LSJ, s. v. N/µβος, dopo averindicato N/µβοςλστωρ di questo epigramma

come espressione metaforica, annotano tra parentesi la possibilità di leggere nel

sostantivo N/µβος piuttosto una variante grafica dell’aggettivo Nεµβ/ς, perché

entrambi derivano dalla medesima radice del verbo Nµβω «turn round and

round» (LSJ, s. v.).

v. 94. στυγερστυγερστυγερστυγερ$$$$νδνδνδνδ((((κυλινδκυλινδκυλινδκυλινδOOOOσεικακσεικακσεικακσεικακ////τηταʖτηταʖτηταʖτηταʖ.... Il verbo al singolare è concordato

a senso con il soggetto più vicino N/µβοςλστωρ (cfr. supra).Il verbo κυλινδω

è già usato da Omero in collegamento alla sventura che un dio fa rotolare sugli

uomini in Il. 17, 688 π4µαθε'ς∆αναο*σικυλνδει; cfr. anche Il. 11, 347 νϊνδ$

τ/δε π4µα κυλνδεται vβριµος nκτωρ ed Od. 2, 163 το*σιν γ9ρ µγα π4µα

κυλνδεται.

Page 107: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

105

vv. 95-6. ο ο ο ο,,,,δδδδ(((( γγγγ9999ρρρρ ggggφθιµον Τριφθιµον Τριφθιµον Τριφθιµον Τρι////πεω µπεω µπεω µπεω µνος Ανος Ανος Ανος Αολολολολδαο /δαο /δαο /δαο / ναθναθναθναθ0, R0, R0, R0, Rτε νειτε νειτε νειτε νει''''νννν

∆ηµ∆ηµ∆ηµ∆ηµOOOOτεροςτεροςτεροςτερος ))))ξαλξαλξαλξαλπαξεν.παξεν.παξεν.παξεν. Ancora una volta il poeta ricorre a un esempio mitico:

questa volta si tratta di quello del re della Tessaglia Triope, da cui il promontorio

di Cnido aveva derivato il nome di Triopio. Triope era stato punito dalla dea

Demetra con una fame insaziabile perché aveva distrutto il bosco sacro, che era

stato donato a Demetra dai Pelasgi. Questa versione del mito è documentata anche

da Diod. 5, 61 e Hygin. Astr. 2, 14, 3, mentre secondo Call. H. Cer. e schol. in

Lycophr. 1393 l’oltraggio del bosco sacro di Demetra non fu solo opera di Triope

ma anche di Erisittone; sui rapporti di parentela tra Erisittone e Triope ved. Mayer

1916-24 e Robertson 1984, 369-71. Successivamente Triope, morto dopo aver

combattuto contro un serpente, fu trasformato da Demetra nella costellazione del

Serpentario e collocato in cielo; ved. Wilamowitz 1924, II, 38. La sofferenza della

fame doveva essere per Marcello un ammonimento adatto contro chiunque avesse

voluto imitare l’atteggiamento sacrilego di Triope; ved. Robertson 1984, 375.

Mc Kay 1962, 17, ricorda a proposito di νει/ν del v. 97 che, benché la

lettura della pietra sia chiara, gli editori antichi avevano generalmente preferito

emendare il testo in νη/ν, motivando l’intervento testuale con la confuzione tra i

suoni ειed ηpresente, per es., al v. 63 (πεονα,τειµOσατε).Boeckh (ap. MC Kay

1962, 17) aveva anche individuato in Diodoro e Igino i paralleli letterari a favore

di questo intervento testuale sostenendo che «de templo diruto loquuntur Diodorus

(v. 61) et Hyginus (Poet. Astr. 2, 14)». Questa osservazione di Boeckh si

collegava al fatto che proprio Diodoro, Igino e Marcello sono coloro che

presentano Triope come l’unico responsabile dell’oltraggio nei confronti della dea

Demetra. In realtà Diod. 5, 61 parla non della distruzione di un tempio ma di

quella di un temenos (τα3θαδ(τ'τµενοςτ4ς∆Oµητρος)κκ/ψαντατo[µ(ν]Dλp

καταχρ4σθαι πρ'ς βασιλεων κατασκευOν) mentre Hygin. Astr. 2, 14 usa il

termine templum come «a faulty translation of temenos which he found in some

Greek handbook» (MC Kay 1962, 17). Tutti è due gli scrittori poi collegano

questo atto di Triope con il suo proposito di costruire un palazzo reale con il

legname ricavato dagli alberi del bosco della dea. Quindi νει/ν del v. 96, piuttosto

che costituire un errore grossolano, è una variante meditata di Marcello, che piega

Page 108: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

106

il racconto mitico ai propri fini, facendo di Triope colui che fu punito per aver

saccheggiato il maggese sacro alla dea.

Il nessoΤρι/πεωµνος enfatizza la violenza esercitata dal re della Tessaglia

contro il campo di Demetra. Peek 1979, 84, cita come modelli di Τρι/πεωµνος

Il. 7, 38 nκτορος … κρατερ'ν µνος e 11, 268 µνος SτρεÅδαο; ved. anche

Führer 1993b, s. v. µνος. Il sostantivo µνοςè qualificato per enallage da gφθιµον

«strong, mighty» (Beck 1989, s. v.), aggettivo che Omero adopera come epiteto

riferito a uomini e donne; ved. commento al v. 56.

Per quanto riguarda il patronimico ΑολδαοMarcello mostra di seguire la

tradizione mitica testimoniata da Diod. 5, 61, 3 ο\µ(νγ9ρναγρφουσινα,τ'ν

υ\'νεeναιΚανχηςτ4ςΑ/λουκαCΠοσειδνος,ο\δ(Λαπθουτο3Sπ/λλωνος

καCΣτλβηςτ4ςΠηνειο3 e Call. Cer. 98-9 εgπερ)γwµν /σε3τεκαCΑολδος

Κανκαςγνος, secondo cuiTriope discenderebbe per via materna dal dio Eolo.

Il genitivo eolico Αολδαο è sempre attestato in clausola di esametro; cfr. Od. 11,

237; Call. fr. 618, 1 Pfeiffer, Ap. Rh. 2, 849; 3, 361.

v. 97. τ τ τ τ2 Y2 Y2 Y2 Yτοι ποιντοι ποιντοι ποιντοι ποιν$$$$ν καν καν καν καC )C )C )C )πωνυµπωνυµπωνυµπωνυµηνηνηνην λλλλʖʖʖʖασθα<ι> χασθα<ι> χασθα<ι> χασθα<ι> χρου.ρου.ρου.ρου. Per quanto

riguarda il sostantivo )πωνυµη cfr. Ap. Rh. 2, 910 δ( καC Αλιον mντρον

)πωνυµηνκαλουσιν; 3, 245 καµινΚ/λχωνυKες)πωνυµηνΦαθοντα/=κλεον;

4, 658 =νθα λιµ$ν Sργ2ος )πωνυµην πεφτισται; Opp. Hal. 1, 127 νδρ'ς

)πωνυµην θηλφρονος η,δξαντο; 2, 429 τ$ν κνδα κικλOσκουσιν, )πωνυµην

dδυνων; Nonn. D. 8, 12, vψιµονγχιτ/κοισιν)πωνυµηνπ/ρεκισσο3; 9, 19-20

πατρsην )πθηκεν )πωνυµην τοκετο*ο / κικλOσκων ∆ι/νυσον; 13, 97

ξεινοδ/κου µεθπουσαν )πωνυµην ¤ρι4ος; 28, 307 )πωνυµην δ( φυλσσων;

44, 213 vφρα γεραρpς / ρχεγ/νου Ζαγρ4ος )πωνυµην ∆ιονσου; Paraphr.

Joan. 1, 165 )πωνυµην δ( καλψει / πρεσβυτρηνΣµωνος jπρτερον ονοµα

Πτρου.

L’infinito come forma di imperativo alla seconda persona è molto comune

nella poesia epica; ved. Kühner-Gerth 1904, II, 19-23. Il dativo neutro τ2

«therefore» (LSJ, s. v. VIII, 2), tipico dello stile omerico e tragico, si ricollega

all’esempio mitico di Triope dei versi precedenti. Esso permette di ammonire

chiunque abbia in mente di apportare delle modifiche al territorio romano di

Page 109: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

107

Erode Attico, che nella sua denominazione Triopio reca il ricordo della punizione

divina di Triope.

v. 98. µµµµOOOO τοιτοιτοιτοι ¨πηταιπηταιπηταιπηται ====πι Τρ<ι>πι Τρ<ι>πι Τρ<ι>πι Τρ<ι>////πειοςπειοςπειοςπειος hhhhρινρινρινρινς.ς.ς.ς. Riguardo a πηται =πι

Fiorillo 1801, 89 afferma: «¨πηται=πι,poëta dixit pro )φπηται».

Per il collegamento di Nemesi con l’Erinni ved. Eur. fr. 1022 Kannicht e

Dion. Hal. Ant. 2, 75, 2. Nel verso finale la vendetta viene garantita dall’Erinni,

qui qualificata come triopea attraverso l’aggettivo Τρι/πειος; ved. Wilamowitz

1928, 19 «die Verwendung der maskulinen Form Τρι/πειος für das Femininum

ist besonders auffallend, aber nur Steigerung einer geltenden Freiheit». Per la

posizione di hρινς in clausola di esametro cfr. Il. 9. 454, 571; 19, 87; Od. 2, 135;

15, 234.

Page 110: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

108

6 = 99 Ameling

Geagan 1964, 149-56; SEG 23, 121; Peek 1980, 37, nr. 39; Ameling 1983,

117-8, nr. 99.

Maratona. Campagna.

Sul pilastro di una porta.

Dopo il 160-161 d. C.

Ved. Geagan 1964, 149-56; Oliver 1970, 25; Peek 1980, 37, nr. 39; Ameling

1983, 117-21, nr. 99; Bowie 1989a, 231-2; Tobin 1997, 247-9; Galli 2002, 134-8;

Vox 2003, 211-8; Skenteri 2005, 66-72.

Tra Vrana e Maratona, nella valle nota con il nome di Μντρα τ4ς

Γρα*ας, si estende un terreno appartenuto ad Erode Attico e a sua moglie Regilla,

sul quale era stato costruito un arco, che reca due iscrizioni: IG II2 5189 = 97

Ameling e IG II2 5189a = 98 Ameling; ved. Mallwitz 1964, 157-64; Ameling 1983,

117, nrr. 97-8; Tobin 1997, 242-6; Galli 2002, 135; Vox 2003, 21; Skenteri 2005,

66-7.

µονοαςθαντ[ου] µονοαςθαντ[ου]πλη.

πλη !ηγλληςχρος

ρδουχρος εςνεσρχει.

εςνεσρχε[ι].

La Porta della Concordia immortale. Il territorio in cui entri appartiene a

Erode.

La Porta della Concordia immortale. Il territorio in cui entri appartiene a

Regilla.

L’iscrizione IG II2 5189 venne registrata per la prima volta da Fauvel nel

1792. Come già notava Philippe Le Bas, che visitò Maratona tra il 1843 e il 1844,

Page 111: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

109

l’iscrizione è incisa sulla chiave di volta di un arco che segnava l’ingresso nel

terreno; tuttavia essa rimase ignorata fino a quando nel 1964 Mallwitz non ne

pubblicò uno studio.

La sola lettura di IG II2 5189 aveva convinto Grandoir 1914, 75, a vedere

nell’arco di Maratona un segno della riconciliazione tra Erode e gli abitanti di

Atene dopo gli avvenimenti di Sirmio e a interpretare la Concordia dell’iscrizione

come la personificazione del nuovo clima cittadino; ved. commento a IG II2 3606

= 190 Ameling. Nel 1926 Soteriades analizzò il blocco di pietra dell’arco e sul lato

opposto a quello di IG II2 5189 trovò la nuova iscrizione IG II2 5189a, identica alla

precedente tranne nel genitivo di appartenenza !ηγλλης. Da questa scoperta

Soteriades trasse la conclusione che l’arco doveva appartenere a un campo di

proprietà di Erode Attico da un versante e di Regilla dall’altro, donato alla donna

in occasione delle loro nozze. Poiché queste, secondo Ameling 1983, I, 78,

vennero celebrate intorno al 142 d. C. quando Regilla aveva circa 15-17 anni ed

Erode 40, questo è anche l’anno di costruzione dell’arco e di composizione delle

due iscrizioni, le quali, battezzando l’arco con il nome di Porta della Concordia

immortale, enfatizzano pubblicamente la perfetta felicità della coppia di coniugi.

Difficile è stabilire il concreto valore di una simile donazione poiché in ogni

caso, per un uomo benestante come Erode, il terreno era di dimensioni piuttosto

modeste e non rappresentava certo un grande possedimento di cui egli si privava

per farne dono alla moglie. Gli scarsi resti archeologici non portano nemmeno a

concludere che su questo terreno sorgesse una grandissima villa, la quale ne

accrescesse il valore. Mallwitz 1962, 163, ritiene che il valore del dono risieda

piuttosto nella natura stessa del terreno, un locus amoenous, che, a suo giudizio,

doveva includere una villa o qualcosa del genere, poiché è poco credibile che

«Herodes habe seiner Gemahlin ein Stück Macchia verehrt».

Per quanto riguarda il nome Μντρα τ4ς Γρα*ας «the Old Woman’s

Scheepfold», secondo Vanderpool 1970, 44, si tratterebbe di un riferimento a

Regilla e non di una denominazione moderna derivata dal moderno folclore greco

che narra la trasformazione in pietra di una donna e delle su greggi per aver

schernito Martis, la personificazione del mese di marzo; ved. Frazer 1898, II, 438.

«The local peasantry may well have referred to it from the start als the Old

Page 112: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

110

Woman’s Mandra, the old woman being Regilla herself. Only after Regilla had

been long forgotten did the Old Woman become identified with one of the seated

statues, and even this, as now seems probable, was a statue of Regilla»

(Vanderpool 1970, 45).

La Porta della Concordia immortale assurge a simbolo dell’unione

matrimoniale tra Erode e Regilla, a custodia della quale presiede la

personificazione divina della Concordia cui, tramite l’epiteto θνατος, Erode

rivendica la qualifica dell’immortalità, tipica di ogni divinità. La Concordia veniva

venerata sin dal IV sec. a. C., come testimoniano le monete provenienti da

Metaponto e le iscrizioni; per le epigrafi contenenti riferimenti alla

personificazione della Concordia ved. Zwicker 1913, 2266-7; su Concordia Austin

1900. Ap. Rh. 2, 717, racconta che già gli argonauti avevano edificato alla

Concordia, nel Ponto Eusino, un altare ancora visibile ai suoi giorni mentre Paus.

5, 14, 9, testimonia l’esistenza ad Olimpia di un altare della Concordia, accanto a

quello di Atena e della madre degli dei. Dio Chrys. 39, 8, 7-10, rivolge una

preghiera alla Concordia insieme ad altre divinità, εχοµαιδ$ τ2 τε∆ιονσ7τ2

προπτορι τ4σδε τ4ς π/λεως καCρακλε* τ2 κτσαντι τOνδε τ$νπ/λινκαC∆ιC

Πολιε*καCSθην5καCSφροδτpΦιλ]καCµονο]καCΝεµσεικαCτο*ςmλλοις

θεο*ς. La prima testimonianza letteraria di µ/νοια intesa come Concordia

matrimoniale è di Charito 3, 2, 16, che cita un tempio della Concordia presso il

quale era tradizione per gli sposi ricevere le loro spose, περC τ' \ερ'ν τ4ς

µονοας ^θροσθη τ' πλ4θος, Rπου πτριον Iν το*ς γαµο3σι τ9ς νµφας

παραλαµβνειν48. Pertanto la Concordia immortale dell’iscrizione di Erode è la

personificazione della virtù indispensabile per un’unione felice, secondo una

convinzione diffusa che trova riscontro in numerose testimonianze letterarie ed

48 Per la discussa datazione di Caritone ved. WEINREICH 1962, 13-4 e SCHMELING 1974, 17-9. WEINREICH 1962 ritiene che Perseo I, 134, his mane edictum, post prandia Callirhoen do, alluda al romanzo di Calliroe e afferma: «galt das Werk im Rom Neros als Typus einer leichten literarischen Kost für die Siesta nach dem Pranzo». A questa testimonianza letteraria, che lega Caritone all’età neroniana SCHMELING 1974 contrappone quella di Philostr. Ep. 1, 66 il quale invia l’epistola a un certo Caritone (Χαρτωνι. ΜεµνOσεσθαι τν σν λ/γων οgει τοMς nλληνας,)πειδ9ν τελευτOσpς· ο\ δ( µηδ(ν vντες, π/τε εσν, τνες ~ν εeεν, π/τε ο,κ εσν) e annota: Though Philostratus’s statements do not single out our Chariton from other possible writers of the same name, we are inclined to believe that Philostratus is here denigrating our Chariton and his novel».

Page 113: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

111

epigrafiche; cfr. Muson. XIIIB 69 Hense πο*ος µ(ν γ9ρ γµος χωρCς µονοας

καλ/ς;Dio Chrys. 38, 15 δ( γµοςγαθ'ς τmλλο )στCν <µ/νοιανδρ'ς

πρ'ς γυνα*κα; καC κακ'ς γµος τ mλλο )στCν < - τοτων διχ/νοια;Men. Rh.

411, 14-5 τοEντ'π'το3γµουκρδος;µ/νοιαοgκουκτλ.; IEph. 5, 2065, 12

ÎρµονηθλαµονπOξατ0 )π0 ε,γαµp; OGIS 308, 8-9 προσενενηνχθαι δ(καC

το*ς τκνοιςµετ9πσηςµονοας γνησως. In un epigramma sepolcrale per una

coppia di sposi, MAMA 1, 86, la Concordia viene chiamata µοφροσνη; in modo

molto simile in MAMA 4, 133 viene detta µ/φρονας )γ νε/τητος. In SEG 26,

1145, che conserva un epigramma funebre proveniente da Roccagione, è detto al

rigo 5: concordes animae duo vix[imus anno]s cas[tos]. Pl. ep. 4, 19, 5, in

riferimento al suo matrimonio, scrive: his ex causis im spem ceertissimam adducor,

perpetuam nobis maioremque in dies futuram esse concordiam. Un interessante

parallelo per la presentazione di µ/νοια che presiede a una relazione

matrimoniale è presente su un conio dell’imperatore Antonino Pio, emesso tra il

140 e il 144 d. C., il quale presenta la scritta concordiae e raffigura l’imperatore

Antonino e la deificata Faustina nell’atto di stringere le mani su una coppia più

piccola la quale, a sua volta, stringe le mani su un altare; per questo conio ved.

Strack 1937, 97-8. Anche le monete alessandrine emesse tra il 141 e il 142 d. C.

celebrano la concordia della coppia imperiale; ved. Vogt 1924, 125. Una conferma

di questo sacrificio religioso compiuto da una giovane coppia di sposi a favore

della coppia imperiale per la sua esemplare concordia è offerta da un’iscrizione

proveniente da Ostia CIL XIV 5326, 1-2 imp. Caesari T. Aelio Hadriano Antonino

Aug. Pio PP et divae Faustinae ob insignem eorum concordiam; cfr. anche IG II2

1077, 18θνατονµ/νοιαντνdσωνβασιλων, databile al periodo in cui Erode

sposò Regilla. Dio 71, 31, 1-2, riferisce che gli stessi sacrifici compiuti presso un

altare da parte di giovani coppie erano stati riservati a Faustina minore divinizzata

dopo la morte; τ2 δ( Μρκ7 καC τo Φαυστνp )ψηφσατο - βουλ$ =ν τε τ2

Sφροδισ7τ2<τε>!ωµα7εκ/ναςργυρ;ςνατεθ4ναικαCβωµ'ν\δρυθ4ναι,

καC )π0 α,το3 πσας τ9ς κ/ρας τ9ς )ν τ2 mστει γαµουµνας µετ9 τν νυµφων

θειν,καC)ςτ'θατρονχρυσ4νεκ/νατ4ςΦαυστνης)πCδφρουε,σκιςγ0

~ν)κε*νοςθεωρo,)σφρεσθατεκαC)ντoπροεδρ])ξtςζσα)θε;τοτθεσθαι,

καCπερCα,τ$ντ9ςγυνα*καςτ9ςδυνµειπροεχοσαςσυγκαθζεσθαι.

Page 114: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

112

Le iscrizione IG II2 5189 e IG II2 5189a permettono di parlare non solo di

una imitatio Antonini, ma anche di una a) imitatio Adriani e b) imitatio Thesei.

a) L’imitatio Adriani è relativa al fatto che la Porta della Concordia

immortale si richiama all’arco che Adriano aveva fatto erigere ad Atene,

collocando sugli stipiti le due iscrizioni IG II2 5185 (a) αrδεσSθ4ναιΘησως-

πρνπ/λιςe (b) αrδεσÎδριανο3κα*ο,χCΘησωςπ/λις49. In merito Geagan

afferma: «Just as Hadrian, who was a new citizen to Athens in contrast to Theseus,

was eponymous for the ΝαιSθ4ναι […], so Regilla, a new citizen in Marathon

(IG XIV 1389, 5 γOµατοδ)ςΜαραθνα) was eponymous for the νηνπ/λιν in

Marathon»; Arafat 1996, 200, commenta: «Hadrian was intended to been seen as

complementing, rather than replacing, Theseus, as Herodes complements Regilla».

b) L’arco rivela anche una imitatio Thesei perché il testo di Erode, per la

divisione del terreno, presuppone le due iscrizioni in trimetro giambico, già citate

da Strab. 3, 55, e 8, 1, 6, le quali, secondo il racconto di Plu. Thes. 25, 3, Teseo

avrebbe fatto incidere su un arco all’Istmo di Corinto, per distinguere i territori

della Ionia e del Peloponneso, Τδ ο,χCΠελοπ/ννησος, λλ |ωνα […] Τδ

)στCΠελοπ/ννησος,ο,κ|ωνα.

La realizzazione dell’arco e la citazione della Concordia immortale

conferiscono a questa zona tra Vrana e Maratona un significato quasi sacrale.

Erode mutua l’idea di una città caratterizzata «dalla progressiva sacralizzazione

degli spazi» (Calandra 2006, 279) dall’imperatore Adriano, la cui imitatio è un

punto costante nella sua vita e attività evergetica ad Atene. A questo processo di

sacralizzazione degli spazi appartiene anche il desiderio di perpetuare la memoria

dei cari. Per questo motivo alla morte di Regilla (161 d. C.) Erode fece incidere sul

pilastro della porta che guarda a oriente una nuova epigrafe, la quale venne

ritrovata nel 1960 da Geagan e pubblicata nel 196450. Egli descrive in questi

termini lo stato di conservazione del testo: «the text is intact with the following

exceptions: the first two letters each of lines 1, 4 and 6 and the first letter each of

lines 3, 5 and 7 are preserved on the sliver now in the office of the Ephor. The

49 Discusso è il significato dell’arco di Adriano e della sua iscrizione per la topografia di Atene; ved. TOBIN 1997, 244, n. 10. 50 Geagan riferisce che è stato un pastore, residente nella zona di Μντρα τ4ς Γρα*ας, a fargli notare la pietra contenente l’iscrizione.

Page 115: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

113

concluding letters of lines 6 and 7 are missing and seem to be irrecoverable due to

chipping along the right hand edge of the face of the stone; a few letters a short

distance from the left hand edge of the text have been obscured by a crack now

developing. The preserved letters range in height from 0.013 to 0.015» (Geagan

1964, 150). Il fatto che l’epigrafe sia stata aggiunta in un secondo momento sul

pilastro della porta e che la superficie sia stata poi adattata al testo, riducendo ogni

rigo di circa venti millimetri per una profondità di due o tre millimetri, dimostra

che il pilastro non era stato originariamente concepito per contenere un’iscrizione.

L’epigramma si articola in tre coppie di distici elegiaci, all’interno delle

quali il secondo verso è spostato di alcune lettere verso l’interno rispetto al primo.

Inoltre il primo esametro è diviso su due righe. L’epigramma è articolato nella

forma di un dialogo: alle parole di un osservatore esterno che formula un elogio di

Erode, si contrappongono nel secondo e terzo distico quelle di Erode in persona,

che smentisce l’opinione dell’interlocutore e afferma la compresenza di gioia e

dolore nella vita umana, «con una combinazione dunque di comunicazione privata

e riflessione consolatoria collettiva» (Vox 2003, 217). Per questo motivo tutti i

commentatori attribuiscono la stesura dell’epigramma tradizionalmente ad Erode

Attico in persona. Omero è il modello seguito da Erode che gioca con allusioni

verbali e concettuali e crea «nessi originali che richiamano fraseologia funeraria»

(Vox 2003, 217).

ʽ˵καρ,Rστις=δειµενηνπ/λιν,ον[ο]µαδ0α,τ$ν

!ηγλλʖηʖςκαλωνζειγαλλ/µενος.ʼ

ʽζωδ0χʖ[ν]µενοςτ/µοιοκατα3ταττυκται

ν/σφ[ι]φληςλ/χουκαCδ/µος-µιτελOς·

Qςmρατοιθνητο*σιθεοCβιοτ$ν)κερασντ[ο] 5

χ[ρ]µαττ0Yδ0ναςγετοναςµφCς=χωʖ.ʼ

5 )κερασντ[ο]Ameling, κερσαντ[ες] Geagan 6 =χωʖAmeling,=χεʖ[ιν] Vox,=χοʖ[υν]

Geagan.

Page 116: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

114

«Felice colui che edificò una città nuova, dandole il nome di Regilla, vive

gioiosamente». «Vivo invece afflitto per il fatto che da me è stata costruita questa

città ma è senza l’amata moglie e la casa è incompleta. Così davvero gli dei

mescolarono per i mortali la vita, sì che io abbia gioie e dolori per vicini, da una

parte e dall’altra».

v. 1.ËËË˵µµµκαρ,καρ,καρ,καρ,RRRRστις.στις.στις.στις.L’epigramma si apre con una formula di makarismos,

«predicazione di beatitudine che si applica alle occasioni e ai contenuti più

disparati» (Rossi 1971, 20). Ved. anche Gladigow 1967, 405: «Die Gründe, aus

denen man seit Homer jemand selig pries, werden aus allen Lebensbereichen

genommen: Schönheit, Ruhm, Reichtum erschienen den Griechen nicht weniger

preiswürdig als der Besitz trefflicher Kinder oder einer schönen Braut». Per

esempi di makarismos in autori greci e latini ved. Norden, 19233, 100-1, n. 1.

Lo schema del makarismos si presenta piuttosto rigido; all’interiezione Ë si

accompagnano gli aggettivi più usuali, quali µκαρ, µακριος, vλβιος,

ε,δαµων51, seguiti da un’apostrofe espressa da una relativa introdotta dal

pronome Rςο Rστις, la quale presenta i parametri che qualificano il soggetto come

beato agli occhi di un osservatore esterno. Tale relativa è tipica soprattutto della

predicazione innica, come già dimostra l’esempio omerico di Il. 1, 37-8 κλ3θµευ

ργυρ/τοξ0, ς Χρσην µφιββηκας / Κλλν τε ζαθην Τενδοι/ τε eφι

νσσεις, in cui all’epiteto del dio (ργυρ/τοξε) segue la proposizione relativa

contenente i luoghi di culto della divinità; ved. Norden 19233, 168-76.

Bowie 1989a, 231, sottolinea che la formula incipitaria ˵καρ,Rστις è di

derivazione elegiaca e rinvia a Theogn. vv. 1013-4 West2 ˵καρε,δαµωντε

καC vλβιος, Rστις mπειρος / mθλων ες Sδου δµα µλαν κατβη. Nelle brevi

elegie gnomiche di Teognide l’intervento a makarismos è uno dei moduli

incipitari più ricorrenti che «determinano e segnalano l’organizzazione dell’intero

intervento breve» (Vetta 1980, 143); cfr. anche Theogn. vv. 933-8, 1171-6, 1253-

4, 1335-6, 1375-6 West2. A questo esempio Vox 2003, 212, aggiunge anche

quello di Choeril. 317, 1-2 SH ˵καρ,Rστις=ηνκε*νονχρ/νονgδριςοιδ4ς,/

51 I tre aggettivi designavano originariamente tre tipi diversi di felicità: µκαρindicava una felicitàdi natura divina, vλβιος una di origini non indagabili mentre ε,δαµων descriveva la felicità come dono offerto da una divinità non individuabile; ved. Rossi 1971, 20, n. 32.

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Μουσωνθερπων,Rτ0κOρατοςIν=τιλειµν, dimostrando in questo modo che

la formula ˵καρ,Rστις è la variazione di un makarismos già attestato in Il. 3,

182-3, benché in forma di vocativo, BµκαρSτρεÅδηµοιρηγεν(ςdλβι/δαιµον,/

INντοιπολλοCδεδµOατοκο3ροιSχαιν. Il testo omerico testimonia pertanto

l’uso della formula di beatitudine nella sfera secolare. Un’altra variazione di

questo makarismos è offerta da Bacch. 3, 10-4 Maehler Ëτρισευδαµ[ωνν$ρ,/

ςπαρ9Ζην'ςλαχwν/πλεσταρχονTλλνωνγρας/οeδεπυργωθνταπλο3τον

µ$ µελαµ- / φαρϊ κρπτειν σκ/τ7: Bacchilide fa consistere la beatitudine di

Ierone di Siracusa, vincitore nella quadriga a Olimpia, nell’avere ottenuto da Zeus

il privilegio di dominare sul più grande numero di Greci. Nel modello omerico si

nota, però, come la beatitudine di Agamennone non sia spiegata tramite una

relativa, come nella predicazione innica, bensì attraverso una proposizione

principale introdotta dalla congiunzione asseverativa I; lo stesso avviene per gli

altri casi di makarismos in Od. 11, 450-1 vλβιος· I γ9ρ τ/ν γε πατ$ρ φλος

vψεται)λθν / καCκε*νοςπατραπροσπτξεται,iθµις)στνe Od. 24, 192-3

vλβιε Λαρταο πϊ, πολυµOχαν0 ¹δυσσε3, / I mρα σMν µεγλp ρετo )κτOσω

mκοιτιν. Tuttavia, nell’Odissea, quando gli uomini, cui è rivolta la formula di

beatitudine, sono sentiti dal parlante come vicini o simili agli dei, il makarismos è

espresso tramite una relativa secondo il canone tipico delle invocazioni agli dei:

cfr. Od. 24, 36-7, in cui Agamennone giustifica la lode per Achille mediante la

relativa ς θνες )ν Τροp Xκ9ς ργεος, la quale precede l’invocazione vλβιε

Πηλοςυ\,θεο*σ0)πιεκελ0Sχιλλε3, che mette in risalto, tramite l’epiteto θεο*σ0

)πιεκελε, la natura divina di Achille, e Od. 5, 306-7 τρCςµκαρες∆αναοCκαC

τετρκις,οfτ/τ0vλοντο/ Τροp)νε,ρεp,χρινSτρεÅδpσιφροντες, a proposito

del quale Heer 1969, 11, scrive: «They are happy because they have ceased to be

insecure; it is not their death, but the moment of their dying and their present

condition that to Odysseus make them happy. It should be observed that the link

with the divine sense appears to be very tenuous». In Omero µκαρ viene

associato all’interiezioneB mentre Ëè molto frequente negli stereotipi Ëδελ,Ë

δειλο,Ëδειλ; ved. Radici Colaci 1979, 16.

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Il relativoRστις, oltre a dare alla frase il carattere di una massima generale e

a delineare una situazione quasi paradigmatica52, conferisce solennità

all’enunciato del makarismos, poiché, come osservava già Dirichlet 1914, 26, la

lingua colloquiale disponeva di altri mezzi per esprimere il medesimo concetto

come, ad es., del genitivo di causa (cfr. Ar. Pac. 715 ¶µακαραβουλ$σM τ4ς

Θεωρας) o della proposizione causale (cfr. Ar. Ach. 400-1 ¶ τρισµακρι0

Ε,ριπδη,Rθ0δο3λοςοjτωσCσοφςjποκρνεται). Il topos del makarismos, che

si lega fortemente alla concezione greca, secondo cui la felicità umana deve

esprimersi all’esterno dell’uomo, viene adattato da Erode alla struttura dialogica

dell’epigramma.

====δειµε νδειµε νδειµε νδειµε νην πην πην πην π////λινλινλινλιν. Vox 2003, 212, scarta, come aveva già fatto Geagan

1964, 151, la possibile lettura ¨ην al posto di νην poiché, «vista la precisazione

immediatamente successiva che la “città” porta il nome di Regilla, dunque è

semmai π/λις !ηγλλης, non polis dell’ecista (Erode)». Il verbo δµω è poi

attestato come termine tecnico per indicare la costruzione materiale di una città e

non la sua fondazione per mezzo dell’ecista, per la quale è usato il verbo κτζω;

ved. LSJ, s. v.53. Pertanto il nesso =δειµε π/λιν non va tanto confrontato con il

dubbio Call. fr. 43, 80-2 Pfeiffer = 50, 80-2 Massimilla r]λʖαοʖςʖ -µετρην Rστις

=δειµε [π/λ]ιʖν (Hunt; [δ/µ]οʖν Massimilla; [τροφ]οʖνD’Alessio) / )ρ]χσθωµετ9

δʖαʖ*ʖτα, πρεστι δ( καC δ0 mγεσθαι κ]αC πλας· ο,κ dλʖ[]γʖωʖςʖ αʖ[K]µα βο'ς

κʖχʖυʖ[τ]αι, in cui si parla della fondazione di Zancle e dei suoi ecisti, quanto con

Nonn. D. 41, 67-8 καCΒερ/ηςνσσαντοπ/λινπρωτ/σπορον¨δρην,/ iνΚρ/νος

α,τ'ς=δειµε; Christ. A. P. 7, 697, 6Λυχνιδ/ν,iνΦο*νιξΚδµος=δειµεπ/λιν;

P. Sil. S. Soph. 241 εκαCπ;σαν=δειµας)µοCπ/λιν… e IGUR III 1151, 4-6Ιβηρ

cβηρος )νθαδC τετρχυται. / π/λινπαρ0 \ρOν, iν =δειµεΝικτωρ / )λαι/θηλον

µφCΜυγδ/νοςν;µα; ved. Vox 2003, 212.Nella forma media il nesso è usato da

Ath. Deipn. 11, 5, 16-7 α,τ/θι π/λιν )δεµατο ρκλειαν τ$ν Τρηχιναν

52 Ved. SCHWYZER 1950, II, 336: «einleitende Rστις,ποτε gegenüberRς,Rτε haben an sich nur den Begriff der Allgemeinheit, nicht der Wiederhölung». Per una discussione del significato e dell’uso dei relativi Rς eRστιςved. anche TZAMALI 1996, 138-140, nel commento a Sapph. 16, 3 Voigt e 170-1, nel commento a Sapph. 31, 2 Voigt. 53 Cfr. anche Il. 20, 215-6 ∆ρδανον αE πρτον τκετο νεφεληγερτα Ζες, / κτσσε δ(∆αρδανην, Od. 11, 262-3 καN0=τεκενδοπα*δ0,SµφοντεΖ4θ/ντε,οfπρτοιΘOβης¨δος=κτισανXπταπλοιο e Pi. P. 1, 61-2 τ2π/λινκενανθεοδ΄µτ7σMν)λευθερ]/ ¤λλδοςστθ΄µαςρων/ )νν/µοις=κτισσε, in cui =κτισσε riprende οκιστOρdel v. 31.

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καλεοµνην; da Philo Judaeus, Spec. 2, 119, 6 οκας )ν τα,τ2 καC π/λεις

)δεµαντο e da Ios. Fl. AJ 1, 62, 2 καCπ/λιν)δεµατο.

Nell’epigramma di Erode il sostantivo π/λις ha una particolare enfasi

perché per sineddoche «equivale a χρος di IG II/III 2 3, 1, 5189a […] più

modestamente a οeκος» (Vox 2003, 212), dove tra i due coniugi regna uno stato di

concordia esemplare (µονοας θαντου). Non a caso infatti ai vv. 3-4

compaiono i termini οκα e δ/µος, che descrivono il campo semantico

dell’epigramma. La corrispondenza di =δειµε π/λιν a =δειµε οeκονpermette un

confronto anche con Od. 6, 9 )δεµατοοgκους, in cui Nausitoo, detto simile a un

dio, viene presentato come benefattore dei Feaci, per averli fatti trasferire

dall’ampia Iperea, vicino ai Ciclopi, a Scheria, per aver cinto loro la città di mura

e costruito le dimore. Il fatto che Erode venga caratterizzato nel makarismos

dell’osservatore per la costruzione della π/λις / οκα concorda con l’immagine di

benefattore di Erode che si trae dalla testimonianza filostratea relativa al

ripopolamento delle città di Orico nell’Epiro e di Canosa; cfr. V. S. 2, 551,14-7

kκισε δ( καC τ' )ν τo ¼περ7 ·ρικ'ν jποδεδωκ'ς Yδη καC τ' )ν τo |ταλ]

Κανσιον-µερσαςDδατιµλατοτουδε/µενον.Sull’attività di Erode a Orico

ved. Graindor 1930, 226, mentre per il suo interesse per la città di Canosa ved.

Graindor 1930, 68-9 e Ameling 1983, I, 87-8.

vv. 1-2.οοοονννν[[[[οοοο]]]]µαδµαδµαδµαδ0000αααα,,,,ττττ$$$$νννν////!!!!ηγηγηγηγλλʖηʖλλʖηʖλλʖηʖλλʖηʖςκαλςκαλςκαλςκαλων.ων.ων.ων.Questa espressione è, a parere

di Tobin 1997, 248, con approvazione di Vox 2003, 213, un indizio del fatto che

sicuramente il parlante vedeva sullo stipite che guarda verso l’esterno del terreno

l’iscrizione recante il nome di Regilla; riguardo alla posizione di IG II2 5189a ved.

Mallwitz 1964, 162, Vanderpool 1970, 44 e Tobin 1997, 248.

Il nesso ονοµα / vνοµα καλε*ν, usato per indicare il nome con cui una

persona o una città viene chiamata, è attestato in Od. 8, 550 εgπ0 vνοµ0, Rττι σε

κε*θι κλεονµOτηρ τεπατOρ τε, nella domanda che Alcinoo rivolge ad Odisseo

per conoscerne il nome; in Eur. Ion 259 vνοµα τ σε καλε*ν -µ;ς χρεν; nel

dialogo tra Ione e Creusa; in Bacchae 275-6 ∆ηµOτηρθε—/Γ4δ0)στν,vνοµαδ0

π/τερον βολp κλει; nel discorso di Tiresia sugli elementi essenziali per gli

uomini e in Plat. Crat. 383b, 5-6 Rπερ καλο3µεν vνοµα ¨καστον, το3τ/ )στιν

Xκστ7vνοµα;nelle parole di Ermogene sulla correttezza dei nomi.

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v. 2.ζζζζειειειειγαλλγαλλγαλλγαλλ////µενοςµενοςµενοςµενος. Mette 1955, s. v.γλλοµαι, annota che il verbo si

costruisce sempre con il dativo. In questo caso però l’epigramma di Erode per

Regilla ne documenta un uso piuttosto raro senza complemento, benché si possa

intendere che qui γαλλ/µενος venga completato dal participio precedente καλων

sul modello di Il. 17, 473 τεχεα δ0 nκτωρ α,τ'ς =χων µοισιν γλλεται

Αακδαο(cfr. anche 18, 132) e Arch. fr. 128, 4 West2 καCµOτενικωνµφδην

γλλεο. Vox 2003, 213, cita, come unico confronto possibile, Hes. Sc. 86 ζεδ0

γαλλ/µενος σMν )υσφρ7 ¼λεκτρυνp e ricorda che «il precedente epico

suggerisce di supplire qui a ζειγαλλ/µενος il complemento σν!ηγλλp(φλp

λ/χ7: vd. v. 4)». Il nesso ζειγαλλ/µενος chiarisce che l’elogio espresso dal

passante è un makarismos privato per lodare la felicità coniugale di Erode,

piuttosto che un makarismos pubblico per celebrare l’ecista che ha edificato una

nuova città. L’osservatore immaginario tace il nome di Erode ma dà risalto alla sua

scelta di conferire alla città il nome della moglie.

Erode sfrutta l’espediente dell’elogio di un osservatore fittizio, ignaro della

tragedia che lo ha colpito, per dare risalto al suo sfogo di dolore nel distico

successivo.

v. 3. ζζζζω δω δω δω δ0 0 0 0 χʖχʖχʖχʖ[[[[νννν]]]]µενοςµενοςµενοςµενος.... A partire da questo verso la voce di Erode si

contrappone a quella dell’osservatore e si configura, sin dall’inizio, come una vera

e propria smentita dell’elogio precedente. Il terzo verso, che si presta a due

possibili letture, poiché una lettera sulla pietra non è più leggibile (ζω δ0

χʖ[ν]µενος oppure ζω δακ[ρ]µενος), si apre infatti con la ripresa del verbo

ζω il quale, indipendentemente dall’integrazione scelta, è accompagnato da un

participio che gli conferisce una sfumatura di significato opposta a quella

posseduta nel verso precedente. Già Geagan 1964, 151, preferisce la prima lettura

ζω δ0 χʖ[ν]µενος, dal momento che «the particle δ emphasizes the logical

structure of the epigram». A favore di questa tesi si aggiunge l’evidente richiamo

a Il. 24, 525-6, Uςγ9ρ)πεκλσαντοθεοCδειλο*σιβροτο*σι/ ζεινχνυµνοις·

α,τοCδτ0κηδεςεσ, in cui Achille esprime una legge di dolore valida per tutti

gli uomini, secondo la quale gli dei danno agli uomini afflitti beni e mali

mescolati insieme; cfr. vv. 527-30 δοιοCγρτεπθοικατακεαται)ν∆ι'ςοδει/

δρων οKα δδωσι κακν, ¨τερος δ( Xων· / ´ µν κ0 µµξας δp ΖεMς

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τερπικραυνος, / mλλοτε µν τε κακ2 R γε κρεται, mλλοτε δ0 )σθλ2. Per Vox

2003, 213: «l’eco omerica vale ad escludere l’altra possibile lettura».

Le parole pronunciate dall’eroe rispecchiano, dunque, anche il destino di

Erode: come Peleo e Priamo, cui Achille allude nel suo discorso, avevano avuto

una vita felice ed erano stati modelli di prosperità e ricchezza fra gli uomini fino a

quando non avevano ricevuto dagli dei il dolore (v. 538 λλ0)πCκαCτ2θ4κεθε'ς

κακ/ν, v. 547 α,τ9ρ)πε τοιπ4µατ/δ0YγαγονΟ,ρανωνες), così anche Erode

ha sperimentato la sofferenza per la morte di Regilla e non è più l’uomo dalla vita

felice (ζειγαλλ/µενος), come invece commenta erroneamente l’osservatore.

ττττ////µοι.µοι.µοι.µοι.La causa del dolore di Erode viene introdotta dal pronome relativo

neutro τ/, il quale corrisponde qui al latino quod, accompagnato dal pronome

personale µοι. Quest’uso è stato rintracciato da Oliver, come ricorda Geagan

1964, 151, in Od. 11, 540 γηθοσνη,Rο\.Vox 2003, 214, aggiunge gli esempi di

Il. 9, 534 χωσαµνηRο\… e 20, 283 ταρβOσαςRο\…, ricordando che in Ebeling

1885, s. v. Rς, II 87, ne sono registrati altri.

οοοοκκκκα ταα ταα ταα τα3333τα ττα ττα ττα ττυκται.τυκται.τυκται.τυκται. Il nesso è caratterizzato dal prevalere del suono

gutturale e dentale e trova confronto solo in Od. 21, 215 οκα τ0 )γγMς )µε*ο

τετυγµνα; ved. commento a IG XIV 1389 B, 86 = 146 B, 86 Ameling. Il verbo

τεχω è impiegato solo in poesia e indica la costruzione materiale di δµατα,

θλαµον,νη/ν. In Omero è adoperato al passivo (ved. LSJ, s. v.τεχω) e la forma

ττυκταιricorre, salvo rare eccezioni, in clausola finale. La voce verbale ττυκται

può essere collegata per zeugma anche al successivo sintagma ν/σφ[ι] φλης

λ/χου e in questo caso il significato del verbo equivarrebbe a quello del verbo

εµ, conformemente a quanto viene annotato da LSJ, s. v.τεχω «hence in pf. and

plpf. pass. simply for γγνεσθαιor εeναι»; ved. anche Vox 2003, 214.

v. 4.νννν////σφ[ι]φσφ[ι]φσφ[ι]φσφ[ι]φληςληςληςληςλλλλ////χουχουχουχου.Il nesso φληςλ/χου è già ben attestato in Il. 4,

238; 6, 482, 495; 24, 495; Od. 9, 207; 22, 324 mentre nuova è la sua

combinazione con la preposizione ν/σφι.

δδδδ////µοςµοςµοςµος ----µιτελµιτελµιτελµιτελOOOOςςςς. L’aggettivo è presentato come -µιτλης, forse per un

refuso, da SEG, Ameling e Bowie, mentre viene corretto in -µιτελOς da Peek e

Vox.

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Il secondo distico si conclude con un esplicito richiamo a Il. 2, 700-1 το3δ(

καC µφιδρυφ$ς mλοχος Φυλκp )λλειπτο / καC δ/µος -µιτελOς, dove viene

descritto il dolore straziante di Laodamia per la morte del marito Protesilao.

Questo verso, «indimenticabile commento sul destino delle tante mogli rimaste in

patria a rimpiangere coloro che se ne sono andati» (Mirto 1997, 869), era molto

noto nell’antichità e aveva influenzato la produzione poetica successiva, sia greca

che latina, la quale sviluppò per questa coppia mitica di sposi il tema dell’amore

eterno oltre la morte. Per le allusioni al mito di Laodamia e Protesilao nella

letteratura greca e latina ved. Radke 1957, 935-6.

Il nesso δ/µος -µιτελOς di questo epigramma, quindi, stabilisce subito un

confronto tra la sorte di Erode e quella di Laodamia, entrambi colpiti da un lutto

straziante, in virtù del quale la loro casa è detta -µιτελOς. Letteralmente

l’aggettivo significa «halb-finish» (LSJ, s. v. -µιτελOς) e indica una «casa non

completata». Tuttavia sin dall’antichità l’aggettivo viene spiegato in modo diverso

e Vox 2003, 214, ricorda che l’espressione omerica δ/µος -µιτελOς «veniva

interpretata […] metaforicamente come casa senza figli, oppure casa di chi non ha

(più) sposo/sposa, ovvero casa di vedovo/vedova». Cfr. schol. ad loc.: ∆/µος.

οeκος. µιτελOς. ÔΗτοι mτεκνος, < φpρηµνος το3 Xτρου τν δεσποτν. ÕΗ

τελεωτος. ²θος γ9ρ Iν το*ς γOµασι, θλαµον οκοδοµε*σθαι. ∆ι' ο\ πολλο

φασιν,οκοδοµνθλαµονXαυτ2Πρωτεσλαοςππλευσεν)πCτ'νπ/λεµον.

Βλτιονδ(, ερ4σθαι,-µιτελ4,δι9 τ'µ$γεγενηκ/ταπα*δαςπλε3σαι.Ο\δ(Rτι

νεωστC καC ο,δπω τελεως τ9 κατ9 τ'ν γεγαµηκ/τα οgκοι διεπρξατο, λλ9

πρ/τερον )στρτευσε; Apoll. Soph. 84 -µιτελOς Yτοι καθ0 ν δ/µον ο,δπω

πντα τ9 νοµιζ/µενα καC συγκυρο3ντα τ2 γµ7 συνετελσθη, < καθ0 ν ο,κ

=φθη πατ$ρ κληθ4ναι· τλειος γ9ρ οeκος γνεσιν τκνων jποδεξµενος;

Hesych. δ2184 δ/µος-µιτελOς·τελ$ςοeκος.µιτελOς·-µγαµος.Τλοςγρ

)στι γµος, καC ³Ηρα τελεα καC ΖεMς τλειος, Rτι γαµOλιο εσιν54; Eust.

Comm. ad Il. 1, 506, 18-29 Τ' δ ")λλειπτο δ/µος -µιτελOς" εgδους )στC

συµβολικο3.ο,γ9ρ=λλειψινστγηςxπλς<τοιοτουτιν'ςδηλο*λλ9τ'ντο3

οκοδεσποτο3ντοςφανισµ/ν,Uς τ2µ(ν-µσει, τoλ/χ7δηλαδO,συνεσττος

54 Anche Poll. 3, 38 ricorda che τλος era detto il matrimonio: τλοςγµος)καλε*το,καCτλειοιο\γεγαµηκ/τες.

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το3δ/µου,τ2δ(λοιπ2µ$vντος,Yτοιτ2Πρωτεσιλ7τ2µηκτ0vντι.δι'καC

Γεωγρφος Sβους παρ0 µOρ7 επwν ντC το3 χωρCς γυναικν )πγει·

-µιτελ$ςγ9ρχ4ροςβος,UςκαCοeκοςτο3Πρωτεσιλουδι/τιχ4ρος.κατ9δ(

τοMς παλαιοMς κα, δι/τι µ$ διαταξµενος εE τ9 κατ9 οeκον ππλευσεν < µ$

παιδοποιησµενοςUς τελωςÖκ4σθαι τ'να,το3δ/µον,UςεeναιοDτω-µιτελ4

δ/µοντ'νmτεκνον.²νιοιδ(καCxπλςοDτω,δι/τι,φασν,οκοδοµνθλαµον

ππλευσεν.¨τεροιδφασιν,Rτιδ/µος-µιτελ$ς-µγαµος,Uςτο3Xτρουτν

οκοντων )στερηµνος. τλος γ9ρ γµος, Rθεν τελεους τοMς γεγαµηκ/τας

=λεγον.

Strab. Geog. 7, 3, 3, 11-2, cita questo nesso dell’Iliade, interpretando

-µιτελOς metaforicamente nel senso di «casa di vedovo», quando parla del popolo

tracio dei Ctisti, chiamati da Omero Ippemolgi, i quali vivono senza donne,

conducendo una vita βους; -γοµενον -µιτελ4 τινα βον τ'ν χ4ρον, καθπερ

καCτ'νοeκον-µιτελ4τ'νΠρωτεσιλουδι/τιχ4ρος. Invece loschol. in Soph. OT.

930 )κενουγ0οEσαπαντελ$ςδµαρ, interpreta il nesso omerico metaforicamente

come «casa senza figli» (το3το πρ'ς τ' γυν$ δ( µOτηρ `δε τν κενου τκνων·

το3το γ9ρ τλειον )ν γµ7·RθενκαC )κ το3 )ναντου±µηρ/ςφησι καCδ/µος

-µιτελOς) quando commenta l’aggettivo παντελOς, riferito a Giocasta, madre dei

figli di Edipo, affermando che la fecondazione è il fine del matrimonio. In questo

modo interpreta anche nel II-III sec. d. C. Clem. Alex. Strom. 2, 23, 140, 1 )πεC

καC γµον τιν9 οκτερουσιν ο\ ποιηταC "-µιτελ4" καC mπαιδα. Proprio

sull’ambiguità dell’espressione omerica giocano le parole che Luciano fa

pronunciare a Protesilao, il quale, a Eaco che gli chiede come mai vuole scagliarsi

addosso a Elena e soffocarla, risponde in DMort 27, 1 ±τιδι9τατην,BΑακ,

πθανον -µιτελ4 µ(ν τ'ν δ/µον καταλιπν, χOραν τε νε/γαµον γυνα*κα.

Tuttavia Luciano stesso offre anche un’interpretazione letterale di δ/µος-µιτελOς

in Cat. 8, 8-9 Τ$ν οκαν )κτελσαι µοι πρ/τερον )πτρεψον· -µιτελ$ς γ9ρ

δ/µος καταλλειπται. Qui il sintagma omerico sortisce l’effetto comico di un

uomo, il tiranno Megapente, il quale, morto, vuole ritornare per poco tempo sulla

terra solo per portare a termine la costruzione materiale della sua casa. Con il suo

significato letterale l’aggettivo viene ripreso anche da Philostr. Her. 12, 3. In

questo passo il viticoltore del dialogo riferisce che Protesilao non conferma tutto

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quello che Omero ha detto sul suo conto, smentendo così che la sua casa non era

stata portata a termine; καCτ9=πητ9)ςα,τ'νερηµναµOρ7)παινε*κατοιµ$

πντα)παινντ9µOρου,Uςµφδρυφονµ(να,τ2τ$νγυνα*καεeπεν,-µιτελ4

δ( τ$ν οκαν, περιµχητον δ( τ$ν να3ν, )φ0 tς =πλευσε, πολεµικ/ν τε α,τ'ν

καλε*. Anche nella produzione letteraria latina δ/µος -µιτελOς ha avuto dei

riecheggiamenti ed è stato interpretato variamente. Cat. 68, 74, ne offre

un’interpretazione letterale. Parlando del suo amore con Lesbia e del suo incontro

con la donna nella casa dell’amico Allio, Catullo paragona l’ardore sensuale di

Lesbia a quello amoroso di Laodamia che entra nella casa di Protesilao, detta

inceptam frustra. Commentando Catullo 68, Lyne 1998, 201, difende

l’interpretazione letterale del sintagma omerico: «Protesilaus was still in the

process of building his wedding-chambre when he sailed away to war». A

sostegno della sua tesi Lyne cita Od. 23, 192 τ2 δ0 )γw µφιβαλwν θλαµον

δµον,vφρ0)τλεσσα, in cui Odisseo racconta a Penelope, quale prova della sua

identità, come ha costruito il letto nuziale.

Diversamente da Catullo, Val. Fl. Arg. 6, 688, interpreta δ/µος-µιτελOς in

senso metaforico, come mancata realizzazione di un matrimonio mediante il

concepimento dei figli e traduce l’aggettivo -µιτελOς con imperfecta, concordato

con domus, usato in senso figurato per famiglia; coniux miseranda Caico linquitur

et primo domus imperfetta cubili. Per un’interpretazione di questo passo delle

Argonautiche di Valerio Flacco ved. Spaltestein 2005, 197.

Il nesso è presente anche nell’iscrizione registrata in MAMA 1, 301. Per

quanto riguarda δ/µος -µιτελOς dell’epigramma di Erode, l’oscillazione di

significato del nesso è ben attestata anche per l’età di Erode: Ierocle, «un

presumibile contemporaneo di Erode» (Vox 2003, 215) intende il nesso οeκος

-µιτελOς come «casa di chi non è sposato»; Sναγκαι/τατ/ς )στιν περC το3

γµου λ/γος. ªπαν µ(ν γ9ρ -µν τ' γνος =φυ πρ'ς κοινωναν, πρτη δ( καC

στοιχειωδεσττητνκοινωνιν-κατ9τ'νγµον.οτεγ9ρπ/λεις~νIσανµ$

vντωνοgκων,οeκ/ςτε-µιτελ$ςµ(ντ2vντιτο3γµου,τλειοςδ(καCπλOρης

το3γεγαµηκ/τος, mentre in Attica, in base alla testimonianza di Ael. Herod. (?)

Philet. 31, l’espressione vale come «casa senza figli»; Τλειοιπαρ9το*ςSττικο*ς

Page 125: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

123

ο\ =ντεκνοι·Rθενπαρ9τ2ποιητoοDτωςκοουσι τ'ν -µιτελ4δ/µονπαρ/σον

mτεκνοςIνΠρωτεσλεως·καCδ/µον-µιτελ4.

Queste constatazioni aiutano a concludere che Erode adopera δ/µος

-µιτελOς non tanto nel significato concreto di «casa non conclusa», visto che,

come ricorda Vox 2003, 215, il primo distico celebra propriamente

un’edificazione completa fino all’intitolazione a Regilla, quanto volutamente nel

doppio significato metaforico sia di «casa di vedovo» per la morte di Regilla, sia

di «casa senza figli», in riferimento alle morti premature dei figli che già lo

avevano addolorato profondamente. Secondo la testimonianza di Philostr. V. S. 2,

255, 10-15, Regilla era anche all’ottavo mese di gravidanza, quando morì; inoltre

i due figli, Atenaide e Regillo, erano morti solo alcuni anni prima della moglie.

v. 5.QQQQςςςςmmmmρατοιθνητορατοιθνητορατοιθνητορατοιθνητο****σιθεοσιθεοσιθεοσιθεοCCCCβιοτβιοτβιοτβιοτ$$$$νννν))))κερασκερασκερασκερασντ[ο].ντ[ο].ντ[ο].ντ[ο]. Sulla funzione delle

tre particelle Qς mρα τοι Geagan 1964, 152, 154, annota che «the particle Qς

connects this third couplet with the previous two […] the particle mρα stresses “the

interest or surprise occasioned by enlightenment or disillusionment”, while τοι

serves to alert the listener to the revelation of a fact». Vox 2003, 216, evidenzia la

novità sia del nesso βιοτ$ν)κερασντ[ο]che della voce verbale senza aumento

che non ha altre attestazioni. )κερασντ[ο]è una integrazione di Ameling 1983,

118, il quale individua nei vv. 5-6 due proposizioni coordinate, diversamente da

Geagan che integra con il participio κερσαντ[ες]; ved. infra. Il verbo κερννυµι è

impiegato per indicare la diluizione del vino con l’acqua; ved. Wakker 1991b, s. v.

Qui regge l’accusativo βιοτOν, usato metaforicamente secondo l’immagine del

mescolare il cratere, espressa dallo schema etymologucum κρ4τηρακερσσαντο;

cfr. Od. 3, 393 e 18, 423. ΒιοτOν è il cratere della vita in cui si mescolano insieme

sia le esperienze positive che negative. Riconoscendo nella mescolanza di gioie e

dolori una volontà degli dei, Erode riecheggia nuovamente Il. 24, 525-30; ved.

supra 55. L’avvicendarsi di gioie e dolori è un tema ricorrente della lirica: Arch. fr.

128, 7 West2 γγνωσκεδοKοςNυσµ'ςνθρ/πους=χει, lo definisce il ritmo che

governa gli uomini. La stessa alternanza è confessata da Theogn. vv. 357-8 West2

Uς δ περ )ξ γαθν =λαβες κακ/ν, ¬ς δ( καC αEθις / )κδ3ναι πειρ θεο*σιν

55 Pi. P. 3, 81-2, aveva mutuato da questo passo dell’Iliade l’enunciato ¿ν παρ0 )σλ'ν πOµατασνδυοδαονταιβροτο*ς / θνατοι,per adattarlo alla situazione del monarca che sa tollerare il male e ostentare il bene che la sorte gli ha dato.

Page 126: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

124

)πευχ/µενος, il quale, nei vv. 1033-6 West2 riconosce anche l’impossibilità

dell’uomo di sfuggire a ciò che è stato loro riservato dagli dei in quanto egli può

solo accettare il bene e il male avuto in sorte; cfr. anche Theogn. vv. 591-2 West2

Τολµ;νχρO,τ9διδο3σιθεοCθνητο*σιβροτο*σιν,/Nηϊδωςδ(φρεινµφοτρων

τ'λχος.La mescolanza di gioie e dolori viene anche confessata da Socrate che

dialoga con Protarco in Plat. Phil. 50b 1-4 Μηνειδ$ν3νλ/γος-µ*ν)νθρOνοις

τεκαC)ντραγ7δαις<καCκωµ7δαις>,µ$το*ςδρµασιµ/νονλλ9καCτoτο3

βουσυµπσp τραγ7δ]καCκωµ7δ], λπας-δονα*ςªµακερννυσθαι,καC )ν

mλλοιςδ$µυροις.Libanio nel IV sec. d. C. ripropone questa convinzione in Or. 1,

1, 8-10 Uς εδε*εν ªπαντες, Rτι µοι τ9 τ4ς τχης )κρασαν ο\ θεοC καC οτε

ε,δαιµονστατοςοτεθλιτατος)γ. Kock ricavava da questo passo di Libanio

Com. adesp. fr. 495, non accolto poi nell’edizione di Kassel-Austin.

v. 6. χ χ χ χ[[[[ρ]µατρ]µατρ]µατρ]µατ ττττ0 Y0 Y0 Y0 Yδδδδ0 0 0 0 ννννας γεας γεας γεας γετονας.τονας.τονας.τονας. I sostantivi χρµατα e νας

riecheggiano rispettivamente il contenuto dei due distici precedenti. Questa

compresenza di gioia e dolore, ammessa da Erode, richiama alla mente le parole

che la nutrice pronuncia al riconoscimento di Odisseo in Od. 19, 471 τ$νδ0ªµα

χρµα καC mλγος ¨λε φρνα. Come in Omero, anche in questo epigramma

χ[ρ]µαττ0Yδ0νας offre un forte ossimoro56, che caratterizza concettualmente

la struttura complessiva dell’epigramma. In Eur. Hel. 321 πρ'ς τ9ς τχας τ'

χρµα τοMς γ/ους τ0 =χε, gioia e dolore sono presentati come alternative

dell’animo, in conformità alle circostanze, dal coro che esorta Elena a reagire

come conviene a seconda che Teonoe le riferisca che Menelao è vivo o morto.

I due sentimenti sono poi definiti da Erode in modo metaforico γετονας,

cioè «vicini». Geagan 1964, 152, seguito da Ameling 1983, II, 119 e Vox 2003,

216, rinvia per questo uso di γετων, riferito a sostantivi astratti, a Aesch. Ag.

1003-4 ν/σοςγ9ρ / γετωνµ/τοιχος)ρεδει; invece una certa cautela presenta

Bowie 1989, 231, nel chiamare in causa questo passo di Eschilo. Vox 2003, 216,

aggiunge anche l’esempio di Critias 6, 21 West2 καC τ$ν Ε,σεβης γετονα

Σωφροσνην e ricorda che l’elegiaco Crizia era uno degli autori prediletti di

Erode Attico sulla base della testimonianza di Philostr. V. S. 2, 1, 564 προσκειτο

56 I vv. 469-72 dell’Odissea sono caratterizzati da una combinazione insolita di ritmo, suono e concetti; ved. RUSSO-GALLIANO -HEUBECK 1992, III 98.

Page 127: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

125

µ(νγ9ρπ;σιτο*ςπαλαιο*ς,τ2δ(Κριτ]καCπροσετετOκεικαCπαρOγαγενα,τ'ν

)ςYθηTλλOνωντωςµελοµενονκαCπεριορµενον.

µφµφµφµφCCCCςςςς====χχχχωʖωʖωʖωʖ.... La lettura dell’ultima lettera, con cui l’epigramma si conclude, è

piuttosto dubbia. Geagan 1964, 152, riporta che «the third letter may be read as an

omicron, a theta, a lunate epsilon or sigma». Egli però, leggendo al v. 5

κερσαντ[ες], come participio congiunto di θεο, è costretto a integrare con

=χοʖ[υν], imperfetto del verbo χ/ω,perché il senso del terzo distico gli impedisce

di leggere una forma del verbo=χω e ragioni metriche di integrare con forme del

verbo χω o con un aoristo diχ/ω.Pertanto traduce nel seguente modo: «for, in

truth, the gods, when they have mixed the cup of life for mortals, puor out joys

and griefs side by side». Ameling 1983, II, 118, corregge la forma verbale

tramandata dalla pietra in )κερασντ[ο] e integra l’ultimo verso con =χω,

intendendo come soggetto di quest’ultimo Erode Attico stesso e interpreta: «So

also mischten die Götter das Leben den Sterblichen, Freude und Trauer habe ich

als Nachbarn um mich herum». Bowie 1989a, 231, concorda con Ameling e

traduce: «so it is, you see, that for mortals gods have blended life / and I have as

my neighbours on other side both joys and woes». In tal modo Ameling recupera

l’espressione µφCς=χω, attestata con il significato di «1a auf (von) beiden Seiten

[…] 2 gesondert, auseinander, fern, in zwei Teile» (Busch 1965, s. v. µφCς). Qui

µφCς=χω assume il significato di «ho da una parte e dall’altra», «sono stretto in

mezzo a» (Vox 2003, 216) e vale come espressione di impotenza di fronte alle

alterne vicissitudini della vita. Con questo significato, ma con valore positivo,

µφCς =χω è attestato in Robert-Robert 1954, 189-90, nr. 93, un iscrizione in

prosa del 172 d. C., di poco posteriore a quella di Erode per Regilla, con cui si

rivela l’identità di Eutico che giace nella tomba, il quale viene celebrato per aver

visto la città e conosciuto le menti di molti uomini che hanno intorno il cosmo

immenso; νθρπωνοfκ/σµονπεριτονµφC=χουσι.

L’espressione µφCς=χω riechieggia poi una fraseologia tipica da epitimbio,

come dimostrano gli esempi di Greg. Naz. A. P. 8, 137, 2 τµβοςRδ0µφCς=χω;

8, 170, 2 τµβοιδ(θυηπ/λονµφCς=χουσι; SEG 23, 155)ξγαθν[προγ/νων

ερ/πτηντ'νβαρυπεν]θ4/ j'νΜεδ[ωνοςτµβοςRδ0µφCς=χει]; IG XII 5, 304,

Page 128: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

126

6-7 [ν µε Περσεφ/νης] / µφCς =χει θ[λαµος] e Mil. 459, 1-2 [τµβος] Rδʖ0

ʖ[µφCς=χειτελ]σʖ[ασαντρε*ς]σʖεβο[ιο]/ Xβδοµδας.

Pertanto con i vv. 5-6 Erode espone una riflessione personale sulla propria

esperienza, fatta di gioie e dolori per volontà degli dei; «The final epigramm adds

a third mood to the joy of the first and the sorrow of the second, a mood of

understanding and acceptance of joy and sorrow» (Geagan 1964, 153).

Vox 2003, 216, pur stampando l’integrazione di Ameling, esprime la sua

perplessità nel ritenere la conclusione dell’epigramma troppo scontata. Proprio la

difficile lettura dell’ultima parola induce lo studioso a proporre come plausibile

integrazione l’infinito consecutivo =χειν, intendendo come soggetto sottinteso i

mortali, ricavabile dal v. 5 θνητο*σι. In questo modo l’epigramma si

concluderebbe con una verità universale che riguarda non solo Erode ma tutto il

genere umano, in armonia al modello dell’Iliade riecheggiato: «Così, in realtà, gli

dei hanno mescolato per i mortali la coppa della vita, sì che abbiano gioie e dolori

per vicini, da un lato e dall’altro» (trad. Vox).

Page 129: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

127

7 = 140 Αmeling

Peek 1942, 306; Peek 1955, 1613; Peek 1960, 356; SEG 26, 290.

Cefisia. Quasi sotto la chiesa di Agia Paraskevi.

Su un blocco di marmo bianco.

Intorno al 161 d. C.

Cfr. Peek 1942, 136-9, nr. 306; Ameling 1983, II, 143-6, nr. 140; Tobin

1997, 225-8; Galli 2002, 157-62.

L’iscrizione fu ritrovata su un blocco di marmo bianco nel 1866 a Cefisia, a

nord ovest della pianura di Platea, quasi sotto la chiesa di Agia Paraskevi, durante

gli scavi per la costruzione di un edificio. In quell’occasione venne scoperta anche

una tomba con quattro sarcofagi. Benndorf 1868, il primo a dare una descrizione

dettagliata della tomba, avanzò l’ipotesi che la struttura tombale riportata alla luce

appartenesse alla famiglia di Erode Attico sulla base di testimonianze letterarie e

archeologiche che documentano la presenza del retore proprio nell’area di

ritrovamento della tomba. I sarcofagi sono piuttosto differenti tra loro. Il più

grande e forse anche il primo a essere stato posto nella tomba è collocato sul lato

opposto a quello d’ingresso; il secondo invece è decorato con amorini e con le

figure di Amore e Psiche al centro e ha in comune con il primo motivi sepolcrali

molto usuali. Il terzo sarcofago non è decorato mentre il quarto presenta un

dipinto piuttosto inusuale come tema sepolcrale: la famiglia reale spartana. Da

questa rappresentazione il sarcofago prende il nome di «sarcofago di Leda». Il

mito racconta che Leda, moglie del re di Sparta Tindaro, aveva dato alla luce

quattro figli di Zeus che si era unito a lei nelle sembianze di un cigno. Leda partorì

due uova: da uno uscirono Elena e Polluce, dall’altro Clitemestra e Castore. Il

riferimento a questo mito non risulta in nessun modo casuale in un complesso

tombale collegato alla figura di Erode, se si ricorda che questi e la sua famiglia

avevano stretti legami con la città di Sparta; sul tema ved. Spawforth 1980 e Perry

Page 130: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

128

2001, 468-71. Per una descrizione della tomba romana di Erode Attico ved.

Tschira 1948-1949, Tobin 1997, 219-24 e Perry 2001, 464-68, 484-90

Peek 1942, 139, avanza l’ipotesi che l’iscrizione in questione potrebbe

essere appartenuta alla tomba romana di Erode Attico. Tobin 1997, 225, osserva

che il trattamento del blocco di pietra dell’iscrizione è simile a quello della tomba

e che la sua grandezza corrisponde a quella dei blocchi di pietra del dromos, cioè

del passaggio di ingresso che conduce giù alla tomba. Secondo questa ipotesi i

visitatori che scendevano nella tomba potevano leggere l’epigramma relativo alla

dedica di una ciocca di capelli di Erode per un figlio morto nei primi mesi di vita.

Lo stesso epigramma sembra confermare questa ipotesi perché il v. 3 sottolinea

come Erode metta la ciocca sottoterra e non sulla tomba, come era più consueto.

Il blocco di marmo bianco rivela che la superficie non era stata preparata

inizialmente per accogliere un’iscrizione, perché questa appare lisciata

imperfettamente. A questa osservazione si deve aggiungere la constatazione che

l’epigramma fu inciso con poca cura poiché le righe del testo non scorrono

parallelamente tra di loro ma sono leggermente inclinate a destra.

Il blocco di marmo contiene un epigramma funebre in distici elegiaci in

stretto rapporto con il complesso architettonico di appartenenza come nel caso

delle iscrizioni triopee a Roma (IG XIV 1389 A-B = 146 A-B Ameling) e di SEG

23, 121 = 99 Ameling sulla Porta della Concordia immortale a Maratona. Per

Galli 2002, 157 «erweist sich auch bei der Gestaltung des Grabbaus in Kephissia

der gezielte Einsatz der Inschrift als bewußt von dem Sophisten verwendetes

Kommuniktionsmedium» (Galli 2002, 157).

ρδη,σοC τOνδεκ/µην,ο,πντα)νιαυτ/ν

οτεκ/µηνθρψαςοτεσ(πα*δαφλον

µηνCτρτ7κερας,jπ'κεθεσιθOκατογαης,

ρδηςδεσαςmκρακ/µηςδκρυσι·

σ4µ0=τυµονπαδωνψυχα*ςτρισν,Qςποτεσµα 5

δξεσθ0)νθOκαιςjµετροιοπατρ/ς.

v. 1 ρδη,σοC Skenteri, ρδης,ο×alii v. 2 κ/µηνPeek, probb. alii, κ/ρην Ameling.

Page 131: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

129

Erode, per te ha posto questa chioma nel profondo della terra Erode, dopo

avere bagnato le punte della chioma con le lacrime, poiché egli non ha cresciuto

né te, caro figlio, né la chioma in meno di un anno; l’ha tagliata al terzo mese:

sia un segno per le tre anime dei figli, che un giorno voi accoglierete nelle vostre

tombe il corpo di vostro padre.

Il tema dell’epigramma è la dedica di una ciocca di capelli per la morte di

una persona cara. Simili offerte sono ben documentate, ricorda Peek 1942, 137, in

età classica come rito nel culto dei morti; ved. Sommer 1912, 64-84. Tuttavia gli

esempi disponibili per queste offerte fanno riferimento soltanto a un tempo mitico

e non dimostrano se l’offerta di una ciocca di capelli fosse in uso nell’Atene del V

sec. a C. In Il. 23, 135-53 i cavalieri dell’esercito greco dedicano a Patroclo

defunto una ciocca dei loro capelli mentre Achille rasa completamente la sua

capigliatura offrendola in onore dell’amico. Il taglio dei capelli viene anche

ricordato come offerta funebre per Achille da Agamennone in Il. 24, 45-6.

L’offerta di una ciocca di capelli presso la tomba di una persona cara è anche la

scena con cui si aprono le Coefore di Eschilo (vv. 6-7). Il mito di Oreste aveva

fatto di questa usanza un elemento essenziale del processo di riconoscimento del

giovane da parte della sorella Elettra. Questa pratica funebre ricorre anche in

Soph. Aj. 1173-5; El. 449, 901; Eur. El. 90, 515; Or. 96, 113; IT 172, 703.

Eust. Comm. ad Il. 2, 11 e 23, 141, spiega che gli antichi Greci crescevano i

capelli lunghi per dedicare poi la loro chioma ad Apollo o ai fiumi e che la

tagliavano anche in segno di dolore. A questa usanza di tagliare i capelli allude

anche Plat. Phaed. 89b 5, dove Socrate, scherzando sulla chioma dell’amico

Fedone, esorta il giovane a non aspettare il giorno successivo per tagliare i capelli

per la morte del maestro, ma ad adempiere questo rito in quello stesso momento.

Entrambi infatti dovrebbero ostentare una capigliatura corta in segno di lutto,

qualora i loro argomenti dovessero venire meno e non potessero essere più

riportati in vita (89b 9 - c 10). Plu. Mor. 267b, informa che in occasione di un

lutto le donne erano solite tagliare i capelli e gli uomini invece farli crescere. Per

questi motivi Peek 1942, 137, conclude che «Herodes hat jedenfalls eine zu seiner

Zeit längst außer Gebrauch gekommene Sitte wiederaufgenommen».

Page 132: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

130

v. 1. ρρρρδηδηδηδη,σ,σ,σ,σοοοοCCCC ττττOOOOνδενδενδενδεκκκκ////µηνµηνµηνµηνοοοο,,,,ππππνταντανταντα))))νιαυτνιαυτνιαυτνιαυτ////νννν. Peek 1942, 136, seguito

dagli studiosi successivi, legge la prima parte del verso come ρδης, ο×.

Secondo questa lettura il primo verso riassumerebbe, in uno stile pregnante, gli

elementi significativi dell’epigramma e cioè il nome del padre che compie

l’offerta funebre (ρδης), ripetuto al v. 4; l’espressione di dolore che

l’accompagna (ο×), la quale darebbe subito una chiara idea del clima generale del

componimento; l’oggetto dell’offerta (τOνδεκ/µην), che viene ripetuto tre volte

nel corso dell’epigramma e l’indicazione di un arco di tempo inferiore a un anno

(ο,πντα)νιαυτ/ν), che amplifica il sentimento di dolore di Erode per la perdita

del figlio appena nato. Il componimento risulta però privo del nome del defunto

che è un elemento caratteristico di un epigramma funebre; ved. Fantuzzi-Hunter

2002, 413, i quali affermano che tacere il nome del defunto era «una forma

estrema delle possibilità di deroga alle convenzioni più comuni dell’epigrafe

funeraria». Questa constatazione, insieme alla difficile sintassi del testo, che ha

messo i traduttori alla prova e ne ha impedito la piena comprensione, induce

Skenteri 2005, 75, a distaccarsi dalla lettura tradizionale del testo. A suo giudizio

accettare la lettura data da Peek significa ammettere in un testo corto come quello

epigrafico, «a waste of space, aesthetically questionable and alien to the genre».

Così propone, mediante una diversa divisione delle lettere iniziali, la lettura

ρδη,σοC. Questa correzione permette, da una parte, di conoscere il nome del

bambino, dall’altra, di assegnare all’epigramma in esame tutte le caratteristiche

tipiche del suo genere, quali:

1) il vocativo del nome del defunto seguito dal dativo σο, che funge da

introduzione all’epigramma,

2) il nome del padre che compie l’offerta per il figlio.

Questa correzione si basa sul fatto che, mentre le testimonianze di ο× come

esclamazione di dolore, rintracciabili nel TLG e confrontabili con questo

epigramma, sono Kaibel 1878, 418, 5-8 αα* τ$ν )πC ππλα καC ες µριστα

πεσο3σα[ν / στµµατα καC ββλου(ς) σε*ο, πρ/µοιρε, [τ]φρην Ø / ο× θρOνοισι

βοητ'νjµOναον,ο×προκελεθους /λαµπδας,jστατουκαCκενεο*[ο]λχουςe

IGUR III 1319, 7-8 ο×<U>ς µ(ν θαλpσι λυρ/κτυπος, Uς δ( κραται'ʖ[ς] µφC

π<>λpβι/τουmʖ[ν]θος=χων=θανες, quelle del dativo σο,dopo un vocativo a

Page 133: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

131

inizio di epigramma o di una struttura sintattica, sono più convincenti; cfr. Gaet.

A. P. 5, 17, 1 SγχιλουNηγµ*νος)πσκοπε,σοCτδεπµπω; Rufin. A. P. 5, 21,

5-6 µOτιςσοι,µετωρε,προσρχεται<κολακεωνλσσεται; 5, 74, 1 Πµπωσοι,

!οδ/κλεια, τ/δε στφος, mνθεσι καλο*ς; Mel. A. P. 5, 140, 3 Ζηνοφλα, σοC

σκ4πτραΠ/θωνπνειµαν; 5, 191, 7-8 "Κπρι,σοCΜελαγρος,µστης/σν

κµων,στοργ4ςσκ3λατδ0)κρµασε"; Jul. A. P. 6, 28, 7-8 Εριονιε,σοCτδε

Βατων / δρα φρει; Phil. A. P. 6, 101, 7-8 βραδυσκελ$ς ³Ηφαιστε, σοC

Τιµασων/=θηκεν,κµ4ςγυ*ονqρφανωµνος, Antiph. A. P. 6, 199, 1-2 Ενοδη,

σοC τ/νδε φλης νεθOκατο κ/ρσης / π*λον, δοιπορης σµβολον, Sντφιλος;

Diod. A. P. 6, 245, 3-4 Βοιτιε, σο µε,Κβειρε / δσποτα, χειµερηςmνθεµα

ναυτιλης; Phaedim. A. P. 6, 271, 1 ρτεµι,σοCτ9πδιλαΚιχησουεrσατου\'ς;

Antiph. A. P. 6, 287, 1 ρτεµι,σοCταταν,)υπρθενε,π/τναγυναικν; Nicod.

A. P. 6, 314, 1 Πηνελ/πη,τ/δεσοCφ;ροςκαCχλα*ναν¹δυσσεMς; Leon. A. P. 6,

325, 2 Επολι,σοCπµπειδραγενεθλδια; Diod. A. P. 6, 348, 6 ρτεµι,σοCδ(

κυνν θηροφ/νων =µελεν; Diog. Laert. A. P. 7, 88, 1 Φωσφ/ρε, σο,

Πολδευκες,=χωχριν,οDνεκενυ\'ς; Lucill. 11, 258, 3 Ζε3δσποτα,σοCτχα

θOσει.

La novità di questo epigramma consisterebbe dunque, secondo questa

lettura, nella ripetizione del medesimo nome (ρδης) riferito a due persone

distinte; ved. Skenteri 2005, 76. Il bambino cui Erode dedica la ciocca di capelli

non è nominato in altre fonti. Filostrato cita il nome di quattro figli: Elpinice,

Atenaide, che lui chiama Panatenaide, Regillo e Bradua. Ved. anche commento a

IG XIV 1389 A, 13-7 = 146 A, 13-7 Ameling.

ττττOOOOνδεκνδεκνδεκνδεκ////µην.µην.µην.µην.L’espressione presuppone una riproduzione visiva della ciocca

di capelli sulla pietra; ved. Peek 1942, 139. Il sostantivo κ/µηè ripetuto per ben

tre volte in casi differenti ai vv. 1, 2, 4. La stessa ripetizione si registra per πα*ς

(v. 2 πα*δα,v. 5παδων). Cfr. anche θOκατοdel v. 3 e θOκαιςdel v. 6.

ππππνταντανταντα ))))νιαυτνιαυτνιαυτνιαυτ////ν.ν.ν.ν. Il nesso corrisponde a Rλον )νιαυτ/ν, attestato in prosa

come, p. es., in Pseudo-Apoll. 2, 81, 5 συνεδωξεν Rλον )νιαυτ/ν e Plu. Mor.

207c, 9 καC κατσχεν α,τ'ν Rλον )νιαυτ/ν. Per quest’accezione dell’aggettivo

π;ς ved. Kühner-Gerth 1898, I, 631-2. Il nesso πντα )νιαυτ/ν indica

propriamente un arco di tempo di 12 mesi e, preceduto dalla negazione ο,,

Page 134: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

132

esprime l’idea di un ciclo non concluso. Con questo significato )νιαυτ/ς è

attestato in Od. 1, 16 λλ0Rτεδ$=τοςIλθεπεριπλοµνων)νιαυτν, dove è messo

in contrapposizione a =τος, altro sostantivo che esprime l’idea di anno; ved.

Emlyn-Jones 1967, 157. La medesima contrapposizione si riscontra anche in Ar.

Ra. 347 χρονους τ0 )τνπαλαιν )νιαυτοMς; ved. Dover 1997, 129. In tutte le

altre occorrenze omeriche i sostantivi =τος ed )νιαυτ/ς sono invece usati senza

alcuna distinzione di significato tanto che l’unico criterio discriminante sembra

essere quello metrico, dal momento che si registra una forte tendenza a usare il

sostantivo )νιαυτ/ς in clausola di esametro. Per i passi dell’Iliade e dell’Odissea

in cui sono usati =τος ed )νιαυτ/ς, ved. Beekes 1969, 139, 140-1; cfr. anche Es.

Th. 184, 493, 636, 740, 795, 799, Op. 561, Sc. 87, fr. 17 a, 6 Merkelbach-West.

vv. 2-3. οοοοτετετετεκκκκ////µηνµηνµηνµηνθρθρθρθρψαςψαςψαςψαςοοοοτετετετεσσσσ((((παπαπαπα****δαδαδαδαφφφφλονλονλονλον////µηνµηνµηνµηνCCCCτρτρτρτρττττ7777κεκεκεκεραςραςραςρας.... Peek

1942, 137, vede in questi due versi una simmetria di costrutto. Egli crede che

κ/µηνe σ dipendano rispettivamente dai participi aoristi θρψαςe κερας. Tale

simmetria verrebbe sottolineata dall’anafora della congiunzione negativa οτε.

Pertanto lo studioso traduce: «weder ließ er ein ganzes Jahr sein Haar wachsen,

noch an dir, seinem lieben Kinde, im dritten Monat die Schur vollziehen». Egli

spiega questi versi con l’usanza ateniese del meion che prevedeva il taglio dei

capelli del neonato durante il secondo giorno della festa delle Apaturie. Durante il

primo anno di vita poi i capelli del bambino venivano nuovamente tagliati durante

la festa delle Apaturie, perché egli fosse inserito in una fratria. Sulla festa delle

Apaturie ved. Töppfer 1894; sulla cerimonia del meion Schultheß 1931. Ameling

1983, II, 145, immagina che il figlio di Erode muoia prima dell’adempimento di

questo rito e che il padre dapprima tagli i capelli dopo la morte del figlio in segno

di lutto e che dopo tre mesi offra la propria ciocca al posto di quella del neonato

durante la cerimonia del meion. Questa spiegazione però dà piuttosto adito ad

altre obiezioni poiché rimane difficile comprendere «the value this act would have

had for a dead infant» (Tobin 1997, 226). Inoltre la ciocca di capelli veniva

dedicata nuovamente al compimento del primo anno di vita del bambino e non

dopo tre mesi, come invece farebbe pensare questo epigramma secondo

l’interpretazione di Peek 1942 e Ameling 1983; ved. Tobin 1997, 226. Mancano,

da una parte, esempi paralleli di offerte di una ciocca di capelli di un padre per il

Page 135: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

133

figlio defunto durante la festività delle Apaturie, dall’altra, attestazioni del nesso

πα*δα κερειν; per l’uso di κερω nel significato di «crop a person […] in sign of

mourning» ved. LSJ, s. v. κερω, 2 e cfr. Hdt. 9, 24σφαςτεα,τοMςκεροντες

καCτοMςrππους.

A distanza di diciotto anni Peek 1960, 356, propone una nuova

interpretazione del testo, accolta anche da Bowie 1989a, 232, da Richardson, che

traduce l’epigramma per Tobin 1997, 225, e da Skenteri 2005, 75. Egli riconosce

nei versi 2-3 uno zeugma e considera i due accusativi κ/µηνe σ(πα*δαφλον

retti dal participio θρψας. L’anafora della negazione οτε enfatizzerebbe ora,

secondo Peek, una ricercatezza stilistica: «kein volles Jahr durfte er sein Haar

wachsen lassen, noch nicht, sein liebes Kind, heranwachsen sehen» (trad. Peek). Il

nesso κ/µην θρφειν è attestato solo in Plu. Cic. 35, 7, 5 α,το3 το3 Μλωνος

ε,θαρσςκαCδεςπαρισταµνουτ2γνικαCκ/µηνθρψαικαCµεταβαλε*ν

)σθ4τα φαι9ν παξισαντος. Per θρφειν πα*δα cfr. Theogn. v. 275 West2

πα*δας )πεC θρψαιο; Pind. P. 9, 18 δ( τ9ν ε,λενον θρψατο πα*δα

Κυρναν; Eur. Med. 562 πα*δαςδ(θρψαιµ0ξωςδ/µων)µν; Tr. 702πα*δα

τ/νδε παιδ'ς )κθρψειας~ν. Già in Il. 8, 383; 18, 57 e Od. 2, 131; 19, 368 il

verbo θρφω è usato per indicare tutte le cure necessarie per la crescita di un

bambino.

Ameling 1983, II, 143, critica invece la proposta di Peek «da sie den Dichter

(H.?) vor dem fast unzumutbaren Zeugma bewahrt». Tuttavia egli, tenendo conto

della difficile lettura della pietra, si chiede se sia possibile leggere al v. 2 οτε

κ/ρην θρψας al posto di οτε κ/µην θρψας. Il senso dei tre versi sarebbe il

seguente: «Herodes hat, ach, dieses Haar, nachdem er weder die Tochter, noch

dich, lieben Sohn, ein Jahr lang aufziehen durfte, im dritten Monat abgeschnitten

und in die Tiefe der Erde gelegt» (trad. Ameling). In base a questa lettura,

l’epigramma menzionerebbe una figlia e un figlio di Erode, morti a tre mesi di

distanza l’uno dall’altro. Lo stesso studioso però si rende conto della difficoltà

creata da questa proposta: «will man nicht eine Doppelgeburt annehmen oder

noch ein anderes unbekanntes Kind, so muß der Sohn das Kind von ad M. Caes.

1, 6, 8 sein; das gerade geborene und verstorbene Kind wäre dann eine Tochter.

Page 136: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

134

Die Umkehrung der zeitlichen Reihenfolgen im Vers mag metrische Gründe

haben, weil οτεπα*δα… unmöglich ist» (Ameling 1983, II, 145).

µηνµηνµηνµηνCCCC τρτρτρτρττττ7777 κεκεκεκεραςραςραςρας. In questo modo l’epigramma indica l’età in cui il

neonato è morto. Peek 1960, 356, collega µηνC τρτ7 κερας alla prima

indicazione temporale ο, πντα )νιαυτ/ν e ritiene che in questo modo

l’epigramma lasci intendere che Erode soffre ancora per un lutto piuttosto recente,

per il quale ha tagliato già corti i capelli, quando si abbatte su di lui la morte di un

figlio che lo getta in uno stato di profondo dolore, per il quale taglia nuovamente i

capelli corti. Il risalto conferito all’impossibilità di crescere i capelli a causa dei

due lutti fa pensare che Erode avesse l’abitudine di portare i capelli lunghi,

nonostante le statue lo ritraggano sempre con i capelli corti. Per l’allontanamento

dalla realtà negli epigrammi collegati alla figura di Erode Attico ved. IG XIV

1389 A, 12 = 146 A, 12 Ameling.

v. 3. jjjjππππ'''' κεκεκεκεθεσιθθεσιθθεσιθθεσιθOOOOκατογακατογακατογακατογαης.ης.ης.ης. L’espressione jπ'κεθεσιθOκατογαης

completa il secondo esametro. Il nesso jπ'κεθεσιγαης è attestato in Il . 22, 482;

Od. 24, 204; H. Hom. Cer. 398; Hes. Th. 300, 483; Theogn. v. 243 West2 e indica

propriamente la collocazione geografica dell’Ade; cfr. anche IEgVers 24, 11 =

SEG 24, 1216, 10.

v. 4.ρρρρδηςδεδηςδεδηςδεδηςδεσαςσαςσαςσαςmmmmκρακκρακκρακκρακ////µηςδµηςδµηςδµηςδκρυσικρυσικρυσικρυσι. Con questo verso si conclude la

prima parte dell’epigramma e viene reso noto il nome di colui che dedica una

ciocca di capelli per il fanciullo (ved. supra).

Per le lacrime di dolore come consolazione per la scomparsa di una persona

amata ved. Od. 4, 197-8 dove le due usanze di tagliarsi i capelli e versare lacrime

per un defunto vengono presentate come gli unici conforti che gli uomini hanno a

disposizione. Il verbo δεω è qui accompagnato dal dativoδκρυσι come in Od.

7, 260 εrµαταδ0αεC/δκρυσιδεεσκον, in cui Odisseo racconta della sua lunga

permanenza presso Calipso, che lo aveva costretto a versare molte lacrime. Come

espressione di forte dolore per la morte di un uomo, il nesso è attestato nella

forma passiva in Il. 9, 570 δεοντο δ( δκρυσι κ/λποι e Il. 23, 15 δεοντο

ψµαθοι, δεοντο δ( τεχεα φωτν / δκρυσι, in occasione dei funerali di

Patroclo.

Page 137: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

135

v. 5-6. σσσσ4444µµµµ0 =0 =0 =0 =τυµον πατυµον πατυµον πατυµον παδων ψυχαδων ψυχαδων ψυχαδων ψυχα****ς τρισς τρισς τρισς τρισν,ν,ν,ν, QQQQς ποτε σς ποτε σς ποτε σς ποτε σµαµαµαµα / δδδδξεσθξεσθξεσθξεσθ0 )0 )0 )0 )νννν

θθθθOOOOκαιςκαιςκαιςκαιςjjjjµετµετµετµετροιοπατρροιοπατρροιοπατρροιοπατρ////ς.ς.ς.ς.A differenza dei primi quattro versi in cui l’epigramma

ha un tono narrativo e descrive l’offerta della ciocca di capelli, negli ultimi due

invece si rivolge direttamente alle anime dei tre figli defunti, indicati mediante

l’enallage παδωνψυχα*ςτρισν, ed esprime l’augurio che la chioma dedicata dal

padre Erode sia per i tre figli lì sepolti un segno del fatto che loro un giorno

accoglieranno il corpo del padre nella tomba. Indipendentemente dalla volontà di

ricollegarsi a una pratica reale o solo mitico-letteraria, la chioma recisa e donata

diventa un contatto con i figli nell’oltretomba. L’esametro gioca sulla somiglianza

di σ4µαe σµα;ved. Peek 1942, 137 e commento a Corinth VIII 1, 86 = 102

Ameling.

Gli studiosi hanno cercato in modi differenti di identificare il bambino a cui

è dedicato l’epigramma e gli altri due figli menzionati al v. 5, e di stabilire la data

di stesura del testo. Secondo Peek 1942, 138, il neonato di questo epigramma

potrebbe essere il figlio di Erode nato nel 143 d. C. durante il suo consolato a

Roma e poi morto subito dopo la nascita, del quale dà notizia Frontone in Ep. 1, 6,

indirizzata all’imperatore Marco Aurelio, Herodi filius natus <hodi>e mortuus

est; id Herodes non aequo fert animo. Tuttavia Peek stesso esprime la sua

perplessità: «so müßten wir freilich annehmen, daß Herodes ihm erst nach dem

Verlust der beiden anderen Kinder ein Kenotaph in Kephissia errichtet hat» (Peek

1942, 138). Pertanto egli si chiede se questo bambino defunto non sia piuttosto il

figlio di cui Regilla era incinta al momento della sua morte, di cui parla Philostr.

V. S. 2, 556, il quale riferisce che Regilla morì di parto prematuro, quando era

ancora all’ottavo mese di gravidanza, per i colpi ricevuti al ventre dal liberto

Alcimedonte su ordine di Erode. Tuttavia nel testo filostrateo non viene detto se il

bambino sia sopravvissuto o meno al parto. Postulare che il figlio anonimo

dell’epigramma sia quest’ultimo significa per Peek 1942, 138 «dem Rhetor

Herodes die Geschmacklosigkeit schon zutrauen, daß er diese Fiktion durchführte

und das Totgeborne ebenso maßlos betrauerte, wie dies im Falle Regillas und der

anderen Kinder überliefert wird». Quest’ultima tesi di Peek permetterebbe di

datare l’epigramma al 161 d. C. e di riconoscere negli altri due figli morti

Atenaide e Regillo.

Page 138: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

136

Invece secondo Follet 1977 questo πα*ς non sarebbe un figlio legittimo di

Erode, bensì Polluce, un giovane che il retore ebbe a cuore, la cui morte seguì, a

pochi mesi di distanza, quella di due altri ragazzi a lui molto cari, cioè Memnone e

Achille, da identificare con gli altri due fanciulli del testo; su Polluce ved. Stiglitz

1958. In V. S. 2, 558 Flavio Filostrato designa i tre ragazzi con il termine

τρ/φιµοι. Civiletti 2002, 518, n. 93, ne discute il significato e riferisce che

secondo Morellus, Westermann, Münscher, Graindor e Giner Soria τρ/φιµοι ha

l’accezione di «allievi», mentre secondo Wright, Brussich e Prosdocimi quella di

«figli adottivi». Quest’ultima, secondo Civiletti, darebbe risalto al fatto che

Filostrato usa τρ/φιµοι in netta contrapposizione a γνOσιοι, per sottolineare

l’affetto nutrito da Erode per questi tre ragazzi, «che, pur essendo adottivi, egli

pianse come suoi figli legittimi, perché erano belli e virtuosi, nobili, amanti del

sapere e degni dell’educazione da lui ricevuta» (trad. Civitelli); per questo affetto

paterno di Erode per il giovane Polluce cfr. IG II2 3969 = 173 Ameling

[ψηφσµατι τ4ς βουλ4ς] [τ4ς )ξ Sρεου πγου καC] [τ4ς] βουλ4ς [τν

πεντακ][ο]σων καC το3 δOµ[ου το3 Sθηναων] ρδης Βιβο[λλι][ο]ν

Πολυδευκωνα\ππ[α][!]ωµαωνθρψαςκαCφι[λ]OσαςUςυ\'ντoΝεµ[σει],

µετ0α,το3=θυεν,ε,µ[ε]ν4καCµνηστοντ'ν[τρ/]φιµον e IG II2 3970 = 161

Ameling Πολυδευκωνα, ν νθ0 υ[\]ο3 =στε<ρξ>εν καC )νθδε ρδης

<ν>θηκεν Rτι )νθδε καC περC θOραν εeχον. L’epigramma dovrebbe essere

posteriore alla morte di Polluce che, secondo Follet 1977, 54, avvenne tra il 173-

174 e 174-175 d. C., sulla base della datazione dell’arcontanto di Dionisio, citato

in un’epigrafe in onore del giovane appena defunto, la quale prevede la sua

trasformazione in eroe; cfr. IG II2 3968 = 172 Ameling ÙροαΠολυδευκωνα)πC

γωνοθτου [Ο,]ιβουλλου Πολυδεκου ο\ Nαβδοφ/ροι. )πC mρχοντος

∆ιονυσου; ved. Follet 1977. Questa datazione viene accolta da Robert 1979, 164

mentre viene respinta da Ameling 1983, II, 168, il quale colloca la morte dei tre

τρ/φιµοι tra il 165 e il 170 d. C. e da Meyer 1985, il quale, sulla base della

documentazione archeologica ed epigrafica afferma che «Vibullius Polydeukion

[…] starb in den späteren vierziger Jahren des 2. Jhds., und die Hauptmasse der

ihn ehrenden Denkmäler muß bald darauf errichtet worden sein» (Meyer 1985,

403).

Page 139: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

137

Tobin 1997, 228, crede che l’epigramma risalga allo stesso periodo di SEG

21, 123 = 99 Ameling inciso sulla Porta della Concordia immortale a Maratona.

Quest’ipotesi è confermata, secondo la studiosa, non solo dagli aspetti formali in

comune, quali, la forma metrica del distico elegiaco, il secondo verso sempre

rientrato di alcune lettere rispetto al primo, l’adattamento della stele a contenere

un testo non previsto, ma anche dalla condivisione di uno stile poetico

omerizzante, dall’ostentazione del dolore, dalla volontà di conferire una veste

letteraria e mitologica alle vicende personali e di rivolgersi a un pubblico dotto

che colga le allusioni a vicende, personaggi e usanze mitiche. Il neonato di questo

epigramma potrebbe essere, come già sostiene Peek 1942, 138, il figlio di cui

Regilla era incinta al momento della morte. Egli avrebbe occupato, secondo Tobin

1997, 228, il terzo sarcofago della tomba romana di Erode a Cefisia, mentre i

primi due sarcofagi avrebbero contenuto le spoglie di Regillo e Atenaide,

entrambi morti prima della scomparsa della madre e qui apostrofati ai vv. 5-6.

Tuttavia Philostr. V. S. 2, 558, informa che la figlia Atenaide venne sepolta in città

su iniziativa degli Ateniesi. Secondo Tobin 1997, 228, «it is possible that the

Athenians offered to bury Athenais within the city, or perhaps set up a cenotaph

for her». La studiosa sostiene anche che nel sarcofago di Leda, l’ultimo a essere

stato posto nella tomba romana di Erode Attico, sarebbe stata sepolta Elpinice in

base alla testimonianza epigrafica di IG II2 12568/9 = 136 Ameling; ved.

commento ad loc. e Perry 2001, 484-9.

Page 140: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

138

8 = 186 Ameling

Peek 1942, 330; Clinton 1972, 182.

Eleusi, presso il santuario.

Su un marmo grigio proveniente dall’Imetto.

Tra il 162 e il 166 d. C.

Ved. Peek 1942, 154-7, nr. 330; Clinton 1972, 182-3; Ameling 1983, II,

177-8, nr. 186; Bowie 1989a, 232-4; Tobin 1997, 205-6; Galli 2002, 209-12.

Dalle rovine intorno al santuario di Eleusi che documentano l’attività di

Erode in un territorio di grande sacralità per la Grecia romana, proviene una stele

contenente un testo poetico. La stele presenta diverse rotture su ogni lato.

Soprattutto quello destro è così danneggiato da non permettere di stabilire se il

testo sia composto in esametri o in distici elegiaci. Peek 1942, 154, primo editore

dell’iscrizione, propone una scansione metrica in distici elegiaci mentre Clinton

1972, 183, crede che si tratti di un poemetto in esametri dattilici. Ameling 1983,

II, 178, accoglie l’ipotesi di Peek e, poiché nota sulla stele le tracce di altri due

righi non più leggibili, conclude che, qualora il testo sia composto in distici

elegiaci, le prime parole identificabili della stele appartengono al secondo

esametro.

La menzione al v. 11 di ρδηςΒ4ρον permette di riconoscere nelle due

personalità del testo le figure di Erode Attico e dell’imperatore Lucio Vero.

L’identificazione è confortata dal fatto che le lettere incise sulla stele sono databili

alla seconda metà del II sec. d. C.

Per quanto concerne la data di composizione, un indizio proviene dal verso

8 τ2δ0=ργωνπρηκτ$ρ, in cui Peek 1942, 155-6, legge un riferimento alla guerra

partica. Per questo motivo la stesura del testo è posteriore alla partenza

dell’imperatore per la Partia, avvenuta nel 162 d. C., e anteriore al ritorno di Vero

a Roma nel 166 d. C. L’autore del testo non è noto e «Herodes’ authorship is only

Page 141: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

139

conjectural but receives some support from the poem’s allusions» (Bowie 1989a,

233).

L’iscrizione sembra «to honor the friendship between Herodes and Lucius

Verus» (Tobin 1997, 205), ritratti durante una piacevole conversazione in

un’ambientazione bucolica da identificare con Eleusi. La loro amicizia risale al

periodo in cui Erode aveva rivestito la funzione di insegnante di retorica di Lucio

Vero e Marco Aurelio su incarico dell’imperatore Antonino Pio, come riferiscono

Dio Cass. 71, 35 e H. A. M. Ant. 2, 4, e si era rafforzata quando Erode Attico,

dopo aver preso parte al processo intentatogli a Roma da Bradua, fratello di

Regilla, che lo aveva accusato di avere provocato la morte della sorella, fece

ritorno in patria e accompagnò fino ad Atene Lucio Vero che proprio in quel

periodo si recava in Oriente per condurre la guerra contro i Parti. L’imperatore

non solo soggiornò per un certo periodo a Canosa presso la villa di Erode Attico a

causa delle sue cattive condizioni di salute ma si concesse anche lunghe pause di

ozio tra Corinto e Atene, dove dimorò nuovamente in una villa del suo maestro e

fu iniziato ai misteri eleusini, come documentano IG II2 3592 e 3620. Con il suo

atteggiamento Lucio Vero dimostrava di non avere intenzione di dare subito inizio

alle operazioni di guerra; cfr. H. A. Ver. 6, 9 apud Corinthum et Athenas inter

symphosias et cantica navigabat. Papalas 1978 crede che il tipo di ospitalità

offerta all’imperatore in quell’occasione debba essere considerata l’accusa

principale da cui Erode Attico dovette difendersi al processo di Sirmio al cospetto

di Marco Aurelio. Secondo Civiletti 2002, 522, n. 110, nelle parole ostili del

prefetto del Pretorio Basseo, che prospetta a Erode Attico la condanna capitale, si

coglierebbe l’atteggiamento austero romano che vede nell’ateniese la

personificazione dei vizi tipici dell’Oriente che avevano spinto l’imperatore Lucio

Vero all’ozio e gli avevano provocato una cattiva reputazione.

Nella traduzione adotto le integrazioni di Peek e Ameling.

[ ]

[ ]

[)νσυν]/δ7καCτoδε[φληςπαρ0νκτορα∆ηο3ς]

λσχpτερπσθηνκα[C ]

Page 142: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

140

=νθ0νµωνσκπαςI[ν ] 5

π4ξαντ0σπασως[ ]

λλ0µ(ν)νπτρp[µµνωνµθωνµελτησεν]

τ2δ0=ργωνπρηκτ$ρ[=πλετ0)πωνυµη]

µφCδµινπ/λεµ[οιονφοςδειν/ςτεκυδοιµ/ς]

ερωτνς¨τληπ[αρθικ? ] 10

ρδηςΒ4ρονκρ[ατερ/ν ]

πολλνκαCµεγ[λων ντιχαριζ/µενος]

3 [)νσυν]/δ7Peek, prob. Bowie, vel [καθ]/δ7]vel [τwσυν]/δω=συνοδοιπ/ρωPeek [φλης

παρ0νκτορα∆ηο3ς]Peek, prob. Bowie,vel [φλ7]Peek; 4 κα[C Peek, κατ9 Ameling 6

π4ξαντ Peek, probb. Ameling, Bowie, πOξαντ Clinton 7πτρpPeek, probb. Ameling Bowie,

πατρδι Clinton [µµνωνµθωνµελτησεν]Ameling 8πρηκτ$ρPeek, probb. Ameing, Bowie

πρηκτ4ριClinton =πλετ0)πωνυµηvelονοµαvel ζ4λος=φυPeek 9πολµ[οιονφοςδειν/ςτε

κυδοιµ/ς Peek, prob. Bowie 10 π[αρθικ Peek 11 κρατερ/ν scripsi 12 µεγ[λων

ντιχαριζ/µενος]Peek.

Anche in questo [luogo d’incontro presso il santuario della cara Demetra]

provavano piacere conversando e … dove c’era un riparo dal vento … e

consolidarono lietamente … [la loro amicizia] ma uno [rimanendo] in patria [si

occupò dei discorsi] l’altro invece [ricevette il nome] di esecutore di imprese e

intorno a lui [la nube terribile] della battaglia [e lo strepito] chiedendo chi ebbe

il coraggio … Erode … [il vigoroso] Vero … di molte e grandi cose

[ringraziandolo].

v. 3. [ ¯[ ¯[ ¯[ ¯ ˘ ]˘ ]˘ ]˘ ]////δδδδ7777 κακακακαCCCC ττττooooδε [δε [δε [δε [. Peek 1942, 156, sulla base degli altri righi,

stabilisce con sicurezza che le lettere non più leggibili ad apertura del verso sono

cinque. Poiché le sillabe conservate sulla pietra sono una breve e una lunga (]/δ7)

lo studioso ne deduce che quelle mancanti sono due, propriamente una lunga e

una breve per completare il primo colon dell’esametro. Egli propone e.g. diverse

integrazioni: [)νκαθ]/δ7, [)νσυν]/δ7oppure τwσυν]/δω nell’accezione di τw

συνοδοιπ/ρω. La seconda parte dell’esametro dovrebbe essere integrata, a suo

avviso, o con φλ7 παρ0 νκτορα ∆ηο3ς oppure mediante la variante con il

genitivo φλης. Questa integrazione si basa sugli esempi offerti da IG II2 4218, 3

Page 143: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

141

φ[ληςπαρ0νκτο]ρα∆ηο3ς; IG II2 3764, 2παρ0νκτορα∆ηο3ςeIG II2 4077,

1 µετ0ε,κλ0 νκτορα∆ηο3ς, che concludono l’esametro.

Le due parole καCτoδε richiamano alla mente le iscrizioni che Erode dedica

al suo amato Polluce, in cui egli ricorda i momenti trascorsi insieme al giovane

nei luoghi in cui egli pone le erme: cfr. IG II2 13194 = 158 Ameling ρως

Πολυδευκων,τα*σδποτ0)ντρι/δοιςσMνσοC)πεστρεφ/µην; IG II2 13201 = 151

Ameling [κ]αC)νθδεσυνεσιτο[3]µενκαCσυνεπισπνδοµενe IG II2 3971 = 177

Ameling Πολυδευ[κωνα] `ρω καC το[*σδε] το*ς λουτρο[*ς

πρ][οσ]<ο>µειλO<σ>[αντα][Xαυτ2ρδης][νθηκεν].

v. 4. λλλλσχσχσχσχpppp τερπτερπτερπτερπσθην κα[σθην κα[σθην κα[σθην κα[C.C.C.C. Il sostantivo λσχη è già usato nella poesia

epica arcaica, come, p. es., in Od. 18, 328 ed Hes. Op. 493, con il significato di

«lounging place» (LSJ, s. v., 2). Poiché nessuna sala di ritrovo è documentata ad

Eleusi, qui λσχη ha, secondo Peek 1942, 156, l’accezione di «conversation»

(LSJ, s. v., II). Questo significato di λσχη è avvalorato dal fatto che il nesso

λσχp τερπσθην ricorda Call. Epigr. 2, 3 Pfeiffer = 34 Gow-Page δ0 σσκις

µφ/τεροι/`λιον)νλσχpκατεδσαµεν, scritto per la morte dell’amico Eraclito,

imitato da Verg. Ecl. 9, 51-2 saepe ego longos / cantando memini puerum me

condere soles. In questa accezione λσχη è attestato per la prima volta in Hdt. 2,

32, 4 e 9, 71, 11. In poesia occorre soprattutto nella tragedia in Aesch. Eu. 366

ΖεMς δ0 α\µοσταγ(ς ξι/µισον =θνος τ/δε λσχας; Soph. Ant. 160 προθετο

λσχην; OC 167 πρ'ς)µ9νλσχαν; Eur. Hipp. 384 µακρατελσχαικαCσχολO,

τερπν'νκακ/ν; IA 1001 λσχαςπονηρ9ςκαCκακοστ/µουςφιλε*; cfr. anche Phal.

A. P. 13, 6, 6 µν;µατο3χαρεντος=ντελσχ]e Call. Aet. 178, 16 λλ0=τικαC

λσχης οeνος =χειν )θλει. A favore dell’interpretazione di λσχη secondo

l’accezione omerica si pronuncia invece Galli 2002, 211, il quale crede che λσχη

indichi una costruzione concreta ad Eleusi. Per l’imperfetto duale τερπσθην cfr.

Od. 5, 227 e 23, 301.

v. 5. ====νθνθνθνθ0000ννννµωνσκµωνσκµωνσκµωνσκπαςπαςπαςπαςI[I[I[I[ν.ν.ν.ν. Si tratta, come ricorda Peek 1942, 156, di una

reminiscenza omerica; cfr. Od. 5, 443 = 7, 282 καC)πCσκπαςIννµοιο; 6, 210

Rθ0)πCσκπας=στ0νµοιοe 12, 336 Rθ0)πCσκπαςIννµοιο. Insieme a τoδε

del v. 3, =νθ0νµωνσκπας dovrebbe indicare un luogo ben preciso all’interno

del santuario di Eleusi, dove Erode e Lucio Vero solevano trascorrere

Page 144: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

142

piacevolmente il tempo dialogando. Galli 2002, 211, pensa che si alluda a un

portico al riparo dal vento.

v. 6. ππππ4444ξαντξαντξαντξαντ0000σπασσπασσπασσπασως [.ως [.ως [.ως [.Per il significato dell’aoristo π4ξαν Peek 1942,

156, rinvia a Dem. Phil. 1, 8, µ$ γ9ρ Uς θε2 νοµζετ0 )κεν7 τ9 παρ/ντα

πεπηγναιπργµατ0θνατα e traduce «und befestigten freudig», ipotizzando il

sostantivo φιλανalla fine del verso.

v. 7-8. λλλλλλλλ0000µµµµ((((νννν))))νπνπνπνπτρτρτρτρp[/p[/p[/p[/ττττ2222δδδδ0=0=0=0=ργωνπρηκτργωνπρηκτργωνπρηκτργωνπρηκτ$$$$ρ[.ρ[.ρ[.ρ[.La contrapposizione

µν (v. 7) … τ2 δ (v. 8) rende evidente che il testo ora fa riferimento a due

persone distinte. Secondo l’integrazione offerta da Ameling 1983, II, 178 µµνων

µθωνµελτησεν e.g. al v. 7, la prima resterebbe in patria ()νπτρp) a occuparsi

di retorica, la seconda invece partirebbe per la guerra a condurre le operazioni

militari (=ργωνπρηκτ$ρ). L’integrazione di Ameling sfrutta il riferimento a Il. 9,

443 µθωντεNητ4ρ0=µεναιπρηκτ4ρτε=ργων, riconoscibile al v. 8 τ2δ0=ργων

πρηκτ$ρ. Peek 1942, 156, propone come possibile integrazione del v. 8 =πλετ0

)πωνυµη (o ονοµα) oppure ζ4λος =φυ sul modello di Eur. Tr. 1233 τλOµων

ατρ/ς,vνοµ0=χουσα,τmργαδ0ου; per altri esempi ved. Kühner-Gerth 1904, II,

45.

v. 9. µφµφµφµφCCCCδδδδµινπµινπµινπµινπ////λεµ[ος.λεµ[ος.λεµ[ος.λεµ[ος. La figura di Lucio Vero è messa qui in relazione

con la guerra che, come già propone Peek 1942, 156, va identificata con quella

combattuta dall’imperatore contro la Partia. Per questo motivo l’iscrizione poetica

è databile tra il 162 e il 166 d. C. (ved. supra). Per quanto riguarda la lacuna del v.

9, Peek 1942, 156, con approvazione di Bowie 1989a, 233, propone di leggere

µφCδµινπολµ[οιονφοςδειν/ςτεκυδοιµ/ς.

Il nesso πολµοιο νφος è omerico e descrive in Il. 17, 443 la figura di

Ettore come una nube di guerra che avvolge tutto; )πεC πολµοιο νφος περC

πντα καλπτει / nκτωρ. Essa viene ripresa da Pind. N. 10, 9. Per δειν/ς

κυδοιµ/ς invece cfr. IG IX, 2 640, 7 δεινο3τεκυδοιµου.

v. 10.εεεερωτρωτρωτρωτννννςςςς¨τληπ[.τληπ[.τληπ[.τληπ[.ΕΙΡΩΤΩΝsi presta a due diverse interpretazioni:

ερωτν = )ρωτν participio presente di )ρωτω oppure ερτων = ^ρτων

imperfetto del medesimo verbo. Secondo Peek 1942, 156, dopo ς¨τλη potrebbe

essere posta una virgola mentre l’ultima lettera π[, con cui inizia la nuova frase,

potrebbe nascondere una parola con riferimento alla Partia π[αρθικ-.

Page 145: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

143

v. 11.ρρρρδηςΒδηςΒδηςΒδηςΒ4444ρονκρ[ρονκρ[ρονκρ[ρονκρ[. Il verso rivela l’identità dei due protagonisti del

componimento, già caratterizzati ai vv. 7-8. I due nomi devono essere collegati da

un verbo transitivo. «Es ist schwer vorzustellen, wie diese Verse syntaktisch mit

dem Vorhergehenden zusammenhängen sollen, sie werden also eher als ein

selbständiges Distichon aufzufassen sein». Le ultime due lettere κρ potrebbero

fare pensare a un’integrazione con κρατερ/ν.

v. 12. πολλπολλπολλπολλνκανκανκανκαCCCCµεγµεγµεγµεγ[[[[λωνλωνλωνλων. Peek 1942, 157, crede che questo verso possa

essere integrato con il participio presente ντιχαριζ/µενος, il quale occorre anche

in IG II2 4781, 2 = 191 Ameling, dove è conservata una dedica di Erode al dio

Asclepio come ringraziamento per la guarigione da una malattia; ved. commento

ad loc. Bowie 1989a, 233, sostiene che, «if Peek’s tentative suggestion for the end

of the last pentemeter is correct, the inscription must have been associated in some

way with a mark of Herodes’ gratitude to Verus». In questo caso il segno più

evidente dovrebbe essere l’erezione di una statua di Lucio Vero «but the stone

[…] does not seem to have been a statue base, but rather some sort of plaque»

(Bowie 1989a, 233). Lo studioso inoltre riconosce ai vv. 4-6 e 9-10

rispettivamente il tema dell’attività letteraria e dei viaggi in altre terre che un

secolo più tardi Men. Rhet. 395, 13-26, e 398, 26-30 avrebbe indicato come adatti

a un propempticon e che già Stat. nel propempticon di Silv. 3, 2, 136-43 aveva

espresso sottolineando il contrasto tra i viaggi di Mezio Celere (tu rapidum

Euphraten et regia Bactra sacrasque / antiquae Babylonis opes et Zeuma, Latinae

/ pacis iter, qua dulce nemus florentis Idymes, / qua pretiosa Tyros rubeat, qua

purpura suco / Sidoniis iterata cadis, ubi germine primum / candida felices sudent

opobalsama virgae) e la sua attività letteraria (ast ego, devictis dederim quae

busta Pelasgis / quaeve laboratas claudat mihi pagina Thebas).

Page 146: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

144

9 = 136 Ameling

Kaibel 1878, 160; IOlympia 638; IG III 1333; IG II2 12568/9; Peek 1955,

1894.

Cefisia, in Attica.

Luogo del ritrovamento non registrato.

Posteriore al 165 d. C.

Ved. Ross 1853, 123, nr. 5; Foucart 1901, 90-1; Oliver 1950, 111, nr. 1;

Ameling 1983, II, 140, nr. 136; Tobin 1997, 234-6; Galli 2002, 147.

Si tratta di due frammenti indicati con le lettere a e b, incisi su una medesima

base. Questa è stata ritrovata da Welcker a Cefisia, dove Erode, oltre a possedere

una villa (cfr. Gell. NA 18, 10, 1-2), fece seppellire i suoi figli e costruire un

heroon per la moglie Regilla e l’amato Polluce; ved. Tobin 1997, 213.

a) [SππαSνναSτ]ειλα

[!OγιλλαSγρ]ιππε*<ν>αhλπι-

[νεκη]SτραΠλλα[γυν$]

Λ.[Ο,ι]βουλλουππρχουΤιβε[ρου]

[Κλαυ]δουSττικο3ρδουΜαραθωνο[υ] 5

jπτουθυγτηρκαCSν[ν]ας

[Sππας]!ηγλλης,Sππου[jπ]του[θυγ]ατρ[/ς].

b) ^λιοςκαCγα*ακαCο,ραν'ςY[µαταπντα]

µρτυρες,Uςµετ/πικ[ρ'νªχοςδκενµφCθυγατρ,]

οDνεκο\καCδνδρ7[)φεζ/µενοιτττιγες]

καCπηγαCπροχ[ουσαιδωρκλαουσιν˘]

σο,ΡOγιλλα[… 5

Page 147: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

145

a) 4 Λ.Ameling,[Λουκου] Dittenberger.

b) 1 Y[µαταπντα]Peek, prob.Ameling, [ε,ρMς=σονται]Dittenberger, prob. Kaibel,

2 Uςµετ'πικ[ρ'νªχοςδκενµφCθυγατρ,] Ameling, Uςµερ/π[ωνDittenberger, Uςµε

[τ]' π[νθος )π )σθo τρ3χε γυναικCKaibel 3 δνδρ[ε ¨ως κ =τι µακρ9 τεθηλpKaibel

[)φεζ/µενοιτττιγες]suppl. Ameling e.g. 4προχ[ωσινDδωρ,µνOµηνδιασωσωKaibel,

προχ[ουσαιδωρκλαουσιν˘]suppl. Ameling 5 πατ$ρPeek, ν$ρAmeling.

b) Il sole, la terra e il cielo testimoni [sempre] di come [l’amaro dolore mi

morse a causa di mia figlia], motivo per cui sia le cicale stando su un albero sia

le fonti [versando acqua piangono]…

a te, Regilla…

Il frammento a è un testo in prosa e presenta il nome completo della

secondogenita di Erode Appia Annia Atilia Regilla Agrippina Elpinice Atria Polla;

così è anche nominata in IOlympia 624 = 126 Ameling SππανSννανSτʖειλα[ν]

!Oγιλλανʖ hλπινεκην Sγριππε*ναν Sτραν Πλλαν, ρδου καC [!]ηʖγλλης

θυγατ[ρα, - π/λ]ι[ς - τ]νʖ [¼λεων], mentre in SIG3 860 b = 105 Ameling

compare anche il nome Claudia [Sνν]αν Κλαυδαν [Sτʖειλ]αν !Oγιλλανʖ

Sγριππ[ε*]ναν hλπινεκην Sππαν Πλλαν. Secondo Ameling 1983, II, 20, la

data di nascita della fanciulla va collocata tra il 143 e il 144 d. C. Nella scelta del

nome Elpinice gioca un ruolo fondamentale il richiamo alla discendenza di Erode

Attico da Milziade e al suo ideale collegamento con la battaglia di Maratona,

perché Elpinice, nome molto insolito nel II sec. d. C., era anche il nome della figlia

di Milziade; ved. commento a IG II2 3606 = 190 Ameling.

I righi 3-4 [γυν$] Λ. [Ο,ι]βουλλου ππρχου Τιβε[ρου] informano che

Elpinice era andata in sposa a un uomo di nome Lucio Vibullio Ipparco, lo stesso

che aveva riparato il Ninfeo ad Olimpia; ved. Tobin 1997, 321-2. Lucio Vibullio

Ipparco era figlio di Publio Elio Vibullio Rufo, il quale era stato arconte nell’anno

143-144 d. C.; ved. Follet 1976, 508. I tre personaggi sono nominati assieme in IG

II2 3979a = 142 Ameling [Λ. Βιβολλιος Üππαρ]χʖος, Πο. Βιβουλλου !οφ[ου

υ\/ς],[το3ρχιερωςτνΣεβασ]τʖʖνʖ[Κ]λ.[S]ττικ[ο]3το[3κρατ][στουσυγγενOς.

Erode Attico adottò l’altro figlio di Vibullio Rufo, il quale ricevette il nome di

Lucio Vibullio Claudio Erode; cfr. IG II2 3979 = 141 Ameling; ved. Graindor

1914, 365-8. L’adozione è databile dopo il 165 d. C., anno in cui Elpinice morì a

Page 148: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

146

causa della peste che i soldati di Lucio Vero, impegnati nella guerra contro i Parti,

avevano portato dall’Oriente. Allora era rimasto in vita soltanto il figlio Bradua.

Il testo inciso sulla stele b è molto frammentario e conserva un

componimento in esametri il quale ha come tema il lutto, espresso attraverso

immagini poetiche.

v. 1.v. 1.v. 1.v. 1. ^^^^λιος καλιος καλιος καλιος καCCCC γαγαγαγα****α καα καα καα καCCCC οοοο,,,,ρανρανρανραν''''ςςςς Y[Y[Y[Y[µατα πµατα πµατα πµατα πντα].ντα].ντα].ντα]. Kaibel 1878, 160,

stampava al primo verso l’integrazione [ε,ρMς =σονται]di Dittenberger. Il nesso

ο,ραν'ςε,ρςè omerico e indica il luogo in cui dimorano gli dei come, p. es., in

Il. 20, 299 τοCο,ραν'νε,ρMν=χουσιν.

Invece Y[µαταπντα]è integrazione di Peek 1955, 1894, accolta anche da

Ameling 1983, II, 140. Si tratta di un nesso ampiamente attestato nei poemi

omerici in clausola di esametro, come, p. es., in Il. 8, 539 εgην θνατος καC

γOρωςYµαταπντα. L’appello al sole, alla terra e al cielo come testimoni dello

stato di dolore in cui vive Erode conferisce all’epigramma un tono solenne; cfr. Il.

3, 277-80 ¼λι/ς θ0, ς πντ0 )φορ5ς καC πντ0 )πακοεις, / καC ποταµοC καC

γα*α,καCοfjπνερθεκαµ/ντας/νθρπουςτνυσθονRτιςκ0)πορκονdµ/σσp,/

jµε*ςµρτυροι=στε,φυλσσετεδ0Rρκιαπιστ.

v. 2.µµµµρτυρρτυρρτυρρτυρες,ες,ες,ες,UUUUςµετςµετςµετςµετ''''πικ[ρπικ[ρπικ[ρπικ[ρ''''ννννªªªªχοςδχοςδχοςδχοςδκενκενκενκενµφµφµφµφCCCCθυγατρθυγατρθυγατρθυγατρ,],],],]. Kaibel 1878,

160, proponeva di integrare il secondo verso con Uςµε[τ]'π[νθος)π)σθoτρ3χε

γυναικCe interpretava il testo come una dedica alla moglie Regilla defunta. Invece

Ameling 1983, II, 140, crede che il frammento b sia rivolto alla figlia Elpinice

morta (ved. infra) e per questo motivo completa il verso conUςµετ'πικ[ρ'νªχος

δκεν µφC θυγατρ]; per il nesso πικρ'ν ªχος cfr. Meropis fr. 2, 4 Bernabé

πικρ['νδ0m]χος=σχεθενʖρʖαʖκλ[4α].

vv. 3vv. 3vv. 3vv. 3----4.4.4.4. οοοοDDDDνεκνεκνεκνεκ οοοο\\\\ κακακακαCCCC δδδδνδρνδρνδρνδρ7777 [[[[ eeee.... gggg.... ))))φεζφεζφεζφεζ////µενοι τµενοι τµενοι τµενοι τττιγεςττιγεςττιγεςττιγες] /] /] /] / κακακακαCCCC πηγαπηγαπηγαπηγαCCCC

προχπροχπροχπροχ[[[[ουσαιουσαιουσαιουσαιδωρκλαδωρκλαδωρκλαδωρκλαουσινουσινουσινουσιν˘ ˘ ˘ ˘ ].].].].Secondo Kaibel 1878, 160, Erode fingerebbe

qui che gli alberi e le fonti d’acqua piangano la morte della moglie Regilla come in

Gr. Naz. A. P. 8, 97 Εgτιναδνδρον=θηκεγ/οςκαCεg τιναπτρην, / εg τιςκαC

πηγ$ Nε3σεν dδυροµνη, / πτραι καC ποταµοC καC δνδρεα λυπρ9 πλοισθε, /

πντες Καισαρ7 γετονες ^δ( φλοι· / Καισριος πντεσσι τετιµνος, εEχος

νκτων, / αα* τν χων, Yλυθεν ες Sδην e 127 Κρ4ναι καC ποταµοC καC

mλσεα καC λαλαγε3ντες / vρνιθες λιγυροC καλ'ν )π0 κρεµ/νων / αEρα τε

Page 149: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

147

µαλακ'ν συργµασι κµαφρουσαι / καC κ4ποιΧαρτων ες ¿ν γειροµνων, /

κλασατε·B χαρεσσ0 Ε,φηµις, Qς σε θανν περ / Ε,φOµιος κλειν$ν θOκατ0

)πωνυµp, oppure che per il dolore le fonti d’acqua si prosciughino e gli alberi

secchino come in Antiphil. A. P. 7, 141, il quale compone un epigramma funebre

per l’eroe omerico Protesilao, Θεσσαλ(Πρωτεσλαε,σ(µ(νπολMςÞσεταιαwν/

Τρο] dφειλοµνου πτµατος ρξµενον / σ;µα δ τοι πτελpσι συνηρεφ(ς

µφικοµε3σι/Νµφαιπεχθοµνης|λουντιπρας/δνδρεαδυσµOνιτακα,Yν

ποτετε*χοςgδωσι/Τριον,α,αλανφυλλοχοε3ντικ/µην./Rσσος)ν-ρεσσιτ/τ0

Iν χ/λος, ο8 µρος κµ$ν / )χθρ'ν )ν ψχοις σsζεται κρεµ/σιν. Kaibel

proponeva anche di integrare i versi 3-4 con δνδρ[ε¨ωςκ=τιµακρ9τεθηλp / καC

πηγαC προχ[ωσιν Dδωρ, µνOµην διασωσω, quale eco di Hom. Epigr. 7, 153,

Χαλκ4 παρθνος εµ, Μδα δ0 )πC σOµατι κε*µαι. / vφρ0 ~ν Dδωρ τε νp καC

δνδρεαµακρ9τεθOλp,/α,το3τoδεµνουσαπολυκλατου)πCτµβου,/γγελω

παριο3σι Μδας Rτι τoδε τθαπται. Invece Ameling 1983, II, 140 propone e.g.

)φεζ/µενοι τττιγες; per questa immagine delle cicale che siedono su un albero

cfr. Il. 3, 151, Hes. Op. 582-3; cfr. anche Sc. 393.

v. 5. σοσοσοσο,,,, ΡΡΡΡOOOOγιλλαγιλλαγιλλαγιλλα.... Poiché il testo a presenta il nome Elpinice e il testo b

conserva al v. 5 il nome Regilla, sorge il problema se i due testi siano stati dedicati

a due donne o a una sola. Secondo Kaibel 1878, 160, «sunt versus Herodis Attici in

Regillae sepulcro vel circa tumulum positi». Per Preuner 1924, 114, i due testi

sono dedicati a Elpinice. Erode dedica alla figlia una statua quando questa era

ancora in vita. Alla sua morte la base della statua viene capovolta per accogliere

l’epigramma in suo onore; ved. anche PIR2 C 802, 41. Con questa tesi concorda

anche Peek 1955, 1894, che integra il v. 5 con il sostantivo πατOρ.InveceAmeling

1983 II, 140, ritiene soprendente il fatto che al v. 5 Elpinice venga apostrofata con

il nome Regilla che nelle iscrizioni indica sempre la moglie di Erode e mai la

figlia; ved. anche Tobin 1997, 76-83. Pertanto Ameling identifica in σο,ΡOγιλλα

del v. 5 la moglie di Erode e si chiede quindi se non sia preferibile integrare il testo

con il sostantivo νOρ. Tobin 1997, 236, accoglie la riflessione di Ameling e

conclude che il testo b è rivolto sia ad Elpinice che a Regilla. La pietra delle due

iscrizioni, secondo la studiosa, potrebbe essere interpretata come base di due statue

rappresentanti madre e figlia. Questa interpretazione rafforzerebbe l’ipotesi

Page 150: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

148

secondo la quale Elpinice, come gli altri fratelli, sarebbe stata sepolta a Cefisia in

un complesso sepolcrale nel quale sono stati ritrovati quattro sarcofagi; ved.

commento a SEG 26, 290 = 146 Ameling.

Page 151: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

149

10 = 190 Ameling

IG II2 3606.

Maratona. A Beh, a ovest del demo ateniese, in una stalla.

Su un marmo bianco.

Intorno al 175 d. C.

Ved. Graindor 1912, 69-90; Svensson 1926, 529-35; Wilamowitz 1928, 27-

30; Wilamowitz 1929, 489-90; Powell 1933, 190-195; Ameling 1983, II, 205-11,

nr. 190; Tobin 1997, 272-5; Galli 2002, 29-30; Skenteri 2005, 84-110.

L’iscrizione, proveniente da Beh, venne riportata alla luce in una stalla,

dove fungeva da soglia. Insieme ad essa furono scoperti alcuni pezzi architettonici

e una statua che riproduce una figura femminile. La stele è di marmo bianco, alta

ottantotto centimetri e larga sessantuno centimetri e presenta in alto un piccolo

frontone con un disco in rilievo. Nella stele sono leggibili ventisei versi, cui fanno

seguito altri dodici incompleti a causa di una rottura sul lato destro e in basso, che

ha provocato la perdita della parte finale del testo. A differenza del lato sinistro

che si presenta abbastanza stretto, quello destro, riferisce Tobin 1997, 272, doveva

essere piuttosto largo, a giudicare dall’angolo del timpano in alto. Quest’area non

iscritta conteneva o una pittura o un rilievo relativo all’evento narrato.

Poiché il tema dell’iscrizione è il ritorno ad Atene di Erode, accolto con

gioia dai suoi concittadini, la data di stesura del testo deve essere posteriore alle

vicende processuali che videro coinvolto Erode Attico a Sirmio al cospetto

dell’imperatore Marco Aurelio intorno al 174 d. C. Questi era allora accampato lì

con il suo esercito e conduceva la guerra contro le popolazioni germano-

sarmatiche. Qui Erode si era recato con il suo seguito per difendersi

personalmente dalle accuse che gli erano state rivolte. Il processo vide riuniti tutti

i principali nemici del ricco ateniese: oltre ai fratelli Quintili, i quali erano ostili a

Erode Attico a causa del suo potere politico, erano suoi rivali Claudio Demostrato

e gli altri Claudi della famiglia dei Meliti, perché competevano con Erode e la sua

Page 152: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

150

famiglia nel rivestire compiti sacri ad Atene. A questi si erano aggiunti gli

Ateniesi che non avevano mai dimenticato il modo in cui Erode aveva aggirato le

disposizioni espresse dal padre Attico nel testamento a favore dei cittadini. Essi

riconoscevano nel ricco ateniese un atteggiamento sempre più simile a quello di

un tiranno. Queste tensioni esplosero nel 174 d. C. quando i fratelli Quintili

sfruttarono l’accusa di tirannide contro Erode, comunicata loro dal popolo

Ateniese, per informare l’imperatore dei disordini che la figura di Erode Attico

provocava ad Atene, e Demostrato, Prassagora e Mamertino, esponenti del partito

politico avversario, si proposero come portavoci e sostenitori dell’accusa.

Sebbene, come sappiamo da Philostr. V. S. 2, 563, il processo non si

concluse con una condanna di Erode, questi preferì non fare ritorno nella città

natale, ma recarsi ad Orico. Questa scelta alimentò già nel passato, riferisce il suo

biografo (V. S. 2, 562), la voce di un possibile esilio del retore.

SEG 29, 127 II = 189 Ameling conserva un testo noto come lettera agli

Ateniesi, in cui l’imperatore Marco Aurelio ai righi 87-94 fa riferimento allo

scontro tra la città di Atene ed Erode Attico ed esorta vivamente gli Ateniesi a

riconciliarsi con il loro antico benefattore. IG II2 3606 = 190 Ameling tramanda

un componimento poetico in distici elegiaci che testimonia questo cambiamento

di stato d’animo degli Ateniesi nei confronti di Erode Attico, conformemente al

desiderio espresso dall’imperatore. Di questa accoglienza festosa Filostrato non fa

alcun cenno. Anderson 1986, 114, giustifica tale omissione come una volontà di

Filostrato di non ritornare su argomenti piuttosto scottanti per la reputazione del

suo sofista prediletto e conclude che «the flamboyant procession certainly

reflected Philostratus’ own view of the master’s grandeur, and […] the matter of

the exile is much more surreptitiously passed over».

vλβιος,BΜαραθν,ν3ν=πλεο,καCµελεδαντ/ς

νδρσιν^(προς,φαδιµονSλκαÅδην

νοστOσαντ0)σορνβωνπ'Σαυροµατων

γαης)κνετης,=νθαφιλοπτολµ7

Α,σονωνβασιλoσυνσπετοτ4λ0)λοντι. 5

τ'νµ(νκισσοφ/ροςπα*ς∆ι'ς\ραν

Page 153: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

151

α,τ'ςmγενπτρην)ςοδιµονΕραφιτης,

)ξ/πιθενδ(θεwδωσιβωπρ/εσαν.

το*σιδ0SθηναηπολιOοχοςντεβ/λησε

)ρχοµνοις!ειτ,Χαλκιδικwποταµ, 10

Θρειζ0,=νθ0xλωσυµβλλετονοeδµαN/οςτε,

λα'νmγουσα=ταςπνταςµηγερας,

\ρ4αςµ(νπρταθενκοµ/ωντας)θεραις

κ/σµ7τ2σφετρ7,πνταςριπρεπας,

\ρεαςδ(µετα3θισα/φροναΚπριν)χοσας, 15

τoςδ0=πικυδαλµουςπα*δαςοιδοπ/λους

ΖηνCθεηκολοντας¹λυµπ7rµασικυδρος,

το*σιδ0=π0^ϊθουςrστορας^νορης,

πα*δαςSθηναωνχαλκ2γανοντας)φOβους,

τοMςα,τ/ς,λOθηνπατρ'ςκει/µενος 20

Αγεδεω,λβηςδ<ν>οφοεµονος=σχεθεκορο[υς]

ργυφαιςχλαναιςοgκοθενµφισας,

δωρηθεCς<τ>0)νετoσικατωµαδ'ν^λκτροιο.

τνδ0vπιθενβουλ$κεκριµνηΚεκρ/πων

=ξαιτοςπροτρωκονθρ/οι,-µ(νρεω[ν], 25

-δ0Xτρηµεων¨σπετοτoκατ/πιν.

πντεςδ0)στολδαντονε/πλυταφρ[εαλευκ]·

τνδ0νχο3προβδην=στιχ[ενmλλοςvχλος]

)νδOµωνξενωντεκαCαι[

ο,δτιςοκοφλαξλεπ[ετ0)νCµεγροις] 30

ο,πα*ς,ο,κορηλευ[κλενος,λλ0γροντο]

δγµενοιρδην[

Uςδ0Rτεπα*δαγεʖ

µφιπσpµO[τηρ

τηλ/θεν)[ξπηςγαης 35

χαιροσ[νp

πλOν[

B[ρ]σ[ε

Page 154: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

152

17 rµασι κυδρος Wilamowitz, <ε>rµασι κυδρος Powell, µασικδρους Graindor, prob.

Svensson 20 κει/µενος Graindor, κει/µενο<υ>ς Roussel, probb. Oliver, Ameling 21

δ<ν>οφοεµονος Svensson, ∆ΜΟΦΟΕΙΜΟΝΟΣ lapis, δυ[σδα]µονος con. Graindor 23 τ0

Wilamowitz, γ0 lapis 27 φρ[εα λευκ] Graindor, probb. alii 28 =στιχ[εν mλλος vχλος]

Ameling, =στιχ[ενvχλοςmλλος]Svensson, =στιχ [Rµιλοςªπας],Wilamowitz, prob. Powell 29

αι[ lapis, α[δεσµων γυνακων Svensson e.g. 30 λεπ[ετ0 )νC µεγροις] Ameling, λεπ[ετο

Svensson 31 λευ[κλενος Svensson, λευ[κχρως Graindor 1930, 236, λλ0 γροντο]

Wilamowitz, probb. alii, στεντοδ(πντες Graindor 1930, 127 34µO[τηρSvensson 35 )[ξ

πηςγαηςAmeling, )ρχ/µενSvensson 36χαιροσ[νpSvensson, χαιροσ[νοιprop.Ameling

38 B[ρ]σ[εAmeling, UςSvensson, probb. Wilamowitz, Powell.

Felice sei ora, Maratona, e stai a cuore degli uomini più di prima, perché

vedi che l’illustre Alcide ritorna dai Sarmati nomadi, dall’estremità della terra,

dove accompagnò il bellicoso imperatore degli Ausoni, spintosi lontano.

L’Irafiote medesimo, il figlio coronato d’edera di Zeus, conduceva lui, suo

sacerdote, verso la patria degna d’esser cantata. Dietro procedevano le due dee

datrici di vita. Atena protettrice della città li incontrò mentre giungevano presso i

Rhetoi, i due fiumi Calcidici, a Tria, dove le onde del mare e la corrente dei fiumi

si mescolano. Lei conduceva il popolo, tutti i cittadini radunati, prima i sacerdoti

degli dei dalla lunga chioma, tutti splendidi nel loro ornamento, poi le

sacerdotesse con Afrodite temperante. Dopo di loro i ragazzi gloriosi, cantori

addetti al culto di Zeus Olimpio, orgogliosi delle vesti; dietro a loro i giovinetti

abili con le armi, figli degli Ateniesi, efebi vestiti di bronzo splendente, giovani

che egli in persona, facendo ammenda della dimenticanza del padre da parte di

Teseo, aveva liberato dalla disgrazia dal nero manto, vestendo i ragazzi a proprie

spese con mantelli lucenti come l’argento, facendo loro il dono di una fibula di

ambra sulla spalla. Dietro di loro il consesso scelto dei Cecropi, distinto: insieme

marciava avanti, il migliore, l’altro invece, di rango inferiore, lo seguiva di

dietro. Tutti avevano addosso mantelli bianchi lavati di fresco. Vicino a loro

avanzò il resto della folla formata da cittadini e stranieri e… Nessuna sentinella

era lasciata nei palazzi, nessun ragazzo, nessuna fanciulla dalle bianche braccia,

ma si radunavano per dare il benvenuto a Erode… come quando una madre

abbraccia suo figlio… da lontano da remota terra … con gioia … eccetto … si

levò.

Page 155: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

153

v. 1 vvvvλβιος,λβιος,λβιος,λβιος,BBBBΜαραθΜαραθΜαραθΜαραθν,νν, νν, νν, ν3333νννν ====πλεο, καπλεο, καπλεο, καπλεο, καCCCC µελεδαντµελεδαντµελεδαντµελεδαντ////ς.ς.ς.ς. Il poemetto si apre

con un’apostrofe rivolta a Maratona, cui è riferito l’aggettivo vλβιος,chedesigna

la felicità come frutto di un dono divino; ved. Nordheider 1999, s. v. Il motivo

della felicità è il ritorno in patria di Erode Attico dopo una lunga assenza (vv. 3-

5). Skenteri 2005, 95, ricorda che in modo simile viene apostrofata la città

egiziana Tebe nei poemetti 42, 4, 1 Heitsch aδχνυσοπ/τνιαΘOβηe 9, 10, 11

ΘOβηπ;σαχ/ρευσον. Il makarismos è un modulo incipitario non estraneo ai testi

poetici connessi alla figura di Erode Attico, poiché esso viene ampiamente

sfruttato in SEG 23, 121 = 99 Ameling; ved. commento ad loc. L’incipit mediante

makarismos conferisce a questo poemetto le caratteristiche proprie di un inno già

osservate in IG XIV 1389 A-B = 146 A-B Ameling.

L’espressione vλβιος,BΜαραθν «ist ein erster Hinweis auf Herodes» (Ameling

1983, II, 207) perché Erode si faceva indicare nelle iscrizioni attraverso il

demotico Μαραθνιος come in IG II2 1088, 2090, 3191, 3594/5, 3600, 3603,

3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745, IOlympia 611, 622. In

questo modo egli voleva sottolineare il suo stretto legame con il demo di nascita,

che nel 490 a. C. era stato teatro della vittoria greca contro il nemico persiano;

ved. Jung 2006, 210. Il ricorso a Maratona offriva al ricco ateniese l’opportunità

di affermare la propria identità come greco all’interno del mondo romano di età

imperiale. In questo demo Erode fece erigere molte costruzioni, per corredare

soprattutto la tomba degli Ateniesi caduti in battaglia, e collocare molte statue dei

suoi cari con lo scopo di stabilire un legame tra la sua famiglia e i

Maratonomachoi, simbolo della paideia del passato, come già sono presentati da

Ar. Ach. 180-1 στιπτοC γροντες, πρνινοι, / τερµονες, Μαραθωνοµχαι,

σφενδµνινοι; ved. Jung 2006, 220. Statue di componenti della famiglia di Erode

vennero poste anche nel tempio della dea Nemesi di Ramnunte, poiché il ruolo

svolto dalla dea durante le guerre persiane era molto noto nell’età della Seconda

Sofistica e rappresentava uno dei temi più trattati nelle declamazioni dei sofisti;

ved. Perry 2001, 482 e Jung 2006, 220. Ancora più chiari diventano questi

collegamenti di Erode Attico con la battaglia di Maratona attraverso i resti

archeologici provenienti dalla villa del retore a Cinuria, dove sono state ritrovate

non solo riproduzioni delle stele dei caduti a Maratona ma anche una copia del

trofeo degli Ateniesi; ved. SEG 1999, 370. Inoltre Erode si dichiarava discendente

Page 156: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

154

di Milziade e Cimone (cfr. Philostr. V. S. 2, 546) e aveva chiamato sua figlia

Elpinice come la figlia di Milziade, effettuando fino in fondo «die Identifikation

führender Persönlichkeiten mit den Protagonisten der Marathonschlacht» (Jung

2006, 220).

Maratona viene anche citata in IG XIV 1389 A, 5 = 146, 5 Ameling, dove

conclude la presentazione di Regilla.

Il verbo =πλεο, aoristo terzo di πλοµαι, è qui usato «as copula» (LSJ, s. v.

πλοµαι, B, 3) e ha la funzione di presente.

Il primo verso si chiude con µελεδαντ/ς, aggettivo verbale attestato solo

qui, derivato dal verbo µελεδανω «care for» (LSJ, s. v.), sul modello di altri

aggettivi verbali come φαντ/ς,)υφραντ/ς,θερµαντ/ς,σηµαντ/ς, costruito con il

dativo plurale νδρσιν(v. 2); ved. Svensson 1926, 530.

v. 2 ^(^(^(^(ππππροςροςροςρος. Il comparativo (προς si riferisce all’avverbio di tempo ν3ν

(v. 1) e sottolinea l’eccezionalità dell’evento che produce in Maratona una felicità

e un’attenzione senza precedenti, superiori a quelle sperimentate in occasione

della vittoria ateniese durante le guerre persiane; ved. Ameling 1983, II, 207 e

Anderson 1993, 114.

L’uso di ^ al posto di Y deve essere ascritto all’autore del poemetto.

Svensson 1926, 530, osserva che qui ^ corrisponde a µλλονY come in Il. 1, 117

βολοµ0)γwλα'νσν=µµεναι<πολσθαι; Od. 17, 81 α,τ'ν=χοντασ(βολοµ0

)παυρµενY τινα τνδε;Diog. Laert. 6, 57 "λλ9βολοµαι," =φη, ")νSθOναις

ªλαλεχειν<παρ9Κρατρ7τ4ςπολυτελο3ςτραπζηςπολαειν."; Dio Chrys.

2, 14, 5-15, 1 Αλλ9σ,BSλξανδρε,π/τερον¨λοιο~νSγαµµνων<SχιλλεMς<

)κενωντιςγεγονναιτν-ρων<±µηρος;ved. anche Kühner- Gerth, II, 1904,

303. Tuttavia, poiché in questi esempi Y è accompagnato da un verbo ed è

preceduto da espressioni che significano volere, scegliere, Svensson 1926, 530,

giudica più significativo il confronto con Soph. Aj. 966 hµοCπικρ'ςτθνηκεν<

κενοις γλυκς (cfr. schol ad loc. Papageorgius 1888, 79, il quale aggiunge

µ;λλονa)µοCπικρ'ςτθνηκεν); Aristot. Prob. 950b, 28-9 ∆ι9τπαρακαταθOκην

ασχρ'νποστερ4σαιµικρ9ν<πολMδανεισµενον; ed Eust. Comm. ad Od. 19,

264 καCγρτςτ0λλο*ονdδρεταιmνδρ0dλσασακουρδιον,τ2τκνατκpσι

φιλ/τητιµιγε*σα,Yπερ¹δυσσ4α.

Page 157: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

155

φαφαφαφαδιµονδιµονδιµονδιµονSSSSλκαλκαλκαλκαÅÅÅÅδην.δην.δην.δην.AttraversoSλκαÅδην, in clausola esametrica, il poeta

fa riferimento ad Erode Attico, personaggio principale del poemetto, il quale

viene esplicitamente chiamato per nome soltanto al v. 32. Wilamowitz 1928, 27,

riconosce nel sostantivo SλκαÅδην una chiara indicazione della madre di Erode,

Vibullia Alcia Agrippina. Questo farebbe pensare a un errore di incisione da parte

del lapicida al posto di Sλκιδην. Tuttavia Wilamowitz conserva la forma

SλκαÅδην ipotizzando che qui l’autore del poemetto si stia collegando a una saga

familiare, «die auf irgendeinen Alkaios der Sage zurückgriff» (Wilamowitz 1928,

27). SλκαÅδης è il patronimico del dio Eracle ed è attestato per la prima volta in

Pind. O. 6, 68, quale variante grafica di SλκεÅδης; cfr. anche Skenteri 2005, 96.

Ad SλκαÅδης viene riferito l’epiteto omerico φαδιµος «illustris» (Ebeling 1898,

s. v.φαδιµος), il quale accompagna i nomi di eroi come Ettore, Aiace e Achille

nell’Iliade e di Odisseo nell’Odissea. Qui φαδιµοςmira a mettere in primo piano

la nobiltà delle origini di Erode che con il suo ritorno in patria è causa di gioia per

la città di Atene.

vv. 3-5. La visita di Erode Attico a Marco Aurelio, impegnato nelle guerre

contro le popolazioni barbare che premevano lungo i limites dell’Impero romano,

viene presentata come il motivo che ha tenuto il ricco ateniese per molto tempo

lontano dalla sua patria. Come afferma Skenteri 2005, 96, «the real reason for

Herodes’ absence is glossed over» e manca in questo componimento qualsiasi

indizio che colleghi la presenza di Erode Attico presso l’accampamento di Marco

Aurelio a Sirmio con la necessità di difendersi dalle accuse mossegli dai suoi

nemici.

v. 3. νοστνοστνοστνοστOOOOσαντασαντασαντασαντα ))))σορσορσορσορν.ν.ν.ν. Il participio appositivo )σορν spiega il

makarismos iniziale rivolto a Maratona. Il demo ateniese, e per sineddoche

dunque l’intera Atene, viene ritratto nell’atto di osservare il ritorno in patria del

suo illustre cittadino. Per la posizione di )σορνin cesura pentemimere maschile

cfr. Il. 13, 478; Sol. fr. 4a, 2 West2; Theogn. vv. 1018, 1318 West2; Theocr. 8, 56.

Il participio è costruito con il participio predicativo(νοστOσαντα) dell’oggetto (v.

2 φαδιµονSλκαÅδην).

ββββωνωνωνων ππππ'''' ΣαυροµατΣαυροµατΣαυροµατΣαυροµατωνωνωνων. Kretschmer 1920, 2543, spiega che i Sarmati

erano una popolazione appartenente al gruppo degli Sciti, di origine iraniana e

Page 158: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

156

quindi indoeuropea; cfr. Diod. 2, 43 e Plin. 4, 19. Il primo storico a dare

informazioni su questo popolo è Erodoto, il quale narra che al suo tempo i Sarmati

abitavano a est del Tanai; cfr. Hdt. 4, 21, 1. Nel 69 d. C. essi attraversarono il

Danubio ma furono ricacciati dai Romani (cfr. Tac. Hist. 1, 79). Contro i Sarmati,

alleati con gli Svevi, fu impegnato l’imperatore Domiziano (cfr. CIL 3 suppl. 1,

6818 e CIL 10, 135) mentre l’imperatore Adriano riuscì a stipulare una pace con il

loro sovrano (cfr. H. A. Hadr. 6). Nuovi tentativi di invasione da parte di questo

popolo dovette affrontare anche Marco Aurelio, come testimonia questo

componimento (cfr. H. A. M. Anton. Phil. 22).

Il nome di questo popolo è accompagnato da βων. La parola mβιοςoccorre

per la prima volta in Il. 13, 6 Sβων τε δικαιοττων νθρπων. Già i

commentatori antichi avevano cercato di stabilire se mβιος fosse impiegato da

Omero come etnonimo oppure come epiteto nel significato di «nomad» (LSJ, s. v.

mβιος, III). Come etnonimo gli scholia ad loc. identificano gli Abi con diverse

popolazioni tra cui i Sarmati (τιν(ς τοτους Σαρµτας φασν, Erbse 1974, III,

303). A favore di un’interpretazione di Sβων come etnonimo si pronuncia Seiler

1955, s. v.mβιος: «Da Hom. offenbar etymologisiert, wie Σχb a, hat er wohl .

als Ethnikon genommen». Negli scrittori greci del II sec. d. C. mβιος è attestato

tanto come etnonimo con la funzione di precisarne meglio un altro,come in Arr.

An. 4, 1, 1 Ο, πολλα*ς δ( -µραις Dστερον φικνο3νται παρ0 Sλξανδρον

πρσβειςπαρτεΣκυθντνSβωνκαλουµνων e Hdn. De prosodia Catholica

3, 1, 118 βιος=θνοςΣκυθικ/ν, quanto come aggettivo; cfr. Luc. DMort. 26, 3 εg

τιςα,τοMςναπµψειεθητεσονταςκλOροιςκαCβοιςνδρσιν;Vett. Val. 9,

46, 12 ο,κβουςδ(λλ0)ξδοκOτωνκαCµειζ/νωνqφελουµνους e CIG 3915,

16 mτεκνος καC mβιος καC προλης. Graindor 1912, 70, Svensson 1926, 529,

Ameling 1983, II, 205 e Tobin 1997, 272, stampano la grafia minuscola senza

offrire alcuna spiegazione. Wilamowitz 1928, 27, con approvazione di Powell

1933, 190, adopera la grafia maiuscola e sostiene che «das fabelhafte Volk ist mit

den Sarmaten-Skythen gleichgesetzt, gemeint sind die Feinde, welche der Kaiser

bekriegt». Skenteri 2005, 86, adotta invece la grafia minuscola e giustifica la sua

scelta sostenendo che qui βωνnon deve essere interpretato come etnonimo che

precisa l’identità dei Sarmati perché «that is not wholly compatible with a poetic

Page 159: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

157

style» ma come epiteto perché, «although their mode of residence was, at that

time, more permanent than before, they could still be denoted by a traditional

epithet meaning “nomad” or “having no fixed adobe”» (Skenteri 2005, 88-9).

v. 4. γαγαγαγαηςηςηςης))))κκκκνενενενετηςτηςτηςτης,,,,====νθανθανθανθαφιλοπτολφιλοπτολφιλοπτολφιλοπτολµµµµ7777. L’idea dell’estrema lontananza di

Erode dalla patria è espressa dal complementoγαης)κνετης. Per questo nesso

Ameling 1983, II, 207, cita come parallelo Il. 8, 478 τ9νεαταπερατα…γαης

καCπ/ντοιο. A Marco Aurelio, designato con l’espressione Α,σονωνβασιλo(v.

5) viene attribuito poi l’epiteto φιλοπτολµος, forma omerica di φιλοπ/λεµος

«fond of war» (LSJ, s. v.), posto in clausola di esametro. Sebbene φιλοπτ/λεµος

sembri alquanto insolito come epiteto di Marco Aurelio, in realtà, come sottolinea

Powell 1933, 192, esso è usato in riferimento alle numerose guerre in cui Marco

Aurelio fu impegnato fino al 175 d. C. I primi anni di regno infatti erano stati

caratterizzati dalle guerre in Oriente contro l’Armenia. Nonostante la conduzione

delle operazioni militari fosse stata affidata a Lucio Vero, Marco Aurelio dovette

dedicarsi all’effettiva progettazione della spedizione a causa dell’atteggiamento

assunto da Lucio Vero che con molto ritardo aveva raggiunto Antiochia nel 163 d.

C.; ved. commento a Peek 1942, 330 = 186 Ameling. Con la guerra contro la

Partia si conclusero nel 166 d. C. le operazioni romane in Oriente. A queste

seguirono poi le campagne militari in Italia e in Illiria e la spedizione germanica e

sarmatica. Al di là del Reno e del Danubio, dal Mare del Nord al Mar Nero, si

estendeva una fascia di stati in rapporto di più o meno stretta clientela con i

Romani. Questi facevano da cuscinetto contro gli attacchi di altri popoli. Ma

questa situazione si era alterata proprio negli anni di regno di Marco Aurelio a

causa del sovraffollamento che aveva portato a problemi di approvvigionamento e

causato lo spostamento di grandi masse di barbari verso i territori dell’Impero.

v. 5. ΑΑΑΑ,,,,σονσονσονσονων βασιλων βασιλων βασιλων βασιλoooo. Il sostantivo βασιλες designa durante l’età

imperiale l’imperatore romano; ved. LSJ, s. v. L’aggettivo sostantivato Α,σονων

indica propriamente gli Italici, come in IG XIV 1389 A, 29 = 146, A, 29 Ameling,

ma per estensione corrisponde qui a ßΡωµαων; cfr. A. P. 7, 343, 4 =µπλεον

Α,σονων θεσµν; 7, 589, 4 θεσµν τ0 Α,σονων )λπδα µαψιδην; 7, 591, 2

τ/σσου τ/σσος )wνΑ,σονωνπροµχου; 9, 280, 1 Λαλιος,Α,σονων Dπατον

κλος;9, 660, 2 mφθονοςΑ,σονων)κκχυταινοµµων. La descrizione di Marco

Page 160: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

158

Aurelio come Α,σονωνβασιλες, al cui seguito si era posto Erode (συνσπετο),

richiama alla mente la presentazione del ricco ateniese come ασονα in Corinth

VIII 3, 128, 6 = 100, 6 Ameling.

ττττ4444λλλλ0)0)0)0)λλλλοντι.οντι.οντι.οντι. Attraverso la relativa τ4λ0)λοντι l’autore del componimento

conclude la caratterizzazione di Marco Aurelio che, a causa delle guerre contro i

barbari, ha raggiunto insieme ai suoi uomini regioni molto remote dell’Impero.

v. 6. ττττ''''νµνµνµνµ((((ννννκισσοφκισσοφκισσοφκισσοφ////ροςπαροςπαροςπαροςπα****ς∆ις∆ις∆ις∆ι''''ςςςς \\\\ρρρραααανννν.A partire da questo verso il

poemetto descrive il corteo che accompagna ad Atene Erode, qui indicato con il

pronome dimostrativo omerico τ'ν. Egli è scortato in primo luogo dal dio

Dioniso, chiamato Εραφιτης al v. 7, la cui identità viene tratteggiata tramite la

perifrasi κισσοφ/ρος πα*ς ∆ι'ς, la quale da una parte, attraverso πα*ς ∆ι'ς,

mette in risalto il legame del dio con Zeus, che lo aveva generato unendosi a

Semele, dall’altro, mediante l’epiteto κισσοφ/ρος «ivy-wreathed» (LSJ, s. v. ),

menziona l’edera come una delle piante sacre al dio.

L’epiteto κισσοφ/ρος è«elevated poetic vocabulary» (Austin-Olson 2004,

305), attestato per la prima volta in Pind. O. 2, 27 e presente in Ar. Thes. 988a e

Opp. C. 1, 365; cfr. anche Nonn. D. 12, 109.Il verso si conclude con l’espressione

\ραν, la quale presenta Erode Attico come sacerdote del dio.

v. 7. αααα,,,,ττττ////ς…ς…ς…ς… ΕΕΕΕραφιραφιραφιραφιτης.της.της.της. L’apertura del verso mediante α,τ/ς, riferito a

Εραφιτης in clausola, esprime la presenza concreta del dio nel corteo che scorta

Erode Attico in città. Εραφιτης è «ein in der Poesie nicht seltnes Beiwort des

Dionysos» (Jessen 1903, 2119). L’epiteto compare per la prima volta in H. Hom.

Bacch. 2, 17, 20, mentre in Alc. fr. 349a Voigt è impiegata la forma eolica

hρραφετας. L’inno a Dioniso di A. P. 9, 524, contenente gli epiteti del dio in

ordine alfabetico, cita due volte Εραφιτης a inizio e a chiusura del

componimento (vv. 1, 26). Cfr. anche D. P. 576; CIG 3538, 17; Orph. H. 48, 2,

Nonn. D. 9, 23; 14, 118, 229; 21, 81; 42, 315. Nell’antichità Εραφιτης veniva

spiegato in modi differenti; p. es., Hesych. ε 1000, s. v. Εραφιτης·∆ι/νυσος

παρ9τ')Nφθαι )ν τ2µηρ2το3∆ι/ς, mette l’epiteto in relazione agli eventi

mitici precedenti alla nascita del dio, secondo cui Zeus cucì il figlio nella sua

coscia dopo la morte della madre Semele, folgorata dal fulmine del dio. Sulle

diverse interpretazioni antiche di Εραφιτης ved. Jessen 1903, 2119-20. Frisk

Page 161: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

159

1960, s. v.,spiegaΕραφιτης come composto dal suffisso -ιτηςe dal sostantivo

*εgραφος, collegabile con l’antico indiano rsabhàh «toro» e conclude che

l’epiteto descrive il dio nelle sembianze di un toro; ved. anche Chantraine 1968, I,

s. v., 323 e Mader 1984, s. v. Su Dioniso nelle sembianze di un toro e le festività

connesse ved. Voigt 1884-6, 1055-9.

mmmmγεν πγεν πγεν πγεν πτρηντρηντρηντρην ))))ςςςς οοοοδιµον.διµον.διµον.διµον. La funzione di guida del dio è espressa

dall’imperfetto poetico del verbo mγω; cfr. anche v. 12 dove il participio mγουσα

descrive il ruolo della dea Atena nel corteo che si prepara ad accogliere Erode

Attico.

La città di Atene è indicata come patria in relazione ad Erode ed è

qualificata dall’epiteto οδιµος «wert, besungen zu werden, Gegenstand eines

Liedes zu sein, je nach Situation in malam oder in bonam partem» (Busch 1969, s.

v.). In Omero οδιµοςè attestato solo una volta come predicativo in Il. 6, 358

νθρποισι πελµεθ0 οδιµοι )σσοµνοισι. Come epiteto di Atene οδιµος è

usato per la prima volta da Pind. fr. 76 Maehler ¶ταCλιπαραCκαC οστφανοι

καC οδιµοι, Tλλδος =ρει-/ σµα, κλειναC Sθ;ναι, δαιµ/νιον πτολεθρον, cui

allude Ps.-Luc. Dem. Enc. 10, 6-7 "α\ λιπαραC καC οδιµοι καC τ4ς Tλλδος

=ρεισµα"; e compare in prosa in Plu. Th. 1, 5, 1-3 )φανετο τ'ν τνκαλνκαC

οιδµων οκιστ$ν Sθηνν ντιστ4σαι καC παραβαλε*ν τ2 πατρC τ4ς νικOτου

καCµεγαλοδ/ξου!µης.

v. 8. ))))ξξξξ////πιθεν δπιθεν δπιθεν δπιθεν δ(((( θεθεθεθεwwww δωσιβδωσιβδωσιβδωσιβω πρω πρω πρω πρ////εσαν.εσαν.εσαν.εσαν. L’avverbio epico )ξ/πιθεν

sottolinea l’ordine in cui procedono nel corteo le altre due divinità (θεw …

πρ/εσαν) che scortano Erode in città. Per la posizione di )ξ/πιθεν in apertura di

hemiepes cfr. Ap. Rh. 3, 1321; Theocr. 25, 267 e Arat. Phaen. 1, 91.

Le due dee sono Demetra e Core, qualificate dall’epiteto al duale δωσιβω,

attestato solo qui e sinonimo di βι/δωρος «che dà vita», usato da Aesch. fr. 168,

17 Radt; Pind. Pae. 4, 26 Maehler e Soph. Phil. 1160. Rari sono infatti i composti

con δωσι- come primo elemento. Un esempio ne è offerto da Hdt. 6, 42 che usa

l’aggettivo δωσδικος, ripreso poi da Polyb. 4, 4, 3 e citato da Suid. δ1480 Adler.

Questa triade di divinità che da Eleusi scorta Erode verso Atene è una scelta

consapevole del poeta poiché ognuna ha una connessione particolare con il ricco

ateniese e con la località verso cui la processione si dirige (cfr. vv. 10-1). La

Page 162: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

160

presenza del dio Dioniso è spiegata dal testo stesso con la precisazione che Erode

era un sacerdote del dio, mentre quella di Demetra e Core si giustifica con il fatto

che il corteo, attraverso la piana di Tria, percorre una parte del territorio eleusino

in cui le due dee avevano i loro culti. Skenteri 2005, 98, aggiunge che «in the

celebrations of the Mysteries, the Athenian people were the ones who went out to

visit the three divinities in their temple. The inscription, on the other hand,

describes an occasion on which the gods themselves left their shrines in order to

escort one important individual back to his home in Athens». Per il collegamento

di Erode con i misteri eleusini ved. commento a IG XIV A 31-2 = 146 A, 31-2

Ameling. Per quanto concerne il verbo πρ/εσαν al plurale, anziché al duale come

il soggetto, ved. Kühner-Gerth 1898, I, 70.

v. 9. τοτοτοτο****σιδσιδσιδσιδ0S0S0S0SθηναθηναθηναθηναηπολιηπολιηπολιηπολιOOOOοχοςοχοςοχοςοχοςντεβντεβντεβντεβ////λησελησελησελησε. A partire da questo verso il

poeta descrive un secondo corteo, scortato dalla dea Atena, che va incontro a

Erode Attico per accoglierlo in città.

A differenza di Dioniso, Demetra e Core, che vengono descritti mediante

degli epiteti, la dea Atena è chiamata per nome accompagnato dall’epiteto

πολιOοχος, che la qualifica nella sua funzione di protettrice della città di Atene, e

giustifica la sua presenza a capo del corteo di benvenuto per Erode. Il legame di

Erode Attico con la dea Atena è evidenziato anche nelle iscrizioni triopee: a lei

egli dedica il territorio romano al terzo miglio sulla via Appia insieme alla dea

Nemesi; ved. commento a IG XIV B, 71 = 146 B, 71 Ameling. ΠολιOοχος, forma

epica di πολιο3χος, è un epiteto convenzionale per le divinità poliadi ed è

regolarmente impiegato quale sinonimo poetico di Πολαςe Πολι;τις per Atena,

alla quale erano dedicati templi non solo ad Atene ma in tutta la Grecia; ved.

Roscher 1884-6, 684-7. In poesia l’epiteto qualifica per la prima volta la dea in

Pind. O. 5, 10, dove compare la forma doricaπολιοχος; cfr. anche Ar. Eq. 581;

Nu. 602; Av. 827; Lys. 354. In Th. 317-9, 1139-40 sono presenti invocazioni ad

Atena in qualità di divinità poliade. L’epiteto occorre anche in molte iscrizioni

metriche dedicate alla dea, rinvenute sull’Acropoli; cfr. IG I3 544, 683, 718, 775.

Per quanto riguarda l’aoristo ντεβ/λησε in clausola di esametro cfr. Il. 11,

806; 13, 210, 246; 16, 790; Od. 10, 277; H. Hom. Herm. 143; Hes. Sc. 439; Ap.

Rh. 3, 68, 1213; 4, 1551, 1592.

Page 163: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

161

v. 10. ))))ρχοµρχοµρχοµρχοµνοιςνοιςνοιςνοις!!!!ειτειτειτειτ,,,,ΧαλκιδικΧαλκιδικΧαλκιδικΧαλκιδικwwwwποταµποταµποταµποταµ....Nei vv. 10-1 viene precisato il

luogo presso il quale avviene l’incontro tra i due cortei provenienti da due

direzioni diverse. Gli accusativi di moto !ειτ,Χαλκιδικwποταµ sono retti dal

participio )ρχοµνοις. !ειτ «Salzbäche» (Bürchner 1914, 556), è il nome dei

due ruscelli sacri di acqua salmastra presso la via sacra che da Atene conduceva

ad Eleusi, dove sorgeva il tempio delle dee Demetra e Core. Paus. 1, 38, 1, riporta

che i due ruscelli erano sacri alle due dee e che solo ai loro sacerdoti era concesso

estrarne i pesci; λγονταιδ(ο\!ειτοCΚ/ρης\εροCκαC∆Oµητροςεeναι,καCτοMς

χθ3ς )ξ α,τν το*ς \ερε3σιν =στιν α\ρε*ν µ/νοις. Hesych. ρ 202 precisa che il

ruscello sul lato del mare era sacro a Demetra, mentre quello vicino alla città a

Core; !ειτο·)ντoSττικoδοεσCνο\πρ'ςτohλευσ*νι!ειτοCNωγµο.καC

µ(ν πρ'ς τo θαλττp τ4ς πρεσβυτρας θεο3 νοµζεται, δ( πρ'ς τ' mστυ τ4ς

νεωτρας,RθεντοMςλουτροMςxγνζεσθαιτοMςθισους. Questi due ruscelli erano

alimentati da varie sorgenti di acqua salata e poiché si trovavano al di sopra del

livello marino, le loro correnti fluivano velocemente verso il mare. Nel 421-420 a.

C. venne costruito un ponte (cfr. IG I2 81) «coronato da un rilievo con Atena e le

divinità di Eleusi» (Beschi-Musti 1982, 411). Il duale !ειτ è attestato solo qui

mentre in Soph. fr. 1089 Radt occorre il neutro plurale !ειτ. Il sostantivo !ειτ

è poi accompagnato dall’apposizione, Χαλκιδικw ποταµ. L’epiteto Χαλκιδικ

riflette un’opinione comune, ricordata anche da Paus. 1, 38, 1, secondo cui i due

ruscelli erano il riemergere di una corrente marina sotterranea che attingeva

all’Euripo di Calcide.

v. 11.ΘρειΘρειΘρειΘρειζζζζ0,=0,=0,=0,=νθνθνθνθ0x0x0x0xλλλλωσυµβωσυµβωσυµβωσυµβλλετονολλετονολλετονολλετονοeeeeδµαδµαδµαδµαN/N/N/N/οςτεοςτεοςτεοςτε. Il luogo dell’incontro

tra i due cortei è la piana di Tria. Θρειζε = Θριζε; per questa forma Graindor

1912, 85, n. 2, rinvia a Thuc. 1, 114, 2, cui va aggiunto anche 2, 21, 1 e IG II2

1672 fr. b, 109. Il verso descrive questa piana come il punto in cui le onde marine

e le correnti dei Rheitoi si incontrano.

Il duale xλω è epiteto sia di οeδµαsia di N/ος perché l’acqua del mare e

l’acqua dei due Rheitoi sono salate; ved. Skenteri 2005, 89. L’aggettivo ªλιοςè

un epiteto tradizionale di οeδµα, come in H. Hom. Ap. 417; Pind. fr. 221, 4

Maehler; Eur. Hec. 634; Hel. 520. Il nesso doveva essere così comune che in Eur.

Page 164: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

162

Hel. 1501ªλιοςglossa l’espressione piuttosto inconsueta γλαυκ'ν)π0οeδµα; ved.

Kannicht 1969, II, 396.

Wilamowitz 1928, 28, rinvia per la forma verbale συµβλλετον a Il. 4, 453

)ςµισγγκειανσυµβλλετονvβριµονDδωρ, dove però il verbo, diversamente da

qui, è usato in modo transitivo. La forma verbale συµβλλετονviene ancora usata

in Il. 5, 774 tχιNο9ςΣιµ/ειςσυµβλλετον^δ(Σκµανδρος, in cui viene descritto

l’arrivo di Era su un carro trascinato da cavalli a Troia nel tratto in cui il Simoente

e lo Scamandro mescolano le loro acque.

v. 12. λαλαλαλα''''νννν mmmmγουσαγουσαγουσαγουσα ====τας πτας πτας πτας πνταςνταςνταςντας µηγερµηγερµηγερµηγεραςαςαςας. Atena viene rappresentata

come guida del suo popolo attraverso il nesso λα'νmγουσα. In Il. 10, 79 λα'ν

mγων descrive colui che guida un esercito di uomini; cfr. anche Il. 2, 580 mγε

λαος. Qui λα'ν mγουσα perde la connotazione bellica dell’uso omerico

all’interno del nuovo contesto della processione giubilante che si fa incontro a

Erode. Il sostantivo λα/ς al singolare rappresenta il popolo di Atene in

processione «als kollektive Einheit» (Schmidt 1991, s. v.), come è esplicitato

dall’apposizione =τας πντας µηγερας. Il sostantivo =της ha il significato di

«citizen» (LSJ, s. v.) come in Pind. Pae. 6, 10-1 Maehler =ταις µαχαναν

ʖ[λ]ξων/τεο*σιν.

Per l’espressione πνταςµηγεραςcfr. Il. 2, 789 e 7, 415. Un’espressione

simile a =τας πντας µηγερας è adoperata poi da Nonn. D. 14, 285-6

µηγερεςδ(πολ*ται/πντες.

v. 13. \\\\ρρρρ4444αςµαςµαςµαςµ((((νπρνπρνπρνπρταθεταθεταθεταθενκοµνκοµνκοµνκοµ////ωνταςωνταςωνταςωντας))))θεθεθεθεραιςραιςραιςραις. A partire da questo verso

il poeta distingue i vari gruppi che formano il corteo guidato dalla dea.

Skenteri 2005, 98, ricorda che ogni anno, nel mese di Boedromione, gli

Ateniesi andavano in processione dalla città ad Eleusi per celebrare i misteri. «The

welcoming procession for Herodes described in this inscription followed the same

route as the Eleusinian procession. It is quite possible that the poet had the

Eleusinian procession in mind when he described the welcoming of Herodes and

that he inserted in his narrative the groups of participants that took part in the

authentic procession».

Il primo gruppo è rappresentato dai sacerdoti degli dei (\ρ4ας…θεν). Al

v. 6 compare l’accusativo singolare \ρα; qui la grafia \ρ4ας è metri causa.

Page 165: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

163

Κοµ/ωντας)θεραις è un’espressione omerica che ricorre in Il. 8, 41-2 = 13, 24-5

jπ0vχεσφιτιτσκετοχαλκ/ποδ0rππω/qκυπταχρυσpσιν)θερpσινκοµ/ωντε,

per qualificare i cavalli, e che l’autore del componimento adatta a un nuovo

contesto. Eust. Comm. ad Il. 2, 522, 22-523, 1, notava come fosse insolita la frase

omerica per qualificare la criniera dei cavalli e concludeva che solo l’autorità del

mito permetteva di riferire agli animali parole che descrivono propriamente i

capelli umani.

v. 14.κκκκ////σµσµσµσµ7777ττττ2222σφετσφετσφετσφετρρρρ7,7,7,7,ππππνταςνταςνταςνταςριπρεπριπρεπριπρεπριπρεπας.ας.ας.ας. La descrizione dei sacerdoti

è completata dall’apposizione πντας ριπρεπας. Κ/σµ7 τ2 σφετρ7 viene

tradotto da Oliver 1970, 34, «in full regalia». Egli vi scorge un riferimento agli

ornamenti indossati dai sacerdoti durante la processione. Questo significato di

κ/σµος è già attestato in Il. 14, 187, dove si narra come Era si prepari a ingannare

Zeus mettendosi addosso ogni ornamento. Skenteri 2005, 89, sebbene traduca i

vv. 13-4 «first the priests of the gods, with their flowing hait, all resplendent in

their own ornaments», giudica difficile determinare se «κ/σµ7 τ2 σφετρ7 is

used as an apposition to )θεραις or if it is attached to ριπρεπας» e conclude

«however we think that the former interpretation is more probable».

v. 15. \\\\ρερερερεαςαςαςας δδδδ(((( µεταµεταµεταµετα3333θιθιθιθι σασασασα////φροναφροναφροναφροναΚΚΚΚπρινπρινπρινπριν ))))χοχοχοχοσαςσαςσαςσας. Il secondo gruppo è

costituito dalle sacerdotesse(\ρεας)che conducono in processione un’immagine

di Afrodite (σα/φρονα Κπριν). Secondo Graindor 1912, 85-6, si tratta di una

statua della dea dedicata da Erode. Di questa dà notizia Dam. Isid. fr. 87, 1

Zintzen = Phot. Bibl. 242, 342a, 7-8 ±τι φησCν συγγραφεMς mγαλµα τ4ς

Sφροδτης δε*ν \δρυµνονρδουτο3σοφιστο3νθηµα. Skenteri 2005, 90,

avanza diverse interpretazioni sulla presenza di Afrodite nel corteo: «a statue of

Aphrodite may have been carried in the procession, a picture of some other kind

may have been meant, or a woman may have been dressed up like Aphrodite».

Riguardo all’ultima proposta di interpretazione Skenteri cita Arist. Ath. 14, 4, 4-

13, dove si racconta che Pisistrato fece indossare a una donna i panni della dea

Atena, affinché lo accompagnasse in città durante il suo rientro dall’esilio.

Afrodite è qualificata come σα/φρονα, emendamento di Wilamowitz 1928, 29,

che corregge la lettura di Graindor 1912, 86,mφρονα. Sulla pietra la vocale α è

omessa mentre ο è aggiunta al di sopra della linea del verso. L’aggettivo σφρων

Page 166: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

164

viene impiegato solo qui come epiteto di Afrodite. La dea viene citata anche in IG

XIV 1389 A 4 = 146 A, 4 Ameling da Marcello come progenitrice di Regilla.

vv. 16-7. Il terzo gruppo guidato dalla dea Atena è composto da giovani

cantori di Zeus Olimpio (κυδαλµους πα*δας οιδοπ/λους ΖηνC θεηκολοντας

¹λυµπωϊ), con il quale era stato assimilato l’imperatore Adriano (ved. infra). Per

l’espressione κυδαλµουςπα*δαςcfr. Od. 14, 206 = 17, 113 υ\σικυδαλµοισιν e

19, 118 υ\ο*σιν)κκλετοκυδαλµοισι. Κυδλιµος «wacker» (Führer 1991, s. v.

κυδλιµος) è un aggettivo adoperato in Omero come epiteto di uomini; qui

specifica che i giovani appartenevano alle migliori famiglie ateniesi, com’è anche

sottolineato da Graindor 1912, 87, il quale cita CIG 2715a 1, 7-9 α[\ρε*σθαι]ν3ν

)κ τν εE γεγον/των πα*δας τρικοντα, … οrτινες … Þσονται Dµνον, dove si

parla della scelta di trenta giovani discendenti da buone famiglie, perché cantino

un inno.

οιδοποιδοποιδοποιδοπ////λουςλουςλουςλους. Il sostantivo οιδοπ/λος precisa che la funzione di questi

giovani è quella di essere cantori. Si tratta di un sinonimo di οιδ/ς, come si

deduce da A. P. 8, 122, 1, dove Eufemio viene presentato come !Oτωρ )ν

Nητ4ρσιν, οιδοπ/λος δ0 )ν οιδο*ς. Il sostantivo non è mai attestato nell’età

classica ma solo a partire dall’età ellenistica nella produzione epigrammatica; ved.

LSJ, s. v. οιδοπ/λος. Secondo Graindor 1912, 87, il termine οιδοπ/λοςè usato

dall’autore di questo componimento come sinonimo poetico di ,µν7δο,poiché

con quest’ultimo vengono indicati i cantori dell’imperatore Adriano nelle vesti di

Zeus Olimpio come, p. es., in IEph. 5, 1745 [jµ]νωδ'νναο3θεο[3Îδριανο3; cfr.

anche le iscrizioni provenienti dalla città di Smirne, come CIG 3170, 3148, 3160,

le quali documentano questa nuova istituzione di cantori in onore dell’imperatore

Adriano. Secondo questo poemetto tali cantori erano presenti anche ad Atene;

ved. Graindor 1912, 87.

ΖηνΖηνΖηνΖηνCCCCθεηκολθεηκολθεηκολθεηκολονταςονταςονταςοντας¹¹¹¹λυµπλυµπλυµπλυµπ7777. La spiegazione di questa perifrasi è opera di

Graindor 1912, 86. Il participio θεηκολοντας ha il significato di «être

θεηκ/λος». I θεηκ/λοι erano dei sacerdoti istituiti dall’imperatore Adriano per il

culto di Zeus Olimpio, che durante il suo regno conobbe una nuova rinascita; cfr.

IG II2 3313 Α,τοκρτορα Îδριαν'ν ¹λµπιον ο\ πρτοι θεηκ/λοι. Questi

θεηκ/λοι però non venivano scelti tra i ragazzi di Atene, come fa credere il v. 17,

Page 167: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

165

ma tra i vecchi della città. Per questo motivo risulta difficile identificare i πα*δας

οιδοπ/λους con i θεηκ/λοι.

La presenza di questo gruppo di giovani per Zeus Olimpio si spiega da una

parte con l’identificazione dell’imperatore Adriano con Zeus Olimpio (ved.

Raubitschek 1945, 130) dall’altra con la carica di ρχιερεMς τν σεβαστν

ricoperta da Erode (ved. Dittenberger 1878, 72-6), la quale designa un sacerdozio

per il culto dell’imperatore regnante e degli altri assimilati alle divinità; ved.

Brandis 1895, 480-2. Che la carica di ρχιερεMςτνσεβαστν riguardasse anche

gli imperatori defunti è ricavabile da iscrizioni della città di Sparta, quali CIG

1363, 1364 b, 1405, che presentano la formula ρχιερεMςτνσεβαστνκαCτν

θεωνπρογ/νωνα,το3.

rrrrµασι κυδροµασι κυδροµασι κυδροµασι κυδρος.ς.ς.ς. Graindor 1912, 70, e Svensson 1926, 529, stampavano

¹λυµπωϊµασικδρους.Il termine µασικδρους è però senza attestazioni e i due

studiosi non offrivano alcuna spiegazione. Skenteri 2005, 90, annota che «rµασι

stands for εrµασι». La grafia rµασι occorre anche in IEgVers 127, 9 rµασιδ0νθ0

Rπλωνκοσµοµεθα. Dubbia è la presenza della dieresi sulla prima iota; Threatte

1980, I, 98, ricorda: «I could see no trace of it on the stone when I examinated it».

vv. 18-23. Questi versi presentano il quarto gruppo del corteo. Si tratta degli

efebi, sui quali l’autore si sofferma maggiormente, perché la loro partecipazione

offre la possibilità di sottolineare una delle tante munificenze compiute da Erode

Attico per una classe degli abitanti di Atene, prima che la città gli movesse

l’accusa di tirannide.

v. 18. I giovani sono descritti come^ϊθουςrστορας^νορης. Il sostantivo

^Åθεοςdesigna il giovane intorno ai 18 anni; ved. Beck 1987, s. v.

Gehrke 1997, 1073, ricorda che «im Alter von 18 Jahren wurden die jungen

Athener in ihren jeweiligen Demen nach Prüfung ihres personenrechtlichen Status

in die Bürgerlisten eingeschrieben und dann phylenweise in die Ephebeia

aufgenommen». Gli efebi avevano come modello la figura di Teseo, l’efebo per

eccellenza che con il suo coraggio aveva liberato Atene dal tributo annuale di

giovani che la città doveva al re di Creta Minosse; cfr. Plu. Thes. 17. Sull’efebia

in generale ved. Thalheim 1903, Pélékidis 1962, Guarducci 1969, II, 380-410 e

Gehrke 1997.

Page 168: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

166

¼Åθεος è un termine omerico. In Il. 18, 567, 593; 22, 127-8 e Od. 11, 38 è

in correlazione con παρθνος e designa il ragazzo distinto dalla ragazza, mentre in

Od. 3, 401 e 6, 63 il sostantivo mette in risalto la condizione dei ragazzi che per la

loro giovane età vivono ancora a casa dei genitori; ved. Beck 1987, s. v.^Åθεος.

La definizione degli efebi come ^Åθεοι non è isolata perché compare anche in IG

III, 1151 ^ιθοισιν )φOβοισιν; cfr. anche IG II2 3754 \ππα !ωµαων τ'ν )ν

^ιθοισιν =φηβον. Wilamowitz 1928, 30, definisce Geschmacklosigkeit la

tautologia^ϊθουςrστορας^νορης (v. 18),πα*δαςSθηναων (v. 19) e )φOβους

(v. 20). Egli spiega poi νορης con νδρεας,«weil sie hier mit irgendwelcher

Waffe paradieren». Powell 1933, 194, ricollegandosi a questo giudizio, definisce

l’intera espressione ^ϊθουςrστορας^νορης«a showy phrase for )νRπλοις».

Per quanto riguarda l’aggettivo rστωρ «knowing, learned» (LSJ, s. v., II)

costruito con il genitivo, cfr. H. Hom. Sel. 2 -δυεπε*ς κο3ραι Κρονδεω ∆ι'ς

rστορεςÖδ4ς;Bacch. 9, 43-4 )]γχων/rστορεςκο3ραιδιωξπποι0ρηος;Soph.

El. 850 Κγwτο3δ0 gστωρ,jπερστωρ;Eur. IT 1431 jµ;ςδ( τ9ς τνδ0 gστορας

βουλευµτωνe Plat. Crat. 406b, 3 ρετ4ςrστορα.

v. 19.παπαπαπα****δαςδαςδαςδαςSSSSθηναθηναθηναθηναωνωνωνων. Nel V sec. a. C. l’accesso all’efebia era riservato a

chi vantava di «“essere nato secondo la legge”, cioè da padre e madre ateniesi»

(Guarducci, 1969, II, 384). In età ellenistica ed imperiale l’efebia conosce una

grande estensione nel mondo greco, tanto da diventare un’istituzione per la

formazione fisica e spirituale dell’élite e un elemento essenziale nella

rivendicazione dell’identità greca. Per questo motivo a partire dalla fine del I sec.

a. C. gli stranieri vennero accettati all’interno dell’efebia e Atene si trasformò in

un centro di educazione; ved. Gehrke 1997, 105.

χαλκχαλκχαλκχαλκ2222γανγανγανγανονταςονταςονταςοντας))))φφφφOOOOβουςβουςβουςβους.«The Homeric influence is obvious, for the verb

belongs to the Homeric vocabulary. However, in Homer the word γανοντες

(γαν/ωντες) is always used about objects and never about human beings»

(Skenteri 2005, 105). In Il. 13, 264-5 τ µοι δορατ τ0 =στι καC σπδες

dµφαλ/εσσαι/καCκ/ρυθεςκαCθρηκεςλαµπρ'νγαν/ωντες e 19, 359 ¬ςτ/τε

ταρφειαCκ/ρυθες λαµπρ'νγαν/ωσαι il participio del verbo γανωdescrive lo

splendore delle armi mentre in Od. 7, 127-8 =νθα δ( κοσµηταC πρασιαC παρ9

νεατον vρχον / παντο*αι πεφασιν, )πηεταν'ν γαν/ωσαι e H. Hom. Cer. 9

Page 169: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

167

[νρκισσ/ν] θαυµαστ'ν γαν/ωντα quello dei fiori in pieno germoglio; ved.

Mader 1982, s. v. γανω.

v. 20. α α α α,,,,ττττ////ς.ς.ς.ς. Il pronome designa Erode Attico. La sua identità viene

lentamente svelandosi nel corso del poemetto attraverso indizi quali l’apostrofe al

demo di nascita, l’allusione al legame con l’imperatore Marco Aurelio, di cui era

stato maestro, la presenza di Dioniso, di cui era sacerdote, e di Demetra e Core,

nei cui misteri egli svolgeva un ruolo importante in qualità di componente della

famiglia sacerdotale dei Cerici (cfr. IG XIV 1389 A 32-3 = 146 A, 32-3 Ameling),

infine la citazione di uno dei suoi benefici nei confronti della città natale.

v. 20-1 λλλλOOOOθην πατρθην πατρθην πατρθην πατρ''''ς … Ας … Ας … Ας … Αγεγεγεγεδεω.δεω.δεω.δεω. Graindor 1912, 88, seguito da

Wilamowitz 1928, 30, aveva interpretato il genitivo Αγεδεω come un

patronimico di πατρ/ς, e vi aveva letto un riferimento al padre Attico. Egli

fondava la sua tesi su IG XIV 1389 A, 33 = 146 A, 33 Ameling, dove Erode viene

esplicitamente definito discendente di Teseo. L’interpretazione corretta del

patronimico è stata data per la prima volta da Roussel 1941, 164, il quale vi

riconosce invece il riferimento mitologico a Teseo. L’intero nessoλOθηνπατρ'ς

…Αγεδεω allude alla leggenda secondo cui il giovane Teseo, navigando verso

Atene, dopo aver ucciso a Creta il Minotauro, dimenticò di fare issare le vele

bianche al posto di quelle nere, come aveva promesso al padre Egeo nel caso fosse

ritornato a casa vivo. Il mito narra che a quella vista il padre, credendo il figlio

morto, si tolse la vita gettandosi in mare; cfr. Plu. Thes. 22. L’abbigliamento degli

efebi con mantelli neri era stato fissato dalla tradizione come sopravvivenza del

ricordo di Teseo vestito di nero per espiare il suicidio del padre.

κεικεικεικει////µενος.µενος.µενος.µενος. Roussel, 1941, 164, propone la correzione del participio

κει/µενος nell’accusativo plurale κει/µενουςaccordato conκορουςdel v. 21.

Secondo questa correzione sono gli efebi a fare ammenda della dimenticanza di

Teseo, indossando abiti neri. Così traduce Ameling 1983, II, 208: «wodurch sie

sühnen wollten, dass der Aigeussohn (Theseus) nicht an seinen Vater gedacht

hatte». Il participio inciso sulla stele viene difeso invece da Skenteri 2005, 91, che

traduce: «by making amends himself for Aigeus’ son’s forgetfulness of his vater».

Questo passo va spiegato, da una parte, come volontà dell’autore di ricordare agli

Ateniesi una munificenza di Erode, dall’altra, come allusione alla discendenza di

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168

Erode da mitici personaggi. Erode come cittadino privato, sottolinea Skenteri

2005, 92, non aveva il diritto di mutare un simile costume, ma come discendente

di Teseo poteva prendere su di sé l’onere di espiare il suicidio di Egeo e garantire

la continuità della tradizione. «Thus, the word α,τ/ς acquires a logical function,

since it enhances Herodes’ prominet role as mourner and sets him in opposition to

the ephebes» (Skenteri 2005, 92).

21. δδδδ<<<<νννν>>>>οφοεοφοεοφοεοφοεµονοςµονοςµονοςµονος. L’aggettivo è correzione di Svensson 1926, 532, di

∆ΜΟΦΟΕΙΜΟΝΟΣdella stele; egli osserva: «Mais c’est à coup sûr une erreur

du lapicide, déconcerté, par un mot qu’il ignorait, et il faut écrire δνοφοεµων que

l’on rapprochera du substantif δν/φος, écrit parfois γν/φος, d’où viennent les

adjectifs δνοφ/εις, δνοφοOς, δνοφδης et δνοφερ/ς – oscure, triste».

∆νοφοεµων è un hapax legomenon e significa «clothed in dark robes» (LSJ,

suppl., s. v.δνοφοεµων). Svensson 1926, 532, n. 1, confronta il neologismo con

τοMς µελανεµονας di Polyb. 2, 16, 13, dove lo storico, a proposito del fiume

Bodenco, ricorda le storie raccontate dai Greci relative a Fedonte e alla sua caduta

e cita gli abiti neri indossati dagli abitanti vicino al fiume in segno di lutto; cfr.

anche CIG 2715a 1, 8 λ[ε]υχειµονο3ντας. Secondo Wilamowitz 1929, 490, «der

Poet hat mit seiner Neubildung wenig Glück gehabt, denn δν/φος ist kein Wort

für Farbe».

Il sostantivo λβη«despiteful treatment, outrage, dishonour» (LSJ, s. v.) è

attestato già nei poemi omerici in Il . 3, 42; 7, 97; 9, 387; 11, 142; 13, 622; 18,

180; 19, 208; Od. 18, 225, 347; 19, 373; 20, 169, 285; 24, 326, 433;

Per quanto concerne=σχεθε,indicativo aoristo poetico di=χω, costruito con

l’accusativo κορους e il genitivo λβηςδνοφοεµονος cfr. Il. 2, 275; Od. 4, 758;

Soph. El. 375 ed Eur. Herc. Fur. 1005.

v. 22. ργυφργυφργυφργυφαις χλααις χλααις χλααις χλαναιςναιςναιςναις µφιµφιµφιµφισαςσαςσαςσας. I mantelli che Erode dona a proprie

spese (οgκοθεν) agli efebi sono qualificati come ργφεαι «silver-shining, silver-

white» (LSJ, s. v). L’aggettivo compare per la prima volta in Il. 18, 50 ργφεον

… σπος ma è in Od. 5, 230 = 10, 543 ργφεον φ;ρος che ργφεος viene

impiegato per indicare il colore bianco e lucente di un tessuto. Quest’accezione è

riscontrabile anche in Hes. Th. 574 ργυφp )σθ4τι; Ap. Rh. 3, 835 = 4, 474

καλπτρην /ργυφην e Nonn. D. 48, 108 ργυφ7…εrµατι. La donazione di

Page 171: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

169

mantelli bianchi è documentata anche da IG II2 209057; quest’iscrizione, grazie

alla citazione dell’arconte Sesto di Falero, permette di datare l’avvenimento al

165-166 d. C.; ved. Ameling 1983, ΙΙ, 111-2. Sul dono dei mantelli bianchi cfr.

anche Philostr. V. S. 2, 550, 16-8 µετεκ/σµησεδ(καCτοMςSθηναων)φOβους)ς

τ'ν3νσχ4µαχλαµδαςπρτοςµφισαςλευκς. Il biografo però (V. S. 2, 550,

18-22) offre un altro aition delle vesti nere. Esse sono presentate come segno del

lutto ateniese per Copreo, messaggero del re di Micene Euristeo, che gli Ateniesi

avevano ucciso mentre questi cercava di strappare gli Eraclidi dall’altare; sulla

vicenda cfr. Il. 15, 639-40 ed Eur. Heracl. 1-72.

Secondo Powell 1933, 193, l’aition filostrateo si collega al fatto che il luogo

dell’uccisione di Euristeo è il tempio a Maratona. Sia l’aition di Filostrato che

quello dell’autore di questo poemetto dovevano in realtà coesistere se Plu. Th. 22,

dopo aver descritto i riti compiuti da Teseo per commemorare la morte del padre,

avverte l’esigenza di avvisare il lettore che altri scrittori potranno attribuire questi

riti alla memoria degli Eraclidi.

Per quanto riguarda il participio aoristo µφισας del verboµφιννυµι«to

clothe» (LSJ, s. v.), costruito con il dativo, cfr. Plat. Prot. 321a e Dion. Hal. 6, 16.

v. 23. δωρηθδωρηθδωρηθδωρηθεεεεCCCCςςςς. Il participio aoristo passivo ha qui il significato del

participio aoristo medio δωρησµενος ed è un solecismo «nach Analogie von

)νεθυµOθην, )φιλοτιµηθην» (Wilamowitz 1928, 30); per questo uso cfr. anche

Hesych. H. Homilia ii in S. Longinum centurionem 26, 13-16 hγεµιΛογγ*νος,

δι9τ4ςµητρ/ςσουδωρηθεCςτ$νκεφαλOν,λλ0Qσπερα,τ$)κ/µισνµουτ$ν

κεφαλOν,οDτωςκγwβολοµασετ2θε2προσκοµσαι; ved. anche Lampe 1961,

s. v. δωροµαι.

ττττ ) ) ) )νετνετνετνετooooσι κατωµαδσι κατωµαδσι κατωµαδσι κατωµαδ''''νννν ^λλλλκτροιο.κτροιο.κτροιο.κτροιο. «Wieder τ zu γ verlesen» (Wilamowitz

1928, 29). Le fibule di ambra sono citate solo qui. Graindor 1912, 89, vede il

modello del v. 23 in Il. 14, 180 χρυσεpςδ0)νετoσικατ9στ4θοςπερον;το e Call.

Hec. fr. 42, 5 Hollis mλ[λ]ικαχρυσεηισινʖ)εργοµ[νην)νετ4ισιν. 57 γαθo [τχp] )πC νκp τν θειοττων α,το[κρατ/ρων Μ Α,ρηλου καC Λ ΒOρου] ΣεβαστνSρµενιακνΠαρθικ[νµεγστων,)πCmρχοντοςΣξτου]Φαληρωςκοσµητ$ςτν)φO[βωνΛTρννιος ΚορνOλιος καC] Sττικ'ς SζηνιεMς νγραψεν το[Mς jπ0 α,τ2 )φηβεσαντας, τοMς]πρτους λευκοφορOσαντας δι9 τ[4ς λαµπροττης ε,εργεσας] το3 κρατστου ρχιερως· Τιβ·Κλ·ρ[δουΜαραθωνου.^ρτη]σενπρ/εδρος,Rτ7δοκε*λευκο[φορ4σαιτοMς)φOβουςτ4ς]-µρας)νπρ'ςτ$νhλευσ*να-σ[τρατι9πορεεται,Rτ7δ(]µ$.ο,δεCς)π4ρενρδηςεeπεν·B[=φηβοι,)µο3παρ/ντοςχλαµ]δωνλευκνο,κπορOσετε).

Page 172: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

170

v. 24-26. Il quinto gruppo che prende parte al corteo è composto dalle due

βουλαdi Atene.

v. 24 ττττν δν δν δν δ0 v0 v0 v0 vπιθεν.πιθεν.πιθεν.πιθεν. Per questa espressione in apertura di hemiepes cfr.

Choeril. fr. 320, 1 SH τνδ0vπιθενδιβαινεγνοςθαυµαστ'νδσθαι, dove il

poeta elenca i popoli partecipanti alla spedizione contro l’Ellade.

ΚεκρΚεκρΚεκρΚεκρ////πων.πων.πων.πων. LSJ, s. v. Κκροψ, annotano che il plurale Κκροπες

corrisponde alla forma Κεκροπδαι, sostantivo derivato dal nome del mitico

sovrano ateniese, e indica gli abitanti della città di Atene; cfr. commento a IG XIV

1389 A, 30 = 146 A, 30 Ameling. La forma Κκροπες compare anche in IG II2

2139; 7447; 8395; 13150; SEG 28, 350; 30, 294.

v. 25. ====ξαιτοςξαιτοςξαιτοςξαιτος. L’aggettivo qualifica βουλO del verso precedente ed è

pleonastico in quanto ha lo stesso significato del participioκεκριµνηdel v. 24;

ved. Wilamowitz 1928, 30. L’aggettivo compare già in Il. 12, 320 e in Od. 2, 307;

5, 102; 19, 366.

προτπροτπροτπροτρωκρωκρωκρωκον.ον.ον.ον.Al soggettoal singolare (v. 24 βυλO) segue ora il verbo al

plurale (κον). Per questa espressione cfr. Od. 9, 64 ο,δ0mραµοιπροτρων4ες

κονµφιλισσαι. Προτρωha funzione avverbiale; il suo significato corrisponde

a εςτοµπροσθεν, come annota Hesych. π3983.

θρθρθρθρ////οιοιοιοι. L’unità con cui i membri della bulé marciano sotto la guida di

Atena è espressa dall’aggettivo θρ/οι, che, associato al verbo κον, riprende

l’espressione omerica di Il. 14, 38 = Od. 16, 361 = 24, 420 κονθρ/οι, di cui

conserva la posizione metrica all’interno dell’esametro dopo la cesura

pentemimere; per l’espressione κον θρ/οι cfr. anche Ap. Rh. 4, 674.

----µµµµ((((ννννρερερερεω[ν]ω[ν]ω[ν]ω[ν].Si tratta di un vero e proprio calembour che il poeta dispiega

per sottolineare che il consiglio, cui egli sta facendo riferimento, è quello degli

uomini di Marte (Sρεων),cioè dell’Areopago, l’assemblea superiore (ρεων).

Oliver 1970, 34, traduce -µ(νρεω[ν]«named for Ares».

v. 26.----δδδδ0X0X0X0Xττττρηµερηµερηµερηµεωνωνωνων¨σπετοτσπετοτσπετοτσπετοτooooκατκατκατκατ////πιν.πιν.πιν.πιν. Il secondo consiglio è quello dei

Cinquecento, la cui contrapposizione a quello dell’Areopago è espressa dal

comparativo µεων. Il poeta ricorre così all’espediente della paronomasia «qui se

rencontre très souvent chez les écrivains de l’époque imperiale et surtout chez les

représentants de la deuxième sophistique. Notre poète a essayé de choisir les

Page 173: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

171

expressions qu’aimait et employait peut-être Hérode Atticus lui-même» (Svensson

1926, 532).

µεµεµεµεωνωνωνων. Ameling 1983, II, 209, spiega il comparativo µεων in riferimento al

fatto che nei decreti la bulé dei Cinquecento viene sempre citata dopo quella

dell’Areopago.

v. 27. ππππντεςντεςντεςντες. L’aggettivo annulla la distinzione dei due consigli dei versi

precedenti e fa riferimento a tutti i membri che indistintamente indossano vesti

bianche lavate di fresco.

))))στολστολστολστολδαντοδαντοδαντοδαντο.Si tratta di una neoformazione dal verbo στολζοµαι«array

oneself in» (LSJ, s. v.). Per Wilamowitz 1928, 30 «)στολδαντο ist belustigend,

aber die Verderbnis einer nicht mehr verstandenen Perfektform kann in einem

schlechten Texte für )στλατο bei Herodot VII 90 gestanden haben, denn so steht

es bei Hesych., vielleicht sogar )στολ., denn die ältere Handschriftenklasse hat bei

Herodot )στελ,was eine weitere Entstellung zu sein scheint».

νενενενε////πλυταφπλυταφπλυταφπλυταφρ[εαλευκρ[εαλευκρ[εαλευκρ[εαλευκ]]]]. La pietra presenta a partire da questo verso una

frattura che ha provocato la perdita delle lettere finali dell’esametro. Φρ[εα

λευκ] è integrazione di Graindor 1912, 70, accettata da tutti gli altri studiosi. Il

nesso φρεα λευκ occorre già in Il. 24, 231. Anche l’epiteto νε/πλυτα è un

termine che proviene dall’epica omerica; in Od. 6, 64 qualifica le vesti(εrµατα);

cfr. anche Hdt. 2, 37, 4 Εrµαταδ(λνεαφορουσιαεCνε/πλυτα.Come epiteto di

φρεα è adoperato in Orph. Lith. 708.

vv. 28.ττττνδνδνδνδ0000νχονχονχονχο3.3.3.3. La preposizione νχο3=γχο3regge qui il genitivo

come già in Il. 24, 709; Od. 6, 5 e 23, 130. Negli altri casi invece γχο3 è un

avverbio nell’espressione formulare γχο3 δ0 \σταµνη; ved. Laser-Lloyd-Jones

1955, s. v. γχο3,V. Con questo nesso il poeta passa a descrivere il resto della

popolazione che prende parte al corteo cittadino senza esclusione di alcuna

categoria.

προβπροβπροβπροβδηνδηνδηνδην ====στιχ[ενστιχ[ενστιχ[ενστιχ[ενmmmmλλοςλλοςλλοςλλος vvvvχλος]χλος]χλος]χλος].La pietra permette di leggere ΕΣΤΙe la

parte superiore di un sigma prima della frattura. Poiché l’avverbio προβδην

significa «as one walks» (LSJ, s. v.), Svensson 1926, 532, integra con =στιχ[εν,

aoristo secondo del verbo στεχω, ben attestato in poesia, come in Il. 16, 258;

Page 174: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

172

Soph. Ant. 1129; Call. Del. 153; Theocr. 25, 154. Per l’avverbio προβδηνcfr.

Hes. Op. 729 e Ar. Ra. 352.

L’integrazione finale del verso mλλοςvχλος è un miglioramento di Ameling

1983, II, 206, della proposta di Svensson 1926, 533, di dare come soggetto al

verbo =στιχεν l’espressionevχλοςmλλος, attestata in Ptol. Megalop. FGrHist 160,

F 1.

v. 29.))))νδνδνδνδOOOOµωνξεµωνξεµωνξεµωνξενωντεκανωντεκανωντεκανωντεκαCCCCαι[αι[αι[αι[.I due sostantivi ancora leggibili indicano

due categorie di persone e cioè i residenti in città e gli stranieri ospiti ad Atene.

Svensson 1926, 533, constatando che nel frammento dello storico Tolomeo di

Megalopoli sono citate anche le donne nel corteo di accoglienza di Attalo III,

pensa a una integrazione della parte finale del verso con α[δεσµων γυνακων

exempli gratia; tuttavia non difende questa proposta perché tale nesso «a le défaut

de nous donner un iambe au cinquième pied; ce qui rendrait le vers faux».

v. 30.οοοο,,,,δδδδτιςοτιςοτιςοτιςοκοφκοφκοφκοφλαξλελαξλελαξλελαξλεπ[ετπ[ετπ[ετπ[ετ0)0)0)0)ννννCCCCµεγµεγµεγµεγροις]ροις]ροις]ροις]. Il poeta ricorda che anche

gli schiavi, sentinelle dei palazzi, partecipano al corteo di accoglienza di Erode

che in questo modo risulta popolare in ogni strato della popolazione. Il sostantivo

οκοφλαξ è attestato per la prima volta in Aesch. Supp. 26 come epiteto di Zeus.

Svensson 1926, 533, integra la prima parte della lacuna con l’imperfetto epico

senza aumento λεπετο. Il verso è completato poi da Ameling 1983, II, 206 con

)νCµεγροις.

v. 31. οοοο,,,, παπαπαπα****ς, ος, ος, ος, ο,,,, κοκοκοκορη λευ[κρη λευ[κρη λευ[κρη λευ[κλενος,λενος,λενος,λενος, λλλλλλλλ0 0 0 0 γγγγροντο]ροντο]ροντο]ροντο]. Ogni cittadino,

compresi i fanciulli e le fanciulle, accorre ad accogliere Erode, lasciando la città

deserta. Λευ[κλενος è integrazione di Svensson 1926, 529. É un epiteto

omerico, qui riferito a κορη, e significa «white-armed» (LSJ, s. v); ved.

Vlachodimitris 1991, s. v. λευκλενος. L’integrazione λλ0 γροντο è invece

merito di Wilamowitz 1929, 490.

v. 32.δδδδγµενοιγµενοιγµενοιγµενοιρρρρδην.δην.δην.δην.Per la prima volta Erode viene menzionato con il

suo nome.Per δγµενοιcfr. Il. 18, 524 δγµενοιππ/τεµ4λαδοατοκαC¨λικας

βο3ς; Quint. Srmirn. 2, 99 δγµενοιSργεους ^δ0ΑακδηνSχιλ4α; 12, 348-9

α,τοC δ( παρ0 α,τ/θι µµνον ¨κηλοι / δγµενοι, ππ/τε πυρσ'ς )ελδοµνοισι

φανεηe Nonn. D. 38, 244 δγµενοιµφοτρωθεν)µ$νXτερ/σσυτοναgγλην.

Page 175: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

173

vv. 33-36.Gli ultimi versi superstiti sono molto lacunosi e il loro contenuto

può essere soltanto ipotizzato.

v. 33. Il nesso Uς δ0 Rτε introduce, sul modello dei poemi omerici, una

similitudine in cui Erode è paragonato a un bambino (πα*δα).

v. 34. µ[Oτηρ è integrazione di Svensson 1926, 529. Qui la città di Atene,

rappresentata dalla sua protettrice Atena e dalle diverse classi, è raffigurata nelle

vesti di una madre che riabbraccia suo figlio (µφιπσp) al rientro da una terra

lontana (v. 35 τηλ/θεν )[ξ πης γαης) con gioia (v. 36 χαιροσ[νp).

Quest’immagine è presente anche nel poemetto 28, 25-8 Heitsch, dove il testo,

intitolato dal suo editore Λ/γος)πιβατOριος, si rivolge a un generale ritornato in

patria dopo una campagna di successo. Per il congiuntivo aoristo µφιπσpcfr.

Quint. Smirn. 9, 348 RτεζηλOµονινοσ7/µφιπσp.

v. 35. τηλτηλτηλτηλ////θενθενθενθεν )[)[)[)[ξξξξππππηςγαηςγαηςγαηςγαης.ης.ης.ης.Accettare l’integrazione τηλ/θεν)[ξπης

γαηςdel v. 35 significa ammettere che qui l’autore stia echeggiando le parole che

Odisseo in Od. 7, 25 rivolge alla dea Atena nelle sembianze di una fanciulla, per

comunicarle che a causa del suo arrivo nel paese dei Feaci da una terra lontana

non conosce il regnante della città. In merito a questa allusione omerica Skenteri

2005, 106, osserva che «this is the only Homeric reminiscence of comparable

length in the poem. Normally, the direct loans from Homer seem to have acquired

new meanings or different uses. This throws some doubt on the correctness of the

restoration».

v. 36. χαιροσχαιροσχαιροσχαιροσ[[[[ννννpppp. Il termine, restaurato da Svensson 1926, 29, compare

anche in Hesych. χ22 χαιροσνη·χαρ. Skenteri 2005, 106, avanza l’ipotesi che

si tratti di una parola coniata dal poeta di questo poemetto.

v. 37. πλπλπλπλOOOOνννν. L’unica parola leggibile di questo verso non permette di

congetturarne il contenuto.

v. 38. B[B[B[B[ρ]σ[ε.ρ]σ[ε.ρ]σ[ε.ρ]σ[ε. Questa è un’integrazione di Ameling 1983, II, 206, mentre

Svensson 1926, 529, con approvazione di Wilamowitz 1929, 490 e Powell 1933,

191, legge la congiunzione Uς. Poiché qui l’autore sta imitando lo stile omerico

nel costruire una similitudine, probabilmente si tratta dell’avverbio ¬ς che

introduce il secondo membro della similitudine in cui doveva essere narrato

l’incontro festoso delle due processioni.

Page 176: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

174

Il tema del corteo cittadino che accoglie un uomo illustre di ritorno in patria

è sfruttato da scrittori greci e latini in prosa. Plutarco riferisce che un simile corteo

accolse Alcibiade che ritornava ad Atene in Alc. 32, 3-4, Demostene in Dem. 27, 5

e Catone il giovane che arrivava ad Antiochia in Cat. Min. 13, 1-3.

Ameling 1983, II, 210, ricorda che questi cortei erano tipici dei regnanti

ellenistici e cita gli esempi di Liv. 31, 14, 12, Polyb. 16, 25, 5-8, IPergamon 246 e

Ptol. Megalop. FGrHist 160, F, i quali descrivono l’arrivo ad Atene di Attalo III.

I cortei di accoglienza vennero poi riservati agli imperatori romani; cfr. Dio.

Chrys. 63, 20, 4-5, in cui si racconta che Nerone fu accolto da un corteo festoso al

suo ritorno in patria dalla Grecia, come narra anche Svet. Nero 25, 2. Nell’età di

Adriano e Marco Aurelio i cortei per l’Adventus Augusti nelle province

dell’Impero divennero una vera e propria usanza, combinando insieme da una

parte la cerimonia di ricevimento di natura religiosa, dall’altra lo sfarzo del corteo

festoso che la Res publica riconosceva come onore ai suoi uomini più illustri; ved.

Alföldi 1970, 88-92.

L’analoga struttura di queste descrizioni negli esempi sopracitati documenta

la circolazione negli ambienti dotti di precetti retorici che regolavano la stesura

dei discorsi di benvenuto.

Nel III sec. d. C. questi precetti retorici vennero messi per iscritto da

Menandro Retore. Egli vi dedica una sezione del suo trattato di retorica come

guida alla preparazione di un discorso di saluto rivolto a importanti personalità

che fanno ritorno in patria dopo un periodo di assenza dalla città; cfr. Men. Rh.

Epideik. 378-388, 15.

1) Il discorso dovrebbe iniziare con un’espressione di gioia e 2) descrivere

l’entusiasmo della città nel ricevere il suo governatore, 3) il quale viene

rappresentato nel suo viaggio di ritorno in patria dopo aver fatto visita

all’imperatore. 4) Il suo arrivo deve essere accompagnato da buoni auguri. 5) Una

sezione molto importante è quella encomiastica in cui vengono elogiate la

famiglia e le beneficenze del governatore per la sua città. 6) Menandro avverte

che un simile discorso deve anche raccontare la partecipazione al corteo di

benvenuto di tutta la cittadinanza distinta nelle sue classi rappresentative. 7) Il

retore che pronuncia il discorso dovrebbe poi, aggiunge Men. Rh. Epideik. 381,

Page 177: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

175

13-5, immaginare quello che la città direbbe al suo governatore se potesse

assumere le sembianze di una donna come in una rappresentazione teatrale. La

corrispondenza tra i precetti messi per iscritto da Menandro Retore e i temi

presenti in questo poemetto per il ritorno di Erode Attico ad Atene non può essere

semplicemente casuale; al contrario dimostra che l’autore del testo aveva

familiarità con i precetti relativi alla composizione dei discorsi epidittici. Egli dà

prova della sua abilità e originalità poetica offrendone un esempio in versi,

attraverso i quali egli sottolinea l’onore speciale concesso ad Erode Attico al pari

degli imperatori del suo tempo.

Page 178: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

176

11 = 191 Ameling

IG II2 4781; Ephem. Arch. 1894, 171, nr. 13; SEG 1, 55.

Ad Eleusi.

175 d. C.

Ved. Graindor 1922; Ameling 1983, II, 211, nr. 191; Tobin 1997, 202,

µστηνρδ[η]ςSσκληπι'[νε]rσατο∆ηο*

νο3σονλεξO[σ]αντ0ντιχα[ρι]ζ/µενος.

Erode dedicò a Demetra l’iniziato Asclepio, mostrandogli riconoscenza per

aver allontanato la malattia.

Si tratta di un distico elegiaco che Graindor 1922, 94, attribuisce a Erode

Attico stesso. Il testo va datato intorno al 175 d. C. dopo il ritorno ad Atene di

Erode che durante il suo soggiorno a Orico aveva contratto una malattia, da cui

Asclepio lo aveva guarito. IG II2 3606 = 190 Ameling ricorda che Erode fece

ritorno nella città natale passando per Eleusi.

v.1.µv.1.µv.1.µv.1.µστηνστηνστηνστην. Per la posizione di µστην in apertura di esametro cfr. IG II2

4218, 1 e IGRR I 5, 1331, 5. Il sostantivo µστης indica colui che è iniziato ai

misteri (ved. LSJ, s. v.) ed è accompagnato dal genitivo del nome del dio al quale

sono dedicati i riti; cfr. Eur. fr. 472, 10 Kannicht ∆ι'ς|δαουµστης; Mel. A. P.

5, 191, 7-8 Κπρι,σοCΜελαγρος,µστης /σνκµων; 6, 162, 1-2 νθεµ

σοι Μελαγρος X'ν συµπαστορα λχνον, / Κπρι φλη, µστην σν θτο

παννυχδων e Antiphil. A. P. 9, 298, 3 µστηνδ0µφοτρωνµεΘεαCθσαν.

ε]ε]ε]ε]rrrrσατοσατοσατοσατο. LSJ, s. v. rζω, I, 2. «set up and dedicate temples, statues, etc. in

honour of gods»; cfr. Pind. P. 4, 204 =νθ0xγ΄ν'νΠοσειδωνος¨σσαντ0)νναλου

τµενοςe Theogn. fr. 12 West2 ρτεµιθηροφ/νη,θγατερ∆ι/ς,iνSγαµµνων

εrσαθʼ, dove il verbo rζω è usato in merito alla fondazione di un tempio

rispettivamente per Poseidone e per Artemide. Cfr. anche Call. Del. 308-9,

Page 179: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

177

Κπριδος ρχαης ριOκοον, `ν ποτε Θησες εrσατο; Iamb. 200b 1 τ$ν

Uγαµµνων, Uς µ3θος, εrσατο e A. P. 6, 347, 1 ρτεµι, τCν τ/δ0 mγαλµα

ΦιληρατCςεrσατοτoδε.

∆ηο∆ηο∆ηο∆ηο****. Si tratta della dea Demetra, cui Erode dedica una statua di Asclepio

nei panni di un iniziato della dea. Sul legame tra le due divinità ved. infra. Per la

posizione di ∆ηο* in clausola esametrica cfr. Call. Cer. 17 e Maced. A. P. 6, 40, 1.

v. 2. νονονονο3333σονσονσονσονλεξλεξλεξλεξO[O[O[O[σ]αντσ]αντσ]αντσ]αντ0000ντιχα[ρι]ζντιχα[ρι]ζντιχα[ρι]ζντιχα[ρι]ζ////µενοςµενοςµενοςµενος. Secondo Tobin 1997, 202, la

statua era stata collocata da Erode nel tempio del dio Asclepio a circa un

chilometro di distanza dal santuario della dea Demetra. Il tempio del dio, edificato

ad Atene nel 420 a. C. (cfr. SEG 25, 226), sorgeva sul pendio meridionale

dell’Acropoli, come riferisce Paus. 1, 21, 4, che in 2, 26, 8 ricorda che la città di

Atene aveva riservato ad Asclepio un giorno di festa denominata epidauria

durante la celebrazione dei misteri eleusini; cfr. anche Philostr. V. A. 4, 18 ãΗν

µ(νδ$hπιδαυρων-µρα.τ9δ(hπιδαριαµετ9πρ/ρρησντεκαC\ερε*αδε3ρο

µυε*ν Sθηναοις πτριον )πC θυσ] δευτρ], τουτC δ( )ν/µισαν Sσκληπιο3

¨νεκα,Rτιδ$)µησανα,τ'ν`κονταhπιδαυρ/θενdψ(µυστηρωνe CIA II 453b.

Luc. Pisc. 42 παρ9δ(τ'Πελασγικ'νmλλοικαCκατ9τ'Sσκληπιε*ον¨τεροικαC

παρ9τ'νρειονπγον=τιπλεους, fa brevemente riferimento al tempio ateniese

del dio come a un luogo di incontro ben noto. Il legame di Asclepio con Eleusi è

documentato ancora da IG II2 3220, fr. a 4 - βουλ$ δ4µος κανηφορOσασαν

Sσκληπι2. L’importanza di Asclepio in età imperiale è testimoniata anche dal

fatto che egli era l’unica divinità a essere coniata sulle monete in bronzo oltre ad

Atena. Inoltre verso la fine del II sec. d. C. Tert. Ad Nat. 2, 14 et tamen

Athenienses sciunt eiusmodi deis sacrificare; nam Aesculapio et matri inter

mortuos parentant, commenta che gli Ateniesi compivano ancora sacrifici per

Asclepio e sua madre.

Chi riceveva la guarigione da parte di Asclepio dava prova della sua

gratitudine verso il dio tramite offerte accompagnate da brevi informazioni

relative alla cura; ved. Thraemer 1884-6, 627 ed Edelstein-Edelstein 1945, II,

520-31. Questo distico però non fa cenno al processo di guarigione al quale Erode

era stato sottoposto. Quello più noto e praticato era l’incubazione, mediante la

quale il dio Asclepio offriva la guarigione miracolosa a chiunque, affetto da una

Page 180: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

178

malattia, avesse trascorso una notte in uno dei suoi templi; cfr. Ar. Vesp. 122;

Plut. 421. Il malato riceveva durante il sonno la rivelazione medica divina

attraverso un’indicazione diretta del medicamento da usare oppure mediante

un’allusione al medesimo; cfr. Artemid. 1, 2; 4, 22. L’interpretazione dei sogni

era un compito dei sacerdoti e aveva luogo nel momento più importante del culto.

Il collegamento di Erode con il tempio ateniese del dio Asclepio è ben

documentato da statue del sofista e di sua figlia Atenaide e da IG II2 3553 = 139

Ameling, IG II2 3599+4523 e IG II2 4073 = 137 Ameling. Aleshire 1989, 17,

avanza la tesi secondo cui Erode avrebbe rimosso da questo tempio alcune delle

offerte dedicate al dio in età classica ed ellenistica per porle nella sua villa a

Cinuria.

Page 181: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

179

12 = 192 Ameling

Philostr. V. S. 2, 266, 5-6; Preger 1891, 15; Gärtringen 1926, 125; Peek 1955,

391; Peek 1960, 247.

Atene.

177 d. C.

Ved. Kaibel 1880, 459; Wilamowitz 1928, 26; Ameling 1983, II, 211-2, nr.

192; Bowie 1989a, 235.

Philostr. V. S. 2, 565, narra che Erode morì a Maratona all’età di settantasei

anni per consunzione. La data della sua morte va collocata nel 177 d. C. Sebbene

egli avesse dato disposizione di essere seppellito nel demo di origine, gli Ateniesi

fecero trasportare il suo corpo in città da alcuni efebi, scortato da cittadini di ogni

età, e lo seppellirono nello stadio Panatenaico, la più grande costruzione da lui

donata alla città natale; su questa costruzione ved. Tobin 1993; Tobin 1997, 165-73

e Welch 1998, 133-45. Quest’onore lascia intendere, come sostiene Tobin 1997,

177, che gli Ateniesi avevano dimenticato il vecchio rancore nei confronti del loro

benefattore. Lo stesso Filostrato, alla fine della biografia dedicata a Erode,

sottolinea questa riconciliazione delle due parti paragonando l’atteggiamento di

dolore degli Ateniesi a quello di figli rimasti orfani del padre. Il discorso funebre

venne tenuto dal sofista Adriano di Tiro (Philostr. V. S. 2, 586) mentre gli Ateniesi

fecero incidere successivamente sulla tomba di Erode Attico il seguente

epigramma:

Sττικο3ρδηςΜαραθνιος,ο8τδεπντα

κε*ταιτ2δετφ7,πντοθενε,δ/κιµος.

In questo sepolcro giace tutto ciò che rimane di Erode, figlio di Attico, da

Maratona, ma la sua fama è diffusa dappertutto.

Page 182: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

180

v. 1. SSSSττικοττικοττικοττικο3333ρρρρδηςΜαραθδηςΜαραθδηςΜαραθδηςΜαραθνιοςνιοςνιοςνιος. L’epigramma rivela l’identità di Erode

Attico secondo la consuetudine che si riscontra nelle iscrizioni a lui dedicate; ved.

commento a IG II2 3606, 1 = 190, 1 Ameling.

vv. 1-2.οοοο8888ττττδε/πδε/πδε/πδε/πντα.ντα.ντα.ντα.Kaibel 1880, 459, riconosceva il modello di questo

nesso in Antim. fr. 131, 1 Matthews =στιδτιςΝµεσιςµεγληθε/ς,iτδεπντα

/πρ'ςµακρων=λαχεν, di cui l’epigramma muta il senso. Matthews 1996, 319,

ipotizza che τδε πντα, in riferimento alla Nemesi di Ramnunte, significhi

«everything here on earth».

Kaibel 1880, 459, con approvazione di Ameling 1983, II, 212, ritiene che il

componimento di Antimaco di Colofone per la Nemesi di Ramnunte fosse stato

scelto intenzionalmente come modello per questo epigramma e ricorda che alla dea

Nemesi, insieme ad Atena, è rivolta l’apostrofe con cui si apre IG XIV 1389 B, 60-

1 = 146 B 60-1 Ameling τ0 )πC =ργα βροτν ρ]ς !αµνοσιας ΟEπι; (ved.

supra). Wilamowitz 1928, 26, afferma che questo epigramma è così breve come le

iscrizioni funebri arcaiche e «will also dasselbe, was er mit den altattischen

Buchstaben seiner Rροι des Triopion wollte».

Il nesso ο8 τδε πντα compare in Attica anche in SEG 30, 306 [)νθδε

κε*ται]ηʖτOρ,ο8τδεπντα; ved. Ameling 1983, II, 212.

v. 2. ππππντντντντοθενεοθενεοθενεοθενε,,,,δδδδ////κιµος.κιµος.κιµος.κιµος.L’epigramma si conclude con un riferimento alla

fama del ricco ateniese presente dovunque. L’avverbio πντοθεν potrebbe essere

interpretato sia in senso metaforico in relazione alla notorietà di Erode, sia in senso

concreto in quanto egli era stato seppellito in un’area dove aveva fatto erigere

numerosi monumenti di grande importanza per la città di Atene.

Nel 1904 durante i lavori per la realizzazione di una strada in corrispondenza

della sommità dello stadio Panatenaico ad Atene venne riportato alla luce un

sarcofago del III sec. d. C. con un cippo che reca un iscrizione (IG II2 6791 = 193

Ameling) scavata su una base o un altare di marmo bianco:

Tʖ[ρδει]

¨ρωι

τιΜαραθωνωι

[δµοςνθεκεν]

Page 183: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

181

A Erode, l’eroe di Maratona, il popolo lo dedicò.

Tobin 1997, 181, definisce quest’iscrizione «a simplified version of the

epigramm quoted by Philostratos». Le lettere sono arcaizzanti e preeuclidee e la

vocale epsilon è usata al posto di eta. L’esame della pietra rivela che la prima e

l’ultima riga erano state erase. Skias, primo editore del testo, era ancora in grado di

leggere la lettera iniziale della prima riga; ved. Tobin 1997, 181. Per Graindor

1930, 135, si tratta di una rasura tarda, sebbene nessun altro nome fosse stato

scritto successivamente nello spazio eraso, invece per Tobin 1997, 181, di una

sorta di damnatio memoriae di Erode ad opera di nemici del ricco ateniese. La

studiosa chiama in causa, a sostegno di questa ipotesi, le iscrizioni di maledizione

che Erode Attico aveva fatto collocare sulle erme a protezione delle statue e dei

monumenti da lui fatti edificare per dimostrare che egli aveva reali motivi per

temere atti di vandalismo da parte di nemici nei confronti delle sue costruzioni;

ved. commento a IG XIV 1389 B, 76-7 = 146 B, 76-7 Ameling.

Page 184: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

182

Zusammenfassung

Die vorliegende Doktorarbeit ist ein philologischer Kommentar zu allen

poetischen Inschriften, die sich auf Herodes Atticus (101-177 n. Chr.) beziehen.

Er ist einer der höchsten Vertreter der Zweiten Sophistik, einer kulturellen

Bewegung (50-250 n. Chr.), in welcher Philosophen und Rethoren die höchsten

Ämter des römischen Reiches bekleideten und das kulturelle Feld dominierten.

Da sie die Prosa, welche durch eine geschickte und ungezwungene Verwendung

des Wortes charakterisiert ist, als Kommunikationsmittel nutzten, kann es schnell

der Fall sein, das die Rolle der Dichtung in der griechischen Gesellschaft der

Zweiten Sophistik unterschätzt wird. Das bedeutet aber nicht, dass die Sophisten

die Dichtung verachteten, denn einige dichterische Texte sind unter ihrem Namen

überliefert worden. Sie gehören unterschiedlichen Gattungen, wie der epischen,

tragischen, lyrischen oder epigrammatischen an. Letztere ist die Gattung, welche

die Sophisten am meistens bevorzugten. Es bleiben Spuren der sophistischen

Dichtung auf den Steinen, welche die unterschiedlichen Stufen der Kultur und der

Verskunst beweisen. Bowie 1990 erklärt dies mit der Tatsache, dass jeder

gebildete Mensch (pepaideumenos) Hexameter und elegische Modelle kannte und

man kein Poet sein musste, um ein paar metrische Zeilen zu schreiben. In dieser

Form konnte das Epigramm innerhalb freundschaftlicher Beziehungen gelesen

werden und hatte so eine Funktion im öffentlichen Leben.

Mein Kommentar möchte erklären, wie der Sophist Herodes Atticus die

klassische Kultur, und vor allem die mythische und literarische Tradition benutzte

und verarbeitete, um seiner eigenen Figur eine literarische Gestalt zu geben und

seine griechische Identität (Paideia) in der römischen Welt zu betonen. Die rein

philologische Betrachtungsweise der Texte ist das Neue an dieser Arbeit, weil die

bis jetzt über Herodes Atticus geführten Recherchen vor allem einen

geschichtlichen und archäologischen Charakter haben. Die Archäologen sind an

den Gebäuden interessiert, die Herodes Atticus bauen oder umstrukturieren ließ,

um deren charakteristischen Stil festzustellen. Die Historiker hingegen versuchen,

einige Zusammenhänge, wie z. B. die Beziehung zwischen dem Wohltäter

Page 185: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

183

Herodes und den Stadtbewohnern der Städte, die von ihm unterstützt wurden, zu

erklären.

Herodes betont immer wieder eine berühmte und göttliche Abstammung

seiner Familie, weil sie die Voraussetzung war, um auch in der römischen Welt

eine wichtige Rolle zu spielen. Seine Beharrlichkeit hängt von der Tatsache ab,

dass die Römer und in erster Linie die Kaiserfamilie stolz darauf waren, eine sehr

berühmte und göttliche Abstammung zu haben, nämlich von Anchises und der

Göttin Aphrodite. Deshalb musste Herodes sich auch in dieser Hinsicht nicht

unterordnen.

Herodes Atticus Vater hatte ihm schon die anderen Voraussetzungen für die

zukünftige politische Karriere in seiner Jugend geliefert, und zwar Geld und eine

ausführliche Ausbildung, zuerst in Rom, später auch in seiner Heimat durch die

besten Lehrer und Rhetoren der Zeit. In Rom hatte er die Möglichkeit, Latein zu

lernen, was damals für einen Griechen ungewöhnlich war. So kam es auch, dass

er die ganzen römischen Institutionen wie den Senat oder die Figur des Kaisers

als nicht fremd empfand.

Um seine Position in Rom zu verstärken, ging Herodes eine Ehe mit einem

römischen Mädchen aus einer reichen Familie ein. Sie hieß Regilla und kam aus

der Familie der Annii Reguli. Mit dieser Ehe konnte Herodes sein Vermögen

vergrößern und die Kontrolle über die Grundstücke seiner Frau an sich nehmen:

eines auf dem dritten Meilenstein der Via Appia und eines in Canusium in

Apulien. Als seine Frau Regilla ungefähr im Jahr 160 n. Chr. starb, wurde

Herodes von ihrem Bruder Brauda angeklagt. In diesem Prozess wurde er

freigesprochen. Da jedoch Zweifel an seiner Unschuld bestehen blieben, widmete

Herodes seiner Ehefrau Gebäude und Statuen wie auch viele Inschriften, von

denen einige Gedichte waren.

Herodes Atticus ist eine der wenigen Persönlichkeiten des Altertums, über

die so viele Informationen überliefert worden sind. Mehr als 150 Inschriften,

welche W. Ameling in seiner Herausgabe Herodes Atticus: II. Inschriftenkatalog,

Hildesheim 1983 gesammelt hat, beziehen sich auf ihn, darunter 14 poetische

Texte. Diese sind Gegenstand dieser Dissertation. Da es sich um auf Stein

gravierte poetische Texte handelt, wird das Wort „Epigramm“ in dieser

Page 186: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

184

Dissertation in seinem ursprünglichen Sinn „Text, der auf einem Stein

geschrieben ist“ verwendet, und nicht in der gewöhnlichen Bedeutung der

„kurzen Dichtungsgattung“, weil diese Texte wegen ihrer Charakteristika

verschiedenen Gattungen wie z. B. Hymnus, Enkomion zugeschrieben werden

können. Da die Texte auf Teile von Gebäuden graviert worden sind, ergibt es

sich, dass die Botschaft von jedem Text nur dann vollständig erfasst werden kann,

wenn der Text mit der entsprechenden architektonischen Gesamtheit in

Zusammenhang gebracht wird. Ein Beispiel dafür sind die drei Inschriften auf

dem Tor der ewigen Eintracht. Die Lesung von IG III 403 = IG II2 5189

µονοαςθαντ[ου]πληρδουχροςεςνεσρχε[ι], die einzige der

drei Inschriften, die im Jahr 1794 entdeckt wurde, hatte Graindor 1914, 75,

überzeugt, einerseits dieses Monument als Beweis der Versöhnung zwischen

Herodes und der Stadt Athen nach den gerichtlichen Ereignissen in Sirmium zu

interpretieren, andererseits erkannte er in der in der Inschrift des Tores genannten

Eintracht die Personifizierung dieser neuen bürgerlichen Stimmung. Die

Entdeckung der Inschrift IG II2 5189a µονοας θαντ[ου] πλη !ηγλλης

χροςεςνεσρχει im Jahr 1926 erlaubte, zu der richtigen Interpretation der

architektonischen Gesamtheit und der Inschriften zu kommen. Das Tor der

ewigen Eintracht ist das Symbol des glücklichen Ehebundes zwischen Herodes

und Regilla, welcher er ein Grundstück in Marathon schenkte. Die Eintracht der

Inschriften ist die Gottheit, die jede eheliche Verbindung schützt. Ihre Erwähnung

verleiht diesem Gebiet zwischen Vrana und Marathon eine fast heilige

Bedeutung. Herodes übernimmt die Idee einer Stadt, die durch die progressive

„Sakralisierung“ des Raumes charakterisiert wird, von dem Kaiser Hadrian,

dessen Imitatio eine feste Konstante in seinem Leben und seiner Wohltätigkeit in

Athen ist. Zu diesem Prozess gehört auch der Wunsch, die Erinnerung der Liebe

zu den Familieangehörigen zu verewigen. Aus diesem Grund lässt Herodes auf

dem Tor ein neues Epigramm (SEG 21, 123 = 99 Ameling) eingravieren, als die

Ehefrau Regilla stirbt (160-161 n. Chr.). Hiermit wird seine Trauer ausgedrückt,

und sein offizielles Bild als glücklicher Mann wird mit dem privaten des

betrübten Witwers verglichen. So scheint das Tor mit seinen drei Inschriften auf

Page 187: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

185

ein Gebiet einer Nekropole oder mindestens ein Gebiet mit vielen Denkmälern

hinzuweisen.

Was die Identität des Verfassers der Epigramme betrifft, fehlen

entscheidende Hinweise, die erlauben, diese Texte mit Sicherheit Herodes

zuzuschreiben. Einige Epigramme wurden im Auftrag von Herodes Atticus

verfasst. Ein Beispiel dafür sind zwei lange Gedichte von dem römischen

Grundstück des Herodes auf der Via Appia (IG XIV 1389 A, B = 146 Ameling A,

B). Hier wird die Identität des Verfassers durch den Genitiv seines Namens vor

dem Anfang des ersten Gedichtes garantiert. Auf jeden Fall wecken all diese

poetischen Inschriften Interesse, weil sie Träger von Herodes’ Botschaften sind,

der dabei auf jedes kleine Detail achtet, unabhängig davon, ob er der Verfasser

oder der Auftraggeber war.

Alle Gedichte entstehen aus einem konkreten Anlass heraus, wie die

Widmung einer Statue von Regilla, der Tod eines Familienangehörigen, ein

politisches Ereignis oder die Danksagung für die Genesung von einer Krankheit.

Fast alle Texte haben das Thema der Liebe und/oder der Trauer von

Herodes über den Tod der Ehefrau Regilla, sowie der leiblichen oder adoptierten

Kinder gemeinsam. Diese Ereignisse werden in den Bereich des Mythos

übertragen, der sich als das Instrument zeigt, durch welches Herodes seine Ziele

unterstützt oder unterstützen lässt. Dies wird durch einen ausgesuchten poetischen

Wortschatz realisiert, welcher von genauen metrischen Notwendigkeiten

bestimmt wird. Wiederkehrend sind die klassischen (vor allem homerischen)

Anspielungen, die Aufnahme von einem Wort oder einem Begriff, die von der

hellenistischen Dichtung, insbesondere von Kallimachos verwendet wurden und

die Bezüge auf mythische Situationen und Figuren. So wird die Trauer für

Regillas Tod (SEG 21, 123, = 99 Ameling) durch das Bild des halbfertigen

Hauses von Laodamia, Witwe von Protesilaos, dargestellt; das Leiden für den Tod

eines Kindes nach den ersten Monaten seines Lebens, für welches Herodes seine

Haare als Zeichen der Trauer schneidet, erinnert an die ähnliche Geste des

Achilleus hinsichtlich des Todes des geliebten Patroklos (SEG 26, 290 = 140

Ameling). Ein fragmentarisches Gedicht betont das Freundschaftsbündnis

zwischen Herodes und dem Kaiser Lucius Verus (Peek 1942, 330 = 186

Page 188: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

186

Ameling), ein anderes (IG II2 3606, 1-5 = 190 Ameling 1, 5) schildert die

Rückkehr des Herodes nach Athen und seine Versöhnung mit den Bewohnern der

Stadt, die ihn mit einem prächtigen Umzug nach dem damals für den Kaiser

reservierten Zeremoniell empfangen. Schließlich ist ein wiederkehrendes Thema

dieser Epigramme die Abstammung der Familie von Herodes aus Marathon, dem

athenischen Gebiet, welches 490 v. Chr. den Sieg gegen die persischen Feinde

unter der Führung von Miltiades, einem Vorfahren von Herodes sah.

Die Anspielung auf bekannte mythische Ereignisse bezeugt Herodes’ Wille,

einerseits seine eigenen biografischen Ereignisse mit jenen der mythischen

Vergangenheit zu assimilieren und sich andererseits an ein gelehrtes Publikum zu

wenden, welches in der Lage war, solch eine Assimilierung, die Herodes in die

poetische Tradition seiner Heimat einfügt, zu begreifen.

Diese Dissertation beginnt mit Herodes’ Biographie, die dazu dient, die

historischen Ereignisse in Bezug auf die Verfassung der Epigramme zu

rekonstruieren.

Daraufhin folgt der Kommentar zu den 14 poetischen Inschriften, die

entsprechend ihrer chronologischen Ordnung vorgestellt werden. Dies erlaubt,

jeden Text mit den historischen Ereignissen, welche seine Verfassung bestimmt

haben, zu verbinden und so die allgemeine Stimmung, von welcher die Texte

Träger sind, nachzuvollziehen und mögliche Verbindungen unter den

verschiedenen Texten zu bestimmen. In diesem Licht scheinen die Epigramme

eine poetische Biographie von Herodes Atticus darzustellen. Sie belegen die

wichtigsten Episoden, welche sein Leben charakterisiert haben, als ob Herodes

Atticus selbst so den Nachkommen eine offizielle Version seiner Existenz

hinterlassen wollte.

Eine Bibliografie der Studien, die bis jetzt den hier kommentierten

Inschriften gewidmet wurden, schließt die Dissertation ab.

Page 189: Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo

187

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205

Indice generale

Introduzione 1

Elenco delle abbreviazioni 6

Biografia di Erode Attico 8

Commento alle iscrizioni poetiche 25

1 = 139 Ameling 25

2 = 100 Ameling 28

3 = 101 Ameling 36

4 = 102 Ameling 39

5 = 146 Ameling 42

6 = 99 Ameling 108

7 = 140 Ameling 127

8 = 186 Ameling 138

9 = 136 Ameling 144

10 = 190 Ameling 149

11 = 191 Ameling 176

12 = 192 Ameling 179

Zusammenfassung 182

Bibliografia 187