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LE DIFFERENZE RELIGIOSE Struttura del capitolo L’argomento di questo capitolo è particolarmente delicato e richiede una certa maturità da parte del lettore: è per questo che gli autori del sito hanno pensato di rivolgersi – attraverso la mediazione degli educatori – a ragazzi di non meno di dieci- dodici anni. Le basic ideas sono tre: 1) al mondo esistono tante religioni; 2) secondo taluni l’essere umano è per natura un animale religioso; 3) vi sono diversi atteggiamenti possibili nei confronti delle religioni diverse dalla propria. Con il primo punto (che sottolinea la varietà delle religioni) si parte dall’esperienza religiosa concreta (le manifestazioni religiose), che è quella rispetto a cui i ragazzi possono rapportarsi più facilmente. Innanzi tutto si forniscono alcune nozioni di base su ciascuna delle principali religioni del mondo (invitando i lettori a inviarci schede per le numerosissime religioni mancanti), allo scopo di sgomberare il campo da alcuni dei pregiudizi più radicati e di rimandare coloro che fossero interessati ad approfondire lo studio delle singole tradizioni religiose ai siti specificamente dedicati a esse. Verrà inoltre esposta la posizione degli atei e degli agnostici. Attraverso il confronto delle cerimonie religiose si tenta poi di incoraggiare la comparazione tra le differenti tradizioni: ad esempio, nella sezione sulle cerimonie che segnano le tappe fondamentali della vita si mettono a confronto i modi in cui induisti, ebrei, cristiani, ecc., celebrano i matrimoni, i funerali e altre cerimonie. Nella seconda parte (che indica come ogni religione tenti di rispondere ai grandi interrogativi universali) si cercherà di mostrare come, di fronte ai medesimi problemi esistenziali, ciascuna religione elabori delle risposte specifiche. Naturalmente non è possibile studiare a fondo la posizione 1

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LE DIFFERENZE RELIGIOSE

Struttura del capitolo

L’argomento di questo capitolo è particolarmente delicato e richiede una certa maturità da parte del lettore: è per questo che gli autori del sito hanno pensato di rivolgersi – attraverso la mediazione degli educatori – a ragazzi di non meno di dieci-dodici anni.

Le basic ideas sono tre:1) al mondo esistono tante religioni; 2) secondo taluni l’essere umano è per natura un animale religioso; 3) vi sono diversi atteggiamenti possibili nei confronti delle religioni

diverse dalla propria.

Con il primo punto (che sottolinea la varietà delle religioni) si parte dall’esperienza religiosa concreta (le manifestazioni religiose), che è quella rispetto a cui i ragazzi possono rapportarsi più facilmente. Innanzi tutto si forniscono alcune nozioni di base su ciascuna delle principali religioni del mondo (invitando i lettori a inviarci schede per le numerosissime religioni mancanti), allo scopo di sgomberare il campo da alcuni dei pregiudizi più radicati e di rimandare coloro che fossero interessati ad approfondire lo studio delle singole tradizioni religiose ai siti specificamente dedicati a esse. Verrà inoltre esposta la posizione degli atei e degli agnostici. Attraverso il confronto delle cerimonie religiose si tenta poi di incoraggiare la comparazione tra le differenti tradizioni: ad esempio, nella sezione sulle cerimonie che segnano le tappe fondamentali della vita si mettono a confronto i modi in cui induisti, ebrei, cristiani, ecc., celebrano i matrimoni, i funerali e altre cerimonie.

Nella seconda parte (che indica come ogni religione tenti di rispondere ai grandi interrogativi universali) si cercherà di mostrare come, di fronte ai medesimi problemi esistenziali, ciascuna religione elabori delle risposte specifiche. Naturalmente non è possibile studiare a fondo la posizione assunta da ciascuna dottrina religiosa nei confronti dell’origine dell’universo, della morte, della sofferenza, del bene e del male: ci si limiterà pertanto a fornire qualche esempio e, ancora una volta, a invitare i lettori ad arricchire l’antologia con i loro contributi.

Mentre le prime due parti sono dedicate alla descrizione delle religioni, nella terza parte (sui diversi atteggiamenti che si possono assumere nei confronti delle religioni diverse dalla propria) si parlerà anche dei conflitti, delle persecuzioni, delle guerre e degli stermini perpetrati in nome di una fede religiosa. Dopodiché si chiederà ai ragazzi se osservano una discrepanza tra i princìpi delle religioni e quei comportamenti. L’obiettivo è di promuovere la discussione in modo da incoraggiare i ragazzi stessi a proporre alcune possibilità di convivenza tra fedi diverse.

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Come per il precedente capitolo di Accettare le Diversità, ciascuna delle tre parti è suddivisa in cinque sezioni interne: basic idea, approfondimenti, esempi, esercizi e letture (per una spiegazione delle varie sezioni, vedi INTRODUZIONE di Umberto Eco).

Introduzione al capitolodi Umberto Eco

Per iniziare ad affrontare il difficile argomento religioso, l’educatore chieda anzitutto ai ragazzi se la loro famiglia o le famiglie dei loro vicini assistono ai riti religiosi che si praticano nel loro paese. Poi si chieda se nel loro paese conoscono persone che praticano i riti di una religione diversa (o se hanno letto in qualche libro, o visto al cinema o in televisione, che ci sono persone che praticano una religione diversa - anche se si tratta di religioni antiche e scomparse, come potrebbero aver visto in un film sugli antichi romani o sugli egizi). Partendo da questa constatazione, che esistono religioni diverse, si può passare alla domanda “che cosa è una religione?”

Il sentimento religioso

È stato detto che l’uomo è un animale religioso. Noi non sappiamo che cosa pensino i cani, i gatti o gli uccelli, ma non ci risulta che gli animali abbiano una religione (anche se qualcuno ha detto che quando un cane abbaia alla luna sta riconoscendo l’esistenza di una Cosa che non appartiene al suo mondo). Invece tutti i popoli di cui sappiamo qualche cosa hanno mostrato di possedere un sentimento religioso.

Come vedremo dopo, ci sono religioni che riconoscono una Divinità sola (religioni monoteiste), altre che riconoscono molte entità divine come gli dei degli antichi, o gli spiriti dell’acqua o degli alberi (religioni politeiste), religioni che hanno delle chiese, dei templi, e altre che onorano i loro dei in mezzo alla natura, religioni che raffigurano i loro dei mediante statue o dipinti, altre che onorano una pietra, altre ancora che non sembrano avere nessun oggetto da venerare o adorare. Ma prima di decidere che cosa sia una religione bisogna stabilire che cosa è il sentimento religioso, che sembra comune a tutte le comunità umane, passate e presenti.

Perché?

I bambini molto presto iniziano a chiedere ai loro genitori molti “perché”, perché il sole fa luce, perché l’acqua bagna, eccetera eccetera. Il sentimento religioso nasce quando gli uomini si chiedono perché sono al

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mondo, ovvero perché esiste e come è nato l’Universo (che comprende sia la nostra Terra che il cielo, il Sole, la Luna e le Stelle).

Questi “perché” riguardano anzitutto il passato, il presente e il futuro. Per quanto riguarda il passato gli uomini si chiedono se l’Universo è stato fatto da Qualcuno. Per quanto riguarda il presente si chiedono come debbono vivere e comportarsi coi loro simili, e se chi ha fatto il mondo in qualche modo - magari mediante dei propri “aiutanti” (angeli, spiriti, o altre forze della natura) - li aiuta, li protegge, li giudica, li premia o li punisce. E siccome tutti gli uomini sentono che qualcosa è male (per esempio l’ammalarsi, il morire, il perdere le persone care o le cose a cui tengono di più) si chiedono come mai al mondo le cose non vanno come desiderano, e se quello che viene avvertito come male viene permesso da chi ha creato il modo, e per quale ragione. Infine si chiedono che cosa accadrà a loro e agli altri dopo la morte. Finirà tutto nel nulla o chi ha creato il mondo si prenderà cura di loro?

Tutte queste domande (di cui si parlerà nella seconda parte) sono manifestazioni del sentimento religioso e da esse nascono le varie religioni (di cui si parlerà nella prima parte).

Principio Trascendente e Principio Immanente

In genere le religioni riconoscono che c’è qualcosa di superiore a noi, qualcosa di Sacro, che noi non vediamo o tocchiamo, ma da cui dipendiamo. Esse si dividono tra quelle che riconoscono un Principio Trascendente e quelle che riconoscono un Principio Immanente.

Per Principio Trascendente s’intende una Divinità che non fa parte di questo Universo ed è fondamentalmente diversa da noi. Essa è di natura spirituale e vive in cielo o da qualche altra parte. Per alcune religioni questo Principio Trascendente non solo ha creato l’universo ma si è manifestato agli uomini attraverso una Rivelazione, che ci viene tramandata attraverso dei Libri Sacri.

Per Principio Immanente si intende una Causa (o diverse Cause) che fanno parte del nostro stesso Universo, che viene sovente considerato come la stessa Divinità, oppure si ritiene che molte forze che agiscono nell’Universo (l’aria , il fuoco, le varie potenze naturali come i venti, oppure il Sole e le Stelle) siano aspetti del Sacro.

A cosa crede chi non crede

In un certo senso hanno un sentimento religioso anche coloro che non riconoscono alcuna religione. Tra costoro ci sono gli agnostici e gli atei.

Gli AGNOSTICI sono coloro che ritengono che, alle domande di cui abbiamo parlato, non si possa dare una risposta. Pertanto non accettano le risposte date dalle varie religioni. Ma non è che sottovalutino molte di quelle domande. Pertanto cercano a modo proprio di trovare dei princìpi di vita a cui aspirarsi (vedi Sistemi etici a confronto).

Gli ATEI sono coloro che non credono che l’Universo sia stato creato da una entità trascendente, e spesso ritengono di poterlo provare

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scientificamente. In ogni caso ritengono che le Rivelazioni delle varie religioni non possano essere dimostrate come vere. Alcuni di essi accettano un Principio Immanente, ma ritengono che, se si pensa che la Divinità si identifica con l’Universo, e quindi noi ne siamo parte, questo significa che non c’è alcuna Divinità fuori di noi. Tuttavia anche gli atei, come gli agnostici, cercano di ispirarsi ad alcuni princìpi di vita (vedi Sistemi etici a confronto).

È vero che ci sono alcuni che non solo non credono ad alcuna divinità ma ritengono che, se Dio non esiste, allora si può fare tutto quello che si vuole, e per soddisfare ogni proprio desiderio possono uccidere, rubare, calpestare i diritti degli altri. Ma costoro sono meno frequenti di quanto si creda. È difficile che un essere umano non si ponga il problema di ciò che è bene e ciò che male, e non senta di essere legato ai propri simili da affetti, doveri, responsabilità comuni. Questo perché l’uomo è anzitutto un essere sociale, vale a dire che può vivere solo se gli altri lo riconoscono, lo amano, lo aiutano. Quando si pone domande intorno al suo rapporto con gli altri uomini, e si chiede perché è legato a loro, l’uomo manifesta in qualche modo un sentimento religioso, anche se non crede in nessuna religione.

1. BASIC IDEA: Al mondo esistono tante religioni

Al mondo esistono tante religioni: dall’Induismo, che raccoglie al proprio interno un insieme di movimenti religiosi diversi, derivano e si distinguono altre tradizioni religiose, come il Buddhismo, il Giainismo, il Sikhismo. Le tre religioni monoteistiche di origine semitica sono l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. Alcune religioni sono legate alla vita culturale di un determinato popolo, come il Confucianesimo e il Daoismo, lo Shintoismo, e le Religioni tradizionali africane, americane e oceaniche. Altre, come il Baha’ismo, cercano di integrare elementi che provengono da tradizioni diverse.

L’elenco delle religioni che si può consultare su queste pagine è, inevitabilmente, incompleto. Se volete aiutarci a renderlo più esaustivo, potete inviarci una breve

scheda informativa su una delle tante religioni mancanti. Mettetevi in contatto con la redazione del sito e vi manderemo le indicazioni stilistiche a cui attenervi nella

stesura della scheda.

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LE RELIGIONI E LE DATE

Diverse religioni contano gli anni in modo diverso. Per esempio gli EBREI li numerano dalla data della presunta creazione del mondo (l’anno 2001 sarebbe il 5761), i MUSULMANI dalla data dell’Egira (il 2001 sarebbe il 1379).La datazione comunemente usata negli affari internazionali è quella cristiana, che parte dall’anno in cui si presume sia nato Gesù Cristo: nel mondo cristiano si direbbe che viviamo nell’anno 2001 dopo Cristo (d.C.), o Anno Domini (A.D.), o dell’era volgare (e.v.). Nel mondo ebraico si dice E.C. (Era Comune).

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1.1. APPROFONDIMENTI

1.1.1. Che cos’è una religione?

Quando si confrontano diverse tradizioni religiose, bisogna stare attenti a non dare per scontata la propria idea di che cosa sia una religione. Infatti, con la parola “religione” si possono intendere almeno quattro cose diverse:

Religione come praticaUn insieme di tradizioni, di riti, di racconti, di abitudini e di cerimonie che vengono coltivati da un certo gruppo di persone e che vengono trasmessi di generazione in generazione.

Religione come visione complessiva della vitaUna serie di credenze, un sistema di regole di comportamento, una concezione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e, in generale, una certa “visione del mondo”.

Religione come teologiaUna dottrina che spiega il rapporto dell’essere umano con tutto ciò che sta al di là della realtà materiale, ovvero con la sfera ultraterrena.

Religione come atteggiamento spirituale intimoUn rapporto individuale che ciascuna persona sviluppa con ciò che è sacro. A volte le persone si identificano pienamente con una determinata religione, altre volte interpretano la tradizione a cui appartengono in maniera personale.

A seconda dell’accezione alla quale ci si riferisce, una certa tradizione spirituale potrà essere considerata come una religione oppure no. Ad esempio, alcuni studiosi di storia delle religioni si chiedono se il Buddhismo possa essere inteso come una religione nello stesso senso in cui lo sono l’Ebraismo, il Cristianesimo o l’Islam: se per religione si intende un rapporto tra l’essere umano e un Essere Superiore, allora il Buddhismo (che non parla di Dio) non lo è; ma se si estende il significato del termine per intendere un insieme di insegnamenti spirituali e morali accettati con fede da una comunità e praticati nella vita quotidiana, allora anche il Buddhismo rientra a pieno titolo nella definizione. 1.1.2. Come cambiano le religioni

Secondo molti studiosi di storia delle religioni, le religioni non sono dei sistemi fissi e perfettamente coerenti, ma piuttosto delle tradizioni in continua evoluzione.

Gli esseri umani che praticano una certa religione, e che la trasmettono alle generazioni successive, vivono all’interno della propria cultura e ne subiscono l’influenza. Se la cultura d’appartenenza si trasforma, anche la tradizione religiosa è soggetta alle pressioni del cambiamento. Ad esempio, il

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sistema delle caste che fondava la tradizione induista è stato abolito dalla Costituzione dell’India moderna, la quale vieta ogni discriminazione in base all’appartenenza castale. Un altro esempio di trasformazione all’interno di una tradizione religiosa è dato dal ruolo che il Buddhismo assegna alla donna: il Dalai Lama ha sostenuto che è necessario rivedere profondamente la posizione della donna (che, come in molte altre religioni, era originariamente marginale e subordinata all’uomo) all’interno del Buddhismo.

Non sempre le trasformazioni vengono accettate da tutti membri di una comunità religiosa: a volte esse provocano degli scismi, i quali risultano in una divisione all’interno della tradizione religiosa. È quanto è accaduto nel Cristianesimo molte volte, ad esempio quando la chiesa ortodossa e la chiesa di Roma si sono separate l’una dall’altra ufficialmente nel 1054 e.v. o quando (a partire dal XVI secolo) sono sorte chiese protestanti in opposizione alla chiesa cattolica Romana.

Anche l’incontro con le altre religioni, che si ha quando i membri di una certa tradizione entrano in contatto con persone che appartengono a tradizioni diverse, provoca dei cambiamenti: a volte si tratta di scambi e di integrazioni reciproche, come è accaduto nella Spagna del X-XII secolo tra ebrei, musulmani e cristiani. Altre volte l’incontro genera lo scontro, come avviene quando una religione cerca di convertire forzatamente i credenti dell’altra religione, oppure di impedire loro di osservare i precetti e i rituali che contraddistinguono la propria tradizione, o - in alcuni casi estremi - eliminando fisicamente coloro che appartengono alla religione diversa.

AlchimiaUn complesso di dottrine filosofiche, di pratiche magiche e di investigazioni dirette della natura, tese alla ricerca della pietra filosofale, e cioè del principio in grado di spiegare i segreti della vita e di trasformare in oro i metalli.

AntisemitismoIntolleranza nei confronti degli ebrei.

BodhisattvaPer il Buddhismo Mahayana, bodhisattva è colui che, pur essendo in grado di raggiungere l’illuminazione interiore, si ferma alle soglie della liberazione per aiutare gli altri a ottenere la salvezza.

CanoneL’insieme dei testi, riguardanti una religione, una filosofia, o un’etica sociale, che una determinata cultura tradizionalmente considera fondamentali.

CirconcisioneL’operazione chirurgica della rimozione del prepuzio (la piega di pelle che ricopre la parte terminale del pene) che, presso gli ebrei e i musulmani, viene praticata ai neonati o a coloro che vogliono convertirsi a una di queste religioni. La circoncisione, che non è particolarmente dolorosa (data la giovane età del bambino) e non è in alcun modo mutilante per l’uomo, veniva praticata a scopi

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igienici da altri popoli nell’antichità, prima degli ebrei, e oggi viene praticata anche a non ebrei o musulmani per motivi medici.

CosmogoniaRacconto religioso o teoria scientifica circa le origini dell’universo.

Cremazione, inumazione e mummificazione.Modi per disporre dei corpi delle persone morte: la cremazione è l’incinerazione del cadavere, le cui ceneri possono essere poi disperse o raccolte per essere conservate; l’inumazione è il seppellimento della salma sotto la terra; la mummificazione è un trattamento a cui si sottopone il cadavere per arrestarne (o per limitarne) la decomposizione.

DiasporaLa dispersione di un popolo nel mondo dopo il suo allontanamento dalla sede d’origine. In particolare, questa parola si riferisce alla dispersione del popolo ebraico a partire dall’esilio babilonese.

DivinazionePer alcune religioni e tradizioni popolari, soprattutto nell’antichità, la divinazione era l’arte di predire il futuro tramite l’interpretazione di alcuni eventi fisici che si riteneva fossero dei segni mandati dagli dei.

EcumenismoMovimento che tende a riunire i fedeli delle diverse confessioni cristiane.

EpifaniaFestività cristiana che si celebra il 6 gennaio in ricordo della visita dei magi, i sacerdoti che, secondo i Vangeli, vennero dall’Oriente per adorare Gesù bambino.

Egira(dall’arabo hijra)La migrazione di Maometto e dei suoi primi seguaci dalla Mecca a Medina (622 e.v.) che segna l’inizio dell’era musulmana.

EsorcismoRito religioso diretto a scacciare i demoni o gli spiriti maligni da una persona che si ritiene esserne posseduta.

EucaristiaIl principale rito della religione cristiana, istituito da Gesù durante l’ultima cena con i suoi discepoli, quando diede ai suoi discepoli del pane da mangiare e del vino da bere, in segno del suo corpo e del suo sangue. Nelle chiese cattolica e ortodossa si ritiene che, nell’eucaristia, il pane e il vino rendano realmente presenti il corpo e il sangue di Cristo. A questa teoria aderiscono anche una parte dei protestanti (ad esempio i luterani). Alcune altre chiese protestanti sottolineano invece che il pane e il vino sono delle rappresentazioni simboliche.

GihadSpesso (ed erroneamente) tradotto come “guerra santa”, significa “sforzo (verso Dio)”. La tradizione musulmana riconosce due tipi di gihad:

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1. il gihad maggiore consiste nello sforzo contro il male, che ogni musulmano è tenuto a compiere durante tutta la sua vita;

2. il gihad minore era inizialmente lo sforzo contro i politeisti. A seguito della espansione del mondo musulmano nei primi secoli dopo l’egira si fece strada la convinzione che l’Islam avrebbe conquistato il mondo intero: i politeisti si sarebbero convertiti, mentre cristiani ed ebrei sarebbero stati sottomessi e al contempo protetti. Alcuni movimenti estremisti dell’Islam hanno allargato questo concetto e lo hanno trasformato in uno sforzo contro chiunque non rispetti l’Islam.

GuruGuru in sanscrito significa “maestro, persona religiosa o santa”.

KaabaL’edificio cubico in pietra collocato al centro del cortile della Grande moschea della Mecca, che secondo la tradizione musulmana fu costruito da Abramo insieme al figlio Ismaele, e nel cui angolo esterno sud-orientale è incastonata la pietra nera (che, secondo la tradizione musulmana, è nera in quanto avrebbe assorbito tutti i peccati del mondo).

Monogamia/PoligamiaLa monogamia è il modello matrimoniale secondo cui un uomo può sposarsi con una sola donna, e si contrappone alla poligamia, che consente a una persona (generalmente all’uomo) di sposare più persone del sesso opposto.

PogromLa parola “pogrom” (che in russo significa “distruzione”) indica le sommosse sanguinose perpetrate contro le minoranze ebraiche in Russia, soprattutto tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo.

Politeismo e monoteismoIl politeismo è la credenza in una pluralità di esseri superiori sovrannaturali, chiamati dei. Il monoteismo è la credenza in un unico dio. Vai a Lettura: Ugo Volli, Politeismo e monoteismo

ProselitismoL’azione di chi cerca di convertire persone appartenenti ad altre fedi (o a nessuna fede) alla propria religione, impiegando la persuasione o, talvolta, la forza.

Religione La parola religione deriva dal latino religio: “raccolta (di formule e di atti rituali)”.Il termine cinese che corrisponde a grandi linee al concetto di religione è jiao, che significa “insegnamento, dottrina, educazione”. In giapponese le religioni sono chiamate kyo (“insegnamento”).

ReliquiaPer la tradizione cristiana, una reliquia è qualunque oggetto o resto del corpo che si presume sia appartenuto a una persona venerata come santa o come beata e che, come tale, diventa esso stesso oggetto di culto.

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Riti« La parola rito deriva dal sanscrito rita che, nei Veda, indica la partecipazione dell’uomo all’ordine e alla struttura naturale degli esseri e delle cose. Ciascuna scienza umana ha insistito su uno degli aspetti particolari dei riti, ma tutte riconoscono il loro carattere collettivo, ripetitivo ed efficace. Vi sono regole di comportamento che prescrivono agli uomini come comportarsi con le cose sacre […]. I riti religiosi hanno l’obiettivo di introdurre l’individuo o la collettività in una zona dove possano entrare in comunicazione con il divino »(da: Michel Meslin, “Les rites”, in Encyclopédie des réligions, vol II p. 1947, Bayard 1997)

ScismaSpaccatura che avviene all’interno di una comunità religiosa per effetto di contrasti interni.

ShoahLo sterminio degli ebrei a opera dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.

SincretismoMescolanza di dottrine o di pratiche religiose diverse, la cui fusione dà origine a un nuovo sistema religioso. Un esempio di sincretismo religioso è dato dalle nuove religioni africane, nelle quali molti elementi delle religioni tradizionali convivono in maniera più o meno armoniosa con elementi appartenenti alle religioni importate (in particolare, al Cristianesimo).

SinghSingh significa leone (della fede), ed è il cognome comune di tutti coloro che appartengono alla comunità sikh (il termine femminile è Kaur = leonessa).

SufismoMovimento mistico musulmano. Il termine “sufismo” deriva dall’arabo suf “lana”, poiché i primi mistici musulmani solevano indossare un saio di lana grezza.

YogaSistema filosofico e un metodo di autodisciplina, tradizionalmente coltivato dagli induisti, dai buddhisti e dai giainisti, che – attraverso l’esercizio di determinate tecniche fisiche (in particolare, tecniche respiratorie) – permette di raggiungere uno stato di estrema concentrazione e di condurre lo spirito all’unione con l’Assoluto.

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1.1.3. Le religioni del mondo

Baha’ismo Buddhismo Confucianesimo Cristianesimo

Daoismo Ebraismo Giainismo Induismo

Islam Religioni Shintoismo Sikhismo

tradizionali africane

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valentina Pisanty, 03/01/-0001,
valentina Pisanty, 03/01/-0001,
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L’elenco delle religioni che si può consultare su queste pagine è, inevitabilmente, incompleto. Se volete aiutarci a renderlo più esaustivo, potete inviarci una breve

scheda informativa su una delle tante religioni mancanti. Mettetevi in contatto con la redazione del sito e vi manderemo le indicazioni stilistiche a cui attenervi nella

stesura della scheda.

1.1.3.1. Bahá’ísmo La stella a nove punte è spesso impiegata come simbolo del Bahá'ísmo.Il numero nove, che è il numero più elevato a una sola cifra, sta per la pienezza della fede Bahá'í.

* Diffusione e localizzazione geografica

Il Bahá’ísmo è una religione monoteistica indipendente che conta circa 5 milioni di credenti, provenienti da più di duecento paesi diversi. Le comunità Bahá’í più numerose si trovano in India e in Iran.* Cenni storici

Il Bahá’ísmo ha origine in Iran ed è una derivazione del Babismo. Nel 1844 e.v. Ali Muhammad, il Báb (che in arabo significa “la porta”), fondò il Babismo, un movimento di riforma religiosa che annunciava l’arrivo imminente di un altro Maestro il quale avrebbe condotto l’umanità verso un’era di pace universale. Nel 1848, il Báb proclamò la rottura completa con l’Islam: accusato dal governo persiano di manovre rivoluzionarie, nel 1850 Báb fu fucilato, mentre i suoi seguaci furono duramente perseguitati, e 20 000 di essi vennero massacrati.

Nel 1863 Mirza Husain Ali Nuri spiegò ai suoi adepti di essere il Bahá’u’lláh (“splendore di Dio”) annunciato dal Báb, e così fondò la religione bahá’ísta. Per molti anni, il Bahá’u’lláh visse in esilio o in prigione: dal 1868 fino alla sua morte (1892) venne rinchiuso nel campo di internamento turco di Akka, presso Haifa, dove oggi si trova il Bahá’í World Centre, l’odierno centro spirituale e amministrativo del Bahá’ísmo. I sepolcri del Báb e del Bahá’u’lláh, presso Haifa, sono i luoghi più sacri del Bahá’ísmo.* Testi sacri

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Il libro sacro del Bahá’ísmo è il Kitab al-akdas (“Libro della certezza”), redatto dal Bahá’u’lláh nel 1873. Inoltre, le Parole nascoste (le “7 valli” e le “4 valli”) descrivono in versi il percorso che porta all’unione con Dio. La liturgia bahá’ísta comprende anche la lettura dei testi sacri delle altre religioni (il Pentateuco, il Nuovo Testamento, il Corano, il Bayan dei babisti), intesi come la dimostrazione dei livelli di crescente perfezione della rivelazione divina.* Princìpi fondamentali

Il Bahá’ísmo insegna che i fondatori delle principali religioni del mondo, inclusi Abramo, Mosè, Krishna, Buddha, Zoroastro, Gesù Cristo e Maometto, sono Maestri divini inviati da un unico Dio per educare l’umanità tramite insegnamenti e princìpi adeguati rispetto allo stadio di sviluppo raggiunto in ogni particolare momento storico. Ai grandi Maestri delle altre religioni, il Bahá’ísmo aggiunge i due Maestri contemporanei, il Báb e il Bahá’u’lláh. Secondo i bahá’isti, la rivelazione religiosa non è conclusa, ma proseguirà in futuro per offrire una guida all’eterno progresso della civilizzazione.

Il tema principale della rivelazione di Bahá’u’lláh è l’unità: per lui “la terra è un unico paese, e gli esseri umani sono i suoi cittadini”. Gli scritti di Bahá’u’lláh contengono alcuni princìpi mirati al conseguimento della civilizzazione mondiale. Tra questi:

la necessità di abbandonare ogni forma di pregiudizio l’uguaglianza tra uomini e donne il riconoscimento della fonte comune e della essenziale unicità di

tutte le religioni del mondo l’eliminazione degli estremi di povertà e di ricchezza l’obbligatorietà dell’educazione universale la responsabilità che ogni individuo ha di cercare la verità in

modo indipendente il progetto di un sistema federale mondiale basato sui princìpi

della sicurezza collettiva l’idea che la religione debba accordarsi con la scienza e con la

ragione.

*Rapporti con le altre religioni

L’idea dell’origine comune di tutte le fedi fa del Bahá’ísmo una religione particolarmente aperta e tollerante. Tuttavia, fin dalle loro origini, i bahá’isti hanno subito dure persecuzioni, in particolare in Iran.* Link ad altri siti

www.religioustolerance.org/bahai.htmSito ufficiale: www.bahai.org

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1.1.3.2. Buddhismo

La ruota del dharma simbolizza la “messa in movimento”, cioè la proclamazione, l’attivarsi e la diffusione della dottrina buddhista; gli otto raggi stanno per il nobile ottuplice sentiero.

* Diffusione e localizzazione geografica

Si ritiene che i buddhisti siano circa 350 milioni (il 6% della popolazione mondiale), e ciò fa del Buddhismo la quarta religione più diffusa nel mondo.

Le varie scuole buddhiste si raggruppano in due tradizioni principali, le quali divergono nel modo di intendere la dottrina del Buddha:

- il Theravada, o Insegnamento degli Anziani, corrisponde alla dottrina antica ed è praticato soprattutto in Sri Lanka, in Birmania, in Laos, in Bangladesh e in Cambogia;

- il Mahayana, o Grande Veicolo, si è sviluppato in Tibet, in Cina, in Corea, in Vietnam, in Mongolia e in Giappone. Uno degli sviluppi più originali del Mahayana è il Vajrayana, o Veicolo del Diamante, che caratterizza la tradizione tibetana (uno dei vertici della quale è il Dalai Lama).

* Cenni storici

Il fondatore del Buddhismo, Siddharta Gautama, visse nell’India del nord tra il VI e il V secolo a.e.v.. Secondo l’insegnamento tradizionale, dopo avere condotto un’esistenza molto agiata al riparo dalle sofferenze, Siddharta abbandonò il lusso della casa paterna e trascorse sei anni nell’ascetismo assoluto, secondo i precetti delle più rigorose scuole induiste della “rinuncia” al mondo (vita di elemosine, digiuno, yoga, meditazione in luoghi solitari). Deluso da questa esperienza, mitigato il regime ascetico e praticando intensamente la meditazione, Siddharta raggiunse infine lo stato di suprema coscienza che fece di lui il Buddha (o “Risvegliato”). Dalla sua predicazione, e dal proselitismo dei suoi primi seguaci, si formò una comunità estranea al sistema castale, a cui tutti potevano aderire per scelta personale, che si separò gradualmente dall’Induismo.

* Testi sacri

I testi sacri del Buddhismo sono raccolti in due “Canoni” chiamati Pali e Sanscrito, in base alle lingue in cui sono stati scritti. Il Canone Pali, proprio della tradizione Theravada, è composto da tre parti (o “canestri”): il Vinaya Pitaka (canestro della disciplina), che contiene le regole della vita monastica;

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il Sutta Pitaka (canestro della dottrina), che contiene i sermoni del Buddha; l’Abhidamma Pitaka (canestro della filosofia), che contiene i commenti dotti alla dottrina esposta nel Sutta Pitaka. Le denominazioni e le suddivisioni interne del Canone Sanscrito (adottato dalla tradizione Mahayana) variano molto da paese a paese, ma conservano la stessa tripartizione.

* Princìpi fondamentali

Partendo da alcuni concetti INDUISTI (ma anche intervenendo su di essi in maniera radicale), come quelli del ciclo delle rinascite (samsara), dell’anima eterna di ogni essere vivente (atman), e dell’atto con le sue conseguenze sulle vite successive (karma), il Buddhismo pone al centro del suo insegnamento la via per raggiungere la cessazione della sofferenza e la fine delle trasmigrazioni di esistenza in esistenza.

Il nucleo centrale della dottrina buddhista si articola nelle tradizionali Quattro Nobili Verità:

- la prima Verità è l’universalità della sofferenza (o dukkha): la vita è dolore, rimpianto (per ciò che abbiamo avuto e non abbiamo più), insoddisfazione (per ciò che desideriamo e non abbiamo) e inquietudine (per l’inconsistenza di ciò che abbiamo): soffriamo perché ci rendiamo conto che tutto è effimero.

- la seconda Verità è che la sofferenza ha origine dentro di noi, nel nostro tentativo - destinato all’insuccesso - di cercare la felicità in ciò che è transitorio, spinti dalla bramosia/avidità/desiderio allettante (o tanha – “sete”) di far nostre delle cose, o delle situazioni, che consideriamo attraenti;

- la terza Verità è che potremo porre fine alla sofferenza solo se impareremo a liberarci dalla scala di valori ingannevole per abbandonare ciò che nella vita è soltanto provvisorio (i desideri, le passioni, l’idea errata che esista un “sé” permanente), estinguendo la “sete”;

- l’ultima nobile Verità riguarda la strada da intraprendere per avvicinarsi al nirvana (all’estinzione del ciclo delle rinascite), che il Buddha indica come “Nobile ottuplice sentiero”: retto pensiero, retta intenzione, retta parola, retta azione, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta attenzione e retta concentrazione (dove “retto” significa conforme agli insegnamenti buddhisti e ai precetti esplicitati dalle varie scuole).

*Rapporti con le altre religioni

Il Buddhismo può coesistere in modo molto flessibile con altre religioni e si adatta ai diversi contesti culturali in cui è di volta in volta inserito, spesso integrandosi profondamente con la cultura preesistente. Secondo i buddhisti, infatti, tutte le pratiche spirituali hanno come obiettivo il progresso dell’umanità verso il bene. Le strade che portano alla salvezza sono molteplici e non si escludono a vicenda.

* Link ad altri siti

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www.religioustolerance.org/buddhism.htmwww.buddhanet.net

1.1.3.3. Confucianesimo

Confucio (551-479 a.e.v.)

* Diffusione e localizzazione geografica

Il Confucianesimo (termine usato la prima volta dai gesuiti nel XVII secolo) è uno dei tre credi della Cina (gli altri due sono il Daoismo e il Buddhismo). Fuori dalla Cina, la principale comunità confuciana si trova nella Corea del Sud.

* Cenni storici

Confucio (termine usato in Occidente per Kongfu zi, 551-479 a.e.v.), discendente di una nobile famiglia decaduta, nacque nello stato di Lu, in quella che è l’attuale provincia dello Shandong. Attento studioso delle antiche tradizioni, Confucio visse in un periodo di aspre lotte (vari stati si combattevano, cercando con ogni mezzo di prevalere l’uno sull’altro). Rendendosi conto che gli antichi valori stavano ormai decadendo, Confucio decise di insegnare ai giovani la saggezza degli avi. Come egli stesso dichiarava, il suo era il compito di un maestro che trasmetteva, non creava.

Confucio raccolse e riordinò quindi i testi antichi, ma non scrisse niente di quanto insegnava. I suoi insegnamenti ci sono giunti solo attraverso i discepoli che trasmisero ai posteri le sue parole, e da quanti in seguito ampliarono ed integrarono (in varie maniere) gli insegnamenti del maestro. Tra questi, Mencio (Mengzi, 372-289 a.e.v.) sosteneva che l’animo umano era fondamentalmente buono, e Xunzi (312-238 a.e.v.) sosteneva che era fondamentalmente cattivo ma si poteva correggere con lo studio. Zhu Xi (1130 - 1200) introdusse concetti filosofici nella originaria dottrina confuciana, dando luogo al così detto Neoconfucianesimo, che dagli ultimi decenni del XVI secolo finì col soppiantare il Confucianesimo stesso.

* Il canone

Il numero dei libri che rientrano nel canone confuciano non è fisso (in alcune epoche furono considerati classici alcuni testi, in altre epoche altri). Una delle suddivisioni più note è quella che fa riferimento ai “Cinque classici” (Wu Jing) ed ai “Quattro libri” (Si Shu).

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I “Cinque Classici” comprendono: le Primavere e Autunni (Chunqiu: la storia del principato di Lu), redatte

dallo stesso Confucio in forma cronachistica; lo Shijing (“Classico della Poesia”) e lo Shujing (“Classico dei

Documenti”), due le antologie raccolte da Confucio; il “Classico dei Mutamenti” (Yijing, libro di divinazione) imperniato sul

princìpio dello yinyang, simbolizzato nei 64 esagrammi; e le “Memorie sui riti” (Li Ji) che raccolgono norme di comportamento.

I “Quattro libri” sono: i “Discorsi” (Lunyu), composti dopo la morte di Confucio dai suoi

discepoli; il Mengzi, che espone in forma dialogica le idee di Mencio; il “Grande studio” (Daxue) e il “Giusto mezzo” (Zhongyong), che in

origine costituivano due capitoli del “Libro dei riti”, e che furono posti da Zhu Xi tra i “Quattro libri” (da lui fatti adottare per l’insegnamento delle sue teorie).

* Princìpi fondamentali

Gli insegnamenti confuciani vertono più che altro sulle norme morali di comportamento che ogni individuo deve seguire, non perché gli siano imposte, ma perché, dopo averle apprese tramite uno studio rigoroso, egli sa esattamente come deve agire nella società. Colui che segue queste norme è consapevole che la famiglia e lo stato si basano su rapporti gerarchici, che implicano il riconoscimento dell’autorità e di determinati doveri reciproci: i doveri che legano principe e ministro, padre e figlio, marito e moglie, fratello maggiore e fratello minore, amico maggiore e amico minore.

L’uomo deve praticare nei confronti dei suoi simili la rettitudine (yi), l’umanità (ren) e la pietà filiale (xiao), e adempiere ai riti (li) che scandiscono rigidamente i rapporti tra gli uomini e i rapporti tra l’uomo ed il cielo.

Non esiste la concezione del bene e del male fini a se stessi, ma è riprovevole un cattivo comportamento. Non esiste il concetto del peccato, o la concezione di un essere trascendente o di mondo ultraterreno. Esiste la società, nella quale si vive: il confuciano impara attraverso lo studio a comprendere razionalmente la realtà che lo circonda e, di conseguenza, a comportarsi nella maniera appropriata in ogni occasione, non contrastando con il suo agire l’armonia che deve esistere in ogni ambito, umano e naturale.

Confucio diceva di non essere contrario che al Cielo (Tian), inteso come essere immateriale, venisse indirizzato il culto. I riti religiosi facevano parte della vita sociale e in quanto tali andavano compiuti: il Cielo è in qualche modo il garante dell’armonia universale che, con i suoi segni di approvazione e disapprovazione, fa capire all’uomo e al sovrano qual è il giusto comportamento. Pur avendo posto particolare attenzione solo alla morale e al

comportamento sociale, sin dalla metà del I secolo e.v. il Confucianesimo si 16

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arricchì di risvolti religiosi. Per un breve periodo lo stesso Confucio fu considerato una divinità, e nei templi in cui era eretta la sua statua, fu onorato con sacrifici, ma le cerimonie a lui tributate ben presto acquistarono carattere più laico che religioso.

Anche sotto l’aspetto religioso il Confucianesimo si oppose a ogni forma di culto popolare in cui si credesse agli spiriti, agli esorcismi, a forme di divinazione, presentandosi come un vero e proprio culto civile di tipo comunitario, caratterizzato da riti e da preghiere, da feste e da fiere che si svolgevano periodicamente.

Oggetto di un culto particolare erano gli antenati, i cui nomi venivano incisi su tavolette di legno, conservate in casa. Proprio il culto tributato agli antenati fu causa di accese polemiche in Occidente nel corso del XVII secolo: nel 1705 fu condannato dal Papato che lo giudicò idolatrico, e solo nel 1939 fu infine considerato lecito, in quanto ritenuto non di tipo religioso.

In epoca contemporanea, negli anni 70 del secolo XX, vi è stata una dura critica e un duro attacco da parte dei dirigenti della Repubblica Popolare contro Confucio, ma ancor oggi il Neoconfucianesimo continua a sopravvivere in vari strati del popolo cinese.

*Rapporti con le altre religioni

Il Confucianesimo, che non si può considerare una vera e propria religione, ha sempre convissuto in modo relativamente pacifico con Daoismo e Buddhismo, che sono da ritenere religioni vere e proprie: un detto cinese, che dice sanjiao yijiao (“tre religioni, una religione”), esemplifica bene l’atteggiamento sincretistico del popolo cinese riguardo alla religione.

* Link ad altri siti

www.religioustolerance.org/confuciu.htmhttp://www.geocities.com/tokyo/springs/6339/Confucianism.htmlhttp://chineseculture.about.com/culture/chineseculture/cs/confucius/index.htm

1.1.3.4. Cristianesimo

La croce ricorda al credente che Gesù Cristo ha dato volontariamente la propria vita in segno di amore per tutti gli uomini. La croce invita il cristiano a imitare il Cristo nell’amore per tutti gli uomini nella certezza che il bene vince sul male come dimostra il fatto che Cristo dopo essere stato ucciso sulla croce è risorto.

* Diffusione e localizzazione geografica

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Quella cristiana è la prima comunità religiosa nel mondo in termini sia di numero di seguaci (circa un miliardo e mezzo, ovvero il 32% della popolazione mondiale), sia di diffusione geografica (il cristianesimo è diffuso in 225 paesi in tutte le parti del mondo).

* Cenni storici

Il Cristianesimo nasce duemila anni fa nella terra di Israele in seguito alla predicazione di un ebreo, Gesù di Nazareth. Gesù era un predicatore itinerante che raccolse attorno a sé un movimento composto dai più diversi strati della popolazione ebraica con un nucleo di discepoli più ristretto. Gesù auspicava l’avvento del regno di Dio e cioè di un mondo in cui si doveva realizzare la volontà di Dio, l’amore tra tutti gli uomini e il rispetto della giustizia. In attesa di instaurare il suo regno, Dio concedeva il perdono a tutti i peccatori che si convertivano  e che a loro volta perdonavano a coloro che avevano fatto loro del male. Nel giudizio universale finale Dio avrebbe punito tutti i malvagi, ma soprattutto quelli che avevano oppresso i poveri, commesso ingiustizie e perseguitato i giusti.  Gesù ottenne successo tra la popolazione ebraica del Terra di Isarele, ma fu fortemente osteggiato da alcuni gruppi di potenti autorità religiose che lo denunciarono ingiustamente presso i Romani che in quel tempo dominavano nella Terra di Israele. I Romani arrestarono Gesù e lo misero a morte secondo il supplizio tipicamente romano della crocifissione.

Immediatamente dopo la morte di Gesù il gruppo dei più fedeli discepoli di Gesù ebbe una serie di sconvolgenti apparizioni e credette alla risurrezione di Gesù dando vita ad una attivissima predicazione che in pochi decenni si irradiò in molte parti del mondo antico. Nonostante momenti di persecuzione da parte della autorità politiche, il Cristianesimo si diffuse nei secoli successivi fino ad ottenere un appoggio da parte dell’impero romano sotto l’imperatore Costantino. Dalla metà del IV secolo alla metà del VI secolo si attuò la progressiva cristianizzazione dell’impero romano.

Nel VII secolo una nuova religione, l’Islam, nata nella penisola arabica, si diffuse rapidamente in territori che per secoli erano stati cristiani, come ad esempio tutta l’Africa del Nord. Ma il Cristianesimo continuò la sua diffusione soprattutto in Europa, ma anche in altre parti dell’Africa e dell’Asia.        Attualmente non esiste una sola forma di Cristianesimo. Pur essendo una religione unitaria, perché unita dalla fede in Gesù Cristo, il Cristianesimo si presenta, infatti, suddiviso in quattro grandi gruppi di chiese principali: le chiese ortodosse (tra le quali si distinguono quelle storicamente riconducibili al patriarcato di Costantinopoli e quelle riconducibili al Patriarcato di Mosca); la chiesa cattolica (che nella sua origine dipende dalla chiesa di Roma e rappresenta il Cristianesimo latino), le chiese orientali (come, ad esempio, la chiesa apostolica armena che risale al III secolo e quella copta) e le chiese protestanti nate da una scissione all’interno della chiesa latina all’inizio del XVI secolo.         A partire dall’inizio del XVI secolo, grazie all’espansione delle potenze europee in seguito allo sviluppo della moderna civiltà tecnico-scientifica e

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industriale, le diverse forme di Cristianesimo si diffusero in tutte parti del mondo. Nei primi decenni del secolo XX si è diffuso, grazie al movimento ecumenico, nelle diverse chiese cristiane separate, l’aspirazione alla riunificazione, che tuttavia incontra difficoltà gravissime, poste le grandi differenze non solo dottrinali ed istituzionali, ma anche culturali, tra le diverse chiese.

* Testi sacri

Il testo sacro del Cristianesimo è la Bibbia cristiana composta di due parti: l’Antico e il Nuovo Testamento.

L’Antico Testamento è essenzialmente costituito dalle sacre Scritture dell’Ebraismo, che tuttavia il Cristianesimo interpreta in modo molto divergente rispetto all’interpretazione ebraica. Alcune chiese, come quella cattolica e quelle ortodosse, ma non quelle protestanti, inseriscono nell’Antico Testamento anche un certo numero di scritti religiosi ebraici che tuttavia gli Ebrei non considerano rivelati da Dio.

Il Nuovo Testamento è, invece, composto da 27 opere tutte composte dai cristiani prevalentemente nel I secolo e.v.. Fra esse sono fondamentali i quattro Vangeli: quello di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni. 

* Princìpi fondamentali

Il Cristianesimo è una religione monoteista, come l’Ebraismo da cui è sorto. I  cristiani infatti credono che esista un solo Dio. Egli è il creatore dell’universo (che perciò è considerato una cosa buona) e tutto gli è sottomesso. Dio non solo domina il creato, ma anche interviene nella storia e la guida orientandola verso un fine futuro positivo. Dio fa conoscere la sua volontà mediante rivelazioni trasmesse dai profeti i quali provvedono anche a scriverla in libri che costituiscono appunto la Bibbia. Secondo il Cristianesimo, Dio, pur essendo uno solo, possiede tuttavia una dinamica interna che si manifesta in tre persone divine che non sono altro che l’unico Dio. È la dottrina della Trinità che ritiene che l’unico Dio si manifesti nella persona del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.

Di questa dottrina fa parte anche la credenza forse più caratteristica del Cristianesimo, quella della doppia natura, umana e divina, di Cristo: Gesù, pur essendo un uomo vero, nato dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, era anche veramente Dio. Per secoli i cristiani hanno discusso questa dottrina e molte delle loro divergenze dottrinali possono essere ricondotte alle difficoltà nel mettere d’accordo l’umanità di Gesù Cristo con la sua divinità.        La rivelazione di Dio ha un contenuto essenzialmente morale che si riassume nei Dieci Comandamenti contenuti nell’Antico Testamento. L’adorazione di un solo Dio e l’amore del prossimo sono spesso presentati come la sintesi cristiana di questi precetti. Il Cristianesimo, tuttavia, non incita solo gli uomini ad obbedire alla volontà di Dio spingendoli ad amare il prossimo con tutte le proprie forze.  Insiste anche sul principio secondo il

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quale bisogna invocare da Dio la forza di compiere il bene. Solo la grazia di Dio rende l’uomo capace di compiere veramente il bene. Ma, qual è il ruolo della volontà dell’uomo e quale il ruolo della grazia di Dio? Su questo punto si sono accese spesso divergenze profonde e anche aspre divisioni, come ad esempio nel XVI secolo tra cattolici e protestanti.  In genere tutte le forme di Cristianesimo affermano la libertà dell’uomo e la capacità della sua volontà di compiere il bene, ma non sono mancate concezioni pessimistiche sulla effettiva possibilità degli uomini di dominare le inclinazioni malvagie della natura umana.          Il principio dell’unicità di Dio, della bontà della creazione e dell’amore verso tutti gli uomini porta il Cristianesimo all’idea dell’uguaglianza tra tutti gli uomini e tra i sessi, anche se le diverse forme di Cristianesimo nelle diverse epoche hanno spesso accettato (come del resto le altre religioni monoteiste) le disuguaglianze sociali, la stratificazione sociale e la subordinazione della donna.        Lo scopo della vita dell’uomo, secondo il Cristianesimo, è di partecipare alla vita stessa di Dio. L’uomo non termina il suo destino con la sua morte naturale; egli è destinato ad unirsi con Dio dopo la morte in una condizione di felicità eterna. La possibilità di partecipare alla futura vita divina è subordinata ad un giudizio di Dio che riassume tutta l’intera vita di ogni uomo. Il Cristianesimo ha sempre sostenuto che accanto al premio della felicità eterna sussiste anche la possibilità di una condanna eterna da parte di Dio.

*Rapporti con le altre religioni

La religione con la quale il Cristianesimo ha il più stretto legame è l’Ebraismo perché Gesù era ebreo ed ebrei furono i suoi primi seguaci. Dall’Ebraismo il Cristianesimo trae una parte delle proprie Scritture (l’Antico Testamento), l’idea del Dio unico creatore rivelatore e guida della storia e le basi della sua visione morale.  La divergenza sostanziale con l’Ebraismo sta nella credenza in Gesù Cristo Dio e uomo e nell’interpretazione di tutta la rivelazione biblica che da questa credenza in Cristo deriva.        Il fatto che la maggioranza degli ebrei del I secolo non abbiano aderito alla predicazione dell’ebreo Gesù e che nei secoli successivi l’Ebraismo abbia continuato ad esistere e a svilupparsi ha portato ad aspre polemiche teologiche e politiche. Dal punto di vista teologico i cristiani hanno spesso pensato che il popolo ebraico, avendo rifiutato di credere in Gesù Cristo avesse perduto il diritto di considerarsi il popolo di Dio, e che la Chiesa fosse ormai il nuovo Israele che aveva sostituito l’antico Israele. Quando i cristiani conquistarono il potere nell’impero romano, cominciarono a perseguitare gli ebrei, limitandone le libertà e i diritti. Si diffuse anche la concezione per la quale gli ebrei avrebbero perduto il diritto di alla propria terra destinata ormai da Dio al possesso dei cristiani. La storia secolare della presenza delle comunità ebraiche nei territori a maggioranza cristiana non è però solo di intolleranza e persecuzione, e testimonia uno scambio continuo creativo da ambedue le parti, anche se non mancano periodi ed episodi di straordinaria

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violenza e drammaticità. Dopo la Shoah, nelle chiese cristiane, soprattutto protestanti e cattoliche, si è sviluppata una radicale autocritica dell’antisemitismo cristiano che ha portato ad un diverso tipo di rapporti e ad una diversa teoria dei rapporti tra le due religioni.        Le relazioni del Cristianesimo con l’Islam sono essenzialmente di due tipi: religiose e politico-culturali.

Dal punto di vista religioso, l’Islam ha in comune con il Cristianesimo la concezione monoteistica e una notevole quantità di elementi che l’Islam ha tratto dalla religione ebraica e da quella cristiana. L’Islam ritiene, ad esempio, che Dio si sia rivelato ad Abramo, Mosè e a Gesù ma che, tuttavia, la rivelazione di Mohammed sia quella definitiva. Questo ultimo punto è inaccettabile per il Cristianesimo, anche perché il Corano, testo sacro dell’Islam, considera Gesù non Dio, ma semplicemente uomo, figlio di Maria. Là dove i Vangeli cristiani differiscono rispetto a quanto il Corano scrive a proposito di Gesù, il Cristianesimo non accetta la versione coranica.

Le difficoltà di natura politico-culturale stanno soprattutto nel fatto che l’Islam si è diffuso in paesi precedentemente a maggioranza cristiana (si pensi all’Africa del Nord, alla Turchia e anche alla Mongolia). Lo scontro anche militare durato per secoli sulle sponde del Mediterraneo e in diversi paesi dell’Europa meridionale e orientale ha contribuito ad una estraneità e ostilità culturale tra le due religioni, acuitasi spesso a causa del recente colonialismo europeo in diversi paesi a maggioranza musulmana.         Nella sua storia millenaria il Cristianesimo ha spesso assorbito elementi molteplici dalle religioni accanto alle quali si è diffuso. Ciò vale non solo per le religioni ellenistico-romane, ma anche per quelle delle popolazioni via via cristianizzate. Dopo il XVI secolo l’espansione coloniale si è accompagnata con una espansione missionaria cristiana spesso critica verso i metodi violenti e verso lo sfruttamento del colonialismo. Ma la concomitanza dell’espansione europea con quella delle missioni cristiane doveva necessariamente impostare il rapporto del Cristianesimo con le religioni delle popolazioni colonizzate in modo non corretto.

* Link ad altri siti

http://www.religioustolerance.org/christ.htmhttp://www.geocities.com/michaeladamr/christoindex.htm

Enciclopedia del cristianesimohttp://www.newadvent.org/

Cattolicihttp://www.vatican.va/

OrtodossiSito della chiesa ortodossa russa: http://utenti.tripod.it/Teotoco2/index.html

Evangelici21

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Sito degli avventisti italiani: www.avventisti.orgSito ufficiale della chiesa valdese: www.chiesavaldese.org

MormoniSito ufficiale: www.lds.org

Testimoni di Geovahttp://www.watchtower.org

1.1.3.5. Daoismo (o Taoismo)

Yin e yang sono le due forze opposte e complementari che regolano l’universo, agendo l’una sull’altra in forma ciclica.

* Diffusione e localizzazione geografica

Al mondo vi sono circa 20 milioni di daoisti, concentrati soprattutto in Taiwan.

* Cenni storici

La tradizione attribuisce la nascita del pensiero daoista (o taoista) a Laozi (Vecchio Maestro, che un tempo in Occidente era noto come Lao Tze), una figura leggendaria che sarebbe vissuta nel VI secolo a.e.v.. Si dice che Laozi nacque vecchio dopo ottantun anni di gestazione e che, allontanatosi dalla città di Luoyi (la capitale della dinastia degli Zhou orientali), si diresse verso i paesi d’Occidente sul dorso di un bufalo per diffondere la sua dottrina presso i popoli non cinesi. A Laozi si attribuisce la compilazione di uno dei principali testi del Daoismo filosofico, originariamente noto come Laozi, e in seguito chiamato Daodejing. Altri importanti filosofi daoisti furono Zhuangzi (IV secolo a.e.v.) e Liezi (IV secolo a.e.v.), ai quali vengono attribuiti testi, in realtà in gran parte compositi, in cui emergono diversi aspetti del pensiero daoista.

Come religione organizzata, il Daoismo è documentato solo a partire dal II secolo dell’era comune, anche se il Daoismo religioso affonda le proprie radici in pratiche magiche molto più antiche. Durante il III e il IV secolo il Buddhismo Mahayana si diffuse capillarmente in Cina durante un periodo di estrema instabilità politica (il paese fu prima frazionato in tre stati e poi diviso in due: al nord regnarono dinastie straniere e al sud dinastie cinesi). Fu allora che i daoisti cominciarono a organizzarsi come chiesa, prendendo a modello le istituzioni e i riti buddhisti; il Buddhismo, da parte sua, trovò nella

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terminologia daoista il veicolo adatto per esprimere concetti estranei alla lingua e alla mentalità cinesi.

Dal secolo IV in poi la chiesa daoista fu rigidamente articolata secondo vari livelli (a quelli inferiori c’erano anche donne, che godevano di relativa eguaglianza rispetto agli uomini). Un secolo dopo è documentata l’esistenza di quello che viene popolarmente definito il “papa daoista” (Tianshi: “Maestro celeste”), del quale l’ultimo discendente è vissuto fino a non molto tempo fa: una figura che nello stato cinese non ha mai avuto particolari riconoscimenti.

* Il canone

Il cosiddetto canone daoista (Daozang) comprende diversi testi, tra cui i più noti sono:

il Daodejing, o “Classico della via e della virtù”, che ci è pervenuto in una versione del IV secolo a.e.v.: composto da due parti (Daojing e Dejing), suddivise complessivamente in 81 sezioni, contiene riflessioni sul mondo e consigli al sovrano;

il Zhuangzi (probabilmente anteriore al Daodejing): opera di notevole valore letterario, compilata in parte dal filosofo da cui trae il nome, i cui 33 libri, scritti con stile brillante e vivace, sono costituiti da saggi su argomenti specifici, aneddoti, dialoghi, allegorie, e fiabe, e in cui vi sono frequenti attacchi al Confucianesimo;

il Liezi, in parte simile al Zhuangzi, che fa riferimento a esseri soprannaturali o a personaggi di epoche mitiche.

Tra le fonti non specificamente filosofiche, e che si ricollegano alla popolare ricerca dell’immortalità, la più nota sicuramente è il Baopuzi (“Il maestro che abbraccia la semplicità”) di Ge Hong (284-364 e.v.) in cui, attraverso leggende sugli Immortali, si evidenziano pratiche di varia natura che dovevano procurare l’illimitata sopravvivenza del corpo.

* Princìpi fondamentali

Secondo il pensiero daoista (che in questo non si discosta da quello confuciano) esiste un’armonia universale che lega tutti i livelli del cosmo: terra, uomo e cielo.

Il principio su cui si fonda il Daoismo è il dao (o secondo un altro sistema di trascrizione tao), termine di difficile interpretazione, tanto che un verso del Daodeing recita: “Il dao che può essere definito col nome non è il dao costante”. Il dao, che è presente in ogni cosa e la condiziona, è un flusso vitale che ha dato origine a tutto, e che scorre incessantemente, mutando sempre e rimanendo sempre lo stesso.

Associata al dao è la concezione dello yinyang. Yin e yang sono i due princìpi che mantengono l’ordine naturale del dao: yin è il principio femminile, passivo ed oscuro, identificato con la luna; yang il principio maschile, attivo e luminoso, identificato con il sole. Yin e yang sono opposti e complementari tra di loro, relativi (si può essere yin sotto un certo aspetto e

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yang sotto un altro) e non antitetici, tanto che nella pienezza dell’uno è implicita l’origine dell’altro. Il loro alternarsi determina tutte le cose.

L’obiettivo del Daoismo filosofico è quello di raggiungere la santità, lo stato di perfetta armonia con il mondo naturale, uno stato che si acquista uniformandosi ad esso tramite meditazione ed estasi, che permettono l’identificazione con il dao. La natura non deve essere alterata dall’azione umana, e per questo il daoista pratica e predica il “non agire” (wu wei) in tutti i campi (anche in quello politico), non lasciandosi turbare né dai mutamenti, né dalla morte. Nel Zhuangzi è messa in risalto anche la necessità di non fare distinzioni, di raggiungere lo stadio di una “non conoscenza”, la quale si ottiene solo dopo aver conosciuto.

Come religione popolare, il Daoismo mise in atto diverse pratiche per potenziare e per rendere immortale il corpo: diete alimentari di vario tipo (inclusa l’ingestione di prodotti ottenuti tramite ricerche alchemiche), tecniche respiratorie (come lo yoga cinese), ginniche, sessuali, e contemplative.

Nelle numerose leggende daoiste, un posto di rilievo è assegnato ai cosiddetti “Otto Immortali” (Baxian), un gruppo di personaggi (uomini e donne) che, avendo ottenuto in vita poteri soprannaturali, sono stati santificati dopo morti. Oltre agli Immortali, e accanto a Laozi – identificato spesso con Huanlao (Il Vecchio Giallo), uno dei cinque creatori del cosmo –, c’è un numero elevatissimo di divinità eterogenee, organizzate gerarchicamente, come i protettori di mestieri e dei fenomeni atmosferici; gli spiriti degli elementi della natura; le anime di diverse località (cimiteri, luoghi, guadi, strade); i demoni; le anime degli impiccati, degli annegati e degli antenati; i santi daoisti, confuciani e buddhisti, eccetera.

*Rapporti con le altre religioni

Come dottrina filosofica, il Daoismo si pone in antitesi rispetto al formalismo del sistema confuciano. Nella pratica, i cinesi hanno operato una sorta di mistione tra Confucianesimo, Daoismo e Buddismo.

* Link ad altri siti

http:// www.religioustolerance.org/taoism.htmhttp://hkusuc.hku.hk/philodep/ch/Daoindex.htmlhttp://www.human.toyogakuen-u.ac.jp/~acmuller/contaolink.htm

1.1.3.6. Ebraismo

La Menorah, il candelabro a sette bracci, è uno dei simboli più antichi dell’Ebraismo.

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* Diffusione e localizzazione geografica

Attualmente, gli ebrei nel mondo sono circa 12.800.000 milioni e sono distribuiti in più di cento paesi. Di questi, l’unico paese in cui l’Ebraismo costituisce la religione della maggioranza della popolazione è Israele. Fuori da Israele, le comunità ebraiche più numerose si trovano negli Stati Uniti, in alcuni paesi europei (le comunità più numerose in Europa sono quelle inglese e francese), in Russia, in diversi paesi asiatici, nell’America Latina e in Australia.

* Cenni storici

La storia dell’Ebraismo inizia circa quattromila anni fa quando, secondo la Bibbia, Dio si rivolse ad Abramo per stringere un’Alleanza con il suo popolo. Oltre ad Abramo, gli altri due padri fondatori della religione ebraica sono Isacco (figlio di Abramo) e Giacobbe (figlio di Isacco). La Bibbia racconta la storia del popolo ebraico, dalle sue origini fino alla ricostruzione del secondo tempio di Gerusalemme (516 a.e.v.). Secondo il testo biblico, Dio (in ebraico JHVH, o Jahvè) promise ad Abramo, capo di una tribù nomade, che i suoi discendenti avrebbero ereditato la Terra Promessa, a condizione che essi avessero accettato e rispettato la sua Legge. I discendenti di Giacobbe (che in seguito fu chiamato Israele) diedero origine alle dodici tribù di Israele e giunsero in Egitto. Gli ebrei divennero schiavi del Faraone e, dopo molte tribolazioni, Mosé li liberò dalla schiavitù e li condusse fuori dall’Egitto. Per quarant’anni dopo la liberazione dall’Egitto, il popolo ebraico attraversò il deserto (dove, sul monte Sinai, Dio consegnò a Mosé le Tavole della legge) e, condotto da Giosué (successore di Mosé), ritornò nella Terra Promessa, dove le dodici tribù si insediarono in varie zone della Palestina.

Quando le tribù furono a poco a poco unificate, reclamarono un re: il primo re fu Saul, seguito da Davide, il quale combatté contro i filistei (una popolazione che abitava in Palestina) e fondò la “Città di Davide”, che successivamente prese il nome di Gerusalemme. Il figlio di Davide, Salomone, diede inizio alla costruzione del primo Tempio di Gerusalemme. Alla morte di Salomone, dieci delle dodici tribù di Israele si separarono, mentre le due tribù che restarono fedeli al figlio di Salomone, Roboamo, formarono il regno di Giuda, o Giudea (da cui viene la parola “giudeo”). Nel 587 a.e.v. Gerusalemme venne distrutta dal re babilonese Nabucodonosor, il Tempio fu bruciato e gli ebrei furono esiliati in Babilonia. L’esilio in Babilonia diede il via alla diaspora, ovvero alla dispersione del popolo ebraico nel mondo.

Nel 538 a.e.v., il nuovo re di Babilonia autorizzò il ritorno degli ebrei in Israele e la costruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme (che fu poi distrutto dai romani nel 70 della nostra era). Gli ebrei passarono sotto varie dominazioni fino a quando, nel II secolo a.e.v., la rivolta dei Maccabei restituì l’indipendenza politica al popolo di Israele, indipendenza che durò fino al 63 a.e.v., quando i Romani conquistarono la Giudea.

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Tra il I e il IX secolo e.v. vennero redatti la Mishnah e i due Talmudim (il Talmud di Gerusalemme e il Talmud di Babilonia), testi fondamentali della religione ebraica che racchiudono la giurisprudenza e le credenze dell’Ebraismo. In questo periodo, gli ebrei vivevano in diversi imperi: in quello romano, che lentamente stava diventando cristiano, e in quello babilonese, che stava diventando musulmano.

Intorno all’anno mille, sorsero in Europa due nuovi poli della cultura ebraica: in Spagna si formò la comunità sefardita (fino a quando, nel 1492, gli ebrei furono cacciati dalla Spagna), mentre l’Europa orientale divenne la culla dell’ebraismo askenazita.

Mosé Maimoide, nato a Cordova (in Spagna) nel 1138, fu uno tra i più importanti filosofi e teologi del mondo ebraico medievale: le sue opere, tra cui La guida dei perplessi, divennero di fondamentale importanza per tutti gli ebrei. Egli riformulò la legislazione rabbinica in modo da renderla di facile comprensione ed elaborò un sistema di credenze normative per tutti gli ebrei.

Fino al XIX secolo, gli ebrei hanno vissuto in tanti paesi come gruppo religioso di minoranza, spesso perseguitato. Dalla metà del Cinquecento vennero obbligati a risiedere in quartieri separati – i ghetti – che venivano chiusi di notte e riaperti di mattina. Le persecuzioni si intensificarono tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, quando in Russia gli ebrei subirono numerosi massacri e saccheggi (pogrom). Sotto il nazismo (1933-1945), milioni di ebrei vennero perseguitati, deportati e sterminati (Shoah).

Fu circa nello stesso periodo che si affermò il sionismo, un movimento culturale e politico il cui scopo era di ricondurre gli ebrei nella terra di Israele per costituirvi una comunità nazionale, al riparo dalle persecuzioni.

Attualmente, l’Ebraismo si suddivide in diversi movimenti religiosi. I gruppi più importanti sono: gli ebrei riformati (che lasciano ai singoli credenti la libertà nell’interpretare gli insegnamenti della Bibbia e nell’osservare le leggi rituali), gli ortodossi e ultra-ortodossi (per i quali le leggi rituali e cerimoniali vanno considerate come immutabili), e i conservative (una ortodossia più attenuata).

* Testi sacri

L’Ebraismo ritiene che vi sia stata una Rivelazione di Dio messa per iscritto nella Bibbia (dal greco ta biblia, “i libri”). La Bibbia ebraica è composta da 24 libri, ed è suddivisa in tre sezioni: la Torah (o Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia ebraica), i Nevi’im (“Profeti”) e i Ketuvim (“Scritti”). Nella Bibbia sono narrate le vicende storiche del popolo ebraico, l’Alleanza instaurata tra il popolo e il suo Dio, e i princìpi che gli ebrei devono seguire per non rompere l’Alleanza.

Tutti i libri della Bibbia ebraica sono scritti in ebraico salvo alcune brevi sezioni in aramaico. I libri biblici furono scritti in diverse epoche: le tradizioni più antiche risalgono al 1000 a.e.v., mentre la maggior parte dei testi vennero redatti intorno al VI secolo a.e.v.. Nel mondo antico la Bibbia fu tradotta in greco e i suoi insegnamenti e i suoi princìpi si diffusero velocemente.

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La Bibbia è un testo sacro anche per il Cristianesimo, che inizialmente era costituito da un gruppo di ebrei (Gesù e alcuni suoi discepoli), ed è la base dell’Islam, che si ritiene compimento sia dell’Ebraismo che del Cristianesimo.

Accanto alla Bibbia, il Talmud (che significa “insegnamento”) è il grande libro sacro dell’Ebraismo: diversamente dalla Bibbia ebraica, il Talmud è infatti riconosciuto solo dall’Ebraismo, che lo considera come la “Torah orale”, rivelata sul Sinai a Mosè e trasmessa a voce, di generazione in generazione, fino alla conquista romana. Il Talmud fu fissato per iscritto solo quando, con la distruzione del Secondo Tempio, gli ebrei temettero che le basi religiose di Israele sparissero.

Il Talmud consiste in una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti (hakhamim) e i maestri (rabbi) circa i significati e le applicazioni dei passi della Torah, e si articola in due livelli: la Mishnah (o “ripetizione”) raccoglie le discussioni dei maestri più antichi (giungendo fino al II secolo e.v.), mentre la Ghemarah (o “completamento”), stilata tra il II e il V secolo, fornisce un commento analitico della Mishnah. Il Talmud ci è giunto in due versioni diverse: il Talmud di Gerusalemme (redatto tra il IV e il VI secolo nella Terra d’Israele) e il Talmud di Babilonia (redatto tra il V e il VII secolo in Babilonia).

A seconda del contenuto, il Talmud si suddivide in due generi di testo: una parte legislativa, chiamata Halakhah, in cui sono registrate le norme che regolano la vita quotidiana di ogni ebreo praticante (anche se non tutti gli ebrei, e non tutte le scuole, interpretano queste norme allo stesso modo), e una parte narrativa, chiamata Aggadah, in cui gli insegnamenti rabbinici assumono la forma di leggende e di racconti.

* Princìpi fondamentali

Il principio che fonda la religione ebraica è la credenza in un solo Dio che – dopo avere creato il mondo – si è manifestato agli uomini attraverso una Rivelazione, tramandata per mezzo dei Libri Sacri (per questo motivo l’Ebraismo è chiamato anche Religione del Libro).

Un altro principio fondamentale, strettamente collegato al primo, è quello dell’Alleanza tra Dio e il popolo ebraico. Attraverso l’Alleanza, che in origine Dio strinse con Abramo, il popolo ebraico si impegnò a riconoscere Dio, a sostenere il suo progetto e a rispettare le sue Leggi. È tramite l’accettazione di questo patto che gli ebrei si riconobbero come il “popolo eletto”: ciò non significa che gli ebrei si aspettino di ricevere particolari privilegi da Dio, o che si sentano migliori degli altri popoli, bensì che ritengono di essere stati designati da Dio per testimoniare agli altri – attraverso l’esempio delle loro azioni – la presenza di Dio sulla terra.

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L’Alleanza di Dio e con il popolo ebraico viene rinnovata quando gli ebrei osservano nella vita pratica le leggi di Dio: alla base del sistema etico ebraico ci sono i Dieci Comandamenti che Dio consegnò a Mosé sul Monte Sinai (vai a: Dieci Comandamenti). Vi sono poi 613 precetti, o mitzvot (di cui 365 divieti e 248 obblighi), registrati nella tradizione talmudica, che regolano la vita quotidiana di ogni ebreo praticante, e che comprendono leggi relative a tutti gli aspetti della vita sociale, dal matrimonio alle procedure cerimoniali, nonché diverse regole e divieti alimentari.

Nel patto tra Dio e il suo popolo, il premio per la buona condotta è dato dal possesso della terra, che innanzitutto appartiene a Dio. Ogni volta che il popolo trasgredisce alle leggi di Dio, rompendo l’Alleanza, Dio lo esilia. La speranza di un ritorno nella Terra Promessa, più per volontà di Dio che per la diretta azione dell’uomo, ha dato luogo in certi periodi alla credenza nell’arrivo di un messia, e cioè di un capo carismatico che avrebbe ricondotto il popolo nella Terra d’Israele.

Un aspetto molto rilevante della religione ebraica è l’importanza che essa attribuisce alla lettura e allo studio della Torah e del Talmud. Non si può essere un buon credente se non si studia, e studiare significa interrogare incessantemente i Testi, ricercandone tutti i significati possibili.

*Rapporti con le altre religioni

La religione ebraica non è interessata al proselitismo attivo e non incoraggia (anche se non esclude) le conversioni. Tuttavia, l’Ebraismo incoraggia un rapporto di collaborazione interreligiosa in campo sociale e morale. Secondo il Talmud, l’ebreo deve rispettare le leggi del paese in cui vive. Nel corso dei secoli, gli ebrei hanno subito discriminazioni e persecuzioni da parte di altre religioni (in particolare da quelle cristiane).

* Link ad altri siti

Pagina web collegata ai siti ebraici: www.shamash.orgwww.religioustolerance.org/judaism.htm

1.1.3.7. Giainismo

La mano alzata esorta il credente a fermarsi a riflettere prima di compiere qualunque azione; la mano contiene una ruota, che sta per l’eterno ciclo delle rinascite, la quale a sua volta racchiude la parola “Ahimsa” (non violenza).

* Diffusione e localizzazione geografica

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Al mondo vi sono circa 4 milioni di giainisti, concentrati soprattutto nell’India nord-occidentale.

* Cenni storici

Il Giainismo è una religione molto antica che - come il Buddhismo - affonda le proprie radici nella tradizione induista, dalla quale si distinse in seguito a un movimento di riforma rispetto all’ortodossia vedica e brahmanica. I grandi maestri (o Jina, che in sanscrito significa “vincitori” - nel senso che hanno conquistato le proprie passioni) riconosciuti da questa religione sono ventiquattro: l’ultimo Jina fu Vardhamana (noto anche come Mahavira, o “grande eroe”) e visse nel VI–V secolo a.e.v., più o meno contemporaneamente al Buddha. Secondo la tradizione, Vardhamana nacque da una famiglia nobile e, a ventotto anni, lasciò la moglie e la figlia per dedicarsi alla religione e alle pratiche ascetiche. Raggiunse l’illuminazione interiore, rifondò la comunità giainista e morì di digiuno a settantadue anni.

Nel I secolo e.v. la comunità giainista si scisse in due correnti principali: i Digambara (“vestiti d’aria”), più conservatori, secondo i quali i monaci dovevano vivere completamente nudi, e gli Svetambara (“vestiti di bianco”), che accettavano che i monaci indossassero una veste bianca.

* Testi sacri

Il canone Svetambara, denominato Agama, risale al II-III secolo a.e.v. e comprende parabole e leggende riferite alla figura di Mahavira. I Digambara negano l’autenticità di questi testi e il loro canone comprende le opere del monaco Kundakunda (circa IV secolo e.v.).

* Princìpi fondamentali

Come gli induisti e i buddhisti, i giainisti credono nella reincarnazione e nel ciclo delle rinascite (o samsara): il ciclo è eterno (poiché il tempo non ha inizio e non ha fine) e l’obiettivo ultimo del credente è di liberarsi dal proprio karma (dalla somma delle proprie azioni e delle loro conseguenze sulle vite successive) per raggiungere il nirvana, lo stato di eterna quiete.

La liberazione dalla vita terrena si ottiene solo se si riesce a separare l’energia indistruttibile ed eterna dell’anima (jiva) dai suoi legami materiali, che sono il risultato di passioni nocive.

Il giainista è tenuto a osservare cinque voti:

- Ahimsa: rispettare ogni forma di vita- Satya: dire la verità- Asteya: non rubare- Brahmacharya: per i monaci, questo è il voto di castità; per i laici, si tratta di un voto di monogamia

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- Aparigraha: non acquisire più di ciò che è necessario per sopravvivere giorno per giorno (questo voto vale solo per i monaci).

Il principio dell’Ahimsa, che fonda l’etica giainista, è legato al concetto di karma: quando si infliggono dei danni a un’altra creatura (anche involontariamente, come quando si calpesta senza volere un insetto), si accumulano karma negativi che si ripercuoteranno sulle esistenze successive. Secondo la tradizione, vi sono 8.4 milioni di jiva (anime) nell’universo, tra animali, vegetali, particelle minerali e agenti atmosferici: per rispettare il principio di nonviolenza, occorre cercare di limitare il più possibile i danni che si arrecano agli altri esseri animati. È per questo che i giainisti praticano una forma estrema di vegetarianismo, bevono solo acqua già usata per cucinare (di modo che la responsabilità dell’uccisione dei microorganismi nell’acqua non cada su di loro), camminano a piedi nudi e talvolta spazzano con una piccola scopa di fronte a loro per non calpestare inavvertitamente un insetto e, in alcuni casi, si coprono la bocca con un fazzoletto per non inalare qualche creatura microscopica.

*Rapporti con le altre religioni

Il Giainismo presenta molti punti in comune con l’Induismo, di cui tuttavia rifiuta alcune nozioni, come quella della divisione della società in caste. Recentemente si è verificato un avvicinamento tra queste due religioni.

* Link ad altri siti

http://www.religioustolerance.org/jain.htmhttp://www.umich.edu/~umjains/http://www.mantraonline.com/channels/religion/jainism/http://www.indiablessings.com/Jainism/http://www.cs.colostate.edu/~malaiya/jainhlinks.html

1.1.3.8. Induismo

La sillaba “OM”, invocazione utilizzata come mantra (preghiera)

* Diffusione e localizzazione geografica

Gli induisti rappresentano la terza comunità religiosa del mondo (dopo i cristiani e gli musulmani) e sono quasi 650 milioni (circa il 13% della popolazione mondiale), diffusi in 84 paesi. La maggior parte di essi vive in

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Asia meridionale, e in particolare in India, in Nepal, in Sri Lanka, in Bhutan, in Malesia, a Singapore, in Indonesia (Bali). Vi sono comunità induiste in Africa (Mauritius), in America latina (Guyana, Trinidad), nelle isole Figi, negli Stati Uniti e in diversi paesi europei.

* Cenni storici

L’Induismo non ha un fondatore. Più che una religione unitaria, l’Induismo è un insieme di movimenti religiosi diversi, che però sono accomunati da alcuni princìpi fondamentali.

Vi sono diverse ipotesi sulla preistoria di questa religione e dei popoli dell’India. Secondo molti studiosi, le origini dell’Induismo risalgono a più di tremila anni fa, quando le tribù indo-arie si installarono nel nord dell’India e elaborarono alcune concezioni filosofiche e pratiche sociali che costituirono le basi del sistema filosofico induista. Altri invece, e in particolare alcuni studiosi indiani contemporanei, ritengono che non vi sia stata un’influenza esterna sulla cultura indiana delle origini, la quale deriverebbe direttamente dall’antica civiltà dell’Indo (fiorita più di quattromila anni fa), di cui rimangono alcune importanti tracce architettoniche, ma della cui storia e della cui fine si sa molto poco.

In ogni caso, la storia dell’Induismo più antico viene suddivisa in due fasi: la fase vedica (ca. 1500 – 900 a.e.v.), caratterizzata dalla pratica dei sacrifici e dal culto di un numero molto elevato di divinità – tra cui spiccano il potente Indra e il dio del fuoco Agni –, e la fase post-vedica o brahmanica (ca. 900 – 400 a.e.v.), in cui sia il sacrificio, sia molte delle divinità vediche perdono importanza, e compare il dio creatore Prajapati (identificato con il brahman, l’assoluto).

La parola hindu fu introdotta con l’arrivo dei musulmani (nel secolo VIII), mentre coloro che appartengono a questa religione preferiscono il termine classico dharma, che significa legge, sostegno, norma, giustizia, dovere, e si riferisce all’ordine eterno delle cose.

* Testi sacri

Dapprima tramandati oralmente e poi, molto più tardi, fissati per iscritto, i Quattro Veda (Veda degli inni, Veda delle melodie, Veda delle formule sacrificali, Veda delle formule magiche) costituiscono i fondamenti dell’Induismo.

Ciascuno dei quattro Veda è ordinato in quattro diversi livelli, che sono: le Samhita, una considerevole raccolta di inni composti tra il 2000 e il 1000 a.e.v.; i Brahmana, commenti liturgici in prosa; gli Aranyaka, o libri “della foresta”; le Upanishad, che fungono da commenti filosofici dei Veda.

Il Mahabharata è un vasto poema, scritto tra il III secolo a.e.v. e il III secolo e.v., che riassume in 18 libri il codice guerriero e alcuni presupposti

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filosofici e religiosi dell’Induismo (in particolare nella Bhagavad-gita, poemetto che affronta alcune questioni morali fondamentali e la fede personale in una divinità salvatrice, Krishna/Vishnu).

Il Ramayana è un’altra grande epopea che narra le vicende di un eroe (in seguito identificato con il dio Vishnu) costretto a combattere una guerra con il demoniaco re di Lanka (Ceylon) per riprendere la sposa rapita.

Infine, i Purana sono 36 raccolte di miti e leggende, biografie e insegnamenti filosofici che costituiscono una sorta di enciclopedia dell’Induismo.

* Princìpi fondamentali

Le divinità vediche non sono tanto degli esseri superiori, quanto delle rappresentazioni delle forze della natura. Nel corso dei secoli, dopo il periodo vedico, due di queste divinità, Vishnu (dio benefico e solare, di cui Rama e Krishna sono le principali incarnazioni) e Shiva (dio al contempo distruttore e ricreatore, probabilmente ricollegabile alla divinità vedica Rudra) hanno acquistato un particolare rilievo, dando luogo a correnti differenti: il vishnuismo e lo shivaismo (che è, oggi, quella seguita dalla maggioranza degli indiani). Una terza corrente è costituita dallo shaktismo (Shakti, sposa di Shiva, è l’energia creativa della divinità). Tuttavia, le diverse scuole non si escludono necessariamente a vicenda poiché uno degli aspetti caratteristici dell’Induismo è che esistono diverse vie per raggiungere la salvezza.

Le varie scuole concordano su alcuni punti fondamentali. Questi sono:

Il ciclo della rinascita (samsara): alla morte, ogni creatura rinasce in un altro corpo, vegetale, animale, o umano. Lo scorrere delle esistenze, ovvero la successione delle rinascite, è visto come un dramma dal quale si desidera liberarsi con l’aiuto di determinate tecniche, come lo yoga e la meditazione. La liberazione - o moksha - consiste nella scoperta dell’identità del nucleo più profondo di sé (atman), con il brahman, che è l’assoluto, l’Uno indivisibile che pervade tutto l’universo.

Il rispetto della vita: l’anima dell’individuo può rinascere anche in forme animali e vegetali. Ne deriva che gli induisti tendono a manifestare un grande rispetto per ogni tipo di essere vivente (ad esempio, molti di essi sono vegetariani).

Il karma (“azione”): in base a questo concetto, la condizione in cui un determinato individuo nasce nella vita successiva dipende dalle azioni che ha compiuto in quella precedente. In altre parole, ogni azione che l’individuo compie nella vita attuale avrà delle ripercussioni nelle sue vite future.

La divisione della società in gruppi sociali (varna: “colore”): i brahmani (brahmana), i guerrieri (kshatriya), i produttori (vaishya) e i servitori (shudra), oltre ai fuoricasta che si situavano al di fuori del sistema. Successivamente,

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la società si è articolata in una gran quantità (dalle 2000 alle 3000) di caste (jati) e sottocaste. L’appartenenza a una casta piuttosto che a un’altra dipende dal karma dell’individuo, e dunque dalla sua condotta nelle esistenze precedenti. Chi nasce all’interno di una certa casta deve essere consapevole dei doveri e delle conseguenze della propria condizione (ad esempio ci si può sposare o sedere alla stessa tavola solo con membri della propria casta): un adempimento dei propri doveri castali è necessario per ottenere una rinascita migliore. Va peraltro aggiunto che la Costituzione dell’India moderna vieta ogni discriminazione in base all’appartenenza castale sebbene, nella pratica, il sistema delle caste continui a essere applicato.

*Rapporti con le altre religioni

Dato il principio induista secondo il quale le vie che conducono all’Assoluto sono molteplici e non si escludono a vicenda, questa religione si dichiara tollerante nei confronti sia delle altre religioni, sia delle varie espressioni religiose che si esprimono al suo interno. Ciò che l’Induismo rifiuta è l’assolutizzazione di una forma particolare di culto, nonché, nella maggior parte dei casi, il proselitismo.

* Link ad altri siti

www.religioustolerance.org/hinduism.htmwww.snowcrest.net/dougbnt/hindu.htmlhttp://www.ucl.ac.uk/~ucgadkw/indology.htmlhttp://www.ucl.ac.uk/~ucgadkw/indology2.html

1.1.3.9. Islam

La mezzaluna (in arabo hilal, “luna crescente”) è il simbolo più importante nella tradizione musulmana, in quanto nel calendario musulmano (che è lunare) essa determina tra le altre cose l’inizio del pellegrinaggio  e del digiuno del mese di ramadan.

* Diffusione e localizzazione geografica

I musulmani nel mondo sono circa un miliardo e trecentomila, il che fa dell’Islam la seconda religione più diffusa nel mondo.

Bisogna evitare di confondere le parole “arabo” e “musulmano”. Gli arabi sono coloro che vivono nei paesi la cui lingua ufficiale è l’arabo, e possono essere musulmani, cristiani o ebrei. I musulmani (o islamici), invece,

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sono coloro che seguono la religione musulmana, e non si trovano solo nei paesi arabi, ma anche in Iran, in Turchia, in diversi paesi africani, presso alcune popolazioni dell’Asia centrale, in Afghanistan, in Pakistan, in India, in Cina, in Malesia, in Indonesia e (come minoranza) nelle Filippine.

* Cenni storici

L’Islàm (termine che letteralmente significa “arrendersi alla volontà di Dio”) nasce all’inizio del VII secolo dell’era volgare nella penisola arabica. In quella zona vivevano molte tribù nomadi, ma c’erano anche gruppi di commercianti concentrati nelle due città principali, La Mecca e Yathrib (la futura Medina).

È a una delle famiglie agiate della Mecca che apparteneva Maometto (in arabo Muhammad), il fondatore della religione musulmana. Sin da giovane, Maometto viaggiò e allargò le proprie conoscenze, spinto da una profonda ricerca interiore. Nel 610, durante uno dei suoi ritiri spirituali alle pendici del monte Hira, la tradizione musulmana vuole che gli si presentò l’angelo Gabriele, e che gli chiese di recitare alcuni versi, ovvero i primi versi della Rivelazione, rendendo Maometto il tramite umano della parola di Dio.

La Rivelazione si fermò però per tre anni, durante i quali Maometto temette di essere stato abbandonato da Dio. A partire dal 613, però, le Rivelazioni ripresero e Maometto iniziò a comunicare ai propri concittadini i precetti della nuova religione. Sino a quel momento la religione della penisola arabica era stata il politeismo, quindi il compito iniziale di Maometto fu quello di convincere i propri concittadini a credere a un Dio solo. Ma l’opposizione fu tale che nel 622 Maometto decise di compiere l’egira (in arabo higra), ovvero di migrare a Yathrib (la futura Medina, ovvero “la città del Profeta”) dove, accolto dalle tribù arabe del posto, fondò il vero stato musulmano, dove fece costruire la prima moschea. Oltre che a rappresentare l’Inviato di Dio, Maometto riuscì anche a imporsi come capo politico della città e della comunità musulmana.

Dal momento in cui giunse a Yathrib, Maometto ebbe un unico obiettivo: vendicarsi dei meccani e ritornare nella sua città natale da vincitore. Ci furono molte battaglie tra i fedeli del Profeta e i meccani. Nel 629, dopo un tentativo fallito, Maometto riuscì a compiere il pellegrinaggio alla Mecca, in modo particolare alla Kaaba, che egli desiderava trasformare da santuario degli dei pagani in santuario del nuovo Dio Allah. Nel 630 entrò in maniera trionfale alla Mecca, dichiarandola città santa dell’Islam, e stabilì il rito del pellegrinaggio. Nel 632 Maometto morì a Medina, che diventò la seconda città sacra dell’Islam, e nel luogo dove è spirato sorge oggi una moschea.

Siccome Maometto non aveva lasciato né figli maschi né indicazioni per la successione, alla sua morte si discusse molto su chi aveva il diritto di succedergli alla guida della comunità. I primi due califfi (in arabo khalifa vuol dire “successori [del Profeta]”), Abu Bakr e Omar, appartenevano al gruppo dei Compagni del Profeta. Il terzo califfo, Uthman, era invece membro della famiglia aristocratica meccana degli omayyadi. Uthman venne assassinato e Ali (cugino e genero di Maometto) ottenne il potere. Una parte della comunità

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musulmana, convinta che Ali stesso avesse fatto uccidere il predecessore, nominò immediatamente un anti-califfo. Cominciò una serie di lotte armate tra i due gruppi. Alla fine l’anticaliffo, Mu’awiya (che apparteneva alla famiglia omayyade), riuscì a farsi eleggere nuovo califfo. Fu così che avvenne il principale scisma all’interno dell’Islam, quello tra sunniti e sciiti (da shi’a ovvero “partito di Ali”).

La dinastia omayyade (661-750) diede inizio a una nuova epoca. Il califfo viveva nel lusso e continuò la politica di espansione avviata dai primi califfi, sino a raggiungere a ovest la Spagna (l’Andalusia) e a est la Cina. L’espansione rese necessario lo spostamento della capitale in una città meno isolata dal resto dell’impero: la scelta ricadde su Damasco, città dove gli omayyadi avevano molti fedeli. Ma la dinastia venne ben presto accusata dai fedeli di essere troppo laica e mondana.

Fu così che, nel 750, si impose la seconda grande dinastia della storia musulmana, quella degli abbasidi, che detenne il potere sino al 1258 (anno in cui Baghdad venne occupata dai Mongoli). Sotto gli abbasidi, la capitale venne trasferita da Damasco a Baghdad. Ma il territorio era troppo grande per essere controllato, e il potere venne sempre più affidato a piccole dinastie di principi (gli emiri) che, pur dipendendo sempre dal potere centrale, guadagnavano una maggior indipendenza. Dopo il 1258, la storia musulmana divenne la storia di piccole (anche se talvolta importanti) dinastie.

Attualmente i sunniti (gli ortodossi, coloro che seguono la Sunna, ovvero la tradizione musulmana) rappresentano la maggioranza dei musulmani. Gli sciiti (che in origine erano i partigiani di Ali) riconoscono la guida non di un califfo – sovrano che, secondo loro, non ha alcun rapporto privilegiato con la divinità – bensì di un imam (una guida) che, appartenente alla famiglia di Ali, è dotato di potere sia temporale sia spirituale. La maggior parte degli sciiti si trova oggi in Iran.

Una corrente particolare dell’Islam è il sufismo, ovvero il misticismo musulmano. Fine ultimo del mistico musulmano (sufi) è il raggiungimento della divinità sino ad annullarsi in Essa. Per l’ortodossia islamica è impensabile una fusione dell’uomo con Dio, e per questo motivo essa non accetta alcune forme di sufismo.

* Testi sacri

Il testo sacro dell’Islam è il Corano (in arabo Qur’an ovvero “ciò che viene recitato”). Secondo la tradizione islamica, il Corano è Parola di Dio trasmessa al mondo tramite il Profeta Maometto, ed è l’ultima e definitiva rivelazione divina.

Il Corano è composto da 114 capitoli detti sure che sono disposti, a esclusione del primo capitolo, in ordine di lunghezza dal più lungo al più breve. Le sure più lunghe sono le più recenti, mentre quelle più brevi sono le più antiche. Ogni capitolo (tranne il nono) ha inizio con la basmala, ovvero con l’espressione “nel nome di Dio, Clemente e Misericordioso”.

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Per quanto riguarda il contenuto, le sure vengono suddivise in meccane e medinesi a seconda che siano state rivelate alla Mecca o a Medina. Le sure del periodo meccano esprimono i princìpi fondamentali della nuova religione: il monoteismo; la lotta contro l’ingiustizia sociale, poiché la nuova religione si scaglia contro i ricchi e gli usurai; l’annuncio del giorno del giudizio. Con la migrazione di Maometto a Medina i contenuti cambiano. Le sure di questo periodo offrono le regole a cui deve sottomettersi la comunità musulmana: ad esempio il divieto di consumare bevande fermentate, il divieto dell’usura e così via.

Al Corano si affiancano altri due testi che vanno a costituire la tradizione musulmana (in arabo sunna): gli hadith, ovvero i detti e fatti del Profeta Maometto, e la sira, la biografia di Maometto. Gli hadith sono narrazioni riguardanti il Profeta che si occupano di tutti quegli aspetti della vita sociale e religiosa di cui non parla il Corano: ad esempio, come si devono svolgere le preghiere, i funerali, i matrimoni e così via.

* Princìpi fondamentali

Tutti i musulmani credono in alcuni concetti base e imprescindibili, ma al contempo ciascuno di loro li mette in pratica in base alla tradizione e alle condizioni dell’area in cui vive.

Il credo islamico può essere riassunto da quelli che vengono comunemente chiamati i cinque pilastri dell’islam (in arabo arkan al-islam):

1. la professione di fede (in arabo shahada) che consiste nel recitare con intenzione la seguente frase: “Professo che non esiste altro dio all’infuori di Iddio e Maometto è l’Inviato d’Iddio” (in ambito sciita si aggiunge: “E Ali è il suo Prediletto”);

2. la preghiera rituale (in arabo sala) è rappresentata dalle cinque preghiere giornaliere: all’alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e alla sera. Per compiere la preghiera il musulmano deve trovarsi in stato di purità rituale – questo è il motivo per cui nelle moschee v’è sempre una fontana per le abluzioni – e deve rivolgersi verso la qibla, ovvero verso la Kaaba della Mecca. La preghiera comunitaria è quella del venerdì a mezzogiorno;

3. l’elemosina sociale purificatrice (in arabo zaka) che è una somma che ogni musulmano deve versare annualmente, il cui ammontare è stabilito in base al suo reddito e che viene usata per aiutare i poveri e i bisognosi;

4. il digiuno (in arabo sawm) del mese di ramadan, nono mese del calendario lunare. Durante questo mese il musulmano si deve astenere nelle ore diurne soprattutto dal mangiare e dal bere;

5. il pellegrinaggio (in arabo hagg) alla Mecca che è obbligatorio per ogni musulmano adulto almeno una volta nella vita. Anche il pellegrinaggio ha luogo in un mese stabilito del calendario lunare.

* Rapporti con le altre religioni

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L’Islam si pone per definizione come l’ultima e definitiva religione rivelata, quindi come “sigillo” delle religioni monoteistiche. Ma proprio per questo motivo sia EBREI sia CRISTIANI vengono definiti dall’Islam “genti del Libro” e vengono rispettati e tollerati in quanto possiedono un Libro rivelato. Nei confronti delle altre religioni, invece, l’atteggiamento dell’Islam è stato spesso meno aperto: la nozione di gihad, originariamente intesa come sforzo contro i politeisti, è stata interpretata da alcuni movimenti estremistici come uno sforzo contro chiunque non appartenga all’Islam.

* Link ad altri siti:

www.religioustolerance.org/islam.htm

Siti italiani:www.arab.itLega musulmana mondiale - Italia:http://lega-musulmana.itUnione delle comunità e delle organizzazioni musulmane in Italia: http://www.islam-ucoii.it

1.1.3.10. Religioni tradizionali africane

Ogni popolazione africana ha sviluppato una sua specifica religione, che è divenuta parte integrante del suo patrimonio culturale. Si può dire quindi che esistono tante religioni tradizionali quante sono le popolazioni africane. Tra le popolazioni africane non è diffuso il proselitismo, ossia il tentativo di convertire altri alla propria religione, proprio perché ogni religione è direttamente legata all’identità di una determinata popolazione.

Non è quindi possibile rintracciare nelle varie religioni tradizionali africane una origine storica comune, né una unica diffusione geografica che ci permetta di seguirne l’espansione nel continente.

Si usa generalmente il termine tradizionale per distinguere quelle che hanno un’origine africana, dalle grandi religioni importate, come l’Islam o il Cristianesimo, che hanno negli anni attratto una larghissima fetta della popolazione.

Parlare della religione in Africa significa parlare della organizzazione sociale, e quindi parlare del rapporto tra giovani e anziani, del rapporto con la natura, delle relazioni tra i sessi opposti, della percezione della malattia, della accettazione della morte, e così via. Tutto ciò che riguarda la vita sociale in Africa è regolato dalla religione. Non essendoci un testo scritto, come la Bibbia o il Corano, la tradizione religiosa è generalmente custodita

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dagli anziani e affidata alla trasmissione orale, spesso attraverso racconti e proverbi. A questo proposito è bene ricordare che la terminologia usata dagli studiosi occidentali per classificare la dimensione religiosa africana è a volte molto imprecisa e ne impoverisce la straordinaria complessità e varietà.

* Princìpi fondamentali

Malgrado le trasformazioni che avvengono continuamente nel mondo religioso africano è comunque possibile riconoscere alcuni elementi che accomunano le varie tradizioni religiose africane tra di loro:

In primo luogo, al centro di tutte le religioni di cui stiamo parlando vi è la credenza in un Dio unico, che la Storia delle religioni definisce Essere Supremo. La figura di questo Dio Creatore è simile in tutte le religioni africane: dopo aver creato il mondo se ne è disinteressato e interferisce raramente con le vicende degli uomini. Pur essendo garante dell’ordine stabilito delle cose, non vi partecipa più e rimane quindi al di fuori della relazione con gli uomini. L’Essere Supremo è raramente oggetto di venerazione e di culto. Ad esempio, il Dio del popolo kikuyu del Kenya, chiamato Ngai, si è ritirato in cima al monte Kenya e non partecipa più alle vicissitudini delle sue creature. Tuttavia, i Kikuyu pregano sempre rivolgendo il volto verso la montagna in segno di rispetto.

Il Dio creatore è allo stesso tempo buono e cattivo: incute timore perché i suoi rari interventi possono essere violenti, ma la gente gli è anche grata per la sua generosità.

La figura dell’Essere Supremo è l’entità più importante di una serie molto numerosa di esseri spirituali. Essi agiscono da mediatori tra l’Essere Supremo e gli uomini. Nelle religioni africane vari spiriti sono diventati più importanti dell’Essere Supremo, che è sentito come troppo lontano. È a loro che gli uomini si rivolgono per vedere esaudite le loro richieste. Gli spiriti si distinguono in spiriti di origine non umana e spiriti che dopo essere stati degli esseri umani sono diventati spiriti ancestrali.

Gli spiriti di origine non umana sono a volte collegati con determinati luoghi naturali, ad esempio lo spirito del bosco o lo spirito del mare. Tra gli spiriti più attivi e presenti per i luo del Kenya, ad esempio, vi è lo spirito del lago. Ciò si spiega con la vicinanza del lago Vittoria, sulle cui rive i luo vivono da molto tempo. Tra i dogon del Mali, lo spirito dell’acqua, chiamato Nommo, è considerato il progenitore dell’umanità, colui che ha insegnato agli uomini l’arte del fuoco e l’uso degli strumenti.

Gli spiriti della natura spesso non hanno una personalità ben definita, sono i guardiani del territorio dove vive una determinata popolazione e con la quale instaurano delle complesse relazioni sociali. Altri spiriti invece sono identificati con fenomeni naturali, come lo spirito del tuono, lo spirito del vento, della tempesta, della pioggia e così via. Tutte queste entità spirituali, che alcuni studiosi definiscono anche divinità secondarie, possono essere benefici o malefici o addirittura possedere una natura ambivalente. A volte sono amichevoli e ben disposti nei confronti degli uomini, altre volte possono essere molto ostili. Alcuni intervengono raramente, altri sono sempre presenti

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nella vita di tutti i giorni, alcuni si spostano facilmente mentre altri sono sedentari. Tutte queste entità spirituali si dispongono lungo una scala gerarchica per ordine di importanza, e la loro posizione codifica i rapporti tra di loro e tra loro e gli uomini. Alcuni di questi spiriti entrano in relazione con gli uomini attraverso la trance o la possessione. A volte esistono delle vere e proprie famiglie di spiriti che periodicamente possiedono una persona e le indicano in che modo agire per il bene del clan o della comunità intera. Si tratta ad esempio degli spiriti Bori tra gli haussa del Niger o dei Bisimba tra gli zela dello Zaire.

Alla categoria degli spiriti ancestrali appartengono invece gli antenati. La morte non trasforma automaticamente un parente in un antenato, ma sono necessari dei rituali accurati che in un certo senso accompagnano la persona deceduta nell’aldilà e gli permettono di acquisire la nuova essenza spirituale. Tra questi rituali ricordiamo il doppio funerale che prevede un periodo di tempo in cui lo spirito del defunto diventa maldisposto nei confronti dei vivi e solo il secondo funerale, che prevede una serie di offerte e di preghiere collettive, lo riappacifica con i suoi parenti.

In tutte le società africane il legame tra i vivi e i morti è molto forte: i defunti devono essere sempre tenuti in considerazione e appagati con offerte di vario genere. Essi mantengono saldamente le loro posizioni all’interno della struttura familiare e nulla incute maggior timore che il suscitare la loro ira. Gli antenati costituiscono la relazione più immediata con il mondo spirituale, sono in grado di garantire la prosperità, la salute, la fecondità ai loro discendenti. La struttura sociale dei Kikuyu del Kenya si riflette e si sdoppia nell’organizzazione del mondo degli antenati, chiamati Ngoma, tra i quali spiccano gli “antenati immediati” o Ngoma cia aciari. Essi comunicano prevalentemente con il capo famiglia, che deve offrire loro regolarmente offerte di cibi e di bevande. * Link a altri siti

http://www.agora.stm.it/chiamalafrica/RELIGIONI.html(in italiano, per bambini)

1.1.3.11. Shintoismo

Torii: portale di accesso a un santuario shintoista, formato da due stipiti verticali rossi sovrastati da altrettanti architravi, anch’essi rossi.

* Diffusione e localizzazione geografica

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Lo Shintoismo è praticato quasi esclusivamente in Giappone. È molto difficile stimare il numero complessivo degli shintoisti in quanto si può essere shintoisti e, contemporaneamente, aderire al Buddhismo. Secondo alcune vi sono circa 100 milioni di giapponesi che praticano una combinazione di Shintoismo e Buddhismo.

* Cenni storici

Lo Shintoismo è la religione autoctona del Giappone e non ha fondatore. In origine, lo Shintoismo era il frutto della mescolanza di riti, miti, credenze, tecniche divinatorie, usi e costumi profondamente radicati nella vita quotidiana del popolo giapponese. Dapprima tale complesso di pratiche e di credenze non portava nessun nome, e soltanto con l’avvento del Buddhismo in Giappone (nel VI secolo) venne a essere distinto con il nome di shinto (che significa “via degli dei”).

Dal VI all’VIII secolo lo Shintoismo e il Buddhismo ceosistettero pacificamente in Giappone, ma poi lo stato di simbiosi si tramutò addirittura in fusione. Nel XII secolo, lo Shintoismo si combinò anche con il Confucianesimo. Separato dagli altri culti a scopo politico, nel 1868 lo Shintoismo divenne praticamente la religione di Stato.

Nel Giappone contemporaneo non gode più di tale posizione privilegiata, in quanto l’attuale Costituzione garantisce a tutti i giapponesi l’assoluta libertà religiosa.

* Testi sacri

Sebbene lo Shintoismo non abbia dei veri e propri testi sacri, vi sono alcuni libri che raccolgono i miti e le tradizioni religiose del popolo giapponese: tra questi, i principali sono il Kojiki (“Memorie degli avvenimenti dell’antichità”), e il Nihon shoki (“Annali del Giappone”), scritti nell’VIII secolo, in cui si trova la storia del Giappone dalla sua creazione – per opera della coppia divina, Izanagi (maschio) e Izanami (femmina) – all’anno 697.

* Princìpi fondamentali

La filosofia di vita shintoista ruota intorno all’idea che vi sia un’armonia profonda tra gli esseri umani, la natura, e le numerose divinità che popolano l’universo.

Gli esseri divini si chiamano kami, sono generalmente benigni e proteggono coloro che si rivolgono a essi. I kami si identificano con numerosi oggetti naturali (montagne, ruscelli, animali, alberi, ecc.), con alcuni personaggi mitici o storici e con gli antentati.

Secondo la mitologia shintoista del Kojiki e del Nihon shoki, la famiglia imperiale (il cui primo imperatore è ritenuto Jimmu Tenno) discende direttamente dalla dea del sole Amaterasu, considerata come capostipite.

*Rapporti con le altre religioni

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Lo Shintoismo convive facilmente con le altre religioni e, difatti, molti shintoisti sono contemporaneamente devoti al Buddhismo. Si tratta di una religione che non incoraggia il proselitismo poiché è considerata inadatta ai popoli non giapponesi.

* Link ad altri siti

http://www.religioustolerance.org/shintoism.htmhttp://www.trincoll.edu/~tj/tj4.4.96/articles/cover.html http://dir.yahoo.com/Society_and_Culture/

1.1.3.11. Sikhismo

Khanda: simbolo che rappresenta il potere creativo universale. Al centro c’è una lama a due tagli, simbolo del potere onnipotente del Creatore; il cerchio simboleggia l’infinito; le due lame all’esterno stanno per l’equilibrio spirituale e temporale dell’universo.

* Diffusione e localizzazione geografica

I sikh nel mondo sono circa 18 milioni e vivono per lo più nella regione indiana del Punjab. Fuori dall’India, le più grandi comunità sikh si trovano in Nord America (Stati Uniti e Canada) e in Gran Bretagna.

* Cenni storici

Il fondatore della religione sikhista è il guru Nanak Dev (1469-1539) che, dopo avere ricevuto l’illuminazione a Sultanpur, trascorse il resto dei suoi anni a viaggiare per l’India cantando le poesie religiose che lui stesso aveva composto, e che successivamente furono registrate per iscritto e inserite nel canone sikhista. Attorno al guru Nanak si raccolse una comunità di discepoli (Sikh = “discepolo”), tra i quali egli scelse il proprio successore, Guru Angad. In tutto, i successori del primo guru furono dieci: all’epoca del quinto guru, la struttura della comunità sikh si fece più marziale, in seguito alle persecuzioni subite a opera dei Moghul, gli imperatori musulmani dell’India. Il decimo guru, Gobind Singh (1666-1708), fondò l’ordine militante dei Khalsa (“i puri”) e decretò che, dopo di lui, non ci sarebbe stato un altro guru in quanto l’autorità religiosa veniva trasferita al testo sacro, l’Adi Granth.

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* Testi sacri

Il testo sacro del Sikhismo è l’Adi Granth (noto anche come Guru Granth Sahib), una raccolta di quasi seimila inni, composti dai primi cinque guru, curata da Arjan Dev (il quinto guru) nel 1606. Le 1430 pagine dell’Adi Granth comprendono inoltre alcuni inni di santi bahkti e di sufi musulmani.

* Princìpi fondamentali

Il Sikhismo si ispira ad alcuni princìpi dell’Induismo e dell’Islam, pur essendo una religione autonoma e a sé stante. Dall’Induismo trae la credenza nella trasmigrazione delle anime (samsara) e degli effetti delle azioni sulle vite successive (karma). L’obiettivo ultimo è di interrompere il ciclo delle rinascite (cfr. Induismo, Buddhismo, Giainismo), tranne che la liberazione non è vista come un annullamento del sé, bensì come una congiunzione con Dio, che è Uno e indivisibile. Tale congiunzione si ottiene tramite il retto comportamento e la fede in Dio. Come i musulmani, i sikh credono che Dio abbia creato il mondo e che la Sua volontà governi ogni cosa.

Secondo il Sikhismo, tutti gli esseri umani sono uguali di fronte a Dio (dunque viene rifiutato il sistema castale): questo principio implica l’abolizione del clero (ogni sikh può leggere il Guru Granth Sahib, a casa o al tempio) e la parità tra uomo e donna (le donne possono guidare la congregazione in preghiera e diventare “leonesse della fede” al pari degli uomini).

Contrario a ogni forma di ascetismo, al celibato, al formalismo dei rituali e al culto delle immagini, il Sikhismo invita i propri seguaci a raggiungere un equilibrio tra gli obblighi spirituali e quelli temporali. La condivisione dei beni è ritenuta una parte importante della vita quotidiana.

I khalsa sono guerrieri, oltre che credenti e capifamiglia, e credono nella legittimità della “guerra santa”, intesa come strumento per combattere le ingiustizie. Chi entra nei khalsa è tenuto a portare sempre con sé le “cinque k”: kesh (capelli mai tagliati: chi se li taglia è un rinnegato); kacha (pantaloncini corti), kirpan (pugnale), kara (bracciale di ferro) e kanga (pettine).

*Rapporti con le altre religioni

Sebbene il Sikhismo sia molto critico nei confronti di altre religioni, i guru hanno sempre dichiarato di credere nella libertà religiosa in quanto ciò che più conta è la condotta morale che l’individuo mantiene nel corso della sua vita terrena e la sua fede in Dio (o in un principio di divinità). Ciò significa che, per il Sikhismo, persone di religioni diverse possono raggiungere la salvezza dell’anima pur rimanendo all’interno della propria religione.

Nella pratica, tuttavia, la storia dei sikh è stata segnata dal conflitto con i musulmani e con gli induisti.

* Link ad altri siti

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www.religioustolerance.org/sikhism.htmsito ufficiale: www.sikhs.orgwww.mantraonline.com/channels/religion/sikhism.html

Per le altre religionihttp://www.religioustolerance.orghttp://dir.altavista.com/Society/220727/220725.shtmlhttp://www.cesnur.org/

1.2. ESEMPI

Manifestazioni religiose

Ciascuna tradizione religiosa prescrive una serie di comportamenti ai propri credenti: alcuni riti hanno una frequenza quotidiana, altri caratterizzano alcuni periodi specifici dell’anno, altri ancora segnano le tappe particolari della vita dei membri della comunità religiosa. Nei paragrafi che seguono troverete alcuni esempi di cerimonie religiose: se volete aiutarci a rendere più completa la nostra antologia, inviateci altri esempi.

- liturgia quotidiana - feste annuali - cerimonie che segnano le tappe fondamentali della vita - pellegrinaggi - luoghi di culto

1.2.1. Liturgia quotidiana

La giornata di ogni credente praticante è cadenzata da alcuni momenti specificamente dedicati alle manifestazioni di venerazione e all’esecuzione di determinate procedure rituali che la tradizione prescrive ai suoi fedeli.

Ogni giorno i musulmani devono fare la loro professione di fede (attraverso la formula “Non c’è Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta”) e devono pregare cinque volte (all’alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e la sera), volgendosi in direzione della Mecca. L’ora

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della preghiera è annunciata dal canto del muezzin e, prima di pregare, i devoti devono compiere le abluzioni rituali.

La preghiera musulmana è composta da momenti ben precisi e inalterabili:1. il credente dichiara, in piedi, l’intenzione di pregare2. pronuncia, alzando le mani, la formula: “Iddio è il più grande”3. recita la prima sura del Corano, detta la Aprente (in arabo al-Fatiha) 4. flette il busto in avanti in modo che le palme delle mani arrivino all’altezza

delle ginocchia5. risolleva il corpo6. si prosterna una prima volta in modo che prima le ginocchia, poi le mani e

infine la fronte tocchino il suolo7. si mette in ginocchio8. si prosterna una seconda volta.

Le posizioni 3 - 8 costituiscono un’unità di preghiera (in arabo rak’a), il cui numero varia a seconda dell’ora in cui viene svolta la preghiera. Le fasi finali della preghiera sono:9. posizione in ginocchio con recitazione della professione di fede e della

preghiera di benedizione di Maometto “Iddio lo benedica e gli dia l’eterna salute” e, infine,

10. inchino conclusivo a destra e a sinistra pronunciando le parole “Pace a voi e misericordia a Dio”.

Spesso, c’è una preghiera speciale che racchiude alcuni princìpi fondamentali della determinata religione: così, per gli ebrei la principale preghiera quotidiana è lo Shema’ Israel: recitata tre volte al giorno (la mattina, pomeriggio, e prima di andare a dormire), questa preghiera è inoltre iscritta sulla mezuzà, la pergamena fissata allo stipite destro di ogni porta. Per pregare, gli uomini si coprono il capo con la kippa, e indossano il talith (lo scialle), i tefillin (i filatteri), che sono due piccoli astucci di cuoio nero che devono essere legati uno al braccio sinistro e l’altro sulla fronte, e il talleth (un mantello a quattro angoli). Durante i giorni feriali sono previste tre preghiere comuni in sinagoga: una mattutina, una pomeridiana e una serale. La preghiera può essere officiata da ogni maschio sopra i tredici anni che sia a conoscenza del rituale, in un gruppo di almeno dieci persone (minyan).

In duemila anni di storia le diverse chiese cristiane hanno prodotto forme e testi di preghiera innumerevoli. La preghiera cristiana per eccellenza, comune a tutte le chiese di tutti tempi è però il Padre nostro che Gesù stesso ha insegnato ai suoi più stretti discepoli e che si trova nel Vangelo di Matteo e nel Vangelo di Luca. Il Cristianesimo conosce forme di preghiera libera e personale e forme di preghiera istituzionale obbligatoria. La preghiera istituzionale e pubblica è quella che si pratica settimanalmente da

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parte di tutta la comunità riunita la domenica mattina durante la celebrazione della cena del Signore che nel Cattolicesimo prende il nome di Messa.  Non esistono altre forme di preghiera obbligatoria, anche se è molto diffusa in tutte le forme di Cristianesimo l’usanza di pregare appena alzati e prima di andare a dormire o prima dei pasti. Ugualmente molto diffusa è una breve preghiera per i defunti. Ma ogni chiesa e ogni tradizione ha preghiere differenti per queste occasioni. La Bibbia contiene 150 salmi che sono sempre stati usati dai cristiani per la preghiera personale e per quella istituzionale, soprattutto da parte dei sacerdoti e dei pastori.

La preghiera istituzionale si recita in piedi, e in particolare il Padre nostro, che è la preghiera di tutta la comunità. Altrimenti i cristiani sogliono pregare in ginocchio e con le mani giunte. Nelle chiese orientali è molto diffusa una preghiera silenziosa e ininterrotta. La preghiera è indirizzata a Dio Padre, a Gesù Cristo e allo Spirito Santo, le tre persone della Santissima Trinità. Esistono tuttavia preghiere indirizzate anche a Maria Vergine, madre di Gesù e ai grandi Santi del passato ai quali i cristiani chiedono di intercedere presso Dio. Tra le preghiere indirizzate dai cattolici alla Vergine la più celebre è l’Ave Maria che, ripetuta cinquanta volte (in 5 gruppi di 10) ha dato vita al cosiddetto Rosario, una forma di orazione popolare estremamente diffusa nel Cattolicesimo dopo il XV secolo.

Esistono moltissime preghiere (mantra) con cui gli induisti omaggiano e invocano le proprie divinità, per esprimere la propria dedizione (bhakti) nei loro confronti o per chiedere loro aiuto materiale o morale. Presso i vishnuiti, ad esempio, sono molto frequenti le litanie (kirtana) nelle quali il nome divino viene ripetuto innumerevoli volte: si pensa, infatti, che l’invocazione del nome divino, se accompagnata da un vero impegno interiore, aiuti il devoto a entrare in rapporto diretto con il dio. Spesso, la preghiera è accompagnata da gesti rituali, come le mani giunte o la danza estatica. Il mantra più diffuso è la sillaba om, unita al nome di una divinità.

Per i giainisti, la via che porta alla salvezza si percorre praticando le virtù e l’ascesi interiore ed esteriore, ed è strettamente individuale. Vi sono molti inni e formule sacre per lodare e per onorare i ventiquattro Jina. La preghiera più importante è il Navkar Mantra, che può essere recitato in qualunque momento della giornata.

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Nella casa dei buddhisti praticanti c’è in genere un altare in cui è posta un’immagine del Buddha, a cui ogni giorno vengono presentate delle offerte simboliche (frutti, acqua, incenso). Nei paesi in cui è forte il culto degli antenati (come la Cina e il Giappone), accanto alla statua del Buddha vengono esposte le fotografie o le tavolette dei parenti defunti. La preghiera consiste, oltre che nella recitazione di antiche lodi al Buddha nelle sue varie manifestazioni, nella lettura di parti di discorsi del Buddha (sutra), e nella proclamazione del rifugio (per i Theravada) o dei voti del Bodhisattva (per i Mahayana): il tutto è salmodiato ritmicamente e, talvolta, accompagnato da piccoli strumenti a percussione. Per meditare, i buddhisti assumono la “posizione del loto” (seduti a terra con la schiena dritta e le gambe incrociate).

1.2.1.1. I giorni sacri

Alcuni giorni della settimana ricoprono un ruolo importante per le diverse religioni: il venerdì per i musulmani, il sabato per gli ebrei e la domenica per i cristiani. Sono giornate in cui vengono sospese le attività lavorative quotidiane per dedicarsi al riposo e alla preghiera.

Il mezzogiorno del venerdì (che per i musulmani è il giorno dell’adunanza), i musulmani vanno alla moschea per pregare, per leggere brani del Corano e per ascoltare la predica dell’imam. Va ricordato che, anche se secondo la tradizione musulmana la creazione fu fatta in sei giorni, il Corano nega che Dio si sia riposato il settimo giorno. Quindi, sebbene ormai – sulla scia dell’uso occidentale – sia invalso l’uso di considerare il venerdì una giornata di riposo, la tradizione musulmana prevede solo una sosta degli impegni lavorativi per la durata della preghiera.

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Lo shabbat (sabato) è il giorno sacro degli ebrei, in cui ci si astiene dal lavoro per dedicarsi al riposo e a Dio, in ricordo del “riposo divino” dopo la creazione e per commemorare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Ha inizio il venerdì al tramonto, quando la padrona di casa accende le due candele sabbatiche e il capofamiglia recita il Qiddish, la preghiera di lode e di benedizione, all’inizio della cena. Nella Mishna sono elencate trentanove attività lavorative proibite durante il Sabato. Attualmente il riposo sabbatico viene rispettato in modi diversi dai vari gruppi che compongono l’Ebraismo: per gli ortodossi al Sabato è ad esempio vietato l’uso dell’automobile, l’accensione e lo spegnimento di qualsiasi luce, mentre per gli ebrei di fede riformata queste attività sono permesse.

La festività cristiana per eccellenza è quella settimanale della domenica, che significa “giorno del Signore” perché ricorda la risurrezione di Gesù avvenuta appunto di domenica. In essa si celebra il ricordo della cena del Signore che nel Cattolicesimo prende il nome di Messa. Questa celebrazione si divide in due parti: nella prima vengono lette parti dell’Antico e del Nuovo Testamento, secondo un ciclo di lettura annuale o triennale, secondo le tradizioni. Alla lettura dei brani biblici segue una omelia (spiegazione, commento o riflessione religiosa) da parte di un sacerdote (nella chiesa cattolica, in quella ortodossa e nelle chiese orientali) oppure da parte del pastore (nelle chiese protestanti). Nella seconda parte, la celebrazione dell’eucaristia, viene ripetuto un momento essenziale dell’ultima cena dei Gesù con i suoi discepoli, durante il quale egli diede ai suoi discepoli del pane da mangiare e del vino da bere che rappresentano il suo corpo e il suo sangue. Il pane e il vino vengono distribuiti tra i fedeli  in uno dei momenti più intensi di questa liturgia, che prende forma diverse nelle varie chiese e che nelle varie epoche è stata spesso sottoposta a variazioni e riforme, pur conservando nelle sue due parti principali un nucleo sostanzialmente affine.

1.2.2. Feste annuali

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Le feste, che spesso hanno un’origine religiosa, sono delle celebrazioni che ricorrono di anno in anno e che coinvolgono tutta una comunità. Durante le feste, si sospendono le attività lavorative quotidiane per far posto ad altre attività, come l’incontro con altre persone, la preparazione di cibi speciali, il ballo, il gioco, lo scambio di doni, ma anche la preghiera e la riflessione. Una delle funzioni principali delle feste è di fornire l’occasione per riaffermare – attraverso rappresentazioni simboliche, come la danza, la lettura dei testi sacri o i riti collettivi – i princìpi fondamentali della tradizione in cui si inseriscono, o per commemorare gli eventi più importanti della storia della comunità religiosa che le celebra.

Il corso dell’anno ebraico è costellato da una serie di grandi feste e ricorrenze religiose. Tra queste, le principali sono: la festa di Pesach (che ricorda la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto), da cui deriva la Pasqua cristiana; la festa delle settimane (Pentecoste), o Shavuòt, che si celebra 50 giorni dopo Pesach e ricorda la rivelazione del Sinai; e la festa delle capanne, o Sukkot, con cui si ricordano i quarant’anni di peregrinazioni del popolo ebraico nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto. Nell’antichità, quando funzionava ancora il tempio di Gerusalemme, queste tre feste (dette anche feste gioiose) prevedevano un pellegrinaggio a Gerusalemme.

Un secondo gruppo di feste, dette austere, sono dedicate al pentimento: la prima (in ordine di tempo) è Rosh ha-shanah (il Capodanno ebraico), che ricorda simbolicamente la creazione dell’uomo; la seconda è il Giorno dell’espiazione, o Yom Kippur, che chiude il periodo di Rosh ha-Shanah ed è dedicata al digiuno, al pentimento e alla preghiera.

http://aish.com/holidaysIn questo sito si trova una spiegazione delle varie festività ebraiche.

Le festività cristiane fondamentali sono la Pasqua, che ricorda la risurrezione di Gesù Cristo e che non è altro che una cristianizzazione della pasqua ebraica; la Pentecoste, che ricorda la discesa dello Spirito santo sui discepoli di Gesù poco dopo la morte di lui, che si celebra 50 giorni dopo la Pasqua e che anch’essa rielabora una precedente festa ebraica; e il Natale, che ricorda la nascita di Gesù, e si celebra (nelle chiese di tradizione cattolica o protestante) il 25 dicembre: presso i cattolici e i protestanti, il Natale è diventato la festività più popolare, più ancora della stessa Pasqua, che dal

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punto di vista religioso era in origine molto più rilevante (e rimane dal punto di vista teologico la più importante). Tuttavia nella Chiesa ortodossa e nelle chiese orientali non il Natale, ma l’Epifania è la festa più rilevante accanto alla Pasqua. http://www.catholicliturgy.com/seasons/liturgicalcalendar.asp(calendario liturgico cattolico)

Le principali festività musulmane sono le cosiddette “due feste”: la “festa grande” (in arabo al-‘id al-kabir), nota anche come festa dei Sacrifici, che commemora nell’Islam il sacrificio di Ismaele, e la “festa piccola” (in arabo al-‘id al-saghir) che è la festa di rottura del digiuno di ramadan. Un’altra festività importante è quella della nascita di Maometto (in arabo al-Mawlid) che si tiene il dodicesimo giorno del terzo mese dell’anno musulmano.

http://www.arab.it/calendario/calendario1421.htm (calendario islamico)

Il calendario delle feste induista è ricchissimo e varia di regione in regione. Alcune feste commemorano la nascita di una divinità, come Ramanavami (marzo-aprile), che celebra la nascita di Rama, Janmastami (in agosto-settembre), che festeggia la nascita di Krishna, ed è celebrata principalmente dai vishnuiti, e Ganeshacaturthi (anch’essa in agosto-settembre), che celebra nascita del dio elefantino Ganesh. Altre feste importanti sono Mahashivaratri (“la grande notte di Shiva”), celebrata in febbraio-marzo, Holi (una specie di festa di primavera, simile a un carnevale), Nagapamcami (in luglio-agosto), che commemora l’uccisione del serpente Kaliya da parte di Krishna, Navaratri (in settembre-ottobre), in onore della sconfitta del demone Ravana a opera di Rama, e Divali (in ottobre-novembre), la festa delle luci.

http://www.theindianculture.com/Indyaculture%20fairs%20&%20festivals/dola%20parva.htmFestività induiste

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Ogni anno, la prima notte di luna piena del mese di maggio, i buddhisti di tutto il mondo celebrano la nascita, il risveglio e la morte del Buddha (questa festa si chiama Vesak, dal nome del mese nel calendario indiano).Ci sono molte festività buddhiste che vengono celebrate in modi diversi e in date diverse nei vari paesi: ad esempio, il Capodanno buddhista viene festeggiato in aprile nei paesi della tradizione Theravada, e in gennaio-febbraio dai buddhisti Mahayana.

Per una descrizione delle festività buddiste,http://www.buddhanet.net/history/festival1.htm

Vi sono numerose festività shintoiste. Tra le principali, ricordiamo: la festa propiziatoria del raccolto (all’inizio dell’anno), la commemorazione della morte dell’imperatore Jimmo (30 giugno), la festa dell’assaggio del nuovo riso (17 ottobre), i giorni della purificazione (fine di dicembre).

Per le festività di altre religioni, Link ad altri siti: http://www.cs.colostate.edu/~malaiya/calendar.html(festività giainiste); http://www.sikhs.org/dates.htm (calendario sikh)…

1.2.3. Cerimonie che segnano le tappe fondamentali della vita

Ogni religione elabora alcune procedure cerimoniali per segnare le principali tappe della vita delle persone che si identificano in esse. Le tappe sono la nascita, l’ingresso nella società adulta, il matrimonio, e la morte. Le cerimonie rinsaldano il senso di appartenenza alla comunità religiosa e creano un senso di continuità con la tradizione passata, oltre a fornire delle occasioni di socializzazione per i membri del gruppo.

1.2.3.1. Nascita e ingresso nella società adulta

La nascita di un bambino viene spesso celebrata con una cerimonia che saluta l’arrivo di un nuovo membro della comunità religiosa: è questo il senso del battesimo cristiano o della circoncisione ebraica. Generalmente l’adesione della persona ai princìpi della tradizione religiosa viene confermata

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con una cerimonia di “iniziazione”, che segna il suo ingresso nell’età adulta (v. bar-mitzva ebraico, prima comunione cattolica, etc.). In alcuni casi (ad esempio, per i sikh), l’iniziazione viene differita fino al momento in cui l’individuo raggiunge l’età adulta e la maturità necessaria per decidere se è disposto ad abbracciare la data religione.

Il battesimo segna l’ingresso del bambino nella comunità dei cristiani: vestito di bianco (che simboleggia la purezza), il neonato viene condotto in chiesa dalla madre; dopo avere letto un testo del Vangelo, il sacerdote versa per tre volte l’acqua del fonte battesimale sul capo del bambino, dicendo “Io ti battezzo, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Gli ortodossi e alcuni protestanti compiono il battesimo per immersione.

Nella chiesa cattolica, verso i sette anni, dopo un insegnamento religioso, il bambino conferma la propria adesione alla fede cristiana attraverso la cerimonia della prima comunione e, poco più avanti, con la cresima o confermazione.

http://www.catholicliturgy.com/the_mass/nobaptism.shtml(rito del battesimo)

L’Amrit Sanskar sikh è la cerimonia che segna l’iniziazione nella confraternita dei khalsa (l’ordine militante dei “puri”). Ad essa vengono sottoposti gli uomini e le donne di qualunque estrazione sociale (anche provenienti da fedi diverse) che, consapevolmente, hanno deciso di aderire ai princìpi della comunità sikh. L’iniziando si lava i capelli e indossa le “cinque k” prima di presentarsi di fronte a sei sikh già battezzati, uno dei quali legge l’Adi Granth mentre gli altri cinque conducono la cerimonia. Gli vengono spiegati i princìpi del sikhismo. In una ciotola di metallo viene preparata dell’acqua zuccherata (amrit) la quale è mischiata con un kirpan (il pugnale sikh) dai cinque sikh cerimonianti, che simboleggiano i cinque discepoli del primo guru. L’iniziando beve l’amrit per cinque volte, pronunciando una formula cerimoniale. L’amrit viene poi spruzzato sui capelli e sugli occhi dell’iniziando e ciò che ne resta viene bevuto da tutti i presenti. Dopodiché, viene fornita una spiegazione del codice di comportamento dei khalsa: l’obbligo delle “cinque k”, il divieto di mangiare carne halal (macellata secondo i riti musulmani), il divieto di fare uso di tabacco e altre sostanze intossicanti, l’obbligo di fedeltà coniugale. Infine, tutti i partecipanti mangiano il dolce sacro dei sikh da una ciotola comune.

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Tradizionalmente, il trentunesimo giorno di vita per i maschi, e il trentatreesimo per le femmine, i neonati shintoisti venivano presentati al kami (alla divinità) del santuario locale per chiedere la sua protezione. Oggi, questa usanza si sta perdendo in Giappone.

All’ottavo giorno dalla nascita, i bambini ebrei maschi vengono circoncisi: l’intervento chirurgico è praticato da un esperto del rito, chiamato mohel. Il senso di questa cerimonia è di rinnovare il patto tra Dio e il suo popolo. Il giorno della circoncisione, il bambino riceve pubblicamente il proprio nome.

A tredici anni avviene il passaggio dei bambini maschi nell’età adulta, sancito dalla cerimonia del bar mitzvà (“figlio del precetto”). In questa occasione il ragazzo indossa per la prima volta il talleth (manto) per la preghiera e i tefillin (filatteri). In sinagoga egli deve leggere tutta la parte della Torah prescritta per quel giorno.

Per l’ebraismo ortodosso alle bambine non è riservato alcun rito speciale. Dal XIX secolo in poi, l’Ebraismo riformato ha introdotto una cerimonia religiosa anche per le bambine di dodici anni, il bat mitzvà (“figlia del precetto”).

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Nell’Islam l’iniziazione esiste solo nel caso della conversione. Il figlio di un uomo musulmano è automaticamente musulmano dalla nascita. In caso di conversione è sufficiente pronunciare davanti a testimoni la professione di fede. La circoncisione dei neonati maschi è una pratica molto diffusa presso i musulmani, sebbene non sia strettamente obbligatoria. In alcuni paesi musulmani africani alle bambine viene ancora praticata l’infibulazione (o cliterectomia), un’operazione chirurgica molto dolorosa e mutilante che ha origini pre-musulmane (infatti il Corano non ne parla).

1.2.3.2. Matrimoni

In tutte le tradizioni religiose, il matrimonio è visto come un’occasione gioiosa in quanto si suppone che preluda alla nascita di nuovi membri della comunità. Sebbene tutte le religioni auspichino che il legame coniugale sia durevole, solo alcune di esse prevedono che esso sia inscindibile. In alcuni casi, è previsto che uno dei coniugi (solitamente l’uomo) sia sposato con più persone contemporaneamente. Durante le cerimonie di nozze, agli sposi vengono ricordati i propri doveri coniugali, che spesso differiscono tra i due sessi.

Il matrimonio e la procreazione fanno parte dei doveri degli uomini e delle donne ebree. Il rapporto tra marito e moglie è monogamico (non si può essere sposati a più di una persona per volta) ma non è inscindibile (è possibile divorziare).

Se un uomo o una donna non ebrei vogliono sposare un ebreo devono convertirsi alla religione ebraica. Il matrimonio misto, senza previa conversione di uno dei due, è tuttavia riconosciuto dall’Ebraismo riformato, che richiede solo una promessa di crescere i figli nel rispetto della cultura ebraica.

Il rito matrimoniale si suddivide in due parti:1) il kiddushin, in cui lo sposo mette al dito della sposa un anello d’oro e

viene letto il contratto matrimoniale (la ketubbah), in cui sono specificati gli obblighi dell’uomo e l’indennizzo che deve pagare alla moglie in caso di divorzio.

2) Il nissuim, cioè le nozze, con l’invocazione delle sette benedizioni in presenza di almeno dieci adulti maschi. Dopo che la sposa e lo sposo hanno bevuto da un bicchiere di vino, lo sposo deve rompere il bicchiere schiacciandolo con un piede, per evocare la distruzione del tempio di Gerusalemme.

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In tutte le forme di Cristianesimo non è obbligatorio sposarsi, perché il celibato religioso e la vita monastica sono state spesso considerate (con l’eccezione del Protestantesimo) le forme religiose più perfette. Nella Chiesa ortodossa, in quelle orientali e nel Cattolicesimo, il matrimonio è considerato un sacramento, cioè un atto religioso nel quale interviene Dio stesso a comunicare la propria forza divina (grazia). Molte chiese, come quella cattolica, affermano l’indissolubilità del matrimonio (ma non quelle protestanti, che ammettono il divorzio). Il Cristianesimo insiste molto sul dovere di fedeltà reciproca assoluta tra i coniugi, sul dovere di coabitazione, di collaborazione e dedizione reciproca totale soprattutto nelle situazioni di difficoltà.

Procreare figli a è fortemente incoraggiato. La limitazione delle nascite è mal tollerata (ad eccezione delle chiese protestanti, che la ammettono). I genitori devono  impegnarsi alla educazione religiosa cristiana dei figli. Per questo motivo i matrimoni con non cristiani sono osteggiati o permessi solo se il coniuge non cristiano si impegna a permettere una educazione cristiana dei nascituri.

Il matrimonio viene celebrato con una cerimonia religiosa assistita da un sacerdote o da un pastore. La cerimonia del matrimonio cristiano è molto semplice in quanto di per sé esige solo che i due coniugi si scambino reciprocamente l’impegno di fedeltà reciproca e permanente. Da un punto di vista strettamente religioso la presenza di un sacerdote o pastore non sarebbe neppure necessaria, poiché i “ministri” del matrimonio sono i due sposi. Ovviamente, essendo il matrimonio un fatto di grande rilevanza sociale, in tutte le Chiese si sono sviluppate solenni cerimonie matrimoniali che coinvolgono non la comunità religiosa, ma il gruppo sociale di cui gli sposi fanno parte. Tali cerimonie, estremamente varie nelle diverse epoche e culture, non costituiscono tuttavia il nucleo religioso del matrimonio cristiano.

Secondo la dottrina coranica classica, il matrimonio musulmano è regolato da un contratto in cui non figura la sposa, ma un suo curatore, e nel quale lo sposo si impegna a versare un dono nuziale. Il Corano dice che un uomo musulmano può sposare fino a quattro mogli. Il matrimonio con una donna non musulmana, ebrea o cristiana, è possibile poiché in ogni caso i figli sono automaticamente musulmani, mentre non è ammesso che una musulmana sposi un non musulmano. Il matrimonio si può sciogliere se il marito ripudia la moglie o se la moglie si riscatta dal marito (ovvero se la moglie compra il ripudio del marito).

Attualmente, in molti paesi musulmani (ad esclusione dell’Arabia Saudita e dell’Iran dove si rispetta ancora solo la legge coranica) si tende a

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salvaguardare maggiormente la volontà della donna. Spesso la poligamia viene limitata dalla legge (in Tunisia è espressamente vietata) poiché non sarebbe possibile trattare tutte le mogli in modo uguale, come ordina il testo coranico. Anche il ripudio da parte del marito è stato limitato e sottoposto a regole precise (nello Yemen il ripudio unilaterale è proibito). Sempre in materia di famiglia, è da ricordare il divieto dell’adozione nel mondo musulmano, ad eccezione della Tunisia.

La cerimonia del matrimonio è preceduta da quella del fidanzamento, quando, in presenza di un curatore matrimoniale (non necessariamente investito di una carica religiosa), il futuro sposo, i suoi famigliari maschi e i famigliari maschi della futura sposa scrivono il contratto, che stabilisce i nomi degli sposi e dei testimoni, la dote che la famiglia dello sposo dovrà pagare al padre della sposa, e le condizioni del divorzio. La ragazza non è presente durante la stesura del contratto, ma prima che questo venga firmato i testimoni si recano da lei per chiederle se è stata costretta ad accettare il matrimonio. Quando il contratto viene firmato, iniziano i festeggiamenti .

Il matrimonio induista è un rituale complesso che varia molto a seconda delle tradizioni locali e della casta a cui appartengono gli sposi. Il matrimonio, spesso preceduto da diverse cerimonie preparatorie, si svolge attorno a un fuoco, che rappresenta l’istituzione di un nuovo nucleo famigliare, sul quale vengono poste delle offerte di grano tostato. Durante la cerimonia, lo sposo conduce la sposa attorno al fuoco e entrambi fanno sette passi per sancire l’indissolubilità del matrimonio.

L’usanza del suicidio rituale delle vedove (o sati), che un tempo era molto diffusa, e che è stata espressamente vietata dalla legge indiana, non è del tutto estinta in alcune parti dell’India.

I matrimoni buddhisti sono delle cerimonie civili, anche se spesso gli sposi chiedono ai monaci di concedere la loro benedizione. La cerimonia è molto semplice e avviene di fronte a un altare con un’immagine del Buddha. La coppia, insieme agli altri partecipanti, recita il Vandana (omaggio), il Tisarana (triplice rifugio) e Panchasila (cinque precetti), accende le candele e i bastoncini di incenso e offre i fiori all’immagine del Buddha.

Generalmente, i giapponesi si sposano secondo i riti shintoisti. Dopo avere purificato lo sposo e la sposa, il sacerdote chiede ai kami (agli esseri divini) di proteggerli. Lo sposo e la sposa bevono poi il sakè (una bevanda alcolica distillata dal riso), riferiscono ai kami la loro unione in matrimonio e, davanti ai kami, promettono reciprocamente di formare una felice famiglia, di

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generare prole e di vivere insieme anche nei momenti difficili. La cerimonia si conclude con la presentazione reciproca dei membri della famiglia.

1.2.3.3. Funerali

I riti funebri servono contemporaneamente a mantenere un’unione tra i vivi e i defunti e ad attestarne l’inevitabile separazione. La persona morta non c’è più, ma allo stesso tempo continua a occupare un posto nell’esistenza dei vivi.

A seconda della concezione di ciò che accade dopo la morte, la scomparsa di un individuo assume un significato differente di religione in religione: per un cristiano, un musulmano e un ebreo la morte implica l’abbandono definitivo della vita terrena per ricongiungere l’anima a Dio, mentre per un induista, un buddhista, un giainista o un sikh significa rituffarsi nel ciclo eterno delle rinascite.

In generale, però, le cerimonie che commemorano la persona morta, e che dispongono del suo cadavere, svolgono alcune funzioni spirituali di grande importanza, tra cui dare supporto psicologico ai parenti e agli amici nell’elaborazione del lutto, accompagnare il defunto nel suo viaggio nell’aldilà, aiutare l’anima del morto per favorirne una buona reincarnazione (nelle religioni che credono nella trasmigrazione delle anime), conferire lo statuto di antenato alla persona deceduta (nelle religioni che praticano il culto degli antenati), rafforzare il sentimento di un destino comune a tutti i membri della comunità, fornire l’occasione per ribadire solennemente i princìpi di fondo della data tradizione religiosa.

Il rito funebre segna per gli induisti il passaggio da una ad altre forme di vita. Il morto viene purificato, avvolto in una veste nuova o pulita, ornato di fiori, e poi trasportato al crematorio con l’accompagnamento di canti e preghiere. Dopodiché viene nuovamente purificato e posto sulla pira. Spetta al figlio maschio maggiore, o a un parente stretto, il compito di accendere il fuoco. Alla fine le ceneri vengono raccolte e, spesso, disperse nelle acque di un fiume sacro.

In alcune delle tradizioni buddhiste, le cerimonie funebri sono estremamente importanti in quanto sono considerate l’estremo tentativo e l’ultima possibilità di aiutare la persona morta a reincarnarsi favorevolmente. Si ritiene infatti che il distacco dell’anima dal corpo sia un processo graduale e che, finché il cadavere è ancora integro (ossia, prima della cremazione), sia possibile intervenire sul karma dell’anima del morto con l’assistenza dei vivi.

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Per questo è usanza diffusa recitare testi sacri e insegnamenti religiosi in presenza del defunto.

Le cerimonie variano di paese in paese: in Thailandia, ad esempio, sono i monaci a celebrare i riti funebri, cantando i sutra che gioveranno al morto. I parenti e gli amici versano dell’acqua su una mano della persona deceduta e pongono il cadavere dentro una bara circondata da candele, incensi e luci colorate. Dopo qualche giorno (il periodo del lutto varia anche a seconda dei mezzi economici di cui dispone la famiglia) in cui parenti, amici, vicini e conoscenti si recano a onorare il morto, a pregare e a giocare a carte o a domino nella casa in cui è conservata la salma, avviene la cerimonia funebre vera e propria. Il funerale è accompagnato da un’orchestra, il cui compito è di rallegrare gli animi. Le scale di casa, da cui viene portata fuori la bara, sono coperte con foglie di banano per rendere insolito il percorso finale del morto. La processione verso il luogo della cremazione è guidata da un uomo che porta in mano un drappo bianco, seguito da alcuni anziani che trasportano fiori in ciotole d’argento, e poi da un gruppo di monaci che precedono la bara. Dopo i canti funebri, la bara viene posta su una pira di mattoni e coloro che partecipano alla cerimonia accendono la legna sottostante con candele e bastoni di incenso. Le ceneri vengono conservate in un’urna.

Il sikhismo considera la morte come un processo naturale attribuibile alla volontà divina. Di conseguenza, questa religione si oppone ogni manifestazione smodata del dolore durante i funerali, e inoltre viene scoraggiato il culto dei morti tramite lapidi e immagini (in quanto il corpo è ritenuto un mero involucro dell’anima). Il cadavere viene lavato e vestito per essere, solitamente, cremato; durante la cremazione, si cantano inni che suscitano un senso di distacco nei confronti dell’evento luttuoso e si prega; le ceneri vengono disperse nel fiume più vicino. Durante i dieci giorni successivi si legge l’intero Adi Granth.

Il colore del lutto in Cina non è il nero, come nei paesi occidentali, bensì

il bianco (più precisamente l’écru), ossia l’assenza di colore. Quando una persona muore, sulla porta della casa in cui viveva vengono appesi dei fogli quadrati di carta bianca. Sulle porte delle case dei vicini, invece, sono appesi dei foglietti rossi, simbolo di gioia della vita che continua. Vestiti di bianco, i parenti del morto accompagnano la bara verso il luogo della sepoltura, al suono dei gong e del violino a due corde. Prima dell’inumazione, una giovane donna, che indossa un costume bianco con ricami e frange rosse, danza di fronte alla bara per regalare al defunto un ultimo ricordo piacevole della vita terrena.

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Presso gli ebrei, il corpo del defunto viene ritualmente lavato ed avvolto in un lenzuolo bianco o vestito con abiti modesti, per essere deposto in una bara e seppellito (nelle zone orientali i corpi possono essere seppelliti senza bara). La cremazione dei corpi (una pratica che, nell’antichità, era piuttosto diffusa) è vietata dall’Ebraismo ortodosso, mentre è stata accettata dagli ebrei riformati.

Il defunto viene accompagnato al cimitero e posato nella tomba. I suoi famigliari, che dal momento del decesso fino alla sepoltura si sono astenuti dal mangiare cibo e dal bere vino, devono lacerare i propri abiti. Uno dei figli deve infine recitare il Qaddish, che verrà ripetuto per tutto il periodo del lutto, e a ogni ricorrenza anniversaria.

Il lutto si divide in tre fasi: durante i primi sette giorni di grande lutto, i parenti più prossimi devono compiere riti specifici, astenersi dal lavoro, e ricevere le visite di coloro che portano conforto. Per i successivi trenta giorni di lutto intermedio, i parenti maschi non si radono né tagliano i capelli. Dopo dieci o undici mesi ha luogo la commemorazione annuale che inaugura il monumento funebre, in genere una lapide con la data di morte e qualche frase commemorativa.

Presso i cristiani, la sepoltura dei morti è sempre accompagnata da una cerimonia religiosa: tuttavia, le cerimonie funebri variano molto a seconda delle Chiese, delle culture e delle epoche. Tra i diversi modi di disporre dei cadaveri, le Chiese cristiane hanno quasi sempre dato la preferenza all’inumazione e alla costruzione di cimiteri in zone circoscritte (che si trovano spesso dentro, fuori, o accanto alle chiese).

Un sacerdote o pastore presiede la cerimonia funebre. Una particolare liturgia (che varia con le chiese e le epoche) e particolari preghiere accompagnano l’inumazione, con lo scopo di raccomandare a Dio il defunto. La cosa fondamentale per il Cristianesimo è il destino ultraterreno del defunto, e non la sua sepoltura in quanto tale. Ciò che è importante è che il defunto possa accedere allo stato della felicità eterna e non incorrere nelle punizioni o nella condanna divina. Le diverse forme di cura e sepoltura del corpo del defunto, come anche quelle di partecipazione sociale alla cerimonia, sono perciò dovute più a fattori culturali che al nucleo religioso cristiano dell’evento.

Il rito funebre musulmano deve rispettare regole ben precise:1. il cadavere deve essere lavato per assicurarne la purità quando

verranno recitate le preghiere in suo favore;2. il cadavere deve essere in lenzuoli funebri, sempre in numero

dispari;3. su di esso viene recitata la cosiddetta preghiera del

seppellimento. Il defunto viene portato a spalla;

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4. il cadavere viene seppellito in una cavità, appoggiato sul fianco destro e il viso rivolto verso la Kaaba. Dopo che il cadavere è stato deposto si recita la professione di fede. Prima di essere riempita di terra la fossa viene chiusa con una grossa pietra.

1.2.4. Pellegrinaggi

Per molte religioni, il pellegrinaggio ai luoghi santi è una pratica molto importante e stimata, che i fedeli sono incoraggiati a compiere per manifestare la propria devozione.

I motivi per cui un induista intraprende un pellegrinaggio possono essere diversi: per compiere un voto, per chiedere alla divinità un bene sperato, per sancire la propria conversione, per celebrare un evento importante, per migliorare la propria condizione castale, ma anche – più indirettamente – come occasione di scambio culturale con persone nuove. Durante il viaggio, il pellegrino è tenuto a praticare la castità e a digiunare; arrivato al luogo santo, compie un’abluzione rituale e fa offerte ai mendicanti. Tra tutti i luoghi santi dell’Induismo (e, in particolare, dello shivaismo), il più importante è la città di Benares (Varanasi), dove molti pellegrini vanno per morire e per far disperdere le proprie ceneri nel fiume Gange.

Il pellegrinaggio alla Mecca è il quinto pilastro dell’Islam: ogni uomo adulto che abbia la salute e i mezzi per farlo, è tenuto a recarsi alla Mecca almeno una volta nella vita. Durante il pellegrinaggio, il musulmano non può radersi, né tagliarsi i capelli e le unghie.

Al pellegrinaggio sono legati vari riti e cerimonie.1. A venti chilometri dalla Mecca il credente si sottopone a una purificazione

rituale e indossa due pezzi di stoffa bianchi e senza cuciture, entrando così nello stato di consacrazione (in arabo ihram), recitando la seguente formula: “Eccomi a Te, eccomi a Te, o Dio. Tu non hai compagno, Tua è la lode e la grazia, Tuo il regno, eccomi a Te”.

2. Due giorni dopo il pellegrino raggiunge La Mecca, alla Grande moschea, ed entra nel cortile al centro del quale si trova la Kaaba – una costruzione in pietra ricoperta con un tappeto di broccato. Il credente compie sette giri rituali – in senso antiorario - intorno all’edificio e bacia la pietra nera incastonata nell’angolo esterno sud-orientale.

3. Il pellegrino si reca alle alture vicine e percorre per sette volte la distanza che separa il colle di Marwa da quello di al-Safa,

4. si dirige al villaggio di Mina,

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5. per poi recarsi nella valle di ‘Arafat, dove recita la preghiera di mezzogiorno.

6. Il terzo giorno tutti i pellegrini si recano a Mina dove lanciano sassi contro tre cumuli di pietra, gesto che vuole significare la lapidazione di Satana.

7. Sempre a Mina al pellegrino viene rasato il capo, restituendolo così allo stato profano.

Nell’Ebraismo antico, fino a quando esisteva e funzionava il Tempio, era previsto il pellegrinaggio a Gerusalemme tre volte all’anno, durante le feste di Pesach, Shavuot e Sukkot. Anche le donne vi prendevano parte.

Durante il periodo del Secondo Tempio i pellegrini che andavano a Gerusalemme erano numerosi: provenivano dalle zone della terra d’Israele e dalla Diaspora. Dopo la distruzione del Tempio, e fino ai nostri tempi, il pellegrinaggio a Gerusalemme continuò ininterrottamente: questo pellegrinaggio ha, così, contribuito a mantenere Gerusalemme, e il suo antico tempio distrutto, come uno dei simboli principali della memoria e dell’identità del popolo ebraico.

I cristiani nel Medio Evo ritenevano importante andare almeno una volta nella vita in pellegrinaggio a Gerusalemme, dove era stato crocifisso Gesù, anche se pochi potevano permetterselo. Moltissimi andavano in pellegrinaggio in grandi santuari, come Sant’Jago de Compostella. In questi santuari erano conservate le reliquie del santo protettore del luogo. Brevi pellegrinaggi in celebri santuari (o a Roma, per vedere e ascoltare il Papa) sono compiuti ancor oggi da molti cattolici.

Uno dei pellegrinaggi più consueti per i giapponesi di fede shintoista è quello alla città di Ise, dove si trova il santuario dedicato alla dea del sole Amaterasu, e alla vicina spiaggia di Futamigaura, con le sue due rocce in mare, le quali il 5 gennaio di ogni anno vengono unite da un’enorme fune di paglia per simboleggiare l’unione tra l’uomo e la donna.

1.2.5. I luoghi di culto

1.3. ESERCIZI

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1.3.1. Le feste

Farsi raccontare dai bambini quali sono le feste e i riti a cui partecipano più volentieri: cosa succede durante queste feste? Si mangia qualcosa di speciale? Si va in qualche luogo particolare? Cosa fanno gli uomini e cosa fanno le donne? Come vi sentite in queste occasioni? ecc.Raccontare le origini di queste feste e le storie che sono associate ad esse. Dove è possibile, confrontare le varie tradizioni, individuando somiglianze e differenze - es. Pasqua e Pesach.

1.3.2. Cosa sapete delle altre religioni?

Invitare i bambini a spiegare cosa sanno (e cosa pensano) delle religioni diverse dalla propria: molto probabilmente emergeranno alcuni pregiudizi dovuti all’ignoranza. Smontare i pregiudizi negativi attraverso una corretta informazione. Distinguere tra la religione in sé e le sue cattive applicazioni, strumentalizzazioni politiche, ecc.

1.3.3. Quali sono le religioni del vostro paese?

Individuare le religioni presenti nel proprio paese o nella propria area geografica e soffermarsi sulla storia di queste tradizioni. Se in classe ci sono bambini appartenenti a religioni diverse, evidenziarne i princìpi fondanti, le somiglianze e le differenze. Rimandare il discorso sui conflitti tra religioni diverse al punto 3.

1.3.4. I luoghi di culto

Visitare una chiesa, una moschea, una sinagoga, un tempio, ecc. (a seconda delle religioni presenti nel proprio paese). Prendere nota delle caratteristiche architettoniche di ciascun luogo di culto: tratti architettonici salienti, ambiente in cui sono inseriti i luoghi di culto (al centro della città oppure in campagna, in una zona delimitata oppure aperta, ecc.), presenza o assenza di decorazioni, dimensioni, suddivisione interna degli spazi (es. pulpito, altare, navate, ecc.) e funzione assegnata a ciascuno spazio, ecc. Se possibile, osservare anche il comportamento dei fedeli in preghiera. Chiedersi in che modo lo stile della costruzione e le posture dei devoti possono essere collegati ai princìpi della determinata fede religiosa (es. austerità delle chiese protestanti, suddivisione degli spazi per gli uomini e per le donne nelle sinagoghe, prosternazione degli musulmani, ecc.).

1.4. LETTURE

UGO VOLLI: Politeismo e monoteismo

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Il politeismo è la credenza in una pluralità di esseri superiori sovrannaturali, chiamati dei. Insieme all’animismo, che crede in una potenza sovrannaturale impersonale diffusa nel mondo, il politeismo è la forma religiosa più diffusa fra le società umane. Gli dei possono essere pensati in forme molto diverse, avere storie estremamente complicate o non essere neanche nominabili. Quel che conta è che essi sono al di là della natura comune, fatti di una sostanza diversa e dotati di poteri diversi dalla cose che ci circondano, ma pur sempre persone, cioè soggetti in qualche modo simili agli umani; e che essi sono molti e dunque almeno parzialmente in conflitto fra loro. Per il politeista la realtà si forma e si evolve per le azioni sovrannaturali degli dei e queste non seguono un piano unico, ma derivano dal conflitto e dalla concorrenza fra gli dei. Alcuni dei possono essere benefici, altri malefici, uno può controllare un certo aspetto della realtà o dell’esistenza (come il mare, la caccia, la bellezza), altri lo limitano dominando altri aspetti.

Una variante abbastanza rara del pensiero religioso, anche se ormai è dominante nel mondo, è il monoteismo, per cui la divinità è concepita come unica e insieme personale. Il suo credo principale è questo: esiste un dio, e uno solo. Magari egli può ammettere sotto di sé delle entità spirituali inferiori (angeli, santi, demoni), ma esse sono derivate da lui, non autonome. Il dio unico, raccogliendo in sé tutta la natura divina e una personalità (non è una forza, ma qualcuno, con una sua volontà, un sapere, dei sentimenti ecc.) è concepito di solito come fornito di alcuni attributi fondamentali: è il creatore del mondo, eterno, onnisciente, onnipotente, giusto, buono ecc.

La versione di monoteismo che domina nel nostro mondo, in diverse varianti (cristiana, musulmana, ebraica) è stata definita dal popolo ebraico circa tremila anni fa, ma nella storia delle religioni e delle filosofie si possono trovare altre forme di monoteismo, per esempio in Egitto, in India e anche nella Grecia classica, nel pensiero di Platone e di Aristotele. In effetti, il monoteismo, concependo un unico principio divino, si presta a un’analisi razionale della realtà nei termini di un principio, una ragione, un sistema etico e quindi allontana il sentimento religioso dalla fioritura pittoresca del mito, verso il pensiero. Il suo punto debole però consiste proprio nella difficoltà di dare ragione degli aspetti irrazionali e negativi della realtà. Se vi è un dio, infatti, egli è responsabile di tutto quanto accade, incluso il male e l’assurdo della vita, che per i politeisti possono derivare dall’azione di dei malvagi o anche solo dal conflitto fra gli dei.

Il pensiero della cultura europea è comunque profondamente influenzato dalla religione monoteista: la giustizia, la scienza, l’arte europee (e in genere occidentali) sono segnate dal privilegio accordato all’unità rispetto alla pluralità. Solo l’esistenza di una causa ben definitaci sembra una spiegazione completa, solo una forma chiusa soddisfa il nostro senso estetico, e così via. Politeismo e monoteismo non sono dunque solo delle teorie religiose, ma anche delle caratteristiche fondamentali dello stile di pensiero di una società.

Le preghiere62

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1.4.1. ISLAM: La sura Aprente

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!Sia lode a Dio, il Signor del Creato,il Clemente, il Misericordioso,il Padrone del dì del Giudizio!Te noi adoriamo, Te invochiamo in aiuto:guidaci per la retta via,la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, la via di coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell’errore!

1.4.2. EBRAISMO: Shema’ Israel (“Ascolta, Israele”)

Ascolta Israele, il Signore Dio nostro, il Signore è unico.Benedetto il nome della maestà del suo regno in eterno.E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con ogni tuo maggior potere. E saranno le cose che io ti comando oggi sul tuo cuore, e le inculcherai ai tuoi figlioli e ragionerai di quelle stando tu in casa, andando per via, coricandoti e levandoti. E le legherai qual segno sul tuo braccio e saranno qual frontale fra i tuoi occhi. E le ascriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città

1.4.2.3. CRISTIANESIMO: Padre nostro

Padre nostro, che sei nei cieli,sia santificato il tuo nome,venga il tuo regno,sia fatta la tua volontà,come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano,rimetti a noi i nostri debiticome noi li rimettiamo ai nostri debitori.Non c’indurre in tentazione,ma liberaci dal male.

1.4.4. GIAINISMO: Navkar Mantra

Mi inchino dinanzi ad ArihantaMi inchino dinanzi a SiddhaMi inchino dinanzi a AcharyaMi inchino dinanzi a UpadhyayaMi inchino dinanzi ai Sadhu alle Sadhvi

Questi cinque inchini

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Distruggono tutti i peccatiTra tutto ciò che è di buon auspicioQuesto Navkar mantra è il migliore

Arihanta = distruttore di nemici (passioni come l’ira, l’avarizia, l’inganno, ecc.)Siddha = l’anima liberata (coloro che hanno raggiunto il moksha, o liberazione)Acharya = i capi spirituali Upadhyaya = monaci (Sadhu) che hanno acquisito una conoscenza speciale delle sacre scrittureSadhu e Sadhvi = monaci e monache

2. BASIC IDEA: Taluni dicono che l’essere umano è per definizione un animale religioso

Gli esseri umani si chiedono come è nato il mondo, che cosa succede dopo la morte, perché si soffre, come si distingue il bene dal male, e molti rispondono in termini religiosi. Confrontando le varie tradizioni religiose ci si rende conto che i grandi interrogativi sono comuni a tutti, mentre le diverse risposte variano a seconda delle religioni.

2.1. APPROFONDIMENTI

2.1.1. Com’è nato il mondo?

Da millenni gli esseri umani si interrogano sulle origini dell’Universo, e si chiedono perché sono al mondo e come debbono comportarsi. Siamo stati creati per uno scopo, oppure la nostra presenza nel mondo è il risultato del caso?

Queste domande sorgono dalla constatazione comune che tutte le cose che conosciamo (dagli oggetti inanimati agli esseri viventi) abbiano cominciato a esistere in un dato momento per effetto di qualche causa. Ma qual è la Causa di tutte le cause?

Diverse culture hanno fornito varie risposte a tali quesiti comuni. La maggior parte delle tradizioni religiose ha elaborato dei “racconti dell’inizio”, o cosmogonie, che narrano la storia delle origini del mondo. In questa sezione citeremo alcuni di questi racconti, raccogliendo i testi originali nelle LETTURE.

Cosa dice la scienza?

Anche la scienza si pone molte delle domande affrontate dalle cosmogonie religiose. Ma mentre i miti della creazione si fondano su una Rivelazione tramandata a voce dagli avi o dai testi sacri, gli scienziati di ogni

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epoca storica partono dalle loro osservazioni sulla natura, attraverso gli strumenti di cui dispongono e, facendo vari esperimenti, propongono delle ipotesi circa le origini dell’universo. Di conseguenza, non esiste un’unica cosmogonia scientifica, formulata una volta per tutte, bensì un complesso di teorie che si inseguono e che si superano a vicenda nel tentativo di avvicinarsi progressivamente a una possibile ricostruzione dei “primi tre minuti dell’universo”.

Per alcune spiegazioni scientifiche molto divulgative si vedano le Letture. Una delle spiegazioni più accreditate (ma discussa da molti) è quella nota come “Big Bang Theory”, secondo la quale l’universo primordiale, estremamente caldo e denso, sarebbe nato da un’immane esplosione (Big Bang) che si sarebbe verificata contemporaneamente e in ogni punto dello uno spazio, più o meno quindici miliardi di anni fa. Questa esplosione avrebbe determinato l’inizio di una espansione tuttora in corso, dalla quale avrebbero avuto origine centinaia di miliardi di galassie (ciascuna composta da centinaia di miliardi di stelle).

Circa quattro miliardi e seicento milioni di anni fa, una nube gassosa si incendiò e diventò una stella: così nacque il nostro Sole, intorno al quale si formarono i nove pianeti del sistema solare. In uno di questi pianeti, la Terra, per effetto di una serie molto complessa di reazioni chimiche (ancora largamente sconosciute), si formarono le molecole base della vita. Da forme inferiori di vita si sarebbero sviluppate via via le forme superiori, sino agli animali che oggi conosciamo, e all’uomo.(Vai a Letture: Asimov e Weinberg)

Molte religioni accettano le spiegazioni scientifiche, ritenendo che non siano in contrasto con i loro testi sacri, anche se ammettono che questi testi parlavano in un modo che fosse comprensibile agli uomini dei tempi antichi. Altre assumono posizioni dette “fondamentaliste”, e ritengono vere solo le spiegazioni date dai testi sacri. (Vai a Lettura: Eco – fondamentalismo e integrismo)

Testi religiosi

Per le tre grandi religioni monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo, e Islam, Dio (che è infinito) ha creato l’universo (che è finito).

Il racconto biblico del Genesi (il primo libro della Bibbia) narra di come Dio diede origine al mondo in sei giorni, creando cielo e terra e separando la luce dalle tenebre (primo giorno), dividendo il cielo dal mare (secondo giorno), separando la terra – sulla quale fece crescere le specie vegetali – dalle acque (terzo giorno), creando il sole, la luna e le stelle (quarto giorno), dando vita a tutti gli uccelli e ai pesci (quinto giorno) e, il sesto giorno, facendo gli animali terrestri e gli esseri umani, questi ultimi creati a propria immagine e somiglianza affinché dominassero sulle altre sue creature.(Vai a Lettura: Genesi)

Per l’Induismo l’universo è eterno e il cosmo non è stato creato, né sparirà, ma attraversa fasi cicliche in cui esso si fa e si disfa. Dopo un periodo

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di espansione progressiva, che dura milioni di anni, l’universo (o l’Essere) si contrae per altri milioni di anni, fino a tornare a un Non-Essere che non è propriamente un Nulla, ma è Caos (o assenza di organizzazione). Dopodiché, da questo Non-Essere, che è un residuo di Essere virtuale o potenziale, si passa a un’altra fase di espansione, e dunque a un’altra fase ciclica dell’universo.

È in questa concezione di universo infinito che vanno inquadrati i racconti vedici circa le origini del mondo. Nei Rigveda (X, 129), la domanda sulle origini dà luogo a una riflessione filosofica molto perplessa sul mistero della connessione tra l’essere e il non-essere. (Vai a Lettura: Rigveda X, 129)

In un altro inno vedico (Rigveda, X, 90) si narra di come il Purusa, un gigante dalle mille teste, dai mille occhi e dai mille piedi, fu sacrificato come offerta, e di come dalle sue parti ebbero origine tutte le cose.(Vai a Lettura: Rigveda X, 90)

Il motivo della creazione come smembramento di un essere enorme si ritrova anche in un racconto tradizionale cinese, secondo il quale tutto ha origine dal gigante Pangu, il primo essere vivente, che alla nascita si frappose come un pilastro tra il cielo e la terra per evitare che essi si riunissero. Alla sua morte, le diverse parti del suo corpo diedero origine ai fenomeni naturali e a tutte le forme di vita: il vento e le nuvole nacquero dal suo respiro, il tuono e i lampi dalla sua voce, il sole dal suo occhio sinistro, la luna dall’occhio destro, i punti cardinali e le montagne dagli arti e dal tronco, i fiumi dal suo sangue, le strade dalle sue vene, la terra dalla sua carne, le stelle dai capelli, i metalli e le pietre dalle ossa e dai denti, la rugiada dal suo sudore e gli esseri umani dai parassiti sul suo corpo.(Vai a Lettura: Il Gigante Pangu)

L’azione creatrice può assumere diverse forme: talvolta essa è concepita come il gesto di modellare una sostanza primordiale. Così, gli indiani yakima raccontano di come il Grande Capo Lassù abbia creato le montagne con manciate di fango, e con lo stesso materiale abbia plasmato i primi esseri umani. (Vai a Lettura: La creazione del mondo yakima)

Per lo Shintoismo l’origine del mondo (che coincide con l’origine del Giappone) si ebbe quando il dio Izanagi, con la sorella Izanami, mescolò con una lancia la massa informe della terra fino a farla coagulare: dalle gocce che si formarono sulla punta della lancia nacquero le principali isole giapponesi. Poi Izanagi e Izanami crearono le isole minori e le divinità della natura. Infine, Izanagi salì in cielo - affidando il dominio del cielo alla dea del sole Amaterasu, il dominio della notte al dio della luna Tsukiyomi e il dominio del mare al dio della tempesta Susanoo - mentre Izanami scese agli inferi.

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In altre tradizioni, l’atto della Creazione coincide con l’azione di dare un nome alle cose, chiamandole all’esistenza.

Questo motivo si ritrova presso le Religioni tradizionali australiane, secondo le quali all’inizio tutte le forme di vita (gli “Antenati”) giacevano nel sonno sotto la superficie terrestre, nascosti nelle loro buche di fango. Un giorno il sole uscì dalla sua buca e, riscaldando la terra, svegliò gli Antenati, i quali emersero dalle buche e cominciarono a camminare, cantando. Con le loro canzoni gli Antenati chiamarono tutte le cose alla vita, lasciando dietro di sé scie di musica che avvolsero il mondo in una rete di canto.(Vai a Lettura: Bruce Chatwin, Le Vie dei Canti)

Secondo filosofi antichi, come Platone, l’universo non è stato creato direttamente dalla divinità ma da un suo servo, il Demiurgo. Questa idea ha poi dato origine, durante i primi secoli del Cristianesimo, a spiegazioni (ritenute eretiche dalla Chiesa) come per esempio quella dei Neoplatonici e degli Gnostici: Dio è qualcosa di inaccessibile e inconoscibile, ma si è “emanato”, e cioè si è trasformato via via negli stati inferiori dell’universo, da alcuni esseri spirituali come gli Angeli e altre divinità minori sino alla materia. Una di queste emanazioni intermedie è il Demiurgo, che ha costruito il mondo, ma lo ha costruito male. Questo spiegherebbe la presenza del male nel mondo. Il compito dell’uomo giusto è allora quello liberarsi dalla tirannia della materia (che in sè è cattiva) e ritornare all’assoluta purezza di Dio.

Ma non tutte le religioni hanno una cosmogonia. A volte la domanda degli inizi viene lasciata volutamente aperta: secondo il Buddhismo, l’origine dell’universo (se esso sia finito o infinito) è una questione destinata a rimanere senza risposta. Così come un uomo ferito da una freccia inizialmente non ha bisogno di sapere chi l’ha tirata e com’è fatta l’arma che lo ha ferito, ma piuttosto di essere medicato e liberato dal dolore, così gli esseri umani hanno bisogno di una via che li liberi dalla sofferenza, e non di risposte a quesiti insolubili. (Vai a lettura: Il discorso della freccia)

2.1.2. Cosa succede dopo la morte?

Il sentimento religioso trae origine dalla consapevolezza che l’uomo ha della propria finitezza e dalla speranza che vi sia qualche cosa dopo la morte. Secondo molti studiosi della storia delle religioni, si può far risalire l’origine stessa delle religioni all’epoca in cui i primi uomini cominciarono a seppellire i propri morti, differenziandosi così dagli altri animali (che non sanno di dovere morire e non si prendono cura dei propri morti) e dimostrando di attribuire un’importanza decisiva al passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti. Le cerimonie che accompagnano la sepoltura, la cremazione, l’immersione, o gli altri modi per disporre dei cadaveri, pongono la comunità dei vivi in contatto spirituale con la sfera ultraterrena e racchiudono una visione (a volte implicita) di ciò che accade dopo la morte.

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L’aldilà: inferno e paradiso Il ciclo delle rinascite Gli antenati Il nulla

2.1.2.1. L’aldilà: inferno e paradiso

Secondo le tre religioni monoteiste, al momento della morte l’anima della persona abbandona definitivamente il corpo e, con esso, la vita terrena, per ricongiungersi a Dio. Le concezioni dell’aldilà variano da una religione all’altra, e si modificano anche all’interno della medesima tradizione religiosa.

Il Pentateuco (l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia) non precisa cosa succede alle persone dopo la morte, ma fa menzione di una resurrezione collettiva dopo il Giudizio. Solo in alcuni testi successivi viene elaborata la nozione dell’inferno. Così, per l’Ebraismo antico, l’anima del defunto raggiunge tutte le altre anime che riposano nel regno delle tenebre (o sheol). L’idea che la sorte ultraterrena degli individui si possa differenziare in base alla condotta che essi hanno tenuto in vita si afferma più tardi, quando – nel I secolo e.v. – alcune scuole di pensiero cominciano a sostenere che, dopo un soggiorno comune nello sheol, le anime dei giusti vengano condotte nei giardini dell’Eden, mentre quelle dei malvagi vadano all’inferno. Certe scuole ritengono che le pene dei dannati siano temporanee e purificatrici e che, una volta scontate, l’anima venga ammessa in paradiso. Vi sono tuttavia dei peccati la cui gravità condanna l’anima del colpevole alla dannazione eterna – almeno fino all’epoca del Giudizio finale.

Secondo il Cristianesimo i buoni vanno in paradiso, dove godono di uno stato di eterna beatitudine, mentre i malvagi vanno all’inferno, dove sono sottoposti a supplizi indicibili. I cattolici nel medioevo aggiungono un luogo intermedio, il purgatorio, dove i peccatori che si sono pentiti in vita subiscono dei castighi per espiare le proprie colpe e entrare in paradiso. I protestanti e gli ortodossi rifiutano il purgatorio.

L’Islam afferma che coloro che non credono in un unico Dio sono destinati a bruciare all’inferno. Quando una persona muore, la sua anima viene interrogata da due angeli, che le chiedono di recitare la professione di

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fede (shahada): se non è in grado di farlo, viene dannata. Nel giorno del Giudizio (l’ultimo giorno), gli esseri umani saranno giudicati da Dio: i meritevoli avranno la grazia di contemplare il volto di Dio.

2.1.2.2. Il ciclo delle rinascite

Molte religioni ritengono che l’anima debba passare attraverso una lunga catena di reincarnazioni prima di raggiungere la liberazione, ovvero la cessazione del ciclo delle rinascite. La credenza nella trasmigrazione delle anime caratterizza le religioni di ceppo induista.

Gli induisti e i giainisti credono che alla morte ogni creatura si

reincarni in un altro corpo, vegetale, animale, o umano. Lo scorrere delle esistenze è visto come un dramma dal quale si desidera liberarsi. La liberazione - o moksha - consiste nella scoperta dell’illusorietà della propria identità individuale (atman), per ricongiungersi con il brahman, che è l’Uno indivisibile.

Secondo i buddhisti, per 49 giorni dopo la morte l’individuo va errando tra il mondo dei morti e quello dei vivi; dopodiché il meccanismo del karma decide in quale corpo si reincarnerà. Come per gli induisti, l’obiettivo ultimo dei buddhisti è di porre fine al ciclo ininterrotto delle rinascite per raggiungere l’estinzione delle sofferenze, o nirvana.

Anche i sikh credono nella reincarnazione, tranne che per loro la liberazione non consiste nell’annullamento di sé, bensì nella ricongiunzione dell’anima con Dio.

2.1.2.3. Gli antenati

In alcuni sistemi religiosi, la morte è vista come il passaggio dell’individuo allo stato di antenato. Gli antenati si inseriscono nella vita dei propri discendenti comunicando direttamente con loro, proteggendoli (o, in certi casi, ostacolandoli), approvando o disapprovando le loro azioni, e intervenendo quando la famiglia li invoca con riti propiziatori.

Per le religioni tradizionali cinesi non vi è una separazione netta tra il

mondo dei vivi e quello dei morti: i morti non abbandonano il mondo dei vivi, ma diventano antenati e, come tali, continuano a partecipare della vita quotidiana della propria famiglia d’origine, proteggendo e guidando i discendenti. Nella società cinese tradizionale, ogni casa ha una nicchia nella

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quale vengono conservate le tavolette con su iscritti i nomi e le principali azioni compiute dagli antenati. Le decisioni importanti (ad esempio, la scelta di una sposa) vengono sottoposte agli antenati, e il dovere principale dei vivi è di assicurare la continuità della progenie per mantenere viva la memoria degli avi. Cinque generazioni di antenati vengono accolte in casa: quando muore un capofamiglia, la tavoletta dell’avo più antico viene bruciata per essere sostituita con quella del nuovo antenato. Ma l’energia del vecchio progenitore non viene dispersa: quando nascerà un nuovo bambino in casa, porterà il suo nome.

Secondo le religioni tradizionali africane, i morti non si ritirano in una sfera ultraterrena, ma continuano a intervenire nella vita dei discendenti sotto forma di “spiriti protettori”. Non tutti i defunti, però, accedono al ruolo di antenati: ne sono esclusi i bambini, i “matti”, gli “anormali”, e coloro che con le loro azioni hanno arrecato danno alla comunità. In molte società africane, inoltre, spesso non diventano antenati coloro che sono deceduti di morte violenta, circostanza sospetta di stregoneria. Essi rimangono degli spiriti erranti, spesso pericolosi per la comunità.

Gli antenati sono dotati di personalità distinte: possono essere benevoli o astiosi, miti o irascibili, e così via. Gli anziani sono in diretto contatto con gli spiriti degli avi che, tramite essi, comunicano i propri consigli e divieti alla comunità. Se il volere degli antenati viene trasgredito, o se ci si dimentica di onorarli, essi si adirano e manifestano la propria collera provocando disgrazie (malattie, siccità, ecc.).

La nascita di un bambino può essere l’occasione per onorare un antenato. I genitori possono infatti decidere spontaneamente di assegnare al nuovo nato il nome di un avo a loro particolarmente caro. Altre volte è l’antenato stesso che può manifestare ai genitori il desiderio che il bambino venga chiamato con il suo nome. L’attribuzione del nome è molto importante in Africa, perché determina l’identità di un individuo. Assieme al nome dell’antenato, si pensa infatti che il bambino ne acquisisca i tratti della personalità.

Gli antenati sono i guardiani delle tradizioni della comunità e continuano ad occupare il loro posto in seno al gruppo di appartenenza, esercitando la loro autorità sui discendenti. La comunità li onora medianti numerosi rituali destinati a mantenere in vita la relazione con il mondo spirituale.

2.1.2.4. Il nulla

Coloro che non credono nell’esistenza di un Dio trascendente negano che vi sia un’anima che sopravvive al corpo e ritengono pertanto che, dopo la morte, non vi sia nulla. Il che non impedisce ai viventi di coltivare la memoria dei defunti in modo che almeno il loro ricordo possa perdurare oltre la morte.

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Nell’antica Grecia, Epicuro osservava che: “Finché io ci sono, la morte non c’è, e quando la morte c’è, io non ci sono più”. Quindi non dovremmo avere paura della morte.

2.1.3. Perché si soffre?

Gli esseri umani scoprono molto presto che vivere è, anche, soffrire. Per tutte le religioni, il problema fondamentale non è come evitare la sofferenza, ma come renderla sopportabile. Uno dei modi per fare i conti con la morte, con la malattia, con il dolore fisico, con la perdita di ciò che è caro, e con la mancanza di ciò che è fortemente desiderato, è di trovare una spiegazione che giustifichi la sofferenza.

Secondo la religione ebraica, ad esempio, il male del mondo è prodotto dall’uomo e dipende dalla sua mancanza di fiducia nei confronti di Dio, ovvero dalla rottura dei suoi rapporti con Lui: la salvezza dipende dalla capacità dell’uomo di ristabilire l’Alleanza con Dio, obbedendo alle Leggi divine. Questa spiegazione, tuttavia, non chiarisce del tutto il motivo per cui tante persone innocenti debbano affrontare grandi dolori, mentre vi sono uomini e donne che, pur essendo egoisti o disonesti, conducono un’esistenza relativamente tranquilla. Per rispondere alla questione della sofferenza dei giusti la tradizione talmudica ha elaborato varie risposte possibili (forse il giusto non è completamente giusto: ma come giustificare la sofferenza dei bambini? Forse il giusto sconta i peccati dei suoi avi; forse la sua sofferenza terrena verrà premiata nell’aldilà). Nessuna interpretazione appare interamente adeguata, per cui l’Ebraismo – sulla scorta del Libro di Giobbe – accetta di non comprendere il senso del male e della sofferenza degli innocenti, rimettendosi alla saggezza e al volere di Dio.

La risposta dell’Induismo, invece, è che il dolore che si prova nel corso della vita attuale è dovuto alle azioni che si sono compiute nell’esistenza precedente (è questo il senso del principio del karma). Una simile spiegazione rende meno intollerabile l’idea che il male si possa abbattere anche su creature innocenti.

Il Buddhismo situa la sofferenza (dukkha) nella nostra stessa condizione di esseri umani (desideriamo ciò che non abbiamo e rimpiangiamo ciò che abbiamo avuto): l’origine di questa sofferenza è in noi e nella nostra

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incapacità di abbandonare ciò che è transitorio per consolidare ciò che è permanente, ed è di lì che va strappata.

La filosofia daoista, fondata sulla complementarità dei contrari (yin e yang), vede la sofferenza come l’altro aspetto, opposto ma necessario, del benessere: così come non c’è luce senza tenebre, il bene non avrebbe senso se non ci fosse anche il male.

La religiosità laica

Abbiamo detto (nell’Introduzione al capitolo) che vi sono persone che o non credono in alcuna religione o pensano che sia impossibile decidere se le varie religioni dicono la verità (atei e agnostici). Anche costoro tuttavia si interrogano su che cosa sia il bene e che cosa sia il male, e come si possa affrontare la morte (dopo la quale, ritengono, non vi è alcuna forma di continuazione della vita). Molti tra costoro pensano che, se non c’è un Dio che ci abbia insegnato cosa siano bene o male e che ci possa consolare in un’altra vita per i dolori che abbiamo subito in questa, a maggior ragione bisogna trovare delle ragioni per cui gli uomini possano vivere senza danneggiarsi a vicenda, e si possano giustificare sentimenti come l’amore e il rispetto per gli altri. Costoro elaborano quindi quella che si chiama una morale laica di cui troverete qualche esempio nelle Letture e nella Regola d’Oro.

2.1.4. Che cosa è bene? Che cosa è male?

Ogni tradizione religiosa elabora una serie di regole dell’agire umano che definiscono che cosa è bene e che cosa è male, e non è detto che un comportamento che è valutato positivamente (o negativamente) all’interno di una determinata religione lo sia anche in un’altra.

A parte alcuni princìpi imprescindibili che fondano il sistema etico di ciascuna religione (ad esempio, i Dieci Comandamenti per l’ebraismo e il cristianesimo), le regole di comportamento non sono del tutto immutabili e, talvolta, vengono reinterpretate in base alle trasformazioni della cultura e del sentire comune. Così, in alcune religioni antiche vigeva l’usanza dei sacrifici umani per acquietare gli dei, ma ad un certo punto questa regola deve essere apparsa eccessivamente spietata, per cui si è deciso di sostituire le vittime umane con animali; man mano che si è affermata la sensibilità per la sofferenza degli animali, anche queste uccisioni rituali sono state progressivamente abbandonate da molte tradizioni religiose.

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Va anche osservato che all’interno di ciascuna comunità religiosa si trovano casi di altruismo e di scelleratezza, e che ci sono anche persone che, pur non identificandosi con nessuna religione, dedicano la propria esistenza a migliorare la vita degli altri.

Sistemi etici a confronto La regola d’oro

2.1.4.1. Sistemi etici a confronto

Tutte le religioni si chiedono come sia possibile per gli esseri umani di porre fine alla sofferenza (propria e altrui) e le risposte variano a seconda delle diverse concezioni della salvezza, della redenzione, e della liberazione. In generale, le vie indicate per raggiungere la salvezza dell’anima sono tre:- la via degli atti: ciascuna religione prescrive determinati comportamenti ai

propri fedeli e pone a essi una serie di divieti e di interdizioni;- la via della fede: alcune religioni insistono sul fatto che, per ottenere la

vera salvezza, occorra stabilire con Dio un rapporto di fiducia, di sottomissione, di amore e di devozione;

- la via della conoscenza: secondo alcune tradizioni religiose, la conoscenza (lo studio, la meditazione, ecc.) permette all’individuo di guardare oltre l’apparenza ingannevole delle cose e di avvicinarsi così alla sfera divina.

Parlando di sistemi etici, ci riferiamo qui soprattutto al primo punto (la via degli atti): quali sono i comportamenti giusti da seguire?

Il nucleo etico dell’Ebraismo è costituito dai Dieci Comandamenti che, secondo la Bibbia (Esodo), Mosé ricevette da Dio sul monte Sinai.

Oltre ai dieci comandamenti, gli ebrei praticanti sono tenuti a osservare le 613 mitzvot (365 divieti e 248 prescrizioni) registrate nella tradizione talmudica, che comprendono leggi relative a ogni aspetto della vita sociale, dal matrimonio alle procedure cerimoniali, nonché diverse regole e divieti alimentari.

Gli ebrei ortodossi sono più rigorosi rispetto agli ebrei liberali nell’applicazione delle mitzvot. Vi sono inoltre molti ebrei che, pur essendo laici, scelgono di rispettare alcune delle mitzvot per onorare la propria tradizione.

(Vai a lettura: Dieci Comandamenti)

L’etica cristiana si fonda sui dieci comandamenti biblici e sugli ideali trasmessi da Gesù nel Sermone della Montagna: perdonare le offese, dire la verità, praticare la giustizia, dedicarsi al prossimo.

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Sulle questioni etiche più specifiche le diverse chiese hanno spesso assunto – e tuttora assumono – posizioni diverse fra loro. Ad esempio, vi è disaccordo tra la Chiesa cattolica e le Chiese anglicane e protestanti per quanto riguarda il sacerdozio femminile, la contraccezione e la posizione nei confronti degli omosessuali.(Vai a Lettura: Sermone della Montagna)

Un buon musulmano è tenuto a rispettare i “cinque pilastri” dell’ISLAM:1) La professione di fede: deve credere e rendere testimonianza del fatto che

esiste un solo Dio e che Maometto e il suo profeta;2) La preghiera: deve recitarla cinque volte al giorno;3) L’elemosina rituale: deve devolvere una parte dei suoi introiti in

beneficenza;4) Il digiuno: deve osservare il digiuno del Ramadan;5) Il pellegrinaggio alla Mecca: se può permetterselo, deve recarsi alla città

santa della Mecca almeno una volta nella vita.Oltre a ciò, vi sono varie prescrizioni e divieti di tipo alimentare e

numerose regole di comportamento che, come sempre accade, vengono interpretate e applicate in modi diversi – e più o meno restrittivi – di paese in paese.

Nei testi sacri dell’Induismo (in particolare, nella Bhagavad-gita e nelle Upanishad) si trovano alcuni insegnamenti etici fondamentali: uno dei concetti ricorrenti è quello della bhakti, che si riferisce al rapporto di amore e di partecipazione che unisce il devoto alla divinità. Un passo molto importante della Bhagavad-gita (dodicesima lettura, intitolata “la bhakti”) delinea il ritratto ideale del devoto caro a Vishnu-Krishna: le virtù che il dio tiene in maggiore considerazione sono l’equanimità, la benevolenza, la pazienza, la compassione, la contentezza, il controllo di sé e la purezza.

Nella vita pratica, la posizione castale determina diversi obblighi e divieti comportamentali: ad esempio, un induista può sposarsi e può sedere a tavola solo con chi appartiene alla propria casta. (Vai a Letture: Bhagavad-gita)

L’etica buddhista è espressa nella quarta Nobile Verità, in cui il Buddha identifica la via della liberazione con la “via di mezzo” (tra la ricerca del piacere e la mortificazione della carne) costituita dal nobile ottuplice sentiero: retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione (dove “retto” significa conforme agli insegnamenti buddhisti).

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La condotta morale dei buddhisti è inoltre regolata da cinque precetti, o panchasila (non uccidere esseri viventi, non rubare, non commettere atti impuri, non mentire, non consumare bevande inebrianti), a cui si aggiungono altri cinque precetti che valgono soprattutto per i monaci (non mangiare cibo nei tempi non dovuti, astenersi dal canto, non usare sedili alti e lussuosi, non adoperare letti grandi e confortevoli, non commerciare cose d’oro e d’argento).(Vai a Lettura: Dhammacakkappavattana-sutta)

Il giainista è tenuto a rispettare cinque voti:1) Ahimsa: rispettare ogni forma di vita2) Satya: dire la verità3) Asteya: non rubare4) Brahmacharya: per i monaci, questo è il voto di castità; per i laici, si tratta

di un voto di monogamia5) Aparigraha: non acquisire più di ciò che è necessario per sopravvivere

giorno per giorno (questo voto vale solo per i monaci).

Per i confuciani, i doveri dell’uomo consistono soprattutto nella pratica di cinque virtù: l’umanità (ren), la rettitudine (yi), la coscienziosità (zhong), l’altruismo (shu), il giusto comportamento (li), e la pietà filiale (xiao).

L’umanità (ren), che consiste nella capacità di amare il prossimo, si può attuare in due modi (zhong e shu): uno positivo (fare agli altri quello che si vorrebbe che venisse fatto a noi stessi) e uno negativo (non fare agli altri quello che non si vorrebbe che venisse fatto a noi stessi).

La rettitudine (yi) consiste nell’osservare i doveri derivanti dalla propria posizione sociale (li). Il concetto di li (l’ordine generale del mondo in tutti i suoi aspetti) sta alla base dell’etica confuciana, la quale si articola in alcuni ambiti principali:- La pietà filiale (xiao): il figlio deve al padre rispetto, obbedienza, deferenza

e sostegno nella vecchiaia e anche dopo la morte;- La lealtà verso il sovrano e verso lo stato (il sovrano, da parte sua, deve

fornire il buon esempio ai suoi sudditi);- La benevolenza tra fratello maggiore e fratello minore;- La benevolenza tra amico maggiore amico minore;- L’amore tra marito e moglie (e l’obbedienza della moglie nei confronti del

marito). (Vai a Lettura: Mencio)

2.1.4.1.1.Precetti alimentari

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Tutte le religioni hanno le loro credenze, un insieme di riti condivisi con i fedeli, e alcune regole, o precetti, che talvolta riguardano anche la sfera dell’alimentazione. Alcuni precetti sono dei veri e propri divieti di consumare certi prodotti, altri sono delle prescrizioni o indicazioni rigorose alle quali il fedele si deve attenere per non contrastare quanto previsto dai testi sacri. I precetti alimentari hanno la funzione di far comprendere all’uomo che esiste una volontà divina superiore che pone dei limiti al di là dei quali l’individuo non si deve spingere, come prova di obbedienza e stimolo all’autocontrollo.

Il terzo verso della sura della Mensa Imbandita (Corano: 5/3), recita:

Vi sono stati vietati: la carne di bestia morta, il sangue, la carne di porco, la carne di bestia su cui è stato invocato un nome diverso da quello di Allah, la bestia soffocata, o ammazzata, o morta per precipitazione o per cornata, o quella uccisa da un predatore, a meno che, pur essendo stata dilaniata a morte da un predatore, essendo ancora viva, voi possiate scannarla (e farne uscire tutto il sangue), e carne di bestia immolata su pietra. Però, se qualcuno di voi, costretto dalla fame e senza spirito di trasgressione, mangia per sopravvivere. Ebbene, in verità Allah è Perdonatore Clementissimo.

In sintesi, i precetti alimentari islamici prescrivono:

Divieto di mangiare la carni impure (haram): il maiale e i suoi derivati, animali morti naturalmente (al-màitah), animali acquatici che vivono anche fuori dall’acqua (ad es., granchi e anfibi)

Obbligo di mangiare carni pure (halal) ottenute da animali macellati secondo il rito musulmano

Divieto di bere alcolici Obbligo di rispettare il digiuno rituale, dall’alba al tramonto, durante il

sacro mese di ramadan.

Nella religione ebraica il termine Kasher, riferito ai precetti alimentari, significa valido, adatto, buono. La kasheruth invece descrive l’insieme delle regole alimentari e contempla, oltre alla distinzione tra animali permessi e animali proibiti, anche alcuni divieti:

Divieto di mangiare carne di quadrupedi che non hanno lo zoccolo diviso (ed es. il coniglio, il maiale)

Divieto di mangiare animali che non siano stati uccisi nel rispetto della macellazione rituale (shechità)

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Divieto di mescolare carne con latte o derivati nello stesso pasto, come previsto dalla Torah: “Non bollire un capretto nel latte di sua madre”

Divieto di mangiare animali acquatici che non hanno pinne o squame (ed es: gamberi e anguille)

Divieto di cibarsi di sangue e del nervo sciatico Divieto di cucinare di sabato (Shabbat), il giorno di festa per gli ebrei Divieto di consumare carne durante la festa di Shavuot.

Gli Indù adorano le mucche ed i tori come divinità e ritengono sacro tutto ciò che essi producono. Basti pensare che nella celebrazione di Krishna i fedeli plasmano statue con un impasto di sterco bovino e latte, e le statue dei templi vengono lavate quotidianamente con latte vaccino fresco. Lo stesso Mahatma Gandhi sosteneva che  “l’elemento centrale dell’Induismo è la protezione accordata alle mucche, il dono dell’Induismo al mondo intero. L’Induismo vivrà finché ci saranno Indù che proteggono le mucche”. Per questo motivo le popolazioni induiste seguono un regime alimentare vegetariano.

Anche lo Stato ha integrato nel proprio ordinamento i princìpi della religione induista: l’articolo 48 della Costituzione indiana proibisce di macellare mucche, vitelli e altri animali da latte e da tiro.

2.1.4.2. La Regola d’oro

Esiste un nucleo etico comune a tutte le religioni? La Regola d’oro (non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te) si ritrova nelle scritture di molte religioni. La Bibbia ebraica (Levitico 19.18) dice “Ama il prossimo tuo come te stesso”, e questo principio diverrà fondamentale nella predicazione di Gesù; nei Vangeli è scritto che “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Matteo, 7.12); per l’Islam, “Nessuno di voi è un credente se non desidera per il proprio fratello ciò che desidera per se stesso” (I quaranta hadith di al-Nawawi 13; secondo l’Induismo “Questo, dicono i saggi, è il sommo dharma: come è la vita che tu desideri per te, così sia per te quella delle [altre] creature” (Mahabharata, 13.116.2); per il Giainismo, “Un uomo dovrebbe procedere trattando tutte le creature nel modo in cui lui stesso vorrebbe essere trattato” (Sutrakritanga, 1.11.33); il concetto di ren, centrale per l’etica confuciana, consiste nella capacità di amare il prossimo, al quale non si dovrebbe fare mai nulla che non si vorrebbe fatto a se stessi; un proverbo Yoruba (Nigeria) afferma che “Chi stia per infilzare un uccellino con un legno appuntito dovrebbe prima provarlo su se stesso per sentire quanto fa male”.

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2.3. ESERCIZI

2.3.1. Sondare i limiti della tolleranza

Immaginate che esista una religione che dica che il mondo sia nato da uno starnuto (o che la terra sia piatta) e che prescriva ai suoi devoti di dormire a testa in giù o di tagliarsi la lingua. Si può tollerare questa religione?Immaginate ora che esista una religione che prescriva sacrifici umani, che consigli di mangiare i nemici uccisi in battaglia e che imponga l’uccisione dei nati deformi. Si può tollerare questa religione?A partire da questi due casi immaginari, discutere sui limiti della tolleranza.

La discussione dovrebbe considerare due casi:1. I seguaci di queste religioni vivono a casa loro e non pretendono di

imporre a noi le loro usanze. Dobbiamo lasciarli continuare a praticare questi usi che noi consideriamo cattivi oppure abbiamo il dovere di convincerli ad abbandonarli? E come? Con la forza (conquista e “civilizzazione forzata”) o con la persuasione (azione dei missionari)?

2. I seguaci di queste religioni vengono ad abitare nel nostro paese. Dobbiamo rispettare i loro usi, anche se contrastano con le nostre convinzioni religiose (e talora con le nostre leggi) o impedirglielo?

La discussione dovrebbe cercare di distinguere tra usi di altre religioni che non offendono in modo grave i nostri princìpi (per esempio gli immigrati si vestono in modo diverso da noi) e usi che contrastano con le nostre leggi (per esempio religioni che proibiscono la trasfusione di sangue ai malati). Considerare alcune situazioni locali e i vari pareri espressi in proposito.

2.3.2. Discussione

Esercizio preparatorio per passare alla terza parte del capitolo: identificare (nella storia del vostro paese o di paesi vicini) dei casi di violenza perpetrata in nome di una religione che sembrano contravvenire alla Regola d’oro. Cominciare a discutere con i ragazzi se, secondo loro, vi sono delle situazioni in cui è legittimo sospendere questo principio etico in nome di un ideale religioso.

2.4. LETTURE

2.4.1. Il sentimento religioso

David Hume, Storia naturale della religione, cap. III (1755)(tr.it. di U. Forti, ora in Hume: Opere filosofiche, Roma-Bari: Laterza, 1987)

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Siamo sempre in bilico fra vita e morte, salute e malattia, ricchezza e miseria, distribuite nella specie umana da cause segrete e sconosciute, che operano spesso in modo inatteso, sempre inesplicabile. Queste cause ignote divengono allora oggetto costante delle nostre speranze e dei nostri timori, e mentre le passioni sono sempre mantenute in allarme da un’ansiosa aspettativa degli eventi, l’immaginazione è occupata anch’essa a formarsi un’idea dei poteri ai quali siamo interamente sottomessi.

2.4.2. I racconti dell’inizio

I RACCONTI DELLA SCIENZA

2.4.2.1.Steven Weinberg, I primi tre minuti dell’universo (1977)(The first three minute : a modern view of the origin of the universe, New York: Basic Books)

In principio ci fu un’esplosione: non un’esplosione come quelle che si possono vedere sulla Terra, che partono da un centro determinato e che si estendono inglobando un volume crescente dell’aria circostante, ma un’esplosione che si verificò contemporaneamente ovunque, riempiendo tutto lo spazio fin dall’inizio, poiché ogni particella fuggiva da tutte le altre. Qui, “tutto lo spazio” può significare sia tutto lo spazio di un universo infinito, sia tutto lo spazio di un universo finito, incurvato su se stesso come la superficie di una sfera. […]

Senza dubbio l’espansione dell’universo proseguirà per un certo periodo. Quanto al suo destino ulteriore, il modello standard ci enuncia solo una profezia equivoca: tutto dipende dal fatto che la densità cosmica sia superiore o inferiore a una certa densità critica. […]

Se la densità dell’universo è inferiore alla densità critica, la sua estensione è infinita e la sua espansione proseguirà in eterno. I nostri discendenti – se pur ne resteranno in quell’epoca – vedranno le reazioni nucleari fermarsi progressivamente in tutte le stelle, lasciando vari tipi di ceneri: stelle nane nere, stelle a neutroni e forse buchi neri. […]

Se, al contrario, la densità cosmica è superiore alla densità critica, l’universo è finito e la sua espansione potrà finire, seguita da una contrazione accelerata. […] La contrazione è semplicemente il processo inverso dell’espansione: dopo altri 50 miliardi di anni l’universo ritroverà la sua dimensione attuale, e dopo altri 10 miliardi di anni si avvicinerà a un singolare stato di densità infinita. […]

Comunque stiano le cose, tutti questi problemi cosmologici possono trovare la loro soluzione; ma, qualsiasi processo si riveli poi corretto, nessuno di essi è entusiasmante. È quasi impossibile per gli esseri umani non credere che esiste una relazione particolare tra loro e l’universo, che la vita non è soltanto l’esito grottesco di una serie di accidenti radicati nei primi tre minuti di vita del cosmo, e che, in un certo modo, siamo stati concepiti ab ovo. Scrivo queste righe su un aereo che sorvola lo stato del Wyoming a

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un’altitudine di 10.000 metri, sulla rotta San Francisco-Boston. Laggiù la Terra sembra tenera e confortevole: nuvolette fioccose qua e là, neve che assume una sfumatura rosea alla luce del tramonto, strade che solcano il paese da una città all’altra… Si fatica a credere che tutto ciò sia solo una minuscola porzione di un universo schiacciante e ostile. Ancora più difficile è credere che questo universo si sia evoluto a partire da condizioni iniziali tanto poco familiari che ce le possiamo immaginare a malapena, e che debba finire con l’estinguersi in un freddo interminabile o in un calore infernale. Più l’universo ci sembra comprensibile, più ci appare assurdo.

2.4.2.2.Asimov, In principio (1981)(In The Beginning , Crown/Stonesong Press)

Il primo atto divino di cui la Bibbia dia notizia è la creazione dell’universo. Ma poiché Dio è eterno, deve esserci stato un periodo di tempo infinitamente lungo prima di questo atto creativo. Che cosa faceva Dio durante questo tempo infinitamente lungo?

“Creava l’inferno per quelli che fanno domande del genere”, sembra esclamasse Sant’Agostino quando gli fu posta questa domanda.

Ignorando (se osiamo) sant’Agostino, possiamo azzardare qualche congettura. Dio, per esempio, potrebbe avere occupato il suo tempo creando una innumerevole gerarchia angelica. E potrebbe anche aver creato un numero infinito di universi, uno dopo l’altro, ciascuno con finalità proprie; il nostro sarebbe soltanto l’esemplare attuale della serie, a cui seguiranno infiniti altri. Oppure Dio potrebbe non aver fatto altro, fino al momento della creazione, che meditare sul suo infinito se stesso.

Tutte le possibili risposte alla domanda in questione sono tuttavia semplici supposizioni; nessuna è sorretta da prove. E non solo mancano le prove scientifiche: non ci sono neppure le risposte bibliche. Le risposte appartengono interamente alla sfera della leggenda. Ma se passiamo nella sfera scientifica e pensiamo a un universo eterno, dobbiamo chiederci che aspetto avesse l’universo prima di assumere la forma attuale di circa 15 miliardi di anni fa. Anche qui bisogna ricorrere alle congetture. L’universo potrebbe essere esistito durante l’eternità come qualità sparsa ed estremamente rarefatta di materia e di energia, lentissimamente coagulatasi in un piccolo oggetto ultradenso, l’“uovo cosmico”, poi esploso formando l’universo odierno: un universo destinato a espandersi in perpetuo, fino a ridiventare una quantità sparsa ed estremamente rarefatta di materia e di energia. Oppure c’è un alternarsi di espansione e contrazione, una serie infinita di uova cosmiche, che esplodono formando ogni volta un nuovo universo. Il nostro è solo l’esemplare attuale di una serie infinita.

La scienza, comunque, non è ancora riuscita a sapere quel che accadde prima dell’esplosione dell’uovo cosmico, esplosione che ha dato vita al nostro universo. La Bibbia e la scienza concordano nell’incapacità di dire qualcosa di certo su ciò che accadde prima di questo inizio. La differenza è questa: la Bibbia non sarà mai in grado di dircelo. È un testo definitivamente concluso, e

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su questo punto non dice nulla. La scienza, invece, continua a evolversi, e forse un giorno sarà in grado di rispondere a quesiti adesso insolubili.

2.4.2.3.GenesiCapitolo 1

[1] In principio Dio creò il cielo e la terra. [2] Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.

[3] Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. [4] Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre [5]e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.

[6] Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». [7] Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento, dalle acque che son sopra il firmamento. E così avvenne. [8] Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.

[9] Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto».E così avvenne. [10] Dio chiamò l'asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. [11] E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie». E così avvenne: [12] la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. [13] E fu sera e fu mattina: terzo giorno.

[14] Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni [15] e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: [16] Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. [17] Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra [18] e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. [19] E fu sera e fu mattina: quarto giorno.

[20] Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». [21] Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. [22] Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». [23] E fu sera e fu mattina: quinto giorno.

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[24] Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie». E così avvenne: [25] Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie.E Dio vide che era cosa buona. [26] E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».

[27] Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

[28] Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra».

[29] Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. [30] A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. [31] Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.

2.4.2.4.INDUISMORigveda – X, 129(tr. it. di V. Papesso)

1. Allora non c’era il non essere, non c’era l’essere; non c’era l’atmosfera, né il cielo che è al di sopra. Che cosa si muoveva? Dove? Sotto la protezione di chi? Che cos’era l’acqua (del mare), inscandagliabile, profonda?

2. Allora non c’era la morte, né l’immortalità: non c’era il contrassegno della notte e del giorno. Senza (produrre) vento respirava per propria forza quell’Uno; oltre a lui non c’era nient’altro.

3. Tenebra ricoperta da tenebra era in principio; tutto questo (universo) era ondeggiamento indistinto. Quel principio vitale che era serrato dal vuoto generò se stesso come l’Uno mediante la potenza del proprio calore.

4. Il desiderio del principio sopravvenne a lui, il che fu il primo seme della mente. I saggi trovarono la connessione dell’essere nel non-essere cercando con riflessione nel loro cuore.

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5. Trasversale fu tesa la loro corda: vi fu un sopra, vi fu un sotto? Vi erano fecondatori, vi erano potenze: sotto lo stimolo, sopra l’appagamento.

6. Chi veramente sa, chi può spiegare donde è originata, donde questa creazione? Gli dei sono al di qua (posteriori) della creazione di questo mondo; perciò chi sa donde essa è avvenuta?

7. Donde è avvenuta questa creazione, se l’ha prodotta o se no, colui, che di questo (mondo) è il sorvegliatore nel cielo supremo, egli certo lo sa, seppure non lo sa.

2.4.2.5.Rigveda, X, 90

Quando divisero il Purusa, in quante parti lo fecero? Che cosa è chiamato la sua bocca, che cosa sono chiamate le cosce e i piedi?Il brahmana fu la sua bocca, le braccia divennero il rajanya (il guerriero), le sue cosce il vaishya (l’artigiano), dai piedi nacque il shudra (il servitore).La luna nacque dalla mente, il sole nacque dall’occhio, dalla bocca (gli dei) Indra e Agni dalla bocca, dal respiro nacque Vāyu.Dall’ombelico originò l’atmosfera, dalla testa il cielo, dai piedi la terra, dall’orecchio i punti cardinali: così formarono i mondi.

2.4.2.6.Il gigante Pangu(racconto popolare cinese)

All’inizio nell’universo predominava soltanto il caos tenebroso. Questa tenebra prese la forma di un uovo, e in quest’uovo nacque Pangu, il primo essere vivente. Pangu dormiva, nutrito e protetto dall’uovo. Quando, dopo molti anni, si svegliò, Pangu era cresciuto a dismisura: era diventato un gigante. Egli si stirò, rompendo l’uovo. Le parti più leggere e più pure dell’uovo salirono in alto e formarono il cielo; le parti più pesanti e più impure sprofondarono e formarono la terra. Questa fu l’origine delle forze che si chiamano yin e yang.

Pangu temeva che il cielo e la terra si riunissero e, per evitarlo, si frappose fra loro come un gigantesco pilastro; mise i piedi sulla terra e sollevò sulle spalle il cielo. Per i successivi diciottomila anni Pangu crebbe tre metri al giorno, cosicché il cielo e la terra furono così lontani che non avrebbero potuto riunirsi. Alla fine il cielo e la terra restarono per sempre distanti cinquantamila chilometri. Pangu, stremato per l’enorme fatica, stramazzò al suolo e morì. Alla sua morte, dalle diverse parti del suo corpo si formarono i fenomeni naturali. Il suo respiro si trasformò nel vento e nelle nuvole, la sua voce si trasformò nel tuono e nel chiarore, il suo occhio sinistro divenne il sole, quello destro la luna. I quattro punti cardinali e le montagne sorsero dai suoi arti e dal suo tronco, il suo sangue formò i fiumi che attraversano la terra, le sue vene formarono le strade e i sentieri, la sua carne divenne alberi e terra, i capelli sulla sua testa divennero le stelle nel cielo, mentre la sua pelle e i peli del suo corpo si trasformarono in erba e

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fiori. Metalli e pietre sorsero dai suoi denti e dalle sue ossa, il suo sudore si trasformò in rugiada e i parassiti sul suo corpo formarono le diverse razze degli esseri umani. In questo modo il gigante Pangu creò l’universo.

RELIGIONI TRADIZIONALI AMERICANE2.4.2.7.La creazione del mondo yakima (da: Miti e leggende degli indiani d’America, a cura di R. Erdoes e A. Ortiz, Milano, ed. Paoline)

Agli inizi del mondo v’era solo acqua. Whee-me-me-ow-ah, il Grande Capo Lassù, viveva su nel cielo tutto solo. Quando decise di fare il mondo, venne giù in luoghi dove l’acqua era poco profonda e cominciò a tirar su grandi manciate di fango che divennero terraferma.

Fece un mucchio di fango così alto che per il gelo divenne duro e si trasformò in montagne. Quando cadde la pioggia, questa si trasformò in ghiaccio e neve sulle cime delle alte montagne. Un po’ di quel fango indurì e divenne roccia. Da quel tempo le rocce non sono mutate, sono diventate solo più dure.

Il Grande Capo Lassù fece crescere gli alberi sulla terra, e anche radici e bacche. Con una palla di fango fece un uomo e gli disse di prendere i pesci nell’acqua, i daini e l’altra selvaggina nelle foreste. Quando l’uomo divenne malinconico, il Grande Capo Lassù fece una donna affinché fosse la sua compagna e le insegnò come preparare le pelli, come trovare cortecce e radici, e come fare dei cesti con quelle. Le insegnò quali bacche usare per cibo e come accoglierle e seccarle. Le mostrò come cucinare il salmone e la cacciagione che l’uomo portava.

RELIGIONI TRADIZIONALI OCEANICHE2.4.2.8.Chatwin, The Songlines (1987)(tr. it. Le vie dei canti, Milano: Adelphi, 1988: 101)

In principio la Terra era una pianura sconfinata e tenebrosa, separata dal cielo e dal grigio mare salato, avvolta in un crepuscolo indistinto. Non c’erano né Sole né Luna né Stelle. Tuttavia, molto lontano, vivevano gli Abitanti del Cielo: esseri spensierati e indifferenti, dalle fattezze umane ma con zampe da emù, e capelli dorati lucenti come ragnatele al tramonto; erano senza età e perennemente giovani, poiché esistevano da sempre nel loro verde Paradiso lussureggiante al di là delle Nuvole occidentali.

Sulla superficie della Terra si vedevano soltanto le buche che un giorno sarebbero diventate i pozzi. Non c’erano né animali né piante, ma molli masse di materia concentrate intorno alle buche: grumi di minestra primordiale, silenziosi, ciechi, senza respiro né veglia é sonno: ciascuno aveva in sé l’essenza della vita o la possibilità di diventare umano.

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Ma sotto la crosta della Terra brillavano le costellazioni, il Sole splendeva, la Luna cresceva e calava, e giacevano nel sonno tutte le forme di vita: il fiore scarlatto di un pisello del deserto, l’iridescenza di un’ala di farfalla, i vibranti baffi bianchi di Vecchio Uomo Canguro - assopiti come i semi del deserto che devono aspettare un acquazzone di passaggio.

Il mattino del Primo Giorno, al Sole venne una gran voglia di nascere. (Quella sera le Stelle e la Luna lo avrebbero imitato). Il Sole squarciò improvvisamente la superficie e inondò la Terra di luce dorata, riscaldando le buche in cui dormiva ogni Antenato.

Questi Uomini dei Tempi Antichi, diversamente dagli Abitanti del Cielo, non erano mai stati giovani. Erano vecchi zoppi e stremati dalla barba grigia e le membra nodose, e per tutti i secoli avevano dormito in solitudine. Accadde così che quel primo mattino ogni Antenato dormiente sentisse il calore del Sole premere sulle proprie palpebre e il proprio corpo che generava dei figli. L’Uomo Serpente sentì i serpenti strisciargli fuori dall’ombelico. L’Uomo Cacatua sentì le piume. L’Uomo Bruco sentì una contorsione, la Formica del Miele un prurito, il Caprifoglio sentì schiudersi foglie e fiori. L’Uomo Bandicoot sentì piccoli bandicoot che fremevano sotto le sue ascelle. Ogni “essere vivente”, ciascuno nel suo diverso luogo di nascita, salì a raggiungere la luce del giorno.

In fondo alle loro buche (che ora si stavano riempiendo d’acqua) gli Antenati distesero una gamba, poi l’altra. Scrollarono le spalle e piegarono le braccia. Si alzarono facendo forza contro il fango. Le loro palpebre si aprirono di schianto: videro I figli che giocavano al sole.

Il fango si staccò dalle loro cosce, come la placenta di un neonato. Poi, come fosse il primo vagito, ogni Antenato aprì la bocca e gridò: “Io sono!”. “Sono il Serpente… il Cacatua… la Formica del Miele… il Caprifoglio…”. E questo primo “Io sono!”, questo primordiale “dare nome”, fu considerato, da allora e per sempre, il distico più sacro e segreto del Canto dell’Antenato.

Ogni Uomo del Tempo Antico (che ora si crogiolava al sole) mosse un passo col piede sinistro e gridò un secondo nome. Mosse un passo col piede destro e gridò un terzo nome. Diede nome al pozzo, ai canneti, agli eucalipti: si volse a destra e a sinistra, chiamò tutte le cose alla vita e coi loro nomi intesse dei versi.

Gli Uomini del Tempo Antico percorsero tutto il mondo cantando: cantarono i fiumi e le catene di montagne, le saline e le dune di sabbia. Andarono a caccia, mangiarono, fecero l’amore, danzarono, uccisero: in ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica.

Avvolsero il mondo intero in una rete di canto; e infine, quando ebbero cantato la Terra, si sentirono stanchi. Di nuovo sentirono nelle membra la gelida immobilità dei secoli. Alcuni sprofondarono nel terreno, lì dov’erano. Altri strisciarono dentro le grotte. Altri ancora tornarono lentamente alle loro “Dimore Eterne”, ai pozzi ancestrali che li avevano generati.

Tutti tornarono “dentro”.

BUDDHISMO

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2.4.2.9.Il discorso della freccia(da H. Oldenberg, Budda, TEA: 1992: 296-297)

Il reverendo Malunkyaputta va a trovare il Maestro e gli esprime il suo stupore per il fatto che la predicazione del Maestro lascia senza soluzione una serie di questioni, proprio fra le più importanti e profonde. Il mondo è eterno o è limitato nel tempo? Il mondo è infinito o ha una fine? […]

[Così risponde il Buddha:]“Un uomo è stato colpito da una freccia avvelenata: subito gli amici e i

parenti hanno chiamato un abile medico. Che accadrebbe se il malato si mettesse a dire: - Io non voglio lasciarmi medicare la ferita finché non sappia che uomo è quello che mi ha colpito, se è un nobile o un Bramano, un Vaishya o un Shudra – o se dicesse: - Io non voglio lasciarmi medicare la ferita finché non sappia come si chiama l’uomo che mi ha ferito e a quale famiglia appartiene, se è alto o basso o di media statura e com’è fatta l’arma che mi ha colpito? – Come andrebbe a finire? Che l’uomo morrebbe dalla ferita.

Per quale ragione il Buddha non ha insegnato ai suoi discepoli se il mondo è finito o infinito, se il santo continua o no a vivere di là della morte? Perché la conoscenza di queste cose non fa fare alcun progresso sulla via della santità, perché ciò non serve alla pace e alla illuminazione, ecco che cosa Buddha ha insegnato ai suoi discepoli: la verità sul dolore, la verità sull’origine del dolore, sulla soppressione del dolore, sulla via che mena alla soppressione del dolore. Per questo appunto, Malunkyaputta, quello che non è stato rivelato da me, resti irrivelato, e quello che è stato rivelato, sia rivelato.

2.4.3. L’etica

2.4.3.1.EBRAISMO: I Dieci Comandamenti(Esodo, 20:1-17)

Dio allora pronunciò tutte queste parole: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.

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Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.

Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio.

Non uccidere.Non commettere adulterio.Non rubare.Non pronunciar falsa testimonianza contro il tuo prossimo.Non desiderare la casa del tuo prossimo.Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua

schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”.

2.4.3.2.CRISTIANESIMO: Il Sermone della Montagna(in Luca, 6, 20-35)

Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.

Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.

Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi

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maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi.

2.4.3.3.INDUISMO: Bhagavad-gita (Il canto del Glorioso Signore), 12, 13-20 e 13, 7-11 (tr.it. di Stefano Piano, Edizioni San Paolo, Milano, 1994)

(12, 13-20)Chi non odia creatura alcuna,ma tutte le ama e ne ha compassione,privo di attaccamento e di egoismo,equanime nel dolore e nel piacere, paziente,

sempre contento, capace di controllarsi,padrone di sé, risoluto,con la mente e l’intelletto fissi su di me,a me teneramente devoto – costui mi è caro.

Colui che il mondo non temee che non teme il mondo,che è libero da moti di gioia e d’insofferenza,di paura e di ansia – costui mi è caro.

Colui che nulla si attende,che è puro, esperto, impassibile, senz’affanni,che ha abbandonato ogni iniziativa interessata,a me teneramente devoto – costui mi è caro.

Colui che non esulta né odia,che non si rammarica e non brama,che ha lasciato da parte così il bene come il male,che mi è teneramente devoto – costui mi è caro.

Colui che è uguale col nemico e con l’amico,nell’onore e nel disprezzo, nel freddo e nel caldo,nel piacere e nella sofferenza,libero da legami,

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uguale verso il biasimo e la lode,silenzioso, soddisfatto di qualunque cosa,senza una dimora, con la mente ben salda,pieno di tenera devozione – quest’uomo mi è caro.

Ma quelli che con fede, a me totalmente votati,credono fermamente in queste parole di saggezza immortaleche ora ho enunciato e mi sono teneramente devoti– costoro mi sono sommamente cari!

2.4.3.4.BUDDHISMO: Dhammacakkappavattana-sutta (Discorso della messa in moto della ruota del dhamma), 17-22(tr. it. di Saverio Marchignoli, in Bori [ed.], Per un percorso etico tra culture, Roma: Carocci, 1998)

“Due, o monaci, sono gli estremi che non deve seguire chi è andato via [dalla vita comune]. Quali sono questi due estremi? Uno è la dedizione, nei desideri, ai piaceri dei desideri, bassa, rozza, volgare, ignobile, senza profitto; l’altro è la dedizione all’automacerazione, dolorosa, ignobile, senza profitto.

Ora, o monaci, evitando questi due estremi, una via mediana è stata compresa nel risveglio del Tathagata [epiteto del Buddha], una via che produce vista, che produce conoscenza, e conduce alla quiete, al sapere, al completo risveglio, al nibbana [o nirvana].

E qual è, o monaci, questa via mediana, compresa nel risveglio del Tathagata, che produce vista, che produce conoscenza, e conduce alla quiete, al sapere, al completo risveglio, al nibbana? È il nobile sentiero a otto membri, e cioè: retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione. È questa, o monaci, quella via intermedia, compresa nel risveglio del Tathagata, che produce vista, che produce conoscenza, e conduce alla quiete, al sapere, al completo risveglio, al nibbana.

Ora, o monaci, questa è la nobile verità riguardo al dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che è spiacevole è dolore, la separazione da ciò che è piacevole è dolore, non soddisfare un desiderio è dolore, in breve i cinque aggregati dell’attaccamento sono dolore.

Ora, o monaci, questa è la nobile verità riguardo all’origine del dolore: essa è quella sete, che procura rinascita, che si accompagna al piacere e alla passione, che cerca il piacere ora qui ora là; sete di desiderio, sete di esistenza, sete di non-esistenza.

Ora, o monaci, questa è la nobile verità riguardo alla cessazione del dolore: essa è appunto la cessazione di questa sete e il completo distacco da

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essa, l’abbandono di essa, la rinuncia ad essa, la liberazione da essa, la non dipendenza da essa.

Ora, o monaci, questa è la nobile verità riguardo alla via che conduce alla cessazione del dolore: è appunto il nobile sentiero in otto parti, e cioè: retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione”.

2.4.3.5.CONFUCIANESIMO: Mencio (II, A, 6)(tr. it. Scarpari, in Bori, Per un percorso etico tra culture, Roma: Carocci, 1998)

1. Tutti gli uomini hanno un animo sensibile all’altrui sofferenza.2. Gli antichi sovrani avevano un animo sensibile e, di conseguenza, attuarono governi compassionevoli: esercitare un governo compassionevole con animo sensibile all’altrui sofferenza rendeva facile governare il mondo come se questo girasse sul palmo della propria mano.3. La ragione per cui affermo che tutti gli uomini hanno un animo sensibile all’altrui sofferenza è la seguente: supponi che vi siano delle persone che all’improvviso vedano un bimbo mentre sta per cadere in un pozzo. Ebbene, tutte proveranno in cuor loro un senso di apprensione e di sgomento, di partecipazione e di compassione. Questa reazione non dipende certo dall’esigenza di mantenere buoni rapporti con i genitori del bambino, né dal desiderio di essere elogiati da vicini e amici, e neppure perché disturbino le grida del bambino.4. Da tutto questo si può arguire che non sono uomini quanti sono privi di un animo sensibile ai sentimenti della partecipazione e della compassione, della vergogna e dell’indignazione, della deferenza e dell’acquiescenza, e del senso di ciò che è giusto e di ciò che non è giusto.5. I sentimenti della partecipazione e della compassione sono il principio della benevolenza [ren], i sentimenti della vergogna e dell’indignazione sono il principio della rettitudine [yi]; i sentimenti della deferenza e dell’acquiescenza sono il principio delle tradizionali norme di comportamento [li], il senso di ciò che è giusto e di ciò che non è giusto è il germoglio della saggezza [zhi].6. L’uomo possiede questi quattro princìpi, così come possiede le quattro membra. Possedere questi quattro germogli, ma sostenere di non essere in grado di farli crescere, equivale a mutilare se stessi; sostenere che il proprio sovrano non è in grado di farli crescere, equivale a mutilare il proprio sovrano.7. Tutti quanti abbiamo i quattro princìpi in noi; se sapremo farli prosperare, essi si svilupperanno come un fuoco che inizia ad ardere o una sorgente che inizia a sgorgare. Se riusciremo a fare in modo che essi si sviluppino completamente, essi basteranno per proteggere chiunque all’interno dei quattro mari, ma se non dovessimo riuscire nell’impresa, non basteranno nemmeno per adempiere agli obblighi verso il padre e la madre.

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MORALE LAICA 2.4.3.6.UMBERTO ECO, Che cosa crede chi non crede, Roma: Atlantide editoriale (1996)(VAI A 1.4.4.6.)

Come anche ci insegnano le più laiche tra le scienze umane, è l’altro, è il suo sguardo, che ci definisce e ci forma. Noi (così come non riusciamo a vivere senza mangiare o senza dormire) non riusciamo a capire chi siamo senza lo sguardo e la risposta dell’altro. Persino chi uccide, stupra, deruba, conculca, fa questo in momenti eccezionali, ma per il resto della vita è lì a mendicare dai suoi simili approvazione, amore, rispetto, lode. E persino a coloro che umilia chiede il riconoscimento della paura e della sottomissione. In mancanza di questo riconoscimento, il neonato abbandonato nella foresta non si umanizza (oppure come Tarzan cerca a ogni costo l’altro nel volto di una scimmia), e si potrebbe morire o impazzire se si vivesse in una comunità in cui sistematicamente tutti avessero deciso di non guardarci mai e di comportarsi come se non esistessimo.

Come mai allora ci sono o ci sono state culture che approvano il massacro, il cannibalismo, l’umiliazione del corpo altrui? Semplicemente perché esse restringono il concetto di “altri” alla comunità tribale (o all’etnia) e considerano i “barbari” come essere disumani. […]. È che il riconoscimento del ruolo degli altri, la necessità di rispettare in loro quelle esigenze che reputiamo irrinunciabili per noi, è il prodotto di una crescita millenaria.

[…]È davvero questo sentimento [il sentimento degli altri] così forte da

giustificare un’etica tanto determinata e inflessibile, tanto saldamente fondata come quella di coloro che credono nella morale rivelata, nella sopravvivenza dell’anima, nei premi e nei castighi? Ho cercato di basare i princìpi di un’etica laica su un fatto naturale […] quale la nostra corporalità e l’idea che noi sappiamo istintivamente che abbiamo un’anima (o qualcosa che ne fa la funzione) solo in virtù della presenza altrui. Dove appare che quella che ho definito come “etica laica” è in fondo un’etica naturale, che neppure il credente disconosce. L’istinto naturale, portato a giusta maturazione e autocoscienza, non è un fondamento che dia garanzie sufficienti? Certo possiamo pensare che non sia sprone sufficiente alla virtù, “tanto”, può dire chi non crede, “nessuno saprà del male che sto segretamente facendo”. Ma […] chi non crede che nessuno lo osservi dall’alto sa anche che – proprio per questo – non c’è neppure Qualcuno che possa perdonare. Se sa di aver fatto il male, la sua solitudine sarà senza limiti, e la sua morte disperata. Tenterà piuttosto, più del credente, il lavacro della confessione pubblica, chiederà il perdono degli altri. Questo lo sa, dall’intimo delle sue fibre, e quindi sa che dovrà in anticipo perdonare gli altri. Altrimenti come si potrebbe spiegare che il rimorso sia un sentimento avvertito anche dai non credenti?[…]

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Per questo ritengo che, sui punti fondamentali, un’etica naturale - rispettata nella profonda religiosità che la anima – possa incontrarsi coi princìpi di un’etica fondata sulla fede nella trascendenza, la quale non può non riconoscere che i princìpi naturali sono stati scolpiti nel nostro cuore in base a un programma di salvezza. Se rimangono, come certo rimarranno, dei margini non sovrapponibili, non diversamente accade nell’incontro tra religioni diverse.

3. BASIC IDEA: È possibile assumere diverse posizioni nei confronti di chi appartiene a una religione diversa dalla propria

È normale che chi appartiene a una certa tradizione religiosa ritenga che la propria religione sia preferibile alle altre. Ci sono però diversi atteggiamenti possibili nei confronti di chi appartiene a un’altra religione.

3.1. APPROFONDIMENTI

Immaginiamo un’ipotetica società – chiamiamola XXX – composta interamente di persone che non siano mai entrate in contatto con altre genti. Nel corso dei secoli, gli XXX hanno elaborato una serie di credenze per spiegare qual è l’origine del mondo, perché si soffre, cosa succede dopo la morte; inoltre, hanno sviluppato un sistema etico, che indica cos’è il bene e cos’è il male e che prescrive alcune regole di comportamento che tutti coloro che appartengono al gruppo sono tenuti a rispettare. Le credenze degli XXX vengono tramandate di generazione in generazione, sotto forma di racconti, di riti, di leggi, di consuetudini, e così via. Naturalmente gli XXX sono certi della verità assoluta delle proprie credenze, e ritengono che queste gli siano state consegnate direttamente dalla/e divinità a cui rivolgono il proprio culto.

Ma ecco che, a un certo punto, nella terra degli XXX arriva un altro gruppo di persone – che chiameremo YYY – le quali hanno elaborato per conto proprio una visione della vita, un modo di rappresentare la divinità, un insieme di pratiche diverse da quelle in cui credono gli XXX. Anche gli YYY si chiedono com’è nato il mondo, perché si soffre, cosa succede dopo la morte, cos’è il bene e cos’è il male, ma le risposte che si danno non sono le stesse di quelle degli XXX. Anche gli YYY rispettano usanze, prescrizioni e divieti comportamentali, ma le loro abitudini sono diverse da quelle degli XXX: ad esempio gli YYY possono mangiare tutti i frutti fuorché quelli rossi (considerati impuri), laddove per la religione degli XXX gli unici frutti che è assolutamente vietato mangiare sono quelli gialli.

Entrando in contatto reciproco, gli XXX e gli YYY si rendono conto che molte delle credenze che ognuno dei due gruppi dà per scontate non sono condivise da tutti. Tramite il confronto con l’altro sistema di credenze, ciascuna tradizione definisce le proprie caratteristiche specifiche e prende coscienza della propria esistenza come religione.

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Cosa succede quando gli XXX e gli YYY si incontrano e, per la prima volta, sperimentano con sorpresa la diversità degli altri? Per certi versi ciò che accade dipende dall’atteggiamento (amichevole o aggressivo) con cui ciascuno dei due gruppi viene incontro all’altro: il contatto tra religioni è anzitutto un contatto tra persone. Così, se gli XXX accolgono gli YYY con doni e con prove d’amicizia, e se questo atteggiamento è ricambiato dagli YYY, è più probabile che tra le due religioni sorgano sentimenti di simpatia e di fiducia reciproca. Ma se, al contrario, uno dei due gruppi vuole conquistare o sottomettere l’altro, è verosimile che tra le due religioni si instauri un rapporto di diffidenza se non di ostilità aperta.

È del tutto naturale che sia gli XXX che gli YYY ritengano che la propria religione sia migliore (più vera, più giusta) dell’altra: per ciascuno dei due gruppi, si tratta della religione dei propri padri e delle proprie madri, e dunque negarne la verità assoluta sarebbe un po’ come tradire l’eredità spirituale dei propri avi. Ma a partire dal legittimo orgoglio che ciascuno prova per la propria religione, sono possibili diversi atteggiamenti nei confronti di coloro che aderiscono all’altra religione.

Tra gli XXX, così come tra gli YYY, ci sono sia persone disponibili all’incontro pacifico con gli altri, sia persone che se ne sentono minacciate. Per discutere su come comportarsi con gli YYY, i notabili della comunità XXX si riuniscono in assemblea, e dal dibattito emergono diversi pareri.

“C’È UN SOLO DIO ED È IL MIO”

La maggior parte degli XXX crede fermamente nella verità assoluta della propria religione, e non ammette che anche la religione degli YYY possa essere, a modo suo, vera.

Infatti – essi dicono – come possono essere ugualmente vere due religioni che non si assomigliano affatto, che prescrivono comportamenti diversi ai propri credenti, e che non concordano neppure su ciò che è lecito mangiare? Come può Dio – o gli dei – essersi manifestato in modi talmente differenti alle due genti? Evidentemente gli YYY hanno torto, e bisogna fare in modo che essi si avvedano del loro errore.

“GLI ALTRI HANNO TORTO E IO LI ELIMINO”

Tra coloro che ritengono che ci sia una sola vera fede (la propria), mentre tutte le altre sono false e idolatriche, qualcuno dichiara che l’unica soluzione è di eliminare il culto degli YYY, anche a costo di impiegare la violenza. Bisogna sopprimere tutto ciò che riguarda il culto avversario: distruggere i luoghi sacri, cancellare le rappresentazioni delle false divinità (che offendono quella vera), impedire ai devoti dell’altra religione di esercitare il proprio culto. E se gli infedeli si opporranno a simili misure, rifiutandosi di ritrattare la propria fede per convertirsi all’unica vera religione,

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bisognerà costringerli con la forza, o addirittura ucciderli: è Dio stesso (o gli dei) che lo vuole.

- Ma siamo sicuri – ribatte un altro XXX – che sia proprio questa la volontà divina? Il nostro Dio (o i nostri dei) ci ha insegnato che uccidere un essere umano è male, e che non si deve fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a sé. Si può sospendere questa regola, e proprio in nome della fede religiosa?

- C’è anche un altro problema. Poniamo che gli YYY siano altrettanto convinti di quanto lo siamo noi della verità della propria religione: potrebbero rispondere alla nostra violenza con altra violenza. Siamo forti, e forse per un certo periodo potremmo avere il sopravvento su di loro. Ma dopo qualche tempo gli YYY, o i loro figli, potrebbero ricambiare le offese subite. È proprio questo che vogliamo?

“GLI ALTRI HANNO TORTO E IO LI CONVINCO”

- Piuttosto che sterminare tutti coloro che non aderiscono alla vera fede, occorre spiegare loro perché hanno torto, e convincerli della superiorità della nostra religione. Facciamogli capire che solo se abbandonano la loro falsa religione in favore di quella vera, essi potranno ottenere la salvezza, per accedere alle delizie di un mondo migliore. Dio (o gli dei), che è dalla nostra parte, ci guiderà e ci farà capire come parlare ai cuori degli YYY.

Molti XXX trovano che questa sia la migliore soluzione possibile, poiché raggiunge lo scopo senza ricorrere alla violenza.

Ma qualcuno solleva un’obiezione:

- Se Dio (o gli dei) avesse voluto che gli YYY osservassero la religione degli XXX, perché non ha fatto in modo che ciò accadesse? Avrà avuto i suoi buoni motivi, e chi siamo noi per sostituirci a lui/lei/loro? Forse c’è una ragione per cui la Verità è stata comunicata solo a noi.

- Oltretutto, come possiamo essere sicuri che gli YYY accettino di buon grado di convertirsi, e che non ci rispondano: “e chi vi ha detto che la vostra religione è più giusta della nostra? Per noi è vero il contrario”.

“GLI ALTRI HANNO TORTO E IO LI IGNORO”

- Evidentemente Dio (o gli dei) ha voluto che fossimo noi soli a ricevere la sua Verità. Forse tra tutte le sue creature ama noi in modo particolare, e quindi non spetta a noi di preoccuparci per ciò in cui credono gli altri. Propongo di continuare a osservare la nostra tradizione, ignorando la religione degli YYY.

Qualcuno osserva che, vivendo fianco a fianco con gli YYY, sarebbe difficile evitare ogni contatto con loro. O si decide di dividere il territorio in due, per permettere a ciascun gruppo di coltivare le proprie usanze e di

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esercitare la propria fede in autonomia, oppure si deve trovare un modo per regolare i rapporti tra i due gruppi senza intaccare la dimensione religiosa.

“SIAMO TUTTI UNO STESSO DIO”

Nell’assemblea si alza una persona, che fino a quel momento ha ascoltato in silenzio i discorsi degli altri, e dice:

- C’è un’idea che accomuna tutte le vostre proposte, e che vorrei contestare: secondo voi, gli YYY hanno torto perché non credono alle stesse cose a cui crediamo noi. Per questo motivo vi soffermate sulle differenze che separano la religione degli XXX da quella degli YYY, senza tenere conto di tutto ciò che le avvicina.

- Non vi viene in mente che, forse, Dio (o gli dei) abbia voluto manifestarsi alle diverse genti in modo leggermente diverso, a seconda delle usanze e delle consuetudini di ciascuna? Una stessa madre si rivolge in maniera diversa a ciascuno dei suoi figli, pur amandoli dello stesso amore, perché riconosce in essi delle differenze di carattere e di disposizione. Così, sebbene le manifestazioni religiose siano molto diverse tra loro, esse potrebbero essere fatte risalire a un unico principio trascendente, per cui non ci sarebbe nessuna sostanziale differenza tra il Dio (o gli dei) degli XXX e il Dio (o gli dei) degli YYY. Tutte le religioni costituiscono altrettante strade per raggiungere la stessa meta: l’Essere eterno è uno, ma gli esseri umani lo chiamano in molti modi.

Molti XXX rimangono colpiti da queste parole. Ma non è ancora chiaro quali conseguenze si debbano trarre dal discorso. Se siamo tutti uno stesso Dio, come ci si deve comportare con gli YYY?

Qualcuno osserva che, stando così le cose, ciascuno dovrebbe poter raggiungere la salvezza seguendo liberamente il percorso che la propria tradizione di appartenenza gli/le consiglia. Il che significherebbe che la religione degli XXX non sia più vera di quella degli YYY, supposizione che pochi XXX sarebbero disposti ad accettare.

Qualcun altro fa notare che, per lo stesso motivo (proprio perché ogni religione parla dello stesso Dio), se un XXX si sentisse più attratto alle usanze degli YYY che a quelle della propria tradizione, dovrebbe essere libero di convertirsi all’altra religione, con la piena approvazione della religione d’origine. Oppure potrebbe scegliere di creare una sintesi personale tra le diverse religioni, selezionando da ciascuna gli elementi che più gli/le si addicono.

Al che alcuni XXX insorgono: - Troppo comodo: chi appartiene a una comunità religiosa contrae con essa degli obblighi di lealtà. Non si può essere XXX e al contempo YYY.

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- Perché no? – risponde il primo. – Sono figlio di mia madre e di mio padre, e li onoro entrambi, ciascuno a modo suo.

- Ma che succede se tuo padre e tua madre la pensano diversamente su qualche aspetto della tua educazione? Se non si mettono d’accordo, il volere di uno dei due finisce col prevaricare su quello dell’altro. Chi ti assicura che, prima o poi, non ti troveresti a dover violare i precetti degli XXX per rispettare quegli degli YYY?

- Capisco la tua obiezione, sebbene creda che, se dovessi trovarmi in una situazione del genere, cercherei di ascoltare la mia coscienza.

- Mi viene in mente un’altra possibilità – interviene un altro membro dell’assemblea. - Si potrebbero cercare le basi comuni delle due religioni per ravvicinare e per riunire tutti i credenti sotto un’unica fede. Se siamo tutti uno stesso Dio, allora non dovrebbe esistere che una sola religione universale. Questa religione unica dovrebbe essere ugualmente accessibile a tutti gli esseri umani.

- Una simile religione naturale, portatrice di tolleranza e di equilibrio sociale, si potrebbe ridurre a poche idee molto semplici: Dio esiste (o gli dei esistono), ha creato il mondo e premia la buona condotta in una vita futura.

- Ma chi decide qual è la buona condotta? Quella descritta dagli XXX o quella di cui parlano gli YYY? Il rischio è che, soffermandosi esclusivamente sui punti in comune tra le due religioni, si perdano di vista le differenze, che la buona volontà non basta ad annullare del tutto. Per molti XXX la religione naturale c’è già, ed è la propria. Suppongo che lo stesso valga per gli YYY: quando ci riuniremo per confrontare le nostre rispettive credenze, è probabile che non riusciremo a metterci d’accordo su ogni punto, e che ognuno cercherà di spingere l’altro ad accettare le proprie verità, facendole passare come naturali.

Finora abbiamo parlato come se esistesse un’unica Verità, anche se abbiamo ammesso che forse le varie religioni, ciascuna con la propria verità parziale, La intendono in modi diversi. E se invece le verità fossero tante?

“OGNUNO HA IL SUO DIO E VA RISPETTATO”

- Gli XXX hanno il loro Dio (o i loro dei), e lo onorano nel modo che sembra loro più giusto. Ma anche gli YYY celebrano il proprio Dio (o i propri dei) secondo le loro leggi e, per quanto ne sappiamo, in perfetta buona fede. Non è affatto detto che il nostro Dio (o dei) corrisponda al loro. E se anche il Dio (o gli dei) degli XXX e quello degli YYY sono lo stesso, comunque non ci è dato di sapere chi, tra i due gruppi, lo onori meglio. Non conviene, dunque, accettare che ognuno abbia il proprio Dio (o dei), e come tale vada rispettato, anche se non condiviso?

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3.2. ESEMPI

Casi di convivenza pacifica: Nel 1219 - in epoca di Crociate - Francesco d’Assisi si recò dal Sultano

d’Egitto al-Malik al Kamil, il quale lo accolse in pace e con tutti gli onori, pur senza pensare di convertirsi al Vangelo che Francesco annunciava.

Villaggio di Nevè Shalom - Waahat as Salaam, villaggio israeliano i cui abitanti, musulmani, cristiani ed ebrei, da più di 20 anni hanno deciso di vivere insieme nelle loro differenze reciproche.

Trovate altri esempi di convivenza pacifica tra religioni diverse.

3.3. ESERCIZI

3.3.1. Ricerca monografica

Raccogliere materiali sui conflitti interreligiosi locali.Gli educatori potranno discutere dei casi noti ai ragazzi ed esemplificarli così:- Conquista di un altro paese per sconfiggere gli “infedeli”, e cioè coloro che

hanno un’altra religione- Persecuzione degli “eretici”, e cioè di coloro che cercano di introdurre idee

diverse in una religione- Discriminazione religiosa (si ritiene che i seguaci di una certa religione

siano troppo diversi da noi e abbiano gravi colpe, per cui in alcuni casi si decide di sterminarli)

- Lotta sanguinosa tra i seguaci di due religioni nello stesso paese- Uno stato proibisce di seguire una certa religione o addirittura non vuole

che se ne segua alcuna.

Vai a http://www.religioustolerance.org/curr_war.htm per informazioni sui conflitti interreligiosi attuali.

3.3.2. Discussione

Spiegare ai ragazzi le varie posizioni definite nella ricerca monografica e aprire una discussione, al termine della quale i ragazzi stessi dovrebbero suggerire possibilità di convivenza.

3.4. LETTURE

3.4.1.THOMAS JEFFERSON Note sulla Virginia (1781)

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I diritti della coscienza non li abbiamo mai assoggettati, non potevamo assoggettarli. Di essi noi rispondiamo soltanto al nostro Dio. I legittimi poteri del governo si estendono a tali atti solo in quanto arrechino danno ad altri. Ma non mi arreca torto alcuno il fatto che il mio vicino affermi che vi sono venti dei, o che non esiste nessun Dio. Ciò non vuota le mie tasche né mi rompe una gamba.

3.4.2.UMBERTO ECO: “Fondamentalismo, integrismo, razzismo e intolleranza”

In termini storici il fondamentalismo è un principio ermeneutico, legato all’interpretazione di un Libro Sacro. Il fondamentalismo occidentale moderno nasce negli ambienti protestanti degli Stati Uniti del XIX secolo ed è caratterizzato dalla decisione d’interpretare letteralmente le Scritture, specie per quanto riguarda quelle nozioni di cosmologia di cui la scienza all’epoca sembrava mettere in dubbio la veridicità. Da cui il rifiuto spesso intollerante di ogni interpretazione allegorica e specialmente di ogni forma di educazione che tentasse di minare la fiducia nel testo biblico, come accadeva con il darwinismo trionfante.

Questa forma di letteralismo fondamentalista era antica, e già presso i padri della Chiesa c’erano stati i dibattiti tra i partigiani della lettera e i sostenitori di un’ermeneutica più soffice, come quella di Sant’Agostino. Ma nel mondo moderno il fondamentalismo stretto non poteva che essere protestante, dato che per poter essere fondamentalisti occorre assumere che la verità sia data dall’interpretazione della Bibbia. Nell’ambiente cattolico invece è l’autorità della Chiesa che garantisce l’interpretazione e pertanto l’equivalente del fondamentalismo protestante assume se mai la forma del tradizionalismo. Tralascio di considerare (perché lo faranno i miei colleghi oggi) la natura del fondamentalismo musulmano ed ebraico.

Il fondamentalismo è necessariamente intollerante? Lo è sul piano ermeneutico, ma non necessariamente su quello politico. Si può immaginare una setta fondamentalista che assume che i propri eletti abbiano il privilegio della retta interpretazione delle Scritture, senza peraltro sostenere alcuna forma di proselitismo e voler pertanto obbligare gli altri a condividere quelle credenze, o battersi per realizzare una società politica che si basi su di esse.

Si intende invece con integrismo una posizione religiosa e politica per la quale i princìpi religiosi debbono diventare al tempo stesso modello di vita politica e fonte delle leggi dello stato. Se fondamentalismo e tradizionalismo sono in linea di principio conservatori, ci sono degli integrismi che si vogliono progressisti e rivoluzionari. Ci sono movimenti integristi cattolici che non sono fondamentalisti, che si battono per una società totalmente ispirata ai princìpi religiosi senza peraltro imporre una interpretazione letterale delle Scritture, e magari pronti ad accettare una teologia alla Teilhard de Chardin. […]

E il razzismo? Il razzismo nazista era certamente totalitario, si pretendeva scientifico, ma non c’era nulla di fondamentalistico nella dottrina della razza. Un razzismo non-scientifico come quello della Lega italiana non

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ha le stesse radici culturali del razzismo pseudo-scientifico (in realtà non ha alcuna radice culturale); eppure è razzismo.

E l’intolleranza? Si riduce a queste differenze e parentele tra fondamentalismo, integrismo, razzismo? Ci sono state forme d’intolleranza non razziste (come la persecuzione degli eretici o l’intolleranza delle dittature contro i loro oppositori). L’intolleranza è qualcosa di ben più profondo che si pone alla radice di tutti i fenomeni che ho considerato.

Fondamentalismo, integrismo, razzismo pseudo-scientifico sono posizioni teoriche che presuppongono una Dottrina. L’intolleranza si pone prima di ogni dottrina.

3.4.3.G. E. LESSING, Nathan il Saggio (1779)(tr.it. A. Casalegno, Milano, Garzanti, 1992)

A Gerusalemme, durante le Crociate, il Saladino (che è musulmano) chiede a Nathan (ebreo) quale sia la vera fede: l’Islam, l’Ebraismo o il Cristianesimo. Nathan risponde raccontandogli la storia dei tre anelli:

NATHANMolti anni or sono un uomo in OrientePossedeva un anello inestimabile,un caro dono. La sua pietra, un opaledai cento bei riflessi colorati,ha un potere segreto: rende gratoa Dio e agli uomini chiunquela porti con fiducia. Può stupirese non lo toglieva mai dal dito,e se dispose in modo che restasseper sempre in casa sua? Egli lasciò l’anelloal suo figlio più amato; e lasciò scrittoche a sua volta quel figlio lo lasciasseal suo figlio più amato; e che ogni volta il più amato dei figli diventasse,senza tenere conto della nascitama soltanto per forza dell’anello,il capo e il signore del casato. –Tu mi segui, sultano?SALADINO Ti seguo. Vai avanti.NATHANE l’anello così, di figlio in figlio,giunse alla fine a un padre di tre figli.Tutti e tre gli ubbidivano ugualmenteEd egli, non poteva farne a meno,li amava tutti nello stesso modo.Solo di tanto in tanto l’uno o l’altroGli sembrava il più degno dell’anello –Quando era con lui solo, e nessun altro

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Divideva l’affetto del suo cuore.Così, con affettuosa debolezzaEgli promise l’anello a tutti e tre.Andò avanti così finché poté. –Ma, vicino alla morte, quel buon padreSi trova in imbarazzo. Offendere così due figli, fiduciosi nella sua parola,lo rattrista. – Che cosa deve fare? –Egli chiama in segreto un gioielliere,e gli ordina due anelli in tutto ugualial suo; e con lui si raccomandache non risparmi né soldi né faticaperché siano perfettamente uguali.L’artista ci riesce. Quando glieli porta,nemmeno il padre è in grado di distinguerel’anello vero. Felice, chiama i figliuno per uno, impartisce a tutti e trela sua benedizione, a tutti e tredona l’anello – e muore. – Tu mi ascolti, sultano?SALADINO (il quale, colpito, aveva girato il viso)Ascolto, ascolto. Ma finisci prestoLa tua favola. – Ci sei?NATHAN Ho già finito.Quel che segue si capisce da sé. –Morto il padre, ogni figlio si fa avantiCon il suo anello, ogni figlio vuol essereIl signore del casato. Si litiga, si indaga,si accusa. Invano. Impossibile provarequale sia l’anello vero –(dopo una pausa, durante la quale egli attende la

risposta del sultano)quasi come per noi

provare quale sia – la vera fede.SALADINO Come?Questa è la tua risposta alla mi domanda?…NATHAN ValgaSoltanto a scusarmi, se non osoCercare di distinguere gli anelliChe il padre fece fare appunto al fineChe fosse impossibile distinguerli.SALADINOGli anelli! – Non burlarti di me! –Le religioni che ti ho nominatoSi possono distinguere persinoNelle vesti, nei cibi, nelle bevande!NATHANE tuttavia non nei fondamenti. –

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Non si fondano tutte sulla storia,scritta o tramandata? E la storiasolo per fede e per fedeltàdev’essere accettata, non è vero? –E di quale fede e fedeltà dubiteremoMeno che di ogni altra? Quella dei nostri avi,sangue del nostro sangue, quella di coloroche dall’infanzia ci diedero provadel loro amore, e che mai ci ingannarono,se l’inganno per noi non era salutare? –Posso io credere ai miei padriMeno che tu ai tuoi? O viceversa? –Posso forse pretendere che tu,per non contraddire i miei padri, accusi i tuoidi menzogna? O viceversa? E la stessa cosa vale per i cristiani, non è vero? –SALADINO(Per il Dio vivente! Hai ragione.Io devo ammutolire).NATHAN Ma torniamoAi nostri anelli. Come dicevo, i figliSi accusarono in giudizio. E ciascuno giurò al giudice di avere ricevuto l’anello dalla mano del padre (ed era vero),e molto tempo prima la promessadei privilegi concessi dall’anello(ed era vero anche questo). – Il padre, ognuno se ne diceva certo, non poteva averlo ingannato; prima di sospettarequesto, diceva, di un padre tanto buono,non poteva che accusare dell’ingannoi suoi fratelli, di cui pure era semprestato pronto a pensare tutto il bene;e si diceva sicuro di scoprirei traditori e pronto a vendicarsi.SALADINOE il giudice? – Sono ansioso di ascoltareChe cosa farai dire al giudice. Parla!NATHANIl giudice disse: Portate subitoQui vostro padre, o vi scacceròDal mio cospetto. Pensate che stia quiA risolvere enigmi? O volete restareFinché l’anello vero parlerà? –Ma… aspettate! Voi dite che l’anello veroHa il magico potere di rendere amati,grati a Dio e agli uomini. Sia questoa decidere! Gli anelli falsi non potranno.

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Su, ditemi: chi di voi è il più amatoDagli altri due? – Avanti! Voi tacete?L’effetto degli anelli è solo riflessivo,non transitivo? Ciascuno di voi amasolo se stesso? Allora tutti e tresiete truffatori truffati! I vostri anellisono falsi tutti e tre. Probabilmentel’anello vero si perse, e vostro padrene fece fare tre per celarne la perditae per sostituirlo.SALADINO Magnifico! Magnifico!NATHANSe non volete, proseguì il giudice,il mio consiglio e non una sentenza,andatevene! – Ma il mio consiglio è questo:accettate le cose come stanno.Ognuno ebbe l’anello da suo padre:ognuno sia sicuro che esso è autentico. –Vostro padre, forse, non era più dispostoA tollerare ancora in casa suaLa tirannia di un solo anello. E certoVi amò ugualmente tutti e tre.Non volle, infatti, umiliare due di voiPer favorirne uno. – Orsù! SforzateviDi imitare il suo amore incorruttibileE senza pregiudizi. Ognuno faccia a garaPer dimostrare alla luce del giornoLa virtù della pietra nel suo anello.E aiuti la sua virtù con la dolcezza,con indomita pazienza e carità,e con profonda devozione a Dio.Quando le virtù degli anelli apparirannoNei nipoti, e nei nipoti dei nipoti,io li invito a tornare in tribunale,fra mille e mille anni. Sul mio seggiosiederà un uomo più saggio di me;e parlerà. Andate! – Così dissequel giudice modesto.

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