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LDB

RobertCastel

L’insicurezzasociale

Chesignificaessereprotetti?

TraduzionediMario

GalzignaeMaddalenaMapelli

Einaudi

Introduzione

Sipossonodistinguereduegrandi tipi di protezioni. Leprotezioni civili garantiscono

le libertà fondamentali eassicurano la sicurezza deibeni e delle personenell’ambito di uno Stato didiritto. Le protezioni sociali«coprono»contro iprincipalirischi che sono in grado diprovocare un degrado dellacondizione degli individui:rischi come la malattia,l’infortunio, la mancanza didenaro durante la vecchiaia,gli imprevisti dell’esistenza,

che possono sfociare, allimite, nel declassamentosociale. Da questo doppiopuntodivista, viviamosenzadubbio–perlomenoneipaesisviluppati – nelle società piúsicure finora mai esistite. Lecomunità non ben pacificate,dilaniate da lotte intestine,dovelagiustiziaerasbrigativae l’arbitrio permanente,sembrano, viste dall’Europaoccidentaleodall’Americadel

Nord, l’eredità di un lontanopassato. Lo spettro dellaguerra, questa terribileportatrice di violenza, si èanch’esso allontanato: ormaisi aggiraeavolte imperversaai confini del mondocivilizzato. Allo stessomodo,si è allontanata da noi queltipo d’insicurezza socialepermanente che derivavadalla vulnerabilità dellecondizioni di vita e

condannava, un tempo, unagranpartedelpopoloavivere«allagiornata»,allamercédelminimo incidente dipercorso. Le nostre esistenzenon si sviluppano piú dallanascitaallamortesenzaretidisicurezza. Quella checorrettamente chiamiamo«sicurezzasociale»èdivenutaun diritto per la stragrandemaggioranza dellapopolazioneehadatoorigine

a una moltitudine diistituzioni sanitarie e socialiche si fanno carico dellasalute, dell’educazione, delleincapacità connesse all’età,delle deficienze fisiche ementali. A tal punto che si èpotuto descrivere questo tipodi società come «societàassicuranti», che assicurano,inqualchemododidiritto, lasicurezzadeiloromembri.

Tuttavia, in queste società

circondate e attraversate daprotezioni, le preoccupazionirelative alla sicurezzarimangonoonnipresenti.Nonpossiamo certamente eludereil carattere inquietante diquesta constatazionesostenendo che il sentimentodi insicurezzanonsia cheunfantasma tipico deibenestanti, i quali avrebberodimenticato sia il prezzo cheveniva pagato in termini di

sangue e di lacrime sia illivellodidurezzaedicrudeltàdellavitadiuntempo.Questosentimento di insicurezzacomporta tali effetti sociali epolitici da entrare davvero afar parte della nostra realtà eda strutturare persino, inlarga misura, la nostraesperienza sociale. Bisognaconvenirne: mentre le formepiú pesanti della violenza edeldegradosocialesonostate

ampiamente stroncate,l’assillo della sicurezza è unapreoccupazione popolare, nelsensofortedeltermine.

Come rendere conto diquesto paradosso? Esso ciporta a ipotizzare che nonbisognerebbe opporreinsicurezzaeprotezionicomese appartenessero a dueregistri contrappostidell’esperienza collettiva.L’insicurezza moderna non

sarebbe l’assenza diprotezioni, ma piuttosto illoro rovescio: la loro ombra,proiettata in un universosociale che si è organizzatoattorno a una richiesta senzafinediprotezionioattornoauna travolgente ricerca disicurezza. Cosa significaessere protetti in talicondizioni? Non vuol direradicarsi nella certezza dipoterdominareperfettamente

tutti i rischi dell’esistenza;vuol dire piuttosto viverecircondati da sistemisicuritari che sonocostruzionicomplesseefragilie che portano in se stessi ilrischio di fallire nel lorocompito e di deludere leaspettative che producono.L’insicurezza verrebbe cosícreata proprio dalla ricercadelleprotezioni,per labuonaragione che il sentimento di

insicurezza non è un datoimmediato della coscienza.Esso,alcontrario,èconnessoa configurazioni storichedifferenti, poiché la sicurezzae l’insicurezza sono rapportirelativi ai tipi di protezionicheunasocietàassicuraononassicura inmanieraadeguata.Oggi, in altri termini, essereprotetti significa anche essereminacciati. La sfida daraccogliere consisterebbe

allora nel comprenderemeglio la configurazionespecifica di queste relazioniambigue tra protezione einsicurezza, oppure traassicurazioni e rischi, nellasocietàcontemporanea.

Per convalidare questaipotesi proporremo qui unpercorso analitico. Il filoconduttore è la convinzionesecondo cui le societàmoderne sono costruite sul

terreno dell’insicurezzapoiché sono società diindividui che non riescono atrovare una garanzia diprotezione né in se stessi nénell’immediato entourage. Seè vero che queste società sisono dedicate allapromozione dell’individuo, èaltrettanto vero che essepromuovono anche la suavulnerabilità proprio nelmomento in cui lo

valorizzano.Ne risulta che laricerca delle protezioniappartiene in manierasostanziale allo sviluppo diquesto tipo di società. Maquesta ricerca assomiglia,percerti versi, agli sforziimpiegati per riempire unabotte piena di fori – comequella delle Danaidi – chelascia sempre filtrare ilpericolo. Il sentimento diinsicurezza non è del tutto

proporzionaleaipericolirealiche minacciano unapopolazione. Esso è piuttostol’effetto di un dislivello traun’aspettativa socialmentecostruita di protezioni e lecapacità effettive, da parte diuna determinata società, difarle funzionare.L’insicurezza, insomma, è inlargamisura il rovescio dellamedaglia di una società chegarantiscelasicurezza.

Idealmente, bisognerebberidisegnare una storia dellarealizzazionediquestisistemidi protezione e delle lorotrasformazionichearrivi finoaoggi:ecioèfinoalmomentoin cui la loro efficacia apparedifettosa, sia a causadell’aumentata complessitàdei rischi che si ritienedebbano essere stroncati datali sistemi, sia a causadell’apparizione di nuovi

rischi e di nuove forme disensibilità ai rischi.Programma che non potrà,evidentemente, essere quirealizzato inmodo esaustivo.Ci si accontenterà ditratteggiarequestopercorsoapartiredalmomentoincuilaproblematica delle protezionisi ridefinisce attorno allafigura dell’individuomoderno, che vivel’esperienza della propria

vulnerabilità. Ma si insisteràanche sulla differenza tra idue tipi di «copertura» chetentano di eliminarel’insicurezza. Vi è unaproblematica delle protezionicivili e giuridiche, che rinviaalla costituzionedi unoStatodi diritto e agli ostacoliaffrontati per radicarle il piúvicino possibile alle esigenzeespresse dagli individui nellaloro vita quotidiana. E vi è

una problematica delleprotezioni sociali, che rinviaalla costruzione di uno Statosociale e alle difficoltà cheesso incontra per poterassicurare l’insieme degliindividui contro i principalirischi sociali. La questionedell’insicurezzacontemporanea potràchiarirsi, speriamo, se sicoglie lanaturadegli ostacolifrapposti alla realizzazione di

un programma di sicurezzatotale – ostacoli presenti inciascuno di questi due assidella problematica delleprotezioni – e inoltre se siprende coscienzadell’impossibilità di fare inmodochequestidueordinidiprotezioni coincidanocompletamente.

Si sarà allora in grado,forse,di comprendereperchéproprio l’economia delle

protezioni produce unafrustrazionesicuritaria, la cuiesistenza appartiene inmaniera sostanziale allesocietà che si costruisconoattorno alla ricerca dellasicurezza. E questo per dueragioni. In primo luogoperché i programmi diprotezione, nonpotendomaiessere realizzati pienamente,producono delusione eperfino risentimento. In

secondoluogoperchéunlorosuccesso, anche relativo,dominando certi rischi ne faemergeredinuovi.Èquelcheaccade oggi con l’eccezionaleesplosione di questa nozionedi rischio. Una taleesasperazionedellasensibilitàverso i rischi mostra assaibene che la sicurezza non èmai data, e neppureconquistata, poichél’aspirazioneadessereprotetti

si sposta come un cursore epone nuove esigenze, manmano che i suoi obiettiviprecedenti stanno per essereraggiunti.Cosí,rifletteresulleprotezioni civili e sulleprotezioni sociali significaanche, necessariamente,interrogarsi sullaproliferazionecontemporanea diun’avversione al rischio, laquale fa sí che l’individuo

contemporaneo non possamai sentirsi totalmente alsicuro. In effetti, chi ciproteggerà– aparteDioo lamorte–seperesseredeltuttotranquilli bisogna poterdominare completamentetutti gli eventi imprevedibilidellavita?

Questa presa di coscienzadella dimensionepropriamente infinitadell’aspirazioneallasicurezza,

cosícomeemergenellenostresocietà, non deve tuttaviaportarci a rimettere indiscussionelalegittimitàdellaricerca di protezioni. Alcontrario, tale presa dicoscienza è la tappa criticanecessaria che occorreattraversare, al fine diindividuare il percorso ogginecessario per far fronte alleinsicurezze nellamaniera piúrealistica: si tratta di

combattere i fattori didissociazionesocialechesonoall’origine sia dell’insicurezzacivile sia di quella sociale.Cosí facendo, non troveremola garanzia di essere liberatida tutti i pericoli, mapotremmo conquistarel’opportunità di abitare unmondo meno ingiusto e piúumano.

L’INSICUREZZASOCIALE

CapitoloprimoLasicurezzacivilenelloStato

didiritto

Proponevamodiassegnareall’insicurezza differenticonfigurazionistoriche.Vene

sono di «premoderne».Allorché dominano i legamiintessutiattornoallafamiglia,al lignaggio e ai gruppi diprossimità, e allorchél’individuo è definito dalposto che occupa in unordine gerarchico, lasicurezza, nelle sue lineeessenziali, è garantita sullabasedell’appartenenzadirettaa una comunità e dipendedalla forza di questi legami

comunitari. Si può parlareallora di protezioniravvicinate.Cosí, a propositodei tipi di comunità paesaneche hanno dominatol’Occidente medievale,Georges Duby parla di«società inquadrate,assicurate, garantite» 1.Parallelamente, in città,l’appartenenza a gruppi dimestiere (gilde,rappresentanze,corporazioni)

inscrive i loro membriall’interno di sistemi bendotatisiadicostrizionichediprotezioni: sistemi chegarantiscono sicurezza aquestistessimembrialprezzodella loro dipendenza dalgruppo di appartenenza. Sitratta delle stesse società chesono continuamente espostealle devastazioni della guerraeai rischidellapenuria,dellecarestie e delle epidemie.Ma

sono aggressioni cheminacciano la comunità daldi fuori e possono anche, allimite, annientarla. Talisocietà, tuttavia, come diceDuby,sono«assicurate»dasestesse: esse proteggono i loromembrisullabasedifitteretidi dipendenza e diinterdipendenza.

In queste società – la cuidescrizione siamo quiobbligati a semplificare –

esiste evidentemente ancheun’insicurezza interna. Maessaèveicolatadagliindividuie dai gruppi che non sonocollegati ai sistemi didipendenze e di protezioni acarattere comunitario. Nellesocietàeuropeepreindustriali,questo pericolo si ècristallizzato attorno allafigura del vagabondo, cioèattorno all’individuo asocialeper eccellenza, che vive al

tempo stesso fuori da ogniinscrizione territorialee fuoridalla realtà del lavoro. Laquestione del vagabondaggioè stata la grande questionesociale di queste società; essaha mobilitato un numeroimpressionante di misureprevalentemente repressive,per tentare – invano, d’altraparte – di sradicare questaminaccia di sovversioneinterna e di insicurezza

quotidiana, che si ritenevafosse rappresentata daivagabondi. Se si volessescrivere una storiadell’insicurezza e della lottacontro l’insicurezza nellesocietà preindustriali, ilpersonaggio principalesarebbe il vagabondo –sempre vissuto comepotenzialmenteminaccioso –assieme alle sue variantiscopertamente pericolose

comeilbrigante,ilbandito,ilfuorilegge: tutti individuisenza legami, cherappresentano un rischio diaggressione fisica e didisgregazione sociale poichéesistonoeagisconoaldifuoridiognisistemadiregolazionicollettive.

Modernitàevulnerabilità.

Con l’avvento dellamodernità, lo statutodell’individuo cambiaradicalmente. L’individuoviene riconosciuto di per sestesso, indipendentementedallasuainscrizioneinambiticollettivi. Ma non è, per ciòstesso, garantito nella suaindipendenza.Alcontrario.Èstato senza dubbio ThomasHobbes a fornire il primoritratto, spaventoso e

affascinante, di ciò chesarebbe davvero una «societàdi individui». Testimone,attraverso le guerre direligione in Francia e laguerra civile inglese, delladestabilizzazionediunordinesociale fondato sulleappartenenze collettive elegittimato dalle credenzetradizionali,Hobbesspingeallimite la dinamicadell’individualizzazione, fino

alpuntoincuiessalascerebbegli individui interamenteabbandonati a se stessi. Unasocietà di individui nonsarebbe piú, propriamenteparlando,unasocietàmaunostatodinatura,cioèunostatosenza legge, senza diritto,senza costituzione politica esenza istituzioni sociali, inpreda a una concorrenzasfrenatadegli individui tradiloro, alla guerra di tutti

controtutti.Questa sarebbe di fatto

una società d’insicurezzatotale. Liberati da ogniregolazione collettiva, gliindividui vivono sotto ilsegno della minacciapermanente poiché nonpossiedono in se stessi ilpotere di proteggere e diproteggersi. Anche la leggedel piú forte non puòstabilizzare la situazione,

poichéDavidepotràuccidereGolia e il forte potrà sempreessere annientato, se nonaltro da uno piú debole cheabbia il coraggio diassassinarlodurante il sonno.Si ritiene, da allora, che ilbisogno di essere protettopossa essere l’imperativocategorico che sarebbenecessario assumere aqualunque prezzo per potervivere in società. Questa

società saràfondamentalmente unasocietà di sicurezza, dalmomentochelasicurezzaèlacondizione prima eassolutamente necessariaaffinché gli individui, slegatidalle costrizioni-protezionitradizionali, possano «faresocietà».

Si sa che Hobbes ha vistonell’esistenza di uno Statoassoluto il solo mezzo per

garantire questa sicurezzadelle persone e dei beni, edegli gode generalmente perquesto di una cattivareputazione. Ma bisognasenzadubbioavereunpo’delcoraggio intellettuale diHobbes per sospendere unistante il legittimoorrore chepuò suscitare il dispotismodel Leviatano; percomprendere che esso non èche la risposta ultima, ma

necessaria, all’esigenza diprotezione totale: esigenzachedipendedaunbisognodisicurezza che ha profonderadici antropologiche. Se èestremo il potere è buono,sostiene Hobbes, poiché èutile alla protezione; ed ènellaprotezionecherisiedelasicurezza 2. Anche MaxWeber, in una forma piúsfumata chenonha sollevatocontroversie,diràcheloStato

deve monopolizzarel’esercizio della violenza. Masoprattutto c’è unacontropartita all’analisi diHobbes, sottolineata menospesso. Mobilitando tutti imezzinecessaripergovernaregli uomini, cioèmonopolizzandotuttiipoteripolitici, lo Stato assolutoliberagliindividuidallapaurae permette loro di esistereliberamente nella sfera

privata.L’orribileLeviatanoèanche questo potere tutelare,che permette all’individuo diviverecomepiúgliaggradaedi pensare ciò che vuole nelsuoforointeriore,cheregolailrispetto delle credenzereligiose antagoniste (in unperiodo di fanatismoreligioso, non è poco) e lacapacità di ciascuno di fareciò che crede e di godersi inpace i frutti della propria

operosità.Ilprezzodapagarenonèdipococonto,poichésitrattadirinunciaredeltuttoaintervenire negli affaripubblici, accontentandosi disubire il potere politico. Maneppure i suoi effetti sonotrascurabili, poiché si trattadella condizione di esistenzadi una società civile e dellapace civile di cui solo unoStato assoluto può essere ilgarante.All’ombradelloStato

protettore, l’uomo modernopotrà tranquillamentecoltivare la sua soggettività,lanciarsi alla conquista dellanatura, trasformarla con ilsuo lavoro e fondare lapropria indipendenza sullesue capacità personali.Hobbes afferma anche lanecessità di un ruolo diprotezione sociale dello Statoa favore degli individui incondizioni di bisogno: «E

poiché molti uomini, peraccidenti inevitabili, siriducono nell’impossibilità dimantenersi col propriolavoro, non bisogna lasciarlialla carità dei privati, mabisogna provvederli, perquanto le necessità di naturarichiedono, con le leggi delloStato» 3.

Non voglio fare l’apologiadi Hobbes, ma ritengo cheegli abbia fatto emergereuno

schema molto forte percogliere le profonde poste ingioco della questione delleprotezioni nelle societàmoderne. Essere protetti nonèunostato«naturale».Èunasituazione costruita, dato chel’insicurezza non è unaperipezia in cui ci si imbattein maniera piú o menoaccidentale, ma unadimensionecheappartieneinmaniera sostanziale alla

coesistenza degli individui inuna societàmoderna.Questacoesistenza con gli altri èsenza alcun dubbioun’opportunità, se non altroper il fatto che essa ènecessaria per formare unasocietà. Tuttavia – senza chese ne abbiano a male tutticoloro che celebranoingenuamente i meriti dellasocietà civile – essa è ancheuna minaccia, a meno che

non ci sia una «manoinvisibile» per armonizzare apriorigliinteressi,idesideriola volontà di potenza degliindividui. Perciò unacostruzione di protezioni chenonsiaccontentidiratificarele modalità immediate del«viverecon»èunanecessità,eha un prezzo. Hobbes hacollocato molto in alto –senzadubbiotroppoinalto–il prezzo da pagare per

portare a termine questasvolta. Se è vero però chel’insicurezza appartiene inmaniera sostanziale a unasocietà di individui, e chebisogna necessariamentecombatterla affinché essipossano coesistere in seno auno stesso insieme, questaesigenza implica anche lamobilitazione di una batteriadimezzichenonsarannomaiinoffensivi: in primo luogo

l’istituzione di uno Statodotato di un potere effettivo,che gli consenta di svolgerequestoruolodifornitoredelleprotezioni e di garante dellasicurezza.

D’altronde, se Hobbesgode di una reputazionealquanto sinistra, a benguardare non fa cheanticipare, in una formaparadossale e provocatoria,una parte importante di

quellachediventeràlavulgatadei liberali, della quale sipotranno trovare tracce finoai nostri giorni. A partire daJohn Locke, che passa,proprio lui, per il padrealquanto bonario delliberalismo. Trent’anni dopoHobbes, Locke celebra conottimismo quest’uomomoderno che, attraverso illibero dispiegamento dellesue attività, costruisce la

propria indipendenza grazieal lavoro e divienesimultaneamenteproprietariodi se stesso e dei suoi beni:«per proprietà, qui comealtrove,intendoquellachegliuominihannotantodelleloropersone quanto dei lorobeni» 4.

Datochel’individuononèpiú catturato entro retitradizionali di dipendenza edi protezione, è la proprietà

cheprotegge.Laproprietàèlozoccolodirisorseapartiredalquale un individuo puòesisteredipersestesso,senzadipendere da un padrone odalla carità altrui. È laproprietà che garantisce lasicurezza di fronte agliimprevisti dell’esistenza, allamalattia, all’infortunio, allamiseria di chi non può piúlavorare. E a partire dalmomento incui l’individuoè

chiamato a scegliere i proprirappresentanti sul pianopolitico,èsemprelaproprietàche assicura l’autonomia delcittadino, libero, grazie adessa,nellesueopinionienellesue scelte: un cittadino chenon si può prezzolare pergarantirsene il voto néintimidire per formarsi unaclientela. In una Repubblicamoderna,dicuiLockedelinealaconfigurazione,laproprietà

èilsupportoinevitabilegraziealqualeilcittadinopuòesserericonosciuto come tale nellasuaindipendenza.

Ma Locke vede beneanch’eglichequestasovranitàsociale del proprietario nonbasta a se stessa, e chel’esistenza di uno Stato ènecessaria, affinchél’individuo disponga dellalibertà di sviluppare le sueiniziativeedigodereinpacei

frutti del suo lavoro. Ciò ècosíverocheLockeindividuain questo imperativo ilfondamentodelpattosociale,l’assoluta necessità di dotarsidi una costituzione politica:«Il grande e principale fineper cui dunque gli uomini siuniscono in Stati e siassoggettanoadungoverno,èla salvaguardia della loroproprietà» 5.

È la difesa della proprietà

che giustifica l’esistenza diuno Stato, la cui funzioneessenziale è quella dipreservarla. Per proprietà,tuttavia, bisogna intenderesempre, qui, non soltanto laproprietà dei beni ma anchela proprietà di sé che i benirendonopossibile:condizionedella libertà edell’indipendenza deicittadini. Gli uomini, diceLocke, «hanno in mente di

riunirsi per la reciprocasalvaguardia della loro vita,libertà e beni: cose che iodenomino con il terminegeneralediproprietà» 6.

La Repubblica di LockenonèilLeviatanodiHobbes.Essa cercherà di realizzare,peraltro con difficoltà, formedi rappresentanzademocratica che ne faranno,almeno in una certa misura,l’espressionedellavolontàdei

cittadini. Tuttavia, lo Statoliberale – di cui Locke hatracciato il modello e che sirealizzerà nella societàmoderna – non viene a patticonilmandatoinizialechegliè stato affidato: essere unoStato di sicurezza, proteggerele persone e i loro beni. Alproposito, si è potutoparlaredi«Statominimo»ealtempostesso di «Stato gendarme».Questononècontraddittorio.

Tale Stato è uno Stato didiritto, che si concentra sullesue funzioni essenziali diguardiano dell’ordinepubblico e di garante deidiritti e dei beni degliindividui.Almeno in lineadiprincipio(datocheneifattilecosesarannopiúcomplicate),esso si impone di nonintromettersinellealtresfere,sociali ed economiche, dellasocietà.Masaràrigorosonella

difesa dell’integrità dellapersona e dei suoi diritti e altempostessospietatocontroinemici della proprietà(sanzioni del codice penalecontro i danni ai beni, maanche repressione, che potràessere violenta, dei tentativicollettivi di sovversionedell’ordineproprietario).Secisi attiene a un giudizio diordine morale, si puòdenunciare una

contraddizione nelfunzionamento dello Statoliberale. Gli si darà allorafiducia per aver tentato dicostituirsi come Stato didiritto difendendo i diritticivili e l’integrità dellepersone 7,ecisiindigneràdelfatto che questo stesso Statoha schiacciato l’insurrezionedegli operai parigini nelgiugnodel1848olaComunediPariginel1871.Daunlato

il legalismo giuridico,dall’altro il ricorso, talvoltabrutale, all’esercito o allemilizie della Guardianazionale. Ma si puòeliminare questa apparentecontraddizionecomprendendo che ilfondamentodiquesto tipodiStato è proprio la garanziadella protezione e dellasicurezza. In questaconfigurazione, la protezione

delle persone è inseparabiledallaprotezionedeilorobeni.Il mandato statuale vadall’esercizio della giustizia edalmantenimentodell’ordinetramite operazioni di polizia,fino alla difesa dell’ordinesociale fondato sullaproprietà, mobilitando,quando è necessario e «incaso di forza maggiore»,mezzimilitarioparamilitari.

Bisognaricordarechenella

Dichiarazione universale deidiritti dell’uomo e delcittadino la proprietà non èstata collocata per caso o perincoerenza sul terreno deidiritti inalienabili e sacri:collocazioneripresacondellevarianti nelle diverseCostituzioni repubblicane.Non può trattarsi solamentedella proprietà «borghese»che riprodurrebbe i privilegidi una classe. All’inizio della

modernità, la proprietàprivata assumeun significatoantropologico profondo: essaappare infatti–Lockeè statouno dei primi a capirlo –come la base a partire dallaquale l’individuo che siaffranca dalle protezioni-soggezioni tradizionali puòtrovare le condizioni dellapropriaindipendenza.Nonsicapirebbe, altrimenti, il fattoche la proprietà privata sia

stata difesa non solo daiconservatori e dalle correntipiúmoderate (borghesi, se sivuole), dell’epocaprerivoluzionaria orivoluzionaria, ma anche daisuoi esponenti piú radicali.Rousseau,Robespierre,Saint-Just e i sanculottinonhannointenzione di sopprimere laproprietà, ma voglionorestringerla rendendolaaccessibile a tutti i cittadini.

Robespierrevuole ridefinire ilimiti della proprietàattraversolaleggeeSaint-Justsogna una Repubblica dipiccoli proprietari, poichésolo gli individui-proprietarigodrebberodell’indipendenzae della libertà necessarie aicittadini,ancheperdifenderelapatriaconlearmiinpugno.Essi difenderebbero cosí laRepubblica e al tempo stessoil lorostatutodicittadiniche

poggia sulla proprietà: «Leproprietà dei patrioti sonosacre» 8.Sologruppidel tuttomarginali hanno pensato eagito fuori da questoorizzonte della proprietàprivata, come ibabuvisti, chehanno pagato tale scelta conla vita. Ma essi eranoultraminoritari ed estraneiall’ambito della costruzionestatualemoderna,cosícomeèprevalsa fino ai giorni nostri

(ad eccezione di ciò che èaccaduto nell’Europa dell’Este altrove sulla scia dellarivoluzione bolscevica del1917; ma questa è un’altrastoria).

Sicurezzapubblicaelibertàpubbliche.

C’è cosí una coerenzaprofonda nell’edificio socio-

politico propostoinizialmentedaiprimiliberaliechetenteràdiimporsilungoilXIX secolo attraversomoltevicissitudini.Lasuachiavedivolta è lapretesadi garantiresia la protezione civile degliindividui fondata sullo Statodi diritto sia la loroprotezione sociale fondatasulla proprietà privata. Laproprietàèinfattil’istituzionesociale per eccellenza, nella

misura in cui adempie allafunzione essenziale disalvaguardare l’indipendenzadegliindividuiediassicurarlicontro i rischi dell’esistenza.Come ribadisceCharlesGideall’inizio del XX secolo: «Perciò che riguarda la classepossidente, la proprietàcostituisce una istituzionesocialecherendetuttelealtrepressoché superflue» 9.Bisogna intendere in tal

modochelaproprietàprivatagarantisce,nelsensopienodeltermine,controgli imprevistidell’esistenza sociale (in casodi malattia, di infortunio, dicessazione del lavoro,eccetera). Essa rende inutile«il sociale», inteso comel’insieme dei dispositivi chesaranno attivati al fine dicompensare il deficit dirisorse necessarie per vivereinsocietàcon iproprimezzi.

Gli individui proprietaripossono proteggersi da solimobilitando le proprierisorse, e possono farloall’interno del quadro legaledi uno Stato che proteggequesta proprietà. Si puòparlare a tale proposito, peressi, di una sicurezza socialegarantita. Quanto allasicurezza civile, essa, proprioessa,èassicuratadaunoStatodi diritto che garantisce

l’esercizio delle libertàfondamentali,cheamministralagiustiziaechesioccupadelpacifico svolgimento dellavita sociale (è il lavoro delle«forze dell’ordine», ritenutegaranti della sicurezzaquotidiana dei beni e dellepersone).

Si tratta quindi di unprogramma ideale che nonpuò sradicare totalmentel’insicurezzapoiché,perfarlo,

bisognerebbe che lo Statocontrollasse tutte lepossibilità, individuali ocollettive, di trasgredirel’ordine sociale. Appareevidente la forza delparadigma proposto daHobbes: la sicurezza puòessere totale se, e soltanto se,lo Stato è assoluto; se ha ildiritto o, in tutti i casi, ilpotere di schiacciare senzaalcun limite ogni velleità di

attentare alla sicurezza dellepersone e dei beni. Ma loStato,sedivienepocootantodemocratico, e a mano amanochelodiviene,ponedeilimiti all’esercizio di quelpotere che si realizzapienamente solo attraverso ildispotismo o il totalitarismo.Uno Stato democratico nonpuò essere uno Statoprotettoreaqualunquecosto,poiché questo costo sarebbe

quello calcolato da Hobbes:l’assolutismo del poterestatuale. L’esistenza diprincipî costituzionali,l’istituzionalizzazione dellaseparazione dei poteri, lapreoccupazione di rispettareil diritto nell’uso della forza,ivi compresa la forzapubblica, pongono altrettantilimiti all’esercizio di unpotere assoluto e creano,indirettamente ma

necessariamente, lecondizioni di una certainsicurezza.

Percitareunsoloesempio,ilcontrollodellamagistraturasulla polizia inquadra leforme di intervento delleforze dell’ordine e limita laloro libertà d’azione. Ildelinquente potrà trarre deivantaggi da questapreoccupazione di rispettareleformelegali,el’impunitàdi

cui beneficiano certi reati èuna conseguenza quasinecessariadella sofisticazionedell’apparato giudiziario. Lacritica ricorrente del«lassismo» di cui darebberoprova le autorità responsabilidelmantenimentodell’ordinepubblico ha la sua origineprofonda in questa distanza,cheesistesempreinunoStatodi diritto, tra l’esigenza dirispettare le forme legali e

quellepratiche repressive chesarebberoincondizionatamente pilotatedalla sola preoccupazionedell’efficacia. In generale, piúuno Stato si allontana dalmodello del Leviatano,dispiegando un complessoapparato giuridico, piú essorischia di deludere l’esigenzadi assicurare la protezioneassolutadeisuoimembri.Persuperare questa

contraddizione bisognerebbe,come aveva ben vistoRousseau, che tutti i cittadinifossero virtuosi, o fosseroobbligati a diventarlo. Matutti i cittadini non sonospontaneamentevirtuosi–nesiamoben lontani – e il casodi Robespierre serve aricordarci il prezzo di unapolitica della virtú che passaattraverso l’esercizio delterrore rivoluzionario. Ma se

lavirtúnonèspontanea,eseci si rifiuta di inculcarla aforza, bisogna alloraammettere che la sicurezzaassoluta dei beni dellepersone non sarà maicompletamente garantita inuno Stato di diritto. È ildilemma inscritto nel cuoredell’applicazione della legge.L’applicazione della leggepassa attraverso lamobilitazione di procedure

sempre piú complesse, chemantengono e addiritturaapprofondisconoloscartotraciò che l’ordine legaleprescrive e la maniera in cuiesso informa le pratichesociali.

In Francia, in occasionedelle ultime scadenzeelettorali, il temadell’insicurezza ha acquistatouna tale forza da rasentare avolte il delirio, e non sembra

che la situazione attuale stiadiventando piú tranquilla. Èfacile sottolineare la distanzaenorme che separal’ossessione sicuritaria dalleminacceoggettivechepesanosuibeniesullepersoneinunasocietà come la nostra,paragonata ad esempio a ciòche accade oggi in piú dellametà del pianeta o a ciò cheaccadevainFranciaunsecolofa 10. L’ossessione sicuritaria

non è tuttavia un fantasma,poiché rivela un tipo dirapporto con lo Statospecifico delle societàmoderne. L’individuo esigeche lo Stato lo proteggapoiché viene ipervalorizzato,e poiché si sente fragile e altempo stesso vulnerabile.Cosí la «domanda di Stato»apparedavveropiúfortenellesocietàmodernecheinquelleprecedenti,laddovenumerose

protezioni-soggezioni eranodistribuite attraverso lapartecipazione a gruppi diappartenenza sottoposti alsovrano. La pressione siesercitaormaiessenzialmentesullo Stato, salvo poirimproverargli di esseretroppo invadente. Ma sevuole essere uno Stato didiritto,nonpuòchedeluderequesta ricerca di protezionetotale, giacché la sicurezza

totale non è compatibile conilrispettoassolutodelleformelegali.

Cosí si potrebbecomprendere che ilsentimento di insicurezza,anche se assume formeestreme e totalmente«irrealistiche», provienemeno da un’insufficienzadelle protezioni che dalcarattere radicale di unadomandadiprotezione,dicui

Hobbes ha colto le radiciprofonde proprio all’iniziodella modernità. Il genio diHobbes ci aiuta a prenderecoscienza del paradosso chestrutturalaproblematicadellasicurezza civile nelle societàmoderne.Inquestesocietàdiindividui, la domanda diprotezione è infinita poichél’individuo in quanto tale èsituato fuori dalle protezionidi prossimità, ed essa

potrebbe trovare il suocompimento solo nel quadrodi uno Stato assoluto (quellocheHobbesvedevarealizzarsiconl’assolutismoregio:ancheper questo le sue analisi nonsono pure costruzionimentali). Ma questa stessasocietà sviluppa al tempostesso delle esigenze dirispetto della libertà edell’autonomia degliindividui, che non possono

fiorire che in uno Stato didiritto.Ilcarattereirrealisticoe al tempo stesso moltorealistico del sentimentocontemporaneodiinsicurezzapuò cosí essere compresocome un effetto, vissutoquotidianamente, di questacontraddizione: unacontraddizione tra unadomanda assoluta diprotezionieunlegalismochesisviluppaoggi–comesipuò

osservare – nelle formeesacerbate di un ricorso aldiritto in tutte le sferedell’esistenza, fino alle piúprivate. L’uomo modernovuole assolutamente che glisia resa giustizia in tutti icampi, ivi compresa la suavita privata: il che apre unagrande carriera ai giudici eagli avvocati. Ma eglivorrebbe assolutamente, allastessa maniera, che la sua

sicurezza fosse garantita neidettagli della sua esistenzaquotidiana: il che apre la via,questa volta, all’onnipresenzadei poliziotti. Queste duelogiche non possonosovrapporsi completamente:esse lasciano sussistere unoscarto che alimenta ilsentimento di insicurezza.Dipiú:siapprofondisceloscartotra un legalismo che sirinforza e una domanda di

protezioni che si inasprisce.Cosí l’esasperazione dellapreoccupazione sicuritariagenera necessariamente lapropria frustrazione, chealimenta il sentimento diinsicurezza.

Si tratta forse di unacontraddizione inerenteall’esercizio della democraziamoderna. Essa si esprimeattraverso il fatto che lasicurezza,indemocrazia,èun

diritto,ma che questo dirittonon può certamenterealizzarsiconpienezzasenzamettere in moto deglistrumenti che si rivelanolesivi del diritto. È in ognicaso significativo – e lodimostra l’attuale situazionepolitica francese – che ladomanda di sicurezza sitraduca immediatamente inuna domanda d’autorità, laquale,unavolta inpredaagli

eccessi dell’entusiasmo, puòminacciarelademocrazia.Ungovernodemocraticositrova,qui, in una situazionesfavorevole. Da esso sipretende che garantisca lasicurezza, e lo si condannarimproverandogli il suolassismo se fallisce in questocompito. Ma il sovrappiú diautorità che si esige da unoStato di diritto può davveroesercitarsi in un quadro

democratico?Losivedebene:che si tratti della «guerracontro il terrorismo», cosícome è portata avanti dagliStati Uniti, oppure della«tolleranza zero» verso ladelinquenza esaltata inFrancia, gli stati cheostentano il loroattaccamento ai dirittidell’uomo, fino al punto dipretendere di dare lezioni alresto del mondo attorno a

questo tema, corronocontinuamente il pericolo dislittareverso lacompressionedellelibertàpubbliche.

1 G. DUBY , Les pauvres descampagnes dans l’Occidentmédiéval jusqu’au XII e siècle, in«Revue d’histoire de l’Église enFrance»,LII(1966),p.25.

2TH.HOBBES,Leviatano,2voll.,

Laterza,Roma-Bari1974.3Ibid.,vol.I,p.309.4J.LOCKE,Ilsecondotrattatosul

governo, Rizzoli, Milano 2001, §173.Questoschemadellaproprietàgarante dell’indipendenza è anchepresente in James Harrington(1611-1677), che vi scorge lacondizione a partire dalla quale imembridiunaRepubblicapossanoesercitare liberamente la lorocittadinanzapolitica(Larepubblica

di Oceana, Franco Angeli, Milano1985).

5Ibid.,§124.6Ibid.,§123.7Questosforzovabenoltreun

semplice rivestimento «formale»per dissimulare le disuguaglianzereali. Per attenersi a un soloesempio,laMonarchiadiLugliohadispiegato sforzi considerevoli pergiustificare legalmentel’internamento dei malati mentali.Lapostaingiocoerachiara.Ifolli,

poiché erano vissuti comepericolosi, non potevano esserelasciati in libertà. Ma poiché nonerano responsabili, non potevanoessere condannati e nonrientravano nell’ambito dellaprigione. Il problema negli anniTrenta dell’Ottocento riguardavaunadecinadimigliaiadipersoneenon minacciava dunque l’ordinesociale. Ma minacciava i principîdelloStatoliberale,cioèlanecessitàdi salvaguardare il carattere legale

della sanzione e di vietare ogniforma di internamento arbitrarioriconducibileallelettresdecacheteai prigionieri di Statodell’assolutismo regio. L’uscita dalvicolo cieco è stata l’accettazionedell’internamento terapeuticoproposto da Esquirol e dai primialienisti (sideve internareun follenon per punirloma per guarirlo).Ma la legge del 1838, che ratificaquesto statuto di eccezione deimalatimentali,èstatavotatadopo

lunghi mesi di appassionatecontroversie alla Camera deiDeputatieallaCameradeiPari.Laposta in gioco di questi dibattitimolto ricchi era proprio quella digarantire la sicurezza contro idisordini della follia, ma entro unquadro legale, al punto che perarrivarci è stato necessariocostruire laboriosamente unanuova legge. La legge del 1838 infavore degli alienati è senza alcundubbiounalegged’eccezione,maè

proprio una legge, e per di piúvotatarispettandoleprocedurepiúdemocratichedell’epoca.

8 Louis Saint-Just, citato da M.

LEROY,HistoiredesidéessocialesenFrance, vol. II, Gallimard, Paris1950,p.272.ÈverocheSaint-Justaggiunge: «Ma i beni deicospiratori sono qui per gliinfelici». Tuttavia, questa aggiuntaconferma il valore eminente datoalla proprietà: essa è necessaria ai

vericittadini,mentreinemicidellapatrianonnesonodegni.

9 CH. GIDE , Économie sociale,Paris1902,p.6.

10 Sull’insicurezza in altre areeculturali, si veda ad esempio L.

KOWARICK , Living at Risk. OnVulnerability in Urban Brazil, inEscritos Urbanos, Editoria 34, SãoPaulo 2000: un quadroimpressionante dell’onnipresenzadell’insicurezza nelle metropolibrasiliane. Sulla situazione in

Francia un secolo fa, si veda adesempio D. KALIFA , L’attaquenocturne, in «Société etreprésentation», Credes, n. 4,maggio 1997, che rappresenta altempostessol’insicurezzarealeelamessainscena,dapartedeimediadell’epoca, dell’insicurezza dellenotti parigine attorno al 1900. SivedechealtempodegliApacheslaviolenza criminale erainnegabilmente piú presente dioggi,datoche lastamparegistrava

a volte fino a centoquarantaattacchi notturni al mese a Parigi.Ma si vede anche che la tematicadell’insicurezza era già sfruttata aifini politici. Prendersela con illassismodel prefetto di polizia eraanche, per l’opposizione di queltempo, una maniera di contestarelalegittimitàdelgoverno.

CapitolosecondoLasicurezzasocialenello

Statoprotettore

L’insicurezza significa,nella stessa misura,l’insicurezza sociale e

l’insicurezza civile. Inquest’ambito, essere protettosignificaessereal riparodalleperipezie che rischiano didegradare lo statuto socialedell’individuo. Il senso diinsicurezza è dunque laconsapevolezza di essere allamercé di questi avvenimenti.Per esempio, l’incapacità di«guadagnarsi da vivere»lavorando – che sia dovutaallamalattia,aun infortunio,

alla disoccupazione o allacessazione dell’attivitàlavorativa per limiti di età –rimette in questione ilregistro dell’appartenenzasociale dell’individuo chetraeva dal salario imezzi delsuo sostentamento,rendendolo incapace digovernare la sua esistenza apartire dalle proprie risorse.Dovrà essere assistito persopravvivere. Si potrebbe

definireunrischiosocialeneitermini di un accadimentoche compromette la capacitàdegli individui di garantirsida soli la loro indipendenzasociale. Se non si è assicuraticontro questi imprevisti, sivive nell’insicurezza. Si trattadi un’esperienza secolare cheè stata condivisa dallamaggior parte di quello cheuna volta si chiamava ilpopolo.Dachisaràcomposto

domani?Proprioall’iniziodelXVIII secolo, Sébastien LePrestre de Vauban descrivecosí la condizione di unrappresentante dei piccolisalariati dell’epoca, deibraccianti giornalieri, deimanovrieri, «gentedi fatica edi braccia»: «farà semprefaticaadarrivareafineanno.Da qui è chiaro che, perquanto poco sia

sovraccaricato, dovràsoccombere» 1.

La formula è bella. Matraduce soprattutto connotevole esattezza lasituazione vissuta un tempodalla maggior parte degliesponenti delle categoriepopolari, e in particolare datutti coloro che avevano soloillorolavoropervivere,opersopravvivere. L’insicurezzasocialeèun’esperienzacheha

attraversato la storia; unastoria non appariscente nellesueespressioni;infatti,coloroche la provavano spesso nonprendevanolaparola,salvolevolte in cui essa esplodeva insommosse,inrivolteeinaltre«emozioni popolari»: taleinsicurezza, tuttavia, eracarica di tutte le fatiche e ditutte le angosce quotidianeche hanno costituito buona

parte della miseria delmondo.

In relazione a questadimensione massiva dellaproblematica dell’insicurezza,l’ideologia della modernità,che si è imposta apartiredalXVIII secolo, ha dato prova,almeno in un primo tempo,di una straordinariaindifferenza. Si è sottolineatoche la sua concezionedell’indipendenza

dell’individuo era statacostruita attraverso lavalorizzazionedellaproprietà,coniugata con uno Stato didiritto ritenuto in grado digarantire la sicurezza deicittadini. Questa costruzioneavrebbe dovuto assegnare unruolo centrale alla questionedellostatuto,odell’assenzadistatuto, dell’individuo nonproprietario.Cheneèdi tutticoloro ai quali la proprietà

non assicura questa base dirisorse che sarà d’ora inavanti la condizionedell’indipendenza sociale echecostituirà–percitarenonancora Marx, ma un autoreoscuro della fine del XVIII

secolo – «la classe nonproprietaria»? 2. Gli individuiprivi del supportoproprietario sono assimilati,daunamente cosí illuminatacomequelladell’abateSieyès,

a «una folla immensa distrumenti bipedi senzalibertà, senza moralità, chenon possiede che delle manipressoché incapaci diguadagno e un animoassente» 3.

Laproprietàoillavoro.

Questa questione centralenon è stata assolutamente

presa in considerazione nellalogica della costruzione delloStato liberale. C’è statadavvero, in particolaredurante l’effervescenzarivoluzionaria, una certapresa di coscienza dellagravità del problema. Lotestimonia questo interventoallasedutadellaConvenzionedel 25 aprile 1793 di undeputato della Montagna,Harmand, la cui lucidità ci

sembra ancor oggisorprendente:

Gli uomini che vorrannoessereveririconoscerannoconme che dopo aver ottenutol’uguaglianza politica didiritto, il desideriopiú attualee piú attivo è quellodell’uguaglianza di fatto.Dicodi piú, dico che senza ildesiderio o la speranza diquesta uguaglianza di fatto,

l’uguaglianzadidirittosarebbesolo un’illusione crudele laquale, al posto delle gioie chehapromesso,non farebbecheinfliggere il supplizio diTantalo alla parte piú utile epiúnumerosadeicittadini 4.

Questa «parte piú utile epiúnumerosadeicittadini»èl’insieme dei lavoratori nonproprietari. Ma Harmandvedebeneche il rispetto(che

egli giudica necessario) dellaproprietàopponeunostacoloinsormontabile allarealizzazione di questo«desiderio».Eaggiunge:

Comepossonoleistituzionisociali procurare all’uomoquestauguaglianzadifattochelanaturagliharifiutatosenzaattentare alle proprietàterritorialieindustriali?Comegiungervi senza la legge

agraria e la divisione deipatrimoni?

Èproprioquesta,infatti,laquestione e all’epoca nonpoteva ricevere una rispostadiversa dal comunismo. Inquesto senso, Gracco Babeufrisponde direttamente adHarmand, ma l’esito pietosodella Cospirazione degliEgualimostraaltempostessoche alla fine del XVIII secolo

questa risposta portava a unvicolocieco.Tuttoèaccadutocome se questo problemafossestatoelusoilpiúalungopossibile–eciòfinoalla finedel XIX secolo – da parte deiresponsabili politici chehanno contribuitoall’edificazione dello Statomoderno. Il lettore potràinterpretare come megliocrede le ragioni di questorifiuto delle élite dirigenti di

prendereinconsiderazionelasituazionesocialedella«partepiúutileepiúnumerosa»deicittadinidelloStatodidiritto:indifferenza, egoismo,disprezzo di classe, e cosívia 5.

Ma per questo primoperiodo di espansione delliberalismo è lecito parlare,con Peter Wagner, di«modernità liberaleristretta»:il progetto di una società

liberale formulato, adesempio, nella Dichiarazionedei diritti dell’uomo e delcittadino è in linea diprincipio universale, ma èstatopienamenteapplicato,inun primo tempo, solo a unafrazione assai limitata dellepopolazioni dell’Occidentecristiano 6.

Le conseguenze di questaimpasse sulle condizionisociali della realizzazione dei

principî liberali sono stateconsiderevoli e disastrose. Leinnumerevolirappresentazioni del«pauperismo» ottocentescorendonovisibilenonsoltantola miseria degli operai dellaprima industrializzazione edelle lorofamiglie,maanche,piú generalmente, ilperpetuarsi di uno stato diinsicurezza socialepermanente che intacca la

maggior parte delle categoriepopolari. Stavo per dire «cheinfetta».L’insicurezzasociale,infatti, non nutre solo lapovertà. Essa agisce come unprincipio didemoralizzazione, didissociazione sociale, allastregua di un virus cheimpregna la vita quotidiana,dissolve i legami sociali emina le strutture psichichedegli individui. Essa induce

una «corrosione delcarattere», per usareun’espressione che RichardSennet impiega in un altrocontesto 7. Viverenell’insicurezza permanentesignifica non poterpadroneggiare il presente néanticipare positivamentel’avvenire. È la famosa«imprevidenza» delle classipopolari, instancabilmentedenunciata dai moralisti del

XIXsecolo.Macomepotrebbeproiettarsi nel futuro epianificare la propriaesistenza colui che ognigiorno viene tormentatodall’insicurezza?L’insicurezzasociale trasforma questastessa esistenza in una lottaper la sopravvivenza, portataavanti giorno per giorno e ilcui esito èogni volta incerto.Si potrebbe parlare didisassociazione sociale (il

contrario della coesionesociale) per dare un nome acerte situazioni particolari:quella, ad esempio, deiproletari del XIX secolo,condannati a una precarietàpermanente – che è ancheun’insicurezza permanente –e incapaci di esercitare laminima presa su ciò checapitaloro.

ÈquestoillatooscurodelloStatodidiritto.UnoStatoche

abbandona in un angolomortolacondizionedicoloroche non hanno i mezzi pergarantirsi l’esistenzaattraverso la proprietà. Ciòfacendo, lo Stato elude laquestione che Hobbes avevaposto in modoparadossalmente piúdemocratico, visto cheriguardava tutti i soggettidello Stato, considerati sullostesso piano di fronte al

Leviatano: come proteggeretuttiimembridiunasocietà?Comegarantirelasicurezzaditutti gli individui nel quadrodellanazione?Lascissionefraproprietari e non proprietarisitraduceinunascissionefrasoggettididirittoesoggettidinon diritto, se si intende perdiritto anche il diritto divivere nella sicurezza civile esociale. In caso contrario, ildirittoèsolo«formale»,come

diràMarx, e la sua critica suquestopunto è inconfutabile.Lo Stato di diritto lasciaimmutata la condizionesocialediunamaggioranzadilavoratori attraversatadaunainsicurezza socialepermanente.

Comesi èuscitidaquestasituazione? In altri termini:come si è giunti a vincerel’insicurezza (sociale)assicurando la protezione

(sociale) di tutti o di quasitutti imembri di una societàmoderna, per farne degliindividuichegodonodituttiidiritti? Posso fornire quisoltantol’iniziodellarisposta,la cui declinazione completaesigerebbe lunghi sviluppi 8.Indueparolequindi:fissandodelle protezioni forti allavoro; o ancora: costruendounnuovo tipodi proprietà –la proprietà sociale –

concepita e realizzata perassicurarelariabilitazionedeinon proprietari. Ecco, moltoschematicamente, lo sviluppodi queste due proposizionistrettamenteconcordanti.

In primo luogo, fissareprotezioni e diritti allacondizione del lavoratorestesso.Il lavorosmettecosídiessere una relazionepuramente commerciale,retribuita nel quadro di un

rapporto pseudocontrattuale(il «contratto di locazione»del Codice civile), tra undatore di lavoro onnipotentee un salariato deprivato. Illavoro è diventato l’impiego,cioèunacondizionedotatadiuno statuto che includegaranzie non commerciali,come il diritto a un salariominimo, le protezioni deldirittodellavoro,lacoperturadegliinfortuni,dellamalattia,

il diritto alla pensione,eccetera. Contestualmente, lasituazionedellavoratorecessadi essere la condizioneprecaria destinata ad esserevissuta, giorno per giorno,nell’angoscia del domani.Essa è divenuta la condizionesalariale: la disponibilità diuna base di risorse e digaranzie sulla quale illavoratore può contare perdominare il presente e per

agiresulfuturo.Nella«societàsalariale», che si realizza inEuropa occidentale dopo laSeconda guerra mondiale,quasi tutti gli individui sonocoperti da sistemi diprotezionelacuistoriasocialemostra che nella maggiorparte dei casi sono staticostruiti a partire dal lavoro.Una società salariale non èsolounasocietànellaqualelamaggior parte della

popolazioneattivaèsalariata.È soprattutto una societànella quale la stragrandemaggioranza dellapopolazione accede allacittadinanza sociale a partire,in primo luogo, dalconsolidarsi dello statuto dellavoro.

Secondo modo diqualificare questatrasformazione decisiva: imembridellasocietàsalariale

hanno avuto massivamenteaccesso alla proprietà sociale,che rappresenta un omologodella proprietà privata; unaproprietà per la sicurezza,oramai messa a disposizionedi coloro che erano esclusidalle protezioni procuratedalla proprietà privata 9. Sipotrebbe caratterizzare laproprietà sociale come laproduzione di equivalentisociali delle protezioni che

eranoprimafornitesolodallaproprietà privata. Si vedal’esempio della pensione. Intermini di sicurezza, ilpensionato potrà rivaleggiarecon il possidente, garantitodal suo patrimonio. Lapensione offre cosí unasoluzione a una dellemanifestazioni piú tragichedell’insicurezza sociale: lasituazione del lavoratoreanziano che non era piú in

grado di lavorare, cherischiava il totale declino e ilricorso obbligato a formeinfamanti di assistenza comel’ospizio.Malapensionenonè unamisura di assistenza: èun diritto costruito a partiredallavoro.Essaè laproprietàdel lavoratore costituita nonsecondolalogicadelmercato,ma attraverso lasocializzazione del salario:una parte del salario torna

indietro a beneficio dellavoratore (salario indiretto).È,percosídire,unaproprietàper la sicurezza, chegarantisce la sicurezza dellavoratoreuscitodalrapportodilavoro.

Evidentemente, lapensione non è che unesempio delle realizzazionidellaproprietàsociale,chehaavuto degli iniziestremamente modesti (la

legge del 1910 sulle pensionioperaie e contadine nonriguardava che i lavoratoripiúpoveri, poiché si ritenevache i salariati piú agiatipotessero garantirsi da soli,entrola logicadellaproprietàprivata). Sipuòcomprenderel’estensione del sistema apartire dal processo digeneralizzazione-differenziazione del salariatochecaratterizzailXXsecolo.Il

salariato smette di essereessenzialmente il salariatooperaio e ricopre l’insiemeestremamente diversificatodelle categorie salariali: daglioperai pagati a salariominimo garantito ai quadrisuperiori. Ma tutte questecategorie sono coperte dalleprotezioni del lavoro. Cosíunaformadiproprietàsocialecome la pensione finisce pergarantire la stragrande

maggioranza dei membridella società salariale.Parallelamente ai sistemipensionistici, bisognerebbeesporre qui l’insieme delleleggisocialimesseincantierenel corso del XX secolo eapprodate a una Sicurezzasocialegeneralizzata:

un piano completo diSicurezza sociale mirato adassicurareatuttiicittadinidei

mezzidisussistenzaneicasiincui siano incapaci diprocurarseli attraverso il lorolavoro: un piano con unagestione affidata airappresentantidegliinteressatie ai rappresentanti delloStato 10.

Di fatto, il ruolo delloStato si è rivelato centralenella realizzazione di questidispositivi. Lo sviluppo dello

Stato sociale, quanto adestensione, è rigorosamenteconnesso all’espansione delleprotezioni. Nel suo ruolosociale, lo Stato operaessenzialmente come unriduttore di rischi. Attraversola mediazione degli obblighiche esso impone e garantisceperlegge,senededuceancheche«loStatosialuistessounavastaassicurazione» 11.

Unasocietàdisimili.

Cosí si è trovata protetta«la parte piú utile e piúnumerosa dei cittadini»evocata da Harmand,membro della Convenzione.Per risolvere il problemadell’insicurezzasocialenonsiè passati attraverso lasoppressione o la divisionedellaproprietàprivata.Nonsiè dunque realizzata la stretta

uguaglianza delle condizionisociali, «l’uguaglianza difatto» auspicata anche daHarmand.Lasocietàsalarialeresta fortementedifferenziatae, per farla breve, tutt’altroche egalitaria. Ma essa è altempo stesso fortementeprotettrice.Cosí, tra l’alto e ilbasso della scala gerarchicadei salari, le differenze direddito sono considerevoli.Malediversecategoriesociali

beneficianodegli stessi dirittidi protezione: diritto dellavoro e protezione sociale.Eccolaragionepercui,senzadubbio,questotipodisocietàha dato prova di una certatolleranza di fronte alleineguaglianze. Certo, le lotteperla«divisionedeibenefici»della crescita sono stateaccese.Ma si sono sviluppateattraverso una modalità dinegoziazione conflittuale tra

«partnersociali»chehaavutoper effetto un sicuromiglioramento dellacondizione di tutte lecategoriesalariali,lasciandoaltempo stesso sussistere, inpratica, le stesse disparità tradi loro 12. Dato che questiscarti rimangono, il processonon è assolutamente quellodellacostituzionediunavasta«classe media», come hannocreduto certi ideologi

dell’epoca 13.Tuttavia,adognilivello della gerarchia sociale,ognuno pensava di poterdisporredelle risorseminimeper assicurare la propriaindipendenza.

Il modello di società cosírealizzatononèquellodiunasocietàdiuguali(nelsensodiun’uguaglianza «di fatto»delle condizioni sociali), maquello di una «società disimili», per riprendere

un’espressione di LéonBourgeois 14. Una società disimili è una societàdifferenziata, gerarchizzatadunque,manellaqualetuttiimembri possono stabilirerelazioni di interdipendenzapoiché dispongono di unfondo di risorse comuni e didiritti comuni. Il carattereirriducibile dell’opposizioneproprietari/nonproprietariècosí superato grazie alla

proprietàsociale,cheassicuraai non proprietari lecondizioni della loroprotezione.LoStato (loStatoprovvidenza, o piuttosto loStato sociale) è il garante ditalecostruzione: leprotezionifornite sono protezioni didiritto; esse costituiscono ilmodello in espansione deidiritti sociali, che fornisconouna concreta contropartita,

virtualmente universale, aidiritticivilieaidirittipolitici.

Conviene sottolineare cheil ruoloprincipaledelloStatosociale non è stato quello direalizzare la funzioneridistributiva che gli siattribuisce piúfrequentemente. Infatti, leridistribuzioni di denaropubblicohannointaccatosoloassai debolmente la strutturagerarchica della società

salariale. Il suo ruoloprotettore è stato inveceessenziale. Ad esempio, lapensione:lepensioniseguonoassaistrettamentelagerarchiasalariale (piccolo salariopiccola pensione, grossosalariogrossapensione).Qui,dunque, nessunaridistribuzione. Incompenso,il ruolo protettore dellapensione è fondamentale,poiché assicura a tutti i

salariatilecondizioniminimedell’indipendenza sociale, equindi la possibilità dicontinuarea far societàcon iloro«simili».Lapensionedelsalariatopagatocon il salariominimo garantito non hacerto nulla di sbalorditivo.Tuttavia, paragonata con lasituazione lavorativa cheprecede l’avvento delleprotezioni – ad esempio conla situazione del proletario

agli inizidell’industrializzazione– essarappresenta un verocambiamento qualitativo. Sipuò dire la stessa cosa delleprotezioni che riguardano lasaluteolafamiglia,eanchelosviluppo di servizi pubblicidel tutto o parzialmentesottrattialgiocodelmercato.La proprietà sociale hariabilitato la «classe nonproprietaria», condannata

all’insicurezza socialepermanente, procurandole ilminimo di risorse, diopportunità e di dirittinecessariperpotercostituire,inmancanzadiunasocietàdieguali,una«societàdisimili».

Riuscire a soffocarel’insicurezza sociale, cioè adagire efficacemente inqualitàdiriduttoredirischisociali:sicomprende cosí come siastata questa, in una società

salariale, la funzioneessenziale dello Stato, oltreche la sua piú granderealizzazione.Mavièarrivatoa certe condizioni – le unecongiunturali, le altrestrutturali – di cui occorrericordare almeno le due piúimportanti, per comprendereperché, oggi, l’efficacia delsuo intervento vienecompromessa dalla ripresadell’insicurezzasociale.

La prima condizione, chehapermessolacostruzionediquesto edificio, è la crescita.Tra il 1953 e l’inizio deglianni Settanta, si èpraticamente assistito altriplicarsi della produttività,dei consumi e dei redditisalariali. Al di là di unadimensione propriamenteeconomica, è necessariointravedere qui un fattoreessenziale che ha permesso

una gestione regolata delleineguaglianze edell’insicurezza sociale nellasocietà salariale. Secondol’espressione di unsindacalistadell’epoca,AndréBergeron,vieradel«granodamacinare». Questo non vuoldire soltanto che c’è delplusvalore da dividere. Vi èanche la possibilità di farentrare in gioco quel che sipotrebbe chiamare un

principio di soddisfazionedifferita nella gestione degliaffari sociali. Nellanegoziazione tra «partnersociali», ogni grupporivendica di piú e pensa dinon guadagnarci maiabbastanza. Ecco perchéquesta negoziazione èconflittuale. Ogni gruppo,tuttavia, può anche pensarechedomani,o tra seimesi, otraunanno,otterràdipiú.In

questo modo leinsoddisfazioni e lefrustrazioni sono vissutecome provvisorie. Domanisaràmegliodioggi.Èingiocola possibilità di realizzaregradualmente una riduzioneprogressiva delleineguaglianze e losradicamento delle sacche dipovertà e di precariato chesussistononellasocietà.Èciòche si chiama il progresso

sociale,chepassaattraversolapossibilità di programmarel’avvenire. Una tale credenzaviene vissuta in maniera deltutto concreta attraverso lapossibilità di assumere delleiniziativeedisvilupparedellestrategie rivolte al futuro:chiedere un prestito perottenere la proprietà dellapropria casa, programmarel’ingresso dei figliall’università, anticipare delle

traiettorie di mobilità socialeascendente, incluse quelletransgenerazionali.

Questa capacità dipadroneggiare l’avvenire misembra essenziale in unaprospettiva di lotta control’insicurezza sociale 15. Essafunziona finché lo sviluppodella società salariale sembrainscriversi in una traiettoriaascendente,chemassimizzalostock delle risorse comuni e

rinforza il ruolo dello Statocome regolatore di questetrasformazioni. E questoperchétaleperiododicrescitaeconomica è anche ilmomento forte di crescitadelloStato,chegarantisceunaprotezione socialegeneralizzataechesisforzadipilotare l’economia entro unquadro keynesiano,elaborando dei compromessitra i differenti partner

implicati nel processo dellacrescita. Si vedrà come larimessa in discussione diquestadinamicaabbiapotutoprodurre il riemergeredell’insicurezzasociale.

Trattandosi di cogliere ifattori che avevano permessodi stroncare pienamentel’insicurezza sociale, bisognamettere l’accento su unsecondo elementodeterminante, questa volta

strutturale. Come dire:l’acquisizionedelleprotezionisociali è maturataessenzialmente a partiredall’inscrizionedegli individuiin collettivi di protezione.«Quel che conta è sempre dimeno ciò che ognunopossiede e sempre di piú idiritti acquisiti dal gruppo diappartenenza. L’avere ha unaminore importanza rispetto

allo statuto collettivodefinitodauninsiemediregole» 16.

Di fatto, il lavoratore inquanto individuoabbandonato a se stesso non«possiede» pressoché nulla;ha soprattutto il bisognovitale di vendere la sua forzalavoro. È per questo che ilpuro rapporto contrattualefra datore di lavoro edipendente era uno scambioprofondamente ineguale tra

due individui, in cui l’unopuòimporrelesuecondizionipoichépossiede,percondurrelatrattativaamodosuo,dellerisorse che all’altro mancanototalmente. Al contrario, seesiste inveceunaconvenzionecollettiva, non è piúl’individuo isolato checontratta. Egli si appoggia auninsiemediregolechesonostate precedentemente ecollettivamente negoziate e

che sono l’espressione di uncompromesso tra partnersociali collettivamentecostituiti. L’individuo siinscrive in un collettivoprecostituito che esprime lasuaforzadifrontealdatoredilavoro. Che si abbia a chefare, secondo l’espressioneconsacrata, con dei «partnersociali», significa che nonsono piú degli individui, ma

dei collettivi che entrano inrelazionegliuniconglialtri.

Si possono estenderequeste osservazioniall’insieme delle istituzionidella società salariale. Ildiritto del lavoro e laprotezione sociale sonosistemi di regolazionecollettiva: diritti definiti infunzione dell’appartenenza ainsiemi e spesso acquisiti inseguitoalotteeaconflittiche

hanno contrapposto gruppicon interessi divergenti.L’individuo è protetto infunzione di questeappartenenze: esse nonimplicano piú lapartecipazione diretta acomunità «naturali» (le«protezioni ravvicinate» dellafamiglia, del vicinato, delgruppo territoriale), marichiedono l’adesione acollettivi costruiti con

regolamentazioni e dotatigeneralmente di uno statutogiuridico.Collettividi lavoro,collettivi sindacali,regolazioni collettive deldiritto del lavoro e dellaprotezione sociale: comediceHatzfeld,èproprio«lostatutocollettivo definito da uninsieme di regole» cheprotegge l’individuo e gliprocura la sicurezza. In unasocietà moderna

industrializzataeurbanizzata,in cui le protezioni diprossimità, se non sono deltutto scomparse, sono moltoindebolite, è l’istanza delcollettivo che può renderesicurol’individuo.

Ma questi sistemi diprotezione sono complessi,fragili e costosi. Nonincastrano piú direttamentel’individuo, come accadevacon le protezioni ravvicinate.

Essi suscitano ugualmenteuna forte domanda di Stato,poichéspessoèloStatochelisollecita, li legittima e lifinanzia. Si ritieneperciòcheun riemergere massicciodell’insicurezza sociale possarappresentare il costodell’attuale rimessa indiscussione dello Statosociale, legataall’indebolimento deicollettivi o addirittura al loro

crollo, prodotto dalpotenziamentodeiprocessidiindividualizzazione.

1 S. LE PRESTRE DE VAUBAN ,Projetdedîmeroyale,Paris1707,p.66. Vauban cadrà in disgrazia perquesta rappresentazione troppolucida della miseria del popolo altempodelreSole.

2 Lambert, membro del

Comitato di mendicitàdell’Assemblea costituente, citatoda L. F. DREYFUS ,Un philanthroped’autrefois, La Rochefoucault-Liancourt,Paris1903.

3 E. J. SIEYÈS , Écrits politiques,Éditions des Archivescontemporaines,Paris1985.

4 Discorso all’Assembleacostituente del 15 aprile 1793,citato da M. GAUCHET , LaRévolution des droits de l’homme,Gallimard,Paris1989,p.214.

5 La presa di coscienza di ciòche costituirà il nucleo dellaquestione sociale del XIX secolorisale tuttavia agli anni Ventidell’Ottocento,sottolaformadellascopertadel«pauperismo»dapartedell’insieme degli osservatorisociali:rivelazionepermoltiaspettisconvolgente di una miseria dimassa direttamente legataall’industrializzazione e la cuipromozione sembra da quelmomento inscritta nello sviluppo

stesso della modernità. Ma irappresentanti delle classidominanti, tanto liberali checonservatori, si rifiutano di farneun problema politico, cioè unproblema chedeve essere preso inconsiderazionealivellodelloStato,ecercanodirisponderviattraversoil dispiegamento delle pratichedellafilantropiaedelpaternalismopadronale (metto volontariamentetraparentesi lediversevariantidelsocialismo rivoluzionario che si

sviluppano simultaneamente, machesonodunqueesclusedalcampopolitico dove si elaborano lemodalità di governo della societàmoderna).

6 P. WAGNER , Soziologie derModerne. Freiheit und Disziplin,Campus Fachbuch, 1995.Considerata su scala planetaria,questa«restrizione»sembraancorapiú esorbitante. Si potrebbe direche la modernità liberale si ècostruita sulla base di una doppia

esclusione: l’esclusione dellecategoriepopolarinellenazionipiúsviluppate dell’epoca (l’Europaoccidentale,poigliStatiUniti)e,aldi fuori di questo perimetro,l’esclusionedelrestodell’umanità.

7 R. SENNET , The Corrosion ofCharacter, Norton, New York1998.

8 Ho tentato questadimostrazione in Lesméthamorphes de la questionsociale. Une chronique du salariat

(1995), Gallimard, Paris 1999, inparticolareneicapitoliVIeVII.

9Horipresoun’intuizionediH.

HATZFELD ,Ladifficilemutationdela sécurité-propriété à la sécurité-droit, in «Prévenir», n. 5, marzo1982. Si trova il termine diproprietàsocialenelsensoincuilointendo qui in altri autorirepubblicani della fine del XIX

secolo; si veda in particolare A.

FOUILLÉ ,La propriété sociale et ladémocratie, Paris 1884. Fouillé

difendel’assicurazioneobbligatoriacome il mezzo adatto a costituire«quelle garanzie del capitaleumanochesonocomeunminimodi proprietà essenziale ad ognicittadinoveramenteliberoeugualeaglialtri».

10 Conseil national de larésistance,programmad’azionedel5marzo1944.

11 F. EWALD , L’État providence,Grasset, Paris 1986, p. 343. Peressere esaustivi, occorrerebbe

aggiungere,allamessaincampodiquesta struttura assicurativa, losviluppo dei servizi pubblici. Iservizi pubblici – intesi comedispositivi che mettono adisposizione del piú gran numerodipersonebeni essenziali chenonpossonoesserepresiincaricodagliinteressi privati – costituisconouna parte importante dellaproprietà sociale: che dei servizinon mercificati siano accessibili atutti è un fattore essenziale di

coesionetraidifferentisegmentidiuna società moderna. Non si puòappesantire troppo l’esposizione,maildibattitosulruolodeiservizipubblici fino alla loro attualerimessa in discussione siintegrerebbe del tutto nellatematica sviluppata all’interno diquestodiscorso.

12Durante il trentennio chevadal 1946 al 1975, il cosiddettoperiodo dei «Trenta Gloriosi», ledifferenzedeiredditida lavoro tra

gli operai e i quadri sono rimastepraticamente immutate, salvoalcune varianti congiunturali.L’immagine che bisognerebbeusareèquelladellascalamobile:suuna scalameccanica tutti salgono,ma la distanza tra le persone, quitra le differenti categorie socialicollocatesudifferentigradini,restalastessa.

13 Tra di essi, il piúrappresentativo, fino allacaricatura, è stato senza dubbio

Jean Fourastié: cfr. Les TrentesGlourieuses ou la Révolutioninvisibile de 1946 à 1975, Fayard,Paris1979.

14 L. BOURGEOIS , Solidarité,Paris 1896. Sullo sfondo, siriconosce il modello dellasolidarietà organica di ÉmileDurkheim, forma che deveassumere l’appartenenza sociale inuna società al tempo stessodiversificataeunificata(integrata).

15Questalottasiinscriveinfatti

in un processo che al principiodeglianniSettantaerabenlontanodall’essere compiuto. Per dirlaaltrimenti, insicurezza sociale epovertà sono ancora presenti. Mapossono essere pensate comeresiduali inrapportoalladinamicache sembra imporsi. Lo stessodicasi per l’esistenza di ciò che sichiama il «quarto mondo»,composto da individui rimasti aimargini della società salariale.Tuttavia, la loro presenza non

mette indiscussione ilmovimentoascendentedellasocietà:lisiassistepoco o tanto in attesa che un po’alla volta spariscano. Allo stessomodo, sussistono differenticategorie di assistiti che hanno ache fare con ildirittoal soccorso enon con le coperture assicurativeincondizionate costruite a partiredallavoro.MacomeosservaDidierRenard,«l’opinionesecondocui leassicurazioni sociali devonorendere inutili le istituzioni

assistenziali è maggioritaria apartire dall’inizio del secolo e si èdefinitivamente imposta alla finedellaguerra»(Interventiondel’ÉtatetgenèsedelaprotectionsocialeenFrance, in «Lien social etpolitiques»,n. 33,primavera1995,p. 108). Pierre Laroque – chediverrà il grande dirigente delpiano francese di previdenzasociale – aveva una concezioneparticolarmente peggiorativadell’assistenza e pensava che la si

dovessesradicareunpo’allavolta:«L’assistenza avvilisceintellettualmente e moralmentedisabituando l’assistito allo sforzo,condannandolo a marcire nellamiseria, impedendogli ognisperanza di elevazione nella scalasociale […]. Essa non fornisce alproblema sociale che soluzioniimparziali e molto imperfette»(«L’Homme nouveau», n. 1,gennaio1934).

16 H. HATZFELD , La difficile

mutation de la sécurité-propriété àlasécurité-droitcit.

CapitoloterzoIlriemergeredell’incertezza

Si può interpretareglobalmente la «grandetrasformazione» che colpisce

le nostre società occidentali,da un quarto di secolo circa,come una crisi dellamodernità organizzata. PeterWagner intende, con questo,la costruzione di quelleregolazioni collettive che sierano sviluppatedopo la finedelXIX secolopersuperare laprima crisi della modernità:quella della «modernitàristretta» 1. Come si è capito,essa aveva fallito la

realizzazione della grandepromessa fatta dalliberalismo: applicareall’insieme della società iprincipî dell’autonomiadell’individuo edell’eguaglianza dei diritti.Unasocietànonpuòfondarsiesclusivamentesuuninsiemedi rapporti contrattuali traindividui liberi e uguali,poiché in questo casoescluderebbe tutti coloro – e

in primo luogo lamaggioranza dei lavoratori –le cui condizioni di esistenzanon possono assicurarel’indipendenza socialenecessaria per entrare allapari in un ordinecontrattuale. «Tutto non ècontrattualenelcontratto»:loha ben visto Durkheim, chealla fine dell’Ottocentotestimonia con particolarelucidità il fallimento della

modernità liberale, fondandola sociologia come risposta aquesto fallimento. Lasociologia: ovvero la presa dicoscienza della forza deicollettivi. L’inscrizione o lareinscrizione degli individuiall’interno di sistemi diorganizzazione collettiva è larisposta ai rischi didisgregazionesocialeveicolatidallamodernità,edèanchelarisposta alla questione delle

protezioni, cosí come siimponeapartiredaunapresadi coscienza dell’incapacitàdeiprincipîdelliberalismodifondare una società stabile eintegrata: una risposta chepassa attraverso lacostituzionedidirittisocialieattraverso il coinvolgimentocrescente dello Stato in unruolo sociale, visto che ildiritto e lo Stato

rappresentano l’istanza delcollettivopereccellenza.

Questarispostasidispieganel corso del XX secolo, e inmodo particolare dopo laSeconda guerra mondiale:essa va di pari passo con losviluppo del capitalismoindustriale. Il peso dellagrande industria,l’organizzazionestandardizzatadel lavoro e lapresenza di sindacati potenti

assicurano la preponderanzadi queste forme diregolazione collettiva. Ilavoratori raggruppati ingrandiassociazioniedifesidaesse si piegano alle esigenzedellosviluppodelcapitalismoindustriale, e in compensobeneficiano di protezioniestesesullabasedicondizionistabili di impiego. Ilmodellodi società che si impone conla modernità organizzata è

quellodiuninsiemedigruppiprofessionaliomogenei,lacuidinamicaègestitanelquadrodello Stato-nazione. Sonoquesti i due pilastri su cui sisono edificati i sistemi diprotezione collettiva – loStato e le categorie socio-professionaliomogenee–chesisfaldanoapartiredaglianniSettanta.

Individualizzazione edecollettivizzazione.

Si tratta anzituttodell’indebolimentodelloStatointeso come uno Statonazional-sociale, cioè di unoStatoingradodigarantireuninsieme coerente diprotezioni, entro il quadrogeografico e simbolico dellanazione,poichéessoconservail controllo sui principali

parametri economici 2. Essopuò cosí equilibrare il suosviluppo economico e il suosviluppo sociale in vista delmantenimento della coesionesociale. È proprio questo lospirito delle politichekeynesiane, che instauranouna circolarità tra questi dueregistri nel quadro di unapianificazioneben temperata,al fine di imporre un certoequilibrio tra la produzione

(l’offerta) nazionale e ladomandanazionale.

A partire dall’inizio deglianniSettanta,con leesigenzecrescenti della costruzioneeuropea e dellamondializzazione degliscambi, lo Stato-nazione sirivelasempremenocapacediinterpretare questo ruolo dipilota dell’economia alservizio del mantenimentodell’equilibrio sociale. Lo

scacco della strategia dirilancio, tentata dal governosocialista all’epoca della suaascesa al potere in Francia,nel 1981, è stato percepitocome un’incapacità deglistati-nazione di imbrigliare ilmercato. Per raccogliere lasfida della concorrenzainternazionale, la leadershippassa all’impresa, le cuicapacità produttive devonoessere massimizzate. Ma è a

partire da questo momentoche si inverte il giudizio sulruolodelloStato.Essoapparedoppiamentecontroproducente:siaacausadeisovraccosticheimponeallavoroperfinanziareglionerisociali, sia a causa dei limitilegali che pone all’esigenzadelle imprese di esprimere lamassima competitività sulmercato internazionale aqualsiasi costo sociale.

L’obiettivo diviene perciòquello di aumentare laredditività del capitaleabbassando la pressioneesercitata dai salari e daglioneri sociali e quello diridurre l’impatto delleregolamentazioni generaligarantite dalla legge sullastrutturazionedellavoro.

Parallelamente si assisteall’erosione del secondobaluardo, complementare,

che era riuscito in una certamisura ad addomesticare ilmercato, cioè la presa incarico della difesa degliinteressi dei salariatiattraverso grandi forme diorganizzazione collettiva. La«società salariale» che siimpone dopo la Secondaguerramondialeè strutturataattorno a organizzazioni dilavoratori rappresentati dasindacati e da gruppi

professionalichegestisconolaloro politica anche sul pianonazionale. Di fatto, essirappresentano il peso digrandi categorie professionaliomogenee, che intervengonocome attori collettivi nellanegoziazione tra i «partnersociali». Questarappresentazione collettivadegli interessi delmondo dellavoroentrainsinergiaconlemodalità di gestione delle

burocrazie amministrative,che classificano lepopolazioni in categorieomogenee in funzionedell’impiego, delle tabellesalariali, della gerarchia dellequalifiche, della progressionedelle carriere… Il«compromesso sociale» checaratterizza gli anni dellacrescita è un equilibrio piú omeno stabile negoziato persettori e per professioni,

frutto di accordiinterprofessionali trasindacati e padronato sottol’egidadelloStato.Vieraunasorta di circolo virtuoso tra irapporti di lavoro strutturatisecondomodalitàcollettive,laforza dei sindacati di massa,l’omogeneitàdelleregolazionidel diritto del lavoro e laforma generalista degliinterventi dello Stato, chepermette una gestione

collettiva della conflittualitàsociale.

Questa omogeneità dellecategorie professionali, e piúgeneralmente delle istanze diregolazione collettiva, è stataprofondamente rimessa indiscussione. Ladisoccupazione dimassa e laprecarizzazione dei rapportidilavorononledonosoltantole diverse categorie dilavoratori in modo

differenziato, colpendo piúduramente gli strati inferioridella gerarchia salariale, macomportano anche immensedisparità infracategoriali: peresempio tra due operai, maanche tra due quadri con lostesso livello di qualifica, deiqualil’unoconserveràilpostodilavoro,mentrel’altrodovràsubire la disoccupazione 3. Lasolidarietà degli statutiprofessionali tende cosí a

trasformarsi in concorrenzatra uguali. I membri di unastessa categoria, invece chetutti uniti attorno a obiettivicomuni e vantaggiosi perl’insiemedelgruppo,sarannoportati, ognuno di loroindividualmente,amettereinprimo piano la propriaspecificità per mantenere omigliorare la propriacondizionepersonale 4.

Quando si parla, oggi,

della ristrutturazione delmondo del lavoro – e dellaprevalenza che occorreassegnarealbuonandamentodelle imprese, per esserecompetitivi rispetto alle sfideimposte dalla concorrenzaesasperata e dallamondializzazione degliscambi – non ci si richiamapiú, dunque, alla stessadinamica delle relazioniprofessionali,comesefossela

piú adatta ad assicurare losviluppo economico. Anzi, sitratta piuttosto del contrario.Una gestione fluida eindividualizzata del mondodel lavorodevesostituireunasua gestione collettiva, basatasu situazioni stabili diimpiego. Con un po’ didistacco, si comincia arendersi conto che con ilmutamento del capitalismo,che ha iniziato a produrre i

suoieffettiall’iniziodeglianniSettanta, entrafondamentalmente in giocouna messa in mobilitàgeneralizzata dei rapporti dilavoro, delle carriereprofessionali e delleprotezioni inerenti allostatuto dell’impiego.Dinamica profonda che è, altempo stesso, didecollettivizzazione, direindividualizzazione, di

aumento dell’insicurezza.Una dinamica che gioca suparecchipiani.

A livellodell’organizzazione dellaproduzione, in primo luogointervieneciòcheUlrichBeckchiama «ladestandardizzazione dellavoro» 5.L’individualizzazione dellemansioniimponelamobilità,l’adattabilità, la disponibilità

degli operatori. Èl’espressione tecnicadell’esigenzadiflessibilità,checaratterizza il passaggio dallelunghe catene di operazionistereotipate, effettuate in unquadro gerarchico dalavoratoriintercambiabili,allaresponsabilizzazione di ogniindividuo o di piccole unitàallequali spetta il compitodigestire direttamente le loroproduzioniediassicurarnela

qualità.Al limite, il collettivodi lavoro può esserecompletamente sciolto, el’impresa può esimersi dalriunire i lavoratori nellostesso spazio, comenell’organizzazionedellavoroin reti in cui gli operatori siconnettono per il temponecessario alla realizzazionedi un progetto; poi sisconnettono, salvo ariconnettersi in un altro

modo e nel quadro di unnuovoprogetto 6.

Di conseguenza, anche glistessi percorsi professionalidiventano mobili. Unacarriera si svolge sempremeno nel quadro di unamedesima azienda, attraversotappe obbligate fino allapensione. Si tratta dellavalorizzazionediun«modellobiografico» (Ulrich Beck):ogni individuo deve farsi

caricoeglistessodeirischidelsuo percorso professionaledivenuto discontinuo; devefaredelle scelte eoperarepertempo delle riconversioninecessarie. Anche qui, allimite, si ritiene che illavoratore si facciaimprenditore di se stesso, «sicostruisca il suo posto dilavoroinvececheoccuparloecostruiscalasuacarrieraaldifuori degli schemi lineari

standardizzati dell’aziendafordista» 7. Si ritrova cosísovraesposto e indebolitoperché non è piú supportatoda sistemi di regolazionecollettiva.

Certo, le mansionilavorative e le traiettorieprofessionali nonobbediscono tutte a questiimperativi della messa inmobilità, e qualora viobbediscanononlofannoallo

stesso modo. Tali imperativisono particolarmenteavvertiti negli ambiti piúavanzati dell’organizzazionedel lavoro, interamentedominati dalle nuovetecnologie («nuovaeconomia», «net economy»,«rivoluzione informatica»,«lavoro immateriale»,«capitalismo cognitivo»,ecc.) 8. Ma questi sono isettori piú dinamici, e le

esigenze che essiesemplificanosisonoimposteanche, in misura variabile,nella maggior parte degliambiti della produzione.Piuttosto che opporre formemodernea formetradizionalio arcaiche di organizzazionedel lavoro, occorre invecemettere l’accentosull’ambiguità profonda diquesto processo diindividualizzazione-

decollettivizzazione, cheattraversa le configurazionipiú differentidell’organizzazionedellavoroecolpisce,sebbeneinformeea livelli diversi, praticamentetuttelecategoriedioperatori:dall’operaio specializzato alcreatoredistart-up 9.

È innegabile che conquesta individualizzazionedellemansioni e dei percorsiprofessionalisiassisteanchea

una responsabilizzazionedegli operatori. Dipende daognuno far fronte allesituazioni, accettare ilcambiamento, farsi carico dise stesso. In un certo modo,«l’operatore» è liberato dallecostrizioni collettive, chepotevano essere onerose,come avveniva nel quadrodell’organizzazione tayloristadel lavoro. Ma egli è inqualche modo obbligato ad

essere libero; è spinto adessere performativo, puressendo completamenteabbandonato a se stesso. Equesto perché le costrizioni,evidentemente, non sonospariteetendonopiuttostoadaccentuarsi, inuncontestodiconcorrenza esasperata esottolaminacciapermanentedelladisoccupazione.

Ora, non tutti sonougualmente attrezzati per far

fronte a queste esigenze.Certe categorie di lavoratoribeneficianoimmancabilmente di questoaggiornamento 10

individualistico. Essimassimizzano le loroopportunità, sviluppano leloro potenzialità, si rendonoconto di possedere capacitàimprenditoriali che potevanoessere soffocate dallecostrizioni burocratiche e

dalleregolamentazionirigide.È lapartediverità contenutanellecelebrazionineoliberistedello spirito d’impresa. Lequali,però,implicanounnondetto. Dimenticano disottolineare–ilcheètuttaviala constatazione sociologicapiúelementare–chelamessain mobilità generalizzataintroducenuove scissioni nelmondo del lavoro e nelmondo sociale. Ci sono i

vincenti del cambiamento,che possono scegliersi nuoveopportunità e realizzarsiattraverso di esse, sul pianoprofessionale e su quellopersonale 11. Ma ci sonoanche tutti coloro che nonpossono far fronte a questorimescolamento delle carte esi trovano invalidati dallanuovacongiuntura.

Ora, questa distribuzionenon si verifica casualmente.

Oltre che dalle differenticapacità psicologiche degliindividui – ripartite,possiamo ipotizzarlo, inmaniera casuale –, essadipende fondamentalmentedalle risorse oggettive chequesti individui possonomobilitare e dai supporti aiquali si possono appoggiareper affrontare le nuovesituazioni. Bisogna quiricordarechequesti supporti,

per tutti coloro che nonpossono contare su altrerisorse che non siano quellederivatedal loro lavoro, sonoessenzialmente di ordinecollettivo. Diciamolo conaltre parole e ripetiamolo:rispetto a coloro che nondispongonodi altri «capitali»– non solo economici maanche culturali e sociali – leprotezioni o sono collettive onon sono. Negli spazi

lavorativi,essesonoanzituttoquellesolidarietàchenasconoda una comune condizione eda una subordinazionecondivisa. Questi legamihanno costituito la base apartiredallaqualeilavoratoripiú deprivati hanno potutospessoorganizzarsi,resistereeliberarsi, inunacertamisura,dalle forme piú dirette disfruttamento:equestoperchétali legami costituivano dei

collettivisolidali.Maancheleconvenzioni collettive, oltrecheidirittisocialidellavoroedellaprotezioneprevistidallalegge,hannogarantito la lorotutela nel presente e hannoloro permesso di controllarel’incertezza dell’avvenire. Sicapisce,aquestopunto,comeillorosganciamentodaquestisistemi collettivi possa farlinuovamente sprofondarenell’insicurezzasociale.

Il ritorno delle classipericolose.

C’è una doppia letturapossibile degli effetti socio-politicidiquestodegrado.Laprima pone l’accento suquestesituazionidiperditainquantoessedesocializzanogliindividui. Gli innumerevolidiscorsi sull’esclusionehannoanalizzato in tutte le suesfaccettature, e fino alla

nausea,unadisgregazionedellegame sociale che avrebbecaratterizzato la rottura deilegami tra gli individui e leloroappartenenzesociali,perlasciarlidi frontea se stessi eallaloroinutilità.«Gliesclusi»non sono collettivi, macollezionidi individui, iqualinon hanno in comunenient’altrochelacondivisionedi una stessa mancanza. Essisono definiti su una base

unicamentenegativa,comesesi trattasse di elettroni liberi,completamentedesocializzati.Cosí, identificareadesempio,all’interno dello stessoparadigma dell’esclusione, ildisoccupatodilungadurataeilgiovanediperiferiaincercadi un improbabile impiego,significa rischiare di nonprendere in considerazione ilfattocheessinonhannonélostesso passato, né lo stesso

presente, né lo stessoavvenire,echeiloropercorsisono totalmente diversi.Significaconsiderarlicomesevivessero fuori dallo spaziosociale.

Ora, nessuno, e nemmenol’escluso, esiste fuori dallospazio sociale, e ladecollettivizzazione è essastessa una situazionecollettiva. Si è detto tropposbrigativamente che non

c’erano piú classi sociali négruppi costituiti, poichéquesticollettiviavevanopersol’omogeneità e il dinamismosu cui si fondava la loroidentità di attori sociali apienotitolo(sièdettoquestoun po’ mitizzando, peraltro,l’unitàel’operativitàdientitàcome«laclasseoperaia»o«laborghesia conquistatrice»).Ciò significa dimenticare chepossono esservi classi o

gruppi che hanno unpercorso comune nondestinato a un avvenireradioso:classiogruppiche,alcontrario, portano sulle lorospalle il peso di grandissimaparte della miseria delmondo.Cisonodeigruppiinsituazione dimobilità socialediscendente,lacuicondizionecomune si degrada. Essicostituiscono un terrenoinstabile, particolarmente

favorevole allo sviluppo delsentimentodi insicurezza:unterreno di cui è necessarioreimpadronirsi per farconoscere la dimensionecollettiva di questosentimento.

Si tratta di un processostorico generale: lapromozione di gruppidominantisiattuaascapitodialtri gruppi, dei quali essaprovocaildeclino.Sipossono

esemplificare gli effetti diquesta dinamica citando ilcaso del movimento francesequalunquista detto«pugiadismo», che presentainquietanti analogie con lasituazione attuale.Negli anniCinquanta del Novecento ilfenomeno pugiadista harappresentato la reazione dicategorie socio-professionalimesse in disparte dallamodernizzazionedellasocietà

francese, cosí come siverificava allora entro unquadro nazionale. Mentre ilsalariato si adagia e sirinforza, mentre leamministrazioni pubblicheassicurano la loro influenzasulla società, mentre lo Statopianifica e razionalizza lestrutture dell’economia,intere categorie, come gliartigiani e i piccolicommercianti, hanno la

sensazione di non contarenulla. Sono le vittime di unadinamica di sviluppoeconomico e di progressosociale che può poggiare subuone ragioni – lamodernizzazione ha i suoicosti –, ma all’interno dellaquale non occupano nessunaposizione. Lo smarrimentodelnonaverepiúunavvenireè senza dubbio provatoindividualmente da ciascun

membro di queste categoriesociali,ma la loro reazione ècollettiva. Essa è segnata dalmarchiodelrisentimento 12.Ilrisentimento può essere unamolla di azioni o di reazionisocio-politiche profonde, chenon hanno forse ricevutoun’attenzione sufficiente. Èunamescolanzadiinvidiaedidisprezzo che gioca su undifferenziale di situazionesociale: che attribuisce le

responsabilità della sventurasubita a categorie che nellascala sociale si situano a unlivello appena superiore oappena inferiore. Cosí sispiega l’astio dei piccolicommercianti e artigianiversoisalariatieifunzionari:essi disponevano di redditisimili ma si riteneva chelavorassero meno, chebeneficiassero di una granquantitàdivantaggi sociali, e

soprattutto che avesserol’avvenire assicurato. Ilrisentimento collettivo sinutre del sentimentocondiviso di ingiustiziaprovato dai gruppi sociali ilcuistatutosideteriora:gruppichesi sentonospossessatideibenefici che traevano dallaloro posizione precedente. Sitratta di una frustrazionecollettiva che va alla ricerca

dei responsabili o dei capriespiatori.

Al di là dei fattoriparticolari che hanno datouna configurazione specificaal pugiadismo (che, come illepenismo, porta il nome diun capo carismatico) 13,questo movimento veicolauna dimensione strutturalechepuò farcicomprendere lareazionedeigruppi invalidatidal cambiamento sociale. La

modernizzazione ha assunto,da una ventina d’anni aquestaparte,unadimensioneeuropea e mondiale semprepiú accentuata. Le categoriesociali piú colpite non sonopiúquelle checostituivano lebasi di un paese tradizionalegià ampiamente disgregato:classe contadina, artigianato,piccolo commercio, lavoroautonomo alla vecchiamaniera. Oggi le categorie

colpite rappresentano unaparte importante dei gruppiche hanno occupato oavrebbero potuto occupareuna posizione centrale nellasocietà industriale: ampiefrange della classe operaiaintegrate durante gli annidella crescita, ampie frangedelle categorie di impiegati,soprattutto quelli menoqualificati, e dei giovani diceto popolare che un tempo

sarebbero passati senzaproblemidall’apprendistatoodalla fine dell’età scolareall’impiego stabile, eccetera.Anche al di là delladisoccupazione di massa, siassiste a unadequalificazionedi massa che colpiscesoprattutto gli ambientipopolari 14. Per esempio, conla deindustrializzazione,diplomi come la licenza discuola professionale o il

diploma di insegnamentoindustriale, un tempogaranzia di integrazione nelmondo del lavoro, sonolargamente screditati. Qualesarà l’avvenire europeodi untitolare di diploma diaggiustatore? Piúgeneralmente, quale potràessere,nell’Europadidomani,il ruolo di tutte quellespecializzazioni rigide, legatea mansioni precise, che

rinviano a uno stadioantecedente alla divisione dellavoro? Esse sembranocondannare i loro possessoriall’immobilità, mentrel’avvenireapparterràacoloroche sapranno esseremobili ecapaci di assumere ilcambiamento.

Quanto al voto dell’aprile2002 in Francia in favore delFronte nazionale, esso harivelato – cosa che non

avrebbedovutocostituireunagrandesorpresa–cheinlargaparte rappresentaval’espressione delle categoriepopolari un tempoelettoralmente e socialmenteancorate alla sinistra 15. Laconnotazione di estremadestra, o fascistizzante, diquestovotononmisembralapiú significativasociologicamente,benchénondebba essere trascurata,

proprio in ragione della suapericolosità politica. Dalpunto di vista sociologico, sitratta sostanzialmente di unareazione «pugiadista»,alimentata da un sentimentodi abbandono e dalrisentimento verso altrigruppi e verso i lororappresentanti politici, chetraggono benefici dalcambiamentodisinteressandosi della sorte

dei perdenti. D’altronde, sipotrebbe inserire in questostesso quadro una parte delvoto di estrema sinistra che,in assenza di una prospettivacredibile di trasformazioneglobale della società, è ancheun voto di protesta, per nondire(maperchéno?)unvotomotivatodalrisentimento.

Se oggi è necessario, pernon correre il rischio di unamorte sociale, giocare

secondo le regole delcambiamento, della mobilità,dell’adattamentopermanente,del riciclaggio incessante, èevidente che certe categoriesociali sono particolarmentemalattrezzateperfarfronteaquesta nuova distribuzionedelle carte, e si puòaggiungere che ci si è moltopoco preoccupati di aiutarlein questo (per esempio,l’imposizione della flessibilità

nelle imprese è statararamente associata a efficacimisure di accompagnamentoche assicurino lariconversione deglioperatori). Quindi, nellamigliore delle ipotesi, questigruppisarannolapartereiettadi un’economiamondializzata.Nellapeggioredelle ipotesi, i loro membri,divenuti «inimpiegabili»,rischiano di essere

condannati a sopravviverenegliinterstizidiununiversosociale, ricomposto a partiredalle sole esigenzedell’efficienza e dellaperformance.

Vièquiunpotentefattoreche determina la produzionedi insicurezza. Se oggi si puòparlare di un riemergeredell’insicurezza, è in largamisuraperchéesistonofrangedella popolazione ormai

convinte di essere statelasciate ai margini delpercorso, incapaci dicontrollare il loro futuro inun mondo sempre piúsegnato dal cambiamento. Sipuò quindi comprenderecome i valori che tali frangedella popolazione coltivanosianopiúrivoltialpassatochea un avvenire che incutepaura. Il risentimento nonpredispone né alla generosità

né alla capacità di rischiare.Essoinduceunatteggiamentodifensivocherifiutalanovità,ma anche il pluralismo e ledifferenze.Nellerelazionicheintrattengono con gli altrigruppi sociali, questecategoriesacrificate,piuttostocheaccogliereladiversitàchetali gruppi rappresentano,cercano in essi dei capriespiatoricapacidi spiegare la

loro sensazione diabbandono.

Si è già notato che ilpugiadismo, inteso comenozione generica di cui illepenismo rappresenta unaversione attualizzata, operavaun rovesciamento dellaconflittualità sociale sucategoriemoltovicine.Inaltritermini: invidia e disprezzodel lavoratore autonomoverso il salariato in organico,

che si accaparra i vantaggisociali e va in vacanzaaspettandotranquillamentelasua pensione, mentre ilpiccolo commerciante si alzaalle cinque del mattino percomprare i suoi prodotti aimercatigeneralie lavora finoallenovediserapervenderli.Oggi: razzismo versol’immigrato, che vieneconsiderato menocompetente ma piú docile e

che, si dice, può esserepreferito nella corsa per ilposto di lavoro; è lo stessoimmigrato che accumula ibeneficidell’assistenzasocialeche dovrebbero essereriservatiaicittadiniautoctonie che in casa nostra sicomportadapadrone,mentrenon è altro che un parassita.Qui non ci interessa il fattoche queste rappresentazionisiano il piú delle volte false.

Esse sono diffuse e il loropeso, oggi, è tale che nonpossiamoliquidarleacolpidigiudizimorali.

È d’altra parteincongruente chiedere aigruppi piú sfavoriti di esseresociologi di se stessi e dicostruire da soli una teoriadella loro condizione (ilproletariato industriale delXIX secolo ci ha messodavvero molto tempo prima

di costituirsi in classeoperaia). Si puòperfettamente comprenderecome una reazione socialeproceda molto celermente:come essa possa risparmiarsilunghe concatenazioniargomentative, cheoccorrerebbe sviluppare perrenderecomprensibilituttelecomponenti di questasituazione, spesso ignotepersino a economisti

patentati e a specialisti dellescienze sociali. Ilrisentimento, in quantorisposta sociale al malesseresociale, si indirizza verso igruppi piú vicini. Si tratta diuna reazione di «piccolibianchi», cioè di categoriecollocate al fondo della scalasociale, esse stesse insituazionedideprivazione, inconcorrenza con altri gruppi,altrettanto o maggiormente

deprivati (come i bianchi delSud degli Stati Uniti, i quali,andati in rovina dopo laguerra di Secessione, sitrovano di fronte ai neri,poveri come loro o piú diloro, ma liberati). Essicercano delle ragioni diautocomprensione e siattribuiscono una superioritàattraversol’odioeildisprezzodi matrice razzista. Ègiocoforza constatare che

ancor oggi abbiamo i nostripiccolibianchi 16.

Si può anche capire ilcarattere paradigmatico del«problema delle periferie» inrapporto alla tematica attualedell’insicurezza. I «quartierisensibili» assommano iprincipali fattori chedeterminanolaproduzionediinsicurezza: forti tassi didisoccupazione, di lavoroprecario e di attività

marginali, habitat degradato,urbanizzazione senz’anima,promiscuità tra gruppi diorigine etnica differente,presenza permanente digiovani sfaccendati chesembrano esibire la loroinutilità sociale, visibilità dipratiche delinquenziali legateal traffico della droga e allaricettazione, frequenza di attiincivili, di momenti ditensione e di agitazione, di

conflitti con le forzedell’ordine, eccetera.Insicurezza sociale einsicurezza civile, qui, sisovrappongono e sialimentano reciprocamente.Tuttavia, sulla scorta diqueste constatazioni che nonhanno nulla di idilliaco, lademonizzazione dellaquestione delle periferie, e inparticolare lastigmatizzazione dei giovani

diperiferiaallaqualesiassisteoggi,dipendedaunprocessodi spostamento dellaconflittualità sociale chepotrebbe ben rappresentareun dato permanente dellaproblematica dell’insicurezza.Mettere in scena lacondizione delle periferiecome se fossero un ascessoprovocato dallastabilizzazionedell’insicurezza – una messa

in scena cui collaborano ilpoterepolitico,imediaeunalarga parte dell’opinionepubblica – significa inqualche modo sancire ilritorno delle classi pericolose,cioè la cristallizzazione sugruppi particolari, situati aimargini, di tutte le minacceveicolate da una determinatasocietà. Il proletariatoindustriale ha giocato questoruolo nel XIX secolo: classi

lavoratrici,classipericolose.Ilfatto è che all’epoca iproletari,ancheselavoravanopiú spesso, non eranoinquadrati in forme diimpiego stabile; essiimportavano nella periferiadelle città industriali unacultura di origine ruraledecontestualizzata, percepitadai cittadini comeun’incultura; vivevano nellaprecarietà permanente del

lavoroedellacasa:condizionipoco favorevoli allo stabilirsidi relazioni familiari stabili eallo sviluppo di costumirispettabili. Come diceAuguste Comte, questiproletari «si accampano nelcuore della societàoccidentale senza esserviaccasati» 17. La formula nonpotrebbe forse essereapplicata alle attualipopolazioni di periferia, o

perlomeno all’immagine chedi tali popolazioni ci siamocostruiti? Esse non sono«accasate», cioè non sonointegratee,comeaccadevauntempo per i proletari, hannodifficoltà ad esserlo per dellebuone ragioni: sono spessoportatrici di una culturad’origine straniera, sonodiscriminatenegativamentealmomento della ricerca di unlavoro 18 o di una casa

decente, devono far frontequotidianamente all’ostilitàdella popolazione urbana edelle forze dell’ordine,eccetera.

Il dramma, in questesituazioni, è che le condannemoralipossonoesseresempreverificate, almeno in parte,alla lucedei fatti:apartiredasimili condizioni, infatti, nonsi può certo diventare degliangeli e l’insicurezza, non

solosocialemaanchecivile,èeffettivamente piú elevata inperiferia che altrove. Lascorciatoia è nondimenosorprendente.Farediqualchedecina dimigliaia di giovani,spesso piú poveri che cattivi,il nocciolo della questionesociale – divenuta laquestionedell’insicurezzacheminaccerebbe le fondamentadell’ordine repubblicano –significa operare una

straordinaria condensazionedella problematica globaledell’insicurezza. È vero chequeste strategie presentanoalcuni vantaggi. Evitano didover prendere inconsiderazione l’insieme deifattorichesonoall’originedelsenso di insicurezza e chedipendonosiadall’insicurezzasocialechedalladelinquenza.Tali strategie permettonoanche di mobilitare una

batteria dimezzi che, se nonsono sempre efficaci, sonoalmenodisponibiliconleloroistruzioni per l’uso. Larepressione dei reati, lapunizione dei colpevoli, ilperseguimento di una«tolleranza zero», a costo didover aumentare il numerodei giudici e dei poliziotti,sono certamente deicortocircuiti semplificatori inrapporto alla complessità

dell’insieme dei problemiposti dall’insicurezza. Maquestestrategie,soprattuttosesono messe bene in scena eperseguite condeterminazione, hannoalmeno ilmerito dimostrareche si fa qualcosa (non si èlassisti) senza doversi farecarico di questioni altrimentidelicate quali, ad esempio, ladisoccupazione, ledisuguaglianze sociali, il

razzismo: fattori che sonoanche all’origine del senso diinsicurezza 19. Tutto questopuò forse pagarepoliticamente, a brevetermine, ma è assai dubbioche si tratti di una rispostaadeguataalladomanda:«cosasignificaessereprotetto?»

Anche al di là dellaquestionedelleperiferieedeiproblemidelladelinquenza,siassiste proprio a uno

spostamento dello Statosociale verso uno Statosicuritario, che esalta erealizza il ritorno alla legge eall’ordine, come se il poterepubblico dovesse mobilitarsiessenzialmente attornoall’esercizio dell’autorità. Laquestione dell’insicurezzacivile pone dei problemifondamentali ed è doveredello Stato affrontarli 20. Matuttoavvienecomeseoggi,in

Francia,loStatosigiocasselapartepiúimportantedellasuacredibilità sulla capacità dicombattere l’insicurezza. Ètuttavia escluso che questotipo di risposta possaestendersi all’insieme deifattori che produconol’insicurezza. Perché questoavvenga, bisognerebbeostacolaresia ledinamichediindividualizzazione – che,come si è visto, lavorano in

profondità tutto il corposociale – sia il libero giocodella concorrenza e dellacompetitività che, come siproclama, deve regnare altempo stesso nel cuoredell’impresa e nel mercato.Uno Stato puramentesicuritario si condanna, cosí,ad approfondire lacontraddizione tral’atteggiamento lassista difrontealleconseguenzediun

liberalismo economico chealimenta l’insicurezza socialee l’esercizio di un’autoritàpriva di incrinature cherestauralafiguradiunoStatogendarme, garante dellasicurezza civile. Una talerispostapotrebbeesserevitalesolo se sicurezza civile esicurezza sociale costituisserodue sfere impermeabili eseparate: ma non è questo ilcaso,comeappareevidente.

1 P. WAGNER , Soziologie derModerne.FreiheitundDisziplincit.

2 Questa espressione di Statonazional-sociale non ha proprioniente in comune con il nazional-socialismo fascista. Si tratta senzadubbio dell’espressione piúadeguata per qualificare la politicadei principali stati dell’EuropaoccidentaledopolaSecondaguerramondiale. Stati che hanno potutosviluppare, attraverso le specificitàdelle configurazioni nazionali,

politiche sociali di ampiezzacomparabile: ogni Stato,controllando il proprio sviluppoeconomico, poteva dispiegaremisure economiche simili a quelledegli stati vicini dalmomento chequesteallocazionidellerisorsenonlo penalizzavano sul piano dellaconcorrenzainternazionale(sipuòaggiungere, d’altronde, che questepolitiche degli stati-nazioneeuropeieranofacilitatedairapportidi scambio ineguali che la loro

posizione dominante sul pianointernazionale permetteva loro distabilire con le colonie, le excolonieeipaesidelTerzomondo).ÉtienneBalibarusal’espressionediStatonazional-socialeconlostessosignificato: cfr. Entretien avecÉtienneBalibar,in«Mouvements»,n.1,novembre-dicembre1998.

3 Cfr. J.-P. FITOUSSI e P.

ROSANVALLON , Le Nouvel Âge desinégalités, Éditions du Seuil, Paris1997.

4 Cfr. É. MAURIN , L’égalité despossibles, Éditions du Seuil - LaRépubliquedesIdées,Paris2002.

5U.BECK,Lasocietàdelrischio.Verso una nuova modernità,Carocci,Roma2000.

6 Cfr. L. BOLTANSKI ed É.

CHIAPELLO , Le nouvel Esprit ducapitalisme,Gallimard,Paris1999.

7 P.-M. MENGER , Portrait del’artiste en travailleur, Éditions duSeuil - La République des Idées,Paris2002.

8 Cfr. Y. MOULIER BOUTANG ,Capitalisme cognitif et nouvellesformes de codification du rapportsalarial, in C. VERCELLONE (a curadi), Sommes-nous sortis ducapitalisme industriel?, LaDispute,Paris2003.

9 Per un’analisi degli effetti diqueste trasformazioni nell’ambitodi un baluardo classico diorganizzazione industriale, lefabbriche Peugeot di Sochaux-Montbéliard, cfr. S. BEAUD e M.

PIALOUX , Retour sur la conditionouvrière,Fayard,Paris1999.

10 [In italiano nel testo. N. d.T.].

11 È comunque opportunorelativizzare l’ottimismodel puntodi vista manageriale su questopunto.Lamobilitàcostringespessoglioperatoriacaricarsi inmanieraeccessiva nelle loro mansioni, aessere invasi dagli imperativi dellavoro, perfino nelle condizioni dinon lavoro,epuò infinesfibrarlie

demotivarli, anche se si tratta diquadri di alto livello (si vedal’abbondante letteraturaanglosassone sul burn out). Adispetto della tendenza verso lariduzione legale dell’orario dilavoro (si veda la legge sulle 35ore), sembra che l’intensificazionedei carichi di lavoro sia unacaratteristica generale dellariorganizzazione contemporaneadellaproduzioneatuttiilivelli(cfr.peresempioB.VIVIER ,Laplacedu

travail, Rapport du Conseiléconomique et social, Éditions duJournalofficiel,Paris2003).

12Siveda,tuttavia,P.ANSART (acura di),Le ressentiment, Bruyant,Bruxelles2002.

13 Si può d’altronde ricordareche il piú giovane deputato elettonel 1956, durante l’ondatapugiadista,eraJean-MarieLePen.

14Questadimensionecollettivadelle situazioni di invalidazionesociale legate al declino del

movimento operaio è bensottolineata da S. BEAUD e M.

PIALOUX , Retour sur la conditionouvrièrecit.

15 Tra i molteplici tentativi dispiegazione di questa «sorpresa»che è stata il risultato del primoturno dell’elezione presidenzialedell’aprile2002(incuiilcandidatodelFrontenazionalefinisceintestatra i disoccupati, i lavoratoriprecariecertecategoriedioperaiedi impiegati), cfr. M. PIALOUX e F.

WEBER , La gauche et les classespopulaires. Réflexions sur undivorce, in «Mouvements», n. 23,settembre-ottobre2002.

16 Non vorrei che questaqualificazionedi «piccoli bianchi»,che pretende di essere obiettivacome quella di pugiadista, vengaanch’essa intesa come unmarchiodi disprezzo per coloro checaratterizza in questo modo.Anzitutto perché queste reazioniesprimono lo smarrimento di

fronteaunasituazionechenonsièsceltaedellaqualenonsièilprimoresponsabile.Insecondoluogoperil fatto che i poveri non hanno ilmonopolio del razzismo di classe.Ad esempio, è proprio un verorazzismo di classe quello che laborghesia benpensante del XIX

secolo ha sviluppato nei confrontidi quei «nuovi barbari» che eranorappresentati, ai suoi occhi, daiproletari della primaindustrializzazione.

17 A. COMTE , Système depolitique positive, Paris 1929, p.411. Prima i vagabondi avevanosvolto la stessa funzionedi «classepericolosa», cristallizzando ilsentimento di insicurezza propriodellesocietàpreindustriali.Sitrattadi un’altra esemplificazione deltipo privilegiato di relazioni cheuna società intrattiene con i suoielementimarginali e che potrebberinviare a un tratto antropologicopermanente: il nemico interno è

collocato ai margini del corposociale, all’interno di quei gruppichesonoconsideraticomestranieriperchéspessoprovengonodafuori,non sembrano condividere lacultura dominante e non entranonei circuiti comuni degli scambisociali.

18 La discriminazioneall’assunzione per ragioni cheriguardano ilcoloredellapelleo ilsuono del cognome è una praticacorrente che non solo è

moralmente condannabile ma cheentraancheincontraddizioneconiprincipî ostentati dal liberalismodominante.Da un lato, l’ideologialiberalecondannatuttociòchepuòopporsi alla liberazione delmercatodellavorocolpendocosíleprotezionideldirittodellavorochepotrebbero essere di ostacolo allasua apertura. Ma al tempo stessol’ideologia liberale incoraggia ilprotezionismo delle politiche diimmigrazione e tollera le pratiche

discriminatorie verso candidatiall’impiego che, a parità diqualificazione, sono penalizzatisolo perché presentano un profilo«esotico». Sarebbe necessarioapprofondire questacontraddizione del liberalismoattuale: da un lato vuole imporreadognicostolaliberacircolazionedelle merci, mentre dall’altro siadattaabarrierepolitichee socialiinnalzate contro la liberacircolazionedellepersone.

19 L’analogia con la politicarelativa al trattamento delvagabondaggio nelle societàpreindustriali può esseredecisamenteilluminante.Dallafinedel Medioevo, la monarchiafrancese, ma anche, in linea piúgenerale, l’insieme dei poteri inEuropa occidentale, ha fatto dellarepressione del vagabondaggio edella mendicità il cuore delle suepolitiche sociali, e non harisparmiatomezzi per raggiungere

questoobiettivo.Ma,adispettodelfatto che parecchie centinaia dimigliaia di vagabondi siano statibanditi, messi al palo, rinchiusi,condannati ai lavori forzati,impiccati,eccetera,sipuòdubitaredell’efficacia di queste misureperché esse si sonoinstancabilmenteripetutenelcorsodi piú secoli: a partire, ogni volta,dallaconstatazionedelloroscacco.Senzadubbio la crudeltàdiquestedisposizioni ha da sola dissuaso

numerosi individuiprividi risorsedall’intraprendere vite cosípericolose («la vera prevenzione èla sanzione»). Ma il problema èrimasto irrisolto fino alla finedell’AncienRégime,perchéciòchealimentava il vagabondaggio e lamendicitàdei soggetti validi era lamiseria dimassa e la chiusura delmercato del lavoro, derivata dalsistema delle corporazioni. Larisposta liberale alla questione delvagabondaggio è stata la

proclamazionedelliberoaccessoallavoro (si veda la legge LeChapelier). Ma è stata necessariauna rivoluzione per arrivarci e,d’altra parte, si è trattato di unalegge destinata a produrre deglieffetti problematici in termini diinsicurezza: è stata la condizionecheharesopossibilelacostituzionedel proletariato, che diverrà a suavoltauna«classepericolosa».

20 Su questo punto si veda, adesempio,H. LAGRANGE ,Demandes

de sécurité. France, Europe, États-Unis, Seuil - La République desIdées, Paris 2003, e D. PEYRAT ,Élogedelasécurité,Gallimard-LeMonde, Paris 2003. È legittimocombattere questa insicurezza,tanto piú che coloro che lasubisconosononellamaggiorpartedeicasigliabitantideiquartierichevivonougualmentenell’insicurezzasociale. Cosí l’associazioneinsicurezza civile - insicurezzasociale gioca anche a favore, o

piuttosto a sfavore, delle vittimedellepratichedelinquenziali.

CapitoloquartoUnanuovaproblematicadel

rischio

A partire dagli anniOttanta, ci si colloca – cosísembra – all’interno di una

nuova problematicadell’insicurezza. Situata alpuntod’incontrotradueseriedi trasformazioni, questaproblematica si caratterizzaanzitutto per la suastraordinariacomplessità.

C’è in primo luogo unadifficoltà crescente a essereassicurati contro i principalirischi sociali che potremmodefinire «classici», e che inlineaessenzialeparevafossero

stati eliminati (infortunio,malattia, disoccupazione,incapacità di lavorare dovutaall’età o alla presenza di unhandicap…) Secondo questaprima linea di analisi da noiseguita,sièpotutoconstatareun guasto, seguito daun’erosione, dei sistemi diprotezione che all’internodellasocietàsalarialesieranosviluppati sulla base dicondizioni lavorative stabili.

Con l’indebolimento delloStato nazional-sociale,vengono a trovarsi in unasituazione di vulnerabilitàindividuiegruppiincapacididominare i cambiamentisocio-economici subiti,relativi al periodo che iniziadopo la metà degli anniSettanta. Di qui unosmarrimentoeunaperditadisicurezza di fronteall’avvenire, che possono

anchealimentarel’insicurezzacivile, soprattutto in territoricome le periferie, in cui sicristallizzanoipiúimportantifattori di dissociazionesociale.

Rischi,pericoliedanni.

Tuttavia, nel momento incui i classici sistemi diproduzione della sicurezza si

sono cosí fortementeindeboliti, è apparsa unanuovagenerazionedirischi,oalmeno di minacce percepitecome tali: rischi industriali,tecnologici, sanitari, naturali,ecologici,ecc.Si trattadiunaproblematica del rischiopriva, a quanto sembra, direlazioni dirette con leproblematiche precedenti; lasua emergenza, infatti,corrisponde essenzialmente

alleconseguenzeincontrollatedello sviluppo delle scienze edelle tecnologie che sirivoltano contro la natura econtro l’ambiente: natura eambiente che essepretendevano di dominare avantaggio dell’uomo. Laproliferazione dei rischiapparequistrettamentelegataalla promozione dellamodernità. Ulrich Beckchiama cosí «società del

rischio» la stessa societàmoderna, colta nella suadimensione essenziale: non èpiúilprogressosocialemaunprincipio generale diincertezza che governal’avvenire della civiltà.L’insicurezza diventa cosíl’orizzonte insuperabile dellacondizione dell’uomomoderno. Il mondo è unvasto campo di rischi, «la

terra è divenuta un sedileeiettabile» 1.

La riflessionecontemporaneasull’insicurezza deveincludere questo parametro.Se essere protetto significaessereingradodifronteggiarei principali rischidell’esistenza,questagaranziasembra oggi doppiamentemessa in scacco:dall’indebolimento delle

coperture «classiche», maanche da un sentimentogeneralizzato d’impotenza afronte di nuove minacce chesembrano inscritte nelprocesso di sviluppo dellamodernità. Si può ipotizzareche la frustrazione sicuritariacontemporanea traggaalimento da questa doppiafonte. È per questo chebisogna evidenziare taleconnessioneealtempostesso

denunciare la confusione chealimenta. L’inflazione attualedella sensibilità verso i rischifa della ricerca di sicurezzauna rincorsa senza fine esempre frustrata. Tuttavia,all’interno di quelli che sonooggi considerati rischi, ènecessario distinguere gliimprevisti dell’esistenza, chepossono essere controllati inquanto socializzabili, dalleminacce la cui presenza

dovrebbe essere riconosciutasenza che si possapremunirsene: ciò significache occorre accettarle comedeilimiti,provvisoriforse,maattualmente insuperabili, delprogrammadiprotezionicheuna società ha il dovere diassumersi.

Si afferma infatti che noivivremmoinuna«societàdelrischio» sulla base diun’estrapolazionecontestabile

dellanozionestessadirischio.Unrischio,nel sensopropriodel termine, è unavvenimento prevedibile: sipossono infatti calcolare leprobabilità della suacomparsae ilcostodeidanniche esso potrà provocare. Ilrischio può anche venireindennizzato, dato che puòessere equamente ripartito 2.L’assicurazione è stata lagrande tecnologia che ha

permesso il controllo deirischi, distribuendone glieffettiall’internodelcollettivodi individui resi solidali difronte a diverse minacceprevedibili. Lageneralizzazione dell’obbligodi assicurazione (che implicalagaranziadelloStato)èstatala strada maestra perrealizzarelacostituzionedella«società assicurante»: unasocietà nella quale tutti gli

individui sono tutelati(assicurati) sulla base dellaloro appartenenza a gruppi, icui membri pagano la loroquotapersuddividereilcostodei rischi. Alla base dellacopertura dei rischi sociali viè quindi un modellosolidaristico,omutualistico.

Una «società del rischio»nonpuòessereresapiúsicurainquestomodo.Questinuovirischi sono largamente

imprevedibili; non sonocalcolabilisecondounalogicaprobabilistica e produconoconseguenze irreversibili,anch’esse incalcolabili. Unacatastrofe come quella diChernobyl o il morbo dellamucca pazza, ad esempio,non possono essereequamente ripartite e nonpossonoesserecontrollatenelquadro di un sistemaassicurativo. Non si tratta

propriamente di rischi,quindi, ma piuttosto dieventualità nefaste, o diminacce, oppure di pericoliche «rischiano»effettivamente di prodursi,ma senza che sianodisponibili tecnologieadeguate per affrontarli econoscenze sufficienti peranticiparli. L’imprevedibilitàdellamaggior parte di questi«nuovi rischi», la gravità e il

carattere irreversibile delleloroconseguenzefannosíchela miglior prevenzioneconsista spesso nel giocared’anticipo rispetto alleeventualità peggiori e nelprendere provvedimenti alfine di evitare che accadano,ancheseesserimangonoassaialeatorie. Si abbattono, adesempio, tutti i capi dibestiamebovinosenzasaperesesianostatiomenoinfettati,

al prezzo di conseguenzeeconomiche e socialisproporzionate rispetto alrischio reale. Si potrebbediscettare a lungo su questopunto: si producono danniassai tangibili allo scopo dievitare un’eventualitàimprobabile, che non èneppure prevedibile interminiprobabilistici 3.

L’inflazionecontemporaneadellanozione

di rischio crea anche unaconfusione tra rischio epericolo. Parlare, conAnthonyGiddens,di«culturadel rischio» 4, significaaffermare che siamodivenutisempre piú sensibili allenuove minacce: minacceveicolate dal mondomoderno, che effettivamentesimoltiplicanoechevengonoprodotte dall’uomo stessoattraverso l’uso incontrollato

dellescienzeedelletecnologiee attraverso unastrumentalizzazione dellosviluppo economico tesa afare del mondo intero unamerce. Nessuna societàpotrebbe tuttavia pretenderedi sradicare la totalità deipericoli che si profilanonecessariamenteall’orizzonte.Si constata piuttosto che, nelmomento in cui i rischi piúforti sembrano scongiurati, il

cursore che segnala lasensibilitàairischisispostaefaaffiorarenuovipericoli.Maoggi questo cursore ècollocato cosí in alto dastimolare una domanda disicurezzadeltuttoirrealistica.Cosí la «cultura del rischio»fabbrica pericoli. Per fare unesempio un po’ triviale, lafame è stata a lungo perl’umanità il vero rischioalimentare, e lo rimane in

molti paesi. Al contrario, neipaesi del benessere, è il fattodi mangiare che è divenutopericoloso: oltre al prionedella mucca pazza, l’elencodei prodotti cancerogenipresenti negli alimentiaumenta ogni mese. Puntareal rischio zero in campoalimentare significherebbeperciò astenersi dal cibo(«principio di precauzione»?)Dal momento che questa

strada è impraticabile,rimangono il sospetto el’ansia: l’insicurezza è anchenelpiatto.

Per porre nuovamente,oggi, la questione delleprotezioni, è necessariocominciare ad accentuare ledistanze rispetto a questainflazione contemporaneadella nozione di rischio, chealimenta una domandatravolgente di sicurezza e

dissolve,difatto,lapossibilitàdiessereprotetti.Ènecessarioquindi ricordare che nessunprogramma di protezioni hala possibilità di darsi perobiettivo la sicurezzadell’avvenire, cancellandopericoli e incertezze. La«culturadelrischio»estrapolala nozione di rischio, ma lasvuota del suo contenutosostanziale e le impedisce diessere operativa. Evocare

legittimamente il rischioconsiste non tanto nelcollocare l’incertezza e lapauranelcuoredell’avvenire,quantopiuttosto,alcontrario,nel cercaredi faredel rischiounriduttorediincertezza,alloscopodi governare l’avveniresviluppando strumentiappropriati che lo rendanopiú sicuro.È cosí che i rischisocialiclassici–nell’ambitodiuna presa in carico collettiva

– hanno potuto esseregovernati.Ma trattandosi dei«nuovirischi»apparsidopo,ènecessario ugualmentechiedersise il loroproliferarenon comporti anche unadimensione sociale epolitica,vistocheessaègeneralmentepresentata come il segno diun destino ineluttabile: un«aspetto fondamentale dellamodernità in una società diindividui», come afferma

Anthony Giddens 5.Componente intrinseca diuna società di individui oconseguenza di scelteeconomicheepolitichedicuivanno stabilite laresponsabilità?Moltidiquesti«rischi», in effetti(inquinamento, effettoserra…),sortisconounasortadi effetto boomerang sugliequilibri naturali di unproduttivismo sfrenato e di

uno sfruttamento selvaggiodelle risorse del pianeta. Ètuttavia inesatto dire, conUlrich Beck, che questi«rischi» attraverserebberoormai le barriere di classe esarebbero in qualche mododemocraticamente condivisi.Cosí, per esempio, leindustriepiú inquinanti sonopreferibilmente insediate neipaesi in via di sviluppo ecolpiscono le popolazioni

maggiormenteprivedimezzia garanzia dell’igiene e dellasicurezza,dellaprevenzioneodei risarcimenti di questidanni. Ci sono ingiustiziepalesi nella ripartizione diquesti «rischi», soprattutto sesi pone il problema su scalaplanetaria, come è necessariofare dopo aver preso inconsiderazione i rapporti traladiffusionediquestotipodi

nocivitàeilmodoincuivienegestitalamondializzazione.

Senza dubbio, piuttostoche di rischi, per quanto«nuovi» essi siano, sarebbemeglioparlare,qui,didanniodi nocività. Questo nonsignifica che tali rischi nonpotrebbero essere governati,mache larispostaadeguataèdiversadaquellaprevalsanelcontrollo dei rischi socialiclassici. Si vede bene, ad

esempio, che se un’industriaaltamente inquinante vieneinsediata in una regioneparticolarmente sfavorita delTerzo mondo, al fine disfruttarvi una manodopera abuon mercato, la rispostapertinente non consiste inuna «mutualizzazione deirischi», che obblighi lepopolazioni autoctone adassicurarsi contro questenocività. Essa dovrebbe

consistere, piuttosto, nelproscrivere queste nuoveforme planetarie disfruttamento, o quantomenonell’imporre allemultinazionali che nebeneficiano delle regolazionisevere, compatibili con unosviluppo durevole. Ciòsignifica mettere in campoistanze politichetransnazionali abbastanzapotenti da imporre dei limiti

alla frenesia del profitto e daaddomesticare il mercatomondializzato.

Privatizzazione ocollettivizzazionedeirischi.

Simili istanze nonemergono molto spesso diquesti tempi, tanto che citroviamo completamenteindifesi di fronte ai fattori

dannosi prima citati. Maalmeno possiamo cominciarea chiederci se quella che siconfigura quasi come unametafisica del rischio nonserva a occultare sia laspecificitàdeiproblemichesipongono oggi, sia la ricercadelle responsabilità chestanno all’origine dei dannispesso presentati comeineluttabili. L’ideologiageneralizzataeindifferenziata

del rischio («la società delrischio», «la cultura delrischio», eccetera) si dà oggicome il riferimento teoricoprivilegiato per denunciarel’insufficienza – ossia ilcarattere obsoleto – deidispositivi classici diprotezioneel’impotenzadeglistatinel far fronte allanuovacongiuntura economica.L’alternativa,quindi,nonpuòdarsi chenello sviluppodelle

assicurazioni private. Si puòcosí capire perché, in ambitoneoliberale, alcuni paladinidell’assicurazione abbianonon solo seguito conentusiasmo ma addiritturarilanciato analisi come quelladi Beck o di Giddens. Cosí,con un sorprendenterovesciamento di fronte deiterminiinquestione,FrançoisEwald e Denis Kessler fannodel rischio «il principio di

riconoscimento del valoredell’individuo», «lamisura diognicosa»,assegnandogliunadimensione quasiantropologica: come se ilrischio, probabilità dellacomparsa di un evento a noiesterno,potessecostituireunacomponente dell’uomostesso 6. Ernest-AntoineSeillières spinge questanaturalizzazione del rischiofino alla caricatura, dato che

per lui l’umanità si divide in«rischiofili» e «rischiofobi» 7.In effetti, l’insistenza postasulla proliferazione dei rischiva di pari passo con unacelebrazione dell’individuosvincolatodalle appartenenzecollettive, «disincastrato»(disembedded), secondol’espressione usata daGiddens. Questo individuo,dunque, è comeunportatoredirischichenavigaavistanel

belmezzodegli scogli e devegestiredasoloilsuorapportoconirischi.Nonsivedebeneil ruolo che possono giocarein questo schema lo Statosociale e l’assicurazioneobbligatoria garantita daldiritto. C’è una relazionestretta tra l’esplosione deirischi,l’iperindividualizzazionedellepratiche e la privatizzazionedelle assicurazioni. Se i rischi

si moltiplicano all’infinito, ese l’individuo è lasciato soload affrontarli, staall’individuo privato,privatizzato, il compito diassicurarsi da solo, se puòfarlo. Il governo dei rischinon è piú quindi un’impresacollettiva, ma una strategiaindividuale,mentrel’avvenirestesso delle assicurazioniprivate è assicurato dallamoltiplicazione dei rischi. La

loro proliferazione apre unmercatopraticamenteinfinitoal commercio delleassicurazioni.

L’altra via per tentare diaffrontarequestacongiunturaè quella di porre in risalto ladimensione sociale dei nuovifattori di incertezza e diinterrogarsi sulle condizioninecessarie per arrivare adaffrontarli collettivamente.Ma non bisogna nascondersi

che questo compito presentaoggi difficoltà immense:difficoltà evidenti per quellichehopropostodichiamare,invece che rischipropriamente detti, «danniinediti», prodotti dallamodalità di sviluppoeconomico e socialeattualmente prevalente. Adispetto di una presa dicoscienza crescente deimisfatti di una

mondializzazioneselvaggia(siveda al proposito il successodelle diverse correnti chemilitano a favore di una«altermondializzazione»),siamo ben lontani dall’avertrovato il genere di istanzeinternazionali–differentinelloro spirito dal Fondomonetario internazionale(Fmi),dallaBancamondialeodall’Organizzazionemondialeper il commercio – che

potrebbero ispirareun’amministrazione degliscambi internazionali,rispettosa delle esigenzeecologiche e sociali daimporre su scala planetaria 8.La complessità di taliproblemi rende impraticabilelapretesaditrattarliinquestasede, anche se essi siinscrivono in una rinnovataproblematicadelleprotezioni,che bisognerebbe oggi

promuovere. Si è tuttaviasottolineato fino a che puntofosseroprofondamente scossii sistemi collettivi diprotezione che avevano resopossibilelapresaincaricodeirischi sociali classici nelquadro della società salariale.Ora la situazione sembracompletamente irreversibile.Non si tornerà indietro conuna semplice restaurazionedelle regolazioni collettive

precedenti: tali regolazionicorrispondevano infatti alleforme, esse stesse collettive,della produzione delcapitalismo industriale e allaloro gestione nell’ambitodelloStato-nazione.Proprioilmutamento attuale delcapitalismo – che passaattraverso lamondializzazione degliscambie l’esasperazionedellaconcorrenza–imponequeste

forme di decollettivizzazione:impone una mobilitàgeneralizzataallaforzalavoro,inprimo luogo,maancheadampi settori dell’esperienzasociale. La posizione daassumere non è quella disottovalutare questetrasformazioni, ma quella dichiedersi – domanda difficile– quali forme di protezionesarebbero compatibili con ilrovesciamento, al quale oggi

assistiamo, delle forzeproduttive e dei modi diproduzione.

Una seconda ragione difondo impedisce diconsiderare la crisi attualedelle protezioni come unatraversia accidentale oprovvisoria. La costruzionedelle protezioni ha ancheprovocatounatrasformazioneessenziale, e ugualmenteirreversibile, dello statuto

dell’individuo. Il paradosso,sottolineato tra gli altri daMarcel Gauchet, è che lapresa crescente dello Statosociale, procurandoall’individuo protezionicollettiveconsistenti,haagitocome un potente fattore diindividualizzazione.L’«assicurazione diassistenza» 9, predispostadallo Stato, libera l’individuodalla dipendenza nei

confrontidituttelecomunitàintermedie che gliprocuravano quelle che hoproposto di chiamare le«protezioni ravvicinate».L’individuo diventa cosí,almeno in tendenza,«liberato» in rapporto a esse,mentreloStatodiventailsuoprincipale supporto, cioè ilsuo principale fornitore diprotezioni. Quando questeprotezioni si incrinano,

l’individuo diventa al tempostesso fragile ed esigente,poiché è abituato allasicurezza ed è roso dallapaura di perderla. Non èesagerato sostenere che ilbisognodiprotezionefapartedella «natura» socialedell’uomo contemporaneo,come se lo stato di sicurezzafosse divenuto una secondanatura e anche lo statonaturale dell’uomo sociale. È

laposizionecontrariaaquellarappresentata daHobbes aglialbori della modernità. Maquesta inversione è stata resapossibile dal fatto che isistemi di produzione dellasicurezzaallestitidalloStatosisono progressivamenteimposti, fino ad esserecompletamente interiorizzatidall’individuo. E ciò èaccaduto,indefinitiva,perchélo Stato, nella forma dello

Stato nazional-sociale, harealizzato compiutamente lasua missione. È diventatonaturaleessereprotetti, ilchesignifica anche che èdiventatonaturalerivendicarela protezione dello Stato.Maèproprioaquestopuntocheleprotezionisiindeboliscono,inmaniera,aquantosembra,irreversibile.

È dunque sicuramenteingenua la pretesa di

mantenere o di restaurare lostatu quo delle protezioniprecedenti, ed è questo ilfrequente rimprovero che imodernisti rivolgono, inperfetta buona fede, ai«nostalgicidelpassato».Maèalmeno altrettanto ingenuopretenderechel’abolizionediqueste protezioni «liberi» unindividuo, che aspetterebbesolo questa occasione perdispiegare finalmente tutte le

sue potenzialità. Si trattadell’ingenuità dell’ideologianeoliberale dominante. Essaomette di prendere inconsiderazione il fattoessenziale che l’individuocontemporaneo è statoprofondamente forgiato dalleregolazioni statuali.Non è ingrado, se cosí si può dire, dirimanere in piedi da solo,poiché è come se fosse statoirrorato e attraversato dai

sistemi collettivi di sicurezzaallestititidalloStatosociale.Ameno di non esaltare ilritorno allo stato di natura,cioèaunostatodiinsicurezzatotale,lamessaindiscussionedelle protezioni non puòportareallalorosoppressione,ma piuttosto a una lororedistribuzione nella nuovacongiuntura.

1U.BECK ,La societàdel rischiocit.

2 Cfr. P. PÉRETTI-WATEL , Lasociété du risque, La Découverte,Paris2001.

3 Il principio di precauzioneporta alle estreme conseguenzequestalogica.Paradossalmente,ciòchespingeadecidereèl’incertezza:oggi occorre compiere le propriescelte sulla base di possibilità dirischio la cui esistenza non si è

manifestata al momento mapotrebberivelarsidomani.

4 Si veda A. GIDDENS , Leconseguenze della modernità.Fiducia e rischio, sicurezza epericolo,ilMulino,Bologna1994.

5 ID., Modernity and Self-Identity,StanfordUniversityPress,StanfordCal.1991,p.224[trad.it.Identità e società moderna,Ipermediumlibri,Napoli1999].

6 F. EWALD e D. KESSLER , Lesnocesdurisqueetdelapolitique,in

«Le Débat», n. 109, marzo-aprile2000.

7 Si veda l’intervista in«Risques»,n.43,settembre2000.

8 L’Organizzazioneinternazionale del lavoro, tra igrandi organismi internazionali, èsenza dubbio attualmente il piúimportante nel manifestare questapreoccupazione. Il suo potere diintervento, purtroppo, non èneppure comparabile al potereesercitato,peresempio,dall’Fmi.

9 M. GAUCHET , La sociétéd’insécurité, in J. DONZELOT (a curadi), Face à l’exclusion: le modèlefrançais,Seuil,Paris1991.Loavevagià detto Durkheim, al quale sirimprovera ingiustamente di aversoffocato l’individuo sotto lecostrizioni collettive: «La verità èche lo Stato è stato il liberatoredell’individuo […].L’individualismo è andato di paripassoconlostatalismo»(in«Revuephilosophique»,n.48,1899).

CapitoloquintoComecombattere

l’insicurezzasociale?

In che cosa potrebbeconsistere una taleredistribuzione? Come

ricomporre protezioni cheimporrebbero dei principî distabilità e dei dispositivi disicurezzainunmondochesiconfronta in maniera nuovacon l’incertezza del domani?È senza dubbio la grandesfida che dobbiamoraccogliere oggi, e non èsicurochesaremoingradodifarlo.Nonsiavràlapretesadifornire qui rispostecircostanziate a questi

interrogativi, che ciintroducono alla ricerca diformule nuove piuttosto chefarci approdare a dellecertezze.Mapossiamotentaredi precisare le poste in giocodi tali interrogativilimitandoci ai due principalisettori che sono stati finoraesplorati: quello dellaprotezione socialepropriamente detta e quellodella sicurezza delle

condizioni di lavoro e deipercorsiprofessionali 1.

Riconfigurare le protezionisociali.

Ecco dunque, in primoluogo, il dominio dellaprotezione socialepropriamente detta, che inmolti paesi corrisponde a ciòche noi chiamiamo

«previdenza sociale»(assicurazioni contro lamalattia, l’invalidità, gliinfortuni sul lavoro, ladisoccupazioneelavecchiaia,oltre che assegni familiari eassistenza sociale). A partiredall’iniziodegli anniOttanta,diverse politiche diinserimentoedi«lottacontrole esclusioni» hannoaffiancato la previdenzasociale.Letrasformazioniche

si osservano da una ventinad’anni a questa parte nonhanno assunto i tratti di unarivoluzionebrutale.Ilsistemaresta largamente dominatodalleassicurazioniconnesseallavoro e finanziate daicontributi prelevati sullavoro.Tuttavia,sonoapparsedifficoltà crescenti eproblematiche nuove, cherimettono in discussione

l’egemonia di questo generediprotezioni.

Dapprima il bloccofinanziario. Il finanziamentodel sistema vieneprofondamentedestabilizzato:daunlatodalladisoccupazione di massa edalla precarizzazione dellerelazioni di lavoro, dall’altrolato dalla riduzione dellapopolazioneattivaperragionidemografiche e

dall’allungamento dellasperanza di vita. ComesostieneDenisOlivennes,unaminoranza di soggetti attivicorrerebbe ben presto ilrischio di versare contributiper una maggioranza disoggettiinattivi 2.

Ma la contestazione, al dilà dell’argomentazionefinanziaria, riguarda anche lemodalità di funzionamentodelsistemaelasuaincapacità

di prendere in carico tutticoloro che sono in rotturacon il mondo del lavoro.Paradossalmente, laprotezione sociale classicarenderebbecosípiúprofondolo scarto tra una collettivitàche può continuare abeneficiarediprotezioni forti– concesse in modoincondizionato, poichécorrispondono a dirittiprovenienti dal lavoro – e il

flusso crescente di tutti gliindividui che non riescono ainscriversiinquestisistemidiprotezione oppure se nedistaccano. Piúprofondamente dellaquestione del finanziamento,diventaalloradeterminantelastrutturastessadiquestotipodiprotezioni: tale struttura lerenderebbe inadatte aconsiderare la diversità dellesituazioni e dei profili degli

individui in attesa diprotezione,dalmomento chepoggia sulla costituzione dicategorie omogenee e stabilidi popolazione e sullaconcessione di prestazioniautomaticheeanonime.

A partire da questeconstatazioni, si è vistosvilupparsi, da una ventinad’anni, ciò che potrebbe benrappresentare un nuovoregimedellaprotezionesociale

rivolto agli emarginati delleprotezioni classiche. Il nuovoregime si è progressivamentesistemato ai margini delsistema, promuovendo insuccessione le seguentimisure: moltiplicazione deiminimi sociali, concessi asoggetti che siano nellecondizioni di possedererisorse; sviluppo di politichelocali di inserimento e dipolitiche urbane; sviluppo di

dispositivi di aiutoall’impiego,disoccorsoaipiúdeprivati e di «lotta control’esclusione». Questedisposizioni non hannoobbedito a un pianod’insieme, ma sembranotuttavia disegnare un nuovoreferenziale di protezionimoltodiversodaquellodellaproprietà sociale,caratterizzata dall’egemoniadelle protezioni

incondizionate fondate sullavoro.BrunoPaliersintetizzacosí l’opposizione dei dueregistri:

Apertura generalizzata edegalitaria versus scissione ediscriminazione positiva;prestazioni uniformi versusdefinizioni delle prestazioni apartire dai bisogni sociali;settori separati gli uni daglialtri (malattia, infortuni sul

lavoro, vecchiaia, famiglia)versus trattamento trasversaledell’insieme dei problemisocialiincontratidaunastessapersona; amministrazionecentralizzata nella gestione diun rischio o di un problemaversus partenariatocontrattualizzatoconl’insiemedegli attori (amministrativi,politici,associativi,economici)capaci di intervenire;«amministrazionedigestione»

versus «amministrazione dimissione»; «centralizzazione eamministrazione piramidale»versus «decentralizzazione eterritorializzazione» 3.

Un’implicazioneimportante di questicambiamenti è l’introduzionedi una certa flessibilità nelregime delle protezioni.Questinuoviinterventisocialisicaratterizzano ineffettiper

la loro diversificazione,pensati come sono peradattarsi alla specificità deiproblemi delle popolazionipreseincaricoe,allimite,peradattarsi a unaindividualizzazione della loromessa in opera.Due termini,assenti nel dizionario delleprotezioni classiche,occupanounpostostrategicoinquestenuoveoperazioni:ilcontratto e il progetto. La

realizzazione del salariominimo d’inserimento apartire dal 1988 esemplificabene lo spirito di questonuovoregimediprotezioni.Ilsuo ottenimento dipende inprimo luogo dall’attivazionedi un «contratto diinserimento», attraverso ilquale il beneficiario siimpegnanellarealizzazionediun progetto. Il contenuto diquesto progetto è definito

tenendo conto dellasituazione particolare delbeneficiario e delle suepersonali difficoltà.Ugualmente, le politicheterritoriali – che culminanoogginella«politicadellacittà»echeapartiredaiprimianniOttantasonostateattivateneiquartieri sfavoriti in nomedell’inserimento – siappoggiano su progetti localiche implicano la

mobilitazione degli abitanti edei differenti partner dellacomunità. Questa tendenzaall’implicazione personaledegli utenti ispira anche,sempre di piú, le politiche dilottacontroladisoccupazione(si veda il recente avvio delPare 4,chestimola–omeglioimpone – la partecipazioneattiva dei disoccupati allaricerca di un impiego). Intuttequestenuoveprocedure,

si tratta di passare dallafruizione passiva delleprestazioni sociali, concessein modo automatico eincondizionato, a unamobilitazione dei beneficiarichedevonopartecipareaunaloro personale riabilitazione.«Attivazione delle spesepassive»,comesiusadire,mache passa anche attraversoun’attivazione delle personecoinvolte.

Queste trasformazioniobbediscono a una logicad’insieme. Si tratta dipolitiche che tendonoall’individualizzazione delleprotezioni, in linea con lagrandetrasformazionesocialeda noi sottolineata,attraversata anch’essa daprocessi didecollettivizzazione o direindividualizzazione. Inquesto senso, tali politiche si

presentanocomeunarispostaallacrisidelloStatosociale, ilcui funzionamentocentralizzato, che amministraregole universali e anonime,si dimostrerebbe inadeguatoall’interno di un universosempre piú mobile ediversificato. La nuovaeconomia delle protezioni, sidirà,esigechesiritorni,aldilà della statalizzazione delsociale, a un’assunzione di

questesituazioniparticolarie,allimite,deisingoliindividui.

Questo spostamento,tuttavia, ha un costo, ealmeno per due ragionipossiamochiedercisenonsiatroppo elevato. In primoluogo, portato al limite, lospostamento implica unricentramento delleprotezioni su popolazioniposte al di fuori del regimecomune poiché soffrono di

un handicap, intendendoquesto termine in senso lato:situazioni di grande povertà,deficitdiversi–fisici,psichicio sociali –, «inimpiegabilità»,eccetera. Protezionesignificherebbe qui presa incarico degli sventurati. Nonbasta certo denominare talinuove misure«discriminazione positiva»per cancellare lastigmatizzazionenegativache

viene sempre assegnata aquestotipodiprovvedimenti.

Ciò nonostante, si dirà,queste nuove protezionirompono con la tradizionalederesponsabilizzazionedell’assistenza,nellamisuraincui promuovono unamobilitazione dei beneficiari,spinti a farsi carico di sestessi.Di fatto, ilcontrattodiinserimento, ad esempio, cheassegnaunredditominimodi

inserimento (Rmi) 5 benrappresenta unprovvedimento originale eallettante,poichécoinvolgelapartecipazione delbeneficiario, che saràaccompagnato e aiutato nellarealizzazionedelsuoprogettopersonale. Ma questeintenzioni rispettabilisottovalutano la difficoltà espesso la mancanza direalismo insite in questo

richiamo alle risorse degliindividui, trattandosi diindividui che mancano, perl’appunto, proprio di risorse.È paradossale che attraversoqueste diverse misure diattivazione si chieda molto acoloro che hanno poco espesso si chieda di meno acolorochehannomolto.Noncisidevesorprendere,perciò,se la riuscita effettiva diqueste iniziative sia piuttosto

l’eccezionechelaregola.Cosí,i numerosi rapporti divalutazione dell’Rmimostrano che piú della metàdei beneficiari non passa alcontratto, che nella maggiorparte dei casi l’Rmi servesoprattutto come «unaboccata di ossigeno chemigliora marginalmente lecondizioni di vita deibeneficiari senza poterletrasformare» 6,echesoloil10

per cento dei casi, o almassimo il 15 per cento, haraggiunto la meta di un«inserimento professionale»,ottenendo cioè un impiego,stabile o piú spesso precario.Allostessomodo, lepolitichedi inserimento territorialedànno dei risultati moltomodesti dal punto di vistadella partecipazione attivadegliutenti 7.

Tali constatazioni non

implicano nessuna condannadiquestitentatividiinventarenuove protezioni. Alcontrario, senza questemisure la situazione dellediverse categorie di vittimedella crisi della societàsalariale avrebbe subito undegrado ancor maggiore. Sipuòdunque–eamioavvisosi deve – difendere l’Rmi, lepolitichedellacittàeiminimisociali, interrogandosi al

tempo stesso sulla loroportata. Da questo punto divista, è escluso che i minimisociali, cosí come sonorealizzati oggi, possanorappresentare un’alternativaglobale alle protezioniprecedentemente elaboratecontro i principali rischisociali, a meno di nonsanzionare un’incredibileregressione dellaproblematicadelleprotezioni:

riducendo cioè la protezionesociale a un aiuto, spesso dimediocre qualità, riservato aipiúdeprivati.

Senza dubbio nessuno, adire il vero, difende questaposizione nella sua formaestrema. Se il sistema diprotezioni«tiene»ancoroggi,èperchéampie frange, lepiúestese, sonoancoradominateda coperture assicurativeconcesse senza valutare lo

stato delle risorse dei lorobeneficiari 8. Ma questosignifica che tali nuovemisure non sono riuscite asuperare la dualizzazione –spesso imputata allaprotezione classica – tracoperture contro i rischisociali,efficacinellamisuraincui sono legate a condizionistabili di lavoro, e unventagliodi aiutipiúomenocircostanziato,

corrispondente alla diversitàdelle situazioni dideprivazionesociale.Inquestiultimi vent’anni si è di fattoassistitoaunatrasformazioneprofonda, nel senso di unadegradazione, dellaconcezione della solidarietà.Al limite, non si tratterebbepiú di proteggerecollettivamente l’insieme deimembridellasocietàcontro iprincipali rischi sociali. Le

spese di solidarietà, di cui loStato continuerebbe ad averela responsabilità, siindirizzerebberopreferenzialmente a quelsettore residuale della vitasociale popolato dai «piúdeprivati». Essere protettosignificherebbe allora essereappenadotatodelminimodirisorse, necessarie persopravvivere in una societàche limiterebbe le sue

ambizioni ad assicurare unservizio minimo contro leforme estreme delladeprivazione. Una taledicotomia nel regime delleprotezioni sarebbe rovinosaperlacoesionesociale 9.

Non è facile dire come sipotrebbe superarla. Ma unaprima ragione del carattereprofondamenteinsoddisfacente dellasituazione attuale riguarda la

frammentazione delle nuovemisure che da vent’anni aquesta parte sono state preseuna alla volta: misure che avolte si sovrappongono, avolte lasciano sussistere zoneopache,chesonozonedinondiritto. Una prima serie diriforme dovrebbe garantireunacontinuitàdeidiritti,aldilàdelladiversitàdi situazioniche generano non soltantopregiudizi materiali, ma

anche discontinuità nelladistribuzionedelleprestazionie arbitrarietà nella loroattribuzione: che un regimeomogeneo di diritti ricopraambiti della protezioneindipendenti da copertureassicurative collettive, è unaproposta cheha ilmeritodelrealismo, che implica costiragionevoli e difficoltàtecniche di applicazione deltuttosuperabili 10.

Una seconda questione,piú difficile e ambiziosa,consistenell’interrogarsisullanatura e sulla consistenza diquesti nuovi diritti. È unvecchio dibattito, che si èsempre focalizzato sul dirittoai sussidi. Il fatto che certisussidi derivino dal diritto (èil caso della Francia dopo leleggidiassistenzadellaTerzaRepubblica) non esclude chela loro accessibilità sia

subordinataaunavalutazionedel beneficiario, che devedimostrare di essere in unacondizione di bisogno perbeneficiaredeisussidi.Dipiú:le prestazioni cosí distribuitedevono sempre essereinferiori a quelle assicuratedal lavoro (la less eligibilitydegli anglosassoni).Alexis deTocqueville – che non eracertoundifensoredelloStatosociale – sottolinea con forza

la differenza tra due tipi didiritti e scrive queste righeanchecontrola«caritàlegale»degliinglesi:«Idirittiordinarisono conferiti agli uomini infunzione di alcuni vantaggiacquisiti sui loro simili.Questo – e Tocqueville siriferisce qui al diritto aisussidi – è concesso inragionediunainferioritàe lalegalizza» 11. I «dirittiordinari»sonoidirittirelativi

alla cittadinanza. Sono diritti«ordinari» perché sonocomuni, non discriminanti eattribuiscono un’ugualedignità a tutti i soggetti didiritto. È il caso dei diritticivili e politici in unademocrazia: stanno afondamento dellacittadinanza.

Il diritto ai sussidi puòfondare una cittadinanzasociale? Non lo può, se

rimane «concesso in ragionedi una inferiorità e lalegalizza». Una via persuperarequestaannosaaporiapotrebbe esserel’approfondimento dellepolitiche di inserimento. Si èsottolineato il carattereambiguo e piuttostodeludente delle realizzazionigestite finora sotto questaetichetta. Ma ciò è avvenutoanche perché esse hanno

strumentalizzatounaversioneamputata della nozione. Se,come recita l’articolo 1 dellalegge istitutiva dell’Rmi,«l’inserimento sociale eprofessionaledellepersoneindifficoltà è un imperativonazionale», la suarealizzazione implicherebbeunamobilitazioneeffettiva,senon di tutta la nazione,quantomeno di una vastagamma di partner, ben oltre

gli attori sociali e irappresentanti del mondoassociativo: responsabilipolitici e amministrativi,mondo dell’impresa. Soloraramente questo è accadutoe il trattamento settorialedella problematicadell’inserimento, delegatosoprattutto agli specialisti delsociale, ne ha fortementelimitatolaportata.

L’idea di un

accompagnamento effettivodellepersone indifficoltàperaiutarleausciredallorostatoè un’idea ambiziosa. Essapresentailvantaggio,rispettoall’amministrazione classicadeisussidi,diindirizzarsiallapersona a partire dallaspecificitàdellasuasituazionee dei bisogni che le sonopropri. Ma essa non deveridursi a un sostegnopsicologico.Inlineagenerale,

gli specialistidell’inserimentosono stati finora inclini arendere prioritaria la normad’interiorità, e cioè a tentaredi modificare la condottadegli individui in difficoltàspingendoliacambiareilloromodo di pensare e arinforzarele loromotivazionia «uscirne», come se fosseroessi stessi i principaliresponsabili della condizioneincuisitrovano 12.Maperché

l’individuo possa realmentefare progetti e stipularecontrattiaffidabili,devepotercontaresuunabasedirisorseoggettive. Per potersiproiettare nel futuro, ènecessario disporre di unminimo di sicurezza nelpresente 13. Quindi, trattaresenza ingenuità e come unindividuo una persona indifficoltà significa mettere asua disposizione quei

supporticheglimancanoperessere un individuo a pienotitolo e che garantiscono lecondizioni della suaindipendenza: supporti chenon consistono solo nellerisorse materiali o negliaccompagnamentipsicologici, ma anche neidiritti e nel necessarioriconoscimentosociale 14.

Al di là dell’Rmi, questeconsiderazioni potrebbero

valere per l’insieme dellepolitiche territoriali realizzatein Francia dopo i primi anniOttanta.Esseindicanociòchepotrebbe fungere da idearegolatrice, al fine direinserire le collettivitàcomposte da individui chenon riescono a inscriversinelleprotezioniprocuratedallavoroochedataliprotezionisi sonodistaccati: trattare taliindividuinoncomeassistiti–

questa l’idea regolatrice–macome soggettiprovvisoriamente privi delleprerogative connesse allacittadinanza sociale, dandosil’obiettivo prioritario diprocurare loro i mezzi, nonsolo materiali, checonsentano il recupero diquesta cittadinanza. Piú inconcreto, e parallelamentealla continuità dei dirittievocata in precedenza, si

dovrebbe promuovere unacontinuità e una messa insinergia delle pratiche chemiranoallareintegrazionedeigruppi in difficoltà. Sipossonocosíconcepireveriepropri collettivi diinserimento 15: sorta diagenzie pubbliche cheraggrupperebbero, confinanziamenti propri e conpoteri decisionali, le diverseistanzeattualmenteincaricate

difacilitarel’aiutoall’impiegoe di lottare contro lasegregazione sociale, lapovertà e l’esclusione. Idiversi tipi di partner oggiimplicati in ordine sparsonella riqualificazione dellepersone in difficoltà sitroverebbero cosícentralizzati, ma a livellolocale, sotto un potereunificato di decisione e difinanziamento. Un tale

dispositivo non risolverebbecerto tutti i problemi che civengono posti dalla presenzadi popolazioni stabilmentelontane dal mercato dellavoro, ma rappresenterebbesicuramente un passo avantidecisivo per rilanciare unadinamica di inserimentocapace di sfociare nella lororeintegrazioneentroilregimecomune 16.

Piú generalmente, si è

sottolineato che l’insieme deidispositivi della protezionesociale sembra oggiattraversato da una tendenzaall’individualizzazione, o allapersonalizzazione, dalmomento che punta acollegare la concessione diuna prestazione allaconsiderazione dellasituazione specifica e dellacondotta personale deibeneficiari. Un modello

contrattuale di scambireciproci tra chi richiederisorse e chi le procura sisostituirebbe cosí, al limite,allo statuto incondizionatodell’aventediritto 17. Una taleevoluzione può avere delleconseguenze positive nellamisura in cui corregge ilcarattere impersonale, opacoeburocraticochecaratterizzain generale la distribuzionedelleprestazioniomogenee.È

lapartediveritàchecontienela parola d’ordine «riattivarele spese passive». Tuttavia, lalogica contrattuale, il cuiparadigma è lo scambiocommerciale, sottovalutagravemente la disparità disituazioni tra i contraenti.Essa mette il beneficiario diuna prestazione nellacondizione di chi domanda,facendo come se disponessedel potere di negoziazione

necessario ad annodare unarelazione di reciprocità conl’istanza che dispensa leprotezioni. Questo è un casoveramente raro. L’individuoha bisogno di protezioniproprio perché, in quantoindividuo, non dispone dasolo delle risorse necessarieper assicurarsi la propriaindipendenza. Attribuirgliperciò la responsabilitàprincipale del processo che

deve assicurargli questaindipendenza, significa il piúdelle volte imporgli unimbroglio.

Ilricorsoaldirittoèlasolasoluzione che sia stata oggiescogitata per uscire dallepratiche filantropiche opaternalistiche, fossero esseesercitate all’interno diistanze ufficiali oppure daspecialisti dell’aiuto sociale:pratiche che conducono a

prendere in considerazionecon maggiore o minorebenevolenza, o sospetto, lasorte degli sventurati, al finedi verificare se, e in qualemisura,essimeritanodavverodi essere aiutati. Si puòrivendicare un diritto; undiritto è infatti una garanziacollettiva,legalmenteistituita,chericonosceall’individuo,aldi là della sua specificità, lostatuto di membro a pieno

titolo della società, «aventediritto», per ciò stesso, apartecipare alla proprietàsociale e a godere delleprerogative principali dellacittadinanza: diritto dicondurre una vita decorosa,di essere curato, di trovarealloggio, di esserericonosciuto nella propriadignità personale… Lecondizioni di applicazione edi esercizio di un diritto

possono essere negoziate,dato che non si puòconfondere l’universalità diun diritto con l’uniformitàdella suamessa in opera.Maundiritto in quanto tale nonsi negozia, si rispetta. Sipossono dunque applaudiregli sforzi compiuti perridistribuire la protezionesociale molto piú vicino allesituazioni concrete e aibisogni degli utenti, ma c’è

una linea rossa che non vasuperata. Al di là di essa, cisarebbe confusione tra ildirittodiessereprotettieunoscambioditipocommerciale,che subordina l’accesso alleprestazioni ai soli meriti deibeneficiari, o anche alcaratterepiúomenopateticodella situazionenella quale sitrovano. Bisogna ricordarecon fermezza che laprotezione sociale non è

soltanto la concessione disussidi in favore dei piúdeprivati, per evitare un lorototale degrado. Nel sensoforte del termine, laprotezione sociale è lacondizione basilare affinchétutti possano continuare adappartenere a una società disimili.

Renderesicuroillavoro.

Laproduzionedi sicurezzaperlesituazionidilavoroeperipercorsiprofessionali: ecco ilsecondograndecantieredovesi tenta di ridistribuire, oggi,le protezioni sociali. Per farequesto, conviene partire dauna diagnosi tanto precisaquanto possibile dellasituazione attuale. Nellasocietà salariale, si puòparlare senza equivoci dicittadinanza sociale nella

misura in cui i dirittiincondizionati («dirittiordinari», per parlare comeTocqueville)eranostati legatialla situazione professionale.È lo statuto dell’impiego checostituisce la base di questacittadinanza, assicurando unaccoppiamento fortediritti/protezioni (diritti dellavoro e protezione sociale).Dopo la «grandetrasformazione» avviatasi

neglianniSettanta,siassisteauna disgregazione di questoaccoppiamento. E vogliamosforzarci, qui, di pesare ilsignificato del termine. Sitrattadiunadisgregazione,odi un’erosione, e non di unosprofondamento, comepretendono certi discorsicatastrofici, che spingono allimite,avoltefinoall’assurdo,il processo di degradazionedelle condizioni di lavoro e

delle protezioni legate allavoro 18. A fronte del fattoche queste vengono talvoltapresentatecomeuncampodirovine, bisogna richiamarequalche dato evidente: anchese esse sono indebolite eminacciate, noi viviamosempre in una societàcircondata e attraversata daprotezioni (il diritto dellavoro, laprevidenzasociale);anche se il rapporto con

l’occupazione è diventatosempre piú problematico, illavoro ha conservato la suacentralità(ancheesoprattuttopercolorochelohannopersoo corrono il rischio diperderlo, come risulta dalleinchiestesuidisoccupatiesuiprecari); anche se non è piúdeltuttoegemone,ilrapportolavoro/protezioni è sempredeterminante (circa il 90 percento della popolazione

francese, tenendocontodegli«aventidiritto»,è«coperta»apartire dalla relazione con illavoro,compreselesituazioninon lavorative come lapensione e, in parte, ladisoccupazione).

È dunque proprio attornoal lavoro che continua agiocarsi una parte essenzialedel destino sociale dellagrande maggioranza dellapopolazione.Maladifferenza

rispettoalperiodoprecedente– una differenza enorme – èche se il lavorononhapersola sua importanza, ha persomolta della sua consistenza,da cui derivava la parte piúimportante del suo potere diprotezione. Nel mondo dellavoro, la messa in mobilitàgeneralizzata delle situazionilavorative e dei percorsiprofessionali (si veda ilcapitolo precedente) colloca

l’incertezza nel cuoredell’avvenire. Se si prendonosul serio questetrasformazioni, si ha lamisura della sfida che oggideve essere affrontata: èpossibile associare nuoveprotezioni aqueste situazionidi lavoro caratterizzate dallaloro ipermobilità?Mi sembrache la via privilegiata daesplorare sia quella dellaricercadinuovidiritti,capaci

di rendere sicure questesituazioni aleatorie e diassicurare i percorsi segnatidalladiscontinuità.

In quest’ottica, bisognaoggi reinterrogare lo statutodell’impiego. Nella societàsalariale le garanzie di cuibeneficia il lavoratore sonolegateallecaratteristicheeallapermanenza del rapporto dilavoro.Illavoratore«occupa»unimpiegoenetraealtempo

stesso obblighi e protezioni.Questa situazionecorrispondeva allapermanenza delle condizionidi lavoro: permanenza neltempo (egemonia deicontratti a tempoindeterminato) e nelladefinizione dei compiti cheesse implicavano (griglie diqualificazione strettamentedefinite, omogeneità dellecategorie professionali e dei

salari, stabilità dei posti dilavoro, continuità nellagestione delle carriere).C’eraunostatutodell’impiegochesisottraeva ampiamente allefluttuazioni del mercato e aicambiamenti tecnologici eche costituiva la base stabiledella condizione salariale 19.Oggi si assiste sempre piú auna frammentazione degliimpieghi su due piani: nonsoltantoa livellodeicontratti

di lavoro propriamente detti(moltiplicazione delle formedette «atipiche» di impiegorispetto al contratto a tempoindeterminato), ma ancheattraverso la flessibilizzazionedellemansioni lavorative.Nederivaunamoltiplicazionedisituazioni non codificate daldiritto, oppure di situazionidebolmente coperte daldiritto; situazioni che AlainSupiot denomina «le zone

opache dell’impiego» 20:lavoro part-time, saltuario,lavoro «autonomo» mastrettamente subordinato aun datore di lavoro, nuoveforme di lavoro a domicilio,come il telelavoro, ilsubappalto, il lavoro in rete,eccetera. Nello stesso temposièapprofonditoilfenomenodelladisoccupazioneesisonomoltiplicate le alternanze traperiodi attivi e inattivi.

Sembra dunque che lastruttura dell’impiego, in unnumerocrescentedicasi,nonsiapiúun supporto stabile alquale agganciare dei diritti edelle protezioni che sianodavveropermanenti.

Una risposta a questasituazione consisterebbe neltrasferire i diritti di statutodell’impiego alla persona dellavoratore. Si tratta dell’ideadi uno «stato professionale

delle persone, che non èdefinito dall’esercizio di unaprofessione o di un impiegodeterminato, ma che inglobalediverseformedilavorocheogni persona è in grado disvolgere durante la propriaesistenza» 21.

Cosí si ristabilirebbe unacontinuità dei dirittiattraversoladiscontinuitàdeipercorsi professionali, cheincludono anche i periodi di

interruzione del lavoro(disoccupazione, ma ancheinterruzionedel lavoroper laformazione o per ragionipersonaliofamiliari).

Forse si obietterà che untale spostamento porrebbeunaseriediproblemichenonsi è in grado di risolvere. Sipresuppone infatti che illavoratoredispongadi«dirittidi prelievo» che utilizzerebbeper«coprire»idiversiperiodi

del suo percorso. Comesarebbe alimentata una talecopertura? Da chi sarebbegestita? Con quali garanzie?Come imporla ai diversipartnersociali?Qualesarebbeil ruolo dello Stato in questaconfigurazione? Sono tuttequestioni oggi aperte, alpunto che, possiamodirlo, sitratta proprio di un cantierediproblemicherimangonoingranpartedadefinire.Inpiú,

sipone il problemadi saperese questo nuovo statutoprofessionale delle personedovrebbe riguardare le «zoneopache dell’impiego», chenonsonocoperteosonomalcoperte dagli statuti classici;oppure,inalternativa,siponeil problema di sapere se ilnuovostatutodovrebbeaverel’ambizione di ristrutturarecompletamente l’insiemedelle protezioni legate a tutte

le formedi lavoro.Questioneessenziale,poichénellaprimaipotesi, per rendere sicure lezone non coperte dal diritto,occorre completare unsistemadiprotezionigiàdatonellesuegrandilinee,mentrenella seconda ipotesi ilsistema di protezioni deveessere interamente rifondatosubasinuove.Ilchesignifica,allora, rinunciarecompletamente allo statuto

classico dell’impiego, oggiancora fortementerappresentato non solo nellafunzione pubblica, ma ancheinnumerosinuclei stabilidelsettore privato. La rispostaalla questione dipende, difatto, dalla diagnosi che siformula sull’ampiezza dellacrisi attualedell’impiego.Si èprofondamente deteriorato,senza alcun dubbio, ilcosiddetto rapportodi lavoro

«fordista»,costruitosullabasedella grande industria, la cuiespansione è corrisposta allosviluppo del capitalismoindustriale. Ma si deveassimilare la totalità deglistatuti dell’impiego alrapporto salariale«fordista» 22?

Qualunque sia la rispostafornita a tale questione, èincontestabile che larghisettori dell’impiego sono già

passatidaunregimestabileaquellochepuòesseredefinitoun regime transitorio, checomporta cambiamenti diorientamento, biforcazioni,periodi di interruzione e avolte rotture. Ormai lamobilità dell’impiego portacon sé frequenti passaggi, otransizioni,nonsoloinsenoaunostessoimpiego,maanchetradueimpieghie,avolte,traun impiego e la sua perdita

(disoccupazione). Di qui lanecessità di organizzarequeste transizioni, dipredisporre delle passerelletraduecondizioni,chenonsitradurrebbero in una perditadi risorse o in un degradodello statuto. Si tratta delprogramma di «mercatitransizionali del lavoro checoncilierebbero mobilità eprotezioni» 23. I diritti socialidi prelievo preconizzati dal

rapportoSupiot si inscrivonoin questa logica. Ma si può,piú ampiamente, concepireuna batteria di «diritti ditransizione» aperti ailavoratori in modo «che unaserie di tappe non lavorativema socialmente segnalatediventino parte integrante diuna carriera professionaleinvececheinterromperla» 24.

In questa prospettiva, ipercorsi di formazione

dedicatialcambiamentosonochiamati a occupare unaposizionepreponderante.Benoltre la formazionepermanente attuale, sitratterebbe di creare un verodiritto alla formazione deilavoratori, che li doterebbe,lungo tutto il loro percorsolavorativo, dei saperi e dellequalifiche necessarie per farfronte alla mobilità. BernardGaziersottolineacheidanesi,

chesonoriuscitiamantenereunasituazionedisemimpiegoin un quadro di sicurezzaflessibile (o «flessisicurezza»,come viene definita), hannoanche coniato il neologismolearnfare,assistenzatramitelaformazione – che vuolrimpiazzare il workfareautoritario degli anglosassoni– al fine di assicurare ilritorno all’impiegomigliorando

significativamente lequalificazionideilavoratori.

Queste iniziative nonpermettono ancora didisporre di un modello diproduzione di sicurezzarelativaal lavorocheabbia lastessaconsistenzadelmodelloclassico.Malamisuradellorointeresse è relativa allaquestione fondamentale cheaffrontano: come conciliaremobilità e protezioni dotando

illavoratoremobilediunverostatuto? E ancora: comeconsiderare l’allargamentoconsiderevole delle nuoveforme di lavoro situate fuoridal quadro dell’impiegoclassico (vedi le speranze chemolti intravedono nellosviluppo di un terzo o di unquarto settore, di unaeconomia sociale o di unaeconomia solidale, eccetera),senza che si tratti di lasciare

libero corso allaproliferazione di attività astatutodegradatoinrapportoal diritto del lavoro e allaprotezione sociale?L’insicurezza del lavoro èsenzadubbiodivenutaciòcheera, d’altro canto, già primache si instaurasse la societàsalariale: la grandeapportatrice d’incertezza perlamaggior parte deimembridella società. Si tratta di

sapere se essa deve essereaccettatacomeundestinochel’egemonia del capitalismodimercato ha innestatoineluttabilmente.

L’ampiezza dellederegolamentazioni chehanno colpitol’organizzazione del lavoronell’ultimo quarto di secolo,oltre che la profondità delledinamiche diindividualizzazione che

riconfigurano il paesaggiosociale,noncispingonoafarmostra di un ottimismoesagerato,manonperquestofanno del catastrofismo lasola chiave di letturadell’avvenire. Il mutamentorecente del capitalismo haurtato con forza contro ilcompromesso sociale dellasocietà salariale, che avevaequilibrato alla meno peggiol’esigenza, diretta dal

mercato,diprodurrealminorcostoilmassimodiricchezze,e l’esigenza di proteggere ilavoratori che sono, tantoquanto lo è il capitale, iproduttori di questericchezze. Resta tuttaviaaperta laquestionesesi trattidi un periodo transitorio tradue forme di equilibrio – trailcapitalismoindustrialeeunnuovo capitalismo, che siesita ancora a definire 25 –,

cioè di un momento di«distruzione creatrice», comedirebbe Schumpeter, oppuredel regime di crociera delcapitalismodidomani.Nonèper niente evidente che leforme piú selvagge distrumentalizzazione del«capitaleumano»sianolepiúadattealleesigenzedelnuovomodo di produzione. Se illavoratore è chiamato a darprova di flessibilità, di

polivalenza, di senso diresponsabilità, di spirito diiniziativa e di capacità diadattamento ai cambiamenti,può forse comportarsi inquesto modo senza unminimo di sicurezza e diprotezioni? Il lavoro è forsecondannato a rimanere laprincipale «variabile diaggiustamento» permassimizzare i profitti? Sicomincia a profilare, anche

negli ambienti manageriali eimprenditoriali, una certapresadicoscienzadeglieffetticontroproducenti del burnout dei lavoratori, e anchedegli effetti distruttivi, sulleculture imprenditoriali, diristrutturazioniodimodalitàdi management governateesclusivamente da logichefinanziarie 26. D’altronde nonè neppure evidente che ilrapporto di forza, cosí

globalmente sfavorevole aisalariati negli ultimivent’anni, in un contestodominato dalladisoccupazionedimassa,restiinalterato nell’avvenire, senon altro per ragionidemografiche 27. In ognimodo, non si tratta diprofetizzare in che cosaconsisterà l’avvenire, mapiuttosto di constatare la suarelativa imprevedibilità; esso

dipenderàanchedaciòchedaoggifaremoononfaremopertentare di governarlo.Questacongiunturadiincertezzanonvanifica la questione delleprotezioni ma ne sottolinea,anzi, la bruciante attualità. Illavoro potrà essere, o nonessere, reso piú sicuro:dall’esitodiquestaalternativadipenderà, in largamisura, lapossibilità o l’impossibilità di

soffocare il riemergeredell’insicurezzasociale.

1 Ricordo che per essereesaustivi sarebbe necessariointegrare l’analisi con unariflessionesuiservizipubblici,parteimportante della proprietà sociale.L’esempio del crollo recentedell’Argentina illustra a contrariol’importanza di questa tematica.

L’insicurezza sociale nella qualequesto paese è ricaduto nonriguarda solo la crescita di unapovertà di massa, laprecarizzazione delle condizionisociali, relative anche alle classimedie, o una riduzione drasticadelle prestazioni sociali.L’insicurezza sociale è anche laconseguenza del crollo dei servizipubblici in un paese in via dicompleta privatizzazione. Nonposso approfondire qui questo

argomento, ma il dibattito sulleposte in gioco relative all’attualerimessa in discussione dei servizipubblici s’inscrive direttamentenella tematica che intendosviluppare.

2 Si veda D. OLIVENNES , Lasociétéde transfert, in «LeDébat»,n. 69, marzo-aprile 1992. InFrancia i prelievi obbligatorieffettuati a partire dal lavororappresentavano l’80 per cento

dellespeseperlaprotezionesocialenel1997.

3 B. PALIER , Gouverner laSécurité sociale, PressesUniversitaires de France, Paris2002,p.3.

4 [Participation ActiveRechercheEmploi.N.d.T.].

5 [Da intendersi come redditominimo per garantirel’integrazione dei meno abbienti.N.d.T.].

6 Le RMI à l’épreuve des faits,

Syros,Paris1991,p.63.7 Si veda, ad esempio,

Évaluation de la politique de laville, Délégation interministériellede la ville, Paris 1993, capp. I-II .Per un bilancio piuttostopessimista sulla «cittadinanzalocale», si veda C. JACQUIER , Lacitoyenneté urbaine dans lesquartiers européens, in J. ROMAN (acura di), Ville, exclusion etcitoyenneté. Entretiens de la ville,vol. II,ÉditionsEsprit,Paris 1993.

Per un’attualizzazione dellaquestione e per un confronto conla situazione negli Stati Uniti siveda J. DONZELOT , C. MEVEL e A.

WYVEKENS , Faire société, ÉditionsduSeuil,Paris2003.

8 Il numero dei beneficiari deiminimi sociali, in progressionecostante, non rappresenta tuttaviache un po’ piú del 10 per centodellapopolazionefrancese.

9 Ineffetti,questodualismotraprotezioni forti e senza condizioni

costruiteapartiredallavoroeaiutimirati verso popolazioniallontanate dalmercato del lavoroètropposchematico,perchéanchesul versante delle protezioniassicurative si esercitano fortipressioni nel senso della lorodiversificazione in funzione dellerisorsedeibeneficiari.Cisiorienta,a quanto sembra, verso unariconfigurazione del regime delleprotezioni a tre poli, o a trevelocità: 1. protezioni che

dipendono dalla «solidarietànazionale», finanziate dai tributi eche garantiscono, nella logicadell’assistenza, risorse e copertureminimeallefascedellapopolazionepiú deprivate (per esempio lacoperturamedica generalizzata e iminimi sociali); 2. protezioniassicurative di base, checontinuano a essere costruite apartire dall’impiego, ma con unadiminuzione dei rischi coperti e/odella soglia della loro presa in

carico (per esempio, la riduzionedei rischi salute e/o delle loroaliquote di riscossionedirettamente coperte dallaprevidenza sociale); 3. protezioniderivate da assicurazionicomplementariprivate,semprepiúestese, che dipendono da scelte efinanziamenti operati dai singoli(per esempio, evoluzione deiregimipensionisticinelsensodellaloro capitalizzazione almenoparziale).Sullosfondosidisegnail

passaggio da uno Stato socialeuniversalistico a uno Stato socialeche funziona sulla base di unadiscriminazione «positiva». Suquestopunto,sivedaN. DUFOURCQ

,VersunÉtat-providencesélectif,in«Esprit»,dicembre1994.

10 Si vedano le previsioni diJean-Michel Belorgey in questadirezione (J.-M. BELORGEY et al.,Refonder la protection sociale, LaDécouverte,Paris2001).

11A. DE TOCQUEVILLE ,Mémoire

sur le paupérisme, Académie deCherbourg,1834.

12SivedaF.DUBET,PrefazioneaD. CASTRA , L’insertionprofessionnelledespublicsprécaires,Presses Universitaires deFrance,Paris2003.

13 Si puòqui ricordare l’analisiclassica di Pierre Bourdieusull’impossibile rapporto con ilfuturodeisottoproletarialgerini:P.BOURDIEU(conA.DABEL,J.-F.RIVET,

C. SEIBEL),Travailet travailleursenAlgérie,Mouton,Paris1964.

14 Per l’esplicitazione di questanozione di supporto, concepitocome lo zoccolo di risorsenecessarie per potersi comportarepositivamenteda individuo, rinvioaR.CASTELeC.HAROCHE,Propriétéprivée, propriété sociale, propriétédesoi,Fayard,Paris2000.

15 Sul funzionamento delleattuali commissioni locali diinserimento dell’Rmi e sulle loro

insufficienze, si veda I. ASTIER ,Revenu minimum et soucid’insertion, Desclée de Brouwer,Paris1997.

16 Su questa concezionedell’inserimentocome«viastretta»ma necessaria per promuoveredellepolitichesocialiattive,sivedaancheP.ROSANVALLON,Lanouvellequestion sociale, Éditions du Seuil,Paris 1995, cap. VI . C’èteoricamente un’altra possibilitàper oltrepassare il carattere

stigmatizzantedeldirittoagliaiuti.Si tratterebbe di accordare didiritto, a tuttiincondizionatamente, un redditodi sussistenza. Questa possibilitàapre un dibattito complesso, inragione soprattutto delle diverseversioni proposte dai suoidifensori: sussidio universale,reddito di cittadinanza, reddito disussistenza, reddito socialegarantito, eccetera. Cerchiamo diriassumeremoltoschematicamente

la posizione che deriva da questariflessionesulleesigenzeminimediuna politica di protezioni: nellamaggior parte delle versionipreviste, lacreazionediunredditominimo avrebbe piuttosto l’effettodi aggravare la situazione e direndere irreversibile il degradodelmercato del lavoro. Le soluzionielencate propongono in effetti unreddito di sussistenza mediocre,insufficientepercondurreunavitadecente, e che richiederebbe di

essere integrato ad ogni costo:accettandoinparticolareunlavoroa qualsiasi condizione. Separandoinmodonetto lavoroeprotezioni,il reddito minimo «libera» cosí ilmercatodellavoroerappresentalasola contropartita «sociale»:contropartita – auspicata d’altraparte dagli ultraliberali qualiMilton Friedman – aldispiegamento di un liberalismoselvaggio. Il reddito minimovanifica al tempo stesso tutti gli

sforzi delle politiche attive diinserimento che assicurano unrientro nel mercato del lavoroordinario. Le cose potrebberoandarediversamentese si trattassedi un reddito «sufficiente», perriprendere l’espressione di AndréGorz, ritornato su questa opzionedopo averla energicamentecombattuta (Miseria del presente,ricchezza del possibile,manifestolibri, Roma 1998): sitratterebbe cioè di un reddito

sufficiente per assicurarel’indipendenza sociale deibeneficiari. Un reddito che sidovrebbe calibrare senza dubbio,mantenendosi su livelli modesti,attorno al salario minimo: unsalariominimopertuttiicittadini,senza nessuna contropartita dilavoro.Anchesesi tienecontodelfatto che questa indennità farebberisparmiare altre prestazionisociali, cosa che tuttaviacomporterebbe effetti nefasti, non

si vede come, dal punto di vistapolitico, nel contesto attuale unatale misura potrebbe avere unaminima possibilità di imporsi.Questa forse è un’utopia, mapossono anche esserci utopiepericolosesesvianodallaricercadialtre alternative. (Su questaquestione si veda, tra gli altri, unnumero speciale della rivista«Multitudes», n. 8, 2002, che, aprescinderedalmiocontributo,va

nel senso della difesa edell’illustrazionediquestemisure).

17SivedaR.LAFORE,Ducontratd’insertion au droit des usagers, in«Partage»,n.167,agosto-settembre2003.

18 Si vedano, ad esempio, A.

GORZ , Miseria del presente,ricchezza del possibile cit., e V.

FORRESTER , L’orrore economico,Ponte alle Grazie, Firenze 1997,cosí come tutti i profeti della finedellavorochesembravaavesseroil

vento in poppa qualche anno fa,ma la cui influenza sembra oggifortunatamentesbiadita.

19 Per la costruzione di questostatuto dell’impiego e la suadiversità rispetto al contratto dilavoro di ispirazione liberale, siveda A. SUPIOT , Critique du droitdu travail, Presses Universitairesde France, Paris 1994. Ci sono,beninteso, parecchi statutidell’impiegoequellidellafunzionepubblica sono senza dubbio i piú

protetti.Tuttavia tuttigli impieghiclassici, compresiquellidel settoreprivato, sono impieghi a statuto,protettidaldirittodellavoroedallaprotezionesociale.

20A. SUPIOT(acuradi),Au-delàde l’emploi, Flammarion, Paris1999 [trad. it. Il futuro del lavoro,Carocci,Roma2003].

21Ibid.,p.89.22 Ritengo che si sia spesso

abusato dell’espressione «rapportosalariale fordista» per qualificare

l’insieme degli impieghi dellasocietà salariale, la cui gamma èmolto vasta: dall’operaiospecializzato al quadro,dall’impiegatodelsettoreprivatoalfunzionario. Questa sottolineaturanonèsenzaimportanzaallorchécisi chiede in quale misura oggi sidebba andare «al di làdell’impiego». Mi sembra che cisiano ancora numerosi tipi diimpiegochecorrispondonoaquelliche un tempo si chiamavano

«mestieri»: cioè qualificazioniprofessionali stabili, cheassicuravanol’indipendenzasocialedei loro possessori. Si correrebbe,quindi, un rischio a liquidarecompletamente il modellodell’impiego:ilrischiodilasciareilcertoper l’incerto.Ho tentatounaprima esplicitazione di questopunto di vista in R. CASTEL ,Droitdu travail: redéploiment ourefondation?,in«Droitsocial»,n.6,maggio1999.

23 Si veda B. GAZIER , Tous«sublimes». Vers un nouveau pleinemploi,Flammarion,Paris2003.

24Ibid.,p.162.25 Sulle caratteristiche e sulla

natura di questo «nuovocapitalismo», si veda unostimolante dibattito in C.

VERCELLONE (a cura di), Sommes-nous sortis du capitalismeindustriel?cit.

26 Cfr. D. COHEN , Nos tempsmodernes,Flammarion,Paris1999.

27 A partire dal 2006-2007 lapopolazione attiva francesedovrebbe perdere una media dicirca300000lavoratoriognianno.Cosa che fa auspicare ai piúottimisti un ritorno al pienoimpiego alla fine del primodecennio del Duemila. Ma moltodovrà essere fatto per facilitare ilnostroavvenire.

Conclusione

«Che Dio vi protegga!»;questa espressione, cosípopolare in epoche di fede

religiosa, esprimeva unsentimento alloracomunemente condiviso:affinchélacreaturaumanasiadavvero protetta contro tuttigli imprevisti dell’esistenza, ènecessario– sipensava–cheun’Onnipotenza tutelare laprenda integralmente incarico.Inmancanzadiquestofondamento assoluto dellasicurezza, è ormai all’uomosociale che viene assegnato il

durocompitodicostruireeglistesso le proprie protezioni.Tuttoaccade,però,comeseilritiro di un garantetrascendente della sicurezzaavesse lasciato sussistere,come una sua ombraproiettata, un desiderioassoluto di essere premuniticontro tutte le incertezzedell’esistenza. L’estensionedelleprotezionièunprocessostoricodilungadurata,cheva

ampiamentediparipassoconlo sviluppo dello Stato e conle esigenze della democrazia:esso non è mai stato, senzadubbio, cosí onnipresentecome lo è oggi. Bisognatuttavia constatare che questidispositivi multipli diprotezione non placanol’aspirazione alla sicurezza; alcontrario,essilarilanciano.Atorto o a ragione (ma questaespressione non ha molto

senso, poiché non è di uncalcolo razionale che sitratta), l’uomocontemporaneo sembraaltrettanto tormentato dallapreoccupazione della suasicurezza quanto lo erano isuoi lontani antenati, che,tuttavia, avevano buoneragioni di temere per la lorosopravvivenza. Tenendopresente questo paradosso,l’itinerario storico-sociale qui

prospettato approda a dueproposizioni complementariapparentementecontraddittorie: denunciarel’inflazione dellapreoccupazione di sicurezza,e affermare l’importanzaessenziale del bisogno diprotezioni.

Denunciare l’inflazionedella preoccupazione disicurezza perché questoatteggiamentodissolve, in fin

dei conti, la possibilità stessadiessereprotetti.Essocollocala paura nel cuore della vitaassociata, e questa paura èsterile se ha per oggetto gliimprevisti incontrollabili,cherappresentano il destino diogni esistenza umana.Abbiamo sottolineato comegli slittamenti recenti dellariflessione sul rischioalimentassero una mitologiadella sicurezza, o piuttosto

dell’insicurezza assoluta, cheapproda, al limite, a undiniego della vita. Bisognaricordare la profonda lezionediItaloSvevonellaCoscienzadiZeno:

La vita somiglia un pocoallamalattiacomeprocedepercrisi e lisi ed ha i giornalierimiglioramenti epeggioramenti. A differenzadelle altre malattie la vita è

sempremortale.Nonsopportacure. Sarebbe come volerturareibuchicheabbiamonelcorpo credendoli delle ferite.Morremmo strangolati nonappenacurati 1.

Lavitaèunrischio,poichél’incontrollabileèinscrittonelsuo svolgimento.Bisognerebbe interrogarsimeglio sull’attuale inflazionedella preoccupazione di

prevenzione, che èstrettamente correlataall’inflazione dellapreoccupazione di sicurezza.Senza alcun dubbio èmeglioprevenire che guarire, ma letecnologie efficaci per laprevenzione sono di numerolimitato, e raramente sonoinfallibili. L’ideologia dellaprevenzione generalizzata èquindi condannata alfallimento. Ma il desiderio

travolgente, che essa implica,di sradicare il pericoloalimenta una formad’angoscia, senza dubbiospecificadellamodernità,cheèinesauribile.Senzacederealpathos, è salutare ricordarechel’uomosicaratterizzaperla sua finitudine, e che laconsapevolezza di esseremortaleèperluil’iniziodellasaggezza.

Rifiutaretuttaviailmitodi

una sicurezza totale conduceadifendereal tempostesso ilfatto che la propensione aessere protetti esprime unanecessità inscritta nel cuoredella condizione dell’uomomoderno. Come hanno benvisto i primi pensatori dellamodernità, a partire daHobbes, l’esigenza di vincerel’insicurezza civile el’insicurezza sociale èall’originedelpattochefonda

una società di individui. Direcentesiètantodettoetantoscritto sull’insicurezza civile,chemiatterrò,alproposito,aciò che proponevo inprecedenza: la ricerca dellasicurezza assoluta rischia dientrareincontraddizioneconiprincipîdelloStatodidirittoe precipita facilmente inpulsione sicuritaria chedegenera nella caccia aisospetti e si appaga con la

condannadicapriespiatori.Ilfantasma di «nuove classipericolose» che sarebberocostituite dai giovani delleperiferie esemplifica questotipodispostamento.Tuttavia,la ricerca della sicurezzaesprime un’esigenza che nonèsoltantounaffaredipolizia,di giudici e del ministerodegli Interni. La sicurezzadovrebbe appartenere aidiritti sociali nella misura in

cui l’insicurezza rappresentaunagraveviolazionedelpattosociale. Viverenell’insicurezza giorno pergiornosignificanonpoterpiúfare società con i proprisimili: significa abitare ilproprio ambiente sotto ilsegno della minaccia, e nondell’accoglienza e delloscambio. Questa insicurezzaquotidiana è tanto piúingiustificabile quanto piú

colpisce soprattutto lepersone maggiormente privedi altre risorse attinenti alreddito, all’habitat e alleprotezioni fornite da unasituazionesocialegarantita:sitrattaditutticolorochesonoanche le vittimedell’insicurezza sociale.Anche senza pronunciarsisulla questione delle cause –in quale misura l’insicurezzacivile è la conseguenza

dell’insicurezza sociale? –esistono almeno delle forticorrelazioni tra il fatto divivere quotidianamente laminaccia dell’insicurezza e ilfatto di essere in preda alledifficoltà materialidell’esistenza. Ragionesufficiente, questa, perrifiutare ogni forma diangelismo e per pensare chel’insicurezza civile debbaessere energicamente

combattuta; combattuta,tuttavia, non con mezziqualsiasi: il punto diequilibrio, infatti, tra lasicurezzapubblicaeilrispettodellelibertàcivilièdifficiledatrovare.

Oggi,tuttavia,l’insicurezzadeve essere certamentecombattuta anche, e permolti, attraverso la lottacontro l’insicurezza sociale,cioè sviluppando e

riconfigurando le protezionisociali. In effetti: che cosasignificaessereprotettiinunasocietà moderna? Lo schiavoera spesso protetto se nonaveva un padrone troppocattivo, e d’altra parte ipadroni avevano interesse aprocurare ai loro schiavialmeno le risorse minimenecessarie per garantire laloro sopravvivenza. Nellafamigliapatriarcale,ledonne,

i figli e i domestici eranoprotetti, e spesso anche ilvecchio servitoreo lavecchiaserva, quando non erano piúutili, non erano per questoabbandonati. I rapporticlientelari, lemafie, le sette etutte le Gemeinschaftentradizionali procuranosistemidiprotezionepotenti,ma che si pagano con unaprofondadipendenzadeiloromembri.Fatto,questo,chedà

alla dichiarazione formulatada Saint-Just nel momentodella Rivoluzione unarisonanza profondamentemoderna:«Daremodoa tuttiifrancesidiottenereleprimenecessità della vita senzadover dipendere da qualcosadi diverso dalle leggi e senzacreare vincoli di dipendenzareciproca all’interno delloStatocivile» 2.

Dopoduesecolidiconflitti

e di compromessi sociali, loStato,nellasuaformadiStatonazional-sociale, aveva«dato», al di là delle «primenecessitàdellavita»,lerisorsenecessarie perché tutti, oquasi tutti, potessero goderedi un minimo diindipendenza. In una societàdi individui, essere protettidal punto di vista socialesignificaprecisamentequesto:che gli individui dispongono,

di diritto, delle condizionisociali minime della loroindipendenza. La protezionesociale diventa cosí lacondizione di possibilità performareciòchehochiamato,con Léon Bourgeois, unasocietà di simili: un tipo diformazionesocialeall’internodella quale non esistonoesclusioni, poiché ognunodispone delle risorse e deidiritti necessari per

mantenere relazioni diinterdipendenza (e non solodi dipendenza) con tutti. Sitratta di una definizionepossibile della cittadinanzasociale. È anche unaformulazione sociologica diciò che in termini politiciviene chiamata unademocrazia.

Si sa che da un quarto disecolo l’edificio di protezionicostruito nel quadro della

società salariale si è incrinatoecontinuaasgretolarsisottoicolpi inferti dalla crescenteegemonia del mercato. Laprofondità e il carattereirreversibile di talitrasformazioni fanno sí cherisulti impossibile mantenerestabili questi dispositivi. Mal’ampiezza dei cambiamentimette anche in evidenza finoa che punto sia urgentetentare di ridisporli nella

nuova congiuntura,considerando seriamente ache cosa porterebbe il loroabbandono. Non avendoricette miracolose daproporre,misonosoprattuttosforzato, qui, di precisare lelinee di frattura cheridisegnano oggi laconfigurazione delleprotezioni, fino a minacciaredi rimettere in discussione lapossibilità di continuare a

formareuna societàdi simili.Per concludere in modosintetico, mi sembra che lapostaingiocoprincipaledellaproblematica delle protezionisociali si situi oggi nel puntodiintersezionetraillavoroeilmercato. Tutto questo ècomprensibile a partire dallaquestione centrale posta daKarl Polanyi e che resta dibruciante attualità: si può (esesí,inqualemisuraecome)

addomesticare il mercato?Infatti, come si è sottolineatoricordando il ruolo giocatodalla proprietà sociale nellacostruzione di una società disicurezza, è un certoaddomesticamento delmercato che ha permesso inlarga misura di vincerel’insicurezza sociale. Ed èproprio anche una certaricommercializzazione dellavoro che si rivela come la

principale responsabile delriaffiorare di questainsicurezza sociale, attraversol’erosionedelleprotezionicheeranostate legateall’impiego,provocando ladestabilizzazione dellacondizionesalariale.

Questeconsiderazioninondevono tuttavia condurre acondannare il mercato.«Condannare il mercato» èd’altrondeun’espressioneche

non ha, rigorosamente,nessun senso. Centralità delmercato e centralità dellavoro sono le caratteristicheessenziali di una modernitàalla quale apparteniamocomunque, anche se ilrapportotramercatoelavorosi è profondamentetrasformatodaquandoAdamSmith li sostenevacontemporaneamente. Senzadubbio vediamo svilupparsi

interessanti sperimentazionisociali che si inscrivono aimargini o negli interstizidell’economiadimercato.Maè escluso – e direi anche chenon è auspicabile – che essepossano rappresentareun’alternativa globaleall’esistenzadelmercato.Unasocietàsenzamercatosarebbeinfatti una grandeGemeinschaft, cioè unamaniera di fare società la cui

storia, sia antica che recente,ci mostra che essa è statageneralmente strutturata daspietatirapportididominiooda umilianti relazionipaternalistichedidipendenza.Sopprimere il mercatorappresenta un’opzionepropriamente reazionaria,una sorta di utopia a ritrosodella quale Marx si è giàburlato evocando «il mondoincantato dei rapporti

feudali». Non c’è modernitàpossibilesenzamercato.

La questione è alloraproprio quella di capire se èpossibile porre dei limitiall’egemonia del mercato:arginare il mercato. Ciò èaccaduto, nell’ambito dellasocietà salariale, grazie allagrande rivoluzione silenziosarappresentata dallacostituzione della proprietàsociale: frutto di un

compromessotrailmercatoeil lavoro sotto l’egida delloStato.Ogginéilmercato,néillavoro, né lo Stato hanno lastessa struttura, ma laquestione della loroarticolazione si ponecomunque. Al lavorodivenutomobileealmercatodivenuto volatile dovevacorrispondere uno Statosocialedivenutoflessibile.UnoStatosocialeflessibileeattivo

rappresentanonunasempliceformula retorica ma laformulazione di un’esigenza(che non implica la certezzadella sua realizzazione):un’istanza pubblica diregolazione è piú che mainecessaria per inquadrarel’anarchiadiunmercatoilcuiregno assoluto sfocerebbe inunasocietàscissatravincentie perdenti, benestanti emiserabili, inclusi ed esclusi.

Il contrario di una società disimili.

Far fronte alle insicurezzesignifica combattere con lastessa intensità l’insicurezzacivile e l’insicurezza sociale.Esisteoggiunconsensomoltodiffusosulfattoche,alfinedigarantirelasicurezzacivile(lasicurezza dei beni e dellepersone), sia richiesta unaforte presenza dello Stato:bisogna difendere lo Stato di

diritto.Lostessodiscorsovaleper la lotta control’insicurezza sociale:bisognerebbe salvare lo Statosociale. A meno che non sitrattidiunasocietàcompostada individui scissi oatomizzati, non può esistere,infatti, «società di individui»senzachedeisistemipubblicidi regolazione nonimpongano, in nome dellacoesione sociale, la

preminenza di un garantedell’interesse generale sullaconcorrenza tra gli interessiprivati. Questa istanzapubblica – bisognerebbepiuttosto dire queste istanze,centrali e locali, nazionali etransnazionali–hailcompitodi trovare il proprio modusoperandi in un mondocaratterizzato dal doppiosigillodell’individualizzazioneedell’obbligoallamobilità. Il

meno che si possa dire è chequesto non è poca cosa:abbiamo infatti l’abitudine dipensare i poteri dello Statoattraverso grandiregolamentazioni omogeneechesiesercitanoinunquadronazionale.Maèsenzadubbio,insintoniaconlacongiunturacontemporanea,l’unicomododi rispondere alla domanda:«chesignificaessereprotetti?»

1I.SVEVO,LacoscienzadiZeno,Garzanti,Milano1985,p.424.

2 L.-A.-L. SAINT-JUST , Fragmentssurlesinstitutionsrépublicaines, inID.,Œuvres complètes, a curadiC.Nodier,Paris1984,p.969.

«S

Il libro

E OGGI S I PUÒ

parlare di unriemergeredell’insicurezza, è

in larga misura perchéesistono frange dellapopolazione ormai convintedi essere state lasciate aimargini del percorso,incapacidicontrollareillorofuturo in unmondo semprepiú segnato dalcambiamento».

Un senso d’insicurezzadomina le nostre vite.Temiamo di venir aggrediti

per strada o in casa.Paventiamo di perdere illavoro,dinonottenerela pensione, di caderemalatisenza poterci curare. È veroche le protezioni dallaviolenza e dai rischidell’esistenzasonoancoroggipiú elevate di quanto nonfossero un secolo fa. Accadeperòcheambedueigeneridiprotezione vengano oggierosi da un’ideologia che

attribuisce solo all’individuola responsabilità dei suoimali, e da un sistemaproduttivo che divide lepersone – classificazioneabbietta–invincitorievinti.Per accrescere la sicurezzamateriale dei beni e dellepersone, nota l’autore,bisogna difendere lo Stato didiritto. Per contrastarel’insicurezzadinanzialfuturooccorre salvare lo Stato

sociale, dotandolo dellacapacità di far fronte allecontingenze generate dallaipermobilità del lavoro edall’anarchia dei mercati. Aricondurre entro limitiragionevoli l’una e l’altradovrebbe provvedere,potremmo aggiungere, loStatosenzaaggettivi.

LucianoGallino

L’autore

Robert Castel, sociologo estorico, è direttore diricercaall’Écoledeshautesétudesensciencessociales.

Tra le sue operericordiamoMétamorphosesde la question sociale(1995) e, con ClaudineHaroche, Propriété privée,propriété sociale, propriétéde soi (2000). Per Einaudiha pubblicato Lopsicanalismo. Psicanalisi epotere(1975).

Dello stessoautore

Lopsicanalismo.Psicanalisiepotere

TitolooriginaleL’insécuritésociale.Qu’est-cequ’êtreprotégé?

©ÉditionsduSeuil-LaRépubliquedesIdées,ottobre

2003©2004e2011GiulioEinaudi

editores.p.a.,TorinoIncopertina:fotoJeffreyCoolidge/TheImageBank/GettyImages.

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EbookISBN9788858419793