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Sergio BINI - L’attualità della «Regula Benedicti» per valorizzare le persone nelle comunità organizzate articolo in corso di pubblicazione sulla Rivista «LE NUOVE FRONTIERE DELLA SCUOLA» [ISSN 281-9681] (01 03 2017) 1 L’attualità della lezione della «Regula Benedicti» per valorizzare le persone nelle comunità organizzate di Sergio BINI 1. premesse Cinquantatré anni fa, in occasione della riconsacrazione della venerabile e materna Abbazia di Montecassino (rasa al suolo nel 1944, dopo massicci e devastanti bombar- damenti “alleati”, in occasione dell’ultimo conflitto mondiale 1 ), il Pontefice Paolo VI, con la Lettera Apostolica Pacis Nuntiusil 24 ottobre 1964 proclamò San Benedetto Abate 2 “patrono principale dell’intera Europa” sottolineandone la figura come: «mes- saggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san Benedetto Abate (…) Principalmente lui e i suoi figli portaro- no con la croce, con il libro e con l’aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia. Con la croce, cioè con la legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordi- namenti della vita pubblica e privata. Egli insegnò all’umanità il primato del culto divino per mezzo della preghiera liturgica e rituale. Con il libro, ossia con la cultura, san Benedetto (e tutte le successive generazioni di monaci) salvò con provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimo- nio umanistico stava disperdendosi, la tradizione classica degli antichi, trasmet- tendola intatta ai posteri e restaurando il culto del sapere. Con l’aratro, infine, con la coltivazione dei campi e con altre iniziative analoghe che riuscì a trasformare terre deserte e inselvatichite in campi fertilissimi e in graziosi giardini; e unendo la preghiera al lavoro materiale, secondo il suo famo- so motto “ora [lege] et labora”, nobilitò ed elevò la fatica umana ()». 3 1 Anche in questa occasione, risulta indispensabile ricordare nitidamente che il 15 febbraio 1944 l’Abbazia di Montecassino venne trasformata in un bersaglio per un gigantesco, devastante e sacrilego bombardamento da parte degli “alleati”; le fonti riportano che questa operazione militare fu fortemente voluta dal generale neo- zelandese Bernard FREYBERG e autorizzata dal Maresciallo inglese Harold ALEXANDER. 776 aerei dell’Air Force scaricarono disinvoltamente sul Sacro Tempio ben 1.270 tonnellate di bombe che, però, non riuscirono a cancellare questa eterna opera di san Benedetto da Norcia che costituisce da sempre uno dei principali simboli della cultura occidentale cristiana. 2 San Benedetto nasce a Norcia (Umbria) attorno al 480; dopo una breve permanenza a Roma per seguire gli studi letterari e giuridici, si ritira in una grotta a Subiaco; abbraccia la vita monastica e crea delle comunità religiose basandosi sulle regole tratte dalle Sacre Scritture. Dopo aver fondato 12 monasteri a Subiaco, con un gruppo di monaci si reca a Montecassino e fonda l’imponente Monastero nel 529, inteso come opera del Signore ed una «Dominici Schola servitii». A partire dal 530 circa mette mano alla redazione della immorta- le Regula Benedicti. Vive a Montecassino sino alla morte che sarebbe avvenuta secondo le ricostruzioni il 21 marzo 547; cioè il primo giorno di primavera. 3 PAOLO VI, Lettera Apostolica PACIS NUNTIUS, (San Benedetto Abate viene proclamato Patrono Princi- pale dell’intera Europa – a perpetua memoria ), 24 ottobre 1964; web: w2.vatican.va/content/paul- vi/it/apost_letters.documents.

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Sergio BINI - L’attualità della «Regula Benedicti» per valorizzare le persone nelle comunità organizzate articolo in corso di pubblicazione sulla Rivista «LE NUOVE FRONTIERE DELLA SCUOLA» [ISSN 281-9681] (01 03 2017)

1

L’attualità della lezione della «Regula Benedicti» per valorizzare le persone nelle comunità organizzate di Sergio BINI

1. premesse Cinquantatré anni fa, in occasione della riconsacrazione della venerabile e materna

Abbazia di Montecassino (rasa al suolo nel 1944, dopo massicci e devastanti bombar-

damenti “alleati”, in occasione dell’ultimo conflitto mondiale1), il Pontefice Paolo VI,

con la Lettera Apostolica “Pacis Nuntius” il 24 ottobre 1964 proclamò San Benedetto

Abate2 “patrono principale dell’intera Europa” sottolineandone la figura come: «mes-

saggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della

religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli

della esaltazione di san Benedetto Abate (…) Principalmente lui e i suoi figli portaro-

no con la croce, con il libro e con l’aratro il progresso cristiano alle popolazioni

sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia.

Con la croce, cioè con la legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordi-

namenti della vita pubblica e privata. Egli insegnò all’umanità il primato del culto

divino per mezzo della preghiera liturgica e rituale.

Con il libro, ossia con la cultura, san Benedetto (e tutte le successive generazioni

di monaci) salvò con provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimo-

nio umanistico stava disperdendosi, la tradizione classica degli antichi, trasmet-

tendola intatta ai posteri e restaurando il culto del sapere.

Con l’aratro, infine, con la coltivazione dei campi e con altre iniziative analoghe

che riuscì a trasformare terre deserte e inselvatichite in campi fertilissimi e in

graziosi giardini; e unendo la preghiera al lavoro materiale, secondo il suo famo-

so motto “ora [lege] et labora”, nobilitò ed elevò la fatica umana (…)».3

1 Anche in questa occasione, risulta indispensabile ricordare nitidamente che il 15 febbraio 1944 l’Abbazia di

Montecassino venne trasformata in un bersaglio per un gigantesco, devastante e sacrilego bombardamento da

parte degli “alleati”; le fonti riportano che questa operazione militare fu fortemente voluta dal generale neo-

zelandese Bernard FREYBERG e autorizzata dal Maresciallo inglese Harold ALEXANDER. 776 aerei

dell’Air Force scaricarono disinvoltamente sul Sacro Tempio ben 1.270 tonnellate di bombe che, però, non

riuscirono a cancellare questa eterna opera di san Benedetto da Norcia che costituisce da sempre uno dei

principali simboli della cultura occidentale cristiana. 2 San Benedetto nasce a Norcia (Umbria) attorno al 480; dopo una breve permanenza a Roma per seguire gli

studi letterari e giuridici, si ritira in una grotta a Subiaco; abbraccia la vita monastica e crea delle comunità

religiose basandosi sulle regole tratte dalle Sacre Scritture. Dopo aver fondato 12 monasteri a Subiaco, con

un gruppo di monaci si reca a Montecassino e fonda l’imponente Monastero nel 529, inteso come opera del

Signore ed una «Dominici Schola servitii». A partire dal 530 circa mette mano alla redazione della immorta-

le Regula Benedicti. Vive a Montecassino sino alla morte che sarebbe avvenuta secondo le ricostruzioni il 21

marzo 547; cioè il primo giorno di primavera. 3 PAOLO VI, Lettera Apostolica PACIS NUNTIUS, (San Benedetto Abate viene proclamato Patrono Princi-

pale dell’intera Europa – a perpetua memoria –), 24 ottobre 1964; web: w2.vatican.va/content/paul-

vi/it/apost_letters.documents.

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In occasione del grande giubileo di san Benedetto, anche il Pontefice Giovanni Paolo

II volle ricordare la portata lungimirante della Lettera Apostolica di Paolo VI sottoli-

neando, in particolare, che: «san Benedetto da Norcia è divenuto patrono spirituale

dell’Europa perché, come il profeta, egli ha fatto del Vangelo il suo nutrimento, e ne

ha gustato in una volta la dolcezza e l’amarezza. Il Vangelo costituisce infatti la tota-

lità della verità sull’uomo: è insieme la gioiosa novella e nello stesso tempo la parole

della croce».

La perenne attualità della lezione lasciataci dal grande Santo di Norcia nelle bellissime

pagine della sua Regula Benedicti [RB] deriva, quindi, proprio dalla circostanza che il

Patrono d’Europa «non era un sognatore, ma un umile realista», che aveva la sensibi-

lità e la capacità di vedere in prospettiva, vivendo quotidianamente ed in prima perso-

na la “parola di Dio”. La freschezza e la contemporaneità della Regula Benedicti e

della lezione benedettina emergono da una nutrita serie di segnali, di evidenze e di

coincidenze; a partire dalla situazione caotica che la società sta vivendo che, per molti

versi, risulta confrontabile con quella dell’epoca di san Benedetto: il progressivo sgre-

tolamento dell’Impero Romano che lo ha inesorabilmente condotto al “crollo”.

La stessa decisione presa dal Cardinale Joseph Ratzinger di scegliere il “nome” di Be-

nedetto (XVI) per svolgere il proprio ministero come successore di san Pietro sembre-

rebbe molto di più di una semplice coincidenza. Di conseguenza, la formidabile Enci-

clica «Caritas in veritate» potrebbe essere considerata come una sorta di “Regola be-

nedettina del terzo millennio”.4 In tale linea, Benedetto XVI già in occasione dell'u-

dienza generale del 9 aprile 2008, illustrando la grande figura del padre del monache-

simo occidentale, volle sottolineare che: «in contrasto con una autorealizzazione facile

ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l'impegno primo e irrinunciabile del discepolo di

san Benedetto è la sincera ricerca di Dio sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbe-

diente, all'amore del quale egli non deve anteporre alcunché e proprio così, nel servi-

zio dell'altro, diventa uomo del servizio e della pace. (...) in questo modo l'uomo di-

venta sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come crea-

tura ad immagine e somiglianza di Dio».

Dalla lettura data dal Pontefice-teologo Benedetto XVI potremmo sintetizzare che il

messaggio spirituale consegnato dal Santo di Norcia alla Chiesa sia focalizzato fon-

damentalmente attorno ai seguenti principali elementi centrali:

la perenne ricerca di Dio: la Regola ricorda di «cercare veramente Dio» [RB,

capitolo LVIII] nella sollecitudine alla preghiera, nell’obbedienza e

nell’accettazione delle contrarietà. San Benedetto traccia con energia l'invito a

cercare Dio con assiduità, a permettere che Dio sia la presenza che orienta la vita

dell'uomo, perché senza questa presenza l'uomo perde inesorabilmente il senso

profondo della vita e dimentica il proprio autentico e unico valore di creatura ama-

ta da Dio in Cristo. Senza l'orientamento a Dio, l'uomo, inevitabilmente, trasforma

se stesso in idolo, perdendo la libertà proprio quando si illude di conquistarla con

le proprie forze, anziché accoglierla come dono del Creatore.

4 BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica CARITAS IN VERITATE, Libreria Editrice Vaticana, 29.06.2009

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L’amore di Cristo: la Regola ricorda che «non si deve anteporre nulla all'amore

di Cristo» [RB, capitoli IV e LXXII]. I figli di san Benedetto devono realizzare

concretamente questo invito, nel vedere e amare Cristo nel proprio abate [RB, ca-

pitoli II e LXIII], negli infermi [RB, capitolo XXXVI], negli ospiti (che avrebbero

potuto trovare ospitalità solo dopo aver pregato insieme ed aver “condiviso” con i

monaci i principi della Regula Benedicti) [RB, capitolo LIII]5, nei poveri e nei pel-

legrini [RB, capitolo LIII]. Il comandamento dell'amore verso Dio e verso il pros-

simo (in cui si deve riconoscere Cristo), allora, diventa la sintesi intramontabile

della concreta e corretta azione evangelizzatrice del messaggio benedettino.

L’attenzione paterna per le persone; che sono sempre «pietre vive» [1Pt 2, 4],

anche se «scartate dai costruttori». San Benedetto fa suo il messaggio di Gesù ri-

portato nei Vangeli; nelle parabole quando parla delle persone fa sempre l’esempio

delle “pietre” e mai dei “mattoni” (che pure esistevano all’epoca). Le “pietre” , in-

fatti, sono tutte una diversa dalle altre e, quindi, non solo intercambiabili; per co-

struire la comunità diviene indispensabile lavorare affinché ciascun elemento si

giustapponga all’altro seguendo il modello dell’opus incertum. L’uomo di ogni

epoca ha sempre avuto bisogno di un armonioso ordine quotidiano, di un intenso

clima familiare da attuare anche nell’ordine politico, sociale e giuridico, perché la

vita di ogni singola persona e di ogni piccola comunità si riflette poi nella vita di

un popolo e, quindi, di un intero continente. Anche l’uomo del terzo millennio a-

vrebbe bisogno del silenzio, della stabilità e dell’armonia. Per sopravvivere spiri-

tualmente dovrebbe ordinare lo spazio ed il tempo in cui vive e dovrebbe sottopor-

re l’attività culturale e politica a verità fondamentali, quali il rispetto di ogni per-

sona ed il valore del lavoro umano. 6

Léo Moulin – l’importante sociologo e scrittore belga del secolo scorso [1906 – 1996]

appassionato studioso della Regola Benedettina – ricordava che: «la prima questione

che si poneva era quella del posto della nuova fondazione [del Monastero]: perché i

monaci andavano a spendersi in luoghi così lontani, inospitali, spesso in condizioni

climatiche che ponevano dei problemi tremendi? Essi cercavano anzitutto la solitudi-

ne, lontano dalla corruzione e dal frastuono della città. Ancora, essi dovevano trovare

i mezzi per sopravvivere. Per questo essi dovevano avere delle terre, dei pascoli,

dell’acqua e una foresta. Delle terre rese coltivabili tramite prosciugamento e irriga-

zione, dissodamento, bonifica. Pascoli per gli animali, acqua per la cucina, la pulizia

dei locali e specialmente dei necessaria (servizi igienici), la cura del corpo,

l’irrigazione dei giardini, i vivai, la fabbricazione della birra, i mulini, che all’epoca

rappresentavano uno dei punti avanzanti della tecnologia e il cui impiego era allora

5 Sergio BINI, Alla riscoperta della Regola Benedettina – L’«OSPITALITA’ BENEDETTINA»: STRU-

MENTO PER L’EVANGELIZZAZIONE MISERICORDIOSA, in “NURSINI”, Notiziario

dell’Arciconfraternita e della Chiesa dei Santi Benedetto e Scolastica all’Argentina, Roma; n. 1 - gennaioa-

prile 2016 [pp. 12 – 15]. 6 Sergio BINI, La «Regola Benedettina»: uno strumento sempre attuale per una gestione efficace delle or-

ganizzazioni, in “L’Amministrazione ferroviaria”, CAFI, Roma, n. 1 - gennaio 2012 [pp. 23 – 42];

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molteplice. (…) il loro lavoro secolare ha profondamente umanizzato il paesaggio. La

bellezza è in buona parte opera degli uomini».7

2. Ma cosa è la «Regula Benedicti»? Quindici secoli fa, quindi, il giovane monaco italiano Benedetto da Norcia pose le basi

per organizzare un particolare “sistema” monastico-cenobitico che nel tempo ha con-

sentito il consolidamento di linee metodologiche che hanno supportato la costruzione

ed il governo del modello di sviluppo della civiltà e della cultura occidentale.

Questo silenzioso, continuo e straordinario lavoro ha avuto il suo fondamento sulla

Regola Benedettina, il piccolo e prezioso libro da lui scritto ed universalmente noto

come Regula Benedicti. Il grande Léo Moulin in ogni sede enfatizzava che: «i monaci

sono all’origine, inconsapevole ed involontaria, di un movimento economico e sociale

così profondo, così diverso e vasto che l’evoluzione del Medio Evo sarebbe difficil-

mente spiegabile senza la loro presenza e la loro azione. In questo senso, San Bene-

detto e con lui i benedettini sono i “padri dell’Europa” nel senso pieno del termine,

sia da un punto di vista storico che sociologico …».8

Quest’azione silenziosa e costante è figlia della puntuale adozione dei precetti conte-

nuti nelle preziose pagine della Regula Benedicti.

Ausculta, humilitas, humanitas, discretio, stabilitas, «ora, studia et labora», sono al-

cune tra le più importanti parole-chiave sulle quali poggia il paradigma della

leadership benedettina ed il modello cenobitico delle comunità organizzate basate sui

principi della Regula Benedicti; questo testo è da circa quindici secoli permanente-

mente attuale per la gestione efficace e sostenibile delle organizzazioni.

La Regula Benedicti può essere considerata la “madre” dei Sistemi di Gestione per la

Qualità9, della Qualità Totale (il Total Quality Management) e dei moderni modelli in-

ternazionali di gestione delle organizzazioni per l’Eccellenza sostenibile.

Anche se san Benedetto definisce la sua Regula Benedicti solo «una piccolissima Re-

gola per principianti … con la quale risulta possibile raggiungere finalmente le più al-

te vette di dottrina e di virtù» [RB, capitolo LXXIII], sono moltissime le “lezioni” in

essa contenute che si ritrovano sia nei modelli di gestione per la Qualità più avanzati

sia nelle migliori organizzazioni; la Regula Benedicti, quindi, costituisce una guida di

sapienza perennemente per l’uomo di sempre utile per poter:

comprendere meglio sia la persona (come entità e come singolo), che il gruppo;

costruire un processo virtuoso nel gruppo, cioè un miglioramento continuo dei sin-

goli, della comunità, dell’organizzazione e di tutte le attività svolte.

Di seguito si desiderano illustrare alcuni degli aspetti ritenuti più salienti della Regula

Bendicti che è possibile rintracciare anche nei modelli più avanzati per i sistemi di ge-

7 Léo MOULIN, La vita quotidiana secondo San Benedetto, Jaka Book, Milano, 1980 [pp. 15 e ss] 8 Léo MOULIN, op. cit. [p. 59] 9 i “requisiti” dei Sistemi di Gestione per la Qualità sono stati fissati internazionalmente solo a partire dal 1987

con gli standard ISO della serie 9000.

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stione per la Qualità della letteratura tecnica e dell’esperienza delle migliori organiz-

zazioni:

- la “leadership umile”, basata sui concetti cristiani dell’umiltà e dell’attenzione alla

persona intesa con patrimonio da valorizzare [la «pietra scartata dai costruttori di-

venuta la testata d’angolo della Chiesa» oppure come la «pecorella smarrita»];

- l’organizzazione, intesa prima di tutto come comunità che ascolta e che pone la per-

sona (il cliente interno e/o esterno) al centro dell’attenzione di tutti;

- il miglioramento continuo lungimirante che traguarda all’eternità, basato sul ciclo

PDCA (Plan-Do-Check-Act), sul self-assessment e sul problem solving;

- la costruzione della comunità a partire dalla selezione, dalla scelta, dalla formazio-

ne, dall’aggiornamento permanente e dalla maturazione continua delle singole per-

sone [perché «è l’organizzazione che crea la comunità»];

- come cambia il valore ed il ruolo del “lavoro” per l’uomo grazie alla Regula Bene-

dicti;

- un modello culturale per riscoprire un nuovo futuro riuscendo a gestire il tempo-

kayròs, senza farsi schiacciare dal tempo-chrònos.10

Una metodologia lungimirante (interiorizzata efficacemente da generazioni di monaci)

ha consentito di avviare ed alimentare una serie di inesorabili e formidabili circoli vir-

tuosi che hanno cambiato il corso della storia, della società, della cultura, della solida-

rietà e del concetto stesso di lavoro.

3. La Regula Benedicti è presente anche nella nostra vita quotidiana Dallo studio della Regula Benedicti (i cui concreti effetti innovativi sono percepibili

ancora oggi, a partire dalla valorizzazione del territorio con la rete di abbazie, mona-

steri, priorati, cattedrali, pievi, chiese e chiesette; massarie e grangie/grancie) emerge

che il modello “originario” di Europa costituiva una sorta di filiazione naturale del di-

segno tracciato da san Benedetto:

- concetti-base della vita delle organizzazioni: parlamento, elezioni, scrutinio, ballot-

taggio, rappresentanza, arbitrato, cooperative, fondazioni, imprese a rete, franchi-

sing, brainstorming, outosourcing, assistenza sanitaria, welfare, servizi per la terza

età, e così via;

- parole e forme: “avere voce in capitolo”, “tutti i Salmi finiscono in Gloria”,

“l’ozio è il padre dei vizi”, “dare il tempo al tempo”, “il lavoro nobilita l’uomo”,

“è l’abito che fa il monaco”, “il senso della misura”; ed anche termini nuovi co-

me: rubrica, scomunica, colazione, break-fast, biscotto, indispensabile, e così via;

- invenzioni e soluzioni tecnologiche: i vari tipi di mulino (ad acqua; a vento); bus-

sola; aratro; organizzazione tecnica dell’agricoltura, della silvicoltura,

dell’apicoltura, della pescicoltura, della frutticoltura; stampa; ferratura dei cavalli;

orologio (nato come “svegliarino”); altoforno; tecniche di costruzione delle catte-

10 Sergio BINI, Il tempo della Regula per l’«ecologia integrale», in “NURSINI”, Notiziario

dell’Arciconfraternita dei SS Benedetto e Scolastica, Roma, n. 3/settembre - dicembre 2016 [pp. 12 – 15]

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drali e dei monasteri; logistica per l’organizzazione dei cantieri; insieme con una

moltitudine di prodotti innovativi e di tante altre “cose nuove”.

La Regula di san Benedetto va, quindi, ben oltre la dimensione “religiosa”!

Da secoli costituisce una guida metodologica che mette ordine nella vita delle persone

e delle comunità (organizzazioni; aziende; imprese; reti di imprese; gruppi; e via di se-

guito). Dagli USA, Skrabec jr conferma che grazie alla Regola di san Benedetto:

«le comunità benedettine furono la dinamo economica della loro epoca. Erano centri

agricoli, di produzione e di conoscenza (…) all’inizio la loro attività fu agricola, ma

ben presto seguirono la strada (…) per raggiungere l’indipendenza economica, otte-

nendo i loro primi successi nella pesca, nella lavorazione della lana, nella macinazio-

ne del grano e nell’allevamento dei cavalli. Le comunità monastiche erano organizza-

zioni culturali nelle quali venivano promossi studi ed esperimenti nel campo della ma-

nifattura di beni. Nel XV secolo, ormai i monasteri … gestivano attività come la fab-

bricazione della birra, l’estrazione dei minerali, la molitura del grano, la produzione

del ferro e la lavorazione del vetro (...) Queste comunità “industriali” ed i loro mono-

poli controllavano l’Europa attraverso dipendenze [“masserie”] … L’efficienza orga-

nizzativa è l’eredità che esse hanno lasciato al nostro secolo, alla cui base troviamo

alcuni principi benedettini: armonia, lavoro di gruppo e stabilità».11

Ancora oggi, i principi della Regula Benedicti regolano la vita e le relazioni

all’interno delle imprese. In particolare nelle «piccole» aziende italiane che continuano

ad avere una guida “paterna” da parte del proprietario-imprenditore che entra perso-

nalmente nella gestione che va ben oltre gli orari, i riti, le attività, i ruoli, i compiti e le

responsabilità di ciascun protagonista; essa si concentra anche nei confronti dei pro-

cessi di crescita personale dei singoli. La visione metodologica è confermata dal pen-

siero di Bernardo di Chartres sintetizzato nella seguente metafora: «siamo nani sulle

spalle di giganti: la nostra ragione potrà essere tanto più potente e lungimirante,

quanto più ci saremo impadroniti del pensiero dei “giganti”, cioè dei classici: solo a

partire dalle loro altezze, da quanto essi hanno conquistato con il loro ingegno, po-

tremo lanciare uno sguardo su orizzonti più lontani» .12

Oggi vengono “raccolti” i risultati del duro lavoro di generazioni di monaci13

che han-

no operato silenziosamente per secoli per «coltivare ed avere cura del giardino (la ter-

ra) …» [Genesi 2, 15] come inutilmente Dio aveva richiesto ad Adamo ed Eva.

Per Eugène Viollet-le-Duc [1814-1879]: «la Regola di San Benedetto è forse il più

grande fatto storico, anche considerato dal solo punto di vista filosofico.

Il «coro benedettino» ha giocato il ruolo più determinante nella strutturazione delle

forme liturgiche e del gregoriano, condizionando gli sviluppi successivi della musica,

11

Q. R. SKRABEC jr, La Regola di San Benedetto per il successo negli affari, Hermes Ed., Roma, 2007 [pp.

55 – 56] 12 G. CUCCATO, San Benedetto: un uomo che desidera la vita, Marietti182 Ed., Genova-Milano, 2005 [p.

75] 13 Il “monaco” concretizza il concetto di “unità”; viene dal latino “monachus” e dal greco “monachos” (da

“monos”: «uno solo») e perché vuole realizzare l’aspirazione di essere “uno” per Dio “solo”.

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così da poter affermare con buona approssimazione di verità che senza i Benedettini,

oggi non avremmo neppure un Johann. Sebastian Bach così com’è».

4. dalla costruzione di sante comunità cenobitiche alla strutturazione di organizzazioni efficaci

Leggendo attentamente le fresche pagine della Regula Benedicti – alla luce di una

consolidata cultura gestionale e di una lunga esperienza manageriale maturate da parte

di chi scrive – si riescono a cogliere tra le righe moltissimi elementi significativi delle

teorie e delle metodiche gestionali per la Qualità, per l’innovazione e per l’eccellenza:

- eliminazione delle negatività nella vita quotidiana;

- ottimizzazione del lavoro di squadra;

- capacità di integrare nel lavoro le dimensioni materiali (tangibili) con quelle

spirituali (intangibili);

- finalizzazione - sia individuale che corale - dei comportamenti e delle azioni

della comunità monastica al raggiungimento dell’autorealizzazione (posta al

vertice della piramide dei bisogni di Maslow). La soddisfazione deve riguardare

tutte le persone che vivono ed operano all’interno di un ambito territoriale di in-

fluenza del Monastero/Abbazia; oggi la chiameremmo la “Stakeholders Sati-

sfaction”, ovvero la “soddisfazione delle parti interessate”;

- sviluppo di un’organizzazione capace di creare, con continuità incrementale,

conoscenze, competenze e innovazioni.

La Regula Benedicti da sempre sintetizzata nel motto «ora et labora» – anche se più

correttamente andrebbe utilizzata la formula «ora, lege et labora» 14

- è un progetto di

vita, un insieme di principi chiaramente più vicino al significato originario della paro-

la latina «regula»15

, o guida, piuttosto che al termine «lex» o legge.

Essa costituisce una guida che aiuta a costruire progressivamente uno stile di vita; pe-

culiarità che la rende uno strumento sempre vivo e attuale per l’uomo e le organizza-

zioni che hanno al centro realmente e concretamente la persona.

Grazie a questi insegnamenti si consegue il miglioramento continuo dei singoli, del

gruppo, della comunità e dell’insieme delle attività svolte.

La «sapienza» benedettina consente di penetrare nei significati delle cose e delle azioni

umane, di conoscere l’uomo in tutte le sue manifestazioni evidenti (parole e azioni) e

nascoste.

Le tre principali virtù della Regula Benedicti per il miglioramento sono:

14 All’epoca, la società si divideva in uno schema gerarchico che prevedeva tre “ordines”: gli uomini di pre-

ghiera (gli “oratores”); gli uomini della guerra (i “bellatores”); gli uomini del lavoro dei campi (i “labora-

tores”). I monaci era i “migliori” perché riuscivano a coniugare gli aspetti legati alla preghiera con gli aspetti

legati al lavoro che all’epoca era essenzialmente agricolo; durante la giornata il tempo era dedicato per “ora-

re” e per “laborare” (“arare, lavorare la terra” e non, semplicemente l’attuale lavorare). 15 «Regula» - oggi tradotta con il termine “regola”- nell’accezione originaria significava, invece, “indicatore

stradale”, “ringhiera”; cioè, qualcosa a cui aggrapparsi e sorreggersi nel buio o nei momenti di stanchezza.

Qualcosa che indica la strada e aiuta ad andare avanti verso una determinata (corretta) direzione, nel “deserto

della vita” quotidiana. [J. CHITTISTER osb, Fermati e ascolta il tuo cuore: vivere oggi la Regola di San

Benedetto, Effatà Ed, Cantalupa,1999; p. 13]

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Sergio BINI - L’attualità della «Regula Benedicti» per valorizzare le persone nelle comunità organizzate articolo in corso di pubblicazione sulla Rivista «LE NUOVE FRONTIERE DELLA SCUOLA» [ISSN 281-9681] (01 03 2017)

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­ l’obbedienza, cioè mettersi in ascolto in piedi (ob-audire) e pronti ad agire secondo

saggezza, conoscenza e competenza [RB, capitolo V];

­ il silenzio, che non è un vuoto mentale o assenza di proposte, ma il modo che le fa

maturare. Sobrietà e proprietà del linguaggio sono funzionali al silenzio [RB, capi-

tolo VI];

­ l’umiltà, che è un sentirsi sempre vicini alla terra (humus) – cioè prossimi ai pro-

blemi ed attenti alle realtà quotidiane – per avere sempre la percezione della fallibi-

lità e della fragilità [RB, capitolo VII].

Per la Regula Benedici «unico è il monastero, unico l’abate, unico è il legislatore.

Non vi è più dispersione …»; il voto di stabilità (stabilitas loci)16

è la madre

dell’affidabilità ed è un concetto attuale che rientra nella voce “miglioramento di in-

novazione ed apprendimento” del modello di Balanced Scorecard di Kaplan e Nor-

ton17

(modello che valutava negativamente quelle organizzazioni che registravano un

elevato turn over del personale).

Una attenzione particolare la merita l’inizio del “prologo”:

«ASCOLTA, figlio, i precetti del maestro,

PORGI attento il tuo cuore,

RICEVI di buon animo i consigli di un padre che ti vuole bene

e METTILI risolutamente in pratica,

per RITORNARE con la fatica dell’obbedienza

a Colui dal quale ti eri allontanato …». [RB, prologo]

Da una lettura attenta di queste righe, traspaiono con chiarezza le fasi plan – do –

check - act del ciclo PDCA di Deming che è alla base del miglioramento continuo18

.

Dalla Regula Bendicti, quindi, si possono estrarre quei paradigmi metodologici che

costituiscono le fondamenta comportamentali per la stabilità delle organizzazioni e

l’efficacia delle loro gestioni!

La Regula Benedicti è composta da un prologo e da 73 capitoli.

Affinché i monaci potessero consolidare la conoscenza delle regole e dei capitoli della

Regula, quotidianamente veniva letto davanti a tutta la comunità un intero “capitolo”;

i componenti dell’organizzazione comunitaria leggevano insieme cinque volte l’anno

l’intera Regula. In questo modo nessuno poteva dire di non conoscerla e di cercare a-

libi per non applicarla correttamente.

Il Prologo definisce i principi della vita stabilmente cenobitica e paragona il monaste-

ro19

ad una “scuola” all’interno della quale andava insegnata quotidianamente la

16 Dall’«Introduzione» di Attilio STENDARDI all’edizione del 1995 del libro di Gregorio Magno, Vita di San

Benedetto e la Regola, Edizione Città Nuova [p. 18]. 17 Robert S. KAPLAN e David P. NORTON, Balanced Scorecard – tradurre le strategie in azione, ISEDI, To-

rino, 2007. 18 La logica del “ciclo di Deming” per la gestione delle attività strumentali al miglioramento continuo è ampia-

mente riportata nelle norme internazionali ISO della serie 9000 relative ai «Sistemi di Gestione per la Quali-

tà». 19 Monastero deriva dal verbo greco «monàzein» (“vivere da solo”) designava il complesso di edifici che con-

sentiva ai monaci di vivere stabilmente ed autarchicamente con i frutti del proprio lavoro.

Quando con Francesco d’Assisi e Domenico, nascono gli “ordini mendicanti” (francescani e domenicani) i

frati “inventano” il Convento, che deriva dal termine latino «conventum» (“adunanza, convegno”); soluzione

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scienza della salvezza per i monaci. Il “prologo” costituisce, quindi, una sorta di

“vision” generale della vita della comunità cenobitica.

Il voto di “stabilitas” distingue i cenobiti dagli altri monaci [RB, capitolo I] perché

non servono persone svolazzanti da un lavoro all’altro e/o da un luogo all’altro e/o da

una comunità all’altra; non servono nemmeno dei “mercenari”, né persone che gradi-

scono vivere esperienze limitate nel tempo; tutti, invece, sono chiamati a pensare re-

sponsabilmente a lungo termine ed a traguardare coralmente il loro agire e la loro vita

al bene della comunità.

5. la guida autorevole ed amorevole diventa “leadership” La guida è affidata alla leadership di uomini scelti dalla comunità.

E’ il capo della comunità (l’Abate) che «deve riuscire a costruire la comunità per

mezzo dell’organizzazione» grazie a particolari doti/caratteristiche umane ed attraverso

coerenti comportamenti esemplari. E’ indispensabile che l’Abate «detesti i vizi, ma

ami i fratelli …» e nel correggere agisca con prudenza e senza eccessi, perché volendo

raschiare troppo la ruggine, non gli capiti di rompere il vaso; abbia sempre presente la

sua fragilità e si ricordi che “non si deve spezzare la canna incrinata”.

La Regula ricorda all’Abate che deve operare cercando di «essere amato più che te-

muto» [RB, capitolo LXIII]; «l’Abate si ricordi sempre di quello che è e di come viene

chiamato, e sappia che a chi fu dato molto, molto sarà richiesto. Sia inoltre consape-

vole della difficoltà e della delicatezza del compito che si è assunto di governare le a-

nime, adattandosi ai diversi temperamenti, che richiedono alcuni la dolcezza, altri il

rimprovero, alti ancora la persuasione; sappia adattarsi e conformarsi a tutti, secon-

do l’indole e l’intelligenza di ciascuno, così da non subire perdite nel gregge affidato-

gli, rallegrandosi invece per il suo incremento» [RB, capitolo II].

L’Abate si deve liberare dall’orgoglio di dirigere una comunità (spesso importante)

prestando la massima attenzione al singolo che deve essere rispettato con tutte le sue

debolezze (comportandosi sempre come il “buon pastore”). In questo modo, mentre

segue il singolo potrà conoscere meglio anche le proprie debolezze e troverà il modo

per vincerle.

Per garantire la gestione efficace della comunità, la Regula Benedicti prevede la pre-

senza di altre figure di responsabilità confrontabili con ruoli (omologhi) presenti nelle

attuali organizzazioni: Priore (direttore generale); Cellerario (direttore amministrativo

e direttore approvvigionamenti); Decani (dirigenti); Circatores (Internal auditing);

Armarius (responsabile formazione e cultura d’impresa); e così via.

L’Abate è tenuto a consultare quotidianamente i monaci per pianificare le attività e per

adottare le scelte importanti: «ogni volta che in monastero si devono trattare cose

d’importanza, l’Abate raduni tutta la comunità ed esponga egli stesso di che si tratta.

E, udito il parere dei fratelli, consideri dentro di sé la cosa, e faccia quello che gli

coerente con il modello di vita itinerante (come superamento della stabilità monastica) e l’acquisizione di ri-

sorse provenienti dall’elemosina (come superamento del principio monastico dell’autonomia della comunità,

grazie al lavoro di tutti i membri).

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sembrerà più utile. Abbiamo detto di chiamare tutti a consiglio, perché spesso il Si-

gnore ispira al più giovane il partito migliore. (…) consigliati in tutto ciò che fai e

dopo non avrai a pentirtene» [RB, capitolo III]20

.

6. la qualità di una Comunità dipende dalla qualità delle persone e dai valori contenuti nel progetto comune condiviso Con la Regula cambia il valore ed il ruolo del lavoro.

Il capitolo XLVIII dedicato al «lavoro manuale quotidiano» si apre, infatti, con

«l’ozio è nemico dell’anima: perciò i fratelli, in tempi stabiliti, devono attendere al la-

voro manuale; in altre ore, pure assegnate, alla sacra lettura» e che «sono veramente

monaci quando vivono del lavoro delle proprie mani, come hanno fatto i padri e gli

apostoli». All’interno dell’organizzazione monastica, il lavoro va eseguito bene, con

serenità, senza tristezza e, soprattutto, senza mormorazione, cioè senza recriminazio-

ni, nella gioia di lavorare a fianco degli altri monaci.21

Grazie ai monaci benedettini, il lavoro viene nobilitato e diventa un modo di pregare

Dio e di contribuire alla realizzazione della Sua gloria, mentre all’epoca il lavoro era

un’attività lasciata agli ultimi ed agli schiavi22

.

Riconoscere la dignità del lavoro (che doveva essere, comunque, di qualità) è, infatti,

tra le più grandi innovazioni introdotte da san Benedetto nella cultura europea; prima

di lui, infatti, i “non lavoratori” erano al vertice della piramide sociale.

Questa rivoluzione avviatasi nelle Abbazie si propagò estendendosi anche all’interno

delle città; il famoso motto «ora et labora» - grazie alla congiunzione “et” - esprime la

stringente reciprocità dei due termini, che costituiscono aspetti inscindibili, ognuno dei

quali finisce per dare il vero senso all’altro; entrambe le attività hanno la stessa dignità

e tutte devono ricevere la stessa dedizione.

Ogni attività prepara e conduce all’altra, e tutti vi sono impegnati, in quanto ognuno ha

il dovere di sostenere la comunità; il lavoro manuale si alterna alla preghiera e si vive

in preghiera. Non c’è una attività più importante delle altre, ma tutte sono necessarie

per edificare la “città di Dio”: «(…) il messaggio è di sorprendente attualità. Infatti

non viene messo il lavoro sopra di tutto, ma neanche si vive fuori dalla realtà e

dell’impegno sociale: San Benedetto tenta, con la sua Regola, di trovare un punto di

equilibrio tra attività e contemplazione».23

Il senso di comunità viene vissuto come una potente spinta verso la Qualità.

La comunità attribuisce grande importanza all’orgoglio del lavoro, risultato corale ot-

tenibile solo grazie all’impegno del gruppo, perché le sue radici sono più profonde: è

20 La metodologia è riconducibile al “brainstorming” messo a punto solo nel 1963 da A.F. OSBORN. 21 Léo MOULIN, La vita quotidiana secondo San Benedetto, Jaka Book, Milano, 1980 [p. 109] 22 Il “lavoro” sta tornando ad essere qualcosa di confrontabile alla situazione presente al tempo di Benedetto da

Norcia; ovviamente è una versione più moderna tra precarietà, flessibilità, mercificazione, globalizzazione,

delocalizzazioni, esternalizzazioni, ricerca della sola produttività che porta all’ingrossamento della schiera

dei “senza lavoro” e alla progressiva perdita dei diritti e della dignità. 23 L. BRUNI e A. SMERILLI, Benedetta economia: Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi nella storia

economica europea, Città Nuova Editrice, Roma, 2010 [p. 56];

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la fierezza di appartenere ad una collettività e quindi di ricercare insieme il «bene co-

mune»! E’ questo senso di dignità che porta i componenti dell’organizzazione a pro-

clamare al mondo esterno dove lavorano; la motivazione benedettina per la qualità col-

lettiva è nell’affermazione delle capacità personali, rafforzata dalla disciplina della

Regula Benedicti; la chiave della qualità benedettina è rendere lo sforzo individuale

parte integrante della comunità.

I monaci eseguivano splendide copie artistiche di libri, che richiedevano anni di lavo-

ro; il riconoscimento per quest’opera scrupolosa andava al valore complessivo

dell’attività comunitaria, quindi, al monastero.

La qualità benedettina era rivolta anche ai servizi, infatti, i concetti di ospitalità e di

assistenza fondano le loro basi su principi cristiani. Ma i viaggiatori portavano anche

idee, recavano notizie e spesso informazioni [l’attuale benchmarking].

La Regula non pretende che un lavoro venga compiuto sempre alla perfezione, ma e-

sige che gli errori vadano obbligatoriamente denunciati subito al “capo della comuni-

tà”: l’Abate. Erano previste, invece, sanzioni severe per chi non informava l’Abate ri-

portandogli gli errori che aveva commesso; infatti, «se, mentre è impegnato in un

qualsiasi lavoro in cucina, in dispensa, nel proprio servizio, nel forno, nell’orto, in

qualche attività o si trova in un altro luogo qualunque, un monaco commette uno sba-

glio, rompe o perde un oggetto o incorre comunque in una mancanza e non si presenta

subito all’abate ed alla comunità per riparare e confessare la propria colpa, sarà sot-

toposto ad una punizione più severa, quando il fatto verrà reso noto dagli altri» [RB,

capitolo XLVI]. Ma questo è proprio uno dei principi-base del just in time: il Jidohka.

La Regula Bendicti prevede anche l’entrata in gioco di “mentori” o di tutori per assi-

curare e/o rafforzare le condizioni necessarie per assicurare il corretto trasferimento

delle conoscenze occorrenti per creare l’eccellenza e l’innovazione nelle arti e nei me-

stieri. Se si leggesse questa modalità di relazione della conoscenza monastica utiliz-

zando il lessico della letteratura scientifica si dovrebbe utilizzare il concetto di «kno-

wledge management» (la gestione delle conoscenze) sviluppato da Ikujiro Nonaka24

(nel 1991) oppure il modello «Learning Organization» (una organizzazione che ap-

prende) introdotto da Peter Senge per definire quegli ambienti organizzativi che favo-

riscono la trasmissione e lo sviluppo delle conoscenze e delle esperienze accumulate.25

7. conclusioni In estrema sintesi, la vita di ciascuno di noi può essere paragonata ad un percorso nel

deserto sulle tracce dell’esperienza di Gesù.

Dom Jacques Dupont, Priore della Certosa di Serra san Bruno, ricorda che il deserto è

«un luogo senza strade e senza sentieri, senza segnaletica e senza punti di riferimento,

ma è proprio lì che Dio conduce l’uomo ed il suo popolo perché vivano forti esperien-

ze di fede, perché imparino ad affidarsi totalmente a Lui laddove non c’è nessun appi-

24 Ikujiro NONAKA, The knowledge creating company, in Harvard Business Review 69 (6): 96 – 104, 1991. 25 Peter SENGE, La Quinta disciplina, Ed. Sperling & Kupfer, Milano, 1992.

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glio umano e terrestre. Il deserto è un luogo senza vie, ma paradossalmente è attra-

verso di esso che passa l’unico cammino che deve percorrere chi cerca il Signore».

Allora c’è proprio bisogno di un Regula, cioè di una guida o di un “mancorrente spiri-

tuale”, che ci possa fornire un metodo per aiutarci a superare i momenti più difficili e a

saper distinguere i miraggi, dai veri punti di riferimento, in quanto «ci sono delle vie

che alcuni chiamano giuste e che alla fine precipitano nell’inferno» [RB, capitolo

VII]. Al riguardo, piace riportare anche le parole del monaco benedettino tedesco An-

selm Grün che dà una sua lettura della Regula Benedicti, a partire dal prologo: «è evi-

dente che il cammino spirituale di trasformazione di questo mondo secondo lo Spirito

di Gesù è frutto di duro lavoro. Secondo Benedetto la spiritualità non è un lusso per

uomini che avrebbero altrimenti già tutto. La spiritualità è piuttosto duro lavoro, fati-

ca, sincera lotta con se stessi, contrasto ai propri vecchi modelli di vita, per farsi sem-

pre più impregnare dello Spirito di Gesù … perché i problemi del mondo non sono da

compiangere, ma da risolvere! Fai quello che puoi. Costruisci intorno a te una comu-

nità che se ne faccia carico! Può essere la tua famiglia, la tua cerchia di amici, la tua

ditta, la tua parrocchia. Se, dovunque tu viva, crei una cultura di vita cristiana, sarà

tanto lievito per questo mondo»26

.

E’ questo l’impegno che ciascuno di noi dovrebbe mettere in atto quotidianamente, per

potersi comportare effettivamente da buon cristiano e per poter dare una testimonianza

esemplare alle persone che si incontrano nella vita quotidiana sempre più frettolosa e

sempre più devalorializzata da un crescente relativismo amorale, a partire dalle orga-

nizzazioni aziendali e dagli ambienti lavorativi.

Ed in questo quadro di riferimento, l’Europa del terzo millennio o sarà benedettina op-

pure sparirà come realtà spirituale e culturale, rimanendo luogo di (illusorie e consu-

mistiche) ricchezze materiali e di (concrete e zavorranti) povertà spirituali, una peniso-

la dell’Asia e/o un partner economico e militare di qualche grande potenza (di turno)27

,

o di qualche multinazionale oppure di qualche colosso della finanza.

L’AUTORE: Sergio BINI [nato a Vasto (Chieti) il 18 luglio 1953] è: ingegnere; Commendatore al merito della Repubblica;

professore a contratto di Gestione delle Risorse Umane e del Benessere Organizzativo nel CdL Magistrale in

“programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali” presso la Università LUMSA di Roma;

presidente di AICQ-CI, Associazione Italiana Cultura della Qualità centro-insulare, Roma;

appartiene alla Venerabile Arciconfraternita dei Santi Benedetto e Scolastica dei Nursini di Roma. Dal 1977 a

tutto il 2013 è stato ingegnere di Ferrovie dello Stato (prima come funzionario direttivo e dal 1986 come dirigen-

te); dal 2013 al 2016 è stato direttore responsabile della Rivista «QUALITÀ» di AICQ. [e-mail: [email protected]];

26 Anselm GRȔN, Benedetto da Norcia: la Regola per l’uomo d’oggi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo,

2006; 27 Sergio BINI, La perenne attualità della Regola Benedettina, libro dedicato a COENOBIA: il primo festival

della cultura benedettina [12 luglio 2014], www.camminodisanbenedetto.it;