la xilografia del tempio con piramide ed obelisco dell'hypnerotomachia poliphili ... · 2019. 9....
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La xilografia del tempio con piramide ed obeliscodell'Hypnerotomachia Poliphili
HypnerotomachiaPoliphili, scheda dellaxilografia n. 5
Paola TorniaiISSN 11274883 BTA Bollettino Telematico dell'Arte, 1 Ottobre 2015, n. 787http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00787.html
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POLIPHILO QUIVI NARRA, CHE GLIPARVE ANCORA DI DORMIRE, ETALTRONDE IN SOMNO RITROVARSE INUNA CONVALLE, LA QUALE NEL FINEERA SERATA DE UNA MIRABILECLAUSURA CUM UNA PORTENTOSAPYRAMIDE, DE ADMIRATIONE DIGNA,ET UNO EXCELSO OBELISCO DE SOPRA.LA QUALE CUM DILIGENTIA ET PIACERESUBTILMENTE LA CONSIDEROE.
LA SPAVENTEVOLE SILVA, ETCONSTIpato Nemore evaso, et gli primi altrilochi per el dolce somno che se havea per le fesseet prosternate membre diffuso relicti, me ritrovaidi novo in uno più delectabile sito assai più che elpraecedente. El quale non era de monti horridi, etcrepidinose rupe intorniato, né falcato di strumosiiugi. Ma compositamente de grate montagniole dinon tropo altecia. Silvose di giovani Quercioli; diRoburi, Fraxini et Carpini, et di frondosi Esculi, etIlice, et di teneri Coryli, et di Alni, et di Tilie, et diOpio, et de infructuosi Oleastri,dispositi secondol’aspecto de gli arboriferi Colli. Et giù al pianoerano grate silvule di altri silvatici arboscelli, et difloride Geniste, et di multiplice herbe verdissime,quivi vidi il Cythiso, la Carice, la communeCerinthe. La muscariata Panachia el fioritoRanunculo, et Cervicello, o vero Elaphio, et laSeratula, et di varie assai nobile, et de molti altriproficui simplici, et ignote herbe et fiori per gliprati dispensate. Tutta questa laeta regione deviridura copiosamente adornata se offeriva.Poscia poco più ultra del mediano suo, io ritrovaiuno sabuleto, o vero glareosa plagia, ma in alcunoloco dispersamente, cum alcuni cespugli deherbatura. Quivi al gli ochii mei uno iocundissimoPalmeto se appraesentò, cum le foglie di cultratomucrone ad tanta utilitate ad gli Aegyptii, del suodolcissimo fructo foecunde et abundante. Tra lequale racemose palme, et picole alcune, et moltemediocre, et l’altre drite erano et excelse, electoSigno de victoria per el resistere suo ad l’urgentepondo. Ancora et in questo loco non trovaiincola, né altro animale alcuno. Ma peregrinandosolitario tra le non densate, ma intervallate palmespectatissime, cogitando delle Rachelaide,Phaselide, et Libyade, non essere forsa a questecomparabile. Ecco che uno affamato et carnivorolupo alla parte dextra, cum la bucca piena miapparve. Per l’aspecto del quale, gli capigli meiimmediate se ariciorono, et diciò volendo cridarenon hebbi voce. Il quale desubito fugite. Et io inme allhora alquanto ritornato, levando gli ochiiinverso quella parte, ove gli nemorosi colliappariano coniugarsi. Io vedo in longo recessouna incredibile altecia in figura de una torre, overode altissima specula, appresso et una grandefabrica ancora imperfectamente apparendo, pur
QUI POLIFILO NARRA CHE GLI SEMBRÒDI DORMIRE NUOVAMENTE E DITROVARSI SEMPRE SOGNANDO IN UNAVALLE, CINTA SUL FONDO DA UNAAMMIREVOLE CHIUSURA FATTA DAUNA PORTENTOSA PIRAMIDE DEGNAD’AMMIRAZIONE E SORMONTATA DAUN ALTISSIMO OBELISCO. CON PIACEREED ATTENZIONE IL TUTTO VIENECOMPIUTAMENTE ESAMINATO.
Sfuggito all’inquietante selva e alla fitta boscaglia,abbandonati gli altri luoghi visitati in precedenza,con le membra stanche ed affaticate per il dolcesonno che vi si era diffuso, mi ritrovai di nuovo inun luogo ben più gradevole del precedente.Questo non era né cinto da monti inaccessibili, néattorniato da rupi scoscese e nemmeno solcato daimpervie giogaie. Aveva viceversa dolci colline dimodesta altitudine, coperte da mantelli di giovaniQuerce, Roveri, Frassini, Carpini, Ischi frondosi eLecci, teneri Noccioli, Ontani, Tigli, Aceri, steriliOleastri disposti secondo l’andamento deilussureggianti colli. E in basso, nella valle, vi eranogradevoli boschetti di altre essenze selvatiche, diopime ginestre, di numerose erbe verdissime, trale quali qui vidi il Citiso, la Carice, la Cerintacomune, la Panachia muscaria, il Ranuncolofiorito, il Cervicello, anche detto Elafio [affineall’Angelica, ma privo di profumo], la Serratula,e ancora altre essenze veramente pregevoli comepure vidi sempre sparse nei prati altre erbesemplici ed sconosciute. Questa florida terraabbondantemente coperta di verde si offriva agliocchi con letizia. Dopo poco, più avanti,m’imbattei una spiaggia sabbiosa e piena di ghiaia,con radi cespugli erbosi. Qui mi trovai davanti adun grazioso palmeto, dal dolcissimo frutto fecondoed abbondante e le cui foglie a forma di coltelloacuminato tanto giovano agli Egizi. Le palme, dallequali pendono i grappoli di datteri, sono modestee umili alcune, altre dritte e svettanti e, poichéresistono persino a grandi carichi, furono sceltecome vessillo di vittoria. Sempre in questo luogo,non m’imbattei né in abitanti né alcun animale.Tuttavia, camminando in solitudine tra le palmedisposte ad intervalli, distanziate l’una all’altra,ragionavo di Rachelaide, Phaselide e Libyade [di«Archelaide et Phaselide atque Liviade »argomenta Plinio seniore (Nat. Hist., XIII 44), alludendo al liquore dolce estratto dallaPalma Archelaide; il riferimento è altresìpresente in Leon Battista Alberti (De Re Aed.,II,16),nella mediazione di Teofrasto (Hist.Plant.,V, 7)], non essendoci forza comparabile aqueste. All’improvviso, da destra, mi apparve unaffamato e carnivoro lupo, con la bocca piena. Al
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opera et structura antiquaria. Ove verso questoaedificamento mirava li gratiosi monticuli dellaconvalle sempre più levarse. Gli quali cum elpraelibato aedificio coniuncti vedea. El quale eratra uno et l’altro monte conclusura, et faceva unovalliclusio. La quale cosa de intuito accortamenteexistimando dignissima, ad quella sencia indugio elgià solicitato viagio avido ridriciai. Et quanto piùche a quella poscia approximandome andava,tanto più discopriva opera ingente et magnifica, etdi mirarla multiplicantise el disio. Imperoché nonpiù apparea sublime specula, ma per aventura unoexcelso Obelisco, sopra una vasta congerie dipetre fundato. L’altitudine della quale,incomparabilmente excedeva la summitate deglicollateranei monti, quantunche fusse stato elcelebre monte arbitrava Olympo, Caucaso, etCylleno. Ad questo deserto loco pure avidamentevenuto, circunfuso de piacere inexcogitato, demirare liberamente tanta insolentia di arteaedificatoria, et immensa structura, et stupendaeminentia me quietamente affermai. Mirando etconsiderando tuto el solido et la crassitudine dequesta fragmentata et semiruta structura decandido marmo de Paro. Coaptati sencia glutinode cemento gli quadrati,et quadranguli, etaequalmente positi et locati, tanto expoliti, et tantoexquisitamente rubricati gli sui lymbi, quanto fareunque si potrebbe. In tanto che tra l’uno et l’altrolymbo, overo tra le commissure una subtileciaquantunque aculeata, del intromesso reluctataunquantulo penetrare potuto non harebbe. Quividunque tanta nobile columnatione io trovai deogni figuratione, liniamento, et materia, quanta maialcuno el potesse suspicare, parte dirupte, partead la sua locatione, et parte riservate illaese, cumgli Epistyli et cum capitelli, eximii de excogitato etde aspera celatura. Coronice, Zophori, overoPhrygii, Trabi arcuati. Di statue ingente fracture,truncate molti degli aerati et exacti membri.Scaphe, et Conche, et vasi, et de petra Numidica,et de Porphyrite, et de vario marmoro etornamento. Grandi lotorii. Aqueducti, et quasiinfiniti altri fragmenti, de scalptura nobili, decognito quali integri fusseron, totalmente privi, etquasi redacti al primo rudimento. Alla terra indi etquindi collapsi et disiecti. Sopra et tra le qualeconfragose ruine germinati erano molti silvaticivirgulti, et praecipue de Anagyro nonquassabondo, cum le teche fasselacie, et uno etl’altro Lentisco, et la Ungula ursi et Cynocephalo,et la Spatula fetida et el ruvido Smylace, et laCentaurea,et molte altre tra ruinamentigerminabonde. Et ad gli fresi muri molti Aizoi, etla pendula Cymbalaria, et senticeti de pongientevepre. Tra gli quali serpivano alcune lacertace, etancora sopra gli arbuscati muri reptavano, spessefiate in quelli deserti et silenti lochi nel primo motoad me, che tutto stava suspeso, non pocho
suo apparire mi si drizzarono i capelli sulla testa e,malgrado volessi gridare per lo spavento, rimasimuto. La fiera fuggì immediatamente. Così io,volgendomi laddove i boscosi colli sembranounirsi, ritornai pienamente in me. In lontananzascorgo allora una torre, una torre d’avvistamentodi ragguardevole altezza e di imponente aspetto,presso un grande edificio che, sebbene non siaancora completamente visibile, appare opera estruttura antiquaria. Verso questo edificio sivedevano innalzarsi sempre di più i graziosimonticelli della convalle, che apparivano uniti allapregevole fabbrica da un’intercapedine, ostruendoil passaggio tra l’uno e l’altro. Ritenendointuitivamente ciò assai interessante, lì mi diressisenza frapporre indugi, avido di sapere. E quantopiù mi andavo approssimando a quella, tanto piùla scoprivo opera imponente ed ammirevole, e nelrimirarla il desiderio si ingigantiva. Poiché nonappariva più un sublime luogo elevato, ma,viceversa, un alto obelisco collocato sopra unimponente basamento in pietra. La sua altezzasuperava senza eguali l’altezza dei monti limitrofi,anche fossero stati il celebre Olimpo, Caucaso,Cilleno. Giunto in questo luogo solitario, animatoda un piacere impensabile, sostai tranquillamentead ammirare con agio tanta audacia costruttiva euna così ammirevole monumentalità, rimirando eanalizzando l’intera solidità ed imponenza diquesto frammentario e diruto edificio in biancomarmo pario. I blocchi di marmo quadrati equadrangolari, sia levigati sia rifinitamente scalettatinei margini, posti in filari isodomi, sono collocatisenza legante di cemento che meglio non sipotrebbe, tant’è che tra i giunti, ovvero tra lecommessure, non potrebbe incunearsi alcunché disottile o acuminato. Qui dunque trovai tantepregevoli colonne di ogni forma, disegno emateriale, che di più non sarebbe statoauspicabile; in parte erano mutile, in partecollocate nel sito originario, in parte integre, congli epistili e i capitelli di elaborato disegno eraffinata fattura; cornici, rilievi zoofori, fregi, traviarcuate e statue mutile per gravi fratture, con leparti tronche. E, ancora, bacini, e conche, e vasidi marmo numidico [giallo antico], di porfirite edi altre varietà di marmi e di forme. E ancoragrandi lavatoii, acquedotti, e altri frammenti, quasiinfiniti per numero, alcuni di nobile fattura, altri deiquali invece non si può ipotizzare l’originariaforma, ridotti come sono ormai allo stato dimateriale grezzo, ora caduti a terra e dispersi.Numerosi cespugli selvatici erano germogliatisopra le incolte rovine e tra queste; eprincipalmente l’Anagiro, che agita i baccelli aforma di fagiolo, le due specie di Lentisco,l’Unghia dell’orso [Allium ursinum], il Cinocefalo[erba simile alla testa canina], la Spada fetida[Spanila fetida], lo scabro Smilace [albero
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horrore inducendo. Magni in molte parte frusti deplane retondatione, et de Ophites et dePorphyrite, et Coralitico colore, et di assai altrigrati coloramenti. Fragmentatione di variohistoriato di panglypho, et hemiglypho, diexpedita, et semiscalptura. Indicando la suaexcellentia, che sencia fallire ad gli tempi nostri, etaccusando, che de tale arte egli è sopita la suaperfectione, dunque approximatome al medianofronte della magna et praeclara opera, io vidi unointegro portale miro et conspicuo, et ad tutto loaedificio proportionato.
La quale fabrica vidi continua tra uno et l’altrodegli monti delumbati pendicei intersita, chepoteva arbitrariamente coniecturare essere la suadimensione di passi vinti, et stadii sei. Loallamento de’ quali monti aequato eraperpendicularmente dalla cima giù fina all’area.Per la quale cosa io sopra di me steticogitabondo, cum quali ferrei instrumenti, et cumquanto trito di mane di homini, et numerositate,tale et tanto artificio violentemente conducto cusìfusse sencia fide laborioso, et de grandecontritione de tempo. Quivi dunque cum l’uno etl’altro monte questa admiranda structura, cumconscia haesione se coniungeva. Per la qualeconiunctione come sopra dicto è la valle eramunita de conclusione, che niuno valeva d’indiuscire, overo indrieto ritornare, o intrare perquesta patula porta. Hora sopra de questa tantoingente opera di fabricatura, che de altitudineaequalmente dalle supreme corone al pedamentoet Areobate coniecturare facilmente se potevaessere uno quinto de stadio, era fundata unaadamantineamente fastigiata et portentosissimaPyramide, di qué ragionevolmente iudicai, chenon sencia inaestimabile impensa, tempo, etmaxima multitudine de mortali, se havesse unquepotuto excogitare et ridriciare tale incredibileartificio. Onde si io el suo excesso, oltra elcredere, inopinabile cosa meritamente de essaessere el speculare arbitrava, la quale imperochémirando non mediocremente la potentia visivaaffatichava, et gli altri spirituali sensi attenuando,quanto più affare? Per tanto a ciò che in alcunaparte, quanto ad me se praestarà el capto del miointellecto, per questo modo ad hora iobrevemente el descrivo. Ciascuna facia dillaquadratura della meta, sotta all’initio dellagradatione de questa admiranda Pyramide,sopralocata al praefato aedificamento, inextensione longitudinale, era stadii sei. Multiplicatiper quatro in ambito, la dicta nel pedamentoaequilatero occupava comprehendendo, quatro etvinti stadii. In altitudine daposcia da qualunqueangulo levando le linee, cum mensura, quanto laima linea è del plintho, tutte quatro al summomediano inseme conveniente concurrendo la
ghiandifero], la Centuarea, e molte altre essenzegerminate tra le rovine. E tra le fenditure dei muriattecchiscono molte Aizoaceae, il rampicanteciombolino comune [Cymbalaria muralis] rovetidi ciliegio selvatico [prunus]; tra questistrisciavano alcuni ramarri e si arrampicavanoanche sui muri infestati dalle piante, provocandomia più riprese, in quei luoghi solitari e silenzioso,dove tutto era sospeso, non poco orrore.Ovunque giacevano grandi pezzi circolari di Ofite[pietra serpentina verde], di Porfirite,e di colorcoralitico [marmo palombino]e di altre gradevolicromie, frammenti variamente istoriati, rifiniti conpanglifi ed emiglifi, raffinatamente decorati osemilavorati, così mostrando senza tema ai nostritempi la sua eccellenza, a conferma che di tantamaestria oggi si è persa la perfezione. Dunque, nelmentre mi avvicinavo al centro di una cosìimponente e ammirevole opera, io scorsi unimponente e mirabile portale ben conservato emesso in proporzione rispetto all’intero edificio,che era una costruzione unitaria, posta tra i fianchidei monti e si poteva ipotizzare che le sue misurefossero di venti passi e sei stadii. L’altezza deimonti era ugualmente e perfettamenteperpendicolare per entrambi dalla cima fino alsuolo. Ammirando ciò mi domandai con qualiattrezzi in ferro, con quanto lavoro dimanovalanza, con quale numero di operai fossestata mai realizzata una così imponente operaideata con indubbia forza e quanto tempo avesserichiesto la sua ultimazione. In questo punto,dunque, tale ammirevole fabbrica si congiungevaall’uno e all’altro monte con uno studiatoaccorgimento, che sembrava chiudere la valleall’orizzonte, al punto che nessuno avrebbetrovato via d’uscita o sarebbe potuto tornareindietro o andare avanti attraverso questa portaaperta. Al di sopra di tale imponente operaarchitettonica, che per altezza dalla cima, osommità, al pavimento si poteva ipotizzare confacilità misurasse un quinto di stadio, era collocatauna grandiosa Piramide, coronata da un fastigioadamantino; conclusi, ovviamente, che una talecostruzione così inusitata non potesse essere stataprogettata e realizzata se non grazie ad un’ingentespesa, nonché al notevole impiego dimanodopera. Di conseguenza, davanti alla suastraordinarietà che superava ogni limite, ritenevoche la si potesse soltanto ammirare, benchél’ammirazione avrebbe affaticato la vista e fiaccatogli altri sensi spirituali. Che altro dire di più ?Benché soltanto in parte, per quanto potràcomprendere il mio intelletto, così brevemente orami accingo a descriverla. Ciascun lato dellozoccolo quadrangolare sul quale poggia lascalinata che conduce all’ammirevole Piramide,posta all’apice di tale costruzione, misura inlunghezza sei stadii, che moltiplicati per ognuno dei
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figura Pyramydale perfecta constituivano. Ilperpendicolo mediano sopra el centro deglidyagonii del Plyntho incruciati, delle sei partitioneuna meno constava delle ascendente linee.
La quale immensa et terribile Pyramide cummiranda et exquisita Symmetria gradatamenteAdamantale salendo, continiva dece, et quatrocento et mille gradi, overo scalini decrustati.Dempti gradi dece opportuni ad terminare elgracilamento.
Nel loco di quali era apposito et suffecto unostupendo Cubo solido et fermo, et dellacrassitudine monstruoso, offerentise senciacredito di subvectura in quella summitatedeputato. De quella medesima petra Paria, cheerano le gradatione. El dicto quadrato fue perbasa et substentaculo supposto dell’obelisco, chese hae da dire. Questo ingentissimo saxo, che talenon fue chermadio levato da Titide, havea unoprolapso in ambito, de sei parte, due in descenso,et una nella cacuminata planicie, ristava nelsupremo plano lato per diametro passi quatro.Nella coaequatura del quale, eminevano quatropedi de Harpyia de metallo cum gli pilaci etbranchie ungiute fusile,nella maxima petra versogli anguli, sopra le linee dyagonie, infixi etfermamente implumbati. De crassitudineproportionata, et de altecia di dui passi. Le qualeinseme bellissime innodantise, ambiendo ligavanolo infimo Socco di uno grande Obelisco. Conflatiin mirabile folgiature, et fructi, et fiori diconveniente granditate. Sopra gli quali premeva loObelisco firmissime supraposito. La latitudine delquale de passi bini, et sette, tanto in altecia,artificiosamente acuentise, de petra PyropecilaThebaicha. Nelle facie del quale eranoHieroglyphi aegyptici egregiamente insculpti, lisso,et quale speculo illustramente terso.
Nel supremo fastigio dil quale, summa cumdiligentia et arte sopraposito resideva una stabilitabasa di auricalco. Inella quale ancora era unaversatile machina, overo uno petaso, in unostabile perone, overo pollo superinfixa. El qualeretinia una imagine de Nympha elegante operadella recitata materia. Da convertire in stupore chiacuratissimo, et cum obstinato intuito laconsiderava. Cum tale et cusì fata proportione,che la se concedeva alla communa statura nel aireperfectamente giù di vedere et più oltra lamagnitudine di essa statua era mirabile cosaconsiderare, cum quanta temeritate, in tantacelsitudine subvecta, immo nel aire cusì factaopera fusse reportata, cum el vestito volitante,parte delle polpose sure manifestantisediscoperte. Et due alle aperte al suo interscapilioerano appacte, acto monstrante de volato. La cui
quattro lati dello zoccolo equilatero ammonta aventiquattro stadii. Tirando poi le linee dai quattroangoli in altezza, tanto quanto ogni angolo dista inlunghezza dall’altro, tutte e quattro le suddettelinee incontrandosi al vertice costituivano unaperfetta figura piramidale. La parte di lineaperpendicolare mediana si sopraelevava dal puntodi incontro delle diagonali del plinto e in essaconfluivano le cinque direttrici ascendenti. Lamaestosa e imponente Piramide ,pari al diamante,con ammirevole e raffinata simmetria si ergeva congradualità, attraverso 1410 gradini, scalini ormaiprivi di rivestimento. Gli ultimi dieci gradini sirestringevano adattandosi all’assottigliarsi dellastruttura. Su questi era poggiato e fissato unmeraviglioso Cubo dello stesso marmo Pario deigradini, compatto, stabile e straordinario per mole,il che rendeva inspiegabile come fosse statopossibile collocarlo a quell’altezza. Io devo oradescrivere il già citato zoccolo quadrato e la baseculla quale si imposta l’obelisco.
Questo smisurato blocco, che simile non futagliato e asportato da Diomede figlio di Tideo,presentava in basso una delle sei facce, dueall’esterno e un’altra sul lato sommitale, coprendola parte superiore con un diametro di quattropiedi. Agli angoli della stessa spiccavano quattrozampe di Arpia con le piume e gli artigli ungulatifusi in metallo, infisse e saldamente piombate agliestremi del monumentale blocco, sopra il punto diconfluenza delle diagonali; la loro grandezza eraproporzionata e misurava in altezza due passi. Lequattro zampe di Arpia di raffinata fattura siunivano, coronando la parte finale con unmonumentale Obelisco. Fiori e frutta di acconciagrandezza vi erano forgiati con ammirevolelavorazione; al di sopra insisteva l’Obeliscosaldamente sovrapposto. La sua ampiezza era didue passi e tanto ragguardevole l’altezza di settepassi; era intagliato con perizia in Granito rosso diTebe [pietra tebaica] e sulla sua superficielevigata e brillante come uno specchio assailuminoso erano incisi con maestria Geroglifici egizi.
Sulla punta dell’Obelisco con grande arte e periziaera stata collocata una base di oricalco [ramedella montagna, ovvero lega di rame e zinco],sopra la quale era posto un duttile marchingegno,vale a dire una cupoletta fissata ad un saldocavicchio, ovvero bloccata dal cardine, chesosteneva la statua di una fanciulla, una raffinatascultura del già citato materiale, tale da suscitaremeraviglia in quanti attentissimi la rimirassero consguardo insistito, poiché le proporzioni erano taliche sembrava fosse dell’altezza di una personanormale, sebbene vista tanto dal basso. E più dellagrandezza monumentale della statua era degno diammirazione immaginare quanta audacia avesse
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bellissima facia et propitio aspecto verso le aleconverso. Haveva poscia et sopra el comosofronte le trece libere volante, et la parte dellaCalva coppa, overo Cranea nudata et quasidepilata. Le quale come protense erano verso alvolare. Nella dextera mano ad lo obiecto del suoguardare, de omni bene stipata teniva unaartificiosa copia, alla terra inversa. Et l’altra manoposcia sopra dil suo nudato pecto stricta etinserata teniva. Questa statua dunque adqualunque aura flante, facile gyravasi.
Cum tale fremito dil trito dilla vacua machinametallina, che tale nunquam dal romano aerario seudite. Et ove il figmento posava cum pedi sopra lasubiecta arula fricantise, che cusì facto tinnito nonrisonava il Tintinabulo alle magnifiche Therme diHadriano. Né quello dille cinque Pyramide soprail quadrato stante. Il quale altissimo Obeliscominima fede ancora ad me non si lassa havere,che un altro conformitate monstrasse, nésimilitudine. Non già il Vaticanio. Non ilAlexandrino. Non gli Babylonici. Teniva in sétanta cumulatione di miraveglia, che io di stuporeinsensato stava alla sua consideratione. Et ultramolto più la immensitate dill’opera, et lo excessodilla subtigliecia dil opulente et acutissimoingiegnio, et dilla magna cura, et exquisitadiligentia dil Architecto. Cum quale temerariodunque invento di arte? Cum quale virtute ethumane forcie, et ordine, et incredibile impensa,cum coelestae aemulatione tanto nell’aire talepondo suggesto riportare? Cum quale Ergate, etcum quale orbiculate Troclee, et cum qualeCapre, o Polispasio, et altre tractorie Machine, ettramate Armature? Faci silentio quivi omni altraincredibile et maxima structura.
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Ritorniamo dunque alla vastissima Pyramide,sotto la quale uno ingente et solido Plintho, overolatastro, overo quadrato supposito iacea, diquatordeci passi la sua altitudine, et nellaextensione, overo longitudine stadii sei. Il qualefaceva il pedamento del infimo grado dilla molosaPyramide. Et questo solertemente arbitrava, ched’altronde non fusse quivi conducto. Ma dilmedesimo monte exscalpto, da humane fatiche adquella figura et Schema, et in tanta mole redactonel proprio loco. Il residuo degli gradi, di frustiera compositamente facto. Il quale immensoquadrato cum le collaterale montagne dil convalle,non se adheriva. Ma intercapedo et separato era
permesso di trasportare una sì fatta opera a talealtitudine e di collocarla tanto in cima, con le vestimosse dal vento, con parte delle tornite membrascoperte e con le due ali aperte applicate tra lescapole, in atto di spiccare il volo. Il bellissimoviso e il florido corpo volgevano verso le ali.Sopra la fronte chiomata aveva le trecce mossedal vento, protese in avanti, mentre una parte dellatesta era calva, presentando il cranio nudo e quasidepilato. Nella sua mano destra recava una benlavorata cornucopia, volta verso la terra e ricca diogni bene, mentre teneva l’altra mano chiusa eserrata sopra il seno nudo.
Dunque questa statua si muoveva con agio ad ognirefolo di vento; allora dallo strofinio dell’aereamacchina in metallo si udiva un tintinnio che non sene percepì mai simile nemmeno nell’Erarioromano. E quando la statua si posava con i piedisopra la sottostante base sottoposta a frizione, diun simile tintinnio non risuonava nemmeno ilTintinnabulo delle magnifiche Terme di Adriano néquello delle cinque Piramidi sopra il quadrato.Questo altissimo Obelisco a mio giudizio era taleche nessun altro potesse essergli paragonato, ma,eventualmente, stimato inferiore; non già ilVaticano, non l’Alessandrino, né gli Obelischibabilonesi. Suscitava tale e tanta meraviglia, che iola rimiravo inebetito di stupore ancor di più per lagrandezza dell’opera, per la straordinaria abilitàdella sontuosa e raffinatissima invenzione, nonchédella notevole accuratezza e della ricercatadiligenza dell’Architetto.
Dunque con quale audace progetto è statarealizzata? Con quale virtù, con quali forze umane,con quanta inestimabile spesa, con qualeemulazione degli dei è stato portato questopesante basamento verso l’alto? Con quali argani,e con quali tondeggianti carrucole, con qualisostegni, o gru, o altri macchinari da trazione orinforzate centine? Rimango in silenzio davanti atale inaudita e grandiosa struttura rispetto ad ognialtra.
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Torniamo dunque all’imponente Piramide, sotto laquale era un imponente e stabile Plinto, osostruzione, o base quadrata, alto quattordici piedie largo sei stadii, sul quale insisteva la parte piùbassa della maestosa Piramide; anche di questosubito mi chiesi come fosse stato condotto lì edestratto dallo stesso monte, con laboriositàsecondo lo stesso disegno e progetto e nella suaingente mole collocato al punto giusto. I rimanentigradini erano composti da frammenti. Questoimmenso quadrato non si univa alle montagnevicine, ma dall’uno e dall’altro monte distava dieci
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dal uno et l’altro lato dece passi, dalla dexteraparte, al mio andare, del praefato Plintho, nelmediano del quale temeramente el vipereo capodella spaventevola Medusa, era perfectamentecoelato, in demonstratione furiale vociferante etringibondo. Cum gli ochii terrifichi, incavernatisotta gli suppressi cilii, et cum la fronte rugata, etla bucca hiante patora. La quale excavata cumuno recto calle cum el summo involtato fina alcentro penetrando, overo fin alla mediana lineaperpendiculare centricale del supremo Catillodella ostentifera Pyramide, faceva amplissimoingresso et adito. Alla quale apertura de bucca,per gli sui involuti capigli se ascendeva, cuminexcogitabile subtilitate dello intellecto, et arte, etimpenso cogitato dell’artifice expressi. Cum sìfacta regula et riductione, che alla patente buccagli gradi scansili aptamente facevano. Et in locodele trece capreolate cum vivace et ingente spiremirava stupente gli viperi et intortigliati serpi. Etd’intorno la monstrifera testa, cum promptissimivertigini confusamente invilupantise. Diqué el voltoet gli squammei serpi rixanti, erano sìdiffinitamente de lavoratura mentiti, che non pocohorrore et spavento m’incusseron. Negli ochii diquali commodissimamente inclaustrati furonolucentissimi lapilli, in tanto che si io certificato nonera, marmoro essere la materia, auso io non sareistato sì facilmente approximarme. El sopranarratocalle interscalpto nel fermo saxo, conducea, oveerano le scale, cum flexuoso meato, nel centroper amfracti coclei per la quale scandevasiall’altissima cima di essa Pyramide, in la superficiedel quadrato Catillo. Sopra el quale, era fundatolo eminente Obelisco. Oltra de tutta questapraeclara et stupenda opera certamente questoexcellentissimo iudicai. Che le praefate coclide,per tutto fusseron chiaramente illuminate.Imperoché lo ingegnioso et acutissimo architectoalcuni Clepsiphoti meati, cum grande etexquisitissima investigatione dello intellecto, haveasolertemente facto. Gli quali nell’aspecto delvagare del Sole, ad tre parte dritamentecorrispondevano. All’infima. Media. Et supera.La infernate per gli
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superiori illuminarii. La supernate per gli catabassiera lucidata. Cum alcune reflexione per glioppositi, sufficientemente elucificavano. Tanta fuela calculata regula della exquisita dispositionedell’artificioso mathematico in le tre facie,Orientale, Meridionale, et Occidentale, che daomni hora del dì, la sinuosa scala era lucida etchiara. Gli quali spiracoli in diversi locamenti,della grandissima Pyramide Symmetriatamente
passi.
Alla mia destra, nel mezzo del Plinto, eraarditamente nascosto il capo anguiformedell’orrorifica Medusa, nell’atto di urlare eminacciare, con gli occhi spaventosi incavati nelleorbite sopraccigliari, con la fronte corrugata e labocca spalancata.
Questa fungeva da amplissima entrata ed ingresso;di lì partiva un dritto corridoio, che, inoltrandosiverso l’alto, conduceva al centro della fabbrica,vale a dire fino all’apice dell’asse medianoperpendicolare della parte superiore dellaprodigiosa Piramide.
Dall’apertura della bocca, si saliva a mo’ di scalacoclide attraverso i suoi attorcigliati capelli, grazieall’impensabile acutezza, alla perizia, all’inusitatoprogetto del suo artefice. Con maestria e abilità,infatti, dalla bocca spalancata comodamentepartivano i gradini e tra le trecce attorcigliate conmovimentati e voluminosi riccioli osservavoammirato le vipere e le aggrovigliate serpi che siavviluppavano tutt’attorno alla mostruosa testacon straordinari vortici. Dacché il volto e iguizzanti serpenti squamosi, così abilmentelavorati, mi ingenerarono non poco orrore espavento. Nei loro occhi erano statemagistralmente incastonate pietre luminosissime, alpunto che se non avessi saputo che si trattava dimarmo, non avrei potuto facilmente osare alcunaipotesi.
Il corridoio scavato nel solido sasso –del quale giàsi è detto conduceva alle scale; da qui, con unflessuoso movimento, si saliva verso il centroattraverso la scala coclide fino all’apice dellaPiramide, alla parte superiore del blocco quadratosul quale si impostava l’insigne Obelisco.
Dell’intera straordinaria e meravigliosa opera,proprio questo Obelisco ebbi a giudicareeccellentissimo poiché la scala coclide era in tuttouniformemente illuminata e l’ingegnoso nonchéabilissimo architetto, prontamente, connotevolissima e raffinata invenzione, avevaprogettato delle aperture nascoste dalle qualifiltrava la luce, collocate in relazione ai movimentisolari e corrispondenti a tre parti, una sita più inbasso, una al centro, una in alto.
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Con un gioco di luci chiastico, dall’apertura
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erano diffiniti, et dispersamente distributi. Allaparte della antedicta apertione de bucca deveniper un’altra solida et directa scala saliendo, che alpedamento Areo del aedificio, verso la partedextera collaterale al monte delumbato era introexcavata nel proprio saxo, ove era lo intervallodelli dieci passi. Per la quale certamente piùcurioso forsa che licito non era, io montai. Oveessendo pervenuto alla itione per la bucca allascala, per innumeri gradi, overo scalini, non senciagrave fatica et vertigine del capo, sopra tantainopinabile celsitudine circungyrando finalmentesalito. Gli ochii mei acconciamente al piano nonpativano riguardare. In tanto che omni cosa inferaad me apparea imperfecta. Et per questo dalmedio piano, partirme non audeva. Et quivi inambito del circulare et supremo exito, overo finedella tortuosa scala et apertura, molti stipiti fusatilide metallo erano in circuito politamente dispositiet infixi, la interlocatione digli quali da centro adcentro, overo interstipio dividendo pede uno, dealtecia hemipasso. Cincti de sopra cum unacoronetta undulata sopra ambiente della dictamateria fusili, gli quali circundavano et saepivanoel labro della apertura, et hiato dell’exitosuperiore della dicta scala, exclusa quella parte,per la quale se usciva in la superficie, bene diciòarbitrando. A ciò, che niuno meno cauto, nellaapertione del sinuoso speco, praecipitasse.Conciosia cosa,che la immoderata altecia,vacillamento inducea. Sotto poscia della pronapiana del Obelisco, una tabella aenea eraimplumbata resupina, cum antiqua scriptura denotule nostrate, de Graece et Arabe, per le qualepienamente io compresi, al summo Sole quellodedicato. Et de tutta la maxima structura ancorala commensuratione integramente annotato etdescripto. Et el nome dell’architecto sopra loObelisco in graeco annotato.
ΛΙΧΑΣ Ο ΛΙΒΥΚΟΣ ΛΙΘΟ_ΟΜΟΣ.
ΡΘΟΣΕΝ ΜΕ.
LICHAS LIBYCUS ARCHITECTUS
ME EREXIT.
Ritorniamo al praesente alla Meta, overo Tessella
inferiore si illuminava la parte alta, mentredall’apertura superiore si rischiarava il basso. Fu atal punto accorto il calcolo del virtuoso architettonel realizzare questa raffinata disposizione che adogni ora del giorno la scala coclide era illuminata evisibile dai tre lati, tanto ad Oriente che aMeridione e a Occidente. Queste aperture eranocollocate in diversi punti della monumentalePiramide, simmetricamente disegnate e variamenteposte.
Dal lato destro rispetto all’adito a forma di boccaspalancata, del quale già parlai, vicino al fianco delmonte che dista dieci passi, vinto dalla curiosità,sebbene forse non sarebbe stato lecito, salii allaterrazza dell’edificio attraverso un’altra solida ediritta scala scavata nella propria pietra. Alla finegiunsi a tanta inenarrabile altezza non senza ingentefatica e vertigini, girando tutt’intorno alla scaladagli innumerevoli gradini, dopo aver oltrepassatola bocca spalancata. La mia vista non riusciva adaccomodarsi alle nuove misure e ogni cosa inbasso mi sembrava sproporzionata; perciò nonosavo riprendere la salita. Qui, nella piattaformacircolare superiore, dove terminava la tortuosascala immettendo all’aperto, numerosi pilastri dimetallo erano fissati e disposti con andamentocircolare; lo spazio dell’intercolumnio, da centro acentro, aveva un’altezza di mezzo passo. Decoratiin alto da una cornice ondulata metallica,circondavano e recingevano i bordi dell’apertura elo spazio dello sbocco superiore della stessascala, attraverso la quale acconciatamente siusciva in superficie, evitando in tal modo chequalche incauto precipitasse al termine dellatortuosa scala, dal momento che la ragguardevolealtezza avrebbe potuto indurre la vertigine. Sottola base dell’ Obelisco era saldata sul pavimentouna tavola bronzea in scrittura latina, greca earaba per cui io compresi con chiarezza chel’Obelisco era dedicato al Sole; inoltre tutta lamaestosa struttura e le sue misure eranointegralmente annotate e descritte, così pure ilnome dell’ architetto, inciso sopra l’Obelisco inlettere greche.
MI COSTRUI’ LICA LIBICO ARCHITETTO
Torniamo ora al presente, alla Meta o Tavolasottostante alla Piramide, sul fronte di facciata
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subiecta alla Pyramide, nel fronte dilla quale, iomirai una elegante, et magnifica sculptura di unacrudele Gigantomachia, invida solum di vitaleaura, de miranda coelatura excellentementeinsculpta. Cum sui movimenti, et cum tantapromptitudine degli proceri corpi, quanto mai sipotrebbe narrare. Lo imitato aemulo della natura,tanto propriamente expresso, che gli ochii inseme,cum li pedi affaticando,violentavano, mo ad unaparte, mo ad l’altra avidamente discorrendo.Niente meno apparia negli vividi Caballi. Alcuniprosternati, alcuni cespitando corruenti. Moltivulnerati et percossi, indicavano la gratiosa vitaefflare. Et malamente gli calcei sopra gli caduchicorpi firmantise, furibondi et effreni. Et gli Gigantiproiecte le armature l’uno cum l’altro strictamenteamplexabondi. Tali cum gli pedi retinuti nellasubsolea traportati. Altri sotto gli corpi sui eranosoppressamente calcati. Et chi cum li caballi sauciipraecipitavano. Alcuni ad terra prostrati cum laparma resupini protegentise pugnavano. Molticum Parazonii cincti et cum balctei ensati, et cumspathe antiquarie persice et multiplici instrumentide mortale figuramento. La più parte pediti, cumteli et clypei confusamente pugnanti. Tali loricati,et galeati, cum variati apici insigniti, et altri nudicum vivace core insultare indicando, intenti allamorte. Parte toracati, di varii et nobilissimiornamenti militari decorati. Molti cum effigiatoformidabile di exclamare. Alcuni di simulachroobstinato et furiale. Quanti erano per morire, cumfilamento aemulario dilla natura, lo effectoexprimente, et altri defuncti, cum invise etmultiplice machine bellice et loetale.Manifestavano gli robusti membri, et gli tuberatimusculi, davano ad gli ochii de videre l’officiodegli ossi, et le cavature, ove gli duri nervitrahevano. El quale conflicto et duello tantospaventoso et horribile apparia, che diresti essocruento et armipotente Marte ad essere perduello cum Porphyrione et Alcioneo, et la fuga,che heberon dal rudito asinino videre nellamemoria soccorse.
Queste tutte imagine oltra la naturale proceritateet statura excedevano, et di cataglypho lascalptura di illustrissimo marmoro collustrabile et ilpiano intervacuo di nigerrima petra introducto avenustate et gratia della albente petra, et asublevamento dilla statuaria operatura,perfectamente extavano.
Quivi dunque erano infiniti proceri corpi, ultimiconati, intenti acti, habiti toracali, et varia morte,cum ancipite victoria. Heu me gli spiriti fessi, et lointellecto per tanta assidua varietate confuso, et glisensi disordinati, non aptamente patiscono, nonsolum il tutto narrare, ma parte cum integritate dicosì depolita lithoglyphia exprimere non valeno.
della quale ammirai l’elegante e magnifico rilievo diuna crudele Gigantomachia, mancante soltanto disoffio vitale, ammirevole per essere stataeccellentemente scolpita e cesellata, con i suoimovimenti e con tanta agilità degli atletici corpi chenon è possibile narrarlo.
Tale imitazione della natura era cosìappropriatamente manifesta, come se i loro occhisi muovessero insieme ai corpi, correndo senzarequie da una parte all’altra, e insieme s’andavanoaffaticando e pativano.
Non da meno erano i vigorosi cavalli. Alcunierano raffigurati a terra, altri mentre inciampavanodurante la corsa; molti feriti e battuti, sul punto diesalare l’ultimo prezioso respiro; con tracotanza ipiedi infierivano, furibondi e sfrenati, sugli inermicorpi atterrati. E ancora i Giganti, gettate le armi,si avvinghiavano fortemente l’un l’altro; talunivenivano trasportati negli Inferi a piedi legati, altrierano schiacciati sotto cataste di corpi, alcuni,prostrati al suolo, combattevano atterrati,riparandosi con la parma [scudo piccolo erotondo]; molti con i cinturoni ai fianchi, con ibaltei per i gladii, con antiche spade persiane esvariate armi per il duello mortale. La maggiorparte combatteva disordinatamente al modo dellafanteria, con giavellotti e clipei [scudi rotondidella fanteria romana]; taluni si fronteggiavano,indossando le loriche e gli elmi variamentedecorati, ancora altri nudi si gettavano nellamischia con indicibile coraggio, pronti alla morte.Un gruppo aveva le corazze insignite di molteplicie valorosissimi distintivi militari; molti eranomirabilmente effigiati nell’atto di gridare, alcuni inatteggiamento ostinato e furioso. Con forme parialla natura si rappresentava l’agonia di quantierano in punto di morte e di quanti erano decedutia causa delle numerose e letali macchine bellichedei nemici. Le robuste membra, i muscoliprominenti si mostravano, offrendo alla vista ilnocumento delle ossa e le cavità dalle quali siestendevano i resistenti tendini. Questi scontri,questi duelli apparivano a tal punto violenti esanguinosi che avresti creduto il cruento einvincibile Marte stesse combattendo controPorfirione e Alcioneo, facendo tornare alla mentequando fuggirono spaventati dal raglio dell’asino.Nell’intera Gigantomachia ogni immagine superavale naturali proporzioni; la scultura di luminosissimoe nitido marmo del rilievo e il piano mediano dipietra nerissima, raffinato e gradevolecontrapposto alla bianca pietra, sul quale insisteval’opera statuaria, aggettavano perfettamente.
Qui dunque c’erano immensi e giganteschi corpi,mentre tentavano gli ultimi sforzi e movimenti perun’improbabile vittoria, ancora indossando la
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Et dove poscia naque tanta iactantia, et tantaardente libidine di coacervare coagmentandopetre ad tanto congesto, cumulo, et fastigio. Etcum quale Veha? cum quali Geruli? et Sarraco?cum quali Rutuli violentato fusse tanta, et talevastitate di saxi? Et sopra quale fultura commessiet confederati? Et sopra quale aggere di cementatirudimenti? Et di tanta immensitate dil altissimoObelisco, et dilla immensa Pyramide? Che giamaiDinocrates al Magno Alexandro più iactabondonon proponi el
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modulo del suo altissimo concepto del monteAtho. Imperò che questa amplissima structurasencia fallo excede la insolentia Aegyptica.Supera gli meravigliosi labyrinthi. Lemno quiesca.Theatri sa mutiscano, non si aequa el dignificatoMausoleo. Perché questo certamente non fueinteso da colui, che gli septe miracoli, overospectacoli del mondo scripse. Né unque in alcunosaeculo, né viso, né excogitato tale, silendo etiamel sepulchro mirabile di Nino.
A l’ultimo discretamente considerava, qualeopposita et obstinata resistentia di fornici sottomai potesseno sostenire, né supportare, et qualeHexagone, et tetragone Pile et quale nanitate dicolumnamento potria fermamente supposito, tantagravitudine et intolerabile ponderatione tolerare?Per la quale discursione ragionevolmente iudicai,overo che tutto solido et massiccio ristato delmonte fusse subdito, overo l’una compactacongerie de glutinato cemento et glarea et di rudepetratura. Per cusì facta animadversione ioexplorai per l’ampia porta. Et vidi che nel intimoera densa obscuritate et concavitate. La qualeporta inseme cum el mirando, et superboaedificamento (cose digne di aeterno monumento)cusì nel sequente como era egregiamentedisposita, sarae alquantulo descripta.
POLIPHILO POSCIA CHE EGLI HAENARRATO PARTE DELLA IMMENSASTRUCTURA, ET LA VASTISSIMAPYRAMIDE, CUM EL MIRANDOOBELISCO NEL SEQUENTE CAPITULODESCRIVE MAGNE ET MIRAVEGLIOSEOPERE, ET PRAECIPUAMENTE DE UNOCABALLO, DE UNO IACENTE COLOSSO,DE UNO ELEPHANTO, MAPRAECIPUAMENTE DE UNAELEGANTISSIMA PORTA.
corazza o, diversamente, ormai in punto di morte.Oimè l’animo fiaccato, l’intelletto smarrito a causadi una così ingente ininterrotta varietà, i sensisconquassati non soltanto non sostengonoadeguatamente tutta la narrazione, ma nemmenosono atti ad esprimere con interezza una parte ditanto levigato rilievo marmoreo. E da dove scaturìtanta audacia, tanta insistita determinazione adaccumulare e a congiungere pietre in tantoammasso, culmine, fastigio? Con quali mezzi? Conquali portatori? E carri? E quali Rutuli cavaronotanta vastità di materiali? E sopra quale terrapienofurono allettati e giunti l’un l’altro? E sopra qualesostruzione cementizia? E cosa dire dellastraordinaria immensità dell’altissimo Obelisco edell’imponente Piramide, che nemmeno il piùvanesio Dinocrate mai propose ad Alessandro
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mentre progettava avendo a modello l’altissimoMonte Athos?
Perciò questa immensa struttura supera senzadubbio alcuno l’ardita inventiva egizia, glistraordinari labirinti; tace Lemno, siammutoliscono i teatri, si oltrepassa il significato dimausoleo, perché si certo questa fabbrica non eranota a colui che descrisse le sette meraviglie delmondo. Né si ritrova qualcosa di simile in alcunsecolo, sguardo, progetto, riducendo al silenzioanche la mirabile tomba di Nino.
In ultimo mi domandavo pensosamente quantocontrapposto e gravoso peso potessero sosteneree sopportare i fornici, quali pilastri esagoni otetragoni e quale numero di colonne, saldamentecollocate sullo stilobate, fosse in grado disorreggere un carico tanto ingente e pesante. Diconseguenza conclusi ragionevolmente che al disotto ci fosse la parte solida e compatta delrestante monte o che fosse stata realizzata unasostruzione coesa di malta cementizia, ghiaia escaglie di pietrisco. Spinto da tanta curiosità,ripresi la mia investigazione attraversando l’ampiaporta, che all’interno era una concavità densad’ombra. Questa porta, insieme all’ammirevolesuperba fabbrica, entrambe degne di eternamemoria, era mirabilmente costruita nel modo checompiutamente sarà descritto in seguito.
POLIFILO, DOPO AVER ILLUSTRATOPARTE DELL’IMMENSA STRUTTURA EL’ALTISSIMA PIRAMIDE, CON LOSTRAORDINARIO OBELISCO, NELCAPITOLO SEGUENTE DESCRIVE
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GRANDI E MERAVIGLIOSE OPERE,PARTICOLARMENTE UN CAVALLO, UNCOLOSSO A TERRA GIACENTE, UNELEFANTE E SOPRATTUTTOUN’ELEGANTISSIMA PORTA.
Il labirintico viluppo della narrazione onirica di Polifilo – Francesco Colonna offre al lettore un ricco evariegato itinerario fatto di citazioni antiquarie monumentali, di rimandi allegorici sostanziati sull’antico,valore assoluto e paradigma di perfezione 1 ,come si evince dalla prefazione: «Lector si tu desideriintendere brevemente quello che in quest’opera se contiene, sapi che Poliphilo narra havere insomno visto mirande cose, la quale opera ello per vocabulo graeco la chiama pugna d’amor insomno. Ove lui finge havere visto molte cose antiquarie digne di memoria, et tutto quello lui dicehavere visto di puncto in puncto et per proprii vocabuli ello descrive cum elegante stilo,Pyramide, Obelisci, Ruine maxime di edificii. 2 »
L’Hypnerotomachia Poliphili diventa così anche la redazione di un Itinerario di viaggio, sia pure unviaggio con riverberi danteschi, benché nella dimensione del sogno, intesa quale variante, nell’ambitoretorico di tradizione classica, medievale e umanistica, dell’orazione epidittica, composta secondo idettami di un genere celebrativo basato sulla descrizione e, in un momento immediatamente successivo,sulla riflessione: il tutto connotato da evidenti finalità didattiche 3 . In questa declinazione, il sogno siconiuga alla visio, pervenendo ad una prospettiva escatologica velata da evidenti riverberi mistici, nellaquale la descrizione dei paesaggi e delle architetture, propedeutica alla meditazione, procede e traelegittimazione da un pregresso canonico, il Somnium Scipionis di Cicerone, fondato sul τόποσ dellageografia. Frammento del VI Libro di De Republica, il solenne e arcaizzante trattato politicofilosoficociceroniano termina proprio con una visione onirica nella quale appare il mondo visto dall’alto, secondomodalità che rammentano le vedute a volo d’uccello della chorographia, la carta territoriale 4 .
I luoghi sono presentati da lontano, in un percorso di evocazione mnemonica a fini meditativi 5 ; nelledescrizioni, connotate da frequenti εκφράσεισ sentimenti e pensieri si proiettano così attraverso rimandiprecisi e puntuali a luoghi e paesaggi, componendo delle vere e proprie mappe mentali, che mettono inrisalto determinati elementi dell’ambiente, soggettivamente percepiti,vale a dire loci mnemonici 6 . Ladescriptio, nell’economia narrativa del Polifilo, non si risolve nel contemplare un luogo naturale, unmonumento o un’opera d’arte come un puro atto visivo, rischiosamente autoreferenziale, ma intercetta ilsuo significato più profondo nel saper trasformare l’immagine sensibile in processo conoscitivo e inesperienza etica, attingendo a modelli linguistici e retorici che costituiscono una vera e propria topica, unrepertorio informativo e formativo da trasmettere per educare le nuove generazioni, fatto precipuamentedi prudentia, scentia, virtus e mores.
L’occorrenza di verbi ricadenti nell’area semantica del vedere e ricordare, tra loro in costante rapportochiastico, dichiarano in tutta evidenza la finalità didattica della visione, funzionale allo strutturarsi di unsaldo orizzonte epistemologico e all’individuazione di modelli comportamentali. Il contesto monumentalediventa metafora comunicativa e la sua ricezione risponde alla necessità di farne veicolo per acquisireuna più salda identità personale e collettiva e le immagini, in ragione della loro carica emotiva, siimprimono nella mente del lettore, trasmettendo la flagrante presenza di un mondo antico e del suosapere, dacché la visione della «structura antiquaria » e delle testimonianze antiche, cariche dimemorie straordinarie, sono infatti intese quali veicoli di un sapere ermetico che affonda le sue radici inun remoto passato 7 .
Le proposizioni principali sono frequentemente collegate dal polisindeto; un escamotage attraverso ilquale le cadenze della narrazione sembrano seguire il ritmo del viaggio, fatto anche di allontanamentidalla meta che servono però a familiarizzare meglio con l’ambiente circostante. Allora spazio fisico,contesto paesaggistico (rievocato con dovizia enciclopedica di sapore alessandrino), itinerarioarchitettonico si caricano di significati diversi, spesso marcatamente simbolici, laddove lo studio deimonumenti e delle testimonianze della romanità diventano il tramite di un progressivo riappropriarsi delmondo antico che non è astratto referente, ma viene intimamente sentito. E’ il caso dello «iocundissimoPalmeto », con tutti i suoi interrelati rimandi iconologici,compiutamente indagati da Maurizio Calvesi e,in tempi più recenti, da Alessia Ferraro 8 .
Polifilo, dopo aver affrontato varie e drammatiche traversie – l’attraversamento di un’intricata, labirintica,oscura selva (eco dantesca a rimarcare le affinità con la Commedia e pendant del groviglio di cunicolidell’antica Praeneste sotterranea) 9 , l’improvviso ingrossarsi di un torrente che diventa un fiumeimpetuoso, in un artificio retorico impregnato di sublime veterotestamentario 10 , come pure l’inutile
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impetuoso, in un artificio retorico impregnato di sublime veterotestamentario 10 , come pure l’inutileinseguimento di un dolcissimo ma inquietante canto, l’apparizione di un famelico lupo, crocevia diriverberi mitologici e letterari 11 – giunge in un «delectabile sito ». Le osservazioni naturalisticheriportano per essenze arboree e floreali, nonché per ambito paesaggistico alla Campagna romana, alLatium Vetus ove le consolari Appia e Prenestina disegnano un ideale triangolo all’interno del quale laVia Labicana, la Via Casilina e la Via Tuscolana indicano ulteriori percorsi in un’area dalla morfologiaparticolarissima e dall’orografia spiccatamente eterogenea, che, molto recente sotto il profilo geologico,si traduce in un'ampia varietà di rocce. Qui, verso l’interno, i Monti Prenestini, di natura calcarea, e lecolline a questi limitrofe, caratterizzate dalla morfologia terrazzata, cingono uno spazio fertile elussureggiante, connotato da un’enciclopedica rassegna di essenze arboree, quali lecci, platani, querce,noci, pini e cipressi, mentre, nell’area tuscolana, il Vulcano Laziale, conosciuto anche come Tuscolano –Artemisio, e i Colli Albani, sempre di origine vulcanica, guidano lo sguardo verso il mare; nel fondo vallee sui terrazzamenti le coltivazioni a vite si alternano agli uliveti.
La prospettiva si dilata verso la linea dell’orizzonte, tra catene montuose da un lato e il litorale dalla parteopposta, in un rapido susseguirsi di zone boschive e pianori tufacei, valli e pianure coltivate, ambientisegnati da ampie varietà litologiche, laghi di derivazione vulcanica 12 .
In questa cornice unica, scelta come sede privilegiata di villae otium, nella quale armonicamente lastoria si intreccia da sempre al paesaggio, Praeneste sul Monte Ginestro, legata alla devozione aFortuna Primigenia, assieme Tusculum, luogo ciceroniano per antonomasia, nei pressi di Monte Cavo, esede di una delle ville del Retore romano, cornice delle cinque dispute di filosofia morale discusse nelleTuscolanae Disputationes, domina fisicamente e culturalmente lo spazio che fu dei prisci Latini,proprio in ragione del loro passato e della peculiarità ambientale, derivata in primis, come si è già detto,dall’origine vulcanica di un'area formatasi a ridosso dei rilievi calcarei.
Agli occhi di Polifilo, in una cornice paesaggistica di evidente suggestione, si mostra in lontananza unagrande fabbrica in marmo Pario; sul fronte di facciata di questo tempio si apre una porta e sulla destra siintravvede una scala; si scorgono un colonnato, frammenti di colonne sulla piazza antistante alla piazza ead altri lacerti in marmi vari, considerati con grande attenzione. 13 Sulla parte intermedia dell’edificioinsiste un alto basamento, sul quale si imposta una monumentale Piramide, che consta di 1410 gradini edè ornata da una vivida Gigantomachia; al suo interno la Piramide, che rimanda ai terrazzamenti e allacavea del Santuario di Fortuna 14 , presenta una scala coclide 15 , alla quale si accede attraverso uncorridoio preceduto da una porta in forma di bocca spalancata di Medusa 16 . Al culmine della piramidetroneggia un immenso Obelisco sostenuto da un plinto in forma di bronzee zampe di arpia; in prossimitàdel pyramidion si erge una macchina aerea che reca l’effigie di Fortuna, conforme all’iconografiatradizionale. 17 La pregevole xilografia riproduce con dovizia i particolari della narrazione, consentendo iconfronti incrociati con il Santuario di Fortuna a Praeneste.
Il brano è intessuto di osservazioni ricche di rimandi significativi, tanto per pregnanza simbolica quantoper aderenza al contesto prenestino. Allorché il tintinnio della macchina aerea di Fortuna è confrontato alrumore percepibile nell’Erario di Roma, non si può non ricordare che nel Foro intramuraneo diPraeneste, laddove si trovavano il monumento a Verrio Flacco, il cosiddetto Antro delle Sorti e l’Aulaabsidata, allora pavimentata con il celeberrimo Mosaico Nilotico, era collocato anche l’Erario pubblico.18 Così come l’Obelisco, pregno di molteplici significati, riconduce ad un tratto precipuo della culturadell’antica Praeneste, nella quale, all’interno del complesso ed interrelato quadro del sincretismoartistico – religioso, esercita un ruolo portante la cultura egizia. Di recente nel Museo locale sono staticollocati due frammenti (uno di cm. 65,5 di altezza per cm. 39,5 di larghezza, l’altro di cm. 44 per cm.35, già conservati nei Magazzini del Museo) dell’Obelisco in granito rosso di Assuan (e di marmotebaico è l’obelisco descritto da Polifilo) rinvenuto nel 1881 durante gli scavi nell’area del Forointramuraneo, nei pressi dell’Aula Absidata. Si tratta di due frammenti che vanno collegati alle altrequattro parti, tutte contornate da una bordura a doppia linea, riportate alla luce nel 1791 sempre aPraeneste, in un luogo però imprecisato, dapprima confluite nella Collezione Borgia di Velletri, quindi,restaurate e ricomposte unitariamente, al Museo Archeologico di Napoli, dopo essere state acquistateda Ferdinando IV per la sezione egizia del Real Museo Borbonico, inaugurata nel 1821. L’Obelisco èdedicato da un Titus Sextus Africanus della tribù Vuturia, per la cui identificazione varie sono le ipotesi:forse un legato di Cesare, un Frater Arvalis al tempo di Claudio o, ancora, un console suffeto al tempodi Nerone o un altro all’epoca di Traiano. 19
La presenza egizia assume così un valore emblematico, come si evince anche nella statua colossale inmarmo bigio, il marmo egizio per eccellenza, e marmo bianco per le parti nude e per il volto, di Isityche,Iside–Fortuna, realizzata alla fine del II secolo a. C. presumibilmente in ambiente rodio, un tempocollocata tra il cosiddetto Antro delle Sorti e l’Aula Absidata, oggi conservata nella Sala I del MuseoArcheologico Prenestino.
L’Obelisco del Foro intramuraneo, la statua di Isityche, segno tangibile dell’identificazione tra Isis egiziae Fortuna Primigenia che procede già dal II secolo a. C., sottolineano il precoce sincretismo che accosta
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e Fortuna Primigenia che procede già dal II secolo a. C., sottolineano il precoce sincretismo che accostai due mondi culturali, ai quali rimanda la sostanza stessa del Polifilo, non certo alieno al sentire dellaPrisca Theologia intrisa di immagini considerate alla stregua di geroglifici, arcana mysteria, pregne disapienza antica e gravide di sviluppi futuri. 20
NOTE
1 «Un esempio a sé dell’interesse sempre crescente che nel XV secolo cominciarono a destare le rovine di Roma ècostituito dall’ Hypnerotomachia Polyphili di Francesco Colonna.[…] » R. Gnoli, Marmora romana, Roma,Edizione dell’ Elefante, 1988, pp.7677
2 F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili. Edizione critica e commento a cura di G. Pozzi e L. A. Ciapponi, Padova,Antenore, 1980, 2 voll.; per gli aggiornamenti sulla storia degli studi cfr. S. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili eRoma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi, Roma, 2012.
3 «Come infatti vedete, l’importanza del risultato tipologico e architettonico del Palazzo di Palestrina costruitonel suo assetto attuale sotto Francesco Colonna, è strettamente conseguente al nuovo spirito, di rispetto e quasi disimbiosi, con cui l’architetto si pone in relazione con l’antico Santuario. […] Ciò torna perfettamente con lapoetica dell’Hypnerotomachia, il cui autore si rivela appassionato di antichità e pervaso da un profondo e sacralerispetto per essa; e non solo, giacché egli si dimostra anche un esperto di architettura, di cui ha una concezionepersonale e, come dire, attiva, produttiva. » M. Calvesi, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma, Officina, 1980,p.62.Sul tema, sia pure con accenti diversi, cfr. E. A. Arslan, Francesco Colonna e la memoria materialedell’antico,”Quaderni ticinesi di numismatica e antichità classiche”, XXVIII, Lugano 1999, pp.357380.
4 Tra le opere di Cicerone andate perdute va ricordato anche un trattato di argomento geografico, intitolato proprioChorographia; si veda L. Perelli, Il pensiero politico di Cicerone. Tra filosofia greca e ideologia aristocraticaromana, Firenze, La Nuova Italia, 1990.
5 E. La Rocca, La chorographia in Lo spazio negato. La pittura di paesaggio nella cultura artistica greca eromana, Milano, Electa, 2008, pp.1727.
6 Si veda a tal proposito l’interessante contributo di P. Rossi, Geografia della percezione: la mappa dell’Italia nellapoesia di Orazio in F. Coarelli, A. Corcella, P. Rossi, Un angolo di mondo, Osanna, Venosa 1993, pp.5776
7 A. Ferraro, Polifilo tra le rovine di Roma: Il mito di Roma, ISSN 11274883 BTA – Bollettino Telematicodell'Arte,16Luglio2014,n.721http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00721.html
8«Uscito dalla selva, Polifilo si trova tra dolci colline ed incontra un palmeto. Da lì avvista un tempio inlontananza. Una delle poche zone d’Italia in cui nasce la palma spontanea è proprio questa. La zona collinosadovrebb’essere quella di Velletri, da cui Palestrina è ormai visibile.[…]Proprio in questo felice punto diosservazione abbondano i palmizi, raggruppati spesso in piccoli palmeti. »,p.115 in M. Calvesi, Seconda parte. Iltempio della Fortuna. XVIII. Riscontro con Preneste:la selva, la collocazione dell’ edificio tra le montagne, lagradinata e l’obelisco in op.cit., pp.113126
9 «Di un’altra notizia spettante a Palestrina siamo debitori a Strabone, cioè che ella era traforata da viesotterranee, e da cunicoli formati per trasportare le acque nascenti nella nostra campagna[…] » p.51 in P. Petrini,Memorie prenestine disposte in forma di annali, Roma, Stamperia Pagliarini, 1795
10 G. Lombardo, F. Finocchiaro, Sublime antico e moderno: una bibliografia, Palermo, Centro di studi diEstetica,Aestheticapreprint,vol.38,1993
11 A. Henkel – A. Schone, Emblemata : Handbuch zur Sinnbildkunst des XVI und XVII Jahrhunderts, Stuttgart,J.B.Metzler,1976
12 D. de Rita, La ‘meraviglia’ del Vulcano laziale tra scienza e conoscenza in I. Salvagni, M. Fratarcangeli (a cura di)Oltre Roma. Nei Colli Albani e Prenestini al tempo del Grand Tour, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2012, pp.6471
13 F. Corsi, Delle pietre antiche di Faustino Corsi romano, a cura di C. Napoleone, Milano, Franco Maria Ricci,2001
14 Sul tema: O.Marucchi,Guida archeologica della città di Palestrina, Roma, Tipografia della pace di FilippoCuggiani, 1932; F. Fasolo, G. Gullini,Il santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, Roma, Università di Roma,1953; L. Quilici,L’impianto urbanistico della città bassa di Palestrina, in “Roma”, LXXXVII, 1980, pp.177214; AA.VV., Urbanistica e architettura dell’antica Praeneste, Atti del Convegno di Studi archeologici 1988, Palestrina 1989
15 La Colonna di Traiano,inaugurata nell’omonimo Foro nel 113 d.C., presenta una scala coclide interna che dal podio
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15 La Colonna di Traiano,inaugurata nell’omonimo Foro nel 113 d.C., presenta una scala coclide interna che dal podioporta alla sommità: R. Bianchi Bandinelli, Il Maestro delle imprese di Traiano, Milano, Mondadori Electa, 2003
16 Alla porta in forma di bocca spalancata di Medusa si accostano due esempi di età successiva, rispettivamentel’ingresso in forma di orco dalle fauci aperte nel Parco dei Mostri di Bomarzo e l’entrata in Palazzetto Zuccari a Roma. IlParco dei Mostri di Bomarzo (Viterbo), progettato nel 1552 da Pirro Ligorio su commissione del principe Pier FrancescoVicino Orsini, che si rivolge ai visitatori del particolarissimo labirinto di simboli chiosando « Voi che pel mondo giteerrando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi etdraghi. » Tra il Drago assalito dai cani, l’Elefante da guerra, il Cavallo alato, il Gigante, lo Stregone, Nettuno, laCasetta disassata preceduta da un piccolo ponte, si incontra un inquietante Orco con la bocca spalancata,accompagnato dalla scritta «Lasciate ogni pensiero voi ch’entrate », immette in un antro con sedile e tavolo. Cfr. J.Shearman, Mannerism, Harmondsworth, Penguin Books,1967, (edizione italiana Manierismo, Firenze, SPES, 1983,p.119); M. Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo. Il Sacro Bosco tra arte e letteratura, Milano, Bompiani, 2000. IlPalazzetto Zuccari in Roma, costruito da Federico Zuccari nel 1590 tra la Via Sistina e la Via Gregoriana (oggi sede dellaBiblioteca Hertziana), si ispira al Bosco di Bomarzo per le cornici dei tre mascheroni dell’ingresso e delle finestreesterne su Via Gregoriana; a tal proposito si veda. B. Cleri (a cura di), Federico Zuccari, le idee, gli scritti, Atti delConvegno di studi Sant' Angelo in Vado, 2830 ottobre 1994, Milano 1997, pp.125134.
17 V. Cartari, Le immagini degli dèi, a cura di C. Volpi, Roma, De Luca, 1996. Sulle statue di Fortuna Primigenia(forme, materiali, tecniche e modalità operative) oggi al Museo Archeologico Nazionale di Palestrina si veda N. Agnoli,S. Gatti ,Soprintendenza Archeologica per il Lazio, Palestrina. Il Museo Archeologico Nazionale, Milano, Electa,1999
18 S. Pittaccio, Il Foro intramuraneo a Praeneste. Origini e trasformazioni, Roma, Editrice Dedalo, Roma 2001
19 E. V. Bove, Obelisco di Palestrina in E. Lo Sardo (a cura di), La Lupa e la Sfinge. Roma e l’ Egitto dalla storia almito, Milano, Electa, 2008, pp.8891
20 Sul tema offrono un’esaustiva trattazione i contributi di G. Cipriani, Gli obelischi egizi. Politica e cultura nellaRoma barocca, Firenze, Olschki – Accademia La Colombaria, 1993 e D. Stolzenberg, Egyptian Oedipus: AthanasiusKircher and the secret of antiquity, Chicago The University of Chicago Press, 2013
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Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturalistoricoartistiche della rivista Risali
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