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Università Degli Studi Di Bari Dipartimento di Bioetica DOTTORATO DI RICERCA IN LA TUTELA GIURIDICA DELLA PERSONA CICLO XX Settore Scientifico Disciplinare IUS/01 LA TUTELA DEL SOGGETTO DEBOLE Coordinatore: Chiar.mo Prof. Sebastiano Tafaro Tutor: Chiar.mo Prof. Ferdinando Parente Dottoranda: Paola Cristiano

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Università Degli Studi Di Bari

Dipartimento di Bioetica

DOTTORATO DI RICERCA IN

LA TUTELA GIURIDICA DELLA PERSONA

CICLO XX

Settore Scientifico Disciplinare IUS/01

LA TUTELA DEL SOGGETTO DEBOLE

Coordinatore: Chiar.mo Prof. Sebastiano Tafaro

Tutor: Chiar.mo Prof. Ferdinando Parente

Dottoranda: Paola Cristiano

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La tutela del soggetto debole

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SOMMARIO

Capitolo I

Essere e Persona

1. Premessa. Il soggetto debole. P. 7

2. Il concetto di persona. Riferimenti al diritto romano e primi modelli di

tutela: qui in utero est. P. 10

3. Il progresso scientifico e i confini della ricerca. P.16 4. Accettabilità delle condotte umane: visione metafisica e post-

metafisica. P.23 5. Bioetica e diritti umani. P. 25

6. Determinazione del concetto di persona e essere umano. Tre

concezioni a confronto. P. 29

Capitolo II

Il non nato e i suoi diritti

1. L’embrione: qualcosa o qualcuno? La tutela giuridica. P. 39 2. L’essenza della persona e la libertà. La dignità umana. P. 45

3. I diritti del non nato. La disciplina italiana. P. 52 4. Il diritto alla vita negli altri ordinamenti. P. 55

5. Esperimenti sull’uomo, esperimenti sull’embrione. P. 61

6. La dignità dell’embrione. P. 65

7. Soggettività e capacità giuridica: il concepito. Brevi cenni. P. 75

Capitolo III

L’amministrazione di sostegno

1. L’amministrazione di sostegno. P. 88

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2. L’amministrazione di sostegno come scelta del beneficiario. P. 99

3. La prestazione del consenso al trattamento sanitario da parte

dell’amministratore di sostegno. P. 102

4. Il requisito del consenso informato. Fonti normative interne ed europee.

P. 110

5. La tutela dei diritti dell’uomo tra diritto antico e moderno. P. 122

Grafico relativo ad ambiti applicativi P. 129

Capitolo IV

Nuove ipotesi di applicazione

1. Il diritto, il dovere e la pretesa. P. 131

2. L’amministratore di sostegno, il consenso informato e le direttive

anticipate di trattamento: prospettive. In particolare sull’accanimento

terapeutico. P. 133

3. Aspetti pratici. P. 145

4. Nuovi ambiti di applicazione dell’istituto dell’amministratore di

sostegno: il potere di rappresentanza anche in giudizio. P. 148

5. Limiti alla rappresentanza. P. 160

6. Conclusioni. P. 164

Bibliografia P. 168

Normativa P. 185

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Capitolo I

Essere e Persona

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SOMMARIO: 1. Premessa: il soggetto debole. - 2.Il concetto di persona.

Riferimenti al diritto romano e primi modelli di tutela: qui in utero est. – 2.

Il progresso scientifico e i confini della ricerca. – 3. Accettabilità delle

condotte umane: visione metafisica e post - metafisica. – 4. Bioetica e diritti

umani.- 5. Determinazione del concetto di persona e essere umano.

1. Il soggetto debole è, da sempre, contrapposto al più forte.

La storia dei diritti fondamentali dell’uomo è stata continuamente

alla ricerca di un fondamento dei diritti primari che i più forti (secondo

natura e/o privilegio) avrebbero avuto a vantaggio dei più deboli, al fine di

sottrarli al loro dominio, comunque inteso.

E così, il nesso tra forma universale dei diritti fondamentali e tutela

del più debole è quello di mezzi e fini, propri del rapporto di razionalità

strumentale.

Quella forma, insieme al rango costituzionale delle norme che la

esprimono, si configura come la tecnica più idonea alla tutela dei soggetti

(più) deboli, in quanto assicura loro la indisponibilità e la inviolabilità di

quelle aspettative stabilite come diritti fondamentali, mettendole al riparo

dai rapporti propri del mercato e della politica.

La distinzione che il positivismo giuridico opera tra soggetti capaci e

soggetti incapaci conduce da un lato, ad escludere dalla scena giuridica dei

rapporti gli incapaci ma, dall’altro, a riconoscere agli stessi una tutela più

ampia, al fine di garantire il diritto fondamentale della uguaglianza:“Tutti i

cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza

distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di

condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli

ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e

l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona

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umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione

politica, economica e sociale del Paese”. Così recita l’art. 3 della

Costituzione italiana. Tale principio è solennemente proclamato anche nella

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che dedica tutto il Capo

III alla uguaglianza; infatti, sulla scorta di quanto affermato nel Preambolo,

in base al quale l’Unione Europea afferma di voler “rafforzare la tutela dei

diritti fondamentali”, proclama l’uguaglianza davanti alla legge (art. 20), il

divieto di discriminazione fondata non solo sul sesso, la razza, l’origine

etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione, le

convinzioni personali, le opinioni politiche, ma anche sull’handicap e

sull’età (art. 21), stabilendo la parità tra uomini e donne (art. 23), il diritto

di protezione del bambino (art. 24), il diritto degli anziani di condurre una

vita dignitosa e indipendente (art. 25). Gli stessi diritti sono stati mantenuti

e resi giuridicamente vincolanti, dal successivo Trattato di Lisbona.

Si assiste ad una grande richiesta di visibilità giuridica, nella quale

tutti coloro che vivono una condizione di fragilità della propria soggettività,

desiderano confluire. Il difetto della “qualità”, che fa l’uomo capace di

obbligarsi giuridicamente, supera l’artificio formale, per richiedere un

riconoscimento esplicito della propria debolezza e vedere, nello stesso

tempo, affermato il diritto di regolare rapporti, il diritto alla integrità, alla

salute, alla identità, a prestare il consenso al trattamento medico, ad

educare la prole, a ricevere educazione, alla parità contrattuale, alla tutela

del dato personale.

La sofferenza fisica, infatti, non rappresenta l’unica forma di

debolezza del soggetto, anche se ne costituisce la espressione più

significativa. Soggetti deboli sono i concepiti e non ancora nati, gli

embrioni crioconservati, i soggetti in stato comatoso, coloro che vivono

mediante macchinari che ne prolungano l’esistenza; soggetti deboli sono

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pure i minori, i disabili 1, gli anziani, i tossicodipendenti, i carcerati, le

madri che devono scontare una pena detentiva e non possono seguire

direttamente i figli, i diversamente abili, i malati di mente, i non affidatari

della prole.

L’esperienza evidenzia molte ipotesi nuove di regolamentazione

giuridica, che non trovano, se non nei principi generali fissati dalla Carta

costituzionale e dalle Convenzioni internazionali, una previsione nel ius

positum. Attuale è sempre il brocardo: ex facto oritur ius.

Di certo, in questa accezione non può rientrare, ad esempio, il

concetto di contraente debole, in quanto con tale espressione si indica non

già una condizione, ma una semplice qualità del soggetto giuridicamente

capace, che si trovi ad assumere autonomamente obbligazioni giuridiche.

Per soggetto debole deve intendersi, quindi, chi non abbia un

riconoscimento giuridico di tutela, né per la sua condizione, né per i diritti

che pretende siano generalmente ammessi e affermati; è colui il quale

richiede formale attestazione della sua dignità e promozione del suo essere

umano, nella sua individualità fisica e nella sua identità spirituale.

In pratica, è un soggetto che avanza una pretesa di regolazione di

una volontà umana attiva e la conseguente affermazione di una

“doverosità” di attuazione dei precetti stabiliti, stante il valore della loro

giuridicità.

La desiderabilità dei diritti, per usare un’espressione di Norberto

Bobbio, si fonda sulla volontà di realizzare il più possibile il principio di

libertà e di uguaglianza, la cui realizzazione conferisce loro la

meritevolezza giuridica dell’essere perseguiti.

1 È del 30 marzo 2007 la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 13 dicembre 2007.

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La protezione e la promozione del soggetto debole costituisce,

pertanto, l’attuazione delle scelte solidaristiche dell’ordinamento giuridico

interno ed esterno, volto ad eliminare gli ostacoli allo sviluppo della

persona che, in quanto tale, va considerata titolare della stessa dignità

morale e giuridica, senza che le distinzioni derivanti da particolari

condizioni fisiche, mentali, sociali, possano in alcun modo scalfirne il

riconoscimento e l’affermazione, in modo pieno e totale.

2. Il concetto di persona rappresenta un momento fondamentale nella

riflessione etica contemporanea e, insieme alla questione della dignità e dei

diritti dell’uomo, offre un ottimo campo di studio anche a chi volesse

ricercarne il fondamento.

L’attenzione dei giuristi verso la problematica, si innesta nel solco di

una sensibilità presente già all’epoca del diritto romano e, a partire dal II

secolo d.C., testimonia un mutamento importante nella organizzazione dei

libri sul ius civile, i quali non si apriranno più con la trattazione delle

successioni2, ma con quella delle personae. Infatti, Gaio, nel suo manuale,

enuncia:

GAI. 1.8: Et prius videamus de personis.

Il taglio dato dal giurista adrianeo al diritto e alla sua comprensione é

ancora straordinariamente attuale, se si pensa che con tale enunciazione egli

dichiarava che il diritto è finalizzato alle persone 3, proprio come lo si

2 Come si ritrova nella sistematica seguita da Quinto Mucio Scevola, nei suoi libri sul ius civile, o, successivamente in Sabino, per i quali si rimanda a SCHULZ, Sabinus-Fragmente in Ulpians Sabinus Commentar, rist. Labeo 1 (1964), 56 ss e Storia della giurisprudenza romana, tr. It. 1968, 172, 279. 3 Cfr. R. QUADRATO, La persona in Gaio. Il problema dello schiavo, Iura 37 (1986), 1 s. “La persona costituisce un tema cruciale nella riflessione gaiana. È uno dei cardini dell’ideologia del giurista adrianeo, un punto decisivo del suo pensiero. La linea di Gaio la si intravede già nel modo in cui organizza il discorso istituzionale, nella descrizione del ius quo utimur. Il piano didattico si apre con la trattazione del ius personarum. E’ una

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ritrova oggi, a distanza di diciotto secoli, nella Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione Europea4.

Il termine persona, tuttavia, non aveva il significato che oggi si è

portati ad attribuire; attualmente, esso è sinonimo di soggetto del diritto,

mediato dal concetto di “capacità”, nelle accezioni di capacità giuridica e

capacità d’agire, che, pur essendo oggi universalmente accettate, poco

dicevano ai Romani, per i quali la persona coincideva con l’uomo5. Intesa

novità nella sistematica. Modificando una linea antica attestata nell’opera di Q. Mucio, riproposta nei tres libri iuris civilis di Sabino, Gaio colloca il tema delle persone al primo posto, sostituendolo alla hereditas. La persona viene così ad occupare un posto di preminenza, di centralità nell’ordinamento; è l’asse attorno al quale gravita il ius, l’intera costruzione giuridica…. Non è un mutamento di poco conto. E’ una prospettiva che tende ad orientare il diritto verso il suo destinatario naturale, l’uomo, nel cui interesse ‘statutum est’ ”. 4La quale, nel suo Preambolo, afferma che l’Unione “pone la persona al centro della sua azione”; così la Carta Europea dei Diritti Fondamentali, sottoscritta e proclamata dai Presidenti del Parlamento europeo, Consiglio e Commissione, in occasione del Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2000, pubblicata in GUCE 2000/C 364/01. 5 Sul punto, M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 683, il quale afferma che “con il termine capacitas si indica, nel linguaggio dei prudentes, l’idoneità del soggetto ad acquistare in base ad una valida delazione, la quale presuppone la capacità a succedere” e che “la categoria dell’incapacitas venne introdotta nell’ordinamento romano dalla legislazione matrimoniale augustea, che prevedeva una serie di casi in cui l’erede od il legatario non potevano acquistare l’eredità o il legato”. Il punto è pacifico per i romanisti. Ciononostante essi, anche per inquadrare la realtà giuridica romana, usano parlare di capacità (giuridica e di agire), presumibilmente perché ritengono che il vocabolo sia per lo studioso contemporaneo il piú idoneo per la comprensione dell’antico: cfr., per tutti, tre esempi emblematici della odierna e più autorevole manualistica: V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli, rist. 1985, p. 43: «La condizione degli esseri che l’ordinamento giuridico considera soggetti di diritto si dice capacità giuridica o di diritto, o (in antitesi alla capacità di agire, della quale diremo tra breve) capacità di godimento del diritto. La terminologia fin qui riportata non è romana»; tuttavia l’Autore si avvaleva di quei termini ampiamente nel prosieguo della esposizione degli istituti romani; M. TALAMANCA, Op. cit., p. 75 s.: «23. Capacità giuridica, capacità di agire, teoria degli 'status'. - a) Attualmente, la persona fisica è, in quanto tale, fornita di capacità giuridica. Per capacità giuridica s'intende l'idoneità di un soggetto ad esser titolare di diritti e di doveri: alla capacità giuridica si contrappone la capacità di agire, e cioè l'idoneità a porre in essere un'attività giuridicamente rilevante, al fine di creare, modificare od estinguere un rapporto giuridico. I romani non hanno consapevolmente formulato questa fondamentale distinzione tra la capacità giuridica e la capacità di agire, delle quali,

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quale portatrice di interessi, istanze e diritti propri, la parola persona ha

rappresentato, per i giuristi romani, il riferimento fondamentale cui il diritto

però, si coglie, indubbiamente, in quell'esperienza la concreta operatività. Per il diritto romano, si tratta, in primo luogo, di determinare le condizioni che debbono ricorrere perché all'individuo umano sia riconosciuta la capacità giuridica»; M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo 1994, p. 193: «La dottrina moderna pone a base di ogni discorso sul diritto delle persone i concetti di capacità giuridica (o capacità di diritto) e capacità di agire. Per capacità giuridica intende l'idoneità ad essere titolari di diritti ed obblighi o, in ogni caso, di situazioni giuridiche soggettive; per capacità d'agire l'idoneità ad operare direttamente nel mondo del diritto e pertanto a compiere personalmente atti giuridici. Si tratta di categorie giuridiche non romane, utili però per inquadrarvi, all'occorrenza con le necessarie precisazioni, la realtà giuridica romana. Giuridicamente capaci sono oggi, nel nostro sistema positivo, tutti gli esseri umani, tutti quanti essendo possibili centri di imputazione di diritti e doveri giuridici (anche il pazzo, anche il fanciullo possono essere eredi, proprietari, etc.). Capacità giuridica si riconosce inoltre a talune entità consistenti in organizzazioni di persone e beni, cui si dà il nome di persone giuridiche. In contrapposizione ad esse gli esseri umani si dicono persone fisiche. I soggetti giuridicamente capaci sono pertanto in ogni caso “persone”: persone fisiche gli esseri umani, persone giuridiche gli altri enti. Per diritto romano le cose stavano diversamente. Anzitutto dal punto di vista terminologico: la parola “persona” è riferita solo a quelle che noi diciamo persone fisiche ed è propria di esse. Tutti gli esseri umani, nel linguaggio giuridico, sono detti persone ma non tutti hanno capacità giuridica: possono averla, ma non l'hanno necessariamente, le persone libere; non l'hanno mai, in via di principio, gli schiavi (servi). Anche i Romani riconobbero che certe organizzazioni potessero essere centri di imputazione di diritti e doveri giuridici, ma non elaborarono compiutamente il fenomeno: i concetti al riguardo furono, sul piano giuridico, appena abbozzati e mancò comunque una terminologia costante. La capacità d'agire — non concepibile propriamente per le persone giuridiche — presuppone oggi la capacità giuridica e viene riconosciuta a tutti gli esseri umani intellettualmente capaci: è negata pertanto ai minori di età e agli infermi di mente. Anche a Roma la capacità d'agire era riconosciuta alle persone intellettualmente capaci, ma non presupponeva necessariamente la capacità giuridica: un pater familias adulto e sano di mente era giuridicamente capace e al contempo capace di agire; invece schiavi e filii familias adulti e sani di mente erano sì capaci di agire, ma era loro fondamentalmente negata la capacità giuridica (operavano nel mondo del diritto con effetti che talora si imputavano al dominus o al pater familias)». Non sono sfuggite a questa impostazione di fondo neppure le ricerche che sono partite da un’ottica differente, incentrandosi intorno alla considerazione della “persone”, come si può dire per la ricca e circostanziata opera di B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo 1979, nella quale l’interrogativo di fondo resta sempre quello di verificare se e quando vi fosse capacità (di volta in volta, giuridica o di agire).

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era teleologicamente finalizzato, individuando un rapporto indissolubile tra

diritto e giustizia e tra diritto e tutela della dignità umana.6

Sintomatico appare il modo con il quale, durante il Principato, i

giuristi cominciavano a considerare i servi, non più come res e, dunque,

come oggetti del diritto, ma soggetti, in quanto “uomini”, portatori “di una

dignità, di un valore in sé, proprio dell’uomo in quanto tale”7.

Nella cultura romana, la vita di ogni uomo, considerato nella sua

specificità all’interno della Civitas, aveva carattere insopprimibile e

universale, tanto che il ius ne doveva tener conto, poiché a nessuno era

consentito prescinderne, senza andare contro le leggi profonde della vita

stessa8.

Per tali ragioni, la civiltà giuridica romana difende la vita umana sin

dal concepimento, cogliendo la insostituibilità e la incoercibilità dell’essere

“uomo”.

Essa utilizza una terminologia semplice e, lontana da astrazioni

concettuali tipiche della dottrina e dei legislatori moderni, sorprende per la

sicurezza con la quale afferma un concetto che oggi, scienziati e giuristi

trovano difficoltà ad esprimere: il concepito già esiste come persona.

Sia secondo le Leggi regie, sia secondo le Dodici Tavole, sia nella

giurisprudenza classica, tra l’epoca di Augusto e quella di Antonino

Caracalla, fino a giungere ai Digesta di Giustiniano, si rileva un evidente

rispetto del nascituro.

Nel Digesto si parla del concepito nel titolo V del I Libro, sotto la

rubrica “La condizione degli uomini”. 6 Ulpiano fonda il rispetto e la salvaguardia della persona umana su tre principi fondamentali: D. 1.1.10.1 ULP. 1 reg.: “Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”. 7 R. QUADRATO, Op. cit., p. 10 ss. 8 Così S. TAFARO , Diritto e persona: centralità dell’uomo, in www.dirittoestoria.it, 2007, p. 4.

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Qui il concepito viene semplicemente definito qui in utero est .

Il concepito non ancora nato (nasciturus) era, come tale, soggetto

di diritti, potendo perfino essere destinatario di beni testamentari. Così, nei

Digesta di Giustiniano, viene riconosciuta al nascituro (comodum), la

condizione giuridica di essere umano (Qui in utero sunt…intelliguntur in

rerum natura esse”: D.1.5.26); e, perciò, esso è da considerarsi titolare di

diritti, come se fosse nato (“Nasciturus pro iam nato habetur”: D.1.5.7),

quando si tratti del suo vantaggio.

Nello stesso Digesto, è richiamata una legge emanata nell’81 a.C.,

che disciplina gli omicidi e dispone la pena dell’esilio per la donna che

abbia ‘volontariamente’ abortito. Mentre, nelle ultime pagine del Digesto,

Giustiniano, in una sorta di piccolo vocabolario giuridico (de verborum

significatione), afferma l’esistenza autonoma di qui in utero est, spiegando

che “è da ‘comprendersi’ (intelligere) che colui che è stato lasciato

nell’utero, c’è realmente al tempo della morte”. Un altro esempio

interessante relativo alla difesa del concepito è rappresentato dal fatto che

una legge regia (753-510 a. C.) vietava di seppellire la donna morta in stato

di gravidanza, prima che fosse estratto il partus, dato che qui in utero est

era considerato avente “vita autonoma” rispetto alla madre9. Relativamente

alla cittadinanza, lo status di libero e cittadino veniva attribuito prendendo

in considerazione il momento del concepimento ovvero, se più favorevole,

qualunque momento tra concepimento e nascita. Qui in utero est riceveva

una tutela giuridica per l’interesse attuale e immediato al nutrimento, oggi,

9 Anche l’esecuzione della pena capitale contro una donna incinta doveva essere differita ad un momento successivo al parto. Una donna incinta non poteva inoltre essere sottoposta a interrogatorio, né poteva essere torturata o condannata a morte. L’accusa di adulterio contro la donna incinta doveva essere differita, affinché non si provocasse alcun pregiudizio al nato. Il figlio di un senatore, benché il padre fosse morto prima della sua nascita (o anche privato del suo grado in vita), conservava sempre tutti i diritti che spettavano ai figli di un senatore.

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diremmo, per un diritto agli alimenti. L’esigenza di garantire il

sostentamento al nascituro era primaria, benché potesse esservi incertezza

sulla posizione giuridica di colui che sarebbe nato (filia, plures filii, filius et

filia): era vigente il principio in base al quale era meglio dare gli alimenti,

anche a chi fosse diseredato, anziché far morire di fame colui il quale non

lo era. Ulpiano ribadisce questo principio riguardante la rilevanza

dell’alimentazione aldilà di ogni incertezza: («quia sub incerto utilius est

ventrem ali»).

L’istituto del curator ventris, infatti, fu inteso dal pretore romano per

tutelare non solo la dignitas della donna incinta, ma soprattutto per

assicurare al nascituro il rispetto delle modalità di adempimento delle

prestazioni alimentari fino al momento della nascita. Gli alimenti, infatti,

dovevano essere assicurati al concepito, persino rispetto al puer nato,

poiché egli nasceva non solo per i parentes, ma in verità anche per la res

publica, dato che, l’“aumento” del popolo (civitas augescens) era principio

ribadito sia nella giurisprudenza (Digesto), sia nella legislazione (Codice di

Giustiniano). La preminente difesa dell’interesse pubblico o, per meglio

dire, l’esigenza di pubblica difesa dei tre interessi, rispettivamente della res

publica, della donna e del concepito, imponeva, dunque, una nomina da

parte del magistrato del popolo Romano.

Il riferimento alla civiltà giuridica romana sembra doveroso, oltre

che fondamentale, poiché testimonia innanzitutto l’attenzione dei giuristi

Romani ai problemi reali dell’uomo, cui il diritto offriva riconoscimento e

tutela per il mero fatto che l’uomo “è”, ma anche per un sorprendente

quanto impensato intreccio tra pubblico e privato con cui la Res publica si

fece carico della protezione delle persone, con particolare riguardo ai

fanciulli, ritenuti deboli sino alla pubertà; basti por mente alla Lex Atilia,

anteriore al 186 a.C., con cui il pretore riceveva incarico di nominare un

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tutore a favore di quei fanciulli che ne fossero privi, trasformando il potere

di nomina in una forma di protezione dei deboli.

Questo principio, introdotto dalla giurisprudenza romana nel sistema

del ius civile, ha operato un mutamento qualitativo nelle categorie del

pensiero giuridico non solo classico, ma dell’intera civiltà giuridica

moderna, la quale tuttora ne mostra, come si vedrà, segni tangibili.

A fronte della concretezza del diritto romano, però, l’astrattezza e la

strumentazione concettuale moderna hanno condotto ad evolvere la

riflessione fino a domandarsi se qui in utero est abbia o meno capacità

giuridica, ovvero personalità e, dunque, se sia meritevole di tutela.

Tutto ciò costituirà l’oggetto della presente riflessione che, partendo

dal concepimento, seguirà l’intero percorso della vita umana, come un

continuum, nel quale si considereranno i momenti di particolare debolezza

dell’essere umano.

L’embrione in vivo, l’embrione in vitro, la clonazione, l’aborto, il

trapianto di organi, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia, mostrano la

necessità di una particolare attenzione che il legislatore deve riservare

all’uomo, nel rispetto della sua dignità, che, come si dimostrerà, è presente

dal momento originario della vita sino al suo definitivo completamento.

Il discorso prenderà le mosse proprio dal concetto di persona,

soffermandosi su profili giuridici e filosofici, al fine di meglio

comprenderne il significato, per giungere ad individuare la

regolamentazione italiana ed internazionale dell’individuo umano ed in

particolare le problematiche derivanti dalle molteplici valutazioni circa

l’embrione ed il momento iniziale della sua esistenza. Successivamente, vi

sarà un approfondimento di natura privatistica sull’istituto

dell’amministratore di sostegno, per verificare se vi siano i margini per una

sua applicazione, nell’ambito della fase originaria della vita, ma anche nella

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fase del suo declino, allo scopo di fornire adeguata tutela a chi si trovi in

una condizione diversa da quella del possesso massimo delle proprie facoltà,

fisiche e mentali, ma non per questo, meno meritevole di garanzie, in

quanto sempre e comunque “persona”.

Saranno considerate, infine, alcune situazioni particolari, che

sollevano l’esigenza di una regolamentazione giuridica ancora assente nel

nostro Paese e per le quali si delinea la possibilità di intervento proprio

dell’istituto dell’amministratore di sostegno, volto a garantire il rispetto dei

diritti fondamentali delle persone e, nella fattispecie, di coloro che

mostrano condizioni di maggiore debolezza, riconoscendo loro, in tutto

l’arco dell’esistenza, la titolarità del diritto di dignità e di uguaglianza.

3. La nostra Carta costituzionale, all’art. 33, comma 110, sancisce la

libertà dell’arte e della scienza11; ma i due riferimenti, pur contenuti nella

stessa norma, devono essere considerati alla stregua delle conseguenze che

l’esercizio di tali libertà comporta; infatti, se la prima è il risultato di

particolari movimenti culturali cui aderisce l’artista, producendo effetti

illimitati sulla sfera emozionale dei fruitori delle opere prodotte, la seconda,

pur rappresentando le esigenze di conoscenza dell’uomo, spesso, si

confronta con i limiti che derivano dalla sua applicazione.

Più precisamente, la realizzazione della conoscenza scientifica si

misura con il valore costituzionalmente garantito della persona e si intreccia

alle problematiche che l’etica e il diritto pongono soprattutto sul sentiero

10 L’art. 33, comma 1, Cost. stabilisce: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. 11 Sul concetto di libertà della scienza, utile è il riferimento a A. BALDASSARRE, Libertà, in Enc. giur. Treccani, Vol. XIX, Roma, 190, p. 20. Per un’analisi del principio di libertà di scienza, sui contenuti e limiti della stessa sulla sua autonomia dal principio di libertà di pensiero, cfr. A. MURA, in Comm. Cost., a cura di G. Branca, sub artt 33 e 34 Cost., Roma-Bologna, p. 210 e ss.

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della applicazione tecnologica, quando questa porti a risultati

scientificamente apprezzabili; a volte, degradando l’uomo a mero oggetto

della ricerca, negandolo come valore.12

Tale eventualità, pur essendo conseguita mediante l’esercizio di una

libertà costituzionalmente garantita, sarebbe evidentemente in contrasto con

il fondamento dell’intero ordinamento vigente, dato che esso esprime la

salvaguardia e la promozione della persona.13

Pertanto, all’interno di un sistema moderno, che privilegia l’aspetto

esistenziale rispetto a quello patrimoniale14, le scelte dell’ordinamento, con

riguardo al progresso della ricerca scientifica, della sperimentazione e sua

applicazione, non possono sottrarsi ad un giudizio di valore.

12 Sulla libertà della ricerca e della scienza e la sua promozione come ufficio dello Stato persona, v. E. SPAGNA MUSSO, Lo Stato di cultura nella Costituzione italiana, Napoli, 1961, e LABRIOLA, Libertà della scienza e promozione della ricerca, Padova, 1999, nonché M. NIGRO, Lo Stato italiano e la ricerca scientifica, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1972, pag. 740 ss. Ma anche F. MERLONI, Autonomia e libertà nel sistema della ricerca scientifica, Milano, 1990. 13 Sul principio personalista, nella dottrina costituzionale, v. C. MORTATI, Costituzione, (Dottrine generali), in Enc. d. Dir., XI, Milano, Giuffré, 1972, p. 136 ss; E. GRASSI, Introduzione allo studio dei diritti fondamentali, Padova, 1972; P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005. 14 L’art 29 dello Statuto Albertino del 1848 dichiarava “inviolabili”, “tutte le proprietà, senza alcuna eccezione” e altre costituzioni dell’epoca ne sancivano addirittura il carattere sacro. Il fondamento dell’intera organizzazione sociale era rappresentato dall’ istituto della proprietà, la quale era la manifestazione più significativa della libertà di ciascuno. Essa, infatti, consentiva l’accesso ai diritti politici e lo stesso diritto di voto era strettamente legato al possesso di un determinato “censo”. “Nella formula dello Statuto, quindi taluno riteneva di trovare conferma alla tesi per cui la proprietà privata, in quanto espressione della “libertà” dell’individuo, sarebbe un diritto “innato”, “di natura”, che i poteri pubblici possono soltanto eccezionalmente comprimere, ma sempre rispettandone la priorità rispetto alla stessa organizzazione dello Stato”, A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, XII ed., Milano, Giuffrè, 1985. Anche nel codice civile del 1942, si sancisce che “Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà” (art. 834), ma l’idea stessa di proprietà muta profondamente con la Costituzione del 1948, poiché essa non è più dichiarata “inviolabile” o intangibile tanto che di essa non se ne fa riferimento alcuno nelle norme dedicate ai “principi fondamentali ”(artt. 1- 12), i quali, invece, esaltano la tutela dell’uomo e le manifestazioni della sua personalità in tutte le sue forme.

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“La nostra Costituzione ha fatto una scelta personalistica non una

scelta scientista, illuminista; ciò significa che ha posto a fondamento del

nostro ordinamento il rispetto, la tutela, la promozione della persona

umana 15 e a questa tutela, promozione, rispetto, la stessa scienza è

debitrice non dal punto di vista semplicemente morale, ma dal punto di

vista giuridico in attuazione della gerarchia dei valori giuridicamente

rilevanti. Quanto alla relazione tra diritto ed etica16 dire che non c’è diritto

senza etica e che un’etica senza diritto è soltanto una creazione del mondo

delle idee, che non si è mai realizzato né é storicamente realizzabile. Questi

due aspetti vanno esaminati contestualmente, avendo spesso il diritto un

contenuto etico e la regola morale un contenuto che finisce con l’essere

giuridico, specie in un ordinamento come il nostro, nel quale è sempre più

frequente l’impiego della tecnica legislativa per le clausole generali. Esiste

comunque il problema di moralizzazione del diritto, giuridizzazione

dell’etica”17.

Lo sviluppo tecnologico e l’avanzamento della ricerca scientifica,

nonché l’attenzione, molto recente, alla bioetica, intesa quale “studio del

15 Per la positività del principio: P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, ESI, 1984, p.77 ss. I percorsi della positivizzazione si rileggono in V. ATRIPALDI, Il catalogo delle libertà civili nel dibattito in assemblea costituente, 8° ed., 1979. 16 Su etica, manipolazioni e tecnologie biologiche, A. KAUFMANN, Biotecnica e bioetica, in Progetto, 1988, p. 71 ss. Sui problemi giuridico-morali: M. MORI, La fecondazione artificiale. Questioni morali nell’esperienza giuridica, Milano, 1988; AA. V.V., Questioni di bioetica a cura di M. Mori, Roma, 1988;V. PANUCCIO, Il difficile rapporto tra diritto e scienza di fronte ai segreti della vita, in Nomos, 1989, I, p. 55; M. NIGRO, Lo Stato italiano e la ricerca scientifica, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, p. 743. L. D’AVACK, Ordine giuridico ed ordine tecnologico, Torino, 1998; AA. VV. Biogenetica, procreazione artificiale, etica giuridica e diritto positivo, in Dir. Fam., 1997, p. 1220; V. POCAR, Sul ruolo del diritto in bioetica, in Sociol. Dir., 1999, p. 164. 17 P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Problemi del diritto civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005.

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comportamento umano nell’ambito delle scienze della vita e della salute”18,

ha condotto il diritto a considerare alcune problematiche che richiedono, in

primis, un intervento giuridico relativo alla vita, intesa quale valore

fondamentale, e alla corporeità umana: aborto chirurgico e chimico,

procreazione medicalmente assistita, diagnosi prenatale, clonazione,

produzione e prelievo di cellule staminali, eutanasia, accanimento

terapeutico, trapianti di organi e tessuti, sperimentazione sull’uomo,

genoma umano e, poi, interventi relativi alla vita animale e vegetale e

all’ambiente. L’intervento dell’uomo sull’origine della vita, desta

perplessità, ma anche accesi conflitti di valori e interessi che necessitano di

una regolamentazione giuridica19.

Il principio antico, in base al quale si considera giuridicamente

essere umano – anche quando non lo si qualifichi come persona – il

concepito non nato – che va protetto – è stato raccolto nondimeno, lungo i

secoli posteriori, in molti codici costituzionali e civili di aree geografiche e

culturali assai lontane: come la serie di Costituzioni provinciali argentine,

che prevedono anche un tutore per gli embrioni congelati, in Brasile, in

Paraguay20, in Perù. In questo Paese sud americano, l’art. 1 del Codice

Civile del 1984, afferma espressamente, che “ La vita umana comincia col

concepimento”.

18 Secondo la definizione contenuta in REICH. W.T. (ed.) Encyclopedia of Bioethics, New York: The free press, 1978, vol. I: XIX. 19 J. HABERMAS, Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskursthorie des Recht und des demokratischen Rechtsstaats, Frankfurt a.M., 1992, trad. It., Morale, Diritto, Politica, Torino, 2001; é questa un’opera che riflette sui legami tra morale, diritto e politica. Nell’ambito tematico di questo lavoro, v. P. ZATTI, Dal consenso alla regola: il giurista in bioetica, in Riv. Critica dir. Priv., 1994, p. 523, il quale afferma: “ il passaggio dalla bioetica al “bio-diritto (…è il) passaggio da un magma di esperienze e di fatti scientifici, sociali, istituzionali, della comunicazione e del consenso, a interventi di regolazione giuridica”. 20 La Costituzione del Paraguay del 20.6.1992, all’art. 4, recita: “ la protezione del diritto alla vita è garantita in generale al momento del concepimento…”.

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Il nascituro è dunque soggetto di diritti 21 e a conferma di tale

principio, non può essere trascurata la decisione della Corte Suprema di

Costarica del 15 marzo 2000 che, con riferimento alla fecondazione in vitro,

afferma che, in base ai principi costituzionali e internazionali sui diritti

umani, l’embrione va considerato soggetto di diritto; ed anche la Corte di

Giustizia argentina che, nel dichiarare nella decisione del 5 marzo 2002,

incostituzionale il commercio della “pillola del giorno dopo”, perché

abortiva, afferma il principio che “pro homine informa todo el derecho de

los derechos humanos”22.

Vi sono esempi di fedeltà al principio romano, anche in epoche più

remote, come il Codice Civile dell’Impero d’Austria (1812) e il Codice

napoleonico (21 marzo 1804); senza dimenticare, peraltro, il Codice Civile

della Repubblica Popolare Ungherese (24 marzo 1968), quello giapponese

(Mimpo del 1896, parti I- III, e del 1898, parti IV e V), ma anche quello

della Repubblica di Cuba (1987), che tende a tutelare il nascituro, fatto

salvo che nasca vivo, come le Costituzioni dell’Ecuador 23 e del

Madagascar24.

Tutta questa grande tradizione giuridica è stata possibile per quasi

trenta anni, fino al moltiplicarsi, nella seconda metà del sec. XX, delle

legislazioni permissive dell’aborto, poiché il rispetto di ogni vita umana, in

ogni momento del suo sviluppo, si era andato solidamente formando, anche

21 CASTÁN VÁZQUEZ J.M., El comienzo de la existencia humana en la corrente ibérica del pensamento jurìdico, in AA. VV., L’inizio della persona nel sistema giuridico romanista, Roma: Università di Roma “La Sapienza”, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Centro Mediterraneo per le Nuove Professioni, 1997: 107-114, p.113 22 Con ciò definendo il diritto alla vita non già un semplice “diritto umano”, ma “un diritto a favore dell’uomo”. 23 La Costituzione dell’Ecuador è del 5.6.1998 e, all’art. 49, dispone: “…Lo Stato assicura e garantisce il diritto alla vita del concepito…” 24 La Costituzione del Madagascar del 19.8.1992, all’art. 19, stabilisce: “Lo Stato riconosce il diritto alla protezione della salute di ogni individuo dal concepimento..”.

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se non sempre tutelato, sulla base della ontologia dell’essere umano, della

persona, della sua singolare dignità e superiorità nei confronti degli altri

esseri viventi.

I diritti umani25 rappresentano un terreno di incontro tra il diritto26 e

la bioetica, rispetto alla quale molti ordinamenti nazionali, come pure

l’Unione Europea, assieme ad organizzazioni internazionali27, ma anche ai

Tribunali ordinari, amministrativi 28 e alle Corti Costituzionali, hanno

affrontato i problemi derivanti dal progresso della medicina, con particolare

attenzione29.

25 Tale espressione la si ritrova per la prima volta in Europa, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unire il 10 dicembre 1948. Essa si ricollega ad una profonda considerazione (cfr. G. CAPOGRASSI, La Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e il suo significato, in Opere di Giuseppe Capograssi, Vol. V, Milano, Giuffrè, 1959, pp. 37-50) maturata durante un periodo storico in cui si elaboravano teorie su “vite degne” e “vite meno degne”, scaturita in un documento di fondamentale importanza a livello internazionale, quale appunto la Dichiarazione appena menzionata. 26 Il nuovo ambito di studio è stato denominato “bio-diritto” o “bio-giuridica”. Il primo termine sembra sia stato concepito dall’Università Nazionale “Andrés Bello” di Santiago del Cile, per attirare l’attenzione dei partecipanti al Congresso che la stessa Università aveva organizzato (1-2.10.1993) sulle conseguenze giuridiche del progresso biotecnologico. Cfr. CUYAS M., Responsabilità e biodiritto, La Civiltà Cattolica 1994, IV:148. Per il termine “bio-giuridica”, cfr. PALAZZANI L., Introduzione alla biogiuridica, Torino, Giappichelli, 2002. 27 BOMPIANI A., LORETI BERGHÉ A. MARINI L., Bioetica e diritti dell’uomo nella prospettiva del diritto internazionale e comunitario, Torino, Giappichelli, 2001. Ma anche : HAUT COMMISSAIRE DES NATIONS UNIES AUX DROIT DE L’HOMME, Résolution 1997/71 sur Droit de l’homme et bioéthique, 16-4-1997 (in offset). NATIONS UNIES, Les Conférences mondiales: Etablir les priorités pour le XXIe siècle, 1997 (www.un.org/french/events/confmondhtm) 28 T.A.R. Lazio, 12 ottobre 2001, n. 8465, con cui ha dichiarato parzialmente illegittimo il decreto ministeriale relativo alla vendita del Norlevo nelle farmacie. A Riguardo: CASINI M., DI PIETRO M. L., La commercializzazione del Norlevo: dal decreto n. 510/200 del 26 settembre 2000 del Ministro della Sanità alla sentenza n. 8465/2001 – 12ottobre del Tar Lazio, Il Diritto di famiglia e delle Persone, 2002,2-3: 428-457. 29 La letteratura offre numerosi contributi con riguardo al rapporto tra bioetica, diritto e diritti umani. Tra questi: D’AGOSTINO F., Bioetica e diritto, Medicina e Morale, 1993,4, pagg. 675-690; ID., Dalla bioetica alla biogiuridica, in BIOLO S. (a cura di), Nascita e morte dell’uomo, Marietti, Genova, 1993, pagg. 137-147; Id., Tendenze culturali della bioetica e diritti dell’uomo, in BOMPIANI A. ( a cura di ), Bioetica in medicina, Roma:

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La velocità con cui il progresso scientifico si muove, impedisce,

sovente, una tempestiva riflessione etica ed applicazione giuridica. Si pensi

che nel Preambolo della Convenzione Europea di Bioetica, firmata ad

Oviedo il 4 aprile 199730, si afferma che gli Stati firmatari sono “coscients

des rapides développements de la biologie et de la médicine”. Pur

impegnandosi a proteggere l’essere umano, nella sua dignità ed identità e a

garantirne l’integrità, la Convenzione lascia volutamente equivoco il

termine “essere umano”, attribuendo ai singoli Stati il compito di chiarirne

la portata, la cui primazia dipenderà dai vincoli che i singoli ordinamenti

imporranno alla ricerca scientifica.

Si ha pertanto la percezione di una continua inadeguatezza nella

capacità di fornire risposte appropriate, di una minaccia ai criteri di giudizio CIC, 1996, pagg. 48-54, Id., Bioetica nella prospettiva del diritto, Torino, Giappichelli, 2000; Id., La bioetica come problema giuridico. Breve analisi di carattere sistematico, in SGREGGIA E, MELE V., MIRANDA G. (a cura di), Le radici della bioetica, vol. I, Milano: Vita e pensiero, 1998, pagg. 203-211; DALLA TORRE G., Le frontiere della vita. Etica, bioetica, diritto, Roma, Edizioni Studium, 1997; SGREGGIA E., Bioetica e diritti dell’uomo, in Scritti in onore di Giudo Gerin, Padova, CEDAM, 1996, pagg. 427-433; ZATTI P., Verso un diritto per la bioetica, in MAZZONI A. (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, Bologna, Il Mulino, 1998, pagg. 63-76; Id., Bioetica e diritto, Rivista Italiana di Medicina legale, 1995, XVII, pagg. 3-20; FRENI S., Biogiuridica e pluralismo etico-religioso, Milano, Giuffré, 2000; SGREGGIA E., CASINI M., Diritti umani e bioetica, Medicina e morale 1999, 1, pagg. 17-47; MÉMETEAU G., Bioéthique et droit: mythes ou enrichissement?, in ISRAËL L., MÈMETEAU G., (sous la direction de), Le mythe bioétique, Paris, Edition Bassano, 1999, pagg. 97-125; BUSNELLI F.D., Bioetica e diritto privato. Frammenti di un dizionario, Torino, Giappichelli, 2001; POCAR V. Sul ruolo del diritto in bioetica, Sociologia del Diritto, 1999, 1, pagg. 157-165; VILA - CORO M.D., Introducciòn a la Biojurídica, Madrid: Univeridad Complutense, 1995; SMITH G. P., II, Human Rights and Biomedicine, The Hague Kluwer, 2000; LEON CORREA F. J., Los derrechos humanos come base de la legislacion en bioetica, Persona y Bioetica, 2000, 2001, 11, 12, pagg. 123-125; COSTANZO A., Nuclei del biodiritto, Bioetica e Cultura, 2002, 21, pagg. 51-66; MEULDERS-KLEIN M.T., DEECH R., VLAARDINGERBROEK P. (eds.), Biomedicine, The Family and Human Rights, The Ague: Kluwer, 2002; MASSUÉ J.-P., GERIN G., Diritti umani e bioetica, Roma Sapere 2000 Edizioni multimediali, 2000; COMPAGNONI F., D’AGOSTINO F. (a cura di), Bioetica, diritti umani e multietnicità, Milano, San Paolo, 2002; ADORNO R., Biomedicine and international human rights law: in search of global consensus (http://www.who.int/ bulletin/tableofcontents/2002/vol.80no.12.html). 30 Ratificata in Italia con la L. 28 marzo 2001, n. 145.

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ormai consolidati, di un senso di incertezza sui fini che l’azione umana

deve perseguire, proprio quando le conquiste scientifiche approdano a

risultati imprevedibili31.

E tutto questo si avverte soprattutto se si affrontano temi che

implicano il principio di responsabilità dell’uomo moderno32.

L’etica va mutando. Oggi, infatti, essa si muove all’interno di una

condizione umana che non è più sussumibile nella mera natura dell’uomo e

delle cose, le quali, individuando semplicisticamente quale fosse il bene

umano, circoscrivevano la portata del suo agire in un ambito molto ristretto.

Oggi, il progresso scientifico e tecnologico ha mutato non soltanto la

natura della condotta umana, ma anche il rapporto dell’uomo con la natura,

rispetto alla quale egli avverte, conseguentemente, quasi una nuova ed

impensata responsabilità.33. L’homo faber, rivolgendo a se stesso la propria

arte, ne diventa oggetto come homo materia, minacciando la vita

dell’umanità, in quanto il suo agire può avere conseguenze, a lungo termine,

anche disastrose e catastrofiche. Ciò da cui si deve rifuggire è la nascita di

31 Cfr. J. BAUDRILLARD, La Trasparence du Mal, Paris, 1990, trad. It. , La trasparenza del male, Milano, 1991, che scrive: “Quando le cose, i segni, le azioni, vengono liberati dalla loro idea, dal loro concetto, dalla loro essenza, dal loro valore, dal loro riferimento, dalla loro origine e dal loro fine, allora entrano in un’auto-produzione all’infinito. Le cose continuano a funzionare mentre l’idea che le accompagnava è da tempo scomparsa” (p. 12 dell’ed. italiana). Per un rapido resoconto della condizione in cui versa il discorso etico della contemporaneità, J. RUSS, La pensée éthique contemporaine, Paris, 1994, trad. it., L’etica contemporanea, Bologna, 1997, p.10. 32 Come afferma H.JONAS, in Das Prizip Verantwortung, Frankfurt a.M., 1985, trad. it. Il pricipio di responsabilità, Torino, 1990. Ma anche J. MONOD, La science et ses valeurs, in Pour une éthique de la connaissance, Paris, 1998, trad. it., Per un’etica della conoscenza, Torino, 1990, p. 93, che precisa: “Nessuna società può sopravvivere senza un codice morale basato su valori compresi, accettati e rispettati dalla maggioranza dei suoi membri. Noi non abbiamo più niente del genere”; A. MACINTYRE, After virtue. Study in moral theory, Notre Dame (indiana), trad. it., Dopo la virtù, Milano, 1998, p. 12-13 che dichiara: “Ciò che possediamo sono i frammenti di uno schema concettuale… Ma abbiamo perduto, in grandissima parte, se non del tutto, la nostra comprensione, sia teorica, sia pratica, della morale”. 33 Così si esprime H. JONAS, Op. cit, p.31.

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un “nichilismo nel quale il massimo di potere conquistato dall’uomo, si

unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere

intorno agli scopi da raggiungere” 34. Ecco dunque che l’uomo, con la

conoscenza, infrange limiti che si pensavano invalicabili, con la

conseguenza che il senso stesso del limite diventa sempre più precario ed

incerto, allargandosi sempre più.

L’evoluzione del progresso scientifico, fondata sulla

generalizzazione e sul principio di causalità, si scontra così con la

universalizzazione e il principio di finalità insiti nell’uomo35.

4. Nel tentativo di rispondere alle domande fondamentali sulla

accettabilità delle condotte umane 36 , l’attuale dibattito conosce

proficuamente due categorie di proposte in alternativa: la prima, fondata su

una visione metafisica dei problemi, senza trascurare la questione

dell’essere e del soggetto; la seconda, basata su presupposti postmetafisici e

razionalizzanti che, “prescindendo da ogni opzione di valore, condizionano

la eticità delle condotte e delle scelte” 37 , le quali condurranno,

successivamente, alla condivisibilità delle procedure di selezione delle

decisioni finali.

Secondo la visione metafisica, proprio in base al “principio di

responsabilità”, sull’agire umano impera un dovere incondizionato

dell’umanità ad esserci, evitando di fare dell’esistenza o dell’essenza

34 Ancora H. JONAS, Op. cit, p.31. 35 L’ordinamento giuridico rappresenta il limite della libertà scientifica, la quale vi trova la proclamazione del minimo etico, indispensabile per rendere possibile in ogni caso la convivenza, poiché il rispetto di diritti umani ne rappresenta il nucleo indiscutibile e il fondamento della legittimità. 36 Per un’interessante digressione sul punto, F. DI MARZIO, Tecnologie biomediche e diritto: ambito e limiti di applicazione alla luce della legge nazionale, comunitaria ed internazionale. Limiti di sperimentazione sull’uomo, in www.lex.unict.it. 37 Ancora F. DI MARZIO, Op. ult. cit.

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dell’uomo, “una posta in gioco nelle scommesse delle sua condotte,

preoccupandosi di difendere e custodire l’integrità futura dell’uomo

stesso” 38. Tale imperativo si giustifica soltanto con il rispetto intrinseco

dell’uomo, quale valore universale ed autoevidente. I riflessi di questa

filosofia, si ritrovano anche tra le righe della Convenzione di Oviedo, in cui

si afferma che: “ Le progrès de la biologie et de la médicine doivent être

utilisés pour le bénéfice des générations présentes et futures”. Il “principio

di responsabilità” assume, dunque, rilievo proprio in ragione

dell’ampliamento delle possibilità di scelta rispetto alle “tecnologie della

libertà”39, al fine di decidere per una opzione razionale, che non sconfini in

un frettoloso, quanto pericoloso, arbitrio.

Il pensiero post-metafisico valorizza, per converso, l’aspetto della

comunicazione della condotta umana, ponendo la scelta di valore quale

scopo della comunicazione stessa, dove etica e politica e, dunque, scelte

legislative, possono riempirsi di valori decisi attraverso la comunicazione e

l’accordo per una scelta equa40.

38Così H. JONAS, Op. cit p. 16 dell’ed. it. Nell’ambito della riflessione bioetica, anche. M. LAPPÉ, Ethical Iussues in Manipulating the Human Germ Line, in Bioethics, a cura di H. Khuse e P. Singer, London, 2000, p.155. 39 S. RODOTÀ, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p. 151. 40 Su questi fondamenti si articola la proposta della giustizia come equità formulata da J. RAWLS, A Theory of Justice, Cambridge, Mass., 1971, trad. it., Una teoria della giustizia, Milano, 1997, poi sviluppata nella tesi sul liberalismo politico e sull’idea di ragione pubblica, essenzialmente procedurale e rispettosa del pluralismo ideologico presente nella società democratica: “La fervida aspirazione a portare l’intera verità nella politica è incompatibile con l’idea di ragione pubblica che accompagna quella di cittadinanza democratica” (J. RAWLS, The idea of public reason revisited, 1997, in Collected Papers, Cambridge, Mass. 1999, trad. it., Saggi, Torino, 2001, p. 276). Per una recente teorizzazione della giustizia nell’era della globalizzazione, che accentua il carattere procedurale della giustizia, respingendo qualsiasi istanza sostanziale e contenutistica, in quanto incompatibile con l’abbattimento delle frontiere della riflessione e della comunicazione, v. S. SECA, La bellezza e gli oppressi. Dieci lezioni sull’idea di giustizia, Milano, 2002, spec. p. 63). Questa azione comunicativa è già di per sé proceduralmente etica, dato che presuppone il mutuo riconoscimento dei partecipanti, e quindi di una loro uguaglianza nella dignità e nella libertà: una reciproca responsabilità. Così, in generale, J.

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Le teorie dell’etica procedurale si riflettono nelle scelte del

legislatore europeo, il quale, già dalla Carta Europea dei Diritti

Fondamentali affermava, nel Preambolo, che “i valori indivisibili e

universali che fondano il patrimonio spirituale e morale dell’Unione

(dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà) vanno mantenuti e

sviluppati nella diversità delle diverse culture, delle tradizioni e delle

identità nazionali”; pertanto, all’interno di un assetto normativo europeo

che si ispira al rispetto delle diversità culturali, religiose e linguistiche

(art.22), il dibattito su argomenti così fondamentali appare necessario e

irrinunciabile41.

Accanto a queste due teorie, si pone la bioetica42, in relazione alla

quale, appare necessario tracciare un brevissimo excursus.

HABERMAS, Theorie des Kommunicativen Handelns, Frankfurt a. M., 1981, trad. it., Teoria dell’agire comunicativo, Bologna, 1986. 41 Esso è promosso pure dalla Convenzione Europea sulla Bioetica, che, nel suo Preambolo, riconosce “L’importance de promouvoir un débat public sur les quéstions posées par l’application de la biologie et de la médecine et sur les réponses à y apporter”. 42 Sul punto, cfr. T.L. BEAUCHAMP e J.F. CHILDRESS, Priciples of Biomedical Ethics, New York, 1994, trad. it., Principi di etica biomedica, Firenze, 1999, il quale ha introdotto il metodo dei principi (di rispetto dell’autonomia, di benevolenza, di non maleficenza e di giustizia) fondato su premesse deontologiche e pluralistiche da un lato ed utilitaristiche dall’altro su cui, peraltro, le considerazioni di G. VATTIMO, Etica dei principi e filosofia continentale: una lettura, in Bioetica, 2001, p. 636; ma anche H. T. ENGELHARDT, The fundations of bioethics, New York, 1986, trad. it., Manuale di bioetica, Milano, 1991 (basato sulla premessa dell’insuperabile pluralismo che caratterizza le società evolute e articolato sulla promozione del principio dell’autonomia decisionale riconosciuta in capo ai soli soggetti senzienti quali unici esseri morali). Un approccio metafisico fondamentale è quello cattolico, fondato sul personalismo. A tal proposito, vanno ricordati, E. SGREGGIA, Manuale di bioetica. I Fondamenti ed etica biomedica, Milano, 1996 e, per una critica alle istanze pluraliste, A. PESSINA, Bioetica. L’uomo sperimentale, Milano, 1999. Importante in ambito il contributo di F. D’AGOSTINO di cui si indica la raccolta di saggi Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, 1998. Sul dibattito bioetico intorno al concetto di persona, cfr. L. PALAZZANI, Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Torino, 1996 e i contributi raccolti in I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, a cura di E. SGREGGIA e G.P. CALABRÒ, Lungo di Cosenza, 2002.

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5. L’interesse del diritto agli interventi della scienza, in generale,

sulla vita e sull’uomo, nella sua fisicità 43 , hanno aperto un nuova

prospettiva di studio, denominato “biodiritto” 44 o “biogiuridica” 45 ,

all’interno della quale si colloca tutta la riflessione sui diritti umani46.

43 Si pensi, solo per esemplificare tale circostanza, alle varie legislazioni e ai processi legislativi in corso sull’aborto, sulla procreazione artificiale, sull’eutanasia, sui trapianti; alle risoluzioni del Parlamento Europeo sui problemi etici e giuridici sulla fecondazione artificiale in vivo e in vitro e sui problemi etici e giuridici della manipolazione genetica(16.03.1989), sulla clonazione ( 12.03.1997; 15.01.1998; 7.09.2000); alla Direttiva europea sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (6.07.1998); alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa sull’ingegneria genetica (934/1982), sull’uso degli embrioni e feti umani per finalità diagnostiche, terapeutiche, scientifiche e commerciali (1046/1986), sull’uso degli embrioni e feti umani nella ricerca scientifica (1100/1989), sulla protezione e la dignità dei malati incurabili e dei morenti (26.03.2002); La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Convenzione di Bioetica) approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19.11.1996 e sottoscritta ad Oviedo il 4.03.1998 da venti Paesi europei, tra cui l’Italia e seguita dal protocollo sulla clonazione(1988) e dal protocollo relativo al trapianto di organi e di tessuti di origine umana (2001) e la Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e Diritti dell’Uomo, emanata dall’Unesco l’11.11.1997.

44Del biodiritto possono essere individuati tre aspetti tra loro perfettamente integrabili. Sotto

un primo profilo, il biodiritto si mostra quale evoluzione della bioetica e

manifestazione più esplicita del suo carattere interdisciplinare (biodiritto inteso nella

sua dimensione pratico-operativa), cfr. E. SGREGGIA, Questioni emergenti in bioetica,

Medicina e Morale, 1995, 5, pp. 931-949. Sotto un secondo aspetto, esso si pone come

tentativo di dare rilevanza giuridica e pubblica, attraverso leggi, raccomandazioni,

direttive, risoluzioni, a singole e gravi problematiche bioetiche (biodiritto inteso come

bio-normazione e bio-legislazione). Sotto un terzo profilo, il biodiritto si presenta

come vera e propria scienza giuridica, intesa come “forma di conoscenza, autonoma,

raccordata, ma non subordinata ad altre dimensioni della conoscenza ed in

particolare della conoscenza morale” (così F. D’AGOSTINO, Dalla bioetica alla

biogiuridica, in C. ROMANO, G. GRASSANI (a cura di), Bioetica, Torino; UTET, 1995:

199-204, p.200), al fine di costruire una disciplina del pensiero giuridico “coerente

con quei principi generali del diritto che esprimono il valore della giustizia e che

danno qualità giuridica alle norme stesse” (così G. DALLA TORRE, Presentazione al

Volume di A. BOMPIANI, A. LORETI BERGHÉ, L. MARINI, Bioetica e diritti dell’uomo

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Il biodiritto si estende verso tematiche ed argomenti che non tutti i

Paesi hanno affrontato e risolto, sotto il profilo giuridico, ma che

interessano l’intera umanità e, quindi, tutti gli ordinamenti giuridici,

chiamati a disciplinare, garantire, tutelare i diritti dell’uomo, a partire dalla

sua dignità.

nella prospettiva del diritto internazionale e comunitario, Torino, Giappichelli, 2001),

ma anche BELLINO F., Bioetica e qualità della vita: fondamenti; BESA, Nardò (Le),

1999. 45 Cfr. L. PALAZZANI, Introduzione alla biogiuridica, Torino, Giappichelli, 2002. 46 Per quanto riguarda il rapporto tra bioetica, diritto e diritti umani, si possono ricordare alcuni tra i numerosi contributi presenti nella letteratura esistente, tra cui: F. D’AGOSTINO, Bioetica e diritto, Medicina e Morale 1993, 4: 675-690; ID., Dalla bioetica alla biogiuridica, in S.BIOLO (a cura di), Nascita e morte dell’uomo, Marietti: Genova, 1993 pp. 137-147; ID., Tendenze culturali della bioetica e diritti dell’uomo, in A. Bompiani (a cura di), Bioetica in medicina, Roma: CIC, 1996: 48-54, ID., Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, Torino, Giappichelli, 2000; ID., La bioetica come problema giuridico. Breve analisi di carattere sistematico, in E. SGREGGIA, V. MELE, G. MIRANDO, (a cura di), Le radici della bioetica, vol. I, Milano: Vita e pensiero, 1998:203-211; G. DALLA TORRE, Le frontiere della vita. Etica, bioetica, diritto, Roma: Edizioni Studium, 1997, E. SGREGGIA, Bioetica e diritti dell’uomo, in Scritti in Onore di Guido Gerin, Padova: CEDAM, 1996: 427-433; P. ZATTI, Verso un diritto per la bioetica, in A. MAZZONI, (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, Bologna, Il Mulino, 1988: 63-76; ID. Bioetica e diritto, Rivista Italiana di Medicina Legale, 1995 XVII: 3-20; S. FRENI, Biogiuridica e pluralismo etico-religioso, Milano, Giuffré, 2000; E. SGREGGIA, M. CASINI, Diritti umani e bioetica, Medicina e Morale, 1999, 1: 17-47; G. MÉMETEAU, Bioéthique et droit: mythes ou enrichissement?, in L. ISRAEL, G. MÉMETEAU (sous la direction de), Le mythe bioéthique, Paris, Edition Bassano, 1999, pp. 97-125; F. D. BUSNELLI, Bioetica e diritto privato, Frammenti di un dizionario, Torino, Giappichelli, 2001; V. POCAR, Sul ruolo del diritto in bioetica, Sociologia e diritto, 1999, 1: 157-165; M.D.VILA-CORO, Introducción a la Biojurídica, Madrid: Universidad Complutense, 1995; G.P. SMITH II, Human Rights and Biomedicine, The Hague: Kluwer, 2000; F.J.LEON CORREA, Los derechos humanos come base de la legislacion en bioetica, Persona y bioetica, 2000, 2001, 11, 12, pp.123-125; A. COSTANZO, Nuclei del biodiritto, Bioetica e cultura, 2002, 21, pp. 51-66; M. T. MEULDERS-KLEIN, R. DEECH, P. VLAARDINGERBROEK (eds.) Biomedicine, The Family and Human Rights, The Hague; Kluwer, 2002; J-P. MASSUÉ, G. GERIN, Diritti umani e bioetica, Roma: Sapere 2000, Edizioni Multimediali, 2000; F. COMPAGNONI, F. D’AGOSTINO, (a cura di), Bioetica, diritti umani e multietnicità, Milano, San Paolo, 2002; R. ADORNO, Biomedicine and international human rights law: in search of a global consensus (www.who.int/bullettin/tableofcontents/2002/vol.80no).

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La bioetica, muovendosi dalle relazioni individuali tra i singoli

uomini, affronta argomenti di vasta portata, come, ad esempio, il nascere e

il morire, ma anche il soffrire, il “non contare”, “il non potere”, il

relativismo.

La dignità della vita umana riesce, così, a fornire di contenuto il

valore dell’uguaglianza, unendo il valore della giustizia (rispetto di ogni

essere umano e dei diritti fondamentali) e della certezza 47, evitando le

pericolose conseguenze provocate dal predominio dell’arbitrio.

L’idea di dignità umana e di uguaglianza, intesa questa come mera

espressione formale della legalità, implica la volontà di promuovere una

protezione/promozione globale dell’essere umano 48 , garantendolo

47 Sul tema del rapporto tra diritto e giustizia e tra diritto e certezza, interessanti sono gli scritti di alcuni insigni giuristi che si sono avvicinati a tali argomenti, in considerazione delle vicende del secondo dopoguerra; tra tutti, G. CAPOGRASSI, Il problema fondamentale, Opere di Giuseppe Capograssi, vol. V, Milano, Giuffré, pp. 29-34; L. OŇATE , La certezza del diritto, Milano, Giuffré, 1942; F. CARNELUTTI, La certezza del diritto, Rivista di Diritto Processuale Civile 1943, XX:81-91; P. CALAMANDREI, La certezza del diritto e le responsabilità della dottrina, Rivista di Diritto Commerciale, 1942, I, p. 341 e ss. 48 Tale tutela deve essere garantita anche quando si proceda con la sperimentazione sull’uomo e sull’essere umano allo stadio iniziale. In quest’ultima ipotesi, il discrimine tra il lecito e l’illecito non appare agevolmente tracciabile sulla scorta di criteri di giustizia procedurale; non appare fondabile il criterio del consenso, dato che la vita allo stadio embrionale non è capace di esprimere. Il confronto, allora, va posto nel piano della scelta dei valori. In Europa convivono convinzioni etiche, decisioni politiche e regolamentazioni giuridiche spesso contrastanti, che comprendono sia il divieto pressoché assoluto degli esperimenti, sia la loro ammissione e regolamentazione. In Austria vige il divieto all’uso di embrioni al di fuori di programmi di fecondazione assistita (cfr. il Fortpflanzungsmedizingeset, 1 luglio 1992); l’art. 24 novies della Costituzione elvetica vieta la formazione e la manipolazione di embrioni per scopi scientifici; la legge francese vieta in generale la sperimentazione sugli embrioni, ma la ammette, in via eccezionale, previo consenso dei genitori (cfr. L. 27 maggio 1997, n 97 - 613); in Inghilterra la sperimentazione è consentita nell’ambito dei primi 14 giorni di vita dell’embrione e appositamente regolamentata (cfr. art. 3 dell’Human Fertilisation and Embrioly Act del 1990); in Spagna, pur essendo vigente il divieto di creazione di embrioni per scopi scientifici, si ammette la ricerca sui pre – embrioni, previo consenso delle persone da cui provengono i gameti ( artt. 3 e 15 della Ley 35/1988 de 22 noviembre sobretécnicas de riprodiccion assistida). Riferimenti in F. D. BUSNELLI E E. PALMIERINI, Bioetica e diritto privato, in Enc. dir., Aggiornamento, V, 2001, p. 148, nota 44.

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universalmente nella sua individualità come persona fisica, nel suo

benessere, nella sua identità spirituale, nella sua uguaglianza in tutti gli

aspetti, sia nella vita privata che associata, nella famiglia, nel lavoro, nella

organizzazione politica della società, nelle relazioni internazionali49.

In tale contesto, l’intervento della Convenzione Europea di Bioetica

non segna alcun confine marcato tra sperimentazione terapeutica e

sperimentazione pura, ed evita, in particolare, di affrontare la questione

cruciale dello statuto dell’embrione. Tuttavia, essa fissa dei punti

imprescindibili, che sono lo sviluppo e l’estrinsecazione del valore

fondamentale della dignità umana50.

Il valore della vita umana è dunque uguale per tutti e, per questo, il

mondo intero deve essere organizzato attorno all’uguale dignità di ogni

essere umano. Il pilastro su cui poggia tutta la costruzione dei diritti umani

è rappresentato proprio dalla circostanza che “Il riconoscimento della

dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana costituisce il

fondamento della libertà, della giustizia e della pace”51.

49 Più direttamente, nell’ambito della bioetica, si ha il riconoscimento ufficiale del diritto alla vita (art. 3 Dichiarazione Universale dell’Uomo), dell’integrità fisica, con il conseguente divieto di tortura e di trattamenti degradanti (art. 5), del riconoscimento della capacità giuridica (art. 6), del diritto di assistenza sanitaria, sia garantendo preventivamente la salute, sia riconoscendo il diritto di aiuto in caso di malattia (artt. 22 e 25), del diritto alla protezione della maternità e dell’infanzia (art. 25), del diritto alla famiglia (artt. 16 e 25). 50 Essi sono: il divieto di discriminazioni fondate sulle caratteristiche genetiche (art. 11); la limitazione dei test predittivi alle sole patologie genetiche (ma sia per fini medici che per fini di ricerca) (art. 12); liceità del trattamento del genoma umano solo per ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e sempre che vi sia lo scopo di introdurre una modificazione del genoma della progenie (art. 13); divieto di selezione del sesso (art. 14); ammissibilità degli esperimenti sull’embrione umano, ma solo se la ricerca garantisce una tutela adeguata all’embrione e fatto salvo il divieto di creazione di embrioni da destinare alla ricerca (art. 18). 51Così, G. CAPOGRASSI, Il diritto dopo la catastrofe, in Opere di Giuseppe Capograssi…p. 183. La crisi del valore dell’uomo è avvertita dall’Autore che, se pur precedente all’attuale dibattito bioetico, sembra operare un giudizio su correnti di pensiero presenti e operanti nella società moderna, come si può apprezzare dalle seguenti affermazioni, tratte dalla

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Tale principio deve fugare ogni dubbio, allorché ci si accosti ai

risultati che una ricerca scientifica, libera da vincoli di natura morale, può

raggiungere attraverso la sperimentazione sugli embrioni. Il dissidio tra

scienza e diritto, infatti, si genera proprio quando si voglia individuare,

all’interno del processo di sviluppo dell’embrione, la costituzione di un

essere che possa essere definito come individuo.

6. Volgendo lo sguardo alla tradizione giuridica romana, dalla quale

sia l’ordinamento italiano, sia quello di molti altri Paesi europei, traggono

le proprie matrici, non si può non rammentare il noto precetto in base al

stessa Op. cit. pp. 154-156, 162, 191, alla luce delle efferatezze naziste delle due Grandi Guerre: “Alle radici della crisi c’é…una falsa ma centrale idea dell’umanità e della vita. L’umanità non ha valore per sé….quello che vale è il fine, lo scopo che i gruppi dominanti vogliono realizzare, e verso il quale vogliono avviare l’individuo…Il tremendo della crisi è che questa falsa idea ha cacciato dall’animo di molti nostri contemporanei l’idea dell’uomo. Ha abolito in molte coscienze l’idea dell’uomo. Vale a dire, per parlare con più chiarezza, ha tolto dall’animo di molti nostri contemporanei la persuasione che tutti gli uomini sono uomini…..Svegliata la sua attenzione dall’accanirsi della storia sopra l’individuo, l’umanità nella sua parte più viva ha intuito la vera fonte di tutti i pericoli proprio in quella idea mortale dell’individuo come forza vuota e disponibile…E perciò quasi per contrapposto….ha proclamato, che alla base di tutto il mondo umano della storia è appunto, al di là di ogni determinazione, l’uomo come tale con l’esigenza fondamentale di essere quello che è; e alla base della ricostruzione ha posto l’uomo come valore originario e finale con i suoi diritti fondamentali”. Il processo di Norimberga e, in particolar modo, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, saranno la risposta conseguente. Quest’ultima ha contribuito altresì alla affermazione più vivace dei diritti dell’uomo anche in medicina, sia per quanto riguarda lo sviluppo dei diritti del malato, sia per quanto concerne le linee guida etico-deontoligiche emanate da organizzazioni professionali specifiche e da organismi internazionali. Si pensi alle Federazioni degli Ordini dei Medici e l’Associazione medica Mondiale e alla loro normativa di carattere deontologico che attinge proprio alla riflessione sui diritti umani. Sul punto, Il Codice di Norimberga (1946), il Codice di Etica medica (1948), la Dichiarazione di Ginevra (1948), l’International Code of Medical Ethics (1949), la Dichiarazione di Helsinki (adottata nel 1964 e rivista in più tempi fino al 2000).

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quale “hominum causa omne ius constitutum est”52. L’uomo, dunque, per

dirla con Rosmini, “è il diritto umano sussistente”53.

Ma chi è titolare dei diritti umani?

Secondo l’orientamento funzionalistico-attualistico, che determina la

persona, sulla scorta della coscienza/autocoscienza, è possibile che esistano

individui umani non ancora/non più persone. A tale tesi aderisce

ENGELHARDT, il quale, negando la equiestensionalità dei termini “essere

umano” e “persona”, distingue, la persona in senso stretto, "in quanto

agente morale", dalla persona in "senso sociale”, alla quale vengono

accordati all'incirca i pieni diritti delle persone in senso stretto, come nel

caso dei bambini piccoli. Egli riconosce un senso sociale di persona anche

ai neonati, benché esso non sia così forte o così sicuro, come quello degli

infanti in generale.

“Non tutti gli esseri umani sono persone…. I feti, gli infanti, i

ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza

costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità sono membri della

specie umana”54.

Tuttavia la definizione di persona, come ente dotato di coscienza o di

autocoscienza o di stati psichici, non risolve il problema, perché essa dà il

“concetto” della persona, ma ne coglie solo una qualità, un aspetto o un

attributo, che non è fondamentale, cioè relativo ai suoi caratteri essenziali55.

Infatti, nella operazione di definizione delle caratteristiche essenziali

di un ens, ci si accorge che, ontologicamente, esse sono presenti oppure no,

52 GAIO, Institutiones, 1,I. 53 ROSMINI A., Filosofia del diritto, Diritto derivato, parte I, libro I, cap. 3 (nell’ediz. naz., vol. XXXV, p. 191) citato da COTTA S., Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica, Milano, Giuffré, 1991, p. 95, nonché da CASINI M., Op. cit., p. 79. 54 H. ENGELHARDT, Manuale di bioetica, New York, 1986. 55 Così, POSSENTI V., Individuo e persona, in www.portaledibioetica.it.

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perché si possa individuarlo in modo netto; al contrario quelle che

afferiscono alla qualificazione di elementi squisitamente accidentali56, che

sono suscettibili di cambiamento (come ad esempio, la crescita, la

privazione, la diminuzione, lo sviluppo), non sono determinanti per la sua

connotazione.

Procedendo alla definizione di una cosa, si selezionano le sue

proprietà, determinando una classe di “oggetti”, presenti in tutti coloro che

le possiedono. Tuttavia, con questa operazione non si riesce ancora a

risolvere il problema di attribuire una definizione reale, dato che la

proprietà prescelta per la sua caratterizzazione, potrebbe non essere

“essenziale” in senso proprio.

Nell’ambito della ontologia, che è anche scienza del reale, si

richiedono definizioni reali e primitive, non già l’ipostatizzazione 57 di

singole proprietà, che talvolta, pur apparendo importanti, non risultano

essere primarie. Quando si procede alla determinazione del concetto di

persona, ne deriva che saranno arbitrariamente eliminati dalla “classe di

persone”, individui che lo sono, ma che mancano del carattere

abusivamente assunto come essenziale, ossia indicante direttamente la sua

essenza (in ipotesi: la coscienza, oppure l’autocoscienza). E la ricerca del

56 Per una interessante comprensione delle operazioni logiche e delle procedure di qualificazione, definizione e sussunzione, cfr. LANTELLA L., Operazioni elementari di discorso e sapere giuridico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2004. 57 Ipostasi, dal greco hypostasis, da hypo ("sotto") e stàsis ("stare"). Nella filosofia neoplatonica e in Plotino, la generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla stessa sostanza divina, la quale crea ogni cosa per emanazione. Nel cristianesimo il processo di ipostasi è relativo all'unione dei principi divini ed umani, ovvero l'incarnazione del divino rappresentata da Cristo o semplicemente il processo attraverso il quale dal concetto assoluto di Dio, si fa derivare necessariamente la sua esistenza sostanziale. Per estensione, il termine "ipostatizzare" viene usato in filosofia ad indicare il passaggio arbitrario di un puro concetto in sostanza materiale (il termine dunque asseconda il significato legato all'atto dell'incarnazione, ovvero del passaggio di qualcosa dal concetto astratto alla sostanza fisica).

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concetto attiene alla essenza della cosa in sé e non già ad una mera

generalizzazione.

Per quel che riguarda la persona, l’elemento essenziale che la

caratterizza in modo inequivocabile è la sua natura spirituale e non il

maggior grado o minor grado di coscienza.

Infatti, le qualità, i caratteri, le funzioni che la caratterizzano

possono progressivamente modificarsi, senza, però, che tale variazione sia

in grado di privarla delle sue proprietà essenziali.

Come essentialia negotii, essi sono presenti sin dal primo istante in

cui si forma la sostanza in oggetto e si perdono con la sua dissoluzione; ma

quelli non essenziali possono essere posseduti prima, anche potenzialmente,

per poi svilupparsi ed infine declinare.

I caratteri e le funzioni, come la vista, la parola, la coscienza

possono crescere, diminuire o addirittura mancare; la coscienza o gli stati

psichici possono subire delle graduazioni, ma non ne provocano una

mutazione ontologica, in quanto la persona umana non è meno persona se

diventa cieca, se perde la memoria, se non riesce più a parlare o a

camminare. La coscienza è un tratto della persona, ma non rappresenta un

carattere determinante, nel senso che la sua mancanza non segna

categoricamente l’assenza dell’esser persona, cioè della natura spirituale;

infatti, il principio universale del rispetto della persona deve rivolgersi alla

persona come tale, non solo perché è dotata di coscienza. In questa ipotesi,

il rispetto sarebbe indirizzato ad una semplice qualità che caratterizza la

persona e non già alla persona in quanto tale.

Pertanto, l’individuo umano, o meglio, l’ “essere umano” appare di

per sé “persona”, nonostante la possibilità di essere talvolta privo di

coscienza o autocoscienza (o della capacità di relazione o di altra

caratteristica).

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Attraverso la considerazione che ogni teoria riserva proprio al

concetto di persona ed al suo rapporto con l'essere umano58, tra le principali

correnti di pensiero, che a vario titolo si sono interessate dell'argomento, vi

sono quelle che posticipano il sorgere della "persona" (in senso ontologico)

al manifestarsi della vita. Queste concezioni nascono con lo scopo di offrire

agli operatori criteri di utilità, per risolvere pressanti problemi concreti;

tuttavia, le stesse possono essere utilizzate anche a danno dell'uomo: N.M.

FORD, P. SINGER, M. TOOLEY, e H.T. ENGELHARDT ne sono autori

emblematici. Attraverso l'analisi delle loro opere, è possibile seguire il loro

percorso interpretativo, che pone come termini di riferimento il concetto di

persona e quello di essere umano.

Per N. M. FORD59, il concetto ontologico di persona è successivo a

quello di essere umano. Egli pone a fondamento della propria concezione la

definizione boeziana di persona ("rationalis naturae individua substantia"),

riconoscendovi i criteri attraverso cui poter stabilire la presenza di una

"entità": essi sono presenti solamente dopo il 14° giorno dalla fecondazione.

Lo zigote, infatti, prima di tale data, sarebbe un essere configurato

solamente in senso biologico; in seguito acquisterebbe la propria

dimensione ontologica. Gli interventi su questa creatura perciò, prima del

14° giorno, configurerebbero esclusivamente una trasgressione morale, non

ledendo alcun soggetto di diritto. FORD, però, tende a selezionare i "fatti

notevoli" (i parametri tecnici del discorso scientifico) in forma pregiudiziale,

ossia in funzione di un concetto già definito ed appiattito sull'idea di

"individuo". Solo se l'essere è in grado di mostrare il suo carattere

58 cfr. PALAZZANI L., Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Torino, Giappichelli, 1996. 59N.M. FORD, When did I begin ? Conception of the human individual in history, philosophy and science, Cambridge University Press, Cambridge 1988.

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individuale ha la possibilità di vedersi considerato persona. L'individualità

diviene dunque segno, crisma di una possibile fondazione ontologica.

All’interno delle teorie c.d. "separazioniste", paradigmatico appare

l'utilitarista SINGER60. Tali concezioni, pur accettando l'identificazione tra

persona ed essere umano, negano che l'essere stesso inizi nel momento nel

quale ha origine la vita e ne procrastinano l'inizio del completamento del

processo di fertilizzazione al momento o dell'instaurarsi della relazione

fisica con la madre o quando diviene impossibile la gemellazione o

l'ibridazione (la fatidica data del 14° giorno). Per SINGER solamente chi è in

grado di "sentire" neurofisiologicamente ha in sé la capacità di soffrire e

quindi può godere di una considerazione etica e giuridica. Il concetto di

persona quindi è definito in questo modo: "l'ente autocosciente

indipendentemente dalla sua natura". Da ciò si dedurrebbe che non tutti gli

esseri umani siano persone e, per converso, non tutte le persone siano esseri

umani; l'intento di Singer è, infatti, quello di porre a fondamento della

morale e del diritto, con riferimento all'essere umano, non la ragione e

l'autocoscienza, ma la coscienza e la sensibilità. Queste caratteristiche

devono manifestarsi per poter essere valutate dall'osservatore esterno,

prescindendo completamente dalla considerazione della natura del soggetto

che "sente" (sia esso uomo o ad es. animale superiore).

Le teorie che posticipano l'inizio dello statuto personale a momenti

cronologicamente successivi al concepimento o alla nascita sono

rappresentati, paradigmaticamente, dalla tesi di M. TOOLEY 61 L’Autore

identifica il concetto di persona con quello di "soggetto titolare del diritto

alla vita". Nella sua prospettiva, ciò che identifica il soggetto meritevole di

considerazione giuridica è la c.d. "capacità conativa", ossia la proprietà di

60 P. SINGER, Etica pratica, Napoli, 1989. 61 In M.TOOLEY, Abortion and infanticide, Clarendon Press, Oxford, 1983.

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avere interessi, desideri. Questa concezione riprende una forma di

utilitarismo molto nota, che si può agevolmente sintetizzare così: solamente

chi nutre interessi è degno di avere diritti.

La variante innovativa di TOOLEY consiste nella individuazione delle

proprietà necessarie e sufficienti per poter nutrire diritti: l'attualità del

desiderio, la sua stabilità ed il possesso di una autocoscienza. Di

conseguenza, il momento in cui un essere umano raggiunge questo stadio di

sviluppo è un momento sicuramente successivo alla nascita62.

Ancora di H.T. ENGELHARDT 63 , afferma che il principio di

“autonomia”, temperato da quello di “beneficenza”, caratterizza la sua

“concezione contrattualistica”. L'autonomia, come categoria ontologica,

consiste nel "dare prova", nel manifestare estrinsecamente quei

comportamenti che possono individuare l'essere come agente morale. Tale

visione è tipica della post-modernità, in quanto considera sufficiente, per

fondare il momento etico, una quantità minima di consenso tra le diverse

concezioni relative ai problemi bioetici. Ma le teorie contrattualistiche,

dietro un'apparente rispetto per le varie opinioni, nascondono in realtà una

forte intolleranza che può essere ben sintetizzata in due argomenti:

1. qualora le concezioni di diverse comunità morali si

traducessero in comportamenti di fatto incompatibili, in maniera simultanea,

risulterebbe di fatto preminente la volontà aggressiva del più forte a causa

della mancanza di criteri adeguati per la soluzione pratica di eventuali

controversie;

62 Sul punto, cfr. L. PALAZZANI, Il concetto di persone tra etica e diritto, Giappichelli, Torino, 1996, la quale sottolinea l'emergere di un curioso paradosso: più la definizione del concetto di persona si allarga, più sembrerebbe restringersi il campo di soggetti che vi rientrano. 63 in ENGELHARDT H.T., The foundations of bioethics, New York, Oxford University Press, 1986)

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2. l'intolleranza è maggiore verso chi non è in grado di

manifestare pienamente la propria autonomia: chi "dipende" da altri, infatti,

non può essere soggetto di alcun tipo di accordo (che, invece, per

definizione si deve stabilire tra esseri autonomi).

Una volta tracciato il dibattito teoretico tra le diverse concezioni, si

pongono due direttrici di riflessione che, a dire della Palazzani, sintetizzano

l'intero panorama bioetico: 1) - il riconoscimento di valenze pragmatico-

operative alla scienza medica, nella concreta determinazione di un criterio

discriminante dei confini di liceità nell'intervento sulla vita umana; 2) -

l'ambiguità semantica dell'espressione "persona", che resiste come luogo

rappresentativo dei diversi problemi bioetici.

Inaspettatamente, però, si assiste ad un rinnovato vigore nell'utilizzo

di questa espressione, all'interno di quelle concezioni bioetiche che si

ispirano ad una sensibilità empirista, mentre le dottrine di stampo

metafisico guardano con sospetto alle nuove formulazioni del termine,

poiché nasconderebbero una svalutazione di quell'essere umano privo delle

caratteristiche ritenute essenziali. Il problema denunciato dalla autrice

consiste, quindi, nelle possibili discriminazioni relative allo sviluppo

psichico o fisiologico dell'essere umano.

Il negare o concedere, di volta in volta, la qualificazione ontologica

di "persona", la quale dipende da criteri non certi e, al limite, del tutto

arbitrari, significa, in realtà, negare o riconoscere una ragione di tutela

giuridica ad un essere non dotato delle caratteristiche utili alla comunità

stessa.

Non sembra condivisibile il presupposto, assunto dalla PALAZZANI

come dato "certo", che la definizione di persona sia stata

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"....originariamente elaborata per caratterizzare l'essere umano reale"64. Il

punto critico sta proprio in questo: se si parte da una tale considerazione, si

giunge necessariamente a ritenere la persona come la somma delle

caratteristiche valutabili empiricamente.

Invece, seguendo percorsi di riflessione semantica differenti - ad

esempio quelli indicati dal concetto di maschera o di volto - si potrebbe

rappresentare con maggiore fedeltà la presenza nel termine "persona" di

due tratti caratteristici: quello occulto e quello manifesto. La poliedricità di

questo concetto impedisce di ritenere, che la sua origine risieda nella

semplice rappresentazione della realtà empirica dell'essere umano. A meno

di non considerare l'essere umano nulla più che la sua fisicità. Solo

considerando che "persona" sia un termine in grado di rappresentare ad un

tempo il soggetto ed il proprio oggetto, e quindi un "qualcosa" che

manifesta e nel contempo sottrae allo sguardo la propria natura, si potrebbe

comprendere il motivo che impedisce, ma nel contempo sollecita, una

definizione univoca e più rispondente alle necessità di accordo tra le diverse

concezioni bioetiche.

La definizione attualistica della persona, tramite gli stati psichici,

non appare pienamente reale ed ipostatizza una singola qualità. Adottando

la determinazione di persona, attraverso la individuazione di suoi attributi

non essenziali (come ad esempio la presenza degli stati di coscienza),

poiché essi hanno maggiore o minore intensità, si otterrebbe una

determinazione graduale e non essenziale di essa; conseguentemente, nella

classe delle persone, ve ne sarebbero alcune più persone di altre, creando

così un problema di individuazione del confine tra le “persone” e le “non

64 L. PALAZZANI, Op. cit. p. 224.

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persone”, poiché la coscienza - per restare aderenti all’esempio appena

accennato- possiede anche stati crepuscolari.

La coscienza (meglio, la razionalità) é un segno della persona, che

fluisce dalla sua natura essenziale ad un certo grado di sviluppo

dell’individuo, ma non può certo essere considerata carattere determinante

della e per la sua essenzialità.

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Capitolo II

Il non nato e i suoi diritti

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Sommario: 1. L’embrione: qualcosa o qualcuno? La tutela giuridica. – 2.

L’essenza della persona e la libertà. La dignità umana. - 3. I diritti del non

nato. La disciplina italiana. – 4. Il diritto alla vita negli altri ordinamenti. –

5. Esperimenti sull’uomo, esperimenti sull’embrione. - 6. La dignità

dell’embrione. - 7. Soggettività e capacità giuridica: il concepito. Brevi

cenni.

1. Il rapporto tra bioetica e diritti umani declina in vari aspetti, tra

cui i trapianti, l’assistenza ai pazienti in fase cronica di malattia, la terapia

del dolore, la terapia genica, la sperimentazione clinica dei medicinali,

l’eutanasia, l’accertamento della morte; ma, tra i tanti profili possibili,

quello che sicuramente si presta ad un riscontro decisivo del pensiero

relativo al rispetto dei diritti umani, della dignità e uguaglianza è

sicuramente dato dal momento dell’inizio della vita e da quello della sua

fine. L’inizio della vita suscita indiscutibilmente maggiore attenzione, in

quanto la domanda che ci si pone è: il concepito è qualcosa o qualcuno?

L’esigenza di una definizione del concepito si è avvertita anche a

livello europeo; infatti, se la Raccomandazione 1046/1986 del Consiglio

d’Europa ha rilevato l’assenza di una norma che definisca la condizione

giuridica dell’embrione, due Risoluzioni del Parlamento europeo,

sull’ingegneria genetica e sulla procreazione artificiale umana del 1989,

hanno espresso l’attesa di una definizione dello status dell’embrione e del

feto.

I progressi scientifici e le spinte tecnologiche verso l’applicazione

concreta della conoscenza della utilità degli embrioni, sia per curare

malattie genetiche, sia per realizzare la fecondazione artificiale, hanno reso

la risposta ancor più urgente e fondamentale, dato che il concepito può

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trovarsi o meno nel grembo materno (con la tecnica della fecondazione

extra corporea), può subire aggressioni alla vita (può essere crioconservato,

prodotto in soprannumero per poi essere soppresso, creato per il prelievo

delle cellule staminali, subire lesioni durante la gravidanza) ed, infine, può

diventare lo strumento per raggiungere scopi nuovi e diversi, come la cura

di malattie genetiche.

Al contrario di quanto è avvenuto all’epoca in cui si dibatteva

sull’aborto, dato che qui, l’interesse primario della previsione normativa era

non la sua liceità, bensì, la garanzia di una pratica idonea a salvaguardare la

salute della donna, oggi il raggiungimento delle finalità terapeutiche,

attraverso l’embrione in vitro, spostano l’attenzione sul bene primario da

tutelare: la salute e la vita.

Pertanto, mentre l’aborto legale si é affermato in contrasto con le

acquisizioni scientifiche relative all’identità del concepito, l’utilizzazione

terapeutica dell’embrione porterebbe ad un contraddittorio disconoscimento

della umanità dello stesso65.

Ma, indicare le caratteristiche che l’essere umano deve possedere per

essere titolare di diritti è rispettoso degli stessi?

Espressione come “ognuno”, “ogni persona”, “ogni individuo”,

“tutti”, “nessuno”, contenute nelle Costituzioni e nelle Carte internazionali,

che si riferiscono al riconoscimento della dignità umana o al diritto alla vita,

65 Il contrasto tra l’esistenza di leggi che consentono l’aborto, contemporaneamente il non voler negare umanità al concepito, senza rinunciare ai principi di uguaglianza e dignità umana che costituiscono l’aspetto più alto e moderno della cultura giuridica, è presente in ampi dibattiti parlamentari che precedono le legislazioni in materia di procreazione assistita. Sul punto, appare rilevante il paragrafo dell’Avis n.67 sur l’avant – projet de révision des lois de bioéthique del Comité Consultatif National d’Ethique, dedicato alla ricerca sull’embrione, in cui si afferma: «Ces réflexions s’inscrivent dans un débat philosophique et éthique qui n’est pas clos et qui ne le sera peut-être jamais», in www.ccne-ethique.org.

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hanno condotto a chiedersi se contengano implicitamente anche il

riferimento al concepito.

In realtà, tutti i diritti di cui l’uomo è titolare, presuppongono

l’esistenza del soggetto medesimo, poiché ne costituisce il dato pre -

giuridico del diritto medesimo.

Pertanto, l’esistenza umana e il diritto alla vita ad essa collegato

appartengono ad un nucleo primordiale che precede la legge scritta e ad

essa si impone, “potendo essere rispettato anche se non scritto”66 .

La legge italiana sulla interruzione volontaria della gravidanza, n.

194/1978, come la Convenzione sui Diritti del Fanciullo 67 omettono il

riferimento al momento di inizio della vita umana.

L’art. 1 di tale Convenzione, infatti, nei considerando, riconosce che

“il bambino necessita di speciale salvaguardia e cura, inclusa una

appropriata protezione legale sia prima che dopo la nascita” e definisce

fanciullo “ogni essere umano al di sotto del 18° anno di età”(art. 1). Nel

rispetto della più alta tradizione giuridica romana, tale convenzione

internazionale segna il momento in cui i fanciulli hanno bisogno di

maggiore tutela, in quanto soggetti deboli 68 , ma è così pure il Patto

Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1996, che vieta l’esecuzione di

una sentenza capitale nei confronti di donne incinte69.

66 Così CASINI M., Diritti dell’uomo, bioetica, embrione umano, in Medicina e morale 2003/1,85 67 Conclusa a New York il 20 novembre 1989. 68 Benché il diritto romano fissasse il raggiungimento della pubertà a quattordici anni, nel rispetto della visione cosmogonica della vita umana che si presentava come multiplo di sette, ritenuto il numero intorno al quale si era costruito l’Universo (sette erano i pianeti, le note musicali, le fasi lunari) ed era articolata la vita degli uomini e delle città. La scelta della pubertà denota quanto si fosse radicata nella cultura romana la concezione che vedeva la vita dell’uomo, di ogni uomo, legata allo svolgersi di sequenze aventi carattere insopprimibile e universale. Così S. Tafaro, Op. cit., p. 17, nota 25. 69 La Corte Costituzionale polacca (sentenza del 28.5.1997), a proposito di un analogo divieto di eseguire la pena capitale su donne incinte, contenuto nel codice penale, ha

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L’estensione paritaria dei concetti di “individuo umano” e di

“persona umana” conduce, inevitabilmente, a considerare l’embrione

coincidente con il concetto di persona e dunque ad attribuirgli anche

giuridicamente tale status. “Una necessaria articolazione per tener dietro e

render conto della ricchezza del reale. Non è perciò detto che in società

pluraliste per stabilire lo statuto proprio dell’essere uomini si debba

rinunciare all’approccio ontologico e sostanziale”70.

Per tale motivo, il rispetto del diritto alla vita deve operare sin dal

suo momento originario. L'impegno a legiferare, dunque, dovrebbe essere

orientato in tal senso, pur considerando i nuovi varchi, aperti dalla

conoscenza scientifica, senza dimenticarne, però, il piano ontologico.

Pertanto, il rapporto fra la conoscenza di "un qualcosa" e la

possibilità d'intervenire sulla stessa, pone la problematica sul rapporto

“vita-scienza”, il quale diviene piano di analisi principale di riflessione.

Nell’epoca attuale, non vi è molta unitarietà tra la finalità dell’essere

e l'unitarietà della scienza (anzi: delle scienze), che si sono segmentate nelle

specializzazioni del sapere e che, di volta in volta, si sono proposte come

momenti di unificazione/assolutizzazione, contro un disinvolto relativismo

etico (basato proprio sulla ignoranza della scienza), per cui esse, invece di

portare un sostanziale beneficio alla vita umana, a volte, hanno finito col

complicarla ulteriormente. La scienza, e in particolar modo la tecnologia,

non sono teleologicamente tese verso il rispetto della vita, intesa nello

sviluppo delle sue leggi naturali, ma spesso sono orientate verso il mercato,

ritenuto che “c’è solo un motivo razionale di questa prescrizione e cioè il valore della vita umana che si trova nel grembo della donna condannata. La difesa della vita del feto viene prima di ogni altra ragione di politica criminale, la quale, nel caso della pena di morte, travalica anche il diritto alla vita della madre, ma si ferma di fronte al diritto alla vita del feto”. Questo a dimostrazione che i principi del diritto romano sono tuttora presenti, vigenti, viventi. Straordinariamente attuali! 70 Così, POSSENTI V., Op. cit.

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il profitto (clinico, sperimentale, farmacologico, ecc.) dei loro operatori71. Il

rapporto “vita-scienza” si è, così, allontanato dal suo status armonico;

quello che ha sollecitato, nella storia umana, il progredire effettivo del

rispetto dei diritti fondamentali.72. Trovano, così, piena giustificazione le

formazioni dei Comitati Etici 73 . Spesso, però, questa funzione viene

disattesa e, a far perdere fiducia nel rapporto vita-scienza, inteso come

rapporto vita, scienza e tecnologia, è proprio il mancato rispetto del

momento etico 74 . Infatti, alcuni operatori sanitari, proprio nel momento

dell’applicazione delle scoperte scientifiche, dimenticano che non sempre

può realizzarsi tutto ciò che è tecnicamente possibile, trascurando le

conseguenze future di una loro incauta applicazione al corpo umano.

71 Strategica, appare, al riguardo la previsione del “consenso informato” che trova fondamento costituzionale nel principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.). Sul punto e sulla evoluzione nella legislazione europea, cfr. F. DI MARZIO, Tecnologie biomediche e diritto…, op. cit. pagg. 10 e sgg. .- 72 Appare ormai non più condivisibile il principio baconiano secondo cui “non si trionfa sulla natura, se non obbedendole”; non si accetta più il principio secondo cui per obbedire alla natura è necessario conoscere le sue leggi, ma si agisce nella loro non completa conoscenza, o meglio nella voluta loro dimenticanza, pur di poter attuare una condotta finalizzata al coronamento del proprio interesse. In buona sostanza, gli obiettivi della ricerca scientifica risultano, nella maggior parte dei casi, in contrasto con le leggi della natura umana e, talvolta, anche in contraddizione con la tutela della salute delle persone. Cfr. R. DWORKIN, Il dominio della vita. Aborto, eutanasia e libertà personale (tr. It di Life’s Dominion. An argument about abortion and euthanasia, London, 1993), Milano, Comunità, 1993. Il termine “vita” si presta a molteplici interpretazioni a seconda che venga adoperato in senso scientifico, etico, giuridico, religioso, laico, ecc. 73 Istituiti con decreto del 18 marzo 1998, in G.U. n. 122 del 28 maggio 1998, Serie generale, ai quali si dovrebbe ricorrere, per il relativo parere, non solo al momento di scegliere le modalità di applicazione di una singola scoperta scientifica ai casi concreti, ma anche al momento di decidere la opportunità di applicare o meno una certa scoperta. 74 L’etica personalistica che ispira il nostro costituente pone a suo fondamento l’idea della persona come essere inviolabile, dotato di un valore intrinseco. L’idea del valore intrinseco è prescritta, secondo KANT, da un imperativo pratico, presente nella morale comune che egli così definisce: “Agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua come anche nella persona di ogni altro, sempre contemporaneamente come un fine e mai semplicemente come un mezzo”. Sull’etica kantiana, sulla bioetica e sui suoi fondamenti, si veda P. KEMP, Un’etica per il mondo vivente, AA. VV., Quale etica per la bioetica?, a cura di E. Agazzi, Milano, 1990. Sulla esigenza di superare la filosofia kantiana, in quanto esprime un soggettivismo etico, cfr. F. D’AGOSTINO, Bioetica, op. cit. p. 75 e ss.

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A non accettare la consequenzialità logica fra il piano naturale, il

piano scientifico, quello etico e quello tecnologico, sono coloro che

osservano l'imperativo tecnico senza averlo prima valutato sul piano etico,

con conseguenze dannose sulla persona umana75.

Lo scienziato che informi la sua condotta all'imperativo tecnico

senza compararlo con quello morale, può procurare non solo un danno alla

persona sottoposta ai suoi trattamenti, ma all’intera società.76.

75 La prova della giustezza di questa affermazione si ha nel momento in cui si considera "that in the long term hormone therapy can make for an increased risk of ovarian cancer. However, women who have not given birth and breast-fed (including infertile subjects) are at increased risk of subsequently contracting cancer of the ovaries" (Assisted Reproduction - A Report of The Danish Council of Ethics, Copenhagen 1995). La maternità ad ogni costo, quindi, implica dei rischi che non val la pena correre. Rischi che la paziente corre, a volte, a sua insaputa, perché non sempre, nel corso di una terapia ormonale finalizzata a vincere l'infertilità, il medico la informa, giustificandosi con l'incerta possibilità scientifica di dimostrare tale rischio; alcuni operatori, poi, giungono a sostenere, forse per tacitare la loro coscienza, che la terapia ormonale sarebbe solo causa di "risveglio" e non di insorgenza di un cancro. Spontanea nasce la domanda se, anche in tal caso, non si possa parlare di accanimento terapeutico, se tale pratica non sia da condannare eticamente e giuridicamente al pari delle terapie mediche straordinarie dirette a mantenere in vita ad ogni costo una persona, dopo che si è accertato, con competenza e coscienza, la cessazione irreversibile e completa delle funzioni cerebrali. 76 È il caso, ad esempio, stante l'ordinamento giuridico italiano in vigore, dell'inseminazione eterologa che, oltre a nascondere insidie nel seme del donatore, con consequenziali malattie non volute per il nascituro, può essere causa di azione di disconoscimento di paternità, prevista appunto dalle leggi dello Stato; ciò può comportare non solo un danno psicologico e sociale per il concepito con seme non appartenente al padre legale, ma anche una possibile frattura all’interno della famiglia, per il clima di avversione reciproca che si stabilirebbe fra i coniugi e i figli. È recente la notizia che il 25 giugno 2007, vi è stata innanzi il giudice monocratico del Tribunale di Roma, una causa promossa da un uomo che, avendo scoperto che la figlia fecondata in vitro non sarebbe stata da lui concepita, ha denunciato il ginecologo che ha effettuato il trapianto, il quale è stato rinviato a giudizio per truffa. È vero che la tendenza del legislatore italiano è quella di abolire tale possibilità con una sorta di equiparazione fra l'autorizzazione all'inseminazione eterologa e l'adozione. Tuttavia, non è certo che siano da preferire tali alchimie legislative, quando si può seguire la via indicata dalla consequenzialità logica dei piani cui si è fatto cenno in precedenza. Coerentemente con quanto sin qui prospettato, nel caso in cui non sia possibile avere un figlio con l'inseminazione omologa, si può pensare alla adozione che viene suggerita (art. 6 L. 40/2004) dal valore che l’ordinamento vigente attribuisce all’infanzia e alla sua tutela. Infatti il confronto tra l’inseminazione eterologa e l’adozione non dovrebbe essere misurato sul piano economico, in particolare in relazione al tempo e alle procedure necessarie, ma su quello della persona e dei suoi diritti

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La vita, sia essa quella di un embrione o di un malato terminale,

oppure quella di una persona nel pieno della sua maturità fisica e

intellettuale, non può mai essere valutata solo economicamente in quanto

costituisce un valore razionale, etico e spirituale.

Alla luce di tali argomentazioni, appare pacifico che il progresso

scientifico non possa prescindere da una valutazione dell’essere in tutte le

sue forme. La bioetica, dunque, si pone come la sola scienza in grado di

consentire la traduzione di un processo di mediazione tra etica e tecnologie,

a livello giuridico: il biodiritto.

E, in tale ottica, l’istituto dell’amministrazione di sostegno, come si

vedrà nel capitolo successivo, consente all’ordinamento giuridico italiano

di porsi all’avanguardia, per la sua straordinaria adattabilità ai diversi e

molteplici bisogni dell’uomo che necessiti di cura e sostegno.

2. Le riflessioni fin qui svolte, partendo dalla struttura ontologica

dell’essere, dimostrano che il terreno dal quale le stesse si diramano è

costituito dai diritti fondamentali della persona; diritti che si sviluppano e si

realizzano seguendo leggi naturali dell’ordine vitale presente nel progetto-

programma di ciascuno fin dal concepimento, nel rispetto della propria

identità sostanziale77.

fondamentali, dato che l'inseminazione e l'adozione riguardano, in prima istanza, l'esistenza e la salute di un essere e, successivamente, i costi necessari per una maternità assistita oppure per un'adozione. In breve se il ricorso al trattamento terapeutico per superare l'infertilità è sollecitato "by the desire to "have someone to live for, a need to give and receive love or "to see the line carried on", the desire to "be a family", to "be normal" or the desire to have an emotional safety not for old age" (Assisted Reproduction – A Report of Danish Council of Ethics) la comparazione fra trattamento terapeutico dell'infertilità e adozione non può essere considerata sul piano economico, poiché, in tal caso, il piano dei sentimenti si confonderebbe con quello del costo di realizzazione degli stessi. 77 Sul punto, vedasi, ex multis, AA. VV., I diritti dell’uomo, testi raccolti dall’UNESCO, Ed. di Comunità, Milano, 1960; L. BACCELLI, Il particolarismo dei diritti. Poteri

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Naturalmente, se sotto profilo giuridico, lo sviluppo e la continuità

sostanziale dell'identità della persona ci conducono verso la differenza fra

titolarità ed esercizio dei diritti, sotto il profilo esistenziale ci mostrano che

la persona si sviluppa nel tempo, in base ai suoi stessi potenziali. Pertanto,

se si ammette l'esistenza dei diritti fondamentali, quali il diritto alla vita e il

diritto alla libertà, considerati quali costitutivi della struttura ontologica

dell’essere umano, e quella dei diritti costitutivi della sua dimensione

sociale, che le consentono di affermare un'esistenza libera e dignitosa, si ha

non soltanto un'idea completa dell’uomo, osservato sul piano dei suoi diritti,

ma anche la consapevolezza dell'inviolabilità degli stessi. La loro

intangibilità, sia che si tratti di diritti personali, che di diritti sociali, sussiste

anche quando il fondamento della struttura ontologica della persona non si

rinviene nell'ordine insito nella sua essenza; infatti, ovunque si indichi il

fondamento di tale struttura, i suoi costitutivi, cioè la vita congiuntamente

alla libertà (non ci può esser libertà, se non c'è vita), sussistono comunque.

Sono presenti, ad esempio, sia con MARITAIN, quando, sulla scia di

TOMMASO, a fondamento dell'etica, si considerino le essenze insite nella

persona, sia quando con APEL, a partire da KANT, a fondamento dell'etica,

si considerino le condizioni delle argomentazioni indicate come

"incontestabili, per "chiunque" argomenti. Essi sussistono e non possono

essere rifiutati, pena la doverosità, per usare una similitudine di APEL

mutuata da ARISTOTELE, di considerare colui al quale fosse negata la libertà,

"come una pianta".

dell’individuo e paradossi dell’universalismo, Carocci, Roma, 1999; dello stesso Autore, Diritti senza fondamento, in “Teoria Politica”, 2, 2000, pp. 21 – 33; A. CASSESE, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Roma – Bari, 1988; S. COTTA, Diritto, Persona, Mondo Umano, Giappichelli, Torino, 1989; R. DWORKIN, I diritti presi sul serio, Il Mulino, Bologna, 1982.

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Fuor di metafora, l’essenza della persona, per la filosofia aristotelica,

e la libertà (condizioni di pensabilità), per la filosofia kantiana, sono

costitutivi propri della persona, che esistono originariamente in essa, come

suoi "arkai". Solo l'agire con una condotta turbata dalle passioni, o

l'abdicare all'universalità dell'imperativo morale, può farne un

comportamento apparentemente umano; più adeguatamente, solo la

concezione dell'uomo isolatamente considerato, staccato dall'ordine

universale, non rispettoso della sua vita, può portare alla violazione dei

diritti fondamentali della persona propria e altrui.

Sotto il profilo del rispetto dei diritti, in particolar modo di quelli

fondamentali, a giustificare il sacrificio del diritto alla vita delle persone

deboli e indifese è, quindi, solo il concetto di persona sopra accennato.

Tutte le altre concezioni, qualsiasi sia l'universalità contemplata nel loro

contesto, trascendente, immanente oppure di origine materialistica, non

giustificano nessun tipo di sacrificio del diritto alla vita, perché tutte

considerano le singole vite umane come promananti da un ordine universale

e, conseguentemente, come necessitate a tornare allo stesso nella

conclusione della loro esistenza.

Queste concezioni della persona, se apparentemente riconoscono un

limite alla libertà, consistente nel non operare contro la propria vita, né

contro quella degli altri, si dimostrano portatrici della vera libertà. Nel

contesto di queste concezioni, la persona, pur potendo usare la libertà in

modo nocivo alle leggi naturali di sviluppo della propria esistenza e di

quella degli altri, sceglie di operare, assecondando il naturale sviluppo

rivelativo di tali leggi.

In breve, vera libertà non significa operare come si ritiene,

indipendentemente dal rispetto della propria vita e da quella degli altri; né

vera libertà si ha se si opera come si ritiene più utile, nel solo rispetto di

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"tutto ciò che permettono le leggi"78. Vera libertà si ha, invece, se si opera,

nella sfera di azione individuale e sociale, rispettando i propri diritti e quelli

degli altri, essendo giusti nei confronti di se stessi e degli altri, comparando,

nella valutazione fra diritti di persone diverse, solo quelli della medesima

natura.

Se il diritto alla vita e il diritto alla libertà sono diritti fondamentali,

costitutivi della persona, non v'è dubbio che, se rispettati, danno ad essa la

sua naturale dignità. La dignità umana è dunque rivelazione di ciò che

l'essere umano è nella sua essenza e nella posizione che "ha nell'universo

degli esseri"79 .

Il diritto alla vita, il diritto alla libertà, fondati sulla ragione insita

nell'essenza umana, e la naturale socievolezza della stessa, caratteri propri

dell'antropologia filosofica di Aristotele, ribadita "anche dall'odierna

antropologia culturale"80, sono giustamente considerati i costitutivi della

struttura ontologica della persona umana.

I diritti fondamentali, espressione della struttura umana, non hanno

bisogno di essere esercitati tutti contemporaneamente per il riconoscimento

dell'esistenza della persona; a questo fine è sufficiente l'esistenza della loro

titolarità. Si può dire, perciò, che per parlare della vita di una persona è

sufficiente la titolarità e l'esercizio del diritto alla vita; non è necessario,

invece, l'esercizio contemporaneo del diritto alla libertà e delle facoltà da

essa implicate.

L'embrione e il feto, infatti, come pure il neonato, non esercitano

(non possono esercitare ex se) il diritto alla libertà, ma nessuno può negare

che nella loro essenza, costitutivamente, esso sia presente, e che sarà 78 MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, RCS, V ed. 1998; analogamente J. LOCKE, Due trattati sul governo, Rizzoli, 1998. 79 S. LENER, Il concetto di diritto e il diritto naturale, Civiltà Cattolica 1980. 80 S. LENER, Op. cit.

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esercitato quando le possibilità di rivelazione strutturale lo consentiranno,

anche da parte dei terzi. E l’istituto dell’amministrazione di sostegno ne è

una prova.

Pertanto, la dignità della persona spetta ad ogni singolo individuo,

non solo per ciò che egli fa oppure è, ma anche per quello che i potenziali

presenti nella sua "sostanza individuale" gli permetteranno di poter fare; per

essere, cioè, la sostanza stessa vivente di cui si compone la sua struttura

ontologica. La dignità appartiene a qualunque essere umano, anche in fieri e

ne discende una sua doverosa tutela giuridica.

Da quanto sin qui esposto, si deduce che i diritti sono costitutivi

della struttura della persona, indipendentemente dal loro esercizio o dal

tipo del loro esercizio; sono tali per tutte le persone, dal concepimento alla

morte. Non appare perciò condivisibile e soprattutto rispettosa della dignità

della persona, la distinzione che ENGELHARDT opera tra la persona in senso

stretto "in quanto agente morale" e la persona in "senso sociale”, alla quale

vengono accordati all'incirca i pieni diritti81. Egli, difatti, qualifica un essere

umano come persona, assumendo come suo presupposto l'esercizio

effettivo del diritto alla libertà ed una maggiore ragionevole certezza della

continuità dell'esercizio del diritto alla vita, di cui l'essere umano, è titolare

e l'esercita fin dal concepimento. In questa prospettiva, però, ENGELHARDT

non accetta le odierne conoscenze della biologia e, così facendo, non indica

limiti naturali alla funzione del legislatore, i quali vanno cercati nel rispetto

della consequenzialità logica dei piani precedentemente indicati. Ma è

proprio da tale rispetto che è necessario partire, se si vuole affrontare un

discorso completo e coerente sulla persona.

81 H. ENGELHARDT, Manuale di bioetica, New York 1986.

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Criticando ENGELHARDT, non si intende affatto disconoscere o

sminuire l'indispensabilità della libertà, come costitutivo della persona

umana. Un essere vivente, infatti, se non ha quale costitutivo della propria

persona il diritto alla libertà e le facoltà nelle quali essa si articola, non può

essere qualificato essere umano vivente. Ma non va affatto dimenticato che

la persona non esercita tutti i diritti contemporaneamente lungo tutto l'arco

della sua vita; ciò nonostante continua ad avere la stessa identità personale,

la quale si rivela in presenza di determinate condizioni. È opportuno, perciò,

rimarcare, a chi parla di diritti accordati alle persone in senso sociale, che le

condizioni non sono la causa e che la dignità è presente già nella causa e

non si acquisisce attraverso le condizioni.

Nell'indicare il concetto di persona, non si deve cadere nell’errore di

sostituirlo con il concetto di responsabilità che, se pur connaturato alla

persona morale, non deve essere confuso con quello di dignità che spetta

alla persona come tale, cioè per il solo fatto di essere persona,

indipendentemente dalla sua capacità di esercitare responsabilmente il

diritto alla libertà.

Il fondamento della persona in senso stretto, dunque, non può trovare

le sue radici nell’esercizio dei diritti, ma nella loro titolarità.

Altra cosa, invece, è distinguere tra persona responsabile,

consapevole delle azioni che fa, e persona non responsabile delle azioni

che fa a causa dell'età, di una malattia, di una condizione fisica o psichica. I

diritti scaturiscono direttamente dalla struttura della persona e non da

riconoscimenti esterni alla stessa. Essa si fonda sulla possibilità di esercizio

della libertà non condizionata oppure condizionata; nel primo caso si può

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esser responsabili, nel secondo, invece, non si può essere responsabili per

condizionamenti intrinseci alla sua struttura82.

La coincidenza fra l’essere-uomo e l’essere-persona rappresenta il

“momento” teoretico centrale della riflessione antropologica e della

riflessione bioetica. Dalla prima, deriva il convincimento che ogni

affermazione sull’uomo dipende, nei suoi contenuti, dalla affermazione o

negazione di quella coincidenza; dalla seconda, discende che il “primum

anthropologicum” è sempre anche il “primum ethicum”83.

Il senso fondamentale della coincidenza essere-uomo/essere-persona

consiste nell’affermazione che l’uomo è all’apice della categoria degli

esseri, costituito dall’essere persona.

Infatti, come dice S. Tommaso, “persona significat id quod est

perfectissimum in tota natura scilicet subsistens in rationali natura” 84 .

Affermare che essere-uomo ed essere-persona coincidono è la risposta alla

domanda: quale fra tutte le diverse forme di essere accessibili all’esperienza,

possiede il carattere di essere in senso pieno, primario ed eminente? La

82 Sostenendo la sua tesi, Engelhardt ha assunto una posizione analoga a quella che alcuni Stati nel secolo scorso assumevano quando consideravano le costituzioni una benevola concessione dei sovrani ai popoli. Il riferimento è alle "ben note" costituzioni ottriate. Posizione la sua, quindi, anacronistica, perché, se è vero che lungo la storia umana o la storia degli Stati esistono in ciascun popolo periodi di maggiore o minore consapevolezza delle proprie facoltà critiche, è pur vero che sul piano della filosofia della storia i costitutivi dello Stato sono sempre i medesimi, pur se sono più o meno attivi o sopiti. E non v'è dubbio che un maggiore rispetto dei diritti si abbia proprio nei periodi caratterizzati dalla presenza di una maggiore consapevolezza della natura della propria identità. Ha, così, una giustificazione il differente orientamento di due famose sentenze della Corte suprema degli U.S.A.; la sentenza del 1973, con cui essa si è pronunziata a favore dell'aborto, e a quella del 1997, con cui ha riconosciuto inesistente, sul piano costituzionale, il diritto di morire. 83 Cfr. CAFFARRA, Le radici della bioetica, intervento al Congresso Internazionale 1996. 84 S. TH.1, q. 29, a .3

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riposta è: l’essere-persona, che ritroviamo nel mondo a noi accessibile,

nell’essere-uomo. E dunque, in questo mondo, l’uomo in quanto persona è

al massimo grado dell’essere. E’ questo il senso della coincidenza di cui si

parla.

La dimostrazione di tale assunto si muove in due tempi. In prima

battuta, si deve mostrare che l’essere-persona possiede il carattere

dell’essere in senso pieno (id quod est perfectissimum); in seconda, che

l’essere-uomo non può non essere essere-persona.

La determinazione della superiorità di un grado dell’essere dipende

dalla individuazione di una serie di criteri per giudicare, per parlare di un

“più” o di un “meno”. Se con PLATONE, per esempio, si può ritenere che

quei criteri siano quelli della immutabilità e intelligibilità, nell’era moderna,

il problema dei “criteri dei gradi dell’essere” non è così facilmente

risolvibile.

La persona è in modo eminente una sostanza individuale autonoma e

in possesso di se stessa. Si tratta, dunque, di verificare non solo se la

persona possieda quelle caratteristiche in un grado superiore a qualunque

altra realtà, ma si tratta anche e soprattutto di verificare se le possieda

proprio in quanto persona, in un grado superiore a qualunque altra realtà. Il

punto di partenza è la comprensione che solo le realtà semplici sono in sé e

per sé. La realtà composta è nelle parti che la com-pongono ed esiste,

finché le parti sono com-poste. Come dice il linguaggio stesso: è una realtà

com-posta, cioè posta (in essere) con, a causa e nelle parti. Se le parti si

scompongono, la realtà cessa di essere. Se ora pensiamo ad una realtà non

composta di parti non identiche e realmente separabili, vediamo che questa

realtà è realmente, veramente, in sé e per sé: essa realizza un grado di

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essere sostanza, in grado sommo. Infatti, non vi è in essa quella dipendenza

che il tutto ha rispetto alle sue parti. Come è ben noto, chiamiamo queste

realtà semplici, sostanze-spirituali.

Questa “novità” che le sostanze spirituali introducono nell’universo

dell’essere, esige una riflessione ulteriore85, dato che l’uomo possiede in

grado eminente l’essere, perché ed in quanto egli è soggetto spirituale. Ma,

l’uomo non ha solo l’esperienza di avere un corpo, egli è anche un corpo.

Dunque, la persona umana in quanto sostanza o soggetto spirituale-

corporeo ha al contempo “diritto di cittadinanza” nell’universo delle

persone. Pertanto, la persona, in quanto sostanza spirituale, possiede le

85 “Se si volesse procedere ad un’analisi accurata dell’esperienza dell’essere, si potrebbe rilevare che, mentre non si ha mai l’esperienza diretta della “sostanzialità” del muro che sta di fronte a noi, ma la si deduce come supporto (sub-stare) del colore bianco del muro medesimo, si ha, al contrario, l’esperienza diretta, nella propria coscienza, del proprio stesso essere sostanziale. Non si deve “dedurre” dal proprio capire, dal proprio volere, per via del principio di causalità, l’esistenza del proprio io. Esso è “dato” nel proprio capire, nel proprio volere. Non è “dato” solo un volere, un capire e poi un soggetto che vuole comprende. Io ho l’esperienza che sono io che comprendo, che voglio”. Così, CAFFARRA, Op. cit., p.3. Presupposto questo, possiamo capire che l’auto-possesso e l’autonomia di cui si parlava poc’anzi, si realizzano nella sostanza spirituale, in un grado eminente e precisamente non in quanto sostanza, ma in quanto spirituale. “Che cosa infatti mi viene mostrato in questa coscienza che ho di me stesso? Che attraverso la conoscenza di sé, la sostanza spirituale ha un possesso di se stessa che non è presente nelle sostanze materiali. Ma è soprattutto nell’agire libero che l’auto-possesso e l’autonomo sussistere in sé della sostanza spirituale si realizza e quindi si manifesta. In questo agire, il soggetto o sostanza spirituale non è determinato dall’esterno: “non agitur, agit” continuamente ripete S. Tommaso. Esso (soggetto spirituale) muove se stesso: si appartiene e non appartiene ad altri”.

85 Prima di concludere questa riflessione, è necessario evitare un gravissimo equivoco che sta alla base della visione attualistica e processualistica che oggi è giunta al suo esito finale: la distruzione dell’io, del singolo. Affermare che la persona si realizza e si dà a conoscere nel suo grado eminente di essere, nella scelta libera e nell’auto-coscienza, non significa che la persona è la sua scelta libera e la sua auto-coscienza. Infatti, non esiste la scelta libera: esiste un soggetto che sceglie liberamente. “Hic homo intellegit”, insiste Tommaso contro l’averroismo.

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caratteristiche del grado eminente dell’essere, cioè, nel suo grado più alto.

Avendo così l’esperienza del proprio essere-sostanza o soggetto-spirituale

ed essendo precisamente “persona”, il nome della sostanza o soggetto

spirituale; si ha, in una parola, l’esperienza del proprio essere persona. La

coincidenza dell’essere-uomo e dell’essere-persona rivela che la persona

umana, nell’universo a noi accessibile, possiede l’essere in grado eminente.

3. Il 19 febbraio 2004 è stata approvata, in Italia, la legge n.4086

dedicata alla regolamentazione sulla procreazione medicalmente assistita.

Essa consente il ricorso alle tecniche di procreazione assistita solo se sia

accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della

procreazione, potendovi accedere coppie di maggiorenni di sesso diverso,

conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi 87, ponendo al

centro dell’attenzione legislativa l’esigenza di garantire preventivamente gli

interessi e i diritti al nascituro. Pertanto, si é voluto tutelare la presenza di

una doppia figura genitoriale, la salute, il benessere materiale e morale del

nascituro, e, poi, ancora, di conoscere le modalità della nascita e l’origine

genetica del bambino, attraverso un’informazione scientifica della coppia

che deve esprimere il proprio consenso, prima di sottoporsi a tali tecniche,

in modo espresso e consapevole (art. 6)88.

86In Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004. 87Escludendo da tale ambito, la possibilità di sottoporre a tali tecniche le donne in età avanzata, i singles e le vedove. Sul punto, appare interessante la riflessione sulle problematiche sollevate dalla procreazione medicalmente assistita in AA. VV., La fecondazione assistita. Riflessione di otto grandi giuristi, Ed. RCS, 2005. 88 ART. 6., L. N. 40 /2004: Consenso informato. 1. Per le finalità indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico informa in maniera dettagliata i soggetti di cui all'articolo 5 sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro. Alla coppia deve

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Questa legge vieta espressamente ogni forma di clonazione umana,

sia riproduttiva che terapeutica, e contiene due principi “forti”: la difesa

dell’embrione e il divieto di fecondazione eterologa, conseguenti al

principio fondamentale della difesa del valore supremo della vita.

Essa recepisce alcune istanze già espresse dal Codice di Deontologia

Medica del 1998, nel quale si impone al medico il divieto di porre in essere

“forme di maternità surrogata, forme di fecondazione assistita al di fuori di

coppie eterosessuali stabili, pratiche di fecondazione assistita in donne in

menopausa non precoce, forme di fecondazione assistita dopo la morte del

partner”89.

essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assistita. Le informazioni di cui al presente comma e quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell'uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa. 2. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi economici dell'intera procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate. 3. La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della giustizia e della salute, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione della volontà e l'applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo (10) (11). 4. Fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario. In tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione. 5. Ai richiedenti, al momento di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, devono essere esplicitate con chiarezza e mediante sottoscrizione le conseguenze giuridiche di cui all'articolo 8 e all'articolo 9 della presente legge 89 Il senso fondamentale di tale approccio è ben espresso dal rapporto del 1989 del Segretariato del Consiglio d’Europa sul lavoro svolto dal Comitato ad hoc sulle biotecnologie istituito dal Consiglio d’Europa nel 1985, nel quale si legge che “il comitato è stato unanime nel sostenere che le tecniche di procreazione artificiale non dovrebbero essere utilizzate se non quando esistano le condizioni per assicurare il benessere del nascituro, dandogli la possibilità di crescere in un ambiente che gli permetta il pieno dispiegamento delle sue capacità fisiche, mentali e morali”.

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Il varo della legge in discorso ha suscitato dibattiti nella comunità

scientifica e giuridica e ha condotto ad una serie di riflessioni, poiché essa

incide sulla sfera dei diritti fondamentali dei cittadini che si apprestano ad

utilizzare nuove tecnologie per procreare, ma anche sulla sfera del

concepito, considerato per la prima volta in modo esplicito quale nuovo

soggetto di tutela.

Il riferimento a tale legge, infatti, non vuole essere l’analisi della sua

regolamentazione, ma l’occasione per considerare quei concetti che la

stessa sottende: l’idea di concepito, l’idea di dignità della persona, se

quest’ultima possa essere altresì riferita al concepito, considerato come

“soggetto” vivente, la liceità di praticare su di “lui”, alcune tecniche

scientifiche.

Per meglio affrontare tale tema è necessario effettuare una

ricognizione delle norme esistenti sia a livello nazionale che internazionale,

per verificare se vi sia un riconoscimento di un diritto alla vita del

concepito e quindi se si possano da questo far derivare altre e nuove

categorie di diritti che, con le moderne tecnologie della riproduzione

assistita, hanno assunto un rilievo un tempo impensabile. Domandarsi,

dunque, se vi sia la necessità di una espressa previsione normativa circa

l’istituzione di un moderno curator ventris, destinato a garantire il rispetto

dei diritti facenti capo al concepturus, sia esso impiantato nell’utero

materno, sia crioconservato in un una ampolla di vetro; un amministratore

di sostegno che assicuri la tutela a questo nuovo soggetto debole.

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4. Dalla analisi delle norme di diritto internazionale, emerge una

evidente difficoltà a riconoscere al concepito dei diritti, prima dell’evento

della nascita.

Tale circostanza appare tanto più incomprensibile, se si pensi che, a

partire dal secondo dopo guerra, si cercò di dare valore giuridico alla

categoria dei diritti umani, che prima della efferatezza della follia nazista,

aveva avuto un rilievo squisitamente filosofico.

Tra le dichiarazioni e le convenzioni sul tema dei diritti umani

approvate nell’ultimo cinquantennio, soltanto la Convenzione Americana

sui Diritti Umani riconosce espressamente la soggettività giuridica del

nascituro90 .

Negli altri documenti approvati su iniziativa dell’O.N.U.

(Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo91, Patto Internazionale dei

Diritti Civili e Politici 92 , Dichiarazione dei diritti del Fanciullo 93 ,

Convenzione dei Diritti del Fanciullo94) o di Organizzazioni internazionali

a base continentale (Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti

90LA CONVENZIONE AMERICANA SUI DIRITTI UMANI, del 22.11.1969, i cui effetti sono però attenuati dalla presenza nel testo dell’affermazione, all’art. 4 : “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita. Tale diritto deve essere protetto dalla legge e, in generale, a partire dal momento del concepimento”, con la quale, l’inciso “in generale” ha permesso che le singole legislazioni abortiste dei paesi americani potessero essere ritenute non in contrasto con la Convenzione in parola. 91 Firmata a Parigi, il 10 dicembre 1948. 92 Adottato il 16 dicembre 1966, e entrato in vigore nel diritto internazionale il 23 marzo 1976; ratificato dall’Italia il 15 settembre 1978 e reso esecutivo con la L. 25.10.1977, n. 881. 93 Conclusa a New York, il 20 novembre 1959. 94 Approvata dalla Assemblea Generale dell’ONU il 20 novembre 1989; è entrata in vigore il 2 settembre 1990 e ratificata in Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176, in G.U. 11.06.1991, n. 135, Serie ordinaria.

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dell’Uomo e delle Libertà fondamentali 95, Dichiarazione Americana dei

diritti e dei doveri dell’uomo96, Carta africana dei diritti dell’uomo e dei

popoli97 ) non si trovano affermazioni esplicite circa l’esistenza del diritto

alla vita del nascituro, nonostante il tentativo, da più parti effettuato durante

la preparazione del testo finale, di inserire sotto qualche forma un tale

riconoscimento.

La ragione del fallimento di tali tentativi va ricercata, forse,

nell’esistenza, all’epoca della elaborazione di queste convenzioni

internazionali, di legislazioni abortiste nei singoli Stati che avrebbero

potuto diventare oggetto di contestazione per effetto dei principi in esse

contenuti.

Solo nella Dichiarazione e nella Convenzione dei Diritti del

Fanciullo, rispettivamente del 1959 e 1989, vi è il riconoscimento che il

bambino ha bisogno di cure speciali e di protezione giuridica, sia prima che

dopo la nascita 98 . Infatti, nella seconda si legge solamente che “Il

95 Firmata a Roma il 4 novembre 1950, Testo coordinato con gli emendamenti di cui al Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 ed entrato in vigore il 01 novembre 1998.

96 Adottata dalla Ninth International Conference of American States, Bogotá, Colombia, 1948

97 CARTA AFRICANA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEI POPOLI, adottata a Nairobi il 28 giugno 1981 dalla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell'Organizzazione dell'Unità Africana. Entrata in vigore il 21 ottobre 1986. Stati Parti al gennaio 2004: 53 (tutti gli Stati membri dell’Unione africana.

98 Ma la vaghezza dell’espressione ha consentito che il testo venisse ratificato anche da Paesi che avevano adottato legislazioni abortiste, sicuri che le stesse non sarebbero potute essere inficiate dall’affermazione di un principio così generico.

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bambino… necessita di speciale salvaguardia e cura, inclusa una

appropriata protezione legale sia prima che dopo la nascita”99.

Anche il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici contiene una

zona d’ombra con riguardo all’implicito riferimento al concepito, inteso

come soggetto di diritto e meritevole di tutela, dato che vieta l’esecuzione

di una sentenza capitale nei confronti di donne incinte100.

A livello europeo, si rileva l’esistenza di una raccomandazione del

Consiglio di Europa, relativa all’adozione di una Carta Europea dei diritti

del Fanciullo del 1979, nella quale si suggerisce che il diritto alla vita del

bambino sia riconosciuto fin dal concepimento101. Più importanti sono le

due risoluzioni del Parlamento Europeo del 16.3.89 su i principi etici e

giuridici della manipolazione genetica e sulla fecondazione artificiale in

vivo ed in vitro.

Esse costituiscono il tentativo più organico di elaborazione di uno

statuto giuridico dell’embrione umano.

Innanzitutto, nella relazione che precede, l’elencazione dei singoli

punti, che dovrebbero costituire i principi di riferimento per le legislazioni

nazionali, si affronta il problema se la legalizzazione dell’aborto volontario

comporti automaticamente l’irrilevanza giuridica del concepito.

La risposta a tale interrogativo è nel senso che in nessuna legge

europea il riconoscimento del diritto all’aborto volontario è fondato sulla

99 L’art. 6 stabilisce che “Ogni bambino ha l’inalienabile diritto alla vita”; dunque anche prima della nascita siamo in presenza di un bambino. Appare opportuno riferire che proprio in virtù di tale disposizione, tanto la Corte Costituzionale italiana (10.2.1997), quanto la Corte Costituzionale polacca(28.5.1997) risolvono in senso favorevole al concepito l’equivoco compromissorio contenuto nella convenzione dell’89. 100 L’ART. 6, infatti, dispone: “Il diritto alla vita è inerente alla persona umana….Una sentenza capitale… non può essere eseguita nei confronti di donne incinte”. 101 Essa fu approvata a stretta maggioranza ma, dato il suo valore più politico che giuridico, è rimasto lettera morta negli ordinamenti nazionali.

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irrilevanza giuridica del concepturus, che comporterebbe la negazione della

sua dignità e del suo diritto alla vita.

Il riconoscimento del diritto all’aborto è fondato sulla prevalenza, in

caso di conflitto, del diritto alla vita ed alla salute della madre su quello del

concepito; da ciò ne consegue che, dove questo conflitto, come nella

materia della manipolazione genetica e della fecondazione artificiale non

sussista, sia necessario riconoscere i diritti del concepito102.

Le risoluzioni del 1989, andando anche al di là di quanto previsto da

tre Raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1982,1986 e 1989, che

pure avevano riconosciuto la tutela giuridica dell’embrione, ma che

avevano consentito interventi manipolatori non terapeutici sul concepito

creato in provetta e non impiantabile, affermano che lo zigote deve essere

protetto e che la vita umana va protetta fin dalla fecondazione.

In esse si ribadisce che la definizione dello statuto giuridico

dell’embrione passa attraverso la salvaguardia precisa della identità

genetica; che lo zigote non può essere utilizzato per esperimenti; che ogni

intervento deve avere un’utilità diretta, non altrimenti realizzabile per il

benessere del bambino. Si distingue, altresì, la terapia genetica sulle cellule

somatiche, approvata se vi è un consenso informato dell’interessato, dalla

terapia genetica sulle cellule germinali, per la quale si invocano addirittura

102 Tali risoluzioni, su cui il Parlamento Europeo lavorò a lungo, furono approvate a condizione che nelle stesse fosse inserito un paragrafo che espressamente affermasse che le risoluzioni in questione non riguardassero la problematica dell’interruzione volontaria della gravidanza e che pertanto nessuna conclusione poteva essere tratta a favore o contro l’aborto. Ancora una volta è dimostrato come, la paura di affermare l’esistenza di diritti del concepito, persino in una materia specialistica quale quella affrontata dalle due risoluzioni, derivi dalla volontà di non riaprire il dibattito sul diritto ad abortire che, per ragioni ideologiche, e di politica demografica, viene ritenuto un diritto irrinunciabile che non deve essere messo in discussione dall’affermazione della soggettività giuridica del concepito, anche se i progressi della scienza ci consentono di affermare, oggi più che mai, che la vita comincia dal concepimento e quindi la dignità dell’essere umano dovrebbe essere riconosciuta da tale momento.

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sanzioni penali, così come per il caso di mantenimento in vita allo scopo di

prelievo di tessuti o organi o, peggio, per impiego a fini commerciali ed

industriali.

Per quanto attiene alla fecondazione artificiale, vi è la

raccomandazione dell’uso di tecniche che escludano lo spreco di embrioni,

fecondando solo gli ovuli che saranno immediatamente impiantati, e

laddove siano stati creati embrioni soprannumerari e non vi sia più

possibilità di impianto, la risoluzione suggerisce di procedere allo

scongelamento e di lasciarli morire.

Altra importante affermazione è quella che auspica un divieto della

fecondazione eterologa per favorire una coincidenza tra paternità e

maternità biologica, affettiva e legale.

Nel concludere questa breve ricognizione delle Convenzioni esistenti

nell’ordinamento internazionale, non si può far a meno di notare come, la

mancanza di un chiaro principio che affermi il diritto alla vita del concepito,

come conseguenza del riconoscimento della sua soggettività umana, abbia

fatto sì che, ogni qual volta che una questione attinente a questo tema sia

stata portata all’attenzione di una delle Corti che dovrebbe vigilare

sull’applicazione di questi principi, nelle legislazioni e negli atti

giurisdizionali dei singoli Stati firmatari, qualunque tentativo di veder

riconoscere l’esistenza di un diritto alla vita giuridicamente rilevante, non

abbia avuto esito103.

103 Neanche quando ci si è appellati alla Convenzione americana, che come affermato poc’anzi, è l’unica che riconosce “generalmente” la tutela del concepito. La Commissione Inter-Americana ha ritenuto che le sentenze della Corte Suprema e della Corte del Massachusetts violassero la convenzione, sia perché la stessa era considerata un corollario della Dichiarazione Americana dei diritti dell’uomo, che non contemplava espressamente il diritto alla vita del concepito, sia perché l’uso dell’avverbio “generalmente” non consentiva che si parlasse di un diritto assoluto alla vita.

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La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea104, ponendo al

centro del suo impianto la tutela della persona e il rispetto della dignità

umana, del diritto alla vita e del diritto alla propria integrità fisica e psichica,

indica, all’art. 3105, i criteri cui devono ispirarsi la medicina e la biologia.106

Naturalmente, ogni Paese dell’Unione, recepisce tali principi

applicandoli attraverso strumenti giuridici diversi tra loro, ma aventi

efficacia vincolante (come leggi, sentenze, ordinanze, decreti, direttive,

convenzioni, protocolli 107 ) e la stessa UE adotta risoluzioni e

raccomandazioni che, pur non avendo efficacia vincolante, apportano un

contributo incisivo sugli orientamenti legislativi dei singoli Stati108.

La bioetica conduce a riflessioni sempre più rivolte alla tutela dei

diritti umani e la Raccomandazione 934/1982 del Consiglio d’Europa ne è

una prima conferma. Essa, infatti, all’art. 4, punto II e all’art 7, lettera B,

104 UNIONE EUROPEA, Carta dei Diritti Fondamentali, Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, 18.12.2000/ C364/01. 105 ARTICOLO 3: DIRITTO ALL'INTEGRITÀ DELLA PERSONA. 1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. 2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: - il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, - il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone, - il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, - il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani. 106 BOMPIANI A., La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: aspetti etici, Medicina e Morale 2002, 1:13 – 27. 107 Pur non essendo Paese membro dell’UE, la nuova Costituzione Federale elvetica del 18 aprile 1999, risentendo del clima particolare creato dall’attenzione giuridica internazionale ai “principi bioetici”, nella sezione ottava, dedicata ad Alloggio, lavoro, sicurezza sociale e sanità, contiene tre articoli dedicati a specifiche questioni di bioetica; infatti, l’art. 119 è dedicato alla medicina riproduttiva e ingegneria genetica in ambito umano; l’art. 119 a è intitolato alla medicina dei trapianti; l’art. 120 è destinato a disciplinare l’ipotesi di ingegneria genetica in ambito umano (htpp://www.admin.ch/ch/i/rs/101). A tal proposito, FIORI A., Procreatica e Costituzione svizzera, Medicina e Morale, 1995, 2: 209-212. 108 In Europa, molti Paesi hanno indetto referendum popolari sui temi della bioetica, come in Italia, nel 1981, in Irlanda, nel 2002, in Portogallo, nel 1998, in Svizzera nel 2002.

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dichiara che “I diritti alla vita e alla dignità dell’uomo, sanciti dagli artt. 2

e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, implicano “il diritto

di ereditare caratteri genetici che non abbiano subìto alcuna

modificazione”; essa chiede, altresì, che il diritto alla intangibilità del

patrimonio genetico venga esplicitamente indicato nella Convenzione

Europea dei diritti dell’uomo 109 . Vi è, dunque, un diritto alla identità

personale e individuale fin dal concepimento.

Nel 1998, proseguendo il cammino legislativo orientato verso la

tutela e la garanzia del “diritto all’identità genetica” e del “diritto alla

identità psicologica ed esistenziale”, il Parlamento europeo adotta nuovi

provvedimenti significativi, dato che inserisce i diritti appena citati

nell’alveo del diritto alla vita e alla famiglia, individuando in essi i diritti

fondamentali del neoconcepito e proclamando, con riferimento alla

clonazione, che “Ogni individuo ha diritto alla propria identità genetica”110.

Tale precisazione rappresenta il risultato di una riflessione sulla

essenza della vita umana, in quanto affermare l’unicità e la irripetibilità di

ogni individuo significa individuarne il valore più profondo e irrinunciabile,

che coincide con la dignità umana, valore supremo sul quale poggia l’intera

categoria dei diritti fondamentali dell’uomo, anche detti, sotto il profilo

bioetico111, “diritti esistenziali” o “diritti di indole biofisica”.112

109 ASSEMBLEE PARLAMENTARE DU CONSEIL DE L’EUROPE, Recommandation 934/1982. 110 Sul punto, Risoluzioni del 16 marzo 1989 del Parlamento Europeo su problemi etici e giuridici della manipolazione genetica e della fecondazione artificiale umana; PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione sulla clonazione del 15.1.1998. 111 “ La riflessione sulla bioetica e quella sui diritti umani diventano un’unica riflessione nel biodiritto. I “diritti umani della bioetica” o la “bioetica dei diritti umani” costituiscono dunque il cuore del biodiritto che raccogliendo in pieno le istanze espansive dell’una e degli altri si apre inevitabilmente ad una prospettiva planetaria”. Così, CASINI M., I diritti dell’uomo, la bioetica e l’embrione umano, in Medicina e Morale 2003/1, p. 71. Un esempio sintomatico è dato dalla Dichiarazione Universale dell’UNESCO sul genoma umano e i diritti dell’uomo (11.11.1997).

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5. In un contesto legislativo internazionale, nel quale il diritto di

abortire è ormai riconosciuto in modo incontrastato, solo l’Irlanda ha

costituzionalizzato il diritto alla vita del concepito.

Volendo schematizzare, vi sono tre modelli legislativi o

giurisprudenziali elaborati: il primo riconduce la normativa alla tutela della

libertà della donna (c.d. privacy) ed è tipico del riconoscimento

giurisprudenziale, che si è avuto in America, con la sentenza della Corte

Suprema degli USA nel 1973 e che si ricollega a quel diritto alla felicità

che la Costituzione Americana ha previsto tra i suoi principi fondamentali;

il secondo è legato alla tutela della salute della donna (modello tedesco e

italiano); il terzo è quello che vuole proteggere una donna in stato di

sconforto o difficoltà (c.d. detresse) adottato in Francia.

Solo nel modello americano, improntato ad una concezione

utilitarista, vi è una sottovalutazione della questione fondamentale che si

pone in questo campo; il concepito è o non è un essere umano? Può essere

titolare di diritti come qualunque persona?

Per il diritto giurisprudenziale americano tale domanda è di tipo

filosofico e quindi non è determinante nello stabilire lo stato giuridico del

feto. Nella nota sentenza del 1973 Roe v. Wade, si afferma che i concepiti

non sono mai stati riconosciuti dalla legge come persone in senso pieno.

L’autodeterminazione dell’individuo rappresenta il valore ispiratore

di ogni condotta e, prendendo le mosse dal Right of Privacy, assume la

forma di “super principio bioetico di autonomia” 113 , il quale “non

concentra l’attenzione sulla libertà come valore, ma sul rispetto della 112 D’AGOSTINO F., I diritti di indole biofisica, in CONCETTI G. (a cura di ), I diritti umani, Roma, AVE, 1982, pp. 759-770. 113 F. D. BUSNELLI E E. PALMIERINI, Bioetica e diritto privato, in Enciclopedia del Diritto, Aggiornamento, V, Milano, 2001, p. 158.

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libertà come condizione di possibilità dell’autorità morale generale”114.

L’oggetto della riflessione morale, e poi giuridica, non verte tanto sulla

opportunità di inibire o regolamentare imperativamente la ricerca e le sue

applicazioni, quanto, piuttosto, di attivare lo sviluppo dell’azione scientifica,

riconoscendo nella autodeterminazione dell’individuo un ambito intangibile

dal diritto positivo. Pertanto, l’idea di bioetica, nell’ottica neoindividualista,

intesa cioè come etica pubblica, “che deve formularsi non a partire da una

Weltanschauung determinata, ma come una sorta di somma dialogico-

dialettica di posizioni diverse che trova date nella mentalità corrente”115

non risulta essere più, per il modello americano, un risultato pacificamente

acquisito ed incontrovertibile.

Nel diritto europeo, invece, non esiste una visione così pragmatica.

Esso, infatti, avverte che “La posta in gioco per la controversia politica e

democratica verteva e verte su dove il confine mobile tra diritti e mercato

debba essere alla fine tracciato”116 ed “elegge il rispetto della dignità della

persona a valore ultimativo e canone di interpretazione di tutte le altre

disposizioni” 117 , non negoziabile, né altrimenti compromettibile dalla

decisione privata 118, come testimoniano i modelli costituzionali vigenti,

nonché la Convenzione Europea di Bioetica che si intitola proprio alla

“Protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano a

riguardo delle applicazioni della biologia e della medicina” e che nel 114 H. T ENGELHARDT, The fundations of bioethics, New York, 1986, trad. it., Manuale di bioetica, Milano, 1991, p. 98 (basato sulla premessa dell’insuperabile pluralismo che caratterizza le società evolute e articolato sulla promozione del principio dell’autonomia decisionale riconosciuta in capo ai soli soggetti senzienti quali unici esseri morali). 115 G. VATTIMO, Etica dei principi e filosofia continentale: una lettura, in Bioetica, Milano, 2001, p. 638. 116 S. VECA, La bellezza e gli oppressi, Dieci lezioni sull’idea di giustizia, Milano, 2002, p. 19 117 F. D. BUSNELLI E E. PALMIERINI, Bioetica e diritto privato, op. cit., p. 143 118 In generale, cfr. F. D. BUSNELLI, Opzioni e principi per una disciplina normativa delle biotecnologie avanzate, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1991, p. 299.

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Preambolo afferma che gli Stati aderenti sono “convinti della necessità di

rispettare l’essere umano inteso come individuo e nella sua appartenenza

alla specie umana e riconoscendo l’importanza di assicurare la dignità”.

Non si può ritenere, conseguentemente, che l’autodeterminazione sia

autoreferenziale e aperta esternamente a qualunque condotta; il rispetto

della dignità umana ne costituisce il limite di estensione e ne misura la

modalità di esercizio119. L’orientamento europeo è volto evidentemente alla

applicazione di controlli normativi delle biotecnologie. Al discorso

condotto dalla bioetica, rappresentato adeguatamente dall’art. 2 della

Convenzione di bioetica, che proclama la prevalenza della tutela dell’essere

umano sull’interesse della società o della scienza, si affianca quello

promosso dal biodiritto che prevede espressamente la disciplina giuridica

delle biotecnologie120.

119 Sul punto, F. D. BUSNELLI e E. PALMIERINI, Bioetica e diritto privato, op. cit., p. 144, i quali evidenziano come il concetto europeo di dignità sia profondamente diverso da quello, legato all’omologo lessicale di dignity, diffuso nella cultura statunitense ed impiegato “in modo fungibile ai concetti di autonomia e di libertà”, così da fondare lo stesso diritto alla privatezza delle decisioni in merito alle proprie vicende esistenziali” (p. 143). Dignity riconosciuta, per di più, ai soli soggetti capaci di autodeterminazione morale, e dunque di raziocinio (sulla scia di una visione elaborata nel pensiero europeo e superata da oltre un secolo, che escludeva il predicato “persona” agli incapaci, come gli esseri mostruosi, gli infanti, i folli e i minori: cfr. P. ZATTI, Verso un diritto per la bioetica, Op. cit., p. 51). Sulle avventure della ragione occidentale nel suo conflittuale rapporto (di interdetto ed esclusione) con queste soggettività non compiutamente riconosciute resta fondamentale la riflessione critica di M. FOUCAULT, Folie et dérason. Histoire de la folie à l’age classique, Paris, 1961, trad. it. Storia della follia, Milano 1963. 120 Con il termine biotecnologie, si intende, secondo la definizione data nel 1984 dall’Office for Tecnology Assessment del Congresso degli Stati Uniti d’America, l’insieme delle tecniche, che utilizzano organismi viventi per fare o modificare prodotti, per migliorare piante o animali o per sviluppare microrganismi per usi specifici. In senso più ristretto, il termine fa riferimento alle biotecnologie, cosiddette innovative, derivate dall’utilizzazione congiunta di nuove tecniche biologiche, come la cultura delle cellule in vitro, la produzione di anticorpi monoclinali e l’ingegneria genetica, idonea a trasferire nella struttura delle cellule di un essere vivente alcune informazioni genetiche, che altrimenti non avrebbero avuto. Così, P. D’ADDINO SERRAVALLE, Questioni biotecnologiche e soluzioni normative, op. cit., p. 83. Sui significati non sempre coincidenti del termine “biotecnologie” e sulla pluralità delle definizioni, si legga G. GHIDINI e S. HASSAN, Biotecnologie novità vegetali e brevetti, Milano, 1990.

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Il Comitato Nazionale di Bioetica, nel documento redatto all’esito di

una lunga elaborazione, Identità e statuto dell’embrione umano, afferma

che si deve “riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano fin

dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e di tutela che si devono

adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce

comunemente la caratteristica di persone”.

È interessante domandarsi se le Corti Costituzionali degli altri Paesi

europei abbiano trattato l’embrione umano come persona, per poi

confrontare il loro orientamento con quello della Corte di legittimità

italiana, che si vedrà nei paragrafi successivi. Alcune sentenze come quella

della Corte portoghese e ungherese lamentano il fatto che l’ordinamento

nazionale non riconosca la capacità giuridica al concepito, evidenziando la

necessità di un suo espresso riconoscimento; altre hanno cercato di evitare

il problema, come nel caso della Corte austriaca, che ha affermato come i

diritti umani costituiscano un limite solo per gli interventi dello Stato e non

nei rapporti tra la madre ed il feto, o come nel caso della Corte francese che

ha affermato l’insindacabilità costituzionale dei trattati, per affermare che

non poteva valutare se l’art. 2 della Convenzione europea per i diritti

dell’uomo ricomprendesse anche la tutela del concepito.

Altre infine, senza negare l’individualità umana del concepito e

senza affrontare direttamente il tema della personalità giuridica dello stesso,

giustificano l’aborto con il conflitto tra valori, lo stato di necessità, il

principio di inesigibilità di una condotta alternativa all’aborto.

Particolarmente significative in questo senso, le sentenze della Corte

Costituzionale tedesca del 25.2.75121, del 4.8.92 e del 28.5.93.

121 La giurisprudenza costituzionale tedesca, in tale pronuncia, ha rifiutato l’idea che la difesa del diritto alla vita possa essere realizzata con la tecnica del “consiglio” in sostituzione di un divieto giuridico generale di aborto.

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Va invece segnalata la sentenza della Corte Costituzionale polacca

del 1997 di cui è opportuno riportare il brano centrale, poiché è finora la più

alta affermazione del diritto alla vita del concepito che possiamo riscontare

nelle sentenze delle Corti Costituzionali europee: “Lo Stato democratico di

diritto mette al centro l’uomo e i suoi beni più preziosi. Il primo bene è la

vita, che lo stato democratico di diritto deve mettere sotto tutela della

Costituzione in ogni fase del suo sviluppo. Nel quadro della tutela giuridica

della vita umana, anche la vita umana prima della nascita non può essere

discriminata. Mancano criteri sufficientemente precisi e fondati che

permettano una tale discriminazione in riferimento alle varie fasi dello

sviluppo umano. Ciò significa che fin dall’inizio, la vita umana è una

valore tutelato dalla Costituzione. Questo riguarda anche la vita

prenatale”122.

6. L’intervento123 dello scienziato sul proprio paziente non può di

certo essere paragonato a quello sulle prime forme di vita umana, nello

stadio prenatale e non ancora individualizzata. Si tratta, in realtà, di due

differenti categorie di azione, dato che la prima si fonda su una relazione

122 Nel corso del II convegno italo-polacco “Jonicae Disputationes” intitolato “Uomo e ambiente”, tenuto a Martina Franca (Taranto) il 19-21 settembre 2007, i cui lavori sono in corso di pubblicazione, il relatore Prof. K. SLAWOMIR ha ricordato che, di recente, il Ministero della Sanità polacco ha adottato un decreto con il quale ha riconosciuto e proclamato il diritto di sepoltura al feto che sia morto anche prima della ventiduesima settimana, con ciò stabilendo che il feto è da riconoscersi come essere umano. 123 Il termine “intervento” è utilizzato nel senso chiarito da H. JONAS (Technik, Medizin und Ethik. Zur Praxis des Prizipis Verantwortung, Frankfurt a.M. 1985, trad. it., Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Torino, 1997, p. 124), che distingue l’azione produttiva esercitata sulla materia inanimata, dove il produttore è l’unico agente nei confronti di un oggetto passivo, e l’azione rivolta alla materia vivente, dove invece l’oggetto è attivo e funziona secondo una dinamica naturale che viene ad essere condizionata da quella artificiale innescata dallo sperimentatore; qui, “l’atto tecnico ha la forma dell’intervento, non della costruzione”; “Produrre” significa qui lasciare in balia della corrente del divenire, in cui anche il produttore naviga” (p. 127).

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piena e biunivoca; la seconda, si fonda su un rapporto in cui è

assolutamente assente qualsivoglia forma di comunicazione e dove il

trattamento non può essere “consigliato” in alcun modo.

Il giudizio etico, perciò, nella prima ipotesi può intervenire,

verificando la accettabilità della procedura, che non deve mai prescindere

da una comunicazione sviluppata nel rispetto della reciproca dignità

(medico-paziente), volta all’intesa; nella seconda ipotesi, invece, il giudizio

etico si riduce a meri aspetti procedurali e di valore, dato che qui la

comunicazione è irrimediabilmente ridotta.

Le pratiche di sperimentazione tanto sull’uomo, quanto sulla forma

di vita embrionale richiedono spazi di legittimità e condizioni di

ammissibilità sempre più ampi, con la conseguente esigenza di una

disciplina positiva ad hoc. Quando si tratta della sperimentazione sull’uomo,

però, la condizione di reciprocità in cui si trovano sperimentatore e

volontario esonera il legislatore da controverse scelte di valore, che

possono permanere in via residuale, perdurando il mero giudizio di natura

etica procedurale, proprio in virtù del consenso espresso, anche con

riguardo alla finalità terapeutica della sperimentazione stessa.

Il criterio procedurale del consenso sancisce la accettabilità della

pratica, quando il soggetto che la subisce sia stato debitamente informato

sulle finalità perseguite e sui rischi possibili ed abbia espresso un consenso

libero e revocabile alla pratica stessa124.

124 Il requisito del consenso informato deriva dalla elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale in materia di attività medica e trova fondamento costituzionale nel principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.).Sul punto, cfr. CASS. 15 gennaio 1997, n.364, in Foro it., 1997, I, 778. Nella letteratura più recente, cfr. A. SANTUOSSO, Il consenso informato, Milano, 1996; C.M. D’ARRIGO, Autonomia privata ed integrità fisica, Milano, 1999, p. 272. Per una ricostruzione aggiornata, cfr. M.C. VENUTI, Gli atti di disposizione del corpo, Milano, 2002, p. 46. Con specifico riguardo alla sperimentazione sul corpo umano, resta fondamentale F. MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Padova, 1974, p. 644; F.

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Il riferimento alla dignità della persona ha rappresentato per molti

Paesi, che hanno conosciuto regimi totalitari, l’occasione per affermare con

forza, nel periodo di ristabilimento dell’ordine democratico, la sua

importanza ed irrinunciabilità125.

MASTROPAOLO, Diritto alla vita e all’integrità corporea tra bioetecnica e bioetica, in Scritti in onore di A. Falzea, II, Milano, 1991, p. 610. 125 Nella Germania Federale, la Costituzione del 23 maggio 1949, all’art. 1, sancisce: “La dignità umana è intangibile. E’ dovere di ogni potere di rispettarla e proteggerla. Il popolo tedesco riconosce quindi gli inviolabili e inalienabili diritti dell’uomo, come fondamento di ogni comunità, della pace e della giustizia nel mondo”. Questo articolo, che apre il primo titolo della Costituzione tedesca, dedicato alla “Dignità umana, vincolo legislativo e fondamentale potere statale”, pone la dignità come “prius” rispetto a tutti gli altri diritti umani. Anche la Grecia, nell’art. 1 della sua Carta Costituzionale dell’11 giugno 1975, dispone: “Il rispetto e la protezione della dignità della persona umana, costituiscono l’obbligo fondamentale dello Stato”. Dello stesso tenore, l’art. 1 della Costituzione Portoghese, del 2 aprile 1976, che dichiara: “Il Portogallo è una Repubblica sovrana fondata sulla dignità della persona umana” e la Costituzione Spagnola, del 27 dicembre 1978, l’art. 10, consacra: “La dignità della persona, i diritti inviolabili ad essa inerenti.. .sono il fondamento dell’ordine politico e della pace sociale”. Se si guarda all’est europeo, dove l’imperare del regime comunista ha resistito fino a tempi molto recenti, si osserva, nelle nuove Costituzioni, un costante riferimento alla dignità umana. La più recente è quella polacca che, all’art. 30 della Costituzione del 2 aprile 1997, stabilisce: “La naturale e inviolabile dignità dell’uomo è fonte della libertà e dei diritti dell’individuo e del cittadino. Il Governo ha il dovere di tutelare la sua inviolabilità”. Anche la Slovacchia ha nella sua Costituzione, del 1 settembre 1992, all’art. 12, un riferimento importante: “Tutti sono liberi ed uguali in dignità e diritti” e prosegue, all’art. 15, affermando: “Ciascuno ha il diritto alla vita. La vita umana è degna di protezione anche prima della nascita”. Così anche la Costituzione della Lituania (25 ottobre 1992), che all’art. 21, afferma: “La dignità umana è protetta dalla legge”;della Bulgaria (12 luglio 1991), che, nell’art. 4, dichiara di garantire: “la vita, la dignità e i diritti dell’individuo”; della Bosnia-Erzegovina (acclusa negli accordi di Dayton del 16 settembre 1995) che nel suo preambolo afferma proprio la dignità umana.

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La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo126 ne costituisce il

primo significativo segno, riflesso di una mutata sensibilità che è proseguita

in tutto questo lungo arco temporale sino alla proclamazione della Carta dei

Diritti Fondamentali dell’Unione Europea la quale, ancora una volta, ne

ribadisce la rilevanza. Infatti, il Capo I, dedicato proprio alla dignità, si apre,

all’art. 1, con tale principio: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve

essere rispettata e tutelata”.

Ma cosa significa “dignità umana”? 126 Prima di tale Dichiarazione, innanzi ricordata, non possiamo dimenticare che l’ordinamento civile democratico, affermatosi progressivamente a partire dalle rivoluzioni borghesi della fine del XVII – prima in Inghilterra, poi in America e, infine, in Francia- si fonda su due principi imprescindibili: il principio democratico, che assicura la partecipazione di tutti i cittadini alla formazione delle leggi, e il principio costituzionale, che limita giuridicamente il potere politico nel nome dei diritti soggettivi fondamentali, considerati come preesistenti o anteriori ad ogni istituzione politica o potere sociale. Doveroso è il richiamo alla Dichiarazione dei Diritti dello Stato di Virginia del 12 giugno 1776, che affermò, all’art. 1, che “Tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi e indipendenti e possiedono certi diritti innati dei quali, all’atto di costituirsi in società, non possono privare se stessi né la propria posterità; e tali diritti sono il fondamento della vita e della libertà, con i mezzi di acquistare e possedere beni in proprietà e la ricerca e il conseguimento della felicità e della sicurezza”. Gli stessi concetti si ritrovano, con termini simili, nelle Dichiarazioni di Diritti della Pensylvania (1776) e del Massachusetts (1776) nelle quali la valenza dei diritti fondamentali della persona, influenzata dai movimenti politico-religiosi dell’Inghilterra del XVI e XVII sec., è stata interpretata in chiave diversa rispetto a quella dei successivi sistemi costituzionali europei. “Se nelle Dichiarazioni dei diritti anglo-americane, la anteriorità e la conseguente inviolabilità dei diritti fondamentali rispetto ad ogni potere statale positivo, compreso quello costituzionale, ha sempre rappresentato la pietra miliare su cui è stato costruito l’intero edificio costituzionale, nell’Europa continentale, a cominciare dalla Rivoluzione francese, l’anteriorità e l’inviolabilità dei diritti fondamentali, pur affermate in linea di principio, sono state frequentemente relativizzate sul piano del diritto positivo e dell’attività politica. Nel caso dei primi sistemi costituzionali il concetto di “diritti soggettivi” introdotto nella dogmatica giuridica liberale, pur evidenziando un cambio di impostazione dottrinale riguardo al “realismo giuridico” (il “suum quique tribuere”, la res iusta) proprio della cultura giuridica classica, non ha rappresentato una frattura con il passato. Infatti, i due grandi movimenti ideali – il giusnaturalismo e il contrattualismo – coincidevano nel riconoscere due cose “: 1) che l’inviolabilità dei diritti soggettivi fondamentali risiede nel loro carattere di diritti innati, radicati cioè nella stessa natura umana; 2) che tali diritti innati e inviolabili sono per principio beni non negoziabili, quindi non sottoponibili ai patti sociali che stabiliscono le regole della convivenza e, tanto meno, ai poteri politici costituiti in base ai medesimi patti”, così, J. HERRANZ, I diritti fondamentali nella cultura classica, in www.academiavita.org, pp. 2 -3.

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Nella Enciclica Pacem in terris127, Papa Giovanni XXIII spiega che:

“In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il

principio che ogni essere umano è persona (…); e quindi è soggetto di

diritti e doveri, che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla

sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili,

inalienabili”128.

Da ciò si evince che il concetto di dignità umana indicherebbe il

valore finalistico e non strumentale dell’uomo, implicando, così, un’idea di

qualità trascendentale, che rende l’uomo intangibile e indisponibile129. Tale

concetto conduce, inevitabilmente, al tema dell’uguaglianza130, dato che,

essendo la dignità non graduabile, ogni uomo la possiede in ragione della

sua stessa esistenza. “Tale elemento assolutamente semplice e comune, che

non manca mai, anche se invece mancano grandezza, intelligenza, salute,

ricchezza, sensibilità, potere, capacità d’azione ecc., non può che essere

l’esistenza stessa”131. Dunque la dignità umana è un minimum insito in

ognuno di noi e deve essere postulata come uguale per tutti, intesa come

sempre presente, con la stessa intensità e la stessa forza, in tutti gli uomini,

senza distinzione alcuna.

127 Pubblicata l’11 aprile 1963, Ed. Paoline. 128 Pacem in terris, n. 158. 129 Sul punto, J. HERRANZ, Op. cit., p. 1: “Già prima della grande tradizione dottrinale e giurisprudenziale romana sul diritto naturale, l’esistenza di una legge non scritta, fondamento dei diritti naturali dell’uomo, compare nel pensiero di molti filosofi e scrittori della cultura greca, come Eraclito, il quale parla di una legge universale fondata sul logos divino, o come Sofocle, per il quale gli agraphta nomina, cioè le leggi non scritte, ma presenti nello spirito umano per opera degli Dei, sono l’ultimo baluardo contro la tirannide (Antigone, vv. 454-460); o come Epiteto, che parla (cfr. Diatribai I, 3,1) della comune e alta dignità morale e giuridica dell’uomo in quanto creatura di Dio. 130 Cfr. A. CERRI, Uguaglianza (Principio costituzionale di), in Enciclopedia Giuridica, Roma: Edizioni Treccani, 1994, 3. Ma anche L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico (a cura di E. Vitale), Editori Laterza, Bari, 2002. 131 Sul punto, si veda C. CASINI, Il fondamento dei diritti umani, p. 80, in Lippolis L. (a cura di), La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo verso il duemila, Napoli: Edizioni Scientifiche italiane, 2001.

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Partendo dal concetto di dignità e di uguaglianza, la riflessione

scivola inevitabilmente sull’idea di Giustizia.

Comunemente identificata nel rispetto della uguaglianza 132 , la

giustizia si presenta nella sua fragilità quando l’uguaglianza è identificata

nella certezza, nel carattere generale della norma e nella imparzialità della

sua applicazione133.

La vita umana è dunque il dato trascendentale del diritto,

ricollegabile al suo momento iniziale e teleologico insieme; l’ordinamento

non crea, ma “riconosce”134 i diritti (umani) discendenti immediatamente

132 Sul punto, J. RAWLS, La giustizia come equità, traduzione di G. RIGAMONTI, a cura di E. KELLY e S. VECA, Milano, Feltrinelli, 2002, ma anche CH. PERELMAN, La Giustizia, , Giappichelli, Torino, 1991, con Prefazione di N. Bobbio, pagg 31 – 35. L’Autore, nel porre l’idea di giustizia come principio di eguaglianza ed individuando una giustizia formale, propone i noti sei modelli: A ciascuno la stessa cosa; A ciascuno secondo i suoi meriti; A ciascuno secondo le sue opere; A ciascuno secondo i suoi bisogni; A ciascuno secondo il suo rango; A ciascuno secondo ciò che la legge gli attribuisce; cfr. anche. E. CIANCIOLA, Il senso della Giustizia, Cacucci, Bari, 1998. 133 L’uguaglianza formale è rappresentata dal precetto “La legge è uguale per tutti”. Ma “L’uguaglianza moderna è, certamente, pari soggezione di tutti ad un’unica legge, ma non si esaurisce in ciò. L’uguaglianza moderna… innanzitutto esclude distinzioni normative ratione subiecti, correlate, cioè, a qualità meramente subiettive. Da qui, il precetto “Tutti sono uguali di fronte alla legge” che connota il principio di uguaglianza sostanziale”. Così C. CASINI, Op. cit., p. 81, “L’uguaglianza “formale” è una condizione essenziale, ma non sufficiente per garantire un concetto pieno di Giustizia. Essa mostra tutta la sua debolezza se la legge diventa l’unico criterio di giustizia, puro mezzo ab-stracto, autosufficiente compiuto, efficiente in sé. In un sistema di schiavitù, ad esempio, è comprensibile che gli schiavi protestino contro un’applicazione arbitraria della legge, ma ciò che viene contestato in radice è il fatto che la legge ammetta la schiavitù”. Da ciò deriva l’interpretazione dell’uguaglianza sostanziale e dei connessi diritti umani come “un mistero laico”, afferma lo stesso Autore, Op. cit., “mistero”, perché non è possibile dimostrare empiricamente l’uguaglianza ontologica di tutti gli esseri umani a causa della loro dignità; “laico”, perché il riferimento argomentativo è affidato alla sola ragione intesa come capacità di vedere la realtà oltre le apparenze, prescindendo dalla visibilità-tangibilità di ciò che accade sotto i sensi. Certamente, insegnava Cicerone, esiste una vera legge: è la recta ratio, “essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere e i suoi divieti trattengono dall’errore... È un delitto sostituirla con una legge contraria; è proibito non praticarne una sola disposizione; nessuno poi ha la possibilità di abrogarla completamente”, De Repubblica, 3,22,33. 134 Dal latino re –cognòscere, conoscere di nuovo, conoscere, cioè, qualcosa che già esiste, che già è insito nell’oggetto della ri-conoscenza. Come non ricordare P. RICOEUR,

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dalla dignità (umana) e proprio attraverso l’applicazione della bioetica e del

biodiritto, si apre a nuove considerazioni sull’uomo e sulla sua esistenza,

“rivalutandolo” rispetto al momento in cui inizia ad esistere (vivere),

quando si ammala, quando soffre, quando alcune delle sue caratteristiche

principali (la vista, l’udito, ma anche la coscienza) cominciano a declinare,

quando decide di abortire, quando decide di porre termine alla propria

esistenza, quando muore.

Tali momenti rappresentano occasioni di approfondimento del

concetto di dignità e di uguaglianza, ma anche di giustizia e di democrazia.

Infatti, il principio di non discriminazione, rivendicato in virtù dell’uguale

dignità di ogni essere umano, deve essere riconosciuto sempre, in

qualunque età dell’uomo e in qualunque condizione egli si trovi, poiché il

vero titolo della dignità di ciascuno è dato dalla semplice sua appartenenza

alla specie umana.

Negare ciò al brutto, al povero, al poco intelligente, al sordo, al cieco,

significa tradire il principio di uguaglianza e dignità di ogni essere umano.

E per il concepito, o per chi sia gravemente ammalato, può dirsi lo stesso.

Negare dignità a tutti costoro, vorrebbe dire accettare un criterio di

discriminazione sull’uomo e dell’uomo.

Benché il diritto abbia il potere di decidere quali siano le entità

“meritevoli di tutela” e, dunque, giuridicamente esistenti135, nei confronti

dell’uomo, non può che esercitare un potere ricognitivo-dichiarativo, dove

il principio della uguale dignità deve essere riconosciuto ed applicato in

Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, nel quale l’Autore cerca di dimostrare come l’operazione del riconoscimento sia sempre il frutto di un qualcosa già fisso nella nostra memoria, già conosciuto o conoscibile ex se. 135 Il Capo I, Titolo II del Codice Civile, dedicato alle persone giuridiche, riconosce le società, le fondazioni, le associazioni, gli enti ecclesiastici, ma anche lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, ecc.

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base a quello di una uguaglianza intesa in senso non solo formale, ma,

soprattutto, sostanziale.

A tal proposito, si è evidenziato che “Il concetto di capacità

giuridica generale… riveste un alto significato morale e politico, nel senso

del principio (o almeno della tendenza) della non discriminazione dei

soggetti in qualità o situazioni che rivelarono in altre epoche storiche”136,

che “il riconoscimento della capacità giuridica generale a tutte le persone

fisiche è la prima condizione del principio costituzionale di uguaglianza”137

e che dunque “il segno della sua permanente presenza è dato dal principio

generale di uguaglianza”138. “Uno dei più gravi errori teorici139 che hanno

oscurato e complicato la teoria della capacità giuridica, sta nel concetto di

capacità giuridica suscettibile di graduazione e limitabile a contenuti

determinati”140.

136 P. RESCIGNO, Capacità giuridica, in Digesto delle discipline privatistiche, vol. II, Torino: UTET, 1988. p. 218. 137 CIAN G. TRABUCCHI, Commentario a Codice Civile, Padova: CEDAM, 1997: 196; cfr. anche C. M. BIANCA, Diritto Civile, vol. I, Milano; Giuffré, 2002: 216-217. 138 A. FALZEA, Capacità (teoria gen.), in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffré, 1960. 139 Continua, A. FALZEA, Op. cit., p. 9. 140 Indigna, ancora oggi, come riferisce M. CASINI, Op. cit. p. 98, la storica sentenza della Corte Federale statunitense (Dred Scott vs John F. A. Sansford, 60U.S. 393, 19 Howard 393, 15 L. Ed. 691), che il 6 marzo 1857 dichiarò che “I neri non sono persone a norma delle leggi civili” e, andando a ritroso nella storia, anche nelle aree delle più qualificate civiltà giuridiche si può trovare l’uso della parola “persona” in funzione discriminatoria sull’uomo. Così nell’antico diritto romano, era evidente l’incidenza della capacità giuridica come strumento di discriminazione: soggetti di diritto erano i liberi, ma non gli schiavi (la cui uccisione era punita non come omicidio, ma come danneggiamento), i cives ma non gli stranieri, il pater familias, ma non la consorte o i figli”. Cfr. B. ALBANESE, PERSONA (Voce Diritto Romano), in Enciclopedia del diritto, Vol. XXXIII, pp. 169-181. L’Autore ricorda anche altre categorie di esseri umani cui non era riconosciuta piena capacità giuridica generale: gli addicti (coloro che venivano assegnati a seguito di manus iniecto in potere di altri); i nexi (cittadini che in relazione ad una situazione debitoria si vincolavano in assoggettamento ad un altro cittadino con il nexum, negozio per aes et libram), gli auctoritati (coloro che con speciale giuramento si vincolavano ad altri con impegno a prestazioni rischiose e umilianti); i redempti ab hostibus (coloro per cui altri avevano versato somme di denaro per riscattarle dalla prigionia di guerra); gli infami o ignominiosi (coloro che, per varie cause) erano ritenuti privi di rispettabilità sociale e morale).

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A tal fine, può essere utile riprendere una frase che Vultejus scrisse

nel XVII secolo: “ Servus homo non persona: homo naturae, persona iuris

vocabulum” 141, con la quale si comprende come il concetto di persona

rappresenti un artificio giuridico che non può certo contenere e coincidere

con quello, ben più complesso , di uomo.142

Con la proclamazione dei diritti dell’uomo il concetto naturalistico-

biologico non può non coincidere con il concetto giuridico di essere

umano143. Pertanto, se la scienza indica nel concepito un individuo vivente

appartenente alla specie umana, il diritto deve trasformare in

riconoscimento giuridico tale dato, al fine di applicare indiscriminatamente

il principio di uguaglianza144.

Alla luce della circostanza in base alla quale il diritto chiama i

soggetti “persone”, per differenziarle dalle cose, anche l’embrione

dovrebbe dunque chiamarsi persona. In base a un semplice sillogismo:

“Ogni soggetto è una persona;

l’embrione è un soggetto;

141 La frase, è ripresa da G. ALPA, La capacità giuridica in prospettiva storica, Vita Notarile, 1989, 5-6, p. 833. 142 Sull’unitarietà dell’uomo come identità biologica e come persona, D. VON ENGELHARDT, L’uomo, entità biologica e persona, in AA. VV. Scienza ed etica nella centralità dell’uomo, a cura di P. Cattorini, Milano, 1981, p. 51 e ss. 143 Come afferma M. CASINI, Op. Cit., p. 98. 144 Molteplici sono i documenti giuridici che accolgono il dato biologico dell’inizio della vita umana, come: CONSIGLIO D’EUROPA, Raccomandazione 1046/1986, n. 5: “Fin dalla fecondazione dell’ovulo la vita umana si sviluppa in modo continuo, sicché non si possono fare distinzioni durante la fase del suo sviluppo”; CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA, Sentenza del 25.2.1975: “Il processo di sviluppo che comincia è uno svolgimento continuo che non mostra tagli profondi… esso non finisce neppure con la nascita”; CORTE COSTITUZIONALE POLACCA, Sentenza del 28.5.1997: “Nel quadro della tutela giuridica della vita umana anche la vita prima della nascita non può essere discriminata. Mancano criteri sufficientemente precisi e fondati che permettano una tale discriminazione in riferimento alle varie fasi dello sviluppo umano”; CORTE COSTITUZIONALE UNGHERESE, Sentenza n. 64 del 1991: “Nella prospettiva biologica (specialmente genetica) la vita umana non è più un processo uniforme tra la nascita e la morte, bensì tra il momento del concepimento e la morte”.

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l’embrione è una persona.”

Vale la pena di ricordare che a tale principio fa riferimento il

Comitato Nazionale per la Bioetica, quando afferma che “L’embrione non è

una cosa… Nessuna proposta ontologica colloca l’embrione sul piano delle

cose, dal momento che la sua stessa natura materiale e biologica lo colloca

tra gli appartenenti alla specie umana… non si può accettare la legittimità

di una discriminazione tra gli esseri umani sulla base del possesso di certe

caratteristiche o funzioni… non si può non sentire che l’embrione è un

nostro simile”145.

L’uomo è così un soggetto di diritto fin dal concepimento146 e la

riflessione riguardante il principio di uguaglianza è presa in considerazione

proprio da quel recente orientamento che vuole proporre la soggettività

giuridica dell’embrione umano attraverso la modifica dell’art. 1 del nostro

Codice Civile147. In realtà, esso riprende un principio già enunciato dalla

Convenzione americana sui diritti dell’uomo148 che dichiara non solo che

145 Così, COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Op. cit. 146 Lo sforzo di collocare l’embrione umano in una categoria intermedia tra oggetti e soggetti, come D’USSEAUX F. B., Esistere per il diritto. La tutela giuridica del non nato, Milano, Giuffré, 45-56) o quello di “recuperare la valenza giuridica del nascituro sul piano dell’oggetto di tutela, indipendentemente dalla titolarità dei diritti”, come C.M. MAZZONI, La tutela dell’embrione e del feto nel diritto e il ruolo della giurisprudenza, Notizie di Politeia, 2002, pagg. 65, 167-177, “si scontra con il principio di uguaglianza, perché di fatto colloca gli esseri umani non ancora nati su un piano inferiore agli esseri umani già nati”. La frase è ripresa da M. CASINI, Op. cit. 147 ITALIA, MOVIMENTO PER LA VITA, Proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento della personalità giuridica ad ogni essere umano e conseguente modifica dell’art. 1 del codice civile, in Gazzetta Ufficiale, serie Generale, n. 4 del 5.1.1995: 6. Tale proposta è stata ripresa in diverse legislature: CAMERA, Atto 578, Modifica dell’art. 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad ogni essere umano, 6.6.2001; SENATO, Atto 133, Riconoscimento della capacità giuridica ad ogni essere umano. Riforma dell’art. 1 del codice civile, 6.6.2001; CAMERA, Atto 1050, Modifica dell’art. 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad ogni essere umano, 26.6.2001. Le motivazioni più complete della proposta di legge di iniziativa popolare si trovano nel saggio di C. CASINI, L’embrione umano: un soggetto. Verso la riforma dell’art. 1 c.c., Bioetica, 1996, 336-350. 148 Sottoscritta a San José di Costarica nel 1969.

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“Agli effetti della presente convenzione ogni essere umano è persona” (art.

1), ma anche che “ogni persona ha diritto al riconoscimento della sua

personalità giuridica” (art. 3), affermando esplicitamente, all’art.4, che

“Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita. Tale diritto deve essere

protetto dalla legge e in particolare a partire dal momento del

concepimento”.

Il concepito, dunque, va espressamente riconosciuto come persona

ed annoverato tra i soggetti titolari di diritto.

Riconoscere giuridicamente all’embrione lo status di soggetto

implicherebbe rilevanti conseguenze.

In primis, la difesa della vita umana, afferente le sue primissime fasi,

non sarebbe lasciata alla sola morale, alle religioni, alla cultura, alla libertà

di pensiero e di coscienza di ciascuno; essa riceverebbe una tutela ed una

protezione effettiva e sostanziale, qualunque fosse la situazione oggettiva

nella quale si trovi “qui in utero est”, poiché il “qui ” rappresenterebbe il

soggetto cui l’ordinamento attribuisce protezione e garanzia.

L’affermazione contenuta nell’art. 1 della legge italiana sull’aborto,

secondo cui “ La Repubblica tutela la vita umana sin dal suo inizio ”, pur

riconoscendo la tutela al concepito, non è sufficiente al fine di creare il

presupposto di un riconoscimento espresso della sua autonoma soggettività.

La protezione giuridica che l’ordinamento garantisce alle res149, volta a

realizzare l’interesse finale dei soggetti, è molto diversa da quella che

l’ordinamento stesso concede ad un soggetto direttamente, poiché essa è

strumentale; infatti, mentre oggi la tutela del concepito è prevista in

149 La Carta Costituzionale italiana del 1948, tra i principi fondamentali, proclama la tutela delle minoranze linguistiche (art. 6), delle confessioni religiose (art. 8),ma anche, nei titoli successivi, il paesaggio e il patrimonio storico e artistico (art. 9);e pure l’ozono, con la L. 16.6.1997, N. 179, recante Modifiche alla legge 28.2.1983, n. 549 recante misure a tutela dell’ozono atmosferico, G.U. n. 145 del 24.6.1997.

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funzione di tutelare “l’interesse della collettività alla propagazione della

specie” 150 e dunque qualcosa che è utile all’uomo, nel caso di un

riconoscimento autonomo di tutela, il concepito sarebbe considerato per il

valore che ha in sé.

Da ciò discendono inevitabili riflessioni, riguardanti, sia la

gravidanza, sia la applicazione tecnologica dei progressi scientifici

riguardanti la procreazione, ma anche la cura di alcune malattie.

In realtà, considerare il feto come persona, implicherebbe, ad

esempio, che l’aborto dovrebbe essere praticato soltanto secondo lo schema

giuridico dello “stato di necessità”151, superando l’idea attuale di aborto-

diritto, dato che i soggetti da considerare sarebbero due. Inoltre, diverrebbe

impossibile richiedere il risarcimento del danno per una nascita

conseguente ad un aborto mancato 152; sarebbe più semplice decidere le

questioni del risarcimento nei confronti di quel nascituro che abbia subito

danni morali o materiali durante il periodo di gestazione 153 ; anche la

obiezione di coscienza dei medici e dei farmacisti rispetto all’uso del

mifepristone e alla più nota “pillola del giorno dopo”154 andrebbe rivista.

150 Così, N. STOLFI, Capacità giuridica, Nuovo Digesto Italiano, UTET, Torino, 1973, p. 785. 151 Così si esprime M. CASINI, Op. cit., p.106 152 Cfr. COUR DE CASSATION, Arrêt del 17 novembre 200; Arrêts n.478, n. 479, n. 480 del 13.7.2001 e Arrêt n. 485, 486 del 28.11.2001; ma anche CORTE DI CASSAZIONE n. 6735 del 10.5.2002 (in www.giustizia.it) e il commento a Tribunale di Locri – Sezione distaccata di sidereo, 6.10.200, n. 462 di A.MACRÌ, A. DEMORI, Danno esistenziale e “wrongful life”, Rivista italiana di Medicina legale, 2002, 1, pag. 209-215. 153 Sul punto, cfr. CORTE DI CASSAZIONE, IV, Sez. pen., n. 11625 del 21.6.2000 e il commento di E. TURILLAZZI, Dialettica bioetica e concretezza giudiziaria sulla tutela giuridica della vita prenatale, Rivista di Medicina Legale 2001, 4-5, pagg. 739-754; P. FRATI, M. ARCANGELI, M. ZAMPI, A. PREMATE, La tutela del concepito. Evoluzione giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno biologico, Zacchia, 2002, 1, pagg. 37-50; A. LISERRE, In tema di danno prenatale, Rivista di Diritto Civile, 2002, 1, pagg. 97-108. 154 Sul punto, cfr. G. BONI, Il dibattito sull’immissione in commercio della c.d. pillola del giorno dopo: annotazioni su alcuni profili giuridici della questione, in particolare

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Il riconoscimento legislativo della soggettività del concepito

condurrebbe sicuramente a prendere maggiore consapevolezza

dell’importanza della vita e del suo valore, incidendo, probabilmente anche

su altre ragionamenti che si compiono intorno all’idea di legalizzare

l’eutanasia; riconoscendo, in definitiva, un concetto di dignità umana e di

uguaglianza più profondo e penetrante.

7. All’interno dell’assetto normativo italiano vigente, è principio

fondamentale che la capacità giuridica si acquisti al momento della nascita

(art. 1 C.C.), anche se il nascituro, purché in vita, abbia la possibilità di

diritti solo in qualità di persona futura155.

Infatti, secondo la nota sentenza della Corte di Cassazione, 19

febbraio 1993, n. 2023, rv.480995: “La capacità giuridica è l'idoneità ad

essere titolari di poteri e doveri giuridici. La persona fisica acquista la

capacità giuridica con la nascita e la conserva fino al momento della morte.

Essa si acquista con la separazione del feto dall'alveo materno, sempre che

sia nato vivo, poiché non può considerarsi persona titolare di diritti e

doveri il nato morto”156.

sull’obiezione di coscienza, Il Diritto di Famiglia e delle Persone, 2001, 2, pagg. 677-717; G. DI COSIMO, I farmacisti e la pillola del giorno dopo, Quaderni Costituzionali, 2001, 1, pagg. 142-144. 155 Art. 1, comma 2, c.c. : “ I diritti che la legge riconosce al concepito sono subordinati all’evento della nascita (254,320, 462, 715, 784)”. 156 In diritto romano sorgevano dispute teoriche solo in materia di accertamento della venuta ad esistenza del neonato. In tal contesto i proculeiani richiedevano l'emissione di un vagito, mentre i sabiniani ritenevano che la prova della vita potesse essere data in qualsiasi modo. Un altro problema era rappresentato dal caso del nato con fattezze non umane, con prevalenza di tratti ferini [Ulpiano in D.50.16.235]. La nascita di un monstrum, non integrava in genere la nascita di un essere umano: ciò valeva sia in ordine al problema della ruptio testamenti, in seguito alla nascita di un altro figlio legittimo del testatore, che del ius liberorum a favore della donna [MARIO TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Giuffrè 1990]. I giuristi romani anticipavano al momento del concepimento effetti che si sarebbero dovuti produrre soltanto con la nascita. Giuliano dà a questo principio una formulazione molto ampia “Qui in utero sunt in toto paene iure civili intelleguntur in

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Si pone allora il problema se il concepimento segni il momento di

acquisto di una sia pur parziale capacità giuridica 157 . Una rigorosa

impostazione giurisprudenziale sancisce che le disposizioni di legge che, in

deroga al principio generale dettato dal primo comma dell'art. 1 Codice

Civile, prevedano la tutela dei diritti del nascituro, siano da considerare

disposizioni a carattere eccezionale e come tali non suscettibili di

interpretazione analogica158.

In dottrina, generalmente, si esclude che il concepimento possa

essere considerato come il momento di acquisto della capacità giuridica,

poiché essa sarebbe una qualità non graduabile, che dovrebbe riconoscersi o

negarsi per intero 159 . Pertanto, qualora il concepito non nasca, le

attribuzioni a suo favore sono inefficaci e, conseguentemente, la

trasmissione di diritti ai suoi eredi è inammissibile. Se invece il concepito

viene alla nascita, le attribuzioni a suo favore rimangono definitivamente

efficaci. Altra dottrina160 sostiene che l'ordinamento considera il concepito

come portatore di interessi meritevoli di tutela attuale e, in corrispondenza a

tali interessi, gli attribuisce una capacità provvisoria che diviene definitiva

se il concepito, secondo il suo ciclo naturale, viene alla nascita, e che si

risolve retroattivamente se tale evento non segue. In senso contrario è stato

sostenuto che il concepito non abbia capacità giuridica, nemmeno

rerum natura esse”: coloro che sono nell'utero materno vengono considerati in pressoché tutto il diritto civile come se fossero già venuti ad esistenza [MARIO TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990.]. 157 C. M. BIANCA, Diritto Civile 1, Giuffrè 2002. 158 CASS. 28-12-73, n. 3467. 159 Su tale appunto v. FALZEA A., Capacità (teoria gen.), in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffré, 1960, VI. 160 C. M. BIANCA, Op. Cit.

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provvisoria, anticipata o condizionata; può solo parlarsi di tutela

conservativa, affidata ai genitori, di taluni diritti patrimoniali161.

Ma, a ben vedere, in tutta la normativa codicistica che lo riguarda, il

concepito è portatore di interessi che devono essere fatti valere attualmente,

se necessario. La nostra tradizione giuridica è nel senso che il nascituro

concepito debba godere di protezione e tutela come essere umano. Egli è

pertanto soggetto di diritto e quindi persona162. Autorevole dottrina afferma

che la fattispecie creatasi in tal modo nei riguardi del concepito è completa,

ma condizionata sospensivamente quanto agli effetti, divergendo, così,

dall’orientamento tradizionale che, analizzando le norme vigenti riferibili al

concepito (in particolare all’art. 643 c.c., in tema di amministrazione dei

beni in caso di nascituri e l’art. 784 c.c., riguardante le donazioni agli

stessi), ritiene che le situazioni giuridiche riferibili allo stesso siano

imperfette, poiché la condizione necessaria per il suo perfezionamento è

proprio la effettiva nascita. Tale affermazione non è da tutti condivisa, dato

che, come già affermato, alcuni ritengono che anche il concepito sia già un

soggetto di diritto.

Il problema si è posto analizzando la legislazione sull’aborto, ma né

la dichiarazione di intenti della L. 22 maggio 1978, n. 194 163 , né

l’affermazione incidentale della Corte Costituzionale 164 , possono essere

interpretati a favore di una anticipazione della capacità giuridica, in

particolar modo se si rammenta che, la sentenza appena citata, è stata

pronunciata con lo scopo primario di assicurare la “prevalente tutela della

161 F.GAZZONI, Manuale di diritto privato, V edizione aggiornata, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, p. 121. 162 L. FERRI, in Riv. Trim Dir. Civ. 1980, p. 48. 163 “Lo Stato… tutela la vita umana sin dal suo inizio”. 164 Che nella sentenza 18 febbraio 1975, n. 27 inquadra la condizione giuridica del concepito tra i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost.

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salute della madre”, rispetto al solo “fatto eventuale” della futura nascita,

dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 546 c.p. che vietava

espressamente l’aborto terapeutico.

Ci si trova, pertanto, dinanzi ad una fattispecie a formazione

progressiva, nella quale la nascita rappresenta “un coelemento della

fattispecie acquisitiva del diritto”165, che impedisce di parlare propriamente

di capacità sospensivamente o risolutivamente condizionata o provvisoria.

La Suprema Corte ha affermato il principio della inesistenza di

autonomi diritti in capo al concepito, a prescindere da espresse previsioni di

legge, non riconoscendogli ad esempio, una volta nato, il diritto al

risarcimento del danno morale per l’uccisione del padre, avvenuta prima

della sua nascita. Di contro, il concepito, pur essendo incapace, è titolare di

un interesse protetto a nascere sano e, dunque, una volta nato invalido, gli è

riconosciuto il diritto di richiesta del risarcimento dei danni subiti nella vita

prenatale, non solo ex art. 2043 c.c. (come il caso di un incidente stradale),

ma anche ex art. 1218 c.c. (come il caso di erronea applicazione di

trattamenti terapeutici nel corso della gravidanza della madre).

In concreto, il concepito è capace di succedere mortis causa (art. 462

c.c.)166 e può ricevere donazioni (art. 784 c.c.)167. Tali stessi diritti li ha

165 Così F. GAZZONI, Op. Cit., p. 121. 166 Art. 462. c.c. CAPACITÀ DELLE PERSONE FISICHE. Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione [c.c. 1, 456, 627, 687, 784]. Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell'apertura della successione chi è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta [c.c. 232, 803]. Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti [c.c. 643, 674, 715, 784]. 167 Art. 784 c.c..DONAZIONE A NASCITURI. La donazione può essere fatta anche a favore di chi è soltanto concepito [c.c. 1, 462], ovvero a favore dei figli di una determinata persona vivente al tempo della donazione [c.c. 785], benché non ancora concepiti.

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pure il nascituro non concepito (artt. 462, comma 2, e 784, comma 1) e tale

previsione normativa rappresenta la conferma che il disposto dell’art. 1,

comma 2, c.c., non implica necessariamente una anticipazione della

capacità giuridica168 se perfino il non concepito può essere destinatario di

attribuzioni patrimoniali.

Tuttavia, vi è chi distingue tra acquisto del concepito, rispetto al

quale, la mancata nascita opererebbe come condizione risolutiva, e acquisto

del non concepito, rispetto al quale, la nascita opererebbe come

avveramento di una condizione sospensiva169.

I rapporti tra soggettività e capacità giuridica, in particolar modo alla

luce delle nuove produzioni normative e giurisprudenziali, rappresentano

un terreno molto fertile di riflessioni, non soltanto da un punto di vista

giuridico.

Infatti, la matrice patrimonialistica del Codice Civile, volta a

garantire la corretta circolazione dei beni e la certezza delle situazioni

giuridiche patrimoniali, giustifica la limitata capacità riconosciuta al

concepito.

L'accettazione della donazione a favore di nascituri, benché non concepiti, è regolata dalle disposizioni degli articoli 320 e 321 [c.c. 462, 643]. Salvo diversa disposizione del donante, l'amministrazione dei beni donati spetta al donante o ai suoi eredi, i quali possono essere obbligati a prestare idonea garanzia [c.c. 1179; c.p.c. 119]. I frutti maturati prima della nascita sono riservati al donatario se la donazione è fatta a favore di un nascituro già concepito. Se è fatta a favore di un non concepito, i frutti sono riservati al donante sino al momento della nascita del donatario. 168 Così, F. GAZZONI, Op. Cit., pag. 122. 169 I diritti successori e quelli derivanti da donazioni, come precisa F. GAZZONI, Op. Cit., si acquistano, dunque, solo se il concepito nasce vivo (anche se non vitale), irrilevante essendo la presenza dei caratteri umani essenziali purché sia iniziata la respirazione polmonare che costituisce la prima autonoma funzione vitale del nuovo individuo. E’ importante segnalare che la legge non pretende che l’individuo, al fine di acquistare diritti, rimanga in vita per un certo tempo. Anche il mero inizio di una attività respiratoria è sufficiente per acquisire al patrimonio i diritti successori o i beni donati, con la conseguenza che essi, in caso di immediata morte, passeranno agli eredi secondo le ordinarie regole della successione legittima.

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Tuttavia, il contesto giuridico, oggi, è mutato; esso è

teleologicamente orientato verso la previsione di aspetti anche non

patrimoniali, all’interno dei quali il concetto di capacità giuridica non

corrisponde più a quello di soggettività giuridica. Infatti, la mancata

previsione di una capacità giuridica al concepito, tanto nel Codice Civile,

quanto nell’art. 2 della Carta Costituzionale, non esclude la tutela dei diritti

fondamentali ed inviolabili dell’uomo, alla cui categoria è riferibile anche il

concepito, il quale, se non potrà vedersi riconosciute situazioni patrimoniali,

ambisce, in ogni caso, alla tutela dei diritti inviolabili minimi.

A tale convincimento, si è giunti attraverso leggi speciali,

convenzioni internazionali che individuano nel concepito un centro di

interessi meritevole di tutela; ed anche quei testi normativi, che, prima facie,

parrebbero essere contro la vita 170 , tutti testimoniano una attenzione al

concepito, inteso quale soggetto titolare di diritti.

La stessa legge n. 40/2004, sulla procreazione medicalmente assistita,

nel ricomprendere il concepito, all’art. 1, tra i soggetti “coinvolti”,

riconosce esplicitamente, forse, anche al nascituro, l’esistenza di una

soggettività.

Tale orientamento, dimostrando il superamento del dogma della

coincidenza tra capacità giuridica e soggettività giuridica, conferma il

riconoscimento della tutela di un soggetto di diritto, quale il concepito, pur

non essendo titolare di capacità giuridica.

Accanto ai diritti patrimoniali, nei casi espressamente previsti dalla

legge, al concepito sono, dunque, riconosciuti i diritti fondamentali quali la

dignità, la salute, l’identità, al pari dell’uomo nato.

170 Cfr. Legge 22 maggio 1978, n. 194, pubblicata nella G.U. 22 maggio 1978, n. 140.

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In particolare, il divieto di clonazione, (art. 13, lett. c) nella legge n.

40/2004, garantisce il diritto alla dignità e alla identità; il diritto alla salute è

tutelato dall’art. 13 della stessa legge, dedicato al divieto di

sperimentazione sugli embrioni umani; il diritto alla vita, addirittura

presente nella legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, anche se,

nel bilanciamento degli interessi tra il diritto del concepito a vivere e il

diritto di autodeterminazione della madre, la stessa Corte Costituzionale,

afferma la prevalenza del secondo, dato che la madre, oltre che soggetto di

diritto è anche persona.

Per il diritto contemporaneo, il concetto di soggettività e persona è

esposto in modo approfondito dal PERLINGIERI171: “Persona fisica è l'uomo

considerato dal diritto nella sua individualità e nei rapporti con gli altri.

Preliminarmente occorre individuare il rapporto esistente tra la persona ed

il soggetto. Due sono le linee di tendenza nelle quali sembra possibile

riunire numerosi indirizzi dottrinali. Taluni, senza effettuare alcuna

distinzione, discorrono indifferentemente di persona, soggetto, uomo,

individuo. Storicamente, l’atteggiamento si accentua man mano che

l'individuo è liberato dalla soggezione perviene agli status, fonti di privilegi

e di discriminazioni. Lineare la conseguenza: ogni essere umano vivente è

persona e quindi soggetto di diritto. Meno diffuso, invece, è l'orientamento

che, ravvisando l'esistenza di differenti àmbiti di incidenza per il soggetto e

per la persona, propone di tenerli separati. Le dispute sulla confluenza o

sulla precisa suddivisione delle sfere d'influenza tra soggetto e persona non

segnano alcun progresso rispetto al fine, perseguito dall'ordinamento, di

valorizzare a pieno l'uomo nel suo essere e nelle manifestazioni del suo

agire. In tal modo, però, si ridimensiona l'affermazione che tutte le persone

171 P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli 1997, pagg. 115-116.

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umane sono soggetti di diritto: lo sviluppo storico e lo studio

comparatistico degli ordinamenti giuridici dimostrano che il dato non è

immutabile e la dottrina ricorre al termine soggetto (anziché a quello di

persona), là dove si occupa del fenomeno soggettività in termini di

struttura, mentre alla persona riserva un significato più contenutistico”.

La separazione tra persona umana e soggettività giuridica, nella

dottrina contemporanea, è poi evidenziata dalla terminologia che distingue,

talora per identificarveli, tra capacità giuridica, soggettività e personalità.

Lo stesso Autore, tra l’altro, prosegue: «Per unanime opinione, la capacità

giuridica assurge a principio generale dell'intero ordinamento giuridico.

Essa è definita dalla dottrina come idoneità di un soggetto ad essere

titolare di diritti e doveri e più in generale di situazioni soggettive. Secondo

taluni però occorre distinguere la capacità giuridica "generale", che in

quanto attitudine astratta e generica è estesa a tutti gli uomini, dalla

capacità giuridica speciale, quale incidenza della capacità generale sulla

possibile titolarità delle singole situazioni. Dominante è l'opinione che

identifica la capacità giuridica con la soggettività. Nell'ambito di tale

opinione la teoria c. d. organica costruisce il soggetto giuridico come una

fattispecie composta da un elemento materiale (il substrato materiale) e un

elemento formale (il riconoscimento formale da parte dell'ordinamento)

che attribuisce al primo la qualità di persona: l'uomo diventa soggetto del

diritto soltanto in virtù di tale riconoscimento. La fattispecie-capacità è

preliminare ad ogni altra situazione soggettiva e si pone come presupposto

per l'acquisto di tutti i diritti e gli obblighi giuridici; non è ammissibile che

essa sia graduale, poiché è sempre costante, piena, non parziale, non

limitata, non relativa. In questa prospettiva, però, l'uomo assurge

nell'ordinamento giuridico ad unità fittizia ed indifferenziata”.

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Altra impostazione, invece, raccoglie le teorie c. d. atomistiche che

tendono a scomporre il fenomeno in tanti comportamenti quante sono le

norme che li prevedono. La persona, fisica o giuridica, che "ha" doveri

giuridici e diritti soggettivi, "è" questi doveri e questi diritti; è, cioè, un

complesso di doveri giuridici e di diritti soggettivi, raffigurato

unitariamente. Tale concezione estromette l'individuo dal mondo del diritto,

limitandosi a cogliere l'isolato comportamento umano come previsto e

disciplinato dalla singola norma. Pertanto la soggettività, al pari della

capacità giuridica, lungi dal costituire una qualità intrinseca dell'uomo, si

frantuma in una serie di comportamenti analizzabili l'uno

indipendentemente dall'altro, sì che resta preclusa un'interpretazione della

realtà che trascenda l'episodico e il contingente. Invero l'art. 1 – del Codice

Civile italiano – segna l’ingresso dell'individuo nell'ordinamento giuridico:

l'uomo è accolto nel mondo del diritto nella sua totalità fisica e psichica e,

dunque, diviene soggetto di diritto. La natura della norma non consente di

spingere l'affermazione oltre il mero riconoscimento della

capacità-soggettività. Il collegamento della soggettività ad ogni persona

fisica è invece ravvisabile, a livello costituzionale. La soggettività entra nel

novero dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all'uomo (2 Cost.

italiana). La qualità di uomo si presenta come condizione imprescindibile,

affinché l'ordinamento possa assegnare la qualifica di soggetto di diritto:

l'appartenenza al genere umano costituisce requisito necessario e al tempo

stesso sufficiente ai fini del conferimento della soggettività e non sono

ammesse (31 cost.) distinzioni di sorta tra individuo e individuo. Perciò, la

capacità-soggettività non può essere eliminata per alcun motivo 172 . Si

172 Neanche di natura politica (art 22 Cost.).

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riattribuisce, così, una propria utilità alla nozione di capacità giuridica

generale, respingendo le letture riduttive dell'art. 1 c.c.

Con riferimento ai concetti di capacità giuridica e di personalità, la

prima si configura come nucleo essenziale della seconda (sì che le due

nozioni si sovrappongono e si esauriscono l'una nell'altra), mentre,

quest’ultima si pone ora come prioritaria rispetto alla capacità giuridica,

ora, come espressione e misura della stessa. Più di recente, sulla base di una

attenta valutazione del dato costituzionale, non soltanto non è lecito

confondere la capacità con la personalità (che della persona è l'aspetto

dinamico garantito nel suo pieno e libero svolgimento), ma si delinea

l'impossibilità di riconoscere all'uomo l'astratta potenziale titolarità, senza

l'effettiva attuazione dei valori dei quali egli è portatore. Il che vale, in

particolare, per le situazioni soggettive personali e personalissime, che si

possono definire esistenziali, là dove titolarità e realizzazione coincidono

con l’esistenza stessa del valore, tant’è che, almeno per tali situazioni, non è

configurabile la distinzione tra la capacità giuridica (momento della

titolarità) e la capacità di agire (momento dell’esercizio).

La dottrina prospetta tra la capacità giuridica e la capacità di agire (2

c.c., con le modifiche della L. 8 marzo 1975, n. 39) un costante

parallelismo. La capacità giuridica designa il momento statico e il soggetto

si presenta come immobile portatore d'interessi; la capacità di agire indica

l'aspetto dinamico e il soggetto diventa operatore giuridico, protagonista

attivo. “Pertanto, la capacità di agire è definita come idoneità della

persona a svolgere l'attività giuridica che riguarda la sfera dei suoi

interessi o come attitudine a manifestare volontà che siano idonee a

modificare la propria situazione giuridica o ancora come idoneità ad

esercitare diritti e assumere obblighi giuridici. Della capacità di agire

generalmente si afferma la relatività. Essa varia sia dal punto di vista

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strutturale, in quanto i presupposti che concorrono a formarla si

differenziano in rapporto al tipo di atto; sia da quello funzionale, in quanto

la sua esclusione o limitazione corrisponde a precisi scopi: altro è

l'incapacità dei minori e degli interdetti giudiziali (1441 c.c.), altro

l’incapacità degli interdetti legali (1412 c.c.), quale pena accessoria a

carico del condannato all'ergastolo o alla reclusione per un tempo non

inferiore a cinque anni (32 c. p.). La relatività opera anche in altro senso:

è dato rinvenire una capacità negoziale, una processuale, una penale, una

politica, ecc. La capacità di agire, al contrario della capacità giuridica,

appare misurabile in termini quantitativi, tant’è che fra gli estremi

dell'incapacità totale e della piena capacità si collocano numerose tappe

intermedie: capacità parziale, limitata, semipiena e altre ancora»173.

Se si considera l’art. 1 c.c., alla luce di quanto dispone l’art. 2 della

nostra Carta Costituzionale, si comprende come la stessa intenda non solo

la persona quale “valore” dell’ordinamento, ma riconosca la identificazione

tra essere umano, nella sua esistenza, e persona, nella sua essenza174.

Il valore della personalità amplia dunque il riconoscimento giuridico

riservato alla persona, consentendo altresì la tutela di interessi essenziali del

concepito, con riguardo, in particolar modo, alla difesa della vita e della

salute.

Il concepito è pertanto titolare degli stessi diritti inviolabili

riconosciuti all’uomo, primo tra tutti la dignità.

La qualità umana, attribuisce già di per sé la titolarità dei diritti

umani e questo conduce a ritenere che l’embrione sia “una realtà

173 P. PERLINGIERI, Op. cit. p. 121. 174 Come si è ampiamente argomentato nei paragrafi precedenti riguardanti la coincidenza tra persona e essere umano.

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esistente” 175 . “La decorrenza della soggettività dalla nascita – come

prevede l’art. 1 c.c – non lo è altrettanto con la Costituzione, che nel porre

l’attenzione al riconoscimento dei diritti fondamentali, s’impegna al

rispetto della dignità umana, come sintesi dei diritti inviolabili, di cui

anche il concepito è portatore”176. Quest’ultimo è depositario di tutti gli

interessi giuridici previsti dall’ordinamento, indipendentemente dal suo

grado di sviluppo psico-fisico, dato che la sua soggettività, manifestando il

valore umano, ne giustifica la tutela. Il riferimento del dettato costituzionale

all’essere (biologico, spirituale, sociale, psicologico) nella sua complessità

sembra voglia affermare l’uguaglianza tra gli uomini, avversando la

disparità di trattamento, fondata sull’evento della nascita, e non

riconoscendo in modo alcuno la superiorità dell’uomo nato, rispetto a

quello soltanto concepito177.

175 Così, P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Napoli, ESI, 2005, p. 318. 176 Così, P. D’ADDINO SERRAVALLE, Questioni biotecnologiche e soluzioni normative, Napoli, ESI, 2003, p. 25. L’Autrice, aggiunge che: “La soggettività è la categoria idonea a rispecchiare l’evoluzione biologica dell’individuo, mentre la capacità resterebbe una categoria plasmata sull’approccio prettamente patrimonialistico del codice ed esprimerebbe anche una nozione graduabile, che si presta ad assecondare la specificità della condizione del nascituro: i diritti patrimoniali a lui riservati dal codice sono subordinati all’evento della nascita, ma i diritti fondamentali della persona, vita, salute, dignità, identità, che non si misurano col metro della capacità giuridica, sono connaturali alla persona umana, nella concezione lata e dinamica, che la costituzione esprime, appartengono al concepito nella sua dimensione attuale”. 177 “La scelta dell’art. 2 come paradigma cui ancorare la tutela costituzionale dell’embrione è particolarmente feconda per il riferimento allo svolgimento della personalità dell’uomo, tutelata dinamicamente verso il pieno sviluppo”, così P. D’ADDINO SERRAVALLE, Op. cit., p. 25.

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Capitolo III

L’amministrazione di sostegno

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SOMMARIO:1. L’amministrazione di sostegno. – 2. L’amministrazione di

sostegno come scelta del beneficiario. – 3. La prestazione del consenso al

trattamento sanitario da parte dell’amministratore di sostegno. - 4. Il

requisito del consenso informato. Fonti normative interne ed europee. - 5.

La tutela dei diritti dell’uomo tra diritto antico e moderno.

1. La L. 9 gennaio 2004, n.6 178 , nell’apportare modifiche alla

disciplina che regola l’istituto della interdizione e della inabilitazione

dell’infermo mentale, ha istituito l’amministrazione di sostegno,

178 Il testo normativo è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 15 ottobre 2003, dalla Commissione Giustizia del Senato il 22 dicembre 2003 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 2004, serie generale, n.14. Per un approfondimento della normativa: G. BONILINI–A. CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno, Padova, 2004; E. CALÒ, Amministrazione di sostegno, L.9 gennaio 2004, n.6, in Diritto e pratica professionale, Milano, 2004; G. CAMPESE, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia in materia di interdizione e di inabilitazione, in Famiglia e diritto, IPSOA, 2, 2004; E. CARBONE, Libertà e protezione nella riforma dell’incapacità di gire, in N.G.C.C., 2004, Parte seconda, p.537; G. CIAN–A. TRABUCCHI, Commentario al codice civile, in Breviaria Iuris, a cura di G. Cian e A. Trabucchi, Padova, 2004; S. DELLE MONACHE, Prime note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in N.G.C.C., Parte seconda, p. 55; A. JANNUZZI–P. LOREFICE, Manuale della volontaria giurisdizione, Giuffrè, 2004; B. MALAVASI, Il commento alla nuova legge, in Notariato, 3, 2004, p.327; R. BUTTITTA, L’incapacità naturale e l’amministratore di sostegno, in Vita not., 1, 2004, p.483; E. CALÒ, Gli stranieri e l’amministrazione di sostegno, in Fam. e dir. 4,2004, p.417; M.C. ANTONICA, L’amministratore di sostegno: un’alternativa all’interdizione ed all’inabilitazione, ivi, 2, 2004, p. 528; F. RUSCELLO, “Amministrazione di sostegno” e tutela dei “disabili”: Impressioni estemporanee su una recente legge, in Studium iuris, 1, 2004, p. 149; G. BONILINI, La designazione dell’amministratore di sostegno-Prima Parte, ivi, 9, 2004, p. 1051 – Seconda parte, ivi, 10, 2004, p. 1209; F. TOMMASEO, L’amministrazione di sostegno: i profili processuali, ivi, 9, 2004, p. 1061; A. JANNUZZI, P. LOREFICE, Manuale della volontaria giurisdizione, Giuffrè, 2004, p. 319. La perdita della capacità di agire può essere una conseguenza dell’apertura di un procedimento di amministrazione di sostegno. Infatti, alcuni provvedimenti hanno preservato intatta la capacità di agire del beneficiario: in particolare, si veda, A. BUTANI, Piccolo vademecum per la nomina del nuovo amministratore di sostegno, in Guida al diritto, n. 20, p. 118, contenente il testo dei decreti del giudice tutelare presso il Tribunale Parma, 2 aprile 2004, nn. 1707 e 1708, nonché il decreto del giudice tutelare presso il Tribunale di Pinerolo in data 4 novembre 200, in N.G.C.C., 2005, Parte prima, p.1.

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consentendo al nostro ordinamento di “allinearsi ad esperienze compiute,

sebbene con maggior vigore, nel medesimo campo in altri sistemi, quale

tedesco”179 e svizzero180.

La tecnica legislativa impiegata ha utilizzato gli artt. 404 del codice

civile e seguenti, fino all’art. 413, che un tempo regolavano l’istituto

dell’affiliazione, abrogato con l’art. 77 della L. n. 184/1983181.

Si è trattato di un tentativo di codificazione “sostanziale”182 che tenta

una armonizzazione183 con gli istituti già vigenti in materia di protezione

179 M. AVAGLIANO, La riforma dell’incapacità del maggiorenne, in FederNotizie, marzo 2004, p. 81 ss. 180 In Svizzera, per un adattamento delle forme di protezione alle esigenze particolari del singolo, sono presenti quattro distinte forme di curatela: la curatela “da accompagnamento” (che non limita in alcun modo la capacità ed i diritti civili del soggetto assistito), quella “di rappresentanza”, quella “di cooperazione” e infine quella “generale” con carattere residuale. Per un approfondimento sul tema, cfr. E. CARBONE, Op. cit., p.537, in tema di “de-stigmatizzazione” della diversità psichica: l’autore evidenzia come la permanenza degli istituti tradizionali dell’interdizione e dell’inabilitazione comportano la possibilità di non stigmatizzare ed emarginare quale soggetto “incapace” il beneficiario di amministrazione di sostegno. 181 Il Legislatore ha voluto dedicare all’amministrazione di sostegno un campo autonomo e segnatamente distinto rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, tanto che il primo istituto è stato collocato nel Capo I, Titolo XII del Libro I del Codice Civile, mentre i secondi sono stati mantenuti nel Capo II. Laddove si fosse voluto riprodurre, anche per il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, quello applicabile all’interdizione e all’inabilitazione, il Legislatore non solo avrebbe dovuto farlo espressamente, ma avrebbe dovuto scegliere anche una collocazione sistematica ben diversa, inserendoli tutti nello stesso Capo del Codice Civile. 182 Così si esprime G. MARCOZ, La nuova disciplina in tema di amministrazione di sostegno, in Riv. Notariato, 2005,3,523. 183 Alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali è emerso purtroppo che l’intento di armonizzazione non è stato pienamente ottenuto, in quanto permangono forti contrasti in merito ai rapporti tra la nuova figura ed il tradizionale istituto dell’interdizione. In particolare, S. DELLE MONACHE, Op. cit., sub 411, p. 470, ove “Distinguendo tra limitazioni ed effetti, il comma 4 dell’art. 405 c.c..…, sotto il primo profilo allude alle disposizioni che precludono il compimento di un particolare atto all’incapace, mentre per quanto concerne il riferimento agli effetti esso deve intendersi avere riguardo alle ipotesi in cui lo stato di interdizione o di inabilitazione figura tra gli elementi di una qualche fattispecie normativa autonoma”. La decadenza dovrà essere “intesa come cessazione automatica da un determinato ufficio per il venir meno dei presupposti che normativamente condizionano l’assunzione della sua titolarità”.

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degli incapaci, che, nonostante l’indicazione di una parte della dottrina184, il

legislatore non ha ritenuto di dover abrogare.

Sono state inoltre apportate modifiche rilevanti ad alcune disposizioni

in tema di tutela di interdetti e di curatela di inabilitati, finalizzate a

conciliare questi istituti con la nuova figura introdotta. Tra queste emerge

l’adeguamento della rubrica del Titolo XII del Libro primo del Codice civile

divenuta “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte

di autonomia”. Particolarmente rilevante, ai fini della analisi e

dell’interpretazione della nuova disciplina, nonché dei rapporti tra

l’amministrazione di sostegno e le altre forme di protezione degli incapaci, è

la finalità perseguita dalla riforma, espressamente riportata dall’art. 1 di tale

legge istitutiva, non riprodotto, purtroppo, nella disciplina del Codice Civile.

Lì viene espressamente stabilito che, l’intervento legislativo è finalizzato a

“tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le

persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle

funzioni di vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o

permanente”.

Tale formula, pertanto, si pone quale concreto criterio interpretativo

per considerare in modo corretto, all’interno del sistema generale della

capacità della persona fisica ( artt. 2, 84, 165, 250, 291, 591, 774 c.c.), la

disciplina in materia di protezione delle persone affette da infermità e da

menomazioni psicofisiche185.

In realtà, fino al momento della entrata in vigore di tale legge, nel

nostro ordinamento, l’interdizione e l’inabilitazione si ponevano non solo 184 P. CENDON, Infermi di mente e altri “disabili” in una proposta di riforma del codice civile. Relazione introduttiva e bozza di riforma, in Giur. it., 1998, IV, p. 117 e ss. 185 Sul punto, A. VENCHIARUTTI, Amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione. Un primo confronto dopo l’entrata in vigore della L. 9 gennaio 2004, n.6, in Vita not. 2005, II, p. 522; G. BONILINI E A. CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno, Padova, 2004.

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come procedure assai lunghe e costose, ma anche eccessivamente

restrittive rispetto alle esigenze effettive di protezione e di tutela della

persona, pensate dunque per le persone “in condizione di abituale infermità

di mente” e “incapaci di provvedere ai propri interessi”186. Non si teneva

conto della necessità di previsione di uno strumento di tutela per coloro che,

sia pur del tutto in grado di autodeterminarsi, si trovassero nella condizione

di gestire piccole difficoltà che la vita quotidiana avesse presentato loro; con

la conseguenza inevitabile che le situazioni di menomazione meno incerte

dell’infermità mentale, o ricadevano, con ineludibili forzature, nel regime

dell’interdizione o dell’inabilitazione, o non ricevevano protezione giuridica

alcuna.

Attualmente, però, l’ordinamento giuridico è sempre più orientato a

prendere consapevolezza delle differenze tra i soggetti privati cosiddetti

“forti” e quelli “deboli”. La tutela dei primi viene affidata generalmente al

riconoscimento a loro vantaggio di diritti patrimoniali assoluti, la cui

realizzazione non necessita dell’intervento positivo di terzi, ma

semplicemente un generale dovere di astensione. La protezione dei soggetti

“deboli”, invece, richiede l’intervento positivo di soggetti estranei, la cui

collaborazione necessaria deve essere disciplinata positivamente dal

legislatore. L’amministrazione di sostegno sposta l’attenzione da ragioni di

conservazione del patrimonio a quelle di tutela e protezione del soggetto.

186 Pare opportuno richiamare la sentenza n. 913, del Tribunale di Trieste il 5.10.06, pubblicata in Giur. it., p. 84/2007, che, accogliendo la domanda di revoca dell’interdizione di un soggetto affetto da grave ritardo intellettivo, ha statuito che “l’amministrazione di sostegno rappresenta lo strumento ordinario per la protezione di soggetti deboli, rispetto al quale i pur vigenti istituti dell’interdizione e inabilitazione rivestono un ruolo del tutto residuale, potendo subentrare soltanto qualora l’amministrazione di sostegno si riveli inidonea a realizzare una protezione adeguata al beneficiario. Qualora l’interessato risulti protetto da una rete familiare e sociale attenta e vigile, non sussistono i presupposti per sottoporre la persona ad amministrazione di sostegno”.

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“L’eterogeneità delle situazioni esistenziali di disabilità rappresenta

il substrato sociologico della flessibilità giuridica degli strumenti di

protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”187 previsti

dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6. Superando “le tradizionali tecniche di

protezione della persona minorata, fondate sul divieto di atti e attività”188,

la nuova legge riconosce forme non rigide di incapacità, “espressive di una

graduazione di soggettività giuridica”189.

Il beneficiario del recente istituto è dunque una persona che gode di

una generale capacità di agire, che conserva anche dopo la nomina

dell’amministratore di sostegno190; infatti, sembra possa affermarsi che il

187 Così F. PARENTE, Amministrazione di sostegno e regole di governo dei fenomeni successori e donativi, in Rassegna di diritto civile 3/2005/Saggi, p. 704-705. 188 Così prosegue F. Parente, Op.cit., p.706. 189 Così lo stesso Autore appena citato, Op.cit, p. 707, nella cui nota 4, l’Autore riportano le parole di P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, II edizione, Napoli, 1991, p. 347: “In questo senso le forme di incapacità tendono a rappresentare gradualità di soggettività giuridiche: talune, quelle capaci, degne di soggettività piena; altre, quelle limitatamente capaci o addirittura del tutto incapaci, prive in realtà dell’attributo della soggettività”. Sulle restrizioni alla capacità di agire, che secondo la legge di riforma devono essere introdotte solo quando siano inevitabili, si veda: E. CALÒ, La pianificazione delle vicende personali e patrimoniali. Dall’amministrazione di sostegno al testamento biologico. Rapporti patrimoniali fra coniugi e successioni nel diritto internazionale privato, in Letture notarili, collana diretta da G. Taurini, Milano, 2004, p. 101. 190 All’interno di questa generale situazione di capacità, sono riscontrabili delle determinate zone d’ombra, relative agli atti per i quali sussiste la rappresentanza dell’amministratore di sostegno o che il beneficiario può compiere necessariamente assistito. Un esempio che può rendere chiara la applicazione del principio appena enunciato, è dato dalla permanenza degli effetti delle procure o di contratti di mandato conclusi dal beneficiario prima della nomina dell’amministratore di sostegno, la cui validità ed ultrattività è giustificata proprio dalla capacità d’agire residuale che tale soggetto conserva. Si distingue, in tal senso, una decisione del Tribunale di Trani – sez. dist. Di Ruvo di Puglia, a firma del G.O.T. avv. Nicola Milillo del 17.07.2007, con n. R.G.13117/07, commentata da Ulisse Nicola, in www.dirittoediritti.it, in cui consente all’amministratore di sostegno, la possibilità di stipulare una compravendita immobiliare, per la quale il beneficiario, affetto da grave malattia neurodegenerativa irreversibile, rientrante tra quelle che la scienza medica qualifica di c.d. tipo Alzheimer, si era già obbligato con scrittura privata. Questo nel solco dell’orientamento della Cass. Civ., Sez. I, sent. 28/05/07, n. 12466 – Pres. Rel. Adamo, secondo cui “La logica posta dal Legislatore a base della nuova normativa è finalizzata a limitare i casi d’interdizione a favore di

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Giudice abbia la facoltà di stabilire che certi atti possano essere compiuti

“anche” dall’amministratore in nome e per conto, permanendo, per il resto,

la capacità del beneficiario191.

L’obiettivo che tale legge vuole perseguire è la tutela della persona e,

solo in via subordinata, del suo patrimonio, il quale potrà eventualmente

essere gestito anche dal beneficiario medesimo 192 . A tale riguardo è

interessante sottolineare la scelta del legislatore di non imporre istituti compatibili, nei limiti del possibile con il mantenimento della capacità d’agire di soggetti aventi deficit nella formazione del pensiero”. 191 Al riguardo, si evidenziano i decreti del Giudice Tutelare presso il Tribunale di Parma, emessi il 2 aprile 2004, nn.1707 e 1708 con i quali dispone che “la beneficiaria conserva la facoltà di compiere gli atti sopra indicati (quelli per cui è stato nominato un amministratore di sostegno – n.d.r.) senza l’assistenza dell’amministratore di sostegno”. Tale fattispecie potrebbe nella prassi essere impiegata utilmente nelle ipotesi di menomazioni soltanto fisiche. Si rammenta, inoltre, che la nomina dell’amministratore di sostegno avviene mediante decreto emesso dal Giudice tutelare e, per questo, non ha carattere di definitività, così come, invece, accade per la dichiarazione di interdizione e inabilitazione, che si realizza mediante sentenza. 192 Si ricorda che nei Paesi anglosassoni i fini che gli analoghi istituti alla nuova legge perseguono, sono realizzati con altri mezzi, come il trust. Quest’ultimo consiste nella destinazione di determinati beni sotto il controllo di un trustee, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo determinato. Il setter è il soggetto che istituisce il trust, mentre il trustee è colui che riceve l’incarico di gestire i beni indicati dal costituente per i fini indicati dal costituente stesso. L’atto costitutivo del trust comporta l’uscita dei beni dal patrimonio del settlor e il loro ingresso nel patrimonio del trustee, dove, però, essi restano separati rispetto ai beni personali del trustee, perché quest’ultimo è vincolato, da un’obbligazione di carattere fiduciario, ad amministrare e gestire i beni in conformità al programma concordato, fino all’attribuzione finale ai beneficiari. Naturalmente il trust è fondato più su esigenze economiche, che su esigenze personali. Tale istituto, la cui comparsa sulla scena italiana è stata legittimata dalla ratifica della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, si presta ad essere utilizzato a scopo protettivo, allorché il disponente intenda costituire un patrimonio “isolato” da affidare all’amministratore del trustee, nell’interesse esclusivo del destinatario. La sua funzione è dunque quella di assicurare un’assistenza necessaria a soggetti che versano in condizioni di disagio o debolezza, anche dopo la scomparsa del disponente (genitori, congiunti). L’atto istitutivo del trust potrà contenere specifiche indicazioni, oltre che sulla gestione economica del trust fund, sulla cura personale dell’interessato, al fine di garantirgli una vita decorosa, un’assistenza qualificata, il soddisfacimento dei propri bisogni, ecc. Per un approfondimento sul punto cfr. B. VALIGNANI, Amministrazione di sostegno e trust, in G. FERRANDO (cur.), L’amministrazione di sostegno, 2005, 195 e ss; G. GARRONE, Soggetti deboli in famiglia e trust quale tutela etica, Trust §AF, 2004, 310 ss; A. PALAZZO, Autonomia privata e trust protettivi, in Trust § AF, 2003, 192 ss; S. BATOLI, Trust con beneficiari incapaci rispetto delle nostre norme imperative in materia, Trust § AF, 2000, 616 ss.

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all’amministratore di sostegno la redazione dell’inventario, che invece è

cautela inderogabile nella disciplina della interdizione. Qui, infatti,

l’eliminazione totale della capacità di agire, strumento di protezione che

oggi appare come una sorta di extrema ratio da impiegare nei soli casi in cui

essa sia effettivamente necessaria per l’incapace, potrà essere disposta con

sentenza solo qualora ciò sia “necessario per assicurare l’adeguata

protezione dell’incapace”, finalizzata, prevalentemente, ad un’attività di

conservazione e tutela del patrimonio. Con il nuovo istituto, invece, il

legislatore ha voluto manifestare la sua attenzione verso i soggetti “deboli”,

attraverso la volontà di rispettare quanto più possibile la dignità del soggetto

cui viene nominato l’amministratore di sostegno193; la stessa denominazione

del soggetto, chiamato nella legge “beneficiario”, non ne sottolinea, con la

sua indicazione volutamente neutra, l’incapacità.

Al Giudice tutelare è attribuita la libertà di graduare il suo

provvedimento, seguendo le linee dettate dal caso concreto.

Nasce così un nuovo modo di intendere il diritto, più sensibile alle

esigenze del singolo individuo, con la previsione di un istituto che si attagli

“a misura” del suo destinatario.

L’art. 404 c.c., determinando l’ambito di applicazione

dell’amministrazione di sostegno 194 , si riferisce ad ipotesi generali di

incapacità temporanea e/o definitiva, potendo così divenire un contenitore di

varie e molteplici eventualità che un soggetto può incontrare nel corso della

193 Il legislatore ha tenuto conto dell’intero spettro delle incapacità; infatti, al n. 3 dell’art. 405 c.c., ha previsto, come oggetto dell’incarico, gli atti che l’amministratore può compiere “in nome e per conto” della persona, ciò che accade in caso di interdizione ovvero di minore età, mentre, al successivo n. 4 dello stesso art. 405, gli atti che la persona può compiere “solo con l’assistenza” dell’amministratore, come avviene per l’inabilitazione. 194 Disponendo che l’amministratore di sostegno possa essere nominato quando una persona sia affetta da: “infermità ovvero menomazione fisica o psichica che comporti la impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi”.

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sua vita, realizzandosi la necessità di conferire ad altri il compito di

“provvedere ai propri interessi”. In tale disposizione, la mancata

indicazione di categorie rigide e ben determinate, come accade di contro

nella ipotesi di inabilitazione, è stata una scelta precisa del legislatore, il

quale ha voluto caratterizzare la disciplina in oggetto per la sua ampia

versatilità e duttilità rispetto alle fattispecie concrete, considerando che il

fine ultimo della normativa è proprio la tutela della persona. Il “sostegno”

normativo della “cura” della persona tiene conto dei bisogni e delle

aspirazioni dell’essere umano, ricomprendendo ogni attività della vita civile

giuridicamente significativa e, a rafforzamento dell’effettività dell’intento di

“sostegno”, la norma demanda al Giudice tutelare l’adozione “anche

d’ufficio” dei “provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata”.

Non a caso, il Legislatore conferma all’art. 408, comma 1, c.c. che “la scelta

dell’amministratore avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli

interessi della persona del beneficiario”.

La normativa introdotta è fortemente garantista del soggetto debole e

della sua tutela, tanto che, al successivo art. 410 c.c. ravvisa la possibilità di

intervento del Giudice tutelare, “in caso di contrasto, di scelte o di atti

dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i

bisogni o le richieste del beneficiario”, su richiesta non solo del pubblico

ministero ovvero degli altri soggetti di cui all'articolo 416 c.c., ma anche su

richiesta dello stesso beneficiario, il quale gioca un ruolo attivo di

partecipazione anche nella fase della sua assistenza.

E’ dunque opportuno dedicare una attenzione particolare alla

ricostruzione delle singole fattispecie cui applicare la disciplina in oggetto,

leggendo con particolare elasticità la norma di cui all’art. 405 c.c. che

regolamenta il contenuto del decreto, il quale deve comprendere

l’indicazione degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in

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nome e per conto del beneficiario e di quelli che quest’ultimo può svolgere

con l’assistenza dell’amministratore195. La novella introdotta con la legge n.

6/2004 intende fornire un sistema di tutela più articolato e flessibile, rispetto

al precedente, con l’intento di comporre due esigenze primarie di garanzia,

che si individuano nella libertà della persona e nella sua protezione196.

Per tale ragione, la valutazione delle restrizioni indispensabili ad

assicurare la protezione del soggetto interessato compiuta dal giudice, che

intenda applicare l’amministrazione di sostegno, dovrà essere rigorosa, così

come, nell’ambito della concreta applicazione del beneficio, l’interprete

dovrà sempre indirizzarsi verso una interpretazione della disciplina volta

alla realizzazione della tutela del beneficiario, cercando di ridurre il meno

possibile la sua capacità d’agire. Se dunque questo rappresenta il criterio

ermeneutico che deve ispirare la applicazione concreta della formula

legislativa conclamata, la regola giuridica, in base alla quale il beneficiario

della misura di protezione, dopo l’adozione della stessa, mantiene “la

capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza

195 L’ART. 405, COMMA 5, C.C DECRETO DI NOMINA DELL'AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO. DURATA DELL'INCARICO E RELATIVA PUBBLICITÀ. dispone: “ Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno deve contenere l'indicazione: 1) delle generalità della persona beneficiaria e dell'amministratore di sostegno; 2) della durata dell'incarico, che può essere anche a tempo indeterminato; 3) dell'oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario; 4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno; 5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l'amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità; 6) della periodicità con cui l'amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l'attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario”. 196 La natura non contenziosa del procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, che può essere promosso anche senza l’assistenza di un avvocato, si ispira proprio al principio di valorizzazione del soggetto non totalmente autonomo.

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esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore” (art.409 c.c.) 197,

costituisce la base da cui può derivare un postulato di valenza sistematica: la

persona beneficiaria dell’amministrazione di sostegno, infatti, pur subendo,

in virtù della applicazione della disciplina degli atti sottoposti ai regimi della

rappresentanza sostitutiva o dell’amministrazione assistenziale (ex art. 405

c.c.), nonché le eventuali limitazioni disposte, come modalità aggiuntiva, nel

decreto di nomina o in un provvedimento successivo di modifica (art. 411,

comma 4, c.c.), una diminuzione della capacità, non può sol per questo

essere ricompresa tout court nella categoria degli incapaci legali d’agire,

bensì “deve essere identificata con quei soggetti dell’ordinamento dotati di

una capacità di agire tendenzialmente piena” 198 . Da qui deriva la

constatazione evidente che l’amministrato è sicuramente un soggetto debole.

Infatti, l’art. 404 c.c., introduce quale destinatario di tale misura di

protezione, non solo “l’infermo di mente”, ma anche la persona che “sia

capace di intendere e di volere, impedita a provvedere autonomamente e 197 Su tale regola giuridica, si vedano i riferimenti cui fa cenno F. PARENTE, Op. cit., in nota 11, p.709 e più precisamente: S. DELLE MONACHE, Prime note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. commentata, 2004, II, p.45-46; E.CALICE, Dell’amministrazione di sostegno (commento agli artt. 404 ss. c.c.), in Cod. civ. ipertestuale, Aggiornamento, a cura di G. Bonilini, M. Confortini e C. Granelli, Torino, 2004, p. 19 ss.; A. JANNUZZI e P. LOREFICE, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004, p. 322; G. Bonilini e A. Chinini, Op. cit., p. 38; G. CAMPESE, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e inabilitazione, in Fam. e dir., 2004, p. 129; G. MARCOZ, La nuova disciplina in tema di amministrazione di sostegno, in Riv. Not., 2005, I, p. 525; M. ONOFRI, Riflessi di diritto successorio in Riv. Not., 2005, II, p. 881. La novella della legge introduce una regola con cui muta la prospettiva rispetto alla persona sulla quale la misura restrittiva è applicata, volendo consentire alla persona il compimento di tutti quegli atti che non le sono specificamente preclusi. Sul punto, cfr. M. PARADISO, Corso di istituzioni di diritto privato, Torino, 2004, p.60 198 Così F. PARENTE, Op. cit. p. 709. Egli inoltre ricorda, in nota 14, che “tale opinione è ritenuta del tutto persuasiva sul presupposto che l’amministrazione di sostegno può solo innestare un’incapacità di agire speciale in un contesto caratterizzato dalla persistenza della capacità d’agire generale della persona fisica (E. CARBONE, Libertà e protezione nella riforma dell’incapacità d’agire, cit., p. 559). Sul punto, anche G. CAMPESE, Op. cit., p. 129; A. VENCHIARUTTI, Op. cit.; S. DELLE MONACHE Op. cit., p. 46; G. MARCOZ, La nuova disciplina in tema di amministrazione di sostegno, cit. p. 525 ss.

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direttamente alla cura dei propri interessi”, a causa di un oggettivo

impedimento fisico ovvero una infermità; rientrano, così, situazioni

estremamente eterogenee, quali l’epilessia, l’alcolismo, l’analfabetismo,

l’isolamento sociale, la tossicodipendenza, l’età avanzata, che, non

rientrando in ipotesi tipizzate dal legislatore, non godevano di fatto di

alcuna tutela199.

Il meccanismo operativo previsto, assicura forme assistenziali in

tempi brevi, dato che il procedimento è veloce, concludendosi in 60 giorni e

il decreto di nomina emesso non è idoneo a produrre giudicato, potendo

essere modificato e revocato200.

Il giudice tutelare, pertanto, potrà modellare ad personam

l’applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, tenendo conto

che “la capacità d’agire della persona fisica rappresenta la regola della

nomenclatura normativa e l’incapacità rileva sotto forma di eccezione”201.

199 La legislazione europea si è interessata a fornire espressa tutela a tali nuove figure di “soggetti deboli, come si vedrà più avanti, nella considerazione dell’ormai modificato Trattato di Nizza. 200 Così E. CALÒ, Amministrazione di sostegno, Milano, 2005, p.193 e ss. 201 Così F. PARENTE, Op. cit., p. 710. E’ del Tribunale di Bari, sez. I civile, la sentenza del 24 luglio 2007 – Pres. Dini Ciacci; rel. Rana, nella quale si trova conferma di tale principio. Infatti, nella massima si legge: “In ordine alla domanda di interdizione del minore in stato di infermità mentale, il giudice, dopo aver accertato che ricorrono i requisiti di maggiore età ovvero emancipazione dell’interdicendo, l’abituale stato di infermità di mente e l’incapacità del soggetto a provvedere ai propri interessi, può provvedere con pronuncia interdittiva, solo se necessario ad assicurare all’interdicendo “adeguata protezione” e non possa trovare applicazione l’amministrazione di sostegno. Con l’introduzione della legge 6/2004, l’istituto ex art. 414 del C.c. si profila come strumento derogatorio e non meramente alternativo, la cui applicabilità è valutata dal giudice di merito in base alla natura e al tipo di attività che l’incapace non è più in grado di compiere da sé, secondo le circostanze del caso concreto e per assicurare la massima tutela all’incapace, con il suo minor sacrificio. In difetto di tale parametro, il giudice rigetta la domanda di interdizione e ordina la trasmissione degli atti al giudice tutelare”, in Guida al diritto, Famiglia e minori, n. 10, novembre 2007, p. 79. Si ricorda, infine, che mentre nel sistema previgente erano vietati agli incapaci tutti gli atti non espressamente permessi, oggi sono consentiti alla persona sottoposta all’amministrazione di sostegno tutti gli atti non vietati. Cfr. M. PARADISO, Corso di istituzioni di diritto privato, Torino, 2004, p. 59. Sul punto anche E. CALÒ, La nuova

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L’istituto, infatti, attribuisce all’assistito una generale capacità d’agire, salvo

che per alcuni atti, individuati normalmente nel provvedimento di nomina

dell’amministratore di sostegno (art. 409 c.c.): in sostanza al beneficiario

rimane il potere di compiere tutti gli atti non richiedenti la rappresentanza

esclusiva dell’amministratore.

Emblematica è la sentenza dello scorso 25 ottobre 2007, emessa dal

Tribunale di Modena202, con la quale si dichiarava legittima la domanda

avanzata dall’amministratore di sostegno in luogo della parte incapace. La

donna, cui veniva revocata la pronuncia di inabilitazione, veniva affidata

all’assistenza di un amministratore di sostegno; essa, nel contempo, si

separava consensualmente dal marito. Constatata la totale assenza di affectio

maritalis in tutto il periodo della separazione, l’amministratore di sostegno

chiedeva ed otteneva con decreto dal giudice tutelare, l’autorizzazione per

proporre istanza per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Il tribunale dichiarava lo scioglimento del matrimonio.

La riflessione condotta dal giudice di merito prende le mosse dall’art.

75 c.p.c., il quale, con riferimento alla legitimatio ad processum, dispone

che gli incapaci, per stare in giudizio, devono essere assistiti secondo le

norme che regolano la loro capacità, con riferimento, però, secondo la

interpretazione dominante della dottrina, ai soli atti processuali a contenuto

patrimoniale, ritenendosi preclusa ogni forma di rappresentanza per gli atti

di diritto familiare203. Ma tale impostazione è stata ritenuta dai giudici di

legge sull’amministrazione di sostegno, cit.; B. MALAVASI, L’amministrazione di sostegno, cit. . 329, G. BONILINI E A. CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno, cit. p. 247; E. MONTSERRAT PAPPALETTERE, L’amministrazione di sostegno come espansione delle facoltà delle persone deboli, in www.altalex.com, n. 866 del 16 dicembre 2004; G. MARCOZ, La nuova amministrazione di sostegno, cit., pp. 528 – 529 e 532. 202 In www.giuffré.it, con nota a commento di Caterina Garufi, cui si fa riferimento. 203 I cd. atti personalissimi. Si veda sul punto: F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, 133; SANTORO – PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1977, pp. 275 e ss.

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merito ormai superata, dato che, impedire all’incapace il compimento degli

atti personalissimi (donazione, testamento, riconoscimento del figlio

naturale), salvo i casi di interdizione legale 204, sul rilievo che la natura

dell’atto, siccome strettamente legato alla manifestazione di volontà del

diretto interessato, impedisce sostituzioni, condanna inevitabilmente

l’interdetto all’emarginazione e all’isolamento sociale. La

giurisprudenza,mostrando sensibilità alla problematica, aveva esteso

analogicamente la previsione di cui all’art. 4, L. 898/1978, espressamente

dettata per l’interdetto che veniva convenuto nel processo divorzile, anche al

soggetto che, invece, nella dinamica processuale è attore, richiedendo il

divorzio205. Il tribunale di Modena sottolinea, peraltro, che il beneficiario

dell’amministrazione di sostegno rimane titolare di gran parte della capacità

d’agire, a differenza dell’interdetto: quid juris, allora, per la domanda di

divorzio presentata dall’amministratore al posto del beneficiario, posto che

l’istanza potrebbe essere presentata proprio dall’interessato? La risposta sta

nella ratio legis sottesa alla nuova disciplina, diretta a prevedere una figura

tutoria, volta a proteggere il beneficiario con un’attività sia di sostituzione

nel compimento di atti – solitamente negoziali - di gestione del patrimonio,

sia di cura degli interessi morali della persona. Pertanto, nella decisione

esaminata, si considera legittima la richiesta dell’amministratore di sostegno

di scioglimento del matrimonio, poiché “si tratta di un soggetto dotato ex

lege del potere di consigliare e sostenere il beneficiario nella cura degli

interessi non solo materiali, ma anche morali, anche al fine di controllare la

convenienza della parte relativa ai rapporti patrimoniali (ad esempio,

204 PESCARA, in Riv. Dir. civ.,II, 1981, 601. 205 Cass. 9582/00.

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riguardo al contenuto di un eventuale assegno divorziale), così aiutandolo a

prevenire pregiudizi”206.

Non si può dimenticare, infine, che la giurisprudenza ha già

riconosciuto la legittimità dell’intervento cd “vicariante” in campo medico

sanitario, attribuendo all’amministratore di sostegno il potere di manifestare

il consenso ai trattamenti sanitari, in caso di decadimento cognitivo del

beneficiario.

2. La vera novità introdotta dalla legge istitutiva dell’amministratore

di sostegno è rappresentata dalla circostanza che, tra i soggetti legittimati a

proporre richiesta per la sua nomina, non solo vi sono le persone indicate dal

novellato art. 417 c.c. 207, ma vi è pure “lo stesso soggetto beneficiario,

anche se minore, interdetto o inabilitato” (art. 406 c.c.). La disposizione

normativa si completa con il successivo art. 408 c.c., il quale, sottolineando

che “la scelta dell’ amministratore di sostegno si realizza con esclusivo

206 Così, CATERINA GARUFI, op.cit., p.3. 207 L’art. 406 c.c. rimanda a quanto disposto nel successivo art. 417 c.c. la cui rubrica é dedicata all’ “Istanza di interdizione o di inabilitazione”, per la cui promozione, intravede quali legittimati a tale richiesta “il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti entro il quarto grado (art. 76 c.c.), gli affini entro il secondo grado (art.,78 c.c.), il tutore o il curatore ovvero il pubblico ministero (artt. 414, 415, 418 c.c., art. 69 c.p.c.). Al secondo comma dello stesso art. 417 c.c., è stabilito che “se l’interdicendo o l’inabilitando si trova sotto la patria potestà o ha per curatore uno dei genitori, l’interdizione o inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore medesimo o del pubblico ministero (art. 712 c.p.c.)”. Interessante è rilevare il riconoscimento che viene attribuito al soggetto “stabilmente convivente” con il destinatario della misura protettiva. In tale categoria, rientra sicuramente il convivente more uxorio. Tale riferimento rappresenta un nuovo elemento per superare le riserve sollevate da una parte della dottrina relative alla pretesa incostituzionalità (per contrarietà al buon costume) della convivenza more uxorio. E’ doveroso, tuttavia, sottolineare che il legislatore non richiede che la convivenza abbia i caratteri del rapporto di coppia. Come afferma E. CALÒ, Amministrazione di sostegno, Studio n. 4858, approvato dalla Commissione Studi del C.N.N. il 20 gennaio 2004, possibili conviventi sono “un amico, un’amica, un convivente eterosessuale o un convivente omosessuale”, dato che “l’espressione stabilmente convivente è sufficientemente generica da farvi rientrare queste e altre ipotesi”.

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riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario”, stabilisce che la sua

designazione “può essere effettuata” non solo dal giudice tutelare – in

mancanza di una determinazione espressa o in presenza di gravi motivi -,

ma proprio “dall’interessato, in previsione della propria eventuale futura

incapacità” – mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata -,

mostrando in modo evidente il favor legislativo per il soggetto bisognoso208.

Dall’articolato normativo si intuisce quanto sia mutata l’immagine

sociale e giuridica delle persone con disabilità, alle quali è riconosciuto il

diritto di designare la persona in cui ripongono fiducia, per provvedere

principalmente alle loro cure. Ma, anche la espressa previsione della

determinazione dell’amministratore di sostegno, in un momento in cui si

voglia pianificare per un futuro in cui il beneficiario non potrà provvedervi,

rappresenta un importante strumento di garanzia, volto a fornire certezza

208 A tal proposito, si osservato come, rispettate le prescrizioni formali, l’atto di designazione non abbia contenuto esclusivo, potendo essere inserito anche in altri contesti (es. donazione, vitalizio, ecc.). Secondo G. Bonilini, al Convegno di Studio sull’Amministrazione di sostegno tenutosi a Mantova il 17 aprile 2004, i cui lavori sono attualmente inediti, sarebbe possibile designare un amministratore di sostegno attribuendogli facoltà, al verificarsi di determinati presupposti, di designare altri al posto suo. Ancora, si è evidenziato (E. Calò al Convegno di Studio “L’Amministratore di sostegno – L. 9 gennaio 2004, n.6” tenutosi a Genova il 17 aprile 2004 i cui lavori sono in corso di pubblicazione su “I Quaderni” della rivista “Familia”, come puntualmente indicato da B. MALAVASI, in L’amministrazione di sostegno: le linee di fondo, in Notariato, Raccolta delle annate, Normativa 3/2004, p.314) come dal combinato disposto degli artt. 424 e 408 (richiamato integralmente) c.c. risulti esserci spazio per ammettere la designazione, per il futuro di un tutore; così come stante il richiamo operato all’art. 350 c.c. dall’art. 411 c.c., è da ritenersi possibile escludere un determinato soggetto dall’assumere la qualifica di amministratore. Nell’ottica del menzionato favor, si può rintracciare un parallelo con altri istituti, tra i quali spicca il c.d. “testamento biologico”, con i quali il soggetto intende provvedere nell’ipotesi di sua sopravvenuta incapacità. Per un primo approccio alla materia, si segnalano: L. MILONE, Il testamento biologico (Living will) in Vita Not. Fasc. 1/1997 pagg. 106 ss; I. IAPICHINO, Testamento biologico e direttive anticipate, Milano, 2000; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, seconda edizione, tomo I, Milano, 2002, pag. 465 e ss.; E. CALÒ, , in Notariato – Raccolta annate, fasc. 4/1999 pagg. 385 e ss.; G. SALITO, in Notariato, Raccolta annate, fasc. 2/2004, pagg. 196 e ss. .-

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nella applicazione delle proprie volontà, quand’anche un eventuale

impedimento fisico o mentale dovesse sopraggiungere.

Un’autorevole dottrina209 ha sostenuto la legittimità della nomina di

un amministratore di sostegno che avvenga direttamente con un atto notarile,

non limitandosi a designare, con atto pubblico o scrittura privata autenticata,

il soggetto che poi verrà nominato dal Giudice tutelare. Egli potrebbe

persino nominare “direttamente” l’amministratore di sostegno che ritenga

più adeguato al compimento di atti in suo nome e per suo conto. “L’atto

volontario di nomina”, che rientra tra quelli compiuti dai soggetti titolari

della capacità di agire, dovrà indicare chiaramente tutti i poteri che vengono

conferiti all’amministratore di sostegno 210 . Il beneficiario, cui si vuole

preservare (come si arguisce dall’art. 409 c.c.211) quanto più possibile la

capacità di agire, la conserva in modo “residuale”, anche dopo la nomina

dell’amministratore di sostegno, per “tutti gli atti che non richiedono la

rappresentanza esclusiva ovvero la sua necessaria assistenza”. Il decreto di

nomina dell’amministratore di sostegno rappresenta, pertanto, la fonte

primaria da cui deriva l’applicabilità della disciplina ad esso relativa, in

quanto deve indicare gli atti che gli saranno attribuiti. Egli potrà svolgere, di

209 M.C. ANDRINI, come afferma nel suo intervento scritto consegnato ai partecipanti al Congresso di Genova già ricordato. 210 L’Autore appena citato ritiene che tale atto unilaterale debba essere sottoposto a registrazione – pur essendo esente dalla imposta di registro – e dovrà essere annotato dal Notaio rogante nel registro tenuto dall’ufficio del Giudice tutelare, nonché comunicato all’Ufficiale dello stato civile per l’annotazione margine dell’atto di nascita. Benché tale opinione sia rimasta finora isolata, appare comunque stimolante nell’analisi dei rapporti complessi tra le forme di tutela di tipo pubblicistico e l’istituto privatistico del contratto di mandato. In tal senso, G. MARCOZ, La nuova disciplina in tema di amministrazione di sostegno, Op. cit., p. 6. 211 L’ART. 409 C.C., rubricato “EFFETTI DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO”, dispone: Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.

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volta in volta, sia il ruolo di assistente, sia quello di rappresentante ovvero

dell’uno e dell’altro212. Si tratta dunque di una figura di grande adattabilità a

fattispecie molto diverse tra loro e che, per tale ragione, necessita di un

decreto di nomina rigoroso nella indicazione del trattamento cui deve essere

sottoposto il beneficiario, al fine di garantirne la piena efficacia213.

3. Dato che l’obiettivo precipuo dell’amministrazione di sostegno è

quello di fornire adeguata tutela e protezione al beneficiario, prevedendo,

altresì, la possibilità di attuare la sua volontà, maturata in un periodo

precedente la sua eventuale infermità, fisica o mentale, si intravede la

configurabilità di nuove ipotesi di applicazione dell’istituto, soprattutto in

campi ancora privi di un riferimento normativo espresso.

Il pensiero naturalmente corre verso tutti quei casi in cui l’uomo viva

particolari condizioni di debolezza fisica o mentale e, proprio l’ambito

medico, rappresenta uno dei principali settori di operatività

dell’amministrazione di sostegno, che risulta essere un ottimo strumento di

212 Nella ipotesi di impedimento solo fisico che limiti ampiamente la possibilità di spostamento del beneficiario, la previsione di un amministratore di sostegno che agisca in qualità di “assistente” del beneficiario, non avrebbe alcuna utilità pratica, perché il consenso di quest’ultimo sarebbe sempre e comunque richiesto per il compimento dell’atto. Sarà necessario che la dottrina e la giurisprudenza leggano con particolare elasticità l’art. 405 c.c. che disciplina il contenuto del decreto. La lettera di questa norma, infatti, dispone che tale provvedimento debba contenere l’indicazione degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario e di quelli che quest’ultimo deve compiere con l’assistenza dell’amministratore. In tal senso, G. MARCOZ, Op. cit., p. 4. 213 “E’ di assoluta importanza rilevare come ciascuna forma di protezione dei soggetti incapaci necessiti di un coordinamento con tutta o gran parte della disciplina legislativa relativa alla famiglia, alle successioni, alle obbligazioni, ai contratti e persino al diritto commerciale. Il soggetto debole non viene più escluso dalla vita sociale, non è più emarginato con la deprecabile incisività di un tempo, ma continua a porre in essere rapporti giuridici con gli altri consociati. La semplice privazione della capacità di agire non è sufficiente ad offrire la protezione che è necessaria o senza dubbio opportuna”, così G. MARCOZ, Op. cit., p. 2.

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applicazione anche delle decisioni riguardanti il trattamento sanitario da

parte di chi se ne avvalga.

Pertanto, la tematica del consenso al trattamento sanitario214, prestato

dal “paziente” all’amministratore di sostegno da comunicare in sua vece

qualora fosse oggettivamente impedito, mostra profili di notevole interesse,

tenuto anche conto del rilevante numero di persone che, per patologie

fisiche o psichiche, si trovino parzialmente e temporaneamente nella

impossibilità di provvedere ai propri interessi.

Numerose sono le pronunce della giurisprudenza di merito che

rimettono all’amministratore di sostegno la decisione riguardante il

consenso al trattamento sanitario. Si ricorda una delle prime sentenze del

Tribunale di Roma, 22.12.2004GM, 2005, 11, 2344: “Ricorrono i

presupposti affinché la decisione in merito al consenso al trattamento

sanitario venga rimessa all’amministratore di sostegno quando l’interessata

non abbia la capacità naturale necessaria ad esprimere un consenso od un

rifiuto consapevoli in relazione al trattamento chirurgico prospettato dai

sanitari, né vi è la probabilità che l’interessata riacquisti in tempi brevi la

capacità d’intendere e di volere idonea a consentirle una decisione

214 Il tema del consenso informato è denso di aspetti complessi, tenuto conto dei molteplici casi clinici in cui deve essere prestato, il cui approfondimento meriterebbe più spazio, correndo il rischio, però, di perdere di vista l’oggetto della riflessione che si sta conducendo. Un ottimo testo di approfondimento per la materia è il recente R. CATALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Il consenso informato, Op. cit.. Val la pena ricordare, tuttavia, che esso non gode nel nostro ordinamento di una normativa specifica, che espressamente indichi la forma da adottare. E’ indubitabile che esso debba essere esplicito, personale, specifico, consapevole e attuale, avendo lo stesso valore sia la forma orale che quella scritta, la cui scelta è lasciata a ragioni di mera opportunità, benché la forma scritta consenta maggiori garanzie, dato che è possibile accedere materialmente alla manifestazione di volontà del paziente. Il consenso, cioè, “deve essere espresso subito dopo l’informazione e poco prima del compimento dell’atto medico”, così R. CATALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Il consenso informato, Op. cit, p. 157.

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consapevole, mentre d’altro canto l’intervento sanitario è manifestamente

necessario ed urgente”.

Più precisamente, recente dottrina ha osservato sul tema del consenso

informato ad atti terapeutici, relativamente a persone non totalmente

autonome, che “ove la volontà del beneficiario non sia condizionata dalla

patologia specifica o da malattia psichica che impedisca una corretta

rappresentazione dell’intervento terapeutico e delle conseguenze della sua

realizzazione o omissione, in linea di principio non si potrà intervenire

contro la libera volontà del beneficiario (autodeterminazione).(…) Diversa

è l’ipotesi in cui la volontà del beneficiario non sia stata espressa (neanche

in un “testamento biologico”) e/o non sia esprimibile…. Comunque ritengo

che in tutti questi casi possa o debba esser l’amministratore di sostegno ad

esprimere il suo consenso informato nel ricorso o terapia “invasiva” o

interventi menomanti o ablativi; salvo restando la possibilità di intervento

diretto del Giudice tutelare ex art. 405, comma 4, c.c. con provvedimenti

d’urgenza “per la cura della persona interessata”….Devo sottolineare

come in tutte queste situazioni… l’intervento del giudice tutelare debba

essere quanto più possibile rispettoso delle indicazioni…del beneficiario,

ma anche di quelle dei familiari/conviventi (principio di sussidiarietà). E

debba sempre operare per ottenere il maggior coinvolgimento nella

decisione, anche dei servizi medici interessati”215.

L’estensore, nella lunga motivazione, si sofferma su alcuni principi di

carattere generale che incidono sulla interpretazione del nuovo istituto

dando un risvolto particolare e fornendo una chiave di lettura diversa e

apprezzabile.

215 Così, S. TRENTANOVI, Pres. Estensore nella sentenza Tribunale di Venezia, III sez. civ., 21.12.2005, pubblicata il 10.01.2006.

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Infatti, nelle premesse, il Tribunale osserva come appaia

“indispensabile, per decidere” una completa rilettura, alla luce della nuova

normativa dettata dalla legge 6/2004, dell’articolo 414 C.C. e dei principi

tutti previsti in materia di capacità-incapacità di agire e delle nuove

possibilità di intervento a favore di ogni persona non autonoma”.

L’intervento della nomina di un amministratore di sostegno rappresenta, in

realtà, un evento possibile nella vita di ciascuno di noi. Se, per converso,

appare remota la possibilità di una inabilitazione o di una interdizione, la

applicazione del nuovo istituto, proprio perché ha un aspetto specifico e

temporaneo, ben si presta ad essere presente nella vita di relazione di molte

persone216.

“Tale necessità è collegata sia alla radicalità della riforma, che ha

adeguato ai principi costituzionali degli art. 2, 3 e 32 della Costituzione, e

in particolare a quelli del personalismo e del solidarismo, le disposizioni

già dettate dal Codice Civile in relazione all’infermità mentale abituale,

inserendole in un unitario contesto di possibilità di protezione attiva e

passiva a favore di ogni persona per qualsiasi causa non autonoma; sia per

i contrasti dottrinari e giurisprudenziali che si sono già verificati in

relazione alla applicazione della nuova normativa, sicuramente facilitati da

una lettura non teleologica e non sistematica delle diverse disposizioni”.

Parrebbe di intendere che la solidarietà, il “solidarismo” costituiscano

un elemento tipizzante del richiamato istituto che si pone, per

l’amministrato, in un senso di aiuto nella vita (sociale e di relazione,

personale, familiare, sanitaria, eccetera) e dove l’amministratore si

sostituisce per specifici compiti, ferma restando la persona/personalità

dell’amministrato e la sua capacità d’agire.

216 Ricorda l’estensore, infatti, che a Venezia sono centinaia i procedimenti in materia.

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Compare, inoltre, uno spunto di riflessione per la dogmatica:

l’interpretazione/applicazione delle norme va eseguita teleologicamente e

sistematicamente, tenendo presente tutto l’ordinamento giuridico, quello

statale e comunitario, per una miglior tutela dell’interessato, centro

dell’ordinamento e fine dello stesso. Sicché la fattispecie (premessa minore

nel sillogismo giuridico) va analizzata in modo preciso, cercando di capire il

senso di sviluppo delle azioni umane successive, l’effettiva e reale

intenzione del bene protetto, mentre la norma da applicare o il principio di

diritto (premessa maggiore) vanno ricercati proprio seguendo il fine da

perseguire e tutelare.

Vanno pertanto sottolineate alcune essenziali linee di lettura, senza la

cui comprensione, ogni interpretazione delle singole disposizioni rischia di

essere, meramente letterale ed illogica, contraddittoria, asistematica e

continuamente foriera di dubbi e lacune, quando non basata esclusivamente

su di una lettura meramente grammaticale delle singole espressioni usate.

L’“in claris non fit interpretatio” va decisamente accantonato, se si

vuole trovare una soluzione assiologicamente orientata verso la persona (-

homo)217.

E a tal proposito, l’Estensore nota come al centro del provvedimento

del Giudice tutelare debbano esserci i diritti esistenziali della persona218 e

l’aiuto/sostegno alla stessa, per superare le sue carenze di autonomia

“nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana” (art. 1 L. 6/2004) e,

in quanto parte dei suoi diritti esistenziali, i suoi diritti patrimoniali; che

restano importanti per il nostro ordinamento privatistico, ma assumono un

rilievo di secondo piano rispetto alla persona tout court intesa.

217 Sul cui significato si rinvia al paragrafo successivo. 218 Diverso modo di qualificare i diritti umani a secondo che la loro violazione comporti un danno esistenziale.

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“Anche al di là dell’interpretazione della normativa alla luce dei

principi costituzionali (art. 2 e 3), dati testuali univoci si rinvengono ancora

nel 4° c. art. 405, con la previsione dell’adozione da parte del G.T. di

provvedimenti urgenti “per la cura della persona interessata”; nel n. 6, del

5° c. art. 405 (necessità della valutazione da parte del G.T. della relazione

periodica circa l’attività svolta e “le condizioni di vita personale e sociale

del beneficiario”); nella previsione della legittimazione al ricorso (cui

possono essere addirittura “tenuti”, cioè obbligati) anche dei “responsabili

dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza

della persone” (3° c. art. 406); nella valorizzazione dei “bisogni” e delle

“aspirazioni” del beneficiario, operata ad esempio dall’art. 410 C.C.;

insomma, tutta l’attività dell’A.d.S., prevista nel decreto di nomina, deve

essere funzionale a realizzare “interventi di sostegno temporanei o

permanenti” che si inseriscano nel quadro di una protezione attiva della

persona “priva in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle

funzioni della vita quotidiana”.

Alla luce di quanto sopra, é evidente che “l’oggetto dell’incarico”, in

cui si sostanzia il nucleo essenziale del decreto del Giudice Tutelare

(comma 5, n. 2 art. 405, c.c.) si estende (o può estendersi) ai diritti

esistenziali tutti della persona e non solo ai suoi diritti patrimoniali. E tra

questi rientrano in primis quelli alla “cura” e all’assistenza che

l’amministratore di sostegno ha il compito di assicurare, secondo le linee

programmatiche del decreto del Giudice tutelare, che può, sul punto (a

prescindere dai compiti conferiti all’A.d.S.), direttamente dare disposizioni,

anche a carattere d’urgenza219.

219 I provvedimenti di urgenza del giudice tutelare potranno essere adottati in ogni momento: eccezionalmente anche prima (o contestualmente) allo stesso inizio del procedimento, con conseguente apertura d’ufficio del procedimento; ma normalmente

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Appare utile ricordare che mai il provvedimento del Giudice tutelare,

o la volontà dell’Amministratore di sostegno, potrà sostituirsi, nella “cura

della persona”, alla volontà (“non viziata” dalla patologia in atto o da altra

patologia psichica) del beneficiario stesso. Se, ad esempio, questi esprimerà

una volontà contraria all’effettuazione di una terapia particolare e se questa

volontà non risulti (comma 5, art. 407 c.c.) viziata da una impossibilità o

inadeguatezza di comprensione e volontà, la terapia stessa, pur se adeguata,

idonea e a rischio ridotto o proporzionato, non potrà esser effettuata per lo

stesso principio di libertà desumibile dal comma 2, dell’art. 32 Cost.

(“Nessuno può esser obbligato ad un determinato trattamento sanitario se

non per disposizione di legge”).

Diversa è l’ipotesi in cui la volontà del beneficiario non sia stata

espressa e/o non sia esprimibile; e anche quella in cui la volontà del

beneficiario, pur apparentemente contraria alla effettuazione dell’intervento

o terapia, sia essa stessa viziata (potrà essere opportuna per tale valutazione

la nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio o la valorizzazione delle

cosiddette funzioni peritali dei servizi medici delle strutture sanitarie) da

patologia incidente sulle possibilità di comprensione e/o volizione (ipotesi

“qualificata” di “contrasto” e “dissenso” espressamente prevista dall’art.

410, comma 2, c.c.); in questi casi, anche al di là delle possibilità di operare

dei principi del cosiddetto soccorso di necessità, l’amministratore di

sostegno potrà ricorrere al Giudice tutelare, perché “adotti”, con decreto

motivato, gli opportuni provvedimenti (art. 410, comma 2, c.c.); o essere lui

durante il procedimento di cui all’art. 407 c.c., nelle sue varie fasi, prima o dopo l’audizione del beneficiario. Provvedimenti d’urgenza saranno poi possibili durante il corso dell’Amministrazione di sostegno, anche in sede di modifica o integrazione (art. 407, comma 4, c.c.) o a fronte di contrasti e dissensi tra beneficiario e amministratore (ex art. 410 c.c.); e perfino in sede di dichiarazione di cessazione dell’A.d.S. per sopravvenuta inidoneità (art. 413, 4° co, c.c.), con informativa al P.M. perché promuova giudizio di interdizione (inabilitazione).

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stesso autorizzato a rappresentare la volontà del beneficiario e/o a disporre

in luogo del beneficiario e nel suo esclusivo interesse220.

L’amministratore di sostegno può quindi essere nominato dal giudice

tutelare nei casi in cui il beneficiario non possa esprimere le proprie

decisioni in ordine alle terapie cui sottoporsi, avendo lui il dovere di

stabilire quale trattamento sanitario applicare, dopo una necessaria

informazione 221 ; salvo l’intervento diretto dello stesso giudice, con

provvedimenti d’urgenza, per la “cura della persona interessata” (405,

comma 4, c.c.). Il giudice, infatti, interviene direttamente in caso di conflitto

tra l’agire dell’amministratore e le eventuali richieste dei familiari, circa il

trattamento sanitario da adottare, nei confronti del parente incapace di

esprimere il proprio consenso, attraverso un’operazione di sussunzione

logico – giuridica, in quanto si tratta di applicare al caso concreto principi di

rango costituzionale222.

Tanto, per i soggetti che non hanno la possibilità di esprimere

direttamente il proprio consenso, poiché incapaci di intendere e di volere.

220 I provvedimenti di urgenza del giudice tutelare potranno essere adottati in ogni momento: eccezionalmente anche prima (o contestualmente) allo stesso inizio del procedimento, con conseguente apertura d’ufficio del procedimento; ma normalmente durante il procedimento di cui all’art. 407 c.c., nelle sue varie fasi, prima o dopo l’audizione del beneficiario. Provvedimenti d’urgenza saranno poi possibili durante il corso dell’Amministrazione di sostegno, anche in sede di modifica o integrazione (art. 407, comma 4, c.c.) o a fronte di contrasti e dissensi tra beneficiario e amministratore (ex art. 410 c.c.); e perfino in sede di dichiarazione di cessazione dell’A.d.S. per sopravvenuta inidoneità (art. 413, 4° co., c.c.), con informativa al P.M. perché promuova giudizio di interdizione (inabilitazione). 221 L’art. 32, comma 2, della Cost. stabilisce: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. 222 Si coglie l’occasione per ribadire che la più recente dottrina, proprio alla luce della applicazione diretta dei principi sul caso da regolare, sta operando una revisione sul valore del sillogismo giuridico. Per tutti E. CIANCIOLA, La “non-automaticità dei provvedimenti giurisdizionali in tema di tutela dei diritti fondamentali e dell’ambiente”, in www.altalex.com, 2007, e la bibliografia ivi richiamata.

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Un’altra ipotesi da considerare è quella di chi, in previsione di una

malattia, decida di nominare un amministratore di sostegno e affidargli, tra i

compiti a lui assegnati per la cura degli interessi futuri, quello di esprimere,

in suo nome e per suo conto, il consenso ovvero il rifiuto a terapie mediche

specifiche.

Si tratterebbe di un negozio unilaterale, qualificabile come procura

ad esercitare il potere di rappresentanza ex art. 1387 c.c., per la cui efficacia

non occorre la accettazione del procuratore, i cui effetti si spiegano

direttamente nella sfera giuridica del rappresentato. Per la validità di tale

negozio, è necessario che “il rappresentante abbia la capacità di intendere e

di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto da

compiere” e che il rappresentato sia “legalmente capace” (art. 1389 c.c.) al

momento del conferimento dell’incarico. Il rappresentante e, nella

fattispecie l’amministratore di sostegno, sarebbe dunque vincolato nei limiti

del potere a lui conferito dal rappresentato/beneficiario (art. 1388 c.c.),

sempre revocabile, potendo così prestare, in suo nome e nel suo interesse, il

consenso al trattamento sanitario prescelto dallo stesso rappresentato.

Naturalmente, per poter procedere in tal senso, è necessario che il

beneficiario dimostri di essere stato edotto, da un punto di vista scientifico,

sul decorso delle eventuali malattie individuate, sulle terapie opportune e sui

loro effetti, senza trascurare i rischi cui si andrebbe incontro sottoponendosi

o non sottoponendosi a tali trattamenti.

Ma, come accertare la “vera” volontà del paziente? Quale valore

attribuire alla volontà espressa al suo posto o in conflitto con la sua, dai

parenti più stretti? Esiste un criterio al quale far riferimento, per valutare la

“ragionevolezza” di certe scelte, sia in ordine al tipo di intervento

terapeutico che si è disposti ad affrontare, sia in ordine alla “qualità della

vita” che si è disposti ad accettare?

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Le risposte a tali quesiti non sono univoche, dato che l’approccio a

tematiche di tal genere muta in base al modo di pensare dei singoli, in base

alle loro concezioni etiche, filosofiche o religiose; pertanto, il principio del

consenso del paziente rappresenta l’unico strumento idoneo a garantire la

applicazione efficace e puntuale della sua volontà.

4. La formazione del consenso richiede pertanto informazioni precise

sui dati sanitari del paziente, sulla diagnosi, sulla prognosi, sui vantaggi e

sui rischi delle procedure diagnostiche e terapeutiche prospettate, sulle

possibili alternative, sulle conseguenze del rifiuto del trattamento 223 ;

richiede, altresì, informazione sulla possibile evoluzione della malattia e

sulle svolte che nel corso della terapia possono determinarsi, ponendo scelte

ulteriori.

Ancor prima di giungere alla previsione estrema di uno stato di

infermità, fisica o mentale, dovuto ad una malattia grave ovvero ad un

evento imprevedibile, il consenso informato rappresenta, per le legislazioni

che si sono espressamente pronunciate, la condizione di ammissibilità anche

delle sperimentazioni sull’uomo. Il soggetto che subisce la pratica

terapeutica deve infatti aver espresso il suo consenso, sempre libero224 e

revocabile, dopo una debita informazione sulle finalità perseguite e sui

rischi possibili.

La elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, in materia di attività

medica, ha prodotto il requisito del consenso informato, che trova

223 Così nella relazione al disegno di legge n. 2943, presentato nella XIV legislatura dal senatore Tommasini e nell’art. 2 del medesimo, nonché nell’art. 1 del disegno Ripamonti, Del Pennino, n. 2274, e del disegno Acciarini, n. 1437. 224 E dunque non remunerabile, come prevede l’art. 21 della Convenzione europea di bioetica.

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fondamento costituzionale nel principio di inviolabilità della libertà

personale (art. 13 Cost.)225.

Ma, il concetto di consenso informato ha cominciato ad essere

elaborato soltanto dopo alcuni decenni dalla promulgazione della nostra

Carta costituzionale, quando gli artt. 13 e 32 Cost. hanno formato oggetto di

interpretazione.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 1979 traccia un

momento decisivo a tale riguardo dato che, dopo aver qualificato il consenso

informato come “interesse della collettività” e nel contempo come “diritto

dell’individuo” 226 , ha posto come limite alla sperimentazione, quello

insuperabile del rispetto della dignità umana227.

Lo stesso orientamento è confermato nella successiva pronuncia della

Consulta del 22 ottobre 1990, n. 471228 la quale, con riguardo alla liceità dei

trattamenti sanitari, ha ricordato che la inviolabilità della libertà personale,

stabilita in modo generale dall’art. 13 Cost., è da intendersi come libertà di

autodeterminarsi in relazione al modo con cui si gestisce il proprio corpo,

con il solo limite del “rispetto di modalità compatibili con la dignità della

figura umana, come richiamato dall’art. 32, comma 2, della Costituzione”.

225 Sul punto: Cass. 15 gennaio 1997, n. 364, in Foro it., 1997, I, 778. A tal riguardo, C.M. D’ARRIGO, Autonomia privata ed integrità fisica, Milano, 1999, p. 272; A. SANTUOSSO, Il consenso informato, Milano, 1996; M.C. VENUTI, Gli atti di disposizione del proprio corpo, Milano, 2002, p. 46. Con specifico riguardo alla sperimentazione sul corpo umano, giova ricordare F. MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Padova, 1974, p. 644; F. MASTROPAOLO, Diritto alla vita e all’integrità corporea tra biotecnica e bioetica, in Scritti in onore di A. Falzea, II, Milano, 1991, p. 610. 226 Dando conferma della impostazione personalistica che la Corte Costituzionale privilegia nella interpretazione della Costituzione italiana. 227 Infatti, l’art. 32, comma 2, della nostra Carta Costituzionale sancisce: “ Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, precisando che, comunque, “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. 228 In Foro it., 1991, 114, I, p. 21, con nota di R. ROMBOLI, I limiti alla libertà di disporre del proprio corpo nel suo aspetto “attivo” ed in quello “passivo”.

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Sulla scia di tale direzione interpretativa, appare sintomatica la più

recente sentenza della Corte Costituzionale del 27 giugno 1996, n. 238, con

la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 2,

c.p.p., nella parte in cui consentiva al giudice, nel corso delle operazioni

peritali, di disporre il prelievo ematico sul periziando, senza il suo consenso,

ricollegando, in tal modo, il diritto inviolabile della libertà personale al

“contiguo e strettamente connesso diritto alla vita ed all’integrità fisica”,

riconoscendo ad entrambi di concorrere a “ costituire la matrice prima di

ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona”.

Dello stesso tenore sono le argomentazioni della dottrina229, la quale

evidenzia che i beni tutelati dalle norme costituzionali afferiscono “alla

libertà personale intesa nella sua complessità, nel suo profilo, perciò, non

solo di libertà morale (come libertà di autodeterminazione) ma anche di

diritto del paziente al rispetto della propria integrità fisica e della propria

incolumità individuale”230.

Dalla lettura combinata di queste norme di rango costituzionale, la

dottrina desume che non è consentito violare il diritto dell’individuo

all’autodeterminazione, poiché a ciascuno deve essere riconosciuta la

facoltà di effettuare autonomamente le scelte fondamentali relative alla

propria salute, a meno che non sussistano giustificati motivi di deroga231.

229 G. IADECOLA, Potestà di curare e consenso informato, in Il rischio in medicina oggi e la responsabilità professionale, Atti del Convegno di Studio, Roma, 26 giugno 1999, Milano, Giuffré, 2000, pp. 54 – 55. L’Autore è in linea con quanto afferma la sentenza Cass. Pen., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 1572, in cui si legge che il diritto a un consenso consapevole “afferisce alla libertà morale del soggetto ed alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto delle proprie integrità corporee, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile dall’art. 13 Cost.”. 230 Così G. IADECOLA, Op. cit., pag. 55. 231 Così, R. CASTALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Il consenso informato: difesa del medico e diritto del paziente, Maggioli S.p.A., 2007, p. 28

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In Italia, l’affermazione di tali principi ha seguito un cammino

lento 232 , sollecitato non solo da una più attenta lettura dei principi

costituzionali di cui agli artt. 13 e 32 Cost., ma anche dalla normativa

europea.

Per quanto riguarda i primi, una iniziale dimostrazione della loro

applicazione, si è avuta con l’art. 4 della L. 25 luglio 1956, n 873233 e con

l’art. 2 della L. 26 giugno 1967, n. 458 234 . Successivamente, verso gli

anni ’90, il Legislatore ha promosso una serie di normative settoriali che

hanno prescritto l’obbligo del consenso informato anche in occasione di

interventi o terapie di per sé non particolarmente pericolosi, come l’art. 3

della L. 4 maggio 1990, n. 107235, oggi sostituita dalla L. 21 ottobre 2005, n.

219236; l’art. 5 della L. 5 giugno 1990, n. 135237; l’art. 7 della L. 2 maggio

1992, n. 210238; nonché gli artt. 19, 26, 28, 31 e 34 del d.m. 15 gennaio

232 Infatti è solo del 1990 la sentenza della Corte di Assise di Firenze, più nota come “il caso Massimo”, dal nome del chirurgo coinvolto, pubblicata in Giust. Pen, 1991, 96, II, 163, con nota di G. IADECOLA, In tema di rilevanza penale del trattamento medico-chirurgico eseguito senza il consenso del paziente, che condannò il chirurgo imputato per omicidio preterintenzionale poiché “Il chirurgo che, in assenza di necessità ed urgenza terapeutica, sottopone il paziente ad un intervento operatorio di più grave entità rispetto a quello meno cruento e comunque di più lieve entità del quale lo abbia informato preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, commette il reato di lesioni volontarie, irrilevante essendo sotto ogni profilo psichico la finalità pur sempre curativa della sua condotta, sicché egli risponde del reato di omicidio preterintenzionale se da quelle lesioni derivi la morte”; tale sentenza fu confermata da Cass. Pen., 1993, 33, 63, m. 37, con nota di G. MELILLO, Condotta medica arbitraria e responsabilità penale. 233 Con cui si adottò la “Riforma della legislazione vigente per la profilassi delle malattie veneree”. 234 Dedicata al “Trapianto del rene tra persone viventi”. 235 Riferita alla “Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti per la produzione di plasmaderivati”. 236 In tema di “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati”. 237 Programmi di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS. 238 Riferita all’“Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati”.

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1991239; ed infine, il d.m. 6 novembre 1998 dedicato alla Composizione e

determinazione delle funzioni del Comitato Etico Nazionale per le

sperimentazioni cliniche dei medicinali.

Ma, il tema della autodeterminazione del paziente é già avvertito

verso la fine degli anni ’60, quando la Corte di Cassazione pronuncia una

sentenza 240 con la quale si afferma che “…fuori dei casi di intervento

necessario, il medico nell’esercizio della professione non può, senza valido

consenso del paziente, sottoporre costui ad alcun trattamento medico-

chirurgico suscettibile di porre in grave pericolo la vita e l’incolumità

fisica”.

La giurisprudenza va oltre e, nel giudizio già citato, relativo al “caso

Massimo”, la Corte di Assise di Firenze fa anche riferimento al diritto di

“rifiuto” da parte del paziente delle cure mediche, stabilendo che: “ nel

diritto di ciascuno di disporre, lui e lui solo, della propria salute integrità

personale, pur nei limiti previsti dall’ordinamento, non può che essere

ricompreso il diritto a rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia

segua il suo corso fino alle estreme conseguenze”241.

239 Relativi al “Recepimento delle linee guida dell’Unione europea di buona pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali”. 240 Cass. Civ., III sez., 25 luglio 1967, n. 1945. 241 Con riferimento alla natura giuridica del consenso informato, è proprio questa sentenza che sottolinea che “soltanto il consenso, manifestazione di volontà di disporre del proprio corpo, può escludere, in concreto, l’antigiuridicità del fatto e rendere questo legittimo”, determinando, per tale ragione, l’intervento del sanitario compiuto in suo assenza, un vero e proprio atto “arbitrario” e, pertanto, illecito a prescindere dal risultato. Tra gli Autori che aderiscono a tale convincimento, si ricorda: R. A. FROSALI, Sistema penale italiano, Torino, UTET, 1958, p. 227; F. MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione nel diritto italiano e straniero, Padova, Cedam, 1974, p. 54, in cui l’Autore ravvisa il fondamento della liceità dell’attività medico-chirurgica nella scriminante dell’esercizio del diritto, come attività giuridicamente autorizzata, e p. 222 in cui ritiene che, in assenza del consenso del paziente, il medico non può effettuare lecitamente il trattamento terapeutico, salvo rispondere, nel caso di esito fausto, quanto meno, dei reati di cui agli artt. 610 e 613 c.p.; U. G. NANNINI, Il consenso al trattamento medico, Milano, Giuffrè, 1989, pp. 74 e ss; “…per l’integrazione dei reati di omicidio e lesioni personali non è richiesta la volontà di

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Si potrebbero ricordare altre e numerose pronunce242, tutte con un

esplicito richiamo alle norme di rango costituzionale, che, ribadendo la

libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica,

escludono la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la

volontà del paziente se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i

presupposti dello stato di necessità (art. 54 c.p.).

Un’altra fonte da cui deriva il diritto al consenso informato è

rappresentata dal codice di deontologia professionale che, in caso di

mancata attuazione ovvero di mancato rispetto della sua nomenclatura,

comporta la applicazione delle sanzioni disciplinari previste per la categoria

medica. Nell’ambito dell’ordinamento vigente, però, le disposizioni

deontologiche non possono trovare diretta applicazione, ma una semplice e

generica specificazione nei principi generali243, come l’art. 1176 c.c., che

impone il dovere di correttezza e di diligenza professionale, nonché dell’art.

2230 c.c., afferente ai rapporti di prestazione d’opera intellettuale, cui si

applicano, oltre alle disposizioni del codice e delle leggi speciali, anche le

prescrizioni della deontologia professionale.

ledere l’integrità psico-fisica del soggetto passivo, essendo sufficiente il dolo generico e la realizzazione della oggettiva aggressione della sfera fisica altrui. In assenza di condizioni che l’ordinamento reputa idonee ad escludere l’antigiuridicità del fatto, dunque, l’attività invasiva deve considerarsi illecita, senza che possano assumere, di per sé, valore scriminante le nobili motivazioni, esplicitate o meno, che spingono il medico ad effettuare l’operazione” così, R. CATALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Il consenso informato, Op. cit., p.37. 242 Cass. Civ., sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364; Cass. Civ., sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014, Cass. Pen., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 1572. 243 Così F. D. BUSNELLI, Codice di deontologia medica, in Bioetica e diritto privato. Frammenti di un dizionario, Torino, 2001, p. 74; E. BELELLI, Il codice deontologico medico e il suo valore giuridico, in Bioetica, deontologia e diritto per un nuovo codice professionale del medico, a cura di M. Barni, Milano, 1999, p. 21.

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Il principio dell’autodeterminazione è stato anche esaltato dalla

Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina244, che ha prodotto, con

il suo carattere di fonte sopranazionale, una vera e propria inversione

interpretativa di tali concetti.

Tra le motivazioni che hanno condotto molti Paesi aderenti a

ratificare tale documento, si ricorda “la necessità di rispettare l’essere

umano sia come individuo che nella sua appartenenza alla specie umana”,

avendo come finalità precipua quella di “assicurare la sua dignità”.

Se, dunque, l’oggetto e la finalità della Convenzione sono la

“protezione dell’essere umano”, “nella sua dignità e nella sua identità”,

evidenziando, all’art. 2, che “L’interesse e il bene dell’essere umano

debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”, il

principio fondamentale sancito è quello del primato dell’essere umano,

rispetto al quale il “consenso informato”245, per la prima volta sancito in un

documento con efficacia giuridica, ne costituisce il necessario corollario,

tanto da aver provocato la modifica, nel 1998, del codice di deontologia

medica246.

244 Sottoscritta ad Oviedo il 4 aprile 1997, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nella seduta del 19 novembre 1996, e ratificata in Italia con la legge 28 marzo 2001, n. 145. 245 L’art. 5 della Convenzione di Oviedo, dispone: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. 246 L’art. 38 del Codice di Deontologia Medica dell’ottobre 1998, infatti, stabilisce: “Il medico deve attenersi nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa della persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia stessa. Il medico, compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto ella sua volontà. In caso di divergenze insanabili rispetto alle richieste del legale rappresentante deve segnalare il caso all’autorità giudiziaria; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di mente. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà,

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Sull’esempio del Codice di Norimberga del 1947247, molti legislatori

contemporanei hanno prodotto norme specifiche, avendo riguardo alla prassi

sperimentale in campo medico248. In un quadro normativo molto esiguo249,

se la Carta di Nizza, con l’art. 3, comma 2, impone nell’ambito della

medicina e della biologia, il rispetto del consenso libero ed informato della

persona interessata, la Convezione europea di bioetica qualifica il consenso

quale presupposto necessario per la liceità della sperimentazione, stabilendo

in particolare che esso deve essere libero e consapevole, previa

informazione adeguata su finalità, natura, conseguenze e rischi del

trattamento; sempre revocabile (art. 5), specifico ed espresso per iscritto (art.

16).

deve tenere conto nelle proprie scelte i quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato”. 247 Il 20 agosto 1947 veniva pronunciata la sentenza al processo contro i medici, colpevoli di aver compiuto esperimenti disumani sui prigionieri di guerra. Com’è noto, la sentenza del Tribunale Militare Americano conteneva una sezione, chiamata successivamente Codice di Norimberga, in cui erano enunciate dieci proposizioni, quali principi etici fondamentali da rispettare al fine di soddisfare i requisiti morali, etici e giuridici comunemente accettati sulle pratiche di sperimentazione su soggetti umani. Il Codice di Norimberga non esercitò alcuna influenza immediata sul comportamento etico nella ricerca medica. Solo decenni più tardi, esso fu riscoperto e fu riconosciuta apertamente la portata del suo contenuto etico. In particolare la dottrina sul consenso volontario e libero ebbe il riconoscimento quando comparve in due influenti documenti successivi, quali la Dichiarazione di Helsinki (1964) e il Rapporto Belmont. Il recepimento dei principi di Norimberga da parte dei Codici di Etica delle associazioni mediche nazionali seguì un corso lento ed ebbe impulso solo nel 1975, quando l’Associazione medica Mondiale pubblicò la seconda versione della Dichiarazione di Helsinki. Per un maggior approfondimento sul punto, cfr. G. HERRANZ, The inclusion of the Principles of Nurembreg in Professional Codes of Ethics: An Interational Comprison, in Trohler U., Reiter – Theil S., Ethics Codes in Medicine Foundations and Achievements of Codification since 1947. Adershot: Ashgate, 1998: 127 – 139. Ma anche G. HERRANZ, Alcuni contributi cristiani all’etica della ricerca biomedica. Una prospettiva storica, in www.academiavita.org. 248 Si vedano, ad esempio, gli artt. 223 - 228 del codice penale francese. In generale, cfr. A. MANNA, Sperimentazione medica in Enc. Dir., Aggiornamento, V, Milano, 2001, p. 1123. 249 In cui si riconoscono le Good clinical practise for trials on medical products in European Community, elaborate e sancite nella direttiva 91/507/CEE, recepita in Italia, con D.M. della Sanità del 27 aprile 1992.

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“Il consenso, nella sua dinamica dialogica e di reciprocità, afferma il

valore della dignità umana del paziente che – quale valore positivo a ogni

livello di legislazione250 – si ritiene non possa essere compromessa in alcun

modo dall’attuazione dell’esperimento”251.

Tale criterio è confermato dalla disciplina delle limitazioni previste a

tutela delle categorie di soggetti che non sono in grado di esprimere un

consenso libero e consapevole252.

La sperimentazione su soggetti incapaci o privati della loro libertà per

un provvedimento dell’autorità è generalmente vietata, ad eccezione della

ipotesi in cui si possa trarre un vantaggio terapeutico per il soggetto

medesimo253. In particolare, per i minori è necessario il consenso valido del

genitore o del rappresentante legale254. La Convenzione europea di bioetica

(e più precisamente gli artt. 6, 7 e 20) subordina la sperimentazione sugli

incapaci alla autorizzazione del rappresentante legale (che deve soddisfare

le stesse condizioni previste per un valido consenso) e la limita al caso in cui

possa derivarne beneficio immediato al paziente (o eccezionalmente, un

beneficio eventuale e non immediato al paziente o a chi versi in una 250 L’art. 1 della Carta di Nizza dispone: “ La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. 251 Così si esprime F. DI MARZIO, Tecnologie biomediche e diritto, Op. cit. p. 10. Sul punto, cfr. A.M. SANDULLI, La sperimentazione clinica sull’uomo, profili costituzionali, in Dir. e soc., 1978, p. 507. In giurisprudenza, si ricorda Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 471, in Foro it. 1991, I, 14. 252 Ricordando gli esperimenti raccapriccianti effettuati durante la prima e seconda guerra mondiale sulle vittime civili e militari, ossia su soggetti incapaci di esprimere un consenso, va evidenziato che proprio in virtù della totale assenza di un consenso libero, si è delineata la categoria generalmente riconosciuta dei crimini internazionali. 253 Si vedano, ad esempio, i paragrafi 40 e 41 dell’Arzneimittelgesetz del 22 novembre 1976 in Germania; l’art. 209 – 5 della L. 22 dicembre 1988, n.88 – 1138, relativa alle protezione delle sottoposte a ricerche biomediche in Francia; l’art. 3, lett. C. della L. reg. Toscana 25 agosto 1978, n. 59, in Italia; l’art. 44 del codice di deontologia medica del 1995. 254 Cfr. A. MANNA, Sperimentazione medica, cit., p. 1124. Sugli abusi sperimentali nei riguardi dei soggetti deboli cfr. P. ZAVATTI, A. TRENTI E C. SALVIOLI, Attività mediche e vittimizzazione, in Rass. It. Crim., 1995, p. 359.

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situazione analoga di malattia) e non sia possibile realizzare la ricerca con

effetti analoghi su soggetti capaci.

Il requisito procedurale si ispira alla finalità perseguita con la

sperimentazione terapeutica255 i cui limiti sono dati soltanto rispetto alla

sperimentazione pura256. Ma se nella sperimentazione terapeutica, si ritiene

ammissibile il ricorso al c.d. consenso presunto o prestato dai legali

rappresentanti legali del soggetto che si trovi in condizioni di incapacità a

causa della malattia, nella sperimentazione pura, il consenso deve essere

necessariamente informato e libero.

La tradizionale distinzione tra i due tipi di sperimentazioni257 integra

una scelta di valore cui fa un semplice cenno la Convenzione di Oviedo,

nella quale si rimarca, quale criterio di giustizia e accettabilità, il requisito

del consenso del paziente o dei suoi rappresentanti legali258.

Nella Convenzione europea di bioetica (art. 16), infine, sono

affermati quali limiti alla sperimentazione, “l’inesistenza di un metodo di

ricerca analogo e alternativo alla sperimentazione sull’uomo; la

255 Assimilata dalla opinione corrente al trattamento medico in generale. Si veda A. BELELLI, Aspetti civilistici della sperimentazione umana, Padova, 1983, p. 11; M. DOGLIOTTI, Atti di disposizione sul corpo e teoria contrattuale, in Rass. Dir. civ., 1990, p. 249. La sperimentazione terapeutica è stata a volte praticata e ritenuta ammissibile anche in ipotesi estreme, quali i trapianti artificiali e gli xenotrapianti da animali (anche transgenici) all’uomo. In tali ipotesi, sorge il grave problema della impossibilità di un consenso informato, essendo ignoti anche agli scienziati gli effetti dell’esperimento. A tal riguardo, si veda P. ZAVATTI, A. TRENTI E C. SALVIOLI, Attività biomediche e vittimizzazione, cit. p. 372. 256 La cui ammissibilità non è pacifica in letteratura, la quale mostra profonde riserve: si legga F. MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana, cit., p. 612, nonché F. MASTROPAOLO, Diritto alla vita, cit., p. 612. 257 Solennemente affermata nella Dichiarazione di Helsinki, emanata dall’Assemblea medica mondiale nel 1964 e ribadita nella normativa comunitaria e interna – cfr. la Direttiva 91/507/CEE del 19 luglio 1991 e i d.m. del 15 luglio 1997 e del 18 marzo 1998. 258 Il ridimensionamento della distinzione nella Convenzione è evidenziato da E. PARIOTTI, Prospettive e condizioni di possibilità per un biodiritto europeo a partire dalla Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina, in Studium iuris, 2002, p. 563.

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proporzione tra rischi per il paziente e utilità per la ricerca; il positivo

superamento di un giudizio scientifico ed etico del progetto di ricerca”.

Un’ulteriore fonte era la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione

Europea259. Il suo Preambolo rappresenta un punto di partenza importante,

poiché, enuncia i valori comuni “universali” e “indivisibili” su cui si fonda

l’intera Unione, coincidenti con la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza,

la solidarietà, che vanno mantenuti e sviluppati nel rispetto delle diversità

culturali, religiose e linguistiche260; e, come nel Principato romano del II sec.

d.C., i libri del jus civile mutarono l’assetto tradizionale della sistematica del

tempo, dedicando alle “personae” la loro prima sezione, volendo

sintetizzare in tal modo la materia prioritaria del diritto romano di quel

momento storico, l’essenza stessa del jus, così nell’Europa del XXI secolo,

259 Proclamata il 7.12.2000, da parte dei Presidenti di tre istituzioni dell’Unione (Parlamento, Consiglio, Commissione), dopo essere stata predisposta da una Convenzione di 62 membri in rappresentanza dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri, della Commissione, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee il 18.12.2000, 2000/C, 364/01, ratificata a Nizza il 26.02.2001, dagli allora 15 Stati membri dell’Unione europea, ed è entrata in vigore il 1° febbraio 2003. Il 13 dicembre 2007 è stata modificata dal Trattato di Lisbona, sottoscritta da 27 capi di Stato e di Governo dell’UE, a Lisbona, nel Monastero dos Geronimos. I 54 articoli della nuova Costituzione europea, che riguardano la libertà, l’uguaglianza, i diritti sociali ed economici sono vincolanti per tutti i cittadini europei ad eccezione di Regno Unito e Polonia che hanno ottenuto la possibilità di opt – out, vale a dire di non applicazione della Carta. Spetterà ora ai singoli Paesi provvedere alla ratifica del nuovo Trattato, tranne per l’Irlanda, dove si terrà un nuovo referendum per la sua approvazione. Nel 2009 la nuova Costituzione europea entrerà in vigore, in coincidenza con le elezione del Parlamento Europeo e la nomina del nuovo esecutivo comunitario. Tra i nuovi obiettivi comuni, si ricorda la politica energetica e ambientale, volta a contrastare il riscaldamento globale; per la politica commerciale la “concorrenza equa”, per assicurare il funzionamento del mercato interno; per la sicurezza, la clausola di “solidarietà”, in caso di attacchi terroristici, ma anche di disastri naturali. Tra le novità da menzionare, si evidenzia la “clausola di recesso” con cui uno Stato può decidere di non appartenere più alla Unione europea, anche se le condizioni devono essere negoziate con gli altri Paesi. L’UE avrà personalità giuridica, garantendo un maggior potere negoziale in ambito internazionale. 260 Tale dibattito è altresì promosso dalla Convenzione europea sulla bioetica, in cui gli Stati aderenti riconoscono “l’importance de promouvoir un débat public sur les quéstions posées par l’application de la biologie et de la médecine et sur les réponses à y apporter”.

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il Trattato di Nizza, manifestando l’esigenza attuale di “rafforzare la tutela

dei diritti fondamentali”, “alla luce dell’evoluzione della società, del

progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici”, pone al centro

della sua azione, ancora una volta, la persona. Della cui tutela si avverte la

perseverante necessità, anche a distanza di millenni, in una epoca in cui il

riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo è ancora messo in

discussione.

E’ indubitabile che la particolare temperie sociale nella quale il

Legislatore europeo e nazionale si muovono, dove forti sono le spinte verso

l’affermazione e il riconoscimento dei risultati scientifici, nell’ambito della

loro concreta applicazione sull’uomo, nonché la pretesa di agire non

soltanto sull’individuo, a scopo terapeutico, ma, addirittura, di intervenire

sulla sua natura (come accade con la manipolazione genetica) ha condotto

alla necessità di “ricordare” e proclamare in questa Carta dei diritti

fondamentali, che “La dignità della persona è inviolabile. Essa deve essere

rispettata e tutelata” (art. 1).

La circostanza che il valore della dignità della persona sia anteposto a

tutti gli altri, anche rispetto al valore della vita261, consente di sostenere che

prioritariamente essa debba essere rispettata in tutti i gradi di manifestazione

della vita dell’uomo, dal momento della sua origine sino a quello della sua

conclusione, considerando tutto l’arco del suo sviluppo, comprendendo

anche i momenti di sua particolare debolezza. Per la prima volta in un

Trattato di respiro internazionale, e più precisamente nel Capo III, dedicato

all’uguaglianza, accanto ai diritti del bambino (art. 24), già più volte

considerato in Dichiarazioni universali262, sono menzionati espressamente i

261 Che troviamo nell’immediato art. 2 del Trattato. 262 Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo, Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.

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diritti degli anziani263 e il diritto dei disabili264 ad essere inseriti nella società,

nel mondo del lavoro, nella vita della comunità con autonomia, volendo

rimarcare che la loro presenza nella società, deve essere considerata alla

stessa stregua delle persone che deboli non sono, riconoscendone lo stesso

valore265 e lo stesso rispetto, in quanto uomini, aventi pertanto “la stessa

dignità morale e giuridica”266.

Tale principio è successivamente confermato e rafforzato nell’art. 21

il quale sancisce che né l’età, né l’handicap possono essere oggetto di

qualsivoglia forma di discriminazione. In tale contesto, dunque, l’espresso

riferimento al diritto alla prestazione del consenso libero e informato,

nell’ambito della medicina e della biologia (art. 3), assume un rilievo

fondamentale, al fine di garantire l’integrità fisica e psichica di ogni

individuo.

In generale, la norma di tutela da applicare ai minori, agli anziani,

agli infermi di mente, ai malati che hanno bisogno di assistenza, non può

differenziarsi per “categorie di persone”, ma, nel rispetto del principio

dell’uguaglianza, deve rimuovere, tutti gli ostacoli che di fatto impediscono

il pieno e libero sviluppo della persona.

263 Art. 24: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale”. 264 Art. 26: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili a beneficiare di misure intese a garantirne ‘autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”. 265 S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I. 29.3 spiega: “Maxime Deo convenit quia enim in coemedis et tragoediis rapraesentabantur aliqui homines famosi, impositum est hoc nomen, persona, ad significandos aliquos dignitatem habentes”; così, pur ricordando l’origine teatrale del termine persona, ne emerge altresì il contenuto di “valore”, sottolineando l’attinenza con la dignità delle persone. Sul punto, S. TAFARO, Persona: origini e prospettive, in Atti del Congresso internazionale “incontro fra canoni d’oriente e d’occidente”, II, Bari, 1993, p. 583 e ss; S. TAFARO, Centralità dell’uomo (persona), in Studi per Giovanni Nicosia, VIII, Giuffré, 2007. 266 Così, P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Op. cit., p. XII.

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Persona “debole” può essere chiunque e le circostanze particolari

nelle quali può trovarsi costituiscono il modello sul quale l’interprete, in

sede di applicazione della norma, deve “ritagliarne” la attuazione, seguendo

un percorso flessibile in cui le scelte di solidarietà dell’assetto giuridico

devono necessariamente rappresentare un principio univoco dal quale

l’esegeta non può sottrarsi267.

L’istituto dell’amministrazione di sostegno si rivela, pertanto, un

valido strumento di attuazione delle norme di tutela del soggetto debole, nel

rispetto della persona nella sua unitarietà fisica e psichica.

5. L’attenzione che il Legislatore italiano dedica ai soggetti deboli

ribadisce ciò che le Costituzioni, le Dichiarazioni internazionali, le

Convenzioni europee, i Trattati, le Direttive e i Regolamenti comunitari

hanno sempre posto al centro del proprio articolato normativo, i cui principi

sono ispirati alla tutela dei diritti dell’uomo. L’aver voluto ricordare nei

precedenti paragrafi che sin dai tempi del diritto antico e, più precisamente

del diritto romano, ci sia stato un impegno in tal senso, manifestato con la

considerazione dell’uomo quale autore del diritto268, ha significato voler

richiamare le fonti da cui deriva il pensiero giuridico moderno269.

267 Per un approfondimento relativo all’ordinamento giuridico italiano cfr. P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Op. cit., p. 291 e ss. 268 “Tale caratteristica”, come precisa S. TAFARO, in Centralità dell’uomo (persona), estratto dal volume: Studi per Giovanni Nicosia, VIII, Giuffré editore, 2007, p. 113, “benché fosse per antonomasia quella del civis e non dell’uomo tout court, fu suscettibile di allargamento e, dopo il 212, a seguito della concessione della cittadinanza a tutti i sudditi dell’Impero (ad opera di Antonino Caracalla), riguardò gran parte dell’orbe conosciuto e certamente di tutto il Mediterraneo”. 269 “Ius hominum costitutum causa”, enunciato in D. 1.5.2 (Hermog. 1 iuris epit.) esprime la finalizzazione del diritto romano che si pone assiologicamente orientato verso l’uomo. Per le considerazioni riguardanti il termine “costitutum”, si rimanda a V.GIODICE SABBATELLI, “Constituere”. Dato semantico e valore giuridico, in Labeo 27 (1981), 338 e ss. Il catalogo degli iura e constituere nel proemio delle istituzioni gaiane, in Il

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Per giuristi come Ulpiano270, il diritto coincide con la giustizia ed

entrambi mirano al rispetto della dignità umana. Il diritto si riassume, per il

giurista romano271, in tre precetti fondamentali:

D. 1.1.10.1 (Ulp. 1 reg.): Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere,

alterum non laedere, suum cuique tribuere.

Tali principi costituivano i pilastri su cui poggiare il rispetto e la

tutela della persona, di cui si avverte ancora oggi la doverosità: l’onestà, il

rispetto della persona e dei suoi diritti fondamentali, lo sforzo perenne di

dare a tutti ciò che spetta, di non negare a nessun uomo ciò che la natura gli

ha destinato e che la sua condizione esige272. Il perno su cui ruota tutto il

diritto di Giustiniano è dunque l’uomo, cui tende il diritto; la giustizia, a cui

si lega in maniera indissolubile l’aequitas273; il rispetto della dignità umana,

che rappresenta il tèlos (lo scopo) della vera philosophia.

linguaggio dei giuristi romani – Atti del convegno internazionale di studi – Lecce, 5-6 dicembre 1994, a cura di O. Bianco – S. Tafaro (Galatina 2000), 113 e ss. 270 Ulpiano, allievo del grande Emilio Papiniano, si propose di esporre in forma chiara ed esaustiva tutto il diritto, proponendo un ideale di vita pratico, strettamente legato alla realtà. “Egli si ispirava alla tradizione aristotelica e alle correnti di pensiero che avevano visto il nòmos come la forma che consentiva di discernere ciò che giova da ciò che nuoce (v. per es. riguardo ad Archelao ed Ippocrate: v. POLENZ, Nomos und Physis, in Klass. Schriften 2, 341 e ss) e che sostanziava la virtù degli dei di distinguere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, come aveva già sostenuto Euripide (Hecuba, vv. 800-801). Fautore della raccolta dei Digesta di Giustiniano ha gettato, per tal via, le basi su cui si è fondato e sviluppato il pensiero giuridico moderno” Così, S. TAFARO, op. cit, p. 110. 271 S. TAFARO, op. cit., p. 112, ricorda che vi sono affermazioni di retori e filosofi in tal senso, come testimonia l’autore della Retorica ad Erennio RET. AD HERENN., 3.2.3: (Iustitia est) aequitas ius unicuique rei tribuens pro digitate cuiusque e Gregorio Taumaturgico, G. Thaumat., in Originem oratio panegyrica – Migne, Patr. Gr., tom, cap. 9, col. 1080 B: δικαιοσύνην ΰ τά άξια κάστσις άπονέμει. 272 Così S. TAFARO, op. cit., p. 111. L’Autore in nota 24 precisa che “Nel pensiero di Ulpiano la priorità spetta alla giustizia che consiste nella costante e perpetua volontà di riconoscere a ciascuno il proprio diritto (D. 1.1.10. pr. (Ulp. 1 inst.): Iustitia est constans et perpetua voluntas ius cuique tribuendi) secondo un affermato assioma greco, divulgato in Roma da Cicerone (de legibus 1.6.19)” 273 S. TAFARO, op. cit., p. 112, nota 25, per la proiezione dell’aequitas alla tutela delle ragioni dell’individuo ed alla “giustizia del caso singolo”, rinvia a M. BRETONE, Aequitas. Prolegomeni per una tipologia, in Belfagor LXI 363 f. III (2006), 338 e ss.

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La persona costituiva la materia prioritaria per il diritto274 e la tutela

che offriva era destinata all’uomo nella sua specificità, il quale mai si

confondeva nella collettività della Civitas. Si nota quindi una straordinaria

modernità del pensiero giuridico romano275 che considera la persona “ius

causa statutum est”276.

“E’ persona (- homo) la parola che dà l’ordine al sistema giuridico:

da Gaio (e forse già da prima) a Giustiniano e, in certo modo, fino ad

oggi”277.

Ma il diritto romano non conosce la distinzione moderna tra diritto

soggettivo e diritto oggettivo278, né le categorie di capacità giuridica279 e di

274 GAI. 1.8: Et prius videamus de personis. Anche nelle Institutiones di Giustiniano, la persona era il fondamento dello ius il quale, nella sua ripartizione, ripresa in modo pedissequo dal commentario di Gaio, era così suddiviso: I. 1.2.12: Omne autem ius, quo utimur, vel ad personas pertinet vel ad res vel ad actiones. 275 Interessante appare il rinvio di S. TAFARO, op. cit, p. 1, al dibattito serratissimo circa l’interrogativo della rilevanza dell’uomo nel diritto antico, avvenuto alla SHIDA di Bruxelles, nel 1999, e al volume di R. BAUMAN, Human rights in ancient Rome (London – New York 2000), nonché alle note critiche volte da M. TALAMANCA, L’antichità e i diritti dell’uomo, in Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Atti dei Convegni Lincei 174. (Roma 20019, part. 51 SS. Da Ultimo, v. V. GILIBERTI, “Omnium una libertas”. Alle origini dell’idea di diritti umani, in Tradizione romanistica e Costituzione, diretto da L. La Bruna, a cura di M.P. Baccari – C. Cascione, I. 2 (Napoli 2006), partic. pp. 1992 e ss. 276 Così si legge nelle Institutiones giustinianee, nella quale la centralità della persona appare a chiare lettere. I. 1.2.12: Ac prius de personis videamus. Nam parum est ius nosse, si personae, quorum causa statutum est, ignorentur. Precedentemente, Gaio organizza il discorso istituzionale, collocando il tema delle persone al primo posto della sistematica, individuando nell’uomo il destinatario naturale dello ius quo utimur. Sul punto cfr. R. QUADRATO, La persona di Gaio. Il problema dello schiavo, in Iura 37 (1986) 1 ss. 277 Così P. CATALANO, Diritto, soggetti, oggetti, cit., 115. 278 P. CATALANO, Diritto, soggetti, oggetti, cit., p. 102: “Devo ribadire che la distinzione tra “soggetto” e “oggetto” di diritto è estranea al diritto romano”. 279 Sul punto, appare chiarificatore il pensiero di P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007, p. 115: “Per unanime opinione la capacità giuridica assurge a principio generale dell’intero ordinamento giuridico. Essa è definita dalla dottrina come idoneità di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri e più in generale di situazioni soggettive. Secondo taluni, però, occorre distinguere la capacità giuridica “generale”, che in quanto attitudine astratta e generica è estesa a tutti gli uomini, dalla capacità giuridica speciale, quale incidenza della capacità generale sulla possibile titolarità delle singole situazioni. Dominante è l’opinione che identifica la capacità giuridica con la soggettività.

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capacità d’agire 280 , che i romanisti ritengono comunque utili per

comprendere la sua operatività concreta281. Anche il concetto di “soggetto di

Nell’ambito di tale opinione la teoria cd. Organica costruisce il soggetto giuridico come una fattispecie composta da un elemento materiale (il substrato materiale) e un elemento formale (il riconoscimento formale da parte dell’ordinamento) che attribuisce al primo la qualità di persona: l’uomo diventa soggetto del diritto soltanto in virtù i tale riconoscimento. La fattispecie – capacità è preliminare ad ogni altra situazione soggettiva e si pone come presupposto per l‘acquisto di tutti i diritti e gli obblighi giuridici; non è ammissibile che essa sia graduale poiché è sempre costante, piena, non parziale, non limitata, non relativa. In questa prospettiva però l’uomo assurge nell’ordinamento giuridico ad unità fittizia ed indifferenziata”. Le teorie cd. atomistiche, invece, tendono a scomporre il fenomeno in tanti comportamenti quante sono le norme che li prevedono. La persona, fisica o giuridica, che “ha” doveri giuridici e diritti soggettivi “è” questi doveri e questi diritti; è, cioè, un complesso di doveri giuridici e di diritti soggettivi raffigurato unitariamente. Tale concezione estromette l’individuo dal mondo del diritto, limitandosi a cogliere l’isolato comportamento umano così come previsto e disciplinato dalla singola norma. Pertanto, la soggettività, al pari della capacità giuridica, lungi dal costituire una qualità intrinseca dell’uomo, si frantuma in una serie di comportamenti analizzabili l’uno indipendentemente dall’altro, sì che resta preclusa un’interpretazione della realtà che trascenda l’episodico e il contingente. Invero l’art. 1 c.c. segna l’ingresso dell’individuo nell’ordinamento giuridico: l’uomo è accolto nel mondo del diritto nella sua totalità fisica e psichica e dunque diviene soggetto di diritto”. 280 Tali termini sono stati intesi i più adeguati per esprimere una situazione dalle implicazioni giuridiche rilevanti, formulate dai Pandettisti, come categorie di un diritto astratto e valevole per tutti i tempi. Sul punto, A. FALZEA, sv Capacità (Teoria generale), in ED. VI (1960) 8 ss. Si ricorda, altresì il più recente P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007, p. 121,: “La dottrina prospetta tra la capacità giuridica e la capacità d’agire (art. 2 c.c., con le modifiche della L. 8 marzo 1975, n. 39) un costante parallelismo. La capacità giuridica designa il momento statico e il soggetto si presenta come immobile portatore di interessi; la capacità d’agire indica l’aspetto dinamico e il soggetto diventa operatore giuridico, protagonista attivo. Pertanto, la capacità di agire è definita come idoneità della persona a svolgere l’attività giuridica che riguarda la sfera dei suoi interessi o come attitudine a manifestare volontà che siano idonee a modificare la propria situazione giuridica o ancora come idoneità ad esercitare diritti e assumere obblighi giuridici. Della capacità di agire generalmente si afferma la relatività. Essa varia sia dal punto di vista strutturale, in quanto i presupposti che concorrono a formarla si differenziano in rapporto al tipo di atto; sia da quello funzionale, in quanto la sua esclusione o limitazione corrisponde a precisi scopi: altro è l’incapacità dei minori e degli interdetti giudiziali (144, comma 1, c.c.) , altro l’incapacità degli interdetti legali (1441, comma 2, c.c.), quale pena accessoria a carico del condannato all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni (art. 32 c.p.). La relatività opera anche in altro senso: è dato rinvenire una capacità negoziale, una processuale, una penale, una politica, ecc. La capacità d’agire, al contrario della capacità giuridica, appare misurabile in termini quantitativi, tant’è che fra gli estremi dell’incapacità totale e della capacità piena si collocano numerose tappe intermedie: capacità parziale, limitata, semipiena e altre ancora”.

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diritto”282, utilizzato per indicare chi abbia la capacità giuridica è spesso

divenuto sinonimo di persona283, cosicché la soggettività è ritenuta diritto

inviolabile.

281 Cfr. P. CATALANO, Diritto, soggetti, oggetti: un contributo alla pulizia concettuale sulla base di D. 1,1, 12, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca II (Napoli, 2000), pp. 114 – 117: “L’ultima raffinatezza della deviazione dal diritto romano sta nel proiettare in esso astrattismi odierni. Questi possono essere contrabbandati come “concetti importanti per i quali i romani non hanno una espressione tecnica, benché i concetti stessi siano consapevolmente o inconsapevolmente a base delle loro discussioni” (la frase è di F. SCHULZ, I principi del diritto romano, 37 e ss.). Il primo esempio fatto da Schulz è quello del concetto di “capacità giuridica”; esempio al quale consegue l’affermazione, ripetuta dall’ORESTANO (Il problema delle persone giuridiche in dir. rom., 7 e ss.) che per i Romani la parola persona “non ha valore tecnico – giuridico”. Orbene, individuare al di là delle parole concetti che starebbero alla base delle discussioni dei giuristi romani anche, addirittura, “inconsapevolmente” (ihnen bewusst oder unbewusst) è pretesa in sé scorretta, che impedisce, per di più, di intendere il valore dogmatico della terminologia antica. Secondo siffatta attività ermeneutica il principale concetto sistematico antico, persona-homo, sarebbe privo… di “valore tecnico – giuridico”. In verità è persona (- homo) la parola che dà l’ordine al sistema giuridico: da Gaio ( e forse già prima) a Giustiniano e, in certo modo, fino ad oggi. La giuridicità della persona – homo, dell’uomo concreto, “in carne e ossa”, è stata quasi cancellata dalla nozione di “soggetto di diritto”, il più pericoloso degli astrattismi. Si badi: la “teoria del soggetto di diritto” è estranea non solo al diritto romano, ma anche alla tradizione giuridica canonica, che da quello deriva. Alla base del contrasto sta il soggettivismo che oppone “soggetti” e “oggetti”. Perciò ho voluto, all’inizio, ricordare il pensiero del più forte critico dell’astrazione “Stato” nel XIX secolo: F. Nietzsche; questi ha coerentemente ironizzato sulla opposizione fra soggetto e oggetto. Purtroppo i giuristi appaiono ancora lontani da un rifiuto totale di questo astrattismo. Serve dunque una critica romana, cioè in radice. Il superamento della frontiera tra “soggetti” e “oggetti” consente che riemergano nell’interpretazione odierna dello ius, gli Dei e i popoli (e le partes di questi), i singoli uomini (liberi e servi, nati e nascituri) e gli (altri) animali e tutte le (altre) res. Al sistema dello ius (Romanum) corrisponde appunto la iurisprudentia, la quale implica la divinarum atque humanarum rerum notitia (secondo la definizione che troviamo in D. 1.1.10.2), e di cui il concetto di necessitudo è preciso strumento. Il “soggetto di diritto” è invece docile strumento del “diritto oggettivo” di poteri privati, statali e internazionali, oggi tutti “soggetti” della (o alla?) globalizzazione. Contro tale antiumanesimo sta l’ars boni et aequi romana: uno ius universale e concreto, che gli uomini possono storicamente usare”. 282 Cfr, P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007. 283 Così S. TAFARO, op. cit., p. 101; egli rimanda a P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007, p. 115: Persona umana e soggetto. Persona fisica è l’uomo considerato dal diritto nella sua individualità e nei rapporti con gli altri. Preliminarmente occorre individuare il rapporto esistente tra la persona ed il soggetto. Due sono le linee di tendenza nelle quali sembra possibile riunire numerosi indirizzi dottrinali. Taluni, senza effettuare alcuna distinzione, discorrono indifferentemente di persona, soggetto, uomo, individuo. Storicamente,l’atteggiamento si accentua man mano che l’individuo è liberato

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“La soggettività entra nel novero dei diritti inviolabili riconosciuti e

garantiti all’uomo (art. 2 Cost. italiana). La qualità di uomo si presenta

come condizione imprescindibile affinché l’ordinamento possa assegnare la

qualifica di soggetto di diritto: l’appartenenza al genere umano costituisce

requisito necessario e al tempo stesso sufficiente ai fini del conferimento

della soggettività e non sono ammesse (art. 3 Cost.) distinzioni di sorta tra

individuo e individuo. Perciò la capacità – soggettività non può essere

eliminata per alcun motivo, neanche di natura politica (art. 22 Cost.). Si

riattribuisce così una propria utilità alla nozione di capacità giuridica

generale e si respingono le letture riduttive dell’at. 1 c.c. Con riferimento ai

concetti di capacità giuridica e di personalità, ora si configura la prima

come nucleo essenziale della seconda (sì che le due nozioni si

sovrappongono e si esauriscono l’una nell’altra), ora si pone la personalità

in una posizione di priorità rispetto alla capacità giuridica, come

emanazione della personalità, ora infine, come misura della stessa” 284.

Avendo dunque ben presente che l’attenzione del Legislatore è quella

di fornire adeguata tutela alla persona che si trovi temporaneamente in una

condizione di impedimento, fisico o psichico, conservando quanto più

possibile integra la sua capacità d’agire, si ricorda che, le scelte terapeutiche

riguardanti una malattia determinata, possono essere diverse, perché dalla soggezione e perviene gli status, fonti di privilegi e di discriminazioni. Lineare la conseguenza: ogni essere umano vivente è persona e quindi soggetto i diritto. Meno diffuso, invece, è l’orientamento che, ravvisando l’esistenza di differenti ambiti di incidenza per il soggetto e per la persona, propone di tenerli separati. Le dispute sulla confluenza o sulla precisa suddivisione delle sfere d’influenza tra soggetto e persona non segnano alcun progresso rispetto al fine, perseguito dall’ordinamento, di valorizzare a pieno l’uomo nel suo essere e nelle manifestazioni del suo agire. In tal modo, però, si ridimensiona l’affermazione che tutte le persone umane sono soggetti di diritto: lo sviluppo storico e lo studio comparatistico degli ordinamenti giuridici dimostrano che il dato non è immutabile e la dottrina ricorre al termine soggetto (anziché a quello di persona), là dove si occupa del fenomeno soggettività in termini di struttura, mentre alla persona riserva un significato più contenutistico”. 284 Sul punto, P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007.

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differente è la formazione culturale, religiosa, dalla morale del singolo

beneficiario.

Il ricorso al Giudice tutelare è la soluzione giuridica classica.

Ma se vi fosse conflitto tra un diritto e un dovere? Se il diritto a

rifiutare un trattamento sanitario indispensabile per la sopravvivenza

dell’uomo si scontrasse con il dovere di prestargli “cura”?

E se, nella bilateralità del rapporto diritto di scelta /dovere di

applicazione della scelta, vi fosse contrasto tra principi?

Non si tratterebbe certo di lacune normative da colmare.

Ci si chiede, allora, se sarà valido quanto affermato in sentenza: “Ciò,

all’evidenza, non esclude che possa esser tentata dall’A.d.S. (e dallo stesso

G.T. e/o da suoi ausiliari tecnici) una corretta opera di informazione e

convincimento per indurre il beneficiario a superare tabù, paure o titubanze

ingiustificate; ma va escluso che il provvedimento del G.T. o la decisione

dell’A.d.S. possano scavalcare una permanente, libera e non viziata

espressione di contraria volontà da parte del beneficiario, realizzando così

un sostanziale trattamento sanitario obbligatorio in casi in cui non é imposto

(o previsto) dalla legge.”

Tale quesito rappresenta dunque l’oggetto del successivo capitolo, in

ordine ad ipotesi concrete di ricorso all’amministrazione di sostegno,

laddove l’istituto incontri, però, significative difficoltà di attuazione della

“cura” del beneficiario intesa quale tutela del valore della vita stessa

dell’amministrato, perché contrastanti con la sua volontà.

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Grafico: ambiti applicativi dell’istituto dell’amministrazione di

sostegno.

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Capitolo IV

Nuove ipotesi di applicazione

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SOMMARIO: 1. Il diritto, il dovere e la pretesa. – 2. L’amministratore di

sostegno, il consenso informato e le direttive anticipate di trattamento:

prospettive. In particolare sull’accanimento terapeutico. - 3. Aspetti pratici.

– 4. Nuovi ambiti di applicazione dell’istituto dell’amministratore di

sostegno: il potere di rappresentanza anche in giudizio. – 5. Limiti alla

rappresentanza. – 6. Conclusioni.

1. Chi volesse conoscere il significato della parola “diritto”, dovrebbe

conseguentemente definire il concetto generale del diritto stesso,

rispondendo alla domanda: quid jus? E, chi volesse comprendere

l’estensione di tale concetto, vale a dire, il “principio pratico”285, il quesito,

cui dovrebbe darsi risposta, è: quid juris?

Le regole di condotta 286, fissate in regole scritte, si proiettano in

modo oggettivo e compiuto nella realtà, individuando, in tal modo, il

285 Sul punto, cfr. WIDAR CESARINI SFORZA, voce Diritto (Principio e concetto), in ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO, Vol. XII, Milano, Giuffrè, 1964, p. 630 e ss. L’applicazione del concetto di diritto alla realtà pratica, tuttavia, conduce ad un inevitabile contrasto fra i due significati di principio e di concetto, dato che il differenziarsi del primo dal secondo deriva dalla variabilità delle forme dell’esperienza giuridica, la quale, presentando situazioni diverse e molteplici, non può che dar luogo ad una molteplicità di principi, cui corrisponde la varietà dei contenuti del concetto. 286 Non sembra difficile dimostrare che la parola “diritto”, insieme a quelle che le corrispondono in altri linguaggi neolatini (“droit” “derecho” “dereit”, ecc.) abbia avuto origine, nei primi secoli dell’era cristiana, dal sorgere di una nuova convinzione o valutazione intorno a quel sistema regolatore della vita di relazione, che è costitutivo di tutte le società umane, sistema del quale il diritto oggettivo appare integrante se lo si concepisce come complesso di regole di condotta. Le regole di cui si tratta sono distinguibili dalle altre, che pure fanno parte del “sistema regolatore”, cioè delle regole morali e religiose nonché da quelle del costume, per specifiche proprietà, il che giustifica la speciale denominazione, che hanno ricevuta di regole giuridiche: non casuale bensì esprimente e rammemorante il fatto che tali proprietà si riscontrano per la prima volta nel “ius” Romani. Questo vocabolo ius è l’etimo non solo poco usato sostantivo “giure”, ma anche degli aggettivi “giusto” e “giuridico”, da cui gli astratti di “giustizia” e, recentissimo, “giuridicità”. Così, WIDAR CESARINI SFORZA, op. ult. cit., p. 632. Si rimanda alla bibliografia ivi indicata.

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concetto di comportamento lecito cui corrisponde, necessariamente, il

concetto di obbligatorio. Ma, rispetto alla oggettivizzazione di un

comportamento, in una formula scritta o orale, la volontà individuale può

conformarsi, secondo un ordo ordinatus, cioè un ordine realizzato, oggettivo,

già fissato in una regola, oppure dissociarsi, realizzandosi un altro momento,

soggettivo, quello dell’ordo ordinans, vale a dire quello della volontà umana

attiva, regolante e non ancora regolata, ordinante, prima di essere ordinata,

continua creazione dell’ordine giuridico287.

“Il ius è dunque un potere della volontà o potestà di volere, che il

soggetto possiede o non possiede, esercita o non esercita, ma che costituisce,

se posseduto ed esercitato da una determinata persona, una realtà insieme

di fatto e giuridica”288.

Si crea, così, un rapporto tra il soggetto volente e la persona o cosa

che rimangono soggetti del suo stesso potere, di imposizione o disposizione,

e da tale rapporto giuridico, inteso nella sua struttura più elementare, nasce

il concetto di dovere289.

287 Platone elaborò il modello di una società ordinata secondo una ragione necessaria che eliminava ogni traccia di individualismo. Ma l’esperienza sociale e storica aveva dimostrato l’importanza della individualità e del divenire storico; così, a partire da Ippia di Elide, il concetto di legge come interna unità di ordo ordinatus e ordo ordinans venne meno, provocando, negli anni a venire, la distinzione tra le due specie di “leggi” regolatrici delle azioni degli uomini, arrivando al pensiero moderno in forma di antitesi tra un “diritto ideale” o “razionale”, modello di perfezione giuridica, e i diritti storici, che da tale modello sono più lontani. “Da ciò la distinzione tra il diritto come concetto e il diritto come principio: tra l’attività “giuridicizzante”, regolatrice e ordinatrice della realtà pratica, fonte universale del diritto, e quei particolari prodotti di tale attività, che soli corrisponderebbero a un determinato modello di ordine e realizzerebbero il valore della “giuridicità”. Così, WIDAR CESARINI SFORZA, op. ult. cit., 636. 288 Così, W. C. SFORZA, op. ult. cit., p. 637. 289 Se, dunque, il potere fonda l’azione, il dovere ne predispone le modalità di attuazione e, proprio nel momento in cui l’ordinamento attribuisce la situazione soggettiva giuridicamente tutelata e rilevante, il dovere è già attuale e operante. La scienza giuridica dell’ ’800 stabilisce un’antitesi sistematica tra diritto soggettivo ed obbligo, evidenziando il topos dell’obbligo come l’altra faccia del diritto soggettivo, anche se meno soddisfacente appare la descrizione che ne fa dei rispettivi contenuti. Interessante la

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La pretesa 290, invece, è quella particolare posizione giuridica che

consente al soggetto che sia titolare di un diritto, di pretendere dai terzi,

l’obbligo giuridico di rispettarlo. La pretesa è la chiave di riconoscimento

del diritto garantito dall’ordinamento; l’obbligo o il dovere giuridico di

conformarsi e, secondo le due dottrine prevalenti, o nasce direttamente nella

coscienza dell’individuo o è la diretta conseguenza di previsioni normative

valide, alle quali non ci si può opporre291.

La pretesa non nasce semplicemente da un mero atto di libertà o della

volontà (vi sono, infatti, pretese di ordine morale); essa è un voler affermare

un proprio e preciso diritto, con l’altrui rispetto. La pretesa costituisce la

estrinsecazione dell’ordo ordinans; è tipico di un soggetto che vive in una

ricostruzione di FERRARA, Diritto civile italiano, I, Roma, 1921, 303 e ss, 320 e ss. sul momento della “doverosità”, per cui ogni posizione è “vincolata” al e dal precetto statuale, che fornisce congiuntamente al criterio della doverosità quello della giuridicità, e i diritti sono entità riflesse dei precetti obbliganti. Questa è la corrente di pensiero cui appartengono altresì BIERLING, THON, significativamente rappresentati da KELSEN, cfr. Reine Rechtslehre, 1960, 132 e ss.. “Una analisi del metodo di indagine oggi prevalente”, così può leggersi in FRANCESCO ROMANO, voce Obbligo (Nozione generale) in ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO, Vol. XII, Milano, Giuffrè 1964, p. 504, “su questa tematica del metodo dell’obbligo, si muove da una figura concettualmente amplissima, quella del dovere, e procedendo per successive riduzioni e concentrazioni del contenuto, si passa alla figura dell’obbligo, ed infine a quella dell’onere (BETTI, CARNELUTTI, GIORGIANNI). Questo processo di successiva specializzazione consente: a) di utilizzare i risultati eterogenetici della indagine teoretico-filosofica, della indagine condotta sul piano della teoria generale del diritto (sul punto vedi CESARINI SFORZA W., Sul concetto di obbligo, in RIFD, 1963, 431 ss. e N. IRTI, Due saggi sul dovere giuridico, Napoli, 1973, 18 ss e la bibliografia qui indicata); di non alterare l’assioma che contrappone poteri e doveri, diritti soggettivi ed obblighi, mantenendo il collegamento tra questi concetti su di un piano di reciprocità funzionale ed escludendo interferenze strutturali; c) di svolgere una progressiva indagine analitica che evidenzia aspetti di contenuto e di struttura differenziata nell’ambito di una categoria che si mantiene fondamentalmente unitaria”. Sul punto, anche A. INCAMPO, Sul dovere giuridico, Cacucci, Bari, 2003 e la bibliografia ivi richiamata. 290 Interessante, sul punto, la riflessione di L. PANNARALE, Il diritto e le aspettative, ESI, Napoli, 1988. 291 Del resto, tutto ciò è il fondamento del principio di legalità, momento essenziale del diritto, inteso come la forma primaria per regolare l’esistenza tra più soggetti in una società civile.

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realtà sociale ben precisa e che vuol far valere, servendosi di ogni mezzo

posto a sua disposizione dall’ordinamento giuridico.

2. Nella bilateralità del rapporto tra amministratore di sostegno e

beneficiario, la relazione “diritto-dovere” si ripropone in modo

particolarmente significativo, laddove il diritto del soggetto “debole” verrà

garantito e soddisfatto, nel momento in cui il dovere dell’amministratore

sarà compiutamente svolto.

Nel 1999 è stata approvata la Carta dell’autonomia sino alla fine

della vita, la quale prevede la possibilità di esprimere, in anticipo, la volontà

per le cure mediche, per l’eventualità di una futura incapacità di decidere,

redigendo, pertanto, un carta di autodeterminazione ed eventualmente

delegando una persona di fiducia ad assumerne le opportune decisioni292.

L’istituto dell’amministrazione di sostegno, dunque, parrebbe porsi

quale possibile strumento per realizzare la volontà di un soggetto, in un

momento successivo al verificarsi di qualsivoglia impedimento fisico o

psichico del beneficiario, ingenerando in colui che avrà tale compito, il

dovere di attuare determinazioni precise, precedentemente manifestate, nella

ipotesi di applicazione di trattamenti sanitari specifici, rispetto ai quali

esprimerà il consenso ovvero il rifiuto a lui “consegnato”.

Tuttavia, vi è chi avversa l’ipotesi del consenso anticipato del

paziente, evidenziando che esso, per essere valido e consapevole, deve

possedere il carattere della immediatezza, lasciando immutato, in caso

contrario, l’obbligo del medico di intervenire, per salvare la vita umana in 292 Già la Consulta di Bioetica aveva proposto l’adozione di regole tendenti a garantire il diritto della persona all’autodeterminazione in ordine a scelte terapeutiche predeterminate, da far valere anche in caso di successiva impossibilità di esprimere un consenso valido o un dissenso. L’iniziativa fu considerata da una parte della categoria medica quale positivo processo di adeguamento alla concezione della funzione del medico ai principi di autonomia decisionale del paziente.

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pericolo, qualunque sia stato l’intento della persona in un momento

precedente.

In tema di omissione terapeutica, anche la giurisprudenza è rigorosa e

costante nel ritenere che una eventuale desistenza terapeutica – sia pure

preordinata nelle cd. “direttive anticipate” o anche dette living will - dalla

quale derivi danno alla salute o la morte del soggetto, anche nel caso di

tempo più breve della prevedibile sopravvivenza, che sarebbe stata garantita

dalle cure omesse, può configurare i reati di lesione personale (a titolo di

dolo o colpa) o di omicidio (colposo, doloso o preterintenzionale).

Il principio del consenso informato293, fondato sugli artt. 13294 e 32295

della Costituzione italiana, recepito dal Codice italiano di deontologia

medica, all’art. 32 di detto codice, realizza “l’essenziale e imprescindibile

legittimazione giuridica dell’atto medico, altrimenti suscettibile di essere

valutato come reato”296.

Ma se la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal

rispetto della persona umana (art. 32, comma 2, Cost.), qualche dubbio

permane sulla validità di un dissenso anticipato. Paesi come Olanda, Belgio,

Danimarca, Germania ed alcuni Cantoni svizzeri, hanno una legge che

293 Nella legislazione ordinaria, il principio del consenso informato, alla base del rapporto tra medico e paziente è enunciato in numerose leggi speciali, come ricordato nel capitolo precedente, a partire dalla legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Legge 23 dicembre 1978, n. 833, la quale, dopo aver premesso, all’art. 1, che “La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana”, sancisce all’art. 33, il carattere di norma volontario degli accertamenti e dei trattamenti sanitari. A livello di fonti sopranazionali, il medesimo principio trova riconoscimento nella CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA SUI DIRITTI DELL’UOMO E SULLA BIOMEDICINA del 4 aprile 1997, che pone la seguente regola generale, secondo la rubrica della disposizione: “Une intervention dans le domaine de la santé ne peut être effectuée qu’après que la persone concernée y a donné son consentement libre et éclairé”. 294 Che sancisce la inviolabilità della libertà personale (intesa pure come libertà fisica e morale). 295 Che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo. 296 Così Cass. Pen., Sez. IV, 12 luglio 1991.

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riconosce a quel dissenso un valore giuridico. In Italia è stata promulgata la

legge 1 aprile 1999, n. 91, relativa a “Disposizioni in materia di prelievi e

di trapianti di organi e di tessuti”297, che, all’art. 4298 dispone espressamente

che la “mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla

donazione”, con ciò attribuendo riconoscimento alla manifestazione

anticipata del dissenso all’espianto di organi dal proprio corpo.

Già il Codice italiano di deontologia medica, del 1998, all’art. 34,

disponeva che “Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la

propria volontà, in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto

di quanto precedentemente manifestato dallo stesso” e tale indirizzo è stato

poi confermato, nel 2001, quando il nostro Paese ha ratificato la

297 Pubblicata in G.U. 15 aprile 1999, n. 87. 298 Art. 4. DICHIARAZIONE DI VOLONTÀ IN ORDINE ALLA DONAZIONE. 1. Entro i termini, nelle forme e nei modi stabiliti dalla presente legge e dal decreto del Ministro della sanità di cui all'articolo 5, comma 1, i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione, secondo quanto stabilito dai commi 4 e 5 del presente articolo. 2. I soggetti cui non sia stata notificata la richiesta di manifestazione della propria volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti, secondo le modalità indicate con il decreto del Ministro della sanità di cui all'articolo 5, comma 1, sono considerati non donatori. 3. Per i minori di età la dichiarazione di volontà in ordine alla donazione è manifestata dai genitori esercenti la potestà. In caso di non accordo tra i due genitori non è possibile procedere alla manifestazione di disponibilità alla donazione. Non è consentita la manifestazione di volontà in ordine alla donazione di organi per i nascituri, per i soggetti non aventi la capacità di agire nonché per i minori affidati o ricoverati presso istituti di assistenza pubblici o privati. 4. Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, il prelievo di organi e di tessuti successivamente alla dichiarazione di morte è consentito: a) nel caso in cui dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti di cui all'articolo 7 ovvero dai dati registrati sui documenti sanitari personali risulti che il soggetto stesso abbia espresso in vita dichiarazione di volontà favorevole al prelievo; b) qualora dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti di cui all'articolo 7 risulti che il soggetto sia stato informato ai sensi del decreto del Ministro della sanità di cui all'articolo 5, comma 1, e non abbia espresso alcuna volontà. 5. Nei casi previsti dal comma 4, lettera b), il prelievo è consentito salvo che, entro il termine corrispondente al periodo di osservazione ai fini dell'accertamento di morte, di cui all'articolo 4 del decreto 22 agosto 1994, n. 582 , del Ministro della sanità, sia presentata una dichiarazione autografa di volontà contraria al prelievo del soggetto di cui sia accertata la morte. 6. Il prelievo di organi e di tessuti effettuato in violazione delle disposizioni di cui al presente articolo è punito con la reclusione fino a due anni e con l'interdizione dall'esercizio della professione sanitaria fino a due anni.

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Convenzione di Oviedo del 1997, per la quale “i desideri precedentemente

espressi a proposito di un intervento medico saranno tenuti in

considerazione” (art. 9).

Tuttavia, il nostro ordinamento contiene due norme tra loro

contrastanti, dato che l’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio

corpo tali da determinare un danno permanente299, mentre l’art. 32 Cost.

sancisce la libertà del paziente di sottrarsi ad un trattamento terapeutico300;

dunque se l’articolato normativo del primo parrebbe porsi in opposizione

alla legittimazione delle direttive anticipate, anche il secondo, per una parte

della dottrina, non viene considerato sufficiente “per attribuire efficacia ad

un atto di volontà pregressa e non ripetibile a causa della sopravvenuta

incapacità del soggetto”301.

299 Dottrina e giurisprudenza individuano due parametri per circoscrivere i limiti di disponibilità dell’integrità fisica: da in lato, quello della entità della lesività della condotta, dall’altro quello attinente al profilo qualitativo della lesione stessa. L’attività medica, e in particolare il trattamento chirurgico, benché si rivolga al miglioramento dello stato di salute dell’individuo, talvolta implica ingerenze nella sfera personale del paziente tali da integrare astrattamente fattispecie di reato e spesso si fonda su un consenso che legittima una “diminuzione permanente dell’integrità fisica” di cui all’art. 5 Codice Civile. Ma, la prestazione medica, ancorché comportante una lesione, è lecita proprio in virtù del consenso dell’avente diritto, che opera come causa scriminante ex art. 50 Codice Penale. Benché la Corte di Cass. Pen, sez. IV, 13 settembre 2000, n. 9638 abbia affermato che “i medici e i paramedici devono considerarsi portatori ex lege di posizioni di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti la cui salute devono tutelare contro qualsiasi pericolo che ne minacci l’integrità”, la volontà del paziente, sia pur inequivocabilmente negativa rispetto ad un trattamento sanitario, vincola il medico a rispettarla e ciò anche a rischio della morte del paziente, in quanto, secondo il dettato costituzionale prevale la scelta individuale, anche se configgente con l’interesse generale connesso al valore sociale dell’individuo. 300 Sul punto si ricordano CASS., III CIV., 25 gennaio 1994, n. 10014 e 15 gennaio 1997, n. 364 con le quali si è stabilito che "dall'autolegittimazione dell'attività medica, non può trarsi che il medico possa, di regola ed al di fuori di taluni casi eccezionali (allorché il paziente non sia in grado, per le sue condizioni, di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni dello stato di necessità di cui all'art. 54 cod. pen.), intervenire: - senza il consenso - malgrado il dissenso del paziente”. 301 Così, S. PATTI, L’autonomia decisionale della persona alla fine della vita, in www.specchioeconomico.com/200603/bioetica.html. , p. 4

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Il rifiuto del paziente ha rilevanza solo fin quando egli sia cosciente e

possieda la capacità di intendere e di volere e, dunque, per tale orientamento,

il conferimento di un potere di guida del medico curante ad un “delegato”,

ridurrebbe la medicina ad una mera esecuzione di prestazioni a richiesta,

privando il medico della libertà di scelta terapeutica, che caratterizza la sua

professione e che risulta garantita dal Codice italiano di deontologia medica

del 1998.

Per altri, il living will dovrebbe essere considerato un mero

documento orientativo che consente di rendere noti i desideri del paziente

prima di perdere la conoscenza, i quali, in molti casi, presentano il carattere

dell’astrattezza, soprattutto in relazione al dato temporale in cui vengono

espressi, rispetto al momento in cui gli stessi dovrebbero essere realizzati.

Infatti, ogni direttiva anticipata perde di significato quanto più lontana è nel

tempo e quanto meno è espressa in modo specifico ed informato.

Nel vuoto normativo dell’ordinamento, c’è chi sostiene che “Il

compito della norma giuridica dovrebbe essere quello di favorire la

decisione anticipata del paziente nei casi che si prospettano drammatici e

che sono a lui noti, lasciando al medico un certo margine di discrezionalità

per la decisione clinica concreta302.

Ciò tenendo altresì conto del Codice italiano di deontologia medica il

quale, all’art. 32, afferma che “il medico non deve intraprendere attività

diagnostica o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del

paziente” e che “in caso di compromissione dello stato di coscienza, il

medico deve perseguire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta

ragionevolmente utile”(art. 37)303.

302 Così, S. PATTI, op. ult. cit., p. 5. 303 Quest’ultima norma dispone, inoltre, che “il sostegno vitale dovrà essere mantenuto sino a quando non sia accertata la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.

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In assenza di una normativa che disciplini regole precise, circa la fase

finale della vita dell’uomo e la autonomia privata della persona, nel

momento terminale della sua esistenza, occorre far riferimento ai principi

generali dell’ordinamento giuridico dello stato (art. 12 delle Preleggi).

Su tale argomento, si sono aggiunte anche raccomandazioni del

Comitato Nazionale per la Bioetica che, nel sottolineare che la morte

dell’uomo non può essere considerata solo un mero evento biologico, ma un

momento in cui deve essere individuata la radice della dignità dell’essere

umano, considera criticamente ogni ipotesi di accanimento terapeutico che,

volendo prolungare il processo irreversibile del morire, si pone contro la

consapevolezza del soggetto alla propria invincibile caducità304.

Forti perplessità sono state manifestate con riguardo alle già

menzionate direttive anticipate di trattamento, quando esse assumono la

forma di veri e propri testamenti di vita.

Sul punto appare necessario fare una breve digressione, per poter

capire non solo le attuali spinte legislative305, ma anche se vi siano i margini

Si rammenta, a tal proposito, che l’ordinamento giuridico italiano fonda l’accertamento della morte di un soggetto sulla perdita irreversibile e completa della funzionalità dell’encefalo, che equivale alla morte dell’intero organismo. Così L. 29 dicembre 1993, n. 578, “Norme per l’accertamento e la certificazione della morte”. 304 L’accanimento terapeutico è definito come un trattamento di documentata inefficacia, in relazione all’obiettivo, al quale si aggiunge la presenza di un rischio elevato per il paziente di ulteriori sofferenze, in un contesto nel quale la eccezionalità dei mezzi adoperati risulta evidentemente sproporzionata rispetto ai risultati che si vogliono raggiungere. La inutilità di tale pratica si rinviene anche nell’art. 14 del Codice italiano di deontologia medica, che definisce l’accanimento terapeutico come: “….ostinazione in trattamenti di cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato o un miglioramento della qualità della vita”. 305 Di cui si ricorda la proposta di legge Pisapia, che auspica l’introduzione nel nostro ordinamento della Interruzione volontaria della sopravvivenza o quella dei senatori Ripamonti e Del Pennino, intitolata “Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”, che riproduce un analogo disegno di legge presentato da Luigi Manconi ancora due legislature fa.

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per individuare, nell’amministrazione di sostegno, un adeguato strumento di

applicazione in tal senso orientato.

Il testamento biologico o testamento di vita è un documento con il

quale il testatore affida al medico indicazioni anticipate di trattamento, nel

caso infausto in cui in futuro possa perdere la capacità di

autodeterminazione, a causa di una malattia acuta o degenerativa

assolutamente invalidante, soprattutto da un punto di vista mentale, o di un

incidente eccezionalmente grave.

In astratto, il testamento di vita potrebbe limitarsi a contenere

indicazioni, perché il medico massimizzi gli sforzi di salvaguardia della vita

di chi lo ha sottoscritto; ma si tratterebbe evidentemente di indicazioni che

non farebbero altro che confermare il dovere deontologico e giuridico del

medico, di operare sempre e comunque per la salvezza del paziente. In realtà,

“la redazione di un testamento biologico è auspicato da e per coloro che,

prefigurandosi ipotesi tragiche come quelle descritte, ritengono che in

situazioni patologiche estreme, sia un bene per gli uomini morire, anziché

continuare a vivere”306.

A prescindere dalle possibili implicazioni di carattere morale su tale

argomento, che porterebbero ad approfondimenti anche di natura filosofica e

religiosa, ciò su cui si deve argomentare è quale valenza giuridica porre a

tali direttive anticipate 307 , tenendo conto che il nostro ordinamento

considera la vita un bene indisponibile.

306 Così, F. D’AGOSTINO, Il testamento biologico, in www.abuondiritto.it, 2007, p. 1.

307 Sulla complessa problematica dei testamenti di vita, sugli aspetti a favore e a contrario, cfr.: BARNI M., Sull’alterna «fortuna» della nozione di eutanasia, in Rivista italiana di medicina legale, 1985, VII, p. 424 ss.; BARNI M., DELL’OSSO G., MARTINI P., Aspetti medico-legali cit., p. 42; CATTORINI P., Malato terminale, una carta dell’autodeterminazione, in Rivista di teologia morale, 1992, 96, p. 517 ss.; DE MARSICO A., La lotta contro il dolore e la legge penale, in Archivio penale, 1971, I, p. 217 ss.;

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In Olanda, è intervenuta la depenalizzazione dell’eutanasia, avendo la

legislazione di tale Paese qualificato tale pratica come forma di rispetto

verso la volontà del malato, autorizzando il medico a “sopprimere” il

paziente, addirittura anche in assenza di un esplicito testamento biologico,

nel presupposto che la tutela del miglior interesse del malato (in concreto:

quello di poter essere ucciso) possa essere affidata non solo al soggetto

direttamente interessato, ma anche a chi, come il medico, si prende cura di

lui. Si giungerebbe, quindi, alla legittimazione dell’eutanasia, che

comporterebbe la paradossale sua legalizzazione, anche senza esplicita e

consapevole richiesta!

“Si delinea una particolare visione del mondo, quella in base alla

quale solo la vita sana è da ritenere autentica vita umana, pienamente

degna di rispetto e protezione; quella per la quale la malattia è da

combattere socialmente solo quando sia curabile o sia comunque

socialmente tollerabile. Quando la malattia diventa dunque non curabile, va

abolita, sopprimendo semplicemente la vita stessa del malato. Così non si

giunge soltanto ad una riformulazione della idea stessa di medicina, che

diventa mera prassi formale e neutrale di manipolazione del corpo umano,

ma ancor più si addiviene ad una riformulazione antropologia della idea di

vita. Ormai da millenni si considera che la vita non ha un valore (come le

cose), ma essa é in sé stessa principio di ogni valore. Una vita che non sia

valore in sé e per sé, ma che riceva valore da una determinazione di volontà, RESCIGNO P., Il testamento biologico, in La questione dei trapianti tra etica, diritto, economia (Atti del convegno tenutosi all’Università di Padova, 3-4 novembre 1995), Giuffrè, Milano, 1997, p. 63 e ss.; SANTUOSSO A., A proposito di «living will» e di «advances directives»: note per il dibattito, in Politica del diritto, 1990, p. 477 ss.; SPAGNOLO A. G., Carta dell’autodeterminazione: il punto di vista dell’etica cattolica, in Notizie di Politeia, 1991, 27, p. 7 ss.; Id., Il bene del paziente e i limiti del testamento di vita, in Orizzonte medico, 1996, 6, pp. 6-7; STARACE A., GAMBARDELLA B., Osservazioni sulla proposta di legge Fortuna e altri, in Vivere, un diritto o un dovere?, op cit., p. 103.

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è altresì una vita che può, per una determinazione di volontà ad essa

contraria, perdere ogni valore ed essere ridotta allo statuto ontologico della

materia bruta”308.

In Italia, il Prof. Umberto Veronesi, oncologo ed ex ministro della

sanità, ha proposto la istituzione di un Registro nazionale per il Testamento

biologico, gestito proprio dalla sua fondazione; e, in attesa di una legge ad

hoc, la stessa Fondazione Veronesi ha diffuso on line un “modulo per il

testamento biologico”, mettendo ogni cittadino in condizione di esprimere la

propria volontà anticipata.

Tale dichiarazione, redatta sotto forma di scrittura privata, recante

l’intestazione “Testamento Biologico”, deve essere debitamente redatta e

sottoscritta di proprio pugno in due copie dal firmatario, che deve fare

consegna di una copia al suo fiduciario ed una terza copia può

eventualmente essere depositata presso un notaio o un legale di fiducia.

L’intestatario, dopo aver inserito in modo completo e preciso le sue

generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, domicilio, documento di

identità), deve dichiarare di essere pienamente consapevole e totalmente

libero nella scelta e “chiede espressamente di non essere sottoposto al alcun

trattamento terapeutico” in caso di “malattia o lesione traumatica cerebrale

irreversibile e invalidante”; in caso di “malattia che mi costringa a

trattamenti permanenti con macchine e sistemi artificiali che impediscano

una normale vita di relazione”.

In tale dichiarazione di volontà è prevista la nomina di un

“rappresentante fiduciario”, del quale deve essere indicato il nome,

cognome, il luogo e la data di nascita, la residenza e il recapito telefonico.

Successivamente a tale indicazione, è prevista la condizione in base alla

308 F. D’AGOSTINO, Il testamento biologico, op. cit., p.2

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quale “le presenti volontà potranno essere da me revocate o modificate in

ogni momento con successiva/e dichiarazione/i”, in relazione alla quale, la

data apposta al documento diviene un elemento indispensabile per la validità

della dichiarazione. Dopo l’indicazione del luogo e della data, sono previste

le firme dell’intestatario e del fiduciario, con l’indicazione dei rispettivi

documenti di identità.

Tale scrittura in caso di utilizzo, avrebbe grande valore come

“documentato rifiuto di persona capace” di un trattamento medico non

desiderato e, nel caso di sopravvenuta incapacità, il medico sarebbe

deontologicamente obbligato ad evitare ogni accanimento terapeutico, in

quanto deve tener conto “delle precedenti volontà del paziente”.

Ancora una volta il consenso del soggetto malato, validamente

manifestato, rappresenta la condizione indispensabile, perché una qualsiasi

cura o terapia possa ritenersi legittima.

La mancanza di consenso ad una cura vitale, che determina un

“prolungamento” artificiale della vita, è stato considerato anche dalla

giurisprudenza che, dopo aver definito il principio del consenso informato

“una grande conquista civile delle società culturalmente evolute”, ha

precisato che “esso permette alla persona, in un’epoca in cui le continue

conquiste e novità scientifiche nel campo della medicina consentono di

prolungare artificialmente la vita, lasciando completamente nelle mani dei

medici la decisione di come e quando effettuare artificialmente tale

prolungamento, con sempre nuove tecnologie, di decidere autonomamente e

consapevolmente se effettuare o meno un determinato trattamento sanitario

e di riappropriarsi della decisione sul se e a quali cure sottoporsi”309.

309 Così il TRIBUNALE DI ROMA, nell’ordinanza del 15-16.12.2006, a seguito del ricorso presentato dagli avvocati di Piergiorgio Welby, con il quale si chiedeva la legittimità del rifiuto delle cure vitali al prolungamento della sua vita. In tale drammatica circostanza,

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Pertanto, se nel nostro ordinamento è affermato il principio della

libertà e della volontarietà delle cure, in base agli artt. 13 e 32 della

Costituzione, nulla è stabilito perché il paziente possa rifiutare ovvero

impedire un eventuale accanimento terapeutico310 per mantenerlo in vita.

La sopra richiamata ordinanza del Tribunale di Roma ha tuttavia

ricordato che “Il divieto di accanimento terapeutico è un principio

solidamente basato sui principi costituzionali di tutela della dignità della

persona, previsto dal codice deontologico medico 311 , dal Comitato

nazionale per la Bioetica, dai trattati internazionali, in particolare dalla

Convenzione europea”; ed inoltre aggiunge che nel nostro ordinamento

“manca una definizione condivisa ed accettata dei concetti di futilità del

trattamento, di quando l’insistere con trattamenti di sostegno vitale sia

ingiustificato o sproporzionato”.

Ma, nell’ambito delle valutazioni riguardanti il principio di

autodeterminazione e del valore da attribuire alle eventuali direttive

benché il Consiglio Superiore di Sanità non avesse qualificato il trattamento di cure che mantenevano in vita Welby come accanimento terapeutico, rilevò che il malato lo considerava tale per le sofferenze che pativa, ritenendo inutili e indesiderate le cure ostinatamente applicate dai medici. 310 Secondo l’ordinanza appena citata del Tribunale di Roma, manca nel nostro ordinamento una “previsione normativa degli elementi concreti, di natura fattuale e scientifica, di una delimitazione giuridica di ciò che va considerato accanimento terapeutico”. Generalmente per accanimento terapeutico si intende la applicazione di terapie volte al mantenimento in vita di pazienti affetti da patologie inguaribili. La COMMISSIONE DI GIUSTIZIA DEL SENATO, nell’attuale legislatura, ha proposto una descrizione di accanimento terapeutico, definendolo come “ogni trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico funzionale”. 311 Il nuovo Codice italiano di deontologia medica del 2006 ha ribadito con maggiore forza il divieto dell’accanimento terapeutico e, mantenendo la centralità dell’ammalato nella procedura clinica ed assistenziale, ha stabilito, all’art. 16 che “Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente, laddove espresse, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”.

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anticipate, vi sono tre articoli del Codice italiano di deontologia medica del

2006 che non possono essere trascurati:

- l’art. 17, infatti, dispone che “Il medico, anche su richiesta del malato,

non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocare la

morte”, stabilendo in modo inequivocabile il rifiuto della pratica della

eutanasia;

- l’art. 35 che, con riguardo alla acquisizione del consenso, stabilisce:

“in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il

medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non

essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della

persona; il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti

del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della

qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto

delle precedenti volontà del paziente”, sottolineando l’importanza della

manifestazione del consenso ovvero del rifiuto del paziente, anche

espresso in un tempo precedente;

- l’art. 39 che, dedicato alla “assistenza al malato a prognosi infausta”,

impone: “In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o

pervenute alla fase terminale, il medico deve improntare la sua opera ad

atti e comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psicofisiche

e fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto

possibile, della qualità della vita e della dignità della persona”.

Emerge dunque un’evidente aspirazione al rispetto della dignità

umana e alla volontà del paziente, da ricercare anche in un momento

precedente la sua eventuale incapacità, sia pur nella convinzione (ribadita

nell’art. 17) che l’opera del medico non debba essere finalizzata a

provocarne la morte.

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L’assenza di una specifica regolamentazione giuridica

dell’accanimento terapeutico (vera lacuna del nostro ordinamento) e del

testamento biologico lascia alla discrezionalità dei medici la prosecuzione o

meno delle cure di prolungamento artificiale della vita312, i quali possono

avere convinzioni diverse e, conseguentemente, assumere comportamenti

differenti, influenzati non solo dalla deontologia medica, ma anche dalle

proprie convinzioni morali e religiose; di contro, il riconoscimento del

diritto alla autodeterminazione delle terapie “vitali”, tanto alle persone

capaci giuridicamente, quanto alle persone che dovessero perdere la capacità

di disporre, attraverso il testamento biologico, darebbe maggiore certezza

sia alla esatta applicazione della volontà del paziente, che al rispetto della

sua dignità.

Una definizione normativa di accanimento terapeutico, inoltre,

consentirebbe a tutti di scegliere con maggiore chiarezza cosa fare alla fine

della propria esistenza, dato che “il progresso della scienza e della tecnica

sempre più spesso ci condurrà ad assistere a casi drammatici e a difficili

scelte, di rilievo etico”313; in realtà, “il concetto di accanimento terapeutico

è quanto mai soggettivo: ognuno di noi vuole naturalmente essere curato e

assistito in ogni fase della propria vita e ne ha il diritto, ma allo stesso

tempo, ognuno sa cosa, nella sofferenza più grave, è disposto a tollerare e

ad accettare, in termini di cure, per la propria salute e per la propria

vita”314.

312 La prassi attuale è che, in caso di incapacità dell’interessato, siano i parenti più prossimi a consentire al trattamento. 313 Così ammette IGNAZIO MARINO, presidente della Commissione Sanità di Palazzo Madama il 13 febbraio 2007 e riportate in un interessante articolo da G. MOMMO, Il testamento biologico come estensione del consenso informato, in www.altalex.it, 17.09.2007, p.7. 314 Così IGNAZIO MARINO in op ult. cit., p.6.

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La proposta legislativa di testamento biologico, se per alcuni è

apparsa urgente e necessaria, per altri è stata ritenuta pericolosa, in quanto

potrebbe dare luogo alla introduzione implicita della eutanasia, che ne

sarebbe, così, legittimata.

“Il testamento biologico sarebbe dunque una estensione del consenso

informato ed è quindi l’opposto dell’eutanasia”315, dato che il suo scopo è

quello di definire esattamente a quali cure sottoporsi, evitando, in condizioni

di particolare gravità, soltanto l’accanimento terapeutico.

3. Come operare, allora, nei casi concreti, considerando che la

necessità di una regolamentazione giuridica è avvertita tanto dai giuristi,

quanto dai medici e dalla società intera?

Fino a quando non vi sarà chiarezza legislativa, importante è il

metodo utilizzato dal giurista per individuare un principio di

compatibilità316 con il rispetto alla Costituzione italiana, portatrice di valori

fondamentali, quali il principio di autodeterminazione, nonché quello della

tutela della salute, ma anche della libertà di ogni individuo alla scelta dei

trattamenti sanitari cui sottoporsi, unitamente al rispetto dei principi sanciti

dal diritto comunitario ed internazionale, primo fra tutti quello della vita.

A tal proposito, si ricorda che proprio la Convenzione di Oviedo del

1997, ratificata dall’Italia nel 2001, non ha avuto ancora attuazione

legislativa interna, potendo già essa stessa introdurre punti di riferimento

normativi certi, in tema di testamento biologico.

315 Così U. VERONESI, Direttore scientifico dell’Istituto europeo oncologico di Milano, come meglio precisa in VERONESI U., DE TILLA M., Nessuno deve scegliere per noi, Sperling & Kupler, 2007, 316 Così si esprime P. PERLINGIERI, nella sua lezione magistrale tenuta a Taranto, il 7 dicembre 2007, a chiusura del Corso di Diritto privato della II Facoltà di Giurisprudenza.

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Ma, quand’anche vi fosse la attuazione della previsione ratificata, il

giurista non potrebbe non utilizzare il cd. bilanciamento tra norme di pari

rango, che espressamente tutelano beni/valori meritevoli tutti di tutela

giuridica, così da adeguare la norma al singolo caso concreto, attraverso la

applicazione del “principio di differenziazione”317 il quale, portando con sé

la fine del dogmatismo, possa costruire una teoria valida a risolvere

situazioni pratiche, che non contrasti, però, con i principi costituzionali.

Nonostante la pluralità di fonti, il giurista deve individuare una

univocità di indirizzo, quando al centro dell’attenzione dell’ordinamento

giuridico interno ed esterno vi sia l’uomo; con la depatrimonializzazione del

sistema giuridico vigente, lo jus civile torna ad essere diritto del cittadino e

dunque dell’uomo, cercando di risolvere il caso concreto, attraverso

l’applicazione delle norme che, pur provenienti da fonti diverse, si

modellano in base alle circostanze del fatto concreto.

Vi è, dunque, un varco verso il solidarismo che inevitabilmente porta

al “sostegno”, all’aiuto, alla cura del soggetto debole, attraverso l’apertura

del diritto all’uomo e ai suoi bisogni.

L’istituto dell’amministrazione di sostegno, proprio per la sua

duttilità, appare porsi all’ordinamento, quale idoneo strumento giuridico,

con il quale si potrebbe superare il problema del vuoto normativo in ordine

al testamento biologico e, tenendo conto di situazioni realmente accadute318,

fornire la griglia giuridica per rendere un testamento di vita valido ed

efficace.

Vi è stato, ad esempio, chi ha inoltrato richiesta al Comitato Etico

della struttura ospedaliera, nella quale doveva sottoporsi a delicato 317 Continua con questa espressione P. PERLINGIERI, nella lezione sopra citata. 318 Come nell’Ospedale di Genova, dove uno psicologo doveva sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico, e ricordato anche in G. MOMMO, Il testamento biologico, come estensione del consenso informato, op. ult. cit, p. 9.

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intervento chirurgico, per far aggiungere al consenso informato una clausola

nella quale si esprimeva il rifiuto all’accanimento terapeutico, per il caso in

cui venisse a mancare la possibilità di esprimere la volontà e si verificasse

una condizione clinica di guarigione impossibile, con un grado di sofferenze

elevatissimo.

Analizzando il modello del testamento biologico pubblicato on line

dalla Fondazione Veronesi, sembra si possa osservare che si sia voluto in

qualche modo rifarsi al testamento olografo (ex art. 602 c.c.319.) unitamente

a quella della istituzione di un esecutore testamentario (ex. art. 700 c.c. e

ss.320), dato che il compito del “rappresentante fiduciario” è proprio quello

di curare l’esatto adempimento delle volontà del testatore, il quale, nel caso

specifico, pur non essendo passato a miglior vita, non ha più la coscienza

per esprimere autonomamente il consenso ovvero il rifiuto immediato a

specifici trattamenti sanitari, avendo quindi precedentemente manifestato le

319 Art. 602 C.C.. TESTAMENTO OLOGRAFO. “Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore. La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la persona del testatore. La data deve contenere l'indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento.” 320 Art. 700, comma 1, C.C. FACOLTÀ DI NOMINA E DI SOSTITUZIONE. “Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari e, per il caso che alcuni o tutti non vogliano o non possano accettare, altro o altri in loro sostituzione.” Art. 703 C.C. FUNZIONI DELL'ESECUTORE TESTAMENTARIO. “L'esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto A tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte. Il possesso non può durare più di un anno dalla dichiarazione di accettazione, salvo che l'autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, sentiti gli eredi, ne prolunghi la durata, che non potrà mai superare un altro anno. L'esecutore deve amministrare come un buon padre di famiglia e può compiere tutti gli atti di gestione occorrenti. Quando è necessario alienare beni dell'eredità, ne chiede l'autorizzazione all'autorità giudiziaria, la quale provvede sentiti gli eredi. Qualsiasi atto dell'esecutore testamentario non pregiudica il diritto del chiamato a rinunziare all'eredità o ad accettarla col beneficio d'inventario.”

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sue volontà. Questo documentato rifiuto diverrebbe per il medico vincolante

nella terapia da applicare, dato che egli, deontologicamente, non potrebbe

non tener conto delle “precedenti volontà del paziente”321.

Ancora una volta, viene in evidenza il rapporto diritto-dovere e,

laddove l’ordinamento riconosca il diritto ad autodeterminarsi nell’ambito

della libera scelta di un trattamento sanitario cui sottoporsi, nasce, nello

stesso momento, il dovere di rispettare un ordo ordinatus e garantire che

tale pretesa venga soddisfatta.

4. Maggiore garanzia, però, potrebbe essere fornita

dall’amministratore di sostegno, in quanto proprio per la sua natura,

rappresenta una figura giuridicamente riconosciuta che, in base alle

determinazioni ricevute dal “beneficiario”, debba svolgere compiti ben

precisi, espressi tanto dal soggetto debole, quanto dal Giudice tutelare, la cui

presenza, per la sua terzietà, meglio assicurerebbe non solo la attuazione

delle volontà del futuro ed eventuale soggetto incapace, ma, anche e

soprattutto, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico

vigente322.

321 In base al già operante Codice italiano di deontologia medica del 2006, nonché alla Convenzione di Oviedo del 1997, già precedentemente citati. 322 È del 22 giugno 2007 la sentenza del TRIBUNALE DI FORLÌ, SEZ. DIST. DI CESENA con la quale si riconosce il diritto ad ottenere il risarcimento del danno biologico, patrimoniale, morale ed esistenziale ad un paziente sottoposto ad intervento chirurgico di aneurisma cerebrale multiplo, che ha provocato l’insorgenza di gravissimi postumi permanenti, non già per l’intervento chirurgico in sé, bensì per una totale assenza di adeguata informazione sui rischi dell’intervento medesimo. Il modulo, inserito nella sua cartella clinica, era assolutamente generico e privo di qualsivoglia riferimento specifico e dettagliato riguardante la sua persona ed l’operazione che doveva subire. “L’obbligazione risarcitoria… se va dunque esclusa con riguardo alle prestazione chirurgica realizzata, va affermata in considerazione del profilo di responsabilità dedotto con riferimento alla esecuzione dell’intervento senza che il consenso ad esso prestato dalla paziente fosse stato preceduto da adeguata informazione in ordine ai rischi sull’operazione….Ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno”. In assenza della “prestazione di un valido

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Sarebbe sufficiente, si insiste, che il legislatore intervenisse, fornendo

la definizione di accanimento terapeutico perché, tenendo conto del vigente

divieto di praticare l’eutanasia323, potrebbe aprirsi la strada alla legittimità

consenso” il trattamento “appare avvenuto in violazione dell’art.32 comma secondo della Costituzione (…) quanto dell’art.13 della Costituzione (…) e dell’art. 33 della legge 23 dicembre 1979, n. 833 (….) donde la lesione giuridica del paziente inerente alla salute e all’integrità fisica.…Del tutto inidoneo a comprovare una adeguata attività di informazione e la sottoscrizione da parte della paziente del modulo di consenso inserito nella cartella clinica. Tale modulo infatti è un prestampato privo di ogni riferimento non solo ai rischi e alle conseguenze, ma neppure alla natura e al tipo di intervento da praticare, non reca l’indicazione del soggetto che avrebbe reso le informazioni, è del tutto generico e senza riferimenti personalizzati”. Tale decisione segue un ormai consolidato orientamento, già pronunciato da CASS. CIV., SEZ. III, 14 marzo 2006, n. 5444, con cui si afferma: “la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, essendo del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell'ingiustizia del danno, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni".

323Nell’ordinamento italiano, nessuna idea sull’eutanasia potrebbe trovare accoglimento, dato che non trova alcun fondamento legittimante nella nostra Carta Costituzionale. Val la pena di ricordare, che in dottrina esistono due orientamenti derivanti dalla quérelle sulla possibilità o meno che la categoria dei diritti cd. inviolabili, tutelati dalla Costituzione, sia chiusa o aperta. Secondo una prima dottrina, attribuire alla clausola dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. un contenuto aperto e indeterminato equivarrebbe a rendere estremamente incerta l’esatta estensione della norma e, perciò stesso, ad aprire la via alle più varie ed arbitrarie esegesi soggettive. I diritti inviolabili dovrebbero essere interpretati, pertanto, come catalogo chiuso riassuntivo delle altre previsioni costituzionali; pur tuttavia una simile lettura non costringerebbe a cristallizzare il contenuto normativo dei diritti inviolabili, dal momento che gli articoli 13 e seguenti potrebbero essere soggetti ad un’interpretazione estensiva ed evolutiva, tale da ricomprendere tutti quelli che vengono comunemente definiti «nuovi diritti», ricostruibili, pertanto, come aspetti o sviluppi di diritti tipizzati ed enumerati in Costituzione. Sul punto, BALDASSARRE A., Diritti inviolabili, in Enciclopedia giuridica, XI, Istit. Enc. Ital., Roma, 1989, p. 18 ss.; BARILE P., Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 54 ss.; MARTINES T., Diritto costituzionale, IX ed., Giuffrè, Milano, 1997, pp. 746-747; MODUGNO F., La tutela dei «nuovi diritti», in Nuovi diritti dell’età tecnologica (Atti del convegno tenutosi a Roma, 5-6 maggio), Giuffrè, Milano, 1991, p. 88 ss.; PACE A., Diritti «fondamentali» al di là della Costituzione?, in Politica del diritto, 1993, 1, p. 3 ss.; Id., Problematica delle libertà costituzionali. Lezioni (parte generale), Cedam, Padova, 1985, p. 3 ss. Una seconda dottrina, invece, ritiene che una lettura chiusa dell’articolo 2 Cost. equivarrebbe ad attribuirgli un significato pleonastico e tautologico, sicché non dovrebbe escludersi l’affermazione di altre posizioni inviolabili oltre quelle disciplinate dalle disposizioni costituzionali, sia integrando eventuali lacune, sia interpretando le evoluzioni

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ed operatività del testamento biologico, attraverso l’istituto

dell’amministrazione di sostegno che, avendo lo scopo di provvedere “alla

cura e agli interessi della persona del beneficiario”, deve tener conto, nello

svolgimento del suo incarico, dei bisogni e delle aspirazioni dell’essere

umano, potendovi ricomprendere ogni attività della vita civile

giuridicamente significativa, come il consenso informato e l’eventuale

rifiuto per determinati trattamenti sanitari.

Senza dimenticare che l’effettività dell’intento di “sostegno” e “cura”

è rafforzata dall’intervento del Giudice tutelare, cui la norma (art. 404 c.c.)

espressamente demanda l’adozione “anche d’ufficio” dei “provvedimenti

urgenti per la cura della persona interessata”, nonché il suo immediato

intervento (ex art. 410 c.c.) “In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi

ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni o le

richieste del beneficiario”.

e gli sviluppi del sentimento di giustizia e della coscienza sociale dei cittadini. Sul punto, cfr. AMATO G., Libertà: involucro del tornaconto o della responsabilità individuale?, in Politica del diritto, 1990, 1, p. 47 ss.; BARBERA A., Articolo 2, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca G., Zanichelli – Soc. Editr. Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1975, p. 84 ss.; CUOCOLO F., Principi di diritto costituzionale, II ed., Giuffrè, Milano, 1999, pp. 347-348; Id., Istituzioni di diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 1983, p. 581 ss.; GROSSI P. F., Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Cedam, Padova, 1972, p. 172; PIZZORUSSO A., Lezioni di diritto costituzionale, Edizioni de «Il Foro Italiano», 1978, p. 97; SPADARO A., Il problema del ‘fondamento’ dei diritti ‘fondamentali’, in Diritto e società, 1991, p. 458 ss. In realtà, come ricorda, LAGROTTA I., Diritto alla vita ed eutanasia nell’ordinamento costituzionale italiano: principi e valori, in estratti del Convegno internazionale “Inizio e fine della persona umana” – Università di Warmia Olstyn, le due posizioni sono meno lontane di quanto non parrebbe in quanto entrambe, alla fine, tendono a ricondurre il “nuovo” diritto a una lettura estensiva di un diritto di libertà già presente nella Carta: la differenza tra le due impostazioni dottrinali rimane solo quella per cui «l’una ugualmente acconsente alla positivizzazione di “nuovi” diritti fondamentali (che, tuttavia, non chiama così…), sempre che se ne dimostri la strutturale connessione coi (o, ad essere ancor più giusti, la filiazione dai) diritti iscritti dallo stesso Costituente (…); l’altra impostazione, potrebbe, volendo, portare ancora più in là alla creazione di diritti autenticamente nuovi». A tal proposito, si veda RUGGERI A., La tutela dei diritti fondamentali davanti alle Corti costituzionali, Giappichelli, Torino, 1994, p. 63.

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Tali previsioni sono fortemente garantiste: dell’uomo e di quei

principi fondamentali, costituzionalmente previsti i quali, ogni volta che si

affronta l’argomento delle direttive anticipate di trattamento, si teme

vengano minacciati nella loro applicazione324.

Basti pensare che il Giudice tutelare può intervenire sua sponte, ma

essere invocato anche dal pubblico ministero ovvero dagli altri soggetti di

cui all'art. 416 c.c., come pure dallo stesso beneficiario, il quale svolge un

ruolo attivo sempre e comunque di partecipazione, anche nella fase della sua

assistenza.

È possibile, infatti, revocare o modificare in ogni momento le proprie

determinazioni con una dichiarazione successiva.

Non si dimentichi, inoltre, che il contenuto del decreto325, è molto

rigoroso nella l’indicazione degli atti che l’amministratore di sostegno può

compiere, in nome e per conto del beneficiario, e di quelli che quest’ultimo

può svolgere con l’assistenza dell’amministratore.

324 Una lettura congiunta dell’articolo 2 con l’articolo 32 della Costituzione – laddove impone la «tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo» e vieta la violazione dei «limiti imposti dal rispetto della persona umana» - porta a concludere che la Costituzione intende tutelare contro qualunque aggressione (MAGRO M. B., Etica laica e tutela della vita umana: riflessioni sul principio di laicità in diritto penale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1994, p. 1426) il diritto alla vita in quanto tale, nonostante la malattia e le sofferenze .SCALISI A., Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, Giuffrè, Milano, 1990, p. 115. Non esisterebbe e non potrebbe esistere, di conseguenza, un diritto costituzionalmente garantito all’eutanasia, né attiva né passiva, risultando «difficile accomunare dal punto di vista della tutela costituzionale il diritto dell’uomo di vivere e quello opposto a morire» FAGIOLO V., Eutanasia e Costituzione, in Vivere, un diritto o un dovere? Problematiche dell’eutanasia, a cura di Gianfelice G., Leonardi E., Paris G., Rieti 23/26 ottobre 1986, ed. B.I.G., p. 49 ss.; NICOTRA GUERRERA I., «Vita» e sistema dei valori nella Costituzione, Giuffrè, Milano, 1997, p. 147.

325 Disciplinato dall’art. 405, comma 5, c.c. e già espressamente indicato nel suo contenuto nel capitolo precedente.

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La novella introdotta con la legge n. 6/2004 intende fornire un

sistema di controllo più articolato e flessibile, presentandosi come un

contenitore aperto di indistinte forme di tutela, con l’intento di comporre

due esigenze primarie di garanzia, che si individuano nella libertà e nella

protezione della persona.

Per tale ragione, il pericolo di legittimare, sia pur implicitamente la

pratica dell’eutanasia, è del tutto scongiurato.

Infatti, il principio personalistico fondato dalla Costituzione

rappresenta il più forte ostacolo al riconoscimento del cd. diritto di morire

ma, nello stesso tempo, costituisce la base sulla quale si può configurare il

diritto di rifiutare le cure quando queste consistano nell’accanimento

terapeutico.

La salute é intesa dall’art. 32 Cost. sia come “fondamentale diritto

dell’individuo”, sia come “interesse della collettività”; tali aspetti possono

entrare in conflitto tra loro, favorendo il sorgere del quesito se debba

prevalere l’uno o l’altro, il diritto del singolo o l’interesse della collettività,

la salute come diritto o la salute come dovere326.

326 È la CORTE COSTITUZIONALE, nella sentenza 26 luglio 1979, n. 88, in Giurisprudenza costituzionale, 1979, I, p. 656 ss., che per prima espressamente asserisce che «la salute è tutelata dall’art. 32 Cost. non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come un diritto primario e assoluto pienamente operante anche nei rapporti tra privati». E ancora per una chiarificazione del significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento al caso in cui la sua dimensione individuale confligga con quella collettiva si veda, tra le altre, CORTE COST., 18 aprile 1996, n. 118, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, p. 1006 ss.

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Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale327, l’art. 32,

comma 2, della Costituzione 328 sancisce un principio chiaro ed

inequivocabile; la norma, infatti, letta congiuntamente all’articolo 13,

comma 1, Cost. 329 , viene quasi unanimemente interpretata, anche dalla

dottrina 330 , nel senso che i trattamenti sanitari possono essere

327 Nella giurisprudenza di legittimità CORTE DI CASSAZIONE, 6 dicembre 1968 e, più recentemente, CORTE DI CASSAZIONE, 15 gennaio 1997, n. 364, in Il Foro italiano, 1997, I, pp. 771-781, in cui si legge: «Dall’autolegittimazione dell’attività medica (…) non può trarsi, tuttavia, la convinzione che il medico possa, di norma e al di fuori di taluni casi eccezionali (allorché il paziente non sia in grado, per le sue condizioni, di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni di cui all’art. 54), intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. La necessità del consenso – immune da vizi e, ove comporti atti di disposizione del proprio corpo, non contrario all’ordine pubblico e al buon costume – si evince, in generale, dall’art. 13 Cost. (…) [e dall’] art. 32, co. 2, Cost.». 328 Per cui «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e in nessun caso la legge può violare «i limiti imposti dal rispetto della persona umana». 329 Che, come già ricordato, garantisce l’inviolabilità della libertà personale.

330 ANTONINI A., Il diritto del malato a conoscere la propria malattia: profili penalistici, in La giustizia penale, 1985, I, p. 265; BARILE P., Diritti dell’uomo, op. cit., p. 385 ss.; BARNI M., DELL’OSSO G., MARTINI P., Aspetti medico-legali e riflessi deontologici del diritto a morire, in Rivista italiana di medicina legale, 1981, p. 29 ss.; CARAVITA B., La disciplina costituzionale della salute, in Diritto e società, 1994, p. 55 ss.; CARLASSARE L., L’art. 32 Cost. e il suo significato, in L’amministrazione sanitaria (Atti del convegno celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione), a cura di Alessi R., Neri Pozza, Vicenza, 1967, p. 105 ss.; CHIEFFI L., Ricerca scientifica e tutela della persona. Bioetica e garanzie costituzionali, E.S.I., Napoli, 1993, p. 149; Id., Trattamenti immunitari e rispetto della persona, in Politica del diritto, 1994, p. 591 ss.; CRISAFULLI V., In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Diritto e società, 1982, p. 557 ss.; D’AGOSTINO F., Criteri.., op cit., p. 54 ss. ; DALLA TORRE G., Bioetica e diritto, op. cit., p. 75 ss.; D’ALOIA A., Diritto di morire? cit., p. 611; FALZEA A., Diritto alla vita, diritto alla morte, in I diritti dell’uomo nell’ambito della medicina legale, Giuffrè, Milano, 1982; GEMMA G., Vita cit., p. 686 ss.; GRASSO G.G., Riflessioni in tema di eutanasia, in Quaderni di giustizia, 1986, 60, pp. 70-71; LEGA C., Il “diritto di morire con dignità» e l’eutanasia, in La giurisprudenza italiana, 1987, IV, p. 474; LUCIANI M., Il diritto costituzionale alla salute, in Diritto e società, 1980, 4, pp. 769-779; ID., Salute. I) Diritto alla salute. Diritto costituzionale, in Enciclopedia giuridica, Istit. Enc. Ital., Roma, 1991, vol. XXVII, p. 9 ss.; MANTOVANI F., Aspetti giuridici dell’eutanasia, in Rivista Italiana di diritto e procedura penale, 1988, p. 448 ss.; MODUGNO F., Trattamenti sanitari «non obbligatori» e Costituzione, in Diritto e società, 1982, p. 303 ss.; MONTICELLI L., Eutanasia, diritto penale e principio di legalità, in L’indice penale, 1998, p. 477 ss.; MORTATI C., La tutela della salute nella Costituzione italiana, in Raccolta di scritti,

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legittimamente imposti, pur sempre nel rispetto della persona umana 331,

esclusivamente nei casi eccezionali e tassativi in cui vi sia una legge a

prevederlo332 e ciò sia necessario per tutelare interessi pubblici – in primis la

salute degli altri consociati – non altrimenti garantibili (oltre che nei casi in

cui ricorra la scriminante dello “stato di necessità”)333.

In tutti gli altri casi, la Costituzione dà la prevalenza assoluta al

principio di autodeterminazione individuale, talché sarebbe illegittimo

Giuffrè, Milano, 1972, vol. III, p. 435 ss.; NERI D., Eutanasia, op.cit., p. 102; SANTUOSSO A., Dalla salute pubblica all’autodeterminazione: il percorso del diritto alla salute, in Medicina e diritto,op. cit., p. 92 ss.; SCALISI A., Il valore della persona, op. cit., p. 123 ss.; STELLA F., Il problema, op. cit., p. 1018; VACCHIANO M., Eutanasia e diritto a non soffrire, in Quaderni di giustizia, 1983, 64, p. 39 ss.; VINCENTI AMATO D., Articolo 32, comma 2, in Commentario della Costituzione, op. cit., p. 174 ss.; ID., Tutela della salute e libertà individuale, in Giurisprudenza costituzionale, 1982, p. 2462 ss.

331 Sul carattere rinforzato della riserva di legge dell’art. 32, co. 2, Cost., cfr. CHIEFFI L., Trattamenti immunitari e rispetto della persona, in Politica del diritto, 1997, p. 601; MODUGNO F., Trattamenti cit., p. 313; PRISCO S., Fedeltà alla Repubblica e obiezione di coscienza. Una riflessione sullo Stato laico, Jovene, Napoli, 1986, p. 189

332 BARILE P., Diritti dell’uomo cit., p. 385 ss., sottolinea come la norma costituzionale – parlando di obbligo ad un «determinato trattamento sanitario» - consenta alla legge soltanto di imporre singoli trattamenti sanitari, non anche un generale obbligo di cura. L’eccezionalità dell’imposizione di trattamenti sanitari trova ulteriore conferma dalla lettera dell’art. 32 Cost. [«nessuno può essere obbligato (…) se non per (…)»], che presuppone che la regola generale sia la disponibilità del diritto alla salute.

333 VACCHIANO M., Intervento, in Vivere, un diritto o un dovere? op cit., p. 39, rileva che, in ogni caso, mai la scriminante dello stato di necessità si potrebbe sostituire al consenso dell’avente diritto, in quanto ciò sarebbe «in aperta disapplicazione del principio programmatico sancito dall’art. 32 Cost., il quale viceversa lo privilegia, subordinando ad espressa previsione legislativa la possibilità di sottoporre l’individuo a trattamento sanitario». Contra CARPEGGIANI G., Intervento, ivi, p. 136 ss.; EUSEBI L., Tra indisponibilità della vita e miti di radicale disponibilità della medicina: il nodo dell’eutanasia, in Quando morire? Bioetica e diritto nel dibattito sull’eutanasia, a cura di Viafora C., Fondazione Lanza, Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1996, p. 243; PESANTE M., Corpo umano. (atti di disposizione), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1962, X, p. 659; SCALISI A., Il valore della persona, op. cit., p. 125, i quali ritengono che in presenza della necessità di salvare una vita, l’attività del medico sia perfettamente lecita, e anzi dovuta, a prescindere e finanche in contrasto con la volontà del paziente.

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qualsiasi trattamento sanitario applicato in assenza o contro il consenso

dell’avente diritto, ancorché per salvaguardare il suo benessere334.

Può considerarsi, invece, costituzionalmente legittimo il c.d. divieto

di accanimento terapeutico che, pur di prolungare la vita ad ogni costo,

porta il paziente a sopportare sofferenze ingiustificate335. Tale divieto è pure

ricordato dal Codice italiano di deontologia medica che, all’art. 14,

stabilisce che il medico deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti da cui

non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o

un miglioramento della qualità della vita: quindi, trattamenti “futili, inutili,

sproporzionati”, destinati ostinatamente e irragionevolmente al solo

mantenimento artificiale della vita, che esulano da ogni concetto di cura e di

pratica della medicina336.

334 Così, ricorda LAGROTTA I., Diritto alla vita ed eutanasia nell’ordinamento costituzionale italiano: principi e valori, op. cit, p.6.

335 Sul punto sono interessanti le conclusioni raggiunte dal COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 14 luglio 1995, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, pagg. 8 e ss.: “L’assoluta diversità di ordine che intercorre tra evento morboso e morte rende ragione del perché l’accanimento, volendo prolungare indebitamente il processo irreversibile del morire, sia riprovevole. Il CNB auspica che si diffonda sempre più nella coscienza civile, e in particolare in quella dei medici, la consapevolezza che l’astensione dall’accanimento terapeutico assume un carattere doveroso”. Si ricorda inoltre che il Comitato Nazionale di Bioetica, Definizione e accertamento della morte dell’uomo, 15 febbraio 1991, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, pagg. 13 e ss, ha così concluso:”la morte avviene quando l’organismo cessa di “essere un tutto”, mentre il processo del morire termina quando “tutto l’organismo” è giunto alla completa necrosi. (…) oggi sappiamo che esiste un centro coordinatore ed unificante nell’organismo umano: il cervello. La sua totale necrosi segna il passaggio “dall’essere uomo vivente” alla morte. In Italia, la disciplina che regolamenta la morte dell’uomo, la fa coincidere, infatti, “con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”; così L. 28 dicembre 1993, n. 578.

336 L’idea di non accanirsi in trattamenti “futili” è presente anche nell’esperienza anglosassone e pure nelle prescrizioni della riforma del CODICE DELLA SALUTE FRANCESE, introdotte dalla LEGGE 2005- 370 del 22 aprile 2005, sulla sospensione e la non erogazione, a titolo di “ostinazione irragionevole”, di trattamenti “inutili, sproporzionati o non aventi altro effetto che il solo mantenimento artificiale della vita”.

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Il nostro ordinamento promuove l’uomo in tutti gli ambiti,

riconoscendone il valore, con le sue componenti solidaristico – sociali di

sviluppo, di rispetto e di dignità337 e lo stesso legislatore è sottoposto ad un

sistema di principi supremi e valori costituzionali, al cui vertice non può che

essere collocato il valore della vita umana, come ciò che legittima la stessa

esistenza di un ordinamento costituzionale, teso alla promozione e allo

sviluppo della dignità della persona338.

Contrastano con tale impostazione recenti interventi della

giurisprudenza di merito, che descrivono il concetto di vita esclusivamente

“come possibilità di relazione e di autorealizzazione, in riferimento alla

personalità e alla soggettività dell'uomo”339.

Tale scelta interpretativa porta inevitabilmente a considerare che ogni

terapia ravvisa il suo limite invalicabile nella perdita irreversibile della

coscienza, segnando così il momento in cui cessa definitivamente una “vita

dignitosa”. Contro quella parte della dottrina che ritiene comunque

337 Per un excursus su personalismo, utilitarismo e indisponibilità della vita, MANTOVANI F., in Digesto delle discipline penalistiche, IV, UTET, 1990, p. 424 ss.

338 CALABRÒ G.P., L’eutanasia nella prospettiva dello stato costituzionale tra principi e valori, in Medicina e Morale, 1999, 5, pagg. 885 – 902 Sui ruoli rispettivamente della Costituzione e del legislatore ordinario nella disciplina delle questioni di bioetica, si vedano CHIEFFI L., D’AGOSTINO F., LUCIANI M., MANTOVANI F., RODOTÀ S., ROMBOLI R., in Il Forum: Bioetica e Costituzione, in Rivista di diritto costituzionale, 1996, pp. 297-307. Sulla insindacabilità della libera scelta del legislatore ove i valori costituzionali non siano interpretabili in modo univoco v. ROMBOLI R., La «relatività» di valori costituzionali per gli atti di disposizione del proprio corpo, in Politica del diritto, 1991, p. 579 ss.: «In presenza di valori costituzionali invocabili in un senso o nell’altro, la Corte costituzionale tende a ritirarsi ed a lasciare che a scegliere sia il Parlamento, (…) rifugiandosi nella insindacabile discrezionalità del Parlamento, di fronte a precise scelte attraverso le quali quest’ultimo ha deciso a quale tra i diversi interessi in gioco, costituzionalmente tutelati, dare la prevalenza». 339 CORTE D’APPELLO DI MILANO, decreto 31 dicembre 1999.

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prevalente il principio della sacralità della vita, si arriverebbe a individuare

nella Carta costituzionale un rilievo qualitativo della esistenza umana.

Pertanto, distinguendo l’ipotesi di rifiuto di accanimento terapeutico,

da quella di eutanasia 340 , non può quest’ultima, alla luce del dettato

costituzionale, considerarsi legittima, come deve ritenersi illecita ogni forma

di eutanasia eugenetica e di eutanasia su neonati malformati, in quanto non

tiene conto della tutela di tutti i viventi e della loro dignità riconosciuta

dall’ordinamento vigente.

Il Codice Civile italiano prevede espressamente la nomina di un

tutore in tutti quei casi in cui un soggetto debole, specificatamente

individuato dalla norma341, abbia bisogno di un ausilio nell’esercizio della

340 Come precisamente distingue SALERNO G. M., Diritti della persona, Il contributo esterno, in Guida al diritto, 3 novembre 2007, n. 43, si intende per “Eutanasia attiva, il comportamento attivo posto in essere per provocare il decesso anticipato di una persona malata, anche motivato dallo scopo di evitare le sofferenze derivanti da una patologia ormai destinata irreversibilmente a esiti infausti; per eutanasia passiva, il comportamento omissivo consistente nel sospendere o interrompere la prestazione di cure ovvero l’impiego di quei mezzi tecnici che consentono la permanenza in vita di una persona che si trova in uno stato patologico ormai irreversibile; per suicidio assistito, il reato commesso da chi determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione; per omicidio del consenziente, il reato commesso da chi cagiona la morte di un uomo, con il consenso dello stesso; per accanimento terapeutico, i trattamenti da cui non si possa fondatamente ottenere n beneficio per la salute del malato ovvero un miglioramento della qualità e delle condizioni di vita”. In Italia, tutti i progetti di legge attualmente pendenti in materia sono: a) Atto Camera n. 1242, intitolato “Disposizioni in materia di interruzione volontaria della sopravvivenza”; b) Atto Camera n. 2974, intitolato “Disposizioni in materia di legalizzazione dell’eutanasia”; c) Atto Camera n. 3132, intitolato “Norme in materia di eutanasia”; d) Atto Senato n. 2758, intitolato “Norme per la depenalizzazione dell’eutanasia”; hanno in comune la volontà di introdurre l’uccisione diretta e volontaria di un paziente terminale in condizioni di grave sofferenza e su richiesta.

341 Art. 424 C:C: TUTELA DELL'INTERDETTO E CURATELA DELL'INABILITATO. “Le disposizioni sulla tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti e alla curatela degli inabilitati. Le stesse disposizioni si applicano rispettivamente anche nei casi di nomina del tutore provvisorio dell'interdicendo e del curatore provvisorio dell'inabilitando a norma dell'articolo 419. Per l'interdicendo non si nomina il protutore provvisorio. Nella scelta

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propria capacità di agire 342 e, di recente istituzione, la nomina di un

amministratore di sostegno, per tutti quei soggetti deboli, non distintamente

indicati, che abbiano, pur tuttavia, la necessità di affidare ad un soggetto

terzo, “la cura” di se stessi e dei propri interessi.

L’idea innanzi prospettata, in base alla quale l’amministratore di

sostegno possa svolgere tra i compiti a lui affidati dal “beneficiario”, la

prestazione di un consenso ovvero di un rifiuto, relativo ad un trattamento

sanitario specifico, dallo stesso precedentemente manifestato, trova conforto

nella recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I Civ., 4 – 16 ottobre

2007. Questa, infatti, nel pronunciarsi sul ricorso proposto per ottenere

l’autorizzazione a interrompere un trattamento sanitario non costituente in

sé, oggettivamente, una forma di accanimento terapeutico, ha stabilito due

principi importanti:

1. quello secondo cui il Giudice può determinare tale interruzione

soltanto in presenza delle seguenti circostanze concorrenti: “a) la

condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata

clinicamente come irreversibile, senza alcuna minima possibilità,

secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di

recupero della coscienza e della capacità di percezione; b) sia

univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del

del tutore dell'interdetto e del curatore dell'inabilitato il giudice tutelare individua di preferenza la persona più idonea all'incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati nell'articolo 408”. 342 Con la sentenza 18 dicembre 1989, n. 5652 della SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE che, in tema di interdizione, ha affermato che può verificarsi l'ipotesi di assoluta necessità di sostituzione della volontà del soggetto con quella della persona nominata tutore, pure in assenza di patrimoni da proteggere. Ciò avviene nel caso del soggetto "la cui sopravvivenza è messa in pericolo da un suo rifiuto (determinato da infermità psichica) ad interventi esterni di assistenza quali il ricovero in luogo sicuro e salubre od anche il ricovero in ospedale" per trattamenti sanitari. Il ricorso all'interdizione è dunque giustificato in vista dell'esigenza di sostituire il soggetto deputato a esprimere la volontà in ordine al trattamento proposto.

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paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi,

culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le

decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo

consenso alla continuazione del trattamento. Ove l’uno o l’altro

presupposto non sussista, deve essere negata l’autorizzazione,

perché allora va data incondizionata prevalenza al diritto alla vita,

indipendentemente dalla percezione, che altri possano avere, della

qualità della vita stessa”;

2. quello in base al quale il tutore può presentare tale istanza al Giudice

tutelare343.

Tale convincimento è senza dubbio significativo soprattutto se si ha

riguardo alle ragioni che hanno sotteso la motivazione della sentenza. La

Corte di Cassazione ha ricordato che, “In caso di incapacità del paziente, la

doverosità medica trova il proprio fondamento legittimante nei principi

costituzionali di ispirazione solidaristica, che consentono ed impongono

l’effettuazione di quegli interventi urgenti che risultino nel miglior interesse

terapeutico del paziente. E, tuttavia, anche in siffatte evenienze, superata

l’urgenza dell’intervento derivante dallo stato di necessità, l’istanza

personalistica alla base del principio di parità di trattamento tra gli

individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongono di ricreare il

dualismo dei soggetti nel processo di elaborazione della decisione medica:

tra medico, che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità

terapeutiche, e paziente che, attraverso il legale rappresentante, possa

accettare o rifiutare i trattamenti prospettati. Centrale, in questa direzione,

è la disposizione dell’art. 357 cod. civ., la quale, letta in connessione con

343 Nel caso concreto, giudicato dalla sentenza sopra richiamata, si trattava di una ragazza interdetta, in cui il tutore ha presentato ricorso principale, cui ha aderito altresì il curatore speciale nominato dal Presidente del Tribunale di Lecco.

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l’art. 424 cod. civ., prevede che “il tutore ha la cura della persona”

dell’interdetto, così investendo il tutore della legittima posizione di soggetto

interlocutore dei medici nel decidere sui trattamenti sanitari da praticare in

favore degli incapaci. Poteri di cura del disabile spettano altresì alla

persona che sia stata nominata amministratore di sostegno (artt. 404 e ss.

cod. civ., introdotti dalla legge 9 gennaio 2004, n.6) dovendo il decreto di

nomina contenere l’indicazione degli atti che questa è legittimata a

compiere a tutela degli interessi di natura anche personale del beneficiario

(art. 405,quarto comma cod. civ.)”344.

La Corte ricorda che è soprattutto il tessuto normativo vigente che

introduce nell’ordinamento significative disposizioni sulla rappresentanza

legale, in relazione alle cure e ai trattamenti sanitari. Secondo l’art. 4 del D.

Lgs., 24 giugno 2003, n. 211 (Attuazione della Direttiva 2001/20/CE

relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle

sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico), la sperimentazione

clinica degli adulti incapaci che non hanno dato o non hanno rifiutato il loro

consenso informato prima che insorgesse l’incapacità, è possibile a

condizione, tra l’altro, che “sia stato ottenuto il consenso informato del

344 Nella motivazione della sentenza sopra indicata, si richiama una pronuncia della stessa CORTE DI CASSAZIONE, SEZ., I CIVILE, 18 dicembre 1989, n. 5652, la quale ha statuito che, “in tema di interdizione, l’incapacità a provvedere ai propri interessi, di cui all’art. 414 c.c., va riguardata anche sotto il profilo della protezione degli interessi non patrimoniali, potendosi avere ipotesi di assoluta necessità di sostituzione della volontà del soggetto con quella della persona nominata tutore pure in assenza di patrimoni da proteggere. Ciò avviene, nel caso del soggetto “la cui sopravvivenza è messa in pericolo da un suo rifiuto (determinato da infermità psichica) ad interventi esterni di assistenza quali il ricovero in luogo sicuro e salubre od anche il ricovero in ospedale” per trattamenti sanitari: qui il ricorso all’(allora unico istituto dell’) interdizione è giustificato in vista dell’esigenza di sostituire il soggetto deputato a esprimere la volontà in ordine al trattamento proposto. E sempre nella medesima direzione, possono ricordarsi le prime applicazioni dei giudici di merito con riguardo al limitrofo istituto dell’amministratore di sostegno, talora utilizzato, in campo medico – sanitario, per assecondare l’esercizio dell’autonomia e consentire la manifestazione di una volontà autentica là dove lo stato di decadimento cognitivo impedisca di esprimere un consenso realmente consapevole”.

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legale rappresentante”: un consenso, prosegue la norma, che “deve

rappresentare la presunta volontà del soggetto”.

Una norma, altrettanto orientata, è l’art. 13 della legge 22 maggio

1978, n. 194 345 , sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione

volontaria della gravidanza che, disciplinando il caso della donna interdetta

per infermità di mente, dispone che la richiesta di interruzione volontaria

della gravidanza, sia entro i primi novanta giorni che trascorso tale periodo,

può essere presentata, oltre che dalla donna personalmente, anche dal tutore;

che nel caso di richiesta avanzata dall’interdetta deve essere sentito il parere

del tutore; che la richiesta formulata dal tutore deve essere confermata dalla

donna.

Più direttamente, l’art. 6 della Convenzione sui Diritti dell’uomo e

sulla biomedicina346 prevede che ˝Lorsque, selon la loi, un majeur n’a pas,

en raison d’un handicap mental, d’une malarie ou pour un motif similare, la

capacité de consentir à une intervention, celle –ci ne peut être effectuée

sans l’autorisation de son représentant, d’une autorité ou d’une personne

ou instance désignée par la loi˝, precisando che ˝une intervention ne peut

être effectuée sur une personne n’ayant pas la capacité de consentir, que

pour son bénefice direct˝. E, come evidenzia il rapporto esplicativo alla

Convenzione, quando utilizza l’espressione “pour un motif similare”, il

citato art. 6 si riferisce alle situazioni in cui, ad esempio, il paziente versi in

stato comatoso, stato in cui è incapace di formulare i suoi desideri e di

comunicarli.

Benché la Convenzione di Oviedo non sia stata ancora ratificata347

dallo Stato italiano, rappresentando dunque un documento privo di efficacia 345 Pubblicata nella G.U. 22 maggio 1978, n. 140. 346 Rubricato ‘‘Protecion Des Personnes n’ayant la capacité de consentir’’. 347 Già si è detto che l’Italia, pur avendone autorizzato la ratifica con la L. 28 marzo 2001, n. 145, non vi ha ancora provveduto.

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nel nostro ordinamento, essa svolge pur sempre una funzione ausiliaria sul

piano interpretativo, dato che può essere utilizzata nella interpretazione di

norme interne, al fine di darne una lettura quanto più conforme

all’ordinamento, soccombendo quando si confronterà con norme interne

contrarie348.

5. Avendo accertato che tra i doveri di cura della persona, posti in

capo al tutore ovvero all’amministratore di sostegno, rientra quello di

prestare il consenso informato al trattamento medico, avente come

destinatario la persona in stato di incapacità, è necessario stabilire i limiti

del suo intervento.

Nella motivazione della Corte di Cassazione, Sez. I civile, 4 – 16

ottobre 2007, si legge che “Il carattere personalissimo del diritto alla salute

dell’incapace comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza

legale non trasferisce sul tutore, il quale è investito di una funzione di

diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della

persona in stato di totale e permanente incoscienza”. La Suprema Corte

precisa che la rappresentanza del tutore, nel momento del consentire al

trattamento medico o del dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla

persona dell’incapace, è sottoposta a due condizioni: a)- egli deve,

innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace e, b)- nella ricerca

del suo miglior interesse, “deve decidere non “al posto” dell’incapace né

“per” l’incapace, ma “con” l’incapace, ricostruendo la sua presunta

348 A tal proposito, si ricorda che la CORTE COSTITUZIONALE, nn.46,47,48 e 49 del 2005, nell’ammettere le richieste di referendum su alcune norme della legge 19 febbraio 2004, n. 40, concernente la procreazione medicalmente assistita, ha puntualizzato che l’eventuale vuoto conseguente al referendum non si sarebbe posto in alcun modo in contrasto con i principi posti dalla Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, recepiti nel nostro ordinamento con la L. 28 marzo 2001, n. 145; con ciò, implicitamente confermando che i principi da essa posti fanno già parte del sistema e che da essi non si può prescindere.:

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volontà, tenendo conto dei desideri espressi prima della perdita della

coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo

stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue

convinzioni etiche, religiose, culturali, filosofiche”349.

Entrambi i vincoli all’espletamento dell’esercizio del potere

rappresentativo del tutore ovvero dell’amministratore di sostegno, trovano

nell’art. 6 della Convenzione di Oviedo e nell’art. 5 del D. Lgs. 211/2003,

validi riferimenti normativi, i quali, rispettivamente, impongono l’uno,di

correlare al “bénéfice direct” dell’interessato, la scelta terapeutica effettuata

dal rappresentante, l’altro, di far corrispondere il consenso alla

sperimentazione clinica del rappresentante legale, alla presunta volontà

dell’adulto capace.

Pur non sussistendo nel nostro ordinamento il vincolo del precedente

giurisprudenziale, le sentenze cui si è fatto riferimento, ammettendo la

possibilità, a determinate condizioni, che il giudice possa autorizzare il

349 Precedenti nel panorama giurisprudenziale internazionale si rinvengono: CORTE SUPREMA DEL NEW JERSEY, nella sentenza 31 marzo 1976, adotta la dottrina del “substituted judgement test”, in base alla quale, colui che decide in vece di un paziente incapace, deve orientarsi tenendo conto del personale sistema di vita del paziente. Anche la CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI nella sentenza del 24 giugno 1990, statuisce che la Costituzione degli USA non proibisce allo Stato del Missouri di stabilire “a procedural safeguard tu assure that the action of surrogate conforma as best it may to the wishes expressed by the patient while competent”. Il BUNDESGERICHTSHOF, nella sentenza del 17 marzo 2003, afferma due principi: il primo, in base al quale se un paziente non è capace di prestare il consenso e la sua malattia ha iniziato un decorso mortale irreversibile, devono essere evitate misure atte a prolungargli la vita o a mantenerlo in vita qualora tali cure siano contrarie alla sua volontà espressa in precedenza sotto forma di cosiddetta “disposizione del paziente”; il secondo, in base al quale, se non è possibile accertare la chiara volontà del paziente, si può valutare l’ammissibilità i tali misure, secondo la presunta volontà del paziente, la quale deve essere identificata, di volta in volta, anche sulla base delle decisioni del paziente stesso in merito alla sua vita, ai suoi valori e alle sue convinzioni. L’HOUSE OF LORDS, nel caso Bland, nella sentenza del 4 febbraio 1993, utilizzando la tecnica del “best interest”,stabilisce che, “in assenza di trattamenti autenticamente curativi e data la impossibilità di recupero della coscienza, è contrario al miglior interesse del paziente protrarre la nutrizione e l’idratazione artificiali, ritenute trattamenti invasivi ingiustificati della sua sfera corporea”.

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tutore ovvero l’amministratore di sostegno, ad ottenere l’interruzione delle

pratiche mediche350, ampliano la sfera del giuridicamente lecito, essendo

questo, sempre e comunque, il risultato di un rigoroso studio esegetico delle

norme costituzionali e sopranazionali, anche laddove manchino specifiche

disposizioni legislative interne ovvero quelle esistenti risultino generiche,

lacunose, insufficienti o contraddittorie.

Il Giudice, perciò, è chiamato a decidere non già perché ordini la

sospensione di un determinato trattamento sanitario, bensì per esprimere una

forma di controllo di legittimità della scelta nell’interesse dell’incapace.

Naturalmente, la possibilità di ricostruire la volontà del paziente,

attraverso prove chiare, univoche e convincenti, far risalire l’istanza del

tutore ovvero dell’amministratore di sostegno alla “voce” del paziente, circa

“l’idea di dignità della persona”, che sarebbe stata propria dello stesso,

appare difficile, quasi una diabolica probatio.

Sembrerebbe piuttosto legittimo, invece, ritenere che, le più recenti

pronunce di merito e della Suprema Corte aprano la strada al

riconoscimento delle “dichiarazioni di volontà anticipate”, mediante le

quali, una persona capace e consapevole, opportunamente informata,

intenda manifestare per iscritto il proprio consenso a farsi sottoporre o meno

a trattamenti sanitari, in relazione al verificarsi di un successivo stato di

incapacità o comunque di incoscienza, considerato presumibilmente

irreversibile.

Attribuire direttamente efficacia giuridica ad un atto di tal fatta, al

quale l’ordinamento attuale non riconosce alcun valore vincolante nei

confronti dei terzi e, quindi, anche dell’autorità sanitaria appare

problematico. 350 Senza che il medico possa essere perseguito per il reato di omicidio del consenziente, sussistendo la scriminante dell’adempimento del dovere, ex art. 51 del Codice Penale.

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L’amministrazione di sostegno potrebbe, tuttavia, risolvere l’impasse,

attraverso il meccanismo previsto espressamente dalla sua legge istitutiva,

che consente di dare attuazione ai compiti espressamente stabiliti dal

“beneficiario”, sotto il controllo diretto e costante del Giudice tutelare.

Tale istituto, posto a garanzia della effettiva “cura” del soggetto

debole risulterebbe il più appropriato, tra gli strumenti presenti nel nostro

ordinamento, non solo perché si adegua più facilmente a indistinte richieste

di tutela ad personam, ma anche perché garantisce, in modo rigoroso, la

attuazione del reale convincimento del beneficiario in ordine a determinate e

precise situazioni, espressamente previste; della loro realizzazione, infine, si

prenderà cura l’amministratore, quand’anche queste risultino in contrasto

con le proprie convinzioni, purché risultino costituzionalmente legittime,

rispettando il principio di autodeterminazione del soggetto e della sua

dignità, dato che, “nello svolgimento dei suoi compiti, l'amministratore di

sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”

(art. 410 c.c.) .

Pare dunque aprirsi la strada perché il Legislatore, facendosi

portavoce di un comune sentire, promulghi una legge di riforma del Titolo

XII del Codice Civile, che disciplina, appunto l’istituto sopra richiamato.

Essa dovrebbe sostanzialmente introdurre una norma, con la quale il n. 3)

del comma 5, dell’art. 405 c.c. si amplierebbe di contenuto. Esso, infatti,

prevedendo “l’oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di

sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario”

potrebbe indicare la manifestazione del consenso informato ovvero del

rifiuto a specifici trattamenti sanitari.

Naturalmente dovrebbe distinguersi l’ipotesi del soggetto capace da

quello che capace non é. Al primo, sarebbe consentito dall’ordinamento, la

manifestazione di direttive anticipate di trattamento, a condizione che

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tengano conto dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione351, nelle

quali il soggetto dichiari il suo convincimento, sempre libero e revocabile,

circa determinati trattamenti sanitari, sui quali sia stato accuratamente edotto.

Al secondo, sarebbe riconosciuto il diritto di essere rappresentato da

un soggetto che, avendo riguardo dei suoi bisogni, ma anche della esigenza

di tutela della dignità umana, inscindibile da quella della vita stessa, come

valore costituzionale, vigili sul trattamento sanitario applicato al paziente,

senza che questo violi in alcun modo il rispetto della persona, in

ottemperanza agli artt. 2, 13 e 32 Cost.

Riconoscendo a tale figura un potere di rappresentanza legale, di tipo

privatistico, sarebbe facile riconoscere efficacia giuridica al consenso

ovvero al rifiuto informato, manifestato dal beneficiario, in un momento

precedente la sua malattia, e successivamente affidato ai compiti

dell’amministratore di sostegno. Esso risulterebbe vincolante per i terzi e,

dunque anche per il sanitario che provveda alle terapie mediche, avendo la

certezza di attuare il reale convincimento del paziente, ormai privo di

coscienza.

6. Il paziente che versi in uno stato vegetativo permanente è un

soggetto debole, come tutti quei soggetti che, nella presente riflessione, si

sono voluti indicare quali particolarmente meritevoli di tutela, e, accanto a

loro, ve ne sono molti altri ancora.

Nonostante la condizione di estrema fragilità, però, il soggetto debole

è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, e per tale motivo deve essere

351 Diritto alla vita (art. 2 Cost.), diritto alla autodeterminazione (art. 13 Cost.), diritto alla salute (art. 32 Cost.), il diritto all’integrità fisica (art. 5 c.c., ma anche Capo I, Dignità, Diritto alla integrità della persona, art 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), divieto di morire (art. 2 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo) divieto di eutanasia (art. 2 Cost., art. 5 c.c.).

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rispettato e tutelato nei suoi diritti fondamentali, quali il diritto alla vita, alla

salute, alla integrità fisica, alla autodeterminazione, alla dignità.

La nostra Costituzione, ponendo al centro della sua sistematica il

rispetto e la tutela della persona, sancisce il principio di uguaglianza tra gli

uomini, escludendo in modo assoluto la possibilità di accedere a distinzioni

tra vite degne e non degne di essere vissute, indipendentemente dalla qualità

della vita stessa e dalle percezioni soggettive che di detta qualità si possono

avere.

La tutela dei soggetti deboli appare sempre più richiesta dalla società

e, nel contempo, sempre più riconosciuta, affermata, ricordata dalle

Costituzioni, dalle Convenzioni internazionali, ma anche dalle sentenze, che

segnalano in modo più immediato le pretese di riconoscimento dei diritti,

già solennemente proclamati, e di altri, non ancora espressi in norme vigenti,

ma delle quali si sente l’urgenza e la necessità, aprendo così uno scenario

immenso, nel quale diritti vecchi e nuovi si confrontano, si contrappongono,

si integrano, si accumulano e si aggiornano. Non sempre i nuovi diritti sono

accolti con entusiasmo, pur tuttavia, essi vanno considerati quali

affermazione di principi che sottendono forme nuove dell’esperienza

giuridica.

La ricerca condotta ha consentito di conoscere quanta attenzione il

Legislatore abbia rivolto in favore delle categorie deboli e a percepire

ancora di più quanto tale impegno sia centro di valori.

La dignità di ogni soggetto deriva dall’aver ricevuto la vita, che va

difesa e tutelata sempre, in base ai principi fondamentali della nostra

Costituzione, e non dalla circostanza di essere perfetto. Pur nel rispetto

dell’autodeterminazione, nessuno ha il diritto di stabilire se un difetto fisico

o una malattia sia solo causa di disperazione o possa divenire occasione per

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una esistenza vera, ma certamente non si può prescindere dalla sua

affermata sacralità.

In presenza di un relativismo etico ed un pluralismo culturale, la sfida

è quella di trovare la massima convergenza etica e giuridica, al fine di

elaborare principi fondamentali e criteri efficaci, validi per la loro tutela.

L’istituto dell’amministrazione di sostegno rappresenta un traguardo

significativo nell’ambito della tutela dei soggetti deboli, in quanto, per la

duttilità che lo caratterizza, consente di fornire indistinte forme di tutela, che

si “plasmano” in base alle concrete esigenze del singolo individuo.

Esso è uno strumento importante, che riesce a soddisfare la pretesa

del riconoscimento di un diritto posto in capo ad un soggetto debole e a

garantirne la effettiva soddisfazione. Il suo obiettivo, infatti, è quello di

tener conto delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario il quale, aderendo

all’istituto di volontaria giurisdizione, chiede che un soggetto si prenda

“cura” dei suoi interessi, più personali che patrimoniali, senza per questo

subire forme rigide di incapacità.

Per questo, pur nella sua “leggerezza”, dovuta alla graduazione di

soggettività giuridica che ne deriva, l’istituto è efficace; esso presenta

risvolti di particolare rilevanza, soprattutto per il riconosciuto potere di

intervento dell’amministratore di sostegno, nel momento di esprimere il

consenso o rifiuto informato invicem dell’amministrato.

Si apre dunque la strada al riconoscimento delle direttive anticipate di

trattamento, attraverso il suo impiego, proposto come strumento

giuridicamente operante e adeguato a realizzare il diritto di

autodeterminazione della persona, che oggi richiede all’ordinamento

l’attribuzione di un valore giuridico attraverso il testamento di vita, nel

pieno rispetto dei diritti fondamentali, garantiti dall’ordinamento interno e

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sopranazionale, costituendo la persona e la sua dignità sempre il fine ultimo

di ogni agire umano e giuridico.

Si avverte, altresì, l’esigenza di un intervento legislativo per definire

giuridicamente l’ipotesi di rifiuto di accanimento terapeutico, con ciò

chiarendo la differenza con il concetto di eutanasia, che non può in nessun

modo essere accolta dal nostro ordinamento, se non stravolgendo l’intero

impianto sistematico, ispirato al personalismo e alla solidarietà. E, nel solco

di un orientamento dedicato alla tutela della persona e della originalità della

sua natura, dovrebbe altrettanto ritenersi illecita ogni forma di eutanasia

eugenetica e di eutanasia su neonati malformati, in quanto non tengono

conto della tutela di tutti i viventi e della loro dignità, riconosciuta

dall’ordinamento vigente.

Il possibile conflitto tra amministrato e amministratore sulla liceità

delle richieste formulate nel testamento di vita, riguardanti il consenso

ovvero il rifiuto informato ad un trattamento sanitario specifico, e, dunque,

tra un ordo ordinans e un ordo ordinatus, tra concetto e principio,

troverebbe composizione nel delicato compito svolto dal giudice tutelare

che, facendo fronte alla attuale carenza legislativa, deve ricostruire la regola

di giudizio nel quadro dei principi costituzionali, attraverso una ermeneutica

teleologica.

L’amministrazione di sostegno può davvero costituire un mezzo

attraverso cui tali richieste trovino accoglimento normativo e, anzi, proprio

per le sue caratteristiche e finalità, può mantenere viva “l’idea della

personalità, che fa nascere il rispetto dell’uomo” e, anche quando egli si

appresti al termine della sua esistenza, riesca a porre sempre “davanti agli

occhi, la sublimità della sua natura”352.

352 I. KANT, Critica della Ragion pratica.

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1948;

• Nations Unies, Les Conférences mondiales: Etablir les priorités

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• International Code of Medical Ethics (1949);

• Dichiarazione sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1959;

• Patto internazionale dei diritti civili e politici, del 16 dicembre

1966;

• Convenzione dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1989;

• Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, del 13

dicembre 2007.

Legislazione europea

• Il Codice di Norimberga (1946);

• Codice di Etica medica (1948);

• Carta Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà

fondamentali del 4 novembre 1950;

• Assemblée Parlementaire du Conseil de l’Europe,

Recommandation 934/1982;

• La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina

(Convenzione di Bioetica) del 1996 e sottoscritta ad Oviedo il

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4.03.1997, seguita dal protocollo sulla clonazione (1988) e dal

protocollo relativo al trapianto di organi e di tessuti di origine

umana (2001);

• Carta Europea dei Diritti Fondamentali, Nizza, del 7 dicembre

2000, pubblicata in GUCE 2000/C 364/01;

• Il Trattato di Lisbona, del 13 dicembre 2007.

Raccomandazioni, Direttive e Risoluzioni europee

• Risoluzione sull’ingegneria genetica (934/1982);

• Risoluzione sull’uso degli embrioni e feti umani per finalità

diagnostiche, terapeutiche, scientifiche e commerciali

(1046/1986);

• Consiglio d’Europa, Raccomandazione 1046/1986, n. 5;

• Risoluzione sull’uso degli embrioni e feti umani nella ricerca

scientifica (1100/1989);

• Risoluzioni del 16 marzo 1989 del Parlamento Europeo su

problemi etici e giuridici della manipolazione genetica e della

fecondazione artificiale umana;

• Direttiva europea sulla protezione giuridica delle invenzioni

biotecnologiche (6.07.1998);

• Risoluzioni sulla clonazione (12.03.1997; 15.01.1998; 7.09.2000);

• Risoluzione sulla protezione e la dignità dei malati incurabili e dei

morenti (26.03.2002).

Costituzioni, Codici e Legislazione internazionale

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• Dichiarazione dei Diritti del Massachusetts (1776);

• Dichiarazione dei Diritti dello Stato di Virginia del 12 giugno

1776;

• Codice Civile italiano, del 16 marzo 1942, n. 262 e successive

modificazioni e integrazioni;

• Codice di Procedura Civile, R.D. n. 1443/40 e successive

modificazioni e integrazioni;

• Codice Penale, r.d. 262/42 e successive integrazioni e

modificazioni;

• Codice di Procedura penale D.P.R. n. 447/1988 e successive

modificazioni e integrazioni;

• Costituzione italiana del l’1 gennaio 1948;

• Dichiarazione di Ginevra (1948);

• Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo, 1948.

• Costituzione Germania Federale ,del 23 maggio 1949;

• Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1959;

• Dichiarazione di Helsinki,1964;

• Convenzione americana sui diritti umani del 22.11.1969;

• Costituzione greca, dell’11 giugno 1975;

• Costituzione portoghese, del 2 aprile 1976;

• Costituzione spagnola, del 27 dicembre 1978;

• Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli del 28 giugno

1981;

• Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985;

• Ley 35/1988 de 22 noviembre sobretécnicas de riprodiccion

assistita spagnola;

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• Human Fertilisation and Embrioly Act dell’Inghilterra del 1990;

• Comitato Nazionale di Bioetica, Definizione e accertamento della

morte dell’uomo, 15 febbraio 1991, Presidenza del Consiglio dei

Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria;

• Costituzione della Bulgaria (12 luglio 1991);

• Costituzione del Paraguay del 20.6.1992;

• Fortpflanzungsmedizingeset austriaco, 1 luglio 1992;

• Costituzione del Madagascar del 19.8.1992;

• Costituzione slovacca, del 1 settembre 1992;

• Costituzione federale elvetica del 18 aprile 1999;

• Costituzione della Lituania (25.10.1992);

• Costituzione della Bosnia-Erzegovina (acclusa negli accordi di

Dayton del 16 settembre 1995;

• Costituzione polacca, del 2 aprile 1997;

• Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e sulla

biomedicina del 4 aprile 1997;

• Dichiarazione Universale dell’UNESCO sul genoma umano e i

diritti dell’uomo (11.11.1997);

• La Costituzione dell’Ecuador è del 5.6.1998;

• Codice di Deontologia Medica dell’ottobre 1998;

• Codice della salute francese, introdotto dalla Legge 2005- 370 del

22 aprile 2005;

• Codice italiano di deontologia medica del 2006.

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Legislazione speciale italiana

• LEGGE 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della

maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza,

Pubblicata nella Gazz. Uff. 22 maggio 1978, n. 140;

• LEGGE 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio

sanitario nazionale,in Gazz. Uff. 28 dicembre 1978, n. 360, S.O.;

• LEGGE 29 dicembre 1993, n. 578, in Gazz. Uff. 8 gennaio 1994,

n. 5;

• LEGGE 1 aprile 1999, n. 91, Disposizioni in materia di prelievi e

di trapianti di organi e di tessuti, in Gazz. Uff. 15 aprile 1999, n.

87;

• LEGGE 28 marzo 2001, n. 145, in Gazz. Uff. 24 aprile 2001, n.

95;

• LEGGE 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di

procreazione medicalmente assistita, in Gazz. Uff. 24 febbraio

2004, n. 45.

Atti parlamentari

• Atto Camera dei Deputati n. 1242, intitolato “Disposizioni in

materia di interruzione volontaria della sopravvivenza”;

• Atto Camera dei Deputati n. 1242, intitolato “Disposizioni in

materia di interruzione volontaria della sopravvivenza”;

• Atto Camera dei Deputati n. 2974, intitolato “Disposizioni in

materia di legalizzazione dell’eutanasia”;

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• Atto Camera dei Deputati n. 2974, intitolato “Disposizioni in

materia di legalizzazione dell’eutanasia”;

• Atto Camera dei Deputati n. 3132, intitolato “Norme in materia di

eutanasia”;

• Atto Camera dei Deputati n. 3132, intitolato “Norme in materia di

eutanasia”;

• Atto Senato n. 2758, intitolato “Norme per la depenalizzazione

dell’eutanasia”;

• Atto Senato n. 2758, intitolato “Norme per la depenalizzazione

dell’eutanasia”;

• Atto Camera dei Deputati n. 578: modifica dell’art. 1 del codice

civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad

ogni essere umano, 6.6.2001;

• Senato, Atto 133, Riconoscimento della capacità giuridica ad ogni

essere umano. Riforma dell’art. 1 del codice civile, 6.6.2001;

• Atto Camera dei Deputati n. 1050: modifica dell’art. 1 del codice

civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad

ogni essere umano, 26.6.2001.