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Quando YHWH ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempiva di sorriso, la nostra lingua di canti di gioia. Allora si diceva tra le genti: "YHWH ha compiuto grandi cose per loro". Grandi cose ha fatto YHWH per noi: eravamo felici. Sal 126,1-3

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Quando YHWH ricondusse i prigionieri di Sion,

ci sembrava di sognare.

Allora la nostra bocca si riempiva di sorriso,

la nostra lingua di canti di gioia.

Allora si diceva tra le genti: "YHWH ha compiuto grandi cose

per loro".

Grandi cose ha fatto YHWH per noi: eravamo felici.

Sal 126,1-3

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LA PROFEZIA NEL POST-ESILIO Una memoria a più voci

Abbiamo cercato di capire, quest’anno, cosa sia successo dopo l’esilio a

Babilonia, al popolo d’Israele.

Questo periodo storico, quasi sconosciuto alla maggior parte di noi, si è

rivelato importantissimo e molto coinvolgente.

Non c’era più un Regno d’Israele, il tempio era stato distrutto e il

popolo disperso.

Non c’erano più i profeti: come continuare a essere fedeli a Dio e uniti

tra di loro in queste condizioni? Chi avrebbe mantenuto viva la

memoria?

Proprio in questi giorni abbiamo ricordato i 60 anni dallo sbarco in

Normandia e si sono riuniti tutti i Capi di Stato e i veterani della

guerra per “fare memoria” di quel periodo così doloroso per il mondo e,

in questo clima, si cerca di risolvere la crisi ucraina che potrebbe avere

esiti imprevedibili.

Ricordare è sempre importante perché dobbiamo conoscere per capire

e perché tendiamo a dimenticare che la pace e la libertà sono beni

preziosi per i quali tutti i popoli sono pronti a lottare e a pagare prezzi

altissimi, ma quando li hanno conquistati spesso li usano male e a loro

volta tentano di prevaricare sugli altri.

La Bibbia, che ci racconta le vicissitudini del popolo d’Israele che

sembra così lontano nel tempo e nello spazio, in realtà ci siamo accorte

che parla di noi, non solo a noi.

Ci siamo ritrovate nelle vicende di Giona, il profeta che ha paura e

scappa, in Giobbe che si ribella di fronte al dolore che non capisce, in

Rut, la straniera che non si tira indietro di fronte alle difficoltà e

diventerà strumento di salvezza per il popolo che l’ha accolta.

Abbiamo visto che la profezia nasce da dove non ce l’aspettiamo e i

nostri incontri si fanno sempre più coinvolgenti. Le preghiere e le

testimonianze di alcune di noi ci hanno veramente commosse e ci

sentiamo molto unite. Gianna

Questo libretto è la testimonianza di quello che abbiamo vissuto e

voluto raccontare. Gruppo biblico delle donne del giovedì mattina

Parrocchia di San Vito Martire Lentate sul Seveso

Festa di Pentecoste 8 giugno 2014

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MEMORIA del primo incontro: 19 settembre 2013 con Tea Frigerio missionaria saveriana in Brasile

Tema dell’incontro: Nel post-esilio c’è stata la profezia?

Iniziamo un nuovo anno con tanto entusiasmo, molto contente di ritrovarci

e di conoscere nuove amiche.

Tea che quasi tutte conosciamo, dà inizio all’incontro accendendo tre candele.

Compiendo questo gesto dice: “È il Divino che si manifesta come Padre-Madre, Figlio e Spirito Santo; la

Divina Ruah è presente nell’umanità, basta saperla scoprire. Le donne devono

saper realizzare tra di loro una complicità che le aiuti ad entrare, insieme agli

uomini nella storia, per costruire itinerari di pace e solidarietà”.

Dopo il canto dello Shêmá leggiamo, come preghiera, una recente lettera scritta

da quattro suore trappiste che vivono in Siria, si intitola: “Il sangue riempie le

nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore”. Ci siamo soffermate sul dolore

immenso dell’intera popolazione che emergeva dallo scritto. Sofferenza grande

provocata da una guerra fratricida, con tanti morti, feriti, abusi, soprusi! Tutta

una nazione in balìa della decisione dei potenti della terra! Mille domande senza

risposte. L’unica risposta che davano le suore trappiste era: "Continuare ad

avere il coraggio di mantenere viva la speranza perché il Signore è presente ed

è in mezzo a noi”.

Alla fine preghiamo con loro dicendo: “Il Signore è il Dio che stronca le guerre.

Signore grande sei tu e glorioso, mirabile nella tua potenza e invincibile”.

Tea ci introduce al tema di quest’anno

La lettera delle suore trappiste è un’autentica parola profetica.

Noi siamo abituati alla profezia che viene dall’alto, ma nel Post-Esilio

nasce una nuova forma di profezia che scaturisce dal basso. Gli avvenimenti

della storia possono essere letti in vari modi; c’è la lettura che fanno i grandi, i

potenti e c’è la lettura dei piccoli, di coloro che subiscono la storia.

Probabilmente la lettera delle suore siriane sarà letta da pochi, non andrà sui

quotidiani, non verrà diffusa, nessuno conoscerà i loro nomi, né i loro volti. La

profezia arriva da dove non ce lo aspettiamo.

Chiavi di lettura

Quasi tutti i libri biblici del Primo Testamento che noi conosciamo, sono

stati organizzati nel post-esilio. Questo periodo è quasi sconosciuto e poco

studiato; è stato preso in considerazione solo ultimamente, ma è importantissimo.

Se vogliamo conoscere e comprendere il messaggio di Gesù, dobbiamo sapere

cosa è avvenuto nel post-esilio, cioè dopo il ritorno da Babilonia (538 a.C.) fino

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alla nascita di Gesù. La profezia sembra scomparsa, il popolo è solito ripetere:

“Non ci sono più profeti” (Salmo 74,9). Ma la profezia non sparisce, è nascosta!

Tutta la Bibbia è una rilettura dell’evento fondante della storia del popolo

d’Israele che è l’Esodo. Da questa esperienza, nasce nel popolo il bisogno di

costruire una società egualitaria. La profezia nasce nel Nord perché tra le dieci

tribù che risiedono in quel territorio le idee circolano più liberamente. In seguito,

con la caduta di Samaria i profeti del Nord o i loro discepoli, si trasferiscono al

Sud. Monarchia e profezia sono compagne nella storia, la profezia infatti è la

risposta-denuncia alla monarchia, quando il re non si comporta secondo il

progetto di Dio e non è fedele all’Alleanza. Il profeta non agisce mai da solo, è

sempre parte di un gruppo, nascono i cosiddetti “Circoli Profetici”.

Con l’Esilio non c’è più la monarchia, quindi finisce anche la profezia

classica, la quale operava dentro uno Stato ben definito, che credeva in YHWH,

il Dio dell’Esodo. A partire dal post-esilio questa realtà non esiste più, ci sono i

grandi imperi che dominano la Palestina: l’impero persiano con Ciro, quello

greco macedone e l’impero romano, con un breve periodo di indipendenza tra 164

e il 63 a. C. frutto della rivolta dei Maccabei e della dinastia degli Asmonei.

Nel post-esilio non esiste più lo Stato d’Israele ma un’etnia dentro un

grande impero, nel quale sono presenti altri popoli con culti e religioni diverse,

quindi il profeta d’Israele non sa più a chi rivolgersi, non ha più la controparte

diretta.

In questo periodo c’è un progetto di riorganizzazione provocato da queste

domande: “Come continuare ad essere fedeli a YHWH in mezzo alle altre nazioni

dell’impero? Come rimanere legati con i giudei della diaspora?” La Riorganizzazione tenta di rispondere a queste esigenze fondamentali del

popolo. Non intende ristrutturare lo Stato, ma l’etnia giudaica e si desidera unire

coloro che vivono nella Giudea a coloro che vivono nella diaspora: nasce così il

Giudaismo, con il contributo di Esdra e Neemia (400-450 a.C.).

La memoria del Dio dell’Esodo, sembra non esistere più! E’ stato

ricostruito il tempio, con i privilegi della classe sacerdotale, si è ripreso il culto, il

sacrificio. La legge ha definito alcune regole: la circoncisione, il sabato, le feste.

Ci si chiedeva: “Perché la nazione è caduta? Perché noi che siamo il popolo eletto ci

siamo sposati e mischiati con popoli stranieri, per questo Dio ci ha castigato con l’esilio!” YHWH dice “Siate Santi perché Io sono Santo” (Lv 19), per il giudaismo la

santità corrisponde alla purezza, Dio è lontano, è Santo, è separato, perciò anche

il popolo per essere santo deve mantenersi separato, puro. Le unioni miste

vengono espulse dal territorio della Giudea, la legge viene osservata alla lettera:

purezza sui cibi, sulla sessualità, sui malati.

Per i profeti Isaia, Amos e Michea santità significa giustizia: camminare nel

diritto e nella giustizia, amare la solidarietà e seguire Dio nell’Alleanza.

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“Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la

giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Mi 6,8; cfr anche Is 1,17 e

Am 5,24).

La Riorganizzazione perde la memoria del Dio dell’Esodo e dà importanza

alla Legge, al Tempio, alla sacralità.

La profezia non sarà più proclamata come “oracolo di YHWH”, ma come

sapienza che nasce dal basso, in mezzo al popolo

I libri scritti nel post-esilio sono i Libri Sapienziali: Giobbe, Ester, Qoelet, Rut, Giona,

Cantico dei Cantici, inoltre si sono conclusi i libri dei Salmi e dei Proverbi.

I Libri della Sapienza e del Siracide sono più tardivi.

Sintesi del messaggio contenuto nei libri del Primo Testamento.

Torah: Dio parla al suo popolo

Profeti: rispondono alla rivelazione di Dio, a partire dalla fede, si rivolgono al “macro” =

al re.

Sapienziali: rispondono a Dio non partendo dall’alto, ma dall’essere umano che si rivela

attraverso la sofferenza. La storia è letta a partire dal “micro”, dalla casa.

Rut: è un libro di denuncia della legge giudaica, quella che riguarda gli stranieri: due

donne, una Giudea e una Moabita, suocera e nuora, si mettono insieme, si vogliono bene,

creano una relazione armoniosa; Rut lascia tutto per seguire la suocera. Il Libro di Rut

denuncia coloro che danno valore a leggi che privilegiano chi è al potere e

contemporaneamente annuncia che un altro progetto è possibile: partendo dalla casa,

scoprire la presenza di Dio nella vita, nel quotidiano, Dio è presente nelle piccole cose.

Anche noi oggi possiamo fare alleanza unendoci tra noi, per un progetto di vita.

Giona: questo libro denuncia un altro aspetto del Giudaismo. Giona è chiamato ad essere

profeta a Ninive, ma lui scappa. Sulla nave i marinai che sono pagani, dimostrano di avere

più fede di Giona. Quando finalmente il profeta decide di andare a Ninive, pur annunciando

la Parola frettolosamente e nemmeno tanto convinto, gli abitanti si convertono tutti, persino

gli animali. L’unico a non convertirsi è proprio Giona. Quando si arrabbia per la pianta di

ricino che dissecca, Dio gli dice: “Sei più preoccupato per una pianta di ricino che muore,

che non di una intera città che poteva essere distrutta!” Il Libro di Giona ci vuol mostrare il volto di Dio misericordioso e amorevole. In questo periodo la profezia è come un fiume carsico che emerge dalla casa: il Dio

misericordioso dell’Esodo è presente nella casa.

Conclusione dell’incontro

Non dobbiamo fermarci alla sola storia ufficiale, ma cercare la profezia che è

presente nella vita (cfr. Pr 8), risvegliare il Dio presente in noi, nella nostra

esperienza e portare a tutti un annuncio di speranza.

Le premesse per iniziare coraggiosamente questo cammino ci sono, siamo entusiaste,

convinte e desiderose di crescere nell’amicizia e nella conoscenza della Parola.

Auguriamoci “Buon Cammino!”

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MEMORIA del secondo incontro: 3 ottobre 2013 Tema dell’incontro: pensieri - impressioni - proposte dopo l’incontro con Tea

Preghiera iniziale: Pr. 8

Preghiera finale: Rm 15,1-7

Ci accogliamo chiamandoci per nome e dando il benvenuto alle tre amiche nuove in questa

esperienza.

Spieghiamo i segni che saranno con noi durante l’anno:

La bandiera multicolore: rappresenta tutti i popoli indigeni dell’America Latina. Gli

indios sono i più poveri tra i poveri e i più emarginati ed esclusi in tutto il continente

latino americano. La bandiera multicolore ci aiuta a non dimenticare chi è escluso,

emarginato, oppresso anche qui tra noi. I popoli indigeni chiamano la Terra “Madre”

anche questo ci può aiutare ad amare la nostra Terra e a non “ucciderla” con il

nostro comportamento.

Il Fiore di stoffa: realizzato dalle donne di Belem e regalatoci da Tea lo scorso anno.

Anche questo fiore ci accompagnerà tutto l’anno per non dimenticare le donne

vittime di violenze, soprusi, ma anche quelle che hanno la forza di riemergere e di

conquistarsi una nuova dignità.

La luce: esprime la presenza di Dio tra noi, ecco perché iniziamo sempre i nostri

incontri con l’accensione del cero.

Mentre accendiamo il cero, ricordiamo suor M. Francesca, amica di alcune di

noi: in un incontro ci ha fatto fare il Segno di Croce in un modo un po’ speciale,

è stata una bellissima esperienza e vogliamo condividerla insieme.

Ci fermiamo ad ogni gesto per qualche istante, è preferibile avere gli occhi

chiusi:

“Nel nome del Padre” pensiamo al Padre, è un Papà particolare che ci ama

di un amore grande perché siamo suoi figli, è misericordioso, ci riaccoglie

sempre come ha fatto con il figliol prodigo, ci viene a cercare come con la

pecorella smarrita, a volte ci corregge ma ci perdona sempre;

“e del Figlio”, pensiamo di avere Gesù nel cuore che ci guida, è vicino a

noi nel quotidiano, ha condiviso con noi la sua umanità, è sempre presente,

come ci ha detto: “Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”;

“e dello Spirito Santo” che è forza, luce, consolazione, amore;

“Amen”. Se questo segno lo facciamo con fede, avremo la sensazione di

essere abbracciate dalla Trinità.

(Questo è solo un esempio, ognuna di noi potrà fare delle piccole meditazioni, pensando con

la testa al Padre, con il cuore al Figlio, con le spalle = forza, allo Spirito Santo e sentire

così come vive la Trinità nel suo quotidiano).

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Preghiera: Proverbi 8

Il testo ci parla della Sapienza. In tutto il creato c’è l’eco della Sapienza di Dio!

Nella risonanza della preghiera alcuni versetti sono stati ripetuti più volte: “Io, la

Sapienza, possiedo la prudenza e ho la scienza e la riflessione. Temere il Signore è odiare il

male: io detesto la superbia, l’arroganza, la cattiva condotta e la bocca perversa. A me

appartiene il consiglio e il buon senso, io sono l’intelligenza, a me appartiene la potenza”

(Pr 8,12-14). E ancora: “Ora figli ascoltatemi: beati quelli che seguono le mie vie! Ascoltate

l’esortazione e siate saggi, non trascuratela!” (vv 22-23).

Pensieri - impressioni - proposte Questo momento di condivisione è stato bellissimo, ognuno liberamente ha espresso i suoi

pensieri e sentimenti, non è facile sintetizzare, quello che abbiamo cercato di trascrivere non

può esprimere tutta l’atmosfera di comunione e amicizia amorevole che circolava tra noi.

Ursula: purtroppo l’anno scorso, per motivi di salute, ho frequentato poco

il gruppo, ma mi sono sempre sentita accompagnata dalla vostra preghiera,

come se avessi avuto un’altra famiglia che, dall’esterno, mi sosteneva. Ho

sperimentato che il Signore è con noi sempre.

Adele: contemplando insieme la Parola di Dio ci sentiamo in famiglia e più

unite tra noi. La conversione inizia ascoltando la Parola e cercando di

metterla in pratica, come è successo a me ventun anni fa, la mia

conversione è iniziata ascoltando il testo della Sapienza cap.9.

Ernestina: la Parola di Dio è nutrimento per l’anima.

Silvia: è importante condividere! Lo Spirito Santo e la Provvidenza mi

hanno fatto arrivare qui. Ho iniziato due anni fa incontrando i Testimoni di

Geova, dai colloqui avuti con loro è nato in me il desiderio di conoscere

sempre di più le Scritture. Ho fatto ricerche personali, ho letto molto libri,

finché Regina, l’anno scorso, mi ha invitata a partecipare al gruppo del

giovedì. Sono molto contenta di continuare questo percorso di studio e di

ricerca. Vedremo dove il cammino intrapreso mi porterà. Tra noi qui

riunite, si sente il soffio dello Spirito! E’ bello condividere e ascoltare tante

storie di donne, è una ricchezza per tutte.

Mariuccia: l’insegnamento di Tea mi è piaciuto molto, mi ha trasmesso

tanto entusiasmo, tanta gioia e pace.

Carla: Tea è stata diretta e chiara nell’esposizione del tema di quest’anno,

ci ha dato una guida e una traccia che svilupperemo.

Gina: Grazie a tutte. Ora leggo il Primo e il Secondo Testamento con più

entusiasmo e comprensione.

Mariarosa: voglio riuscire a colmare il grande vuoto che ho dentro. Voglio

cercare di trovare risposte alle domande di sempre: “Da dove vengo? Dove

sono diretta? Come posso mettere in pratica la Parola nel mio mondo, nella

mia famiglia, con i miei amici?”

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Ivana: è un percorso che ci aiuta a crescere e non avrà fine. Crescere,

capire per saper contestualizzare la Parola nella nostra vita.

Rosarita: per noi c’è anche un lavoro personale di ricerca, di studio e di

condivisione nei piccoli gruppi. E’ importante il metodo che usiamo perché

ci coinvolge in prima persona e questo ci aiuta molto.

Maria Giulia: chi è qui per la prima volta non deve spaventarsi, non è

importante se non conosce tutte le tappe storiche precedenti al post-esilio.

Lo scopo del nostro stare insieme è scoprire Dio nella nostra vita oggi, alla

luce di un popolo che si faceva le stesse nostre domande, ha avuto la

fortuna di scoprire Dio negli avvenimenti che viveva giorno per giorno. È

da questo popolo che è nato Gesù, la nostra vera guida. Dobbiamo seguire

Gesù e cercare di capire perché ha fatto quelle scelte che l’hanno portato

sulla Croce.

Ursula: Dio non ha mai lasciato solo gli uomini, ha parlato per mezzo dei

profeti.

Silvia: Tea ci ha fatto riconoscere la profezia che nasce dal basso: Dio c’è

ed è presente nelle nostre esperienze quotidiane; nella Bibbia c’è spazio

anche per le storie più semplici. Il libro di Rut ci dice molto sull’amore di

Dio.

Rut e Noemi due donne parlano anche a noi oggi, la loro vita è stata

profezia: e’ importante riportare alla luce questa profezia, riconoscerla nelle

situazioni quotidiane che possono sembrare banali.

Maria Giulia: osserviamo la LINEA del TEMPO per vedere l’epoca storica

che andremo ad approfondire insieme. Nel periodo chiamato

Riorganizzazione la profezia a cui eravamo abituati al tempo della

monarchia e dell’esilio tace. Nasce però “dal di dentro” una sapienza sottile

espressa soprattutto dalle donne, dai piccoli e viene chiamata profezia della

casa. Quest’anno la scopriremo insieme.

Preghiera finale: Rm 15,1-7

Preghiamo il brano ascoltato durante l’Eucaristia della domenica precedente.

Padre Fausto diceva, durante i suoi insegnamenti, che la vera profezia, quella che

si realizza sempre, è la Parola che la Chiesa ci propone nelle liturgie eucaristiche,

perché chi l’ascolta dovrebbe farla sua e realizzarla nella propria vita.

Riusciremo anche noi a diventare “profezia” nella nostra vita?

L’incoraggiamento di San Paolo ai Romani è attuale per tutti, soprattutto in

questo periodo buio: “Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità

dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel

bene, per edificarlo. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: gli

insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me. (vv 1-3).

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San Paolo ci invita poi a tenere viva la nostra speranza e ad accoglierci gli uni gli

altri come Gesù ha accolto noi.

Concludiamo l’incontro pregando insieme il Padre Nostro, dandoci la mano ma lasciando

aperta una breccia per lasciar entrare nella nostra preghiera il mondo intero.

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MEMORIA del terzo incontro: 17 ottobre 2013

Tema dell’incontro: parliamo di donne, di profezia della casa, dell’esodo e dell’esilio

Introduzione

Ci introduce all’incontro Gianna, parlando delle donne del Sud Sudan che sono

sempre in prima linea. Questo paese è il più giovane dell’Africa ed è membro delle Nazioni

Unite. Ha un territorio ricco di foreste e, purtroppo, di petrolio. A differenza del Nord

Sudan, in prevalenza musulmano, il Sud Sudan ha mantenuto religioni animiste, ma con una

considerevole minoranza di cristiani. Questa situazione ha favorito lo scatenarsi di due

sanguinose guerre civili che, se hanno portato nel 2011 all'indipendenza del Sud Sudan,

hanno purtroppo provocato 2 milioni di morti e 4 milioni di profughi. La popolazione non ha

il minimo per vivere. In questa situazione, le donne diventano il motore del cambiamento,

rappresentano il 60% della forza lavoro, anche se analfabetismo e mortalità infantile sono

ancora molto diffusi.

A impegnarsi in prima persona nella più giovane nazione del mondo sono le donne

che s’incontrano e si associano: ci sono molte donne avvocato, presidenti di associazioni

umanitarie che partecipano anche a congressi internazionali e sono capaci di unirsi e di

mediare nelle varie situazioni, in particolare nella ricerca della pace sia all’interno del Sud

Sudan che con le autorità del Nord. Coinvolgere le donne nelle decisioni a ogni livello va a

beneficio dell’intera società. Gli sforzi di queste donne coraggiose si concentrano nella

stesura della nuova Costituzione del loro giovane Paese.

La prima conferenza costituzionale nazionale delle donne sudanesi si è svolta a Juba nel

maggio 2013, lo scopo primario di questa associazione è quello di coinvolgere tutte le donne

di ogni regione del Paese perché possano prendere coscienza del ruolo che hanno

all’interno della società Sud Sudanese, ruolo fondamentale nel trasmettere i valori della

‘casa’. Anche questa e’ la profezia della casa, quella che da sempre e anche oggi nasce

nelle case.

Ripercorriamo brevemente il cammino fatto

Rivediamo insieme la ‘Linea del Tempo’ per imparare a conoscerla meglio e

poterla usare nei vari momenti di studio, soprattutto per contestualizzare

storicamente il testo che ci viene proposto.

La memoria fondante di tutta la storia del Popolo di Dio è l’Esodo, anche il

Secondo Isaia che abbiamo imparato a conoscere lo scorso anno, parla della

speranza in un nuovo esodo, riferendosi alle persone che da Babilonia desiderano

ritornare nella loro terra.

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L’esodo è molto importante: è un’esperienza di schiavitù e di libertà, di

fede. Si fa memoria di un gruppo che si trovava schiavo in Egitto, ha gridato a

Dio.

YHWH ha ascoltato il loro grido e li ha liberati: da schiavi li ha resi liberi perché restassero liberi:

“Il Signore disse ‘Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho sentito

il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze.

Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo

paese, verso un paese bello e spazioso dove scorre latte e miele” (Es 3,7-8).

La schiavitù non sempre viene imposta, ce la possiamo creare anche noi.

Il popolo camminando nel deserto sperimenta che per poter vivere in un

ambiente così inospitale, occorre resistere insieme, nessuno può pensare solo a sé

stesso. La sopravvivenza è strettamente legata ad un modo di vivere solidale,

comunitario, di condivisione, di attenzione gli uni verso gli altri: nel deserto

bisogna adeguare il proprio passo a quello dei vecchi e dei bambini, aspettarsi

quando qualcuno si ammala, la fame, la sete, la paura diventano un problema di

tutti.

Nel deserto il popolo fa un’esperienza comunitaria, è qui che nascono ‘Le

dieci parole’ una regola di vita, per la vita, noi li chiamiamo ‘I Dieci

Comandamenti’.

I Comandamenti si devono leggere non in senso negativo ma positivo.

Per esempio: “Non uccidere ci vuole dire: Difendi la vita”

Come abbiamo visto analizzando la ‘LINEA DEL TEMPO’, il popolo per i primi

secoli ha tramandato la sua storia, le preghiere e la fede attraverso la tradizione

orale; il primo scritto di tutta la Bibbia è il Salmo 104 e risale al 1250 a.C.

Quando il gruppo uscito dall’Egitto, dopo l’esperienza di schiavitù e di

liberazione, ha trovato un posto per vivere insieme ad altri gruppi, la Legge di

Dio è diventata la legge per la vita e le tribù hanno cercato di vivere in modo

solidale.

Nel Libro dei Giudici scopriamo che non è non sempre andata così, il progetto di

Dio veniva spesso tradito dall’avidità degli uomini.

Si ritornava quindi a fare l’esperienza della schiavitù senza essere in Egitto.

I profeti continuamente facevano memoria dell’esodo perché era difficile

vivere in modo solidale, l’egoismo prevaleva e c’era sempre bisogno di una

nuova esperienza di liberazione.

In questo periodo (1200-1100 a.C.) si trovano i primi frammenti scritti: “Il cantico di

Debora - il Codice dell’Alleanza cioè i Dieci Comandamenti - parti del Salmo 19 e 29.

Quest’anno noi parleremo del post-esilio, il tempo della ‘Riorganizzazione’.

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Anche in questo periodo ci dovrebbe essere la memoria fondante dell’esodo, ma

ci sarà sempre qualcuno che vorrà creare nuove schiavitù. Vedremo quali

saranno le voci nella Bibbia che ci aiuteranno a scoprire il progetto di Dio.

Questo periodo che va dalla seconda metà del VI secolo fino a Gesù, è molto

importante perché ci prepara a comprendere meglio il suo insegnamento.

Non sempre le speranze e i desideri dei gruppi presenti nel periodo della

Riorganizzazione sono gli stessi: le speranze degli uni non corrispondono ai

desideri degli altri, come vedremo per gli esiliati che ritornano da Babilonia e per

i gruppi che sono rimasti nel territorio di Giuda e di Samaria.

Nadia ci riporta all’incontro di due giorni con Tea: “Parlando di Maria e delle altre

donne Tea ci ha aperto nuovi orizzonti, abbiamo capito come spesso le donne fanno cose

importantissime e determinanti, ma fanno fatica ad emergere”. Concludiamo la preghiera con la recita del Padre Nostro.

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MEMORIA del quarto incontro: 24 ottobre 2013

Tema dell’incontro: Don Italo ci introduce ai testi di Esdra e Neemia

Un grazie speciale a Don Italo per la sua disponibilità, per il tempo che ci ha dedicato e per

il materiale che ha preparato per noi, sul quale potremo lavorare per avvicinarci, su basi

solide e chiare, ai cambiamenti del post-esilio (sesto e quinto secolo), periodo poco

conosciuto ma importantissimo per capire poi il messaggio di Gesù.

Intervento di don Italo

Introduzione e commento al Salmo 136 (137)

Nel VI secolo a.C., Israele sta vivendo un periodo storico negativo. E’ il

secolo del Deutero-Isaia e di altri profeti; si vive l’esperienza della deportazione

in Babilonia per una parte del popolo. L’esilio infatti non riguarda tutti, ma solo

la classe dirigente, coloro che hanno molti beni e tutto il gruppo emergente che

può portare, oltre ai beni materiali, anche arte, cultura e ricchezza

imprenditoriale.

Restano in Israele le famiglie più umili e povere; sono tutti disorientati, non

hanno più guide sicure, la loro identità si va sgretolando, si mescolano con

popolazioni straniere. Non esiste più il popolo di Israele!

Per Esdra e Neemia non è molto importante riorganizzare il popolo, ma la

riedificazione del tempio e tutto l’apparato liturgico. Il tempio è un riferimento

importante anche per il popolo perché richiama alla fedeltà alla legge di Dio,

purtroppo tutto sarà supportato da fattori economici e interessi personali da parte

della classe sacerdotale e dirigente.

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Preghiera: Salmo 136 (137)

Don Italo ci propone questo salmo che esprime lamento e tristezza per il

dramma che sta vivendo il popolo ebraico. Dà voce alla desolazione di chi è stato

deportato; in queste famiglie rimane la nostalgia della terra e della loro identità.

E’ un salmo molto triste, se la prende con gli Edomiti “beato chi ti eliminerà”(vv 8-

9). In Babilonia viene chiesto ai deportati, gente colta e preparata, di cantare le

loro belle canzoni, di suonare le cetre, ma loro non possono cantare, le cetre

rimangono inutilizzate appese ai salici, la loro disperazione è troppo grande,

possono solo piangere; ma esprime anche sentimenti di grande speranza: “Se mi

dimentico di te Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra; mi si attacchi la lingua al

palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia

gioia” (vv 5-6).

Don Italo ripercorre brevemente il periodo antecedente il post-esilio

Durante il periodo della monarchia con i tre re più importanti per Israele:

Saul, Davide, Salomone (1030-931 a.C.), il popolo era unito. Dopo circa 3000

anni, re Davide, nonostante i gravi peccati da lui commessi, è ancora oggi molto

considerato dagli ebrei ‘il prediletto da Dio’. Salomone, il re sapiente, ha dato

splendore politico e culturale al suo regno, in seguito si è contaminato con molte

donne straniere anche per motivi politici e di espansione del territorio. Alla sua

morte le tribù si dividono, si formano due regni, si susseguono molti re di minore

importanza, non esiste più coalizione tra il popolo. Avviene un primo esilio a

Ninive, in Assiria (ottavo secolo). In queste condizioni, meno di due secoli dopo, il

paese diventa preda facile dei babilonesi che occupano Gerusalemme e deportano

parte della popolazione a Babilonia. L’esilio dura circa quarant’anni.

Nel 539 a.C. i persiani, comandati dal re Ciro, invadono Babilonia e agli

ebrei, con un editto di Ciro, viene concesso di ritornare nella propria terra. La

gente rimasta a Gerusalemme non accoglie con entusiasmo gli esiliati che

ritornano, nascono molti conflitti per l’occupazione della terra.

Viene proposta la ricostruzione del tempio ma il popolo non è interessato a

questo progetto. Il tempio, con molte difficoltà, viene ricostruito anche se in

forma più ridotta rispetto a quello di Salomone. La ricostruzione non è stata

voluta dal popolo, ma dalla volontà di un gruppo di persone, non molto

consistente, chiamato “resto di Israele”. Esdra, sacerdote e scriba, fa parte di

questo gruppo, ricostruisce la classe sacerdotale, riunisce l’èlite del popolo

d’Israele e tutta la classe abbiente: persone più interessate a difendere i propri

interessi personali ed economici e alle offerte del tempio, che di suscitare e

conservare la fede in YHWH nella popolazione e occuparsi degli indigenti.

Anche Neemia, coppiere alla corte del re, fa ritorno a Gerusalemme per occuparsi

della ricostruzione.

13

Nell’anno 70 d.C. il tempio viene distrutto definitivamente, rimane un

‘muro’, che oggi viene identificato come il “muro del pianto” luogo sacro dove gli

ebrei vanno a pregare.

Il periodo delle dodici tribù d’Israele è molto lontano, esperienza bella ma che

non si ripeterà più.

Il Re Ciro, è stato chiamato, nella Bibbia, ‘eletto da Dio’ perché non ha

oppresso molto il popolo ma lo ha lasciato abbastanza libero, anche se, con la sua

intelligenza, lo ha fatto per dare consistenza al proprio impero e difendere i

propri interessi.

Nel quarto secolo cade l’impero persiano, e inizia il periodo ellenistico,

seguito da quello romano.

Il progetto di Esdra e Neemia resta forte solo nelle persone integraliste, le quali

sono più interessate a difendere e sostenere i loro privilegi che essere guida per il

popolo e condurlo alla fede in YHWH.

Esdra e Neemia

Don Italo, leggendo la sua relazione, sottolinea alcuni punti:

I testi di Esdra e Neemia sono l’unica fonte storica che permette di

ricostruire la vita d’Israele nell’epoca persiana (539-333 a.C.)

I riferimenti importanti sono il Tempio e la Legge

La fedeltà alla Legge = la Torah è fondamentale

È stato obbligato l’annullamento dei matrimoni misti, le mogli dovevano

essere rigorosamente ebree; le donne straniere portavano le loro divinità e

una religiosità diversa, perciò non potevano rimanere in Israele. Un

problema molto difficile da risolvere: ripudiare le donne, c’erano i figli ed

erano passati quarant’anni!

Esdra e Neemia non hanno un accordo tra di loro. Vivono esperienze che

vanno oltre la religiosità, legate in modo particolare all’aspetto economico

L’ebreo non riesce a separare la religione dai soldi. Il motivo scatenante

della Shoa da parte della Germania è legato soprattutto al fatto che tutta

l’economia e le banche tedesche erano in mano agli ebrei perciò, all’inizio,

sono stati motivi economici a dar corso al disastro che poi è avvenuto nella

Storia, non motivi religiosi e razziali

I primi due capitoli di Esdra ci fanno conoscere l’apparato del tempio e ci

fanno capire come questo progetto fosse fondamentale per loro

Per gli ebrei sono importanti: la Legge e i Profeti, anche Gesù ne parla spesso

Ora che non esiste più il Tempio per gli ebrei, è importante andare almeno una

volta l’anno al “muro del pianto”, come per i musulmani andare alla mecca: è

una ritualità che si ripete nelle due religioni, che hanno alcune cose in comune.

14

Diversità tra Esdra e Neemia

Esdra dà più importanza alla ricostruzione del tempio, alla sacralità

ritualità

Neemia cerca di costruire la socialità nel popolo: rifarsi una casa nella

terra dei loro padri - dà il via alle costruzioni civili e all’edilizia

popolare. Ancora oggi gli ebrei continuano a costruire case per occupare

la terra. In Israele ci sono molti quartieri residenziali, ogni famiglia ha

molte abitazioni! E’ una dinamica che da allora, si ripete.

Conclusione

Il popolo ebreo ragiona così: ‘Dio ci ha punito portandoci via dalla nostra terra

perché siamo stati infedeli. Noi ci pentiamo e Dio ci chiede di ritornare alla nostra terra’.

L’integralismo ebraico parte da qui: assoluta fedeltà alla legge e gratitudine al

Signore. Essere benedetto da Dio significa essere ristabilito e stare bene nella

propria terra. L’integralismo è sempre legato al benessere economico, l’ebreo

ortodosso è ricco dal punto di vista economico e bancario.

C’è l’assoluta incapacità di vedere la storia con gli occhi giusti.

Ebraismo e fondamentalismo oggi: vuol dire sentirsi benedetti da Dio, essere

sicuri di essere nella verità, perciò il colloquio con le altre nazioni e religioni

diventa difficile.

Dandoci la mano recitiamo insieme il Padre nostro e concludiamo con la benedizione di

Don Italo.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA del quinto incontro: 7 novembre 2013

IL RITORNO: VARI PROGETTI di RICOSTRUZIONE

Il progetto di Aggeo e Zorobabele 538-520 a.C.

Accoglienza e accensione del lume

Preghiera: Salmo 84 (83)

Testi di studio:

o Esd 3,1-6 restaurazione dell’altare e ripresa del culto (538 a.C.)

o Esd 3,8-10 fondazione del secondo tempio (537 a.C.)

o Esd 3,12-4,5 la ricostruzione del tempio viene ostacolata

o Ag: 1,1-2,9: il profeta invita Zorobabele e Giosuè a ricostruire il

tempio

Adriana ci accoglie, accende il cero e affida al Signore le nostre intenzioni personali, i

sofferenti e tutte le persone in difficoltà. Dopo una pausa di silenzio, preghiamo il Gloria

allo Spirito Santo perché illumini il nostro incontro.

15

Adriana ci introduce al salmo 84(83)

L’inizio e il finale di questo salmo ci parla dell’influenza del tempio sul popolo,

ma soprattutto del Signore dell’universo che è Signore della vita, del cosmo, è il

Signore di tutto.

Un gruppo di Ebrei inizia un pellegrinaggio verso Gerusalemme. Durante il

cammino, i pellegrini pregano e cantano la loro gioia, la loro speranza e hanno un

fortissimo desiderio di arrivare al tempio. Tutto partecipa alla loro esultanza,

anche gli animali e la natura: “Passando per la valle del pianto la cambia in una

sorgente, anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni” (v.7). Tutto si trasforma, la

pioggia autunnale rinfresca, cambia la natura e sembra una benedizione per tutto

il popolo. Procedendo nel cammino invece di stancarsi, il corpo prende più

vigore, il popolo esulta, canta lodi perché sta arrivando alla casa del suo Dio.

Preghiamo insieme il salmo e nella risonanza vengono ripetuti gli ultimi versetti: “Perché sole e scudo è il Signore Dio; Il Signore concede grazia e gloria, non rifiuta il bene

a chi cammina con rettitudine. Signore degli eserciti, beato l’uomo che in te confida” (vv 12-

13).

Introduzione

Analizziamo insieme la linea del tempo relativa al periodo che stiamo

studiando, con un cenno al primo tempio costruito da Salomone in soli sette anni,

verso il 960 a.C., grande e maestoso, segno, per la mentalità di quel periodo, della

potenza, splendore, gloria e magnificenza del suo impero. Per l’edificazione del

tempio si sono dovute pagare molte tasse da parte di tutti. Salomone era figlio di

Davide e il tempio è durato per tutto il periodo della dinastia davidica ed è stato

distrutto nel 587 a.C. dai Babilonesi.

Esdra e Neemia non sono ancora presenti nel periodo che stiamo studiando

(538-515 a. C.) perché arrivano nel V secolo, ma i loro libri narrano anche le

vicende di questo periodo. L’impronta che loro hanno lasciato arriva fino ad oggi

è integralista.

L’integralismo religioso nasce proprio in quel periodo, mette al primo posto la

legge e i riti sacri, ma non si cura di difendere e promuovere la vita.

Riprendiamo a percorrere la linea del tempo:

Anno 587 a.C.: Tempio e città di Gerusalemme distrutti

Anno 538 a.C.: Ciro permette il ritorno di Zorobabele, discendente di

Davide, e Giosuè che appartiene alla stirpe sacerdotale, insieme progettano

di ricostruire il secondo tempio.

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Esdra 3,1-6; 3,8-10; 3,12-4,5 condivisione dei testi letti e commentati nei gruppetti:

Il primo gruppo di esiliati che ritorna a Gerusalemme nel 538 a.C.,

ricostruisce immediatamente l’altare con tutti gli arredi riportati da Babilonia, per

riprendere il culto sacro e i sacrifici a Dio. L’anno successivo nasce tra le persone

che hanno un forte potere economico, l’idea di ricostruire il tempio per riunire il

popolo. La popolazione rimasta a Gerusalemme, durante il lungo periodo

dell’esilio, si era mischiata con altri popoli pur mantenendo il culto a YHWH e

vuole aiutare a ricostruire il tempio; le tribù di Giuda e Beniamino non accettano,

vogliono rimanere “separati”. Dal racconto di questi capitoli si evidenzia il

desiderio di questo gruppo di non mischiarsi con gli altri abitanti del territorio.

I lavori per la fondazione del tempio sotto la direzione dei Leviti e di

Giosuè, saranno presto interrotti perché ostacolati dai Samaritani.

Il primo progetto di ricostruzione dopo l’esilio è quello di Zorobabele e

Giosuè. Essi desiderano riportare la monarchia nella regione di Giuda; ripensano

con nostalgia al passato glorioso della stirpe di Davide, ma non sarà possibile in

quel contesto, il re persiano lo impedirà.

Ag: 1,1-2,9

Leggiamo il testo e cerchiamo di rispondere alle domande che ci siamo poste:

Il profeta Aggeo, parlando in nome di Dio, incoraggia Zorobabele e Giosuè

a riprendere la ricostruzione del Tempio che era stata interrotta.

Ci siamo chieste: quale volto di Dio appare in questo brano? Ecco alcune

risposte:

È un Dio deluso dall’atteggiamento del suo popolo perché è lontano da lui,

si limita a pensare a sé stesso, alle proprie cose e alle proprie case, non ha

Dio nel cuore: “Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben

coperte, mentre quella del Signore è ancora in rovina?” (Ag 1,4.)

E’ un Dio severo che richiama il suo popolo alla conversione e lo invita a

considerare i propri sbagli.

È un Dio padre che rimprovera i figli per aiutarli, vuole spronarli e far

capire loro che lontano da lui non riusciranno nelle loro opere: “Avete

seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la

fame”(Ag 1,6); Come dire: ‘Avete fatto solo quello che serve per sopravvivere e non

per vivere; avete cercato le cose minime e non quelle importanti’. Abbiamo fatto il collegamento con la parabola, raccontata da Gesù, del il

ricco che accumula molti beni e pensa solo a sé stesso, ma quella notte

stessa muore, i suoi beni ora sono inutilizzabili, ha perso l’occasione di

arricchirsi davanti a Dio (Lc 12,15-21).

17

Non solo emerge il volto di Dio padre ma anche quello di Dio madre: è la

madre infatti che è sempre presente, è molto più vicina ai figli quando

commettono degli sbagli.

Nonostante alcune espressioni molto forti, in questi testi emerge che Dio è

sempre alla ricerca dell’uomo, lo sprona e lo invita a correggersi, lo

accompagna, lo incoraggia, è sempre presente, è vicino, pronto a perdonare,

a rinnovare la sua alleanza e il suo amore prevale sempre: “Aggeo,

messaggero del Signore, rivolto al popolo disse secondo la missione del Signore ‘Io

sono con voi, oracolo del Signore”(Ag 1,13). Il Tempio è un punto di riferimento fondamentale per il popolo, rende

“visibile” l’alleanza con il suo Dio. E’ un forte ricordo del passato ed è un

aiuto a rimettere Dio al centro e a cambiare il cuore.

L’incoraggiamento che il profeta dà, non è solo per ricostruire il tempio e

l’identità del popolo ma anche per garantire indipendenza e autonomia.

In questi versetti “Scuoterò tutte le genti e affluiranno le ricchezze di tutte le genti e

io riempirò questa casa della mia gloria, dice il Signore degli eserciti. L'argento è mio

e mio è l'oro, oracolo del Signore degli eserciti” (Ag 2,7-8) emerge il desiderio di

Aggeo e Zorobabele di riavere gli splendori e le ricchezze del passato;

infatti vogliono far vedere al popolo che l’oro, l’argento e ‘le ricchezze che

affluiranno da tutte le genti’ sono voluti da Dio.

Il popolo ha desiderio di pace, Aggeo la identifica con la presenza di Dio

nel tempio: La gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta,

dice il Signore degli eserciti; in questo luogo porrò la pace". Oracolo del Signore

degli eserciti.” (Ag 2,9) Credere in un grande progetto, prefiggersi uno scopo importante aiuta ad

avere capacità e forza che di solito non si pensa di possedere perché c’è un

fine da perseguire, avere tutti una stessa meta da raggiungere insieme può

aiutare a vivere nella pace e nella prosperità.

In quel momento il popolo è molto disorientato, perché ci sono vari

gruppi con idee e proposte diverse che si contrappongono. Il progetto

del Terzo Isaia desidera e cerca la pace per tutti i popoli.

Attualizzazione:

Oro e argento per noi possono rappresentare anche simboli dei doni spirituali che

Dio ci dona quando ci arricchisce delle sue grazie.

La fede è credere nella presenza costante di Dio che è sempre con noi. Egli desidera

che tutti i popoli possano vivere nella pace.

Rosanna rilegge il versetto 5b “Il mio spirito sarà con voi, non temete”.

Portiamo questa frase nel nostro cuore.

Concludiamo con la preghiera del Padre Nostro.

18

MEMORIA del sesto incontro: 21 novembre 2013

IL RITORNO: VARI PROGETTI di RICOSTRUZIONE

Il progetto di Zaccaria e Giosuè 520-515 a.C.

Accoglienza e accensione del lume: Nadia

Preghiera Salmo 19 (18)

Testi di studio:

o Esd 4,24-6,14 ripresa della costruzione del tempio (520 a.C.)

o Esd 6,15-22 la inaugurazione del secondo tempio (515 a.C.)

Insieme abbiamo letto i due capitoli del profeta Zaccaria:

o Zc 7: gli insegnamenti del passato che illuminano il presente

o Zc 8: incoraggiamento e speranze per il popolo

Nadia apre il nostro incontro parlandoci del femminicidio. Ci ricorda che lunedì, 25

novembre, sarà la giornata nazionale dedicata alla violenza sulle donne.

Nel nostro paese, dall’inizio dell’anno, sono state uccise centoventotto donne, una vittima di

violenza omicida ogni due giorni. La maggioranza di esse uccise tra le mura domestiche dal

marito, compagno, fidanzato, ex convivente, assassinate con violenza e crudeltà, per lo più

massacrate di botte, accoltellate, fatte a pezzi, bruciate, sfregiate con l’acido, alcune sono

morte dopo settimane di atroci sofferenze. Una violenza assurda perpetrata da uomini che

considerano la donna di loro proprietà e non accettano la fine di un rapporto. In questa

lunga catena di violenza ci sono anche padri o figli che si accaniscono contro le donne

all’interno delle loro famiglie.

Queste violenze spesso rimangano impunite perché le donne hanno paura di denunciare il

loro carnefice.

Preghiera: Salmo 19 (18)

Dopo l’accensione del lume e un momento di preghiera silenziosa per tutte

queste vittime innocenti, preghiamo il Salmo 19 che ci invita a contemplare nella

creazione l’opera meravigliosa di Dio: “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle

sue mani annunzia il firmamento” (v 1) e a riconoscere che la sua legge è giusta e

perfetta: “Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore

sono limpidi, danno luce agli occhi” (v 9).

Recitiamo insieme l’Ave Maria per ricordare le nostre amiche assenti e

tutte le donne che nel mondo subiscono violenze di ogni tipo.

Introduzione

I capitoli di Esdra che abbiamo commentato nei piccoli gruppi, ci parlano

dell’ostruzionismo dei Samaritani (regione chiamata d’Oltrefiume), appoggiato

anche dal re persiano Artaserse, che ha bloccato per un certo periodo la

ricostruzione del tempio. Morto Artaserse, i Samaritani si rivolsero al suo

successore, re Dario, il quale fece fare delle ricerche e trovò tutte le decisioni di

re Ciro riguardanti la ricostruzione del tempio. Era tutto descritto nei dettagli: le

19

misure, le mura, gli arredi e persino la copertura finanziaria che doveva essere

sostenuta “dalle entrate del re, cioè dall’imposta dell’Oltrefiume” (Esd 6,8b). A questo

punto Zaccaria, Giosuè e gli anziani di Giuda, riuscirono a portare a termine la

costruzione del tempio nell’anno 515 a.C.. Nella nostra Linea del tempo

vediamo che in quel’anno, viene celebrata dai rimpatriati, dai sacerdoti e dai

leviti, la festa della dedicazione del tempio. In questa ricorrenza sono stati

sacrificati centinaia e centinaia di animali e anche “dodici capri come sacrifici

espiatori per tutto Israele, secondo il numero delle tribù d’Israele” (Esd 6,17b). Nello

stesso anno, per la prima volta dopo la distruzione di Gerusalemme, viene

celebrata la Pasqua: “Così immolarono la pasqua per tutti i rimpatriati, per i loro fratelli

sacerdoti e per se stessi. Mangiarono la pasqua gli Israeliti che erano tornati dall’esilio e

quanti si erano separati dalla contaminazione del popolo del paese e si erano uniti a loro

per aderire al Signore Dio d’Israele” (Esd 6,20b-21). Qui si sottolinea la grande

separazione che i Giudei mettono in atto nei confronti degli altri popoli che viene

evidenziata anche nel Libro di Esdra al cap. 4,1-5, quando durante la costruzione

del tempio, rifiutano l’aiuto degli ‘abitanti del paese’. “Il resto d’Israele” è unito,

ma sparisce la figura del re, rimane però il sommo sacerdote. L’intento dei

rimpatriati è di avere una religione pura, di escludere i Samaritani e coloro che si

fossero uniti a donne straniere perché li considerano contaminati. Desiderano

mantenere la purezza della razza, essere puri davanti a Dio per salvaguardare la

propria identità: chi è puro ha diritto al possesso della terra, perciò tutte le leggi

sulla purezza sono legate anche ad un aspetto economico.

Zaccaria cap.7: dopo la lettura del brano, condividiamo e commentiamo

insieme

Betel chiede ai sacerdoti se deve continuare il digiuno oppure no, ma il

Signore risponde: “Quando facevate digiuni e lamenti nel quinto e nel settimo mese

per questi settant’anni, lo facevate forse per me? Quando avete mangiato e bevuto

non lo facevate forse per Voi?” (vv 5-6); non è il culto esteriore che conta, ma il

nostro comportamento con gli altri, il nostro cuore, se operiamo il bene a

Lui basta. Anche noi abbiamo sempre bisogno di sapere bene quello che

dobbiamo fare davanti a Dio.

E’ molto più semplice rispondere a dei gesti formali del tipo: ‘vado a Messa

tutte le domeniche così mi sento giustificato davanti a Dio’, che cambiare il cuore e

mettere in pratica quello che il Signore ci chiede da sempre: “Praticate la

giustizia e la fedeltà; esercitate la pietà e la misericordia ciascuno verso il suo

prossimo. Non frodate la vedova, l’orfano, il pellegrino, il misero e nessuno nel cuore

trami il male contro il proprio fratello” (vv 9-10). La Parola che risale a più di

venti secoli fa, sembra scritta per noi oggi! Questi versetti ci lasciano

stupite e ci fanno riflettere. Già da allora, il Signore diceva molto

chiaramente quello che voleva dal suo popolo e quello che vuole da noi.

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È dal tempo dell’Esodo che YHWH dice qual è il comportamento da

tenere, ma non sempre siamo fedeli e non troviamo il coraggio di seguire il

suo progetto.

Noi siamo la fotocopia del popolo di Dio: fin dall’antichità, ogni

generazione stabilisce un’alleanza con Dio, gli promette fedeltà poi, per

vari motivi se ne allontana, ma nei momenti di disperazione, di dolore, di

malattia e tristezza, ritorna a Dio chiede perdono e aiuto, questo da sempre,

di generazione in generazione.

La stessa cosa succede anche adesso, specialmente da giovani ci

allontaniamo dal Signore ma quando gli anni passano e attraversiamo

momenti difficili, di disperazione per la perdita di persone care o per le

vicissitudini che la vita ci pone davanti, qualcosa si risveglia in noi e

desideriamo riavvicinarci a Dio, sicuri che Lui ci riaccoglie sempre

Osserviamo le categorie che il brano mette in luce: la vedova, l’orfano, lo

straniero, il misero; inoltre ci ricorda che dobbiamo esercitare la pietà e la

misericordia ciascuno verso il suo prossimo. E’ l’eterno comandamento “Ama

il prossimo tuo come te stesso”. E’ un forte richiamo di Dio alla responsabilità

individuale, ciascuno deve avere un rapporto libero di amore verso il

proprio fratello.

Il volto di Dio che esce da questo brano è di un Dio paziente perché ripete

ancora una volta cosa vuole dal suo popolo ma anche di un Dio che

rimprovera: “Ma essi hanno rifiutato di ascoltarmi, mi hanno voltato le spalle hanno

indurito gli orecchi per non sentire” (v 11). Il messaggio forte che esce da questo testo è: non conta l’esteriorità ma il

cuore.

Zaccaria cap. 8: condivisione e commento del brano

Il profeta ci fa vedere un immagine, un sogno: il Signore dimorerà in

Gerusalemme nel suo tempio, la città verrà chiamata Città della fedeltà e

Monte santo, sarà possibile rifare l’alleanza, Dio opererà un cambiamento

del cuore negli abitanti di Gerusalemme. I vecchi insieme ai bambini

godranno di tranquillità e pace. Il Signore ricondurrà ad abitare a

Gerusalemme i dispersi del suo popolo da oriente e occidente. Il popolo

viene riunito ma solo quello che fa parte del “resto” cioè gli appartenenti

alla casa di Giuda e di Gerusalemme.

Ci chiediamo come mai, in particolare in questo testo, Dio venga chiamato

spesso “Signore degli eserciti”, in altre traduzioni questo nome è stato

cambiato in Re dell’universo, ricordiamo che nell’antichità le stelle, la luna,

il sole erano considerati l’esercito celeste. Come abbiamo già visto, il

popolo dà a Dio un nome a seconda dell’esperienza che sta vivendo, perciò

21

possiamo pensare che questo termine venisse invocato per propiziarsi

l’aiuto durante una battaglia.

Dio opera sempre, ma noi dobbiamo fare la nostra parte, ci richiama al bene

per il prossimo e all’amore fraterno: “Nessuno trami nel cuore il male contro il

proprio fratello; non amate il giuramento falso, perché io detesto tutto questo” (v.17).

I continui richiami di Dio servono per sottolineare che la comunità non si

sta comportando secondo i suoi insegnamenti: non tratta bene il fratello e

giura il falso.

E’ stato detto che non sono i digiuni esteriori che contano, ma

l’atteggiamento del cuore verso tutti. Si faccia pure festa, il Signore vuole il

suo popolo gioioso purché viva nella verità e nella pace. Negli ultimi versetti (20-23) sembra che la prospettiva diventi universale, il

popolo eletto sente su di sé la missione di far conoscere YHWH a tutti,

perché è lui il popolo dell’alleanza. Pare ci sia un apertura verso altri paesi,

ma l’invito è di venire a Gerusalemme perché solo lì c’è il Signore: “Così

popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a cercare il Signore degli

eserciti e a supplicare il Signore. Così dice il Signore degli eserciti: In quei giorni,

dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del

mantello e gli diranno: "Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con

voi” (vv. 22-23).

Riflessione sulla figura di Zaccaria

Zaccaria è figlio o nipote di un sacerdote perciò ha una mentalità sacerdotale e

sottolinea l’importanza del tempio, del rituale e soprattutto trasmette nel popolo

il desiderio di ritornare al passato e ripristinare tutto quello che c’era a

Gerusalemme prima dell’esilio.

Il Tempio per i giudei di quel tempo era importante, ma anche per noi oggi le

chiese e i nostri luoghi di culto sono importanti per incontrarci a pregare,

ascoltare la Parola e celebrare l’eucaristia, ma il Signore non s’incontra solo nel

tempio o nella chiesa perché è dappertutto e in ogni luogo, in particolare è nel

nostro cuore e nei nostri fratelli più poveri e bisognosi (cfr Mt 25,31-46 e Mt 7,31-

29). Zaccaria, come Esdra e Neemia, forse per preservare una casta, parlano del

Tempio come se Dio fosse presente solo in quel luogo. Regina ci invita a terminare l’incontro con alcune preghiere di sostegno per tutte le

donne; il Padre Nostro recitato insieme racchiude le preghiere segrete del nostro cuore.

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MEMORIA settimo incontro: 5 dicembre 2013

IL RITORNO: VARI PROGETTI di RICOSTRUZIONE Il progetto “Luce delle Nazioni” 520-445 a.C.

Accoglienza e accensione del lume: Rosarita

Preghiera: Is 63,7-19

Testi di studio: Is 56,1-8; Is 58,1-14

Rosarita ci introduce all’incontro prendendo spunto dal profeta Isaia: “Se offrirai il pane

all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce” (Is 58,10) e ci parla del

Banco Alimentare che da vent’anni, utilizzando anche le eccedenze alimentari, permette alle

strutture caritative di soddisfare i bisogni primari dei poveri e degli indigenti. Nei

supermercati il 30 novembre si è svolta la colletta alimentare che sostiene il Banco

Alimentare. Considerando che la richiesta di cibo da parte di famiglie bisognose è molto

aumentata, anche nel nostro territorio, la colletta rende sensibili ai disagi di molte famiglie i

clienti dei supermercati.

Non possiamo dimenticare tutte le associazioni che promuovono mense per i poveri

ritirando anche prodotti vicini alla scadenza dai supermercati e cibi non utilizzati dai

ristoranti. Questa attività caritativa è in sintonia con le parole di Papa Francesco: “Quando

il cibo viene condiviso in modo equo con solidarietà, nessuno sarà privo del necessario.

Ogni comunità deve andare incontro ai bisogni dei più poveri.”

All’accensione del cero ricordiamo tutti gli indigenti che sono in mezzo a noi, gli affamati

nel corpo e nello spirito, i malati, in particolare alcune nostre amiche assenti che stanno

vivendo momenti difficili per malattia e situazioni familiari molto dolorose.

Preghiera: Is 63,7-19

La preghiera del Terzo Isaia è un gioiello della Bibbia, risale al primo

periodo del ritorno degli esuli da Babilonia. La situazione che sta vivendo il

popolo è drammatica, non sa quale sarà il suo futuro, allora ripensa a tutti i

benefici ricevuti, fa memoria del passato e supplica Dio: “Dove sono il tuo zelo e la

tua potenza, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia?”(v 15b) e ancora: “Tu,

Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore”(v 16), queste

espressioni richiamano sentimenti materni e paterni: è nel Secondo Isaia che

viene riconosciuto per la prima volta Dio come Padre e Madre. Questi sentimenti

sono ripresi dal Terzo Isaia e da Gesù che in diverse occasioni ci rivelerà la

paternità di Dio con molte parabole e insegnamenti, fino alla preghiera del Padre

Nostro.

In questo brano il popolo si sente abbandonato e solo, ma ha ancora fiducia

nel suo Dio e lo prega: ‘Tu non puoi abbandonarci, tu ci riscatterai, tu sei nostro padre e

nostro redentore’.

Anche nella nostra vita capitano periodi di solitudine e di abbandono, come

se Dio si fosse dimenticato di noi. È proprio nei momenti di buio e di

23

disperazione che dobbiamo fare memoria di quanto il Signore ha operato in noi

certi che Lui ci aiuterà e ci solleverà.

E’ importante educarci ad avere sempre fiducia nel Signore, così ritroveremo la

serenità.

Condivisione e analisi dei due brani del Terzo Isaia Prima di analizzare i due testi osserviamo insieme il chiasmo:

Is 56,1-8 “YHWH Dio di tutti i popoli”, nello schema è collegato a Is 66,7-24; mentre

Is 58,1-14 “Denuncia del culto corrotto” a Is 65,1-16.

Il Terzo Isaia, come molti altri libri della Bibbia, è stato redatto prendendo testi e

pensieri provenienti da esperienze e tempi diversi, raccolti e messi insieme per

creare una struttura armonica e comprensibile.

Is 56,1-8

Questo brano, già analizzato nei gruppetti, non lo esaminiamo insieme, ma

iniziamo la condivisione con la frase che potrebbe sintetizzarne il messaggio:

La salvezza è per tutti - La salvezza è universale

La giustizia di Dio non è come quella umana

Ama il prossimo tuo come te stesso

Il tempio è pensato come una casa aperta a tutti perché ‘sarà casa di preghiera

per tutti i popoli’.

Commentando il brano e cercando di rispondere alle domande, rileviamo che nel

vangelo di Matteo Gesù riprende questa frase quando scaccia i venditori dal

tempio: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di

ladri” (Mt 21,13).

C’è un forte richiamo di Dio verso il suo popolo: viene invitato a praticare il

diritto e la giustizia e a non rompere l’alleanza. Il Signore si rivolge poi agli

ultimi, a coloro che non possono neanche entrare nel tempio, agli stranieri, agli

eunuchi, ai prigionieri e ai dispersi di Israele e dice: “Gli stranieri, che hanno aderito

al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si

guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio

monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera” (vv 6-7). L’antica legislazione escludeva i mutilati (cfr Dt 23,2) e anche gli stranieri (cfr Dt

23,3-8) mentre qui il Signore non vuole escludere nessuno, il suo amore è per

tutti.

Il volto di Dio che esce da questo brano è quello di un Dio giusto,

accogliente, attento ai diseredati ma anche rivoluzionario, infatti il suo

insegnamento è in contrasto con il progetto di Aggeo e Zaccaria, i quali oltre alla

ricostruzione del tempio, cercano di ricompattare “il resto” osservante della

legge, desiderano ritornare al passato e riproporre la situazione che c’era prima

dell’esilio; l’amore viene incoraggiato in particolare tra fratelli; gli stranieri

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potranno venire a Gerusalemme per riconoscere che Dio è presente nel tempio e

nella città: è con il suo popolo.

A volte nel nostro intimo abbiamo sentimenti che contrastano con gli

insegnamenti di Isaia, proviamo rancori, litighiamo con parenti, vicini di casa,

amici, il Signore ci dice di amare anche i nostri ‘nemici’, questo dovrà essere il

nostro sforzo.

Is 58,1-14 Analizziamo e commentiamo insieme v 1 “Grida a squarciagola, non avere riguardo: come una tromba alza la voce;

dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati.” E’ una

denuncia forte è un grido per far emergere i delitti e i peccati del popolo.

In questo testo ritorna il tema del digiuno che abbiamo già visto in

Zaccaria, qui però viene ribadito con forza qual è il vero digiuno: non una

formale esteriorità per continuare una tradizione senza senso, ma aiutare il

prossimo con amore, con il cuore.

vv 2-5 Il popolo ha un atteggiamento esteriore che sembra buono e alla

ricerca di Dio, invece non pratica la giustizia, ha abbandonato il diritto,

mentre fa il digiuno cura i propri affari, tratta male gli operai: “Ecco, voi

digiunate tra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate

oggi, così da far udire in alto il vostro chiasso” (v 4). Per far tacere questo chiasso

il Signore grida forte e critica severamente il rituale fatto di apparenza e di

esteriorità: il vestito di sacco e la cenere nel letto.

vv 6-9 Ecco il vero digiuno gradito a Dio: “sciogliere le catene inique, liberare

gli oppressi, spezzare il giogo, dividere il pane con gli affamati, introdurre in casa i

miseri, i senza tetto, vestire chi è nudo, senza trascurare quelli di famiglia, togliere

l’oppressione, non giudicare, evitare di puntare il dito e il parlare empio”. Il vero

digiuno implica una giustizia sociale, un’attenzione speciale per chi viene

sfruttato e oppresso. Se questo si avvera:“Allora la tua luce sorgerà come

l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto” (v 9). La luce illuminerà tutti,

guariranno tante ferite e a chi invocherà il Signore, Lui risponderà

“Eccomi”.

vv 10-12 Il Signore ci invita ad essere “luce delle nazioni” a brillare fra le

tenebre così Lui ci guiderà e “ci sazierà in terreni aridi”. Non c’è solo l’invito

di dar da mangiare il pane, ma di saziare le persone oppresse e gli afflitti di

cuore, così “saremo come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non

inaridiscono”: luce nel buio, giardino dell’eden dove c’è molta acqua,

sorgente che sgorga sempre perciò non ci sarà aridità neanche nel deserto.

Questo accadrà solo se ci sarà un cambiamento radicale del cuore.

Il Vangelo di Giovanni parla spesso di luce e di acqua, ricordiamo due

passi: Gesù luce del mondo: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non

camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12); Gesù che parla alla

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Samaritana: “Chi beve l’acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi l’acqua

che io gli darò diventerà sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).

vv 12-14 Il sabato deve essere soprattutto il giorno per praticare un culto

interiore: il diritto e la giustizia, non dimenticando di partecipare al culto

che la liturgia ci propone. I rituali spesso danno a molte persone la certezza

di essere gradite a Dio, ma in questo brano il Signore ci dice chiaramente

quale è la sua volontà.

Oggi:

Luce e acqua, due simboli molto importanti. L’acqua è fonte di vita e ci

ricorda il Battesimo, la vita nuova nello Spirito all’interno della comunità

cristiana.

E’ molto più semplice aiutare con un’offerta i bisognosi nelle terre lontane

che interessarci e condividere con le persone vicine a noi, sia in famiglia che

fuori, o sensibilizzarci alle nuove povertà, ne abbiamo così tante proprio

intorno a noi!

L’attenzione ai diritti di tutti e la solidarietà verso le esigenze dei meno

fortunati potrebbero essere oggetto della nostra riflessione per la preparazione

al Natale.

Il digiuno, ad esempio quello praticato nel tempo quaresimale, ma non solo,

ha valore se non è fine a se stesso ma è rivolto verso un progetto di

accoglienza e di aiuto a chi è nel bisogno.

Terminiamo come sempre pregando il Padre Nostro dandoci la mano.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA ottavo incontro: 19 dicembre 2013

Il progetto “Luce delle Nazioni” rivive in Gesù e nelle comunità cristiane

Quest’ultimo incontro dell’anno è stato davvero speciale. Dopo un momento di accoglienza

e di saluto, abbiamo ricordato le nostre amiche assenti e pregato per alcune di loro che

stanno vivendo momenti di particolare difficoltà.

Accensione del lume: “Chi vorrà, accenderà un lume con un piccolo pensiero o una

preghiera”.

Questa era stata la proposta, motivata come aiuto a uscire da noi stesse e a

condividere con tutte un nostro pensiero personale o una preghiera individuale.

Tutte hanno partecipato, sono stati momenti molto particolari, commoventi,

coinvolgenti, emozionanti, tantissime luci accese! Molte piccole luci possono

fare un grande fuoco, ha detto qualcuna. Bellissimo!

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Alcuni interventi

Gianna: stiamo approfondendo negli incontri il progetto di Dio "Luce delle

Nazioni" come profezia su Gesù. Il Battista nella lettura della domenica

l'aveva annunciato come "la Luce che deve venire": ma la luce troppo forte

può confondere e abbagliare. Le piccole luci che stiamo accendendo mi

ricordano che Dio è venuto nel mondo come un bambino: è un mistero, ma

non spaventa, anzi dà gioia.

Gina: “Fa splendere il tuo volto o Signore e noi saremo salvi”.

Fiorella: ha letto una bellissima e semplice poesia che ci aiuta a rivolgerci

a un Bambino per vivere il Natale con sentimenti appropriati.

Pinuccia: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano

senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il

seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia

bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza

aver ottenuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10-11). Questa parola mi era stata

letta durante un incontro di preghiera e mi aveva commosso la promessa del

Signore sulla trasformazione del cuore se accogliamo, naturalmente, la sua

Parola nella preghiera e nella vita. La mia vita è cambiata? Senz’altro il mio

modo di intendere la vita è cambiato e i valori che ora vivo sono altri. Un

piccolo esempio: il mio Natale di allora si stava trasformando nel Natale

delle luci non vere.

Rosanna G.: queste parole di Michel Quoist forse potranno servirci a

vedere in una luce meno tetra tutte le distorsioni del Natale. "Duemila anni fa, Cesare Augusto era imperatore dei Romani. Dominava su "tutta la

terra", dice il Vangelo della notte di Natale. Cesare Augusto! E' morto e sepolto e

l'anniversario della sua nascita non ci gratifica neanche un giorno di festa. Ed invece

a Natale, ogni anno, il mondo intero si ferma, non certo a causa di Augusto, ma

perché è nato un bambino che si chiama Gesù.

Oggi è di moda prendersela col Natale, diventato festa pagana, festa delle spese pazze

e delle baldorie, festa-tranello per cuori facili alla commozione... Io non lo farò! Non

perché ignori tutte le deviazioni e perversioni, ma perché so che quando si innalza un

fumo spesso ed acre che prende alla gola e sovente ci fa piangere, significa che un

fuoco e' stato acceso!... Il fuoco, è quell'irresistibile slancio d'amore che, oggi, passa

attraverso il cuore di tutti gli uomini e che si esprime, goffamente spesso, ne

convengo, anche se pur sempre realmente, con l'offerta di doni... Il fuoco, è lo slancio

d'amore che fa sì che a Natale inviteremo a casa nostra la cugina Ortensia, cui da

sempre avevamo tolto il saluto perché aveva sparlato di... ed inviteremo anche il

nonnetto, che per la centesima volta ci racconterà come ha passato il Natale in

guerra. Per una notte, una giornata: non è poi granché, dirà qualcuno. E' vero, ma mi

indichi un solo bambino sulla Terra, diverso da questo bambino Gesù, che sia capace

ogni anno di mettere al mondo una simile carica d'amore!

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Altri insisteranno: non sanno neppure più che è grazie al Bambino che possono

godere e dare agli altri un po' di gioia. Anche questo è vero: ma il fuoco, nel

caminetto, brucia forse di meno se non si conosce la mano che ha fatto scaturire la

fiamma? Dalla venuta di Gesù è stato acceso un fuoco sulla Terra: che cosa è dunque questo

fuoco, di cui la fiammata di Natale è il segno tangibile della sua misteriosa presenza

nel cuore del mondo?"

Rosarita: Dio è misericordioso con noi, lo ripete spesso Papa Francesco in

questi giorni, anche noi dobbiamo esserlo con gli altri.

Fosca: “Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue

ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non

inaridiscono” (Is 58,11). E’ un versetto che ci dona speranza: il Signore ci

guiderà sempre, ci sazierà, ci rinvigorirà, ci darà la sua acqua che toglierà

l’aridità dai nostri cuori. Signore aiutaci a lasciarci guidare sempre da te.

Carla B.: mi piace pregare questa giaculatoria: “Maria, Regina degli angeli,

manda i tuoi angeli”. Penso spesso agli angeli, soprattutto a quelli dei miei

due figli.

Rosanna B.: Signore illumina la mia mente e il mio cuore, donami sentimenti di

benevolenza, di speranza e di carità affinché li possa trasmettere per mezzo dello

Spirito Santo, dapprima in famiglia e attorno a me. L’anno nuovo sia portatore di

grazia e di benedizioni a tutta l’umanità.

Tiziana: “Un tozzo di pane secco con tranquillità è meglio di una casa piena di

banchetti festosi e di discordia” (Pr 17,1).

Gabriella: non lasciamo soli chi si allontana da Gesù.

Maria Giulia: "Signore è in te la sorgente della vita alla tua luce vediamo la luce,

fai splendere il tuo volto e noi saremo salvi" (Sal 36,6; Sal 80,20). Sul nostro volto

splende la luce di Dio perché siamo fatti a sua immagine. Aiutaci Signore a

diffondere la tua luce e a riconoscere il tuo volto sul viso di ogni donna e

ogni uomo.

Graziella: Isaia nell’ultimo incontro, ci ha parlato del suo progetto “Luce

delle Nazioni” ma nel mondo ci sono ancora molte tenebre. Il cardinal

Martini ha fatto mettere sulla sua tomba: “Lampada per i miei passi è la Tua

Parola”. Signore, nell’accendere il lume, ti voglio ringraziare per avermi

chiamata in questo gruppo che mi aiuta ad approfondire, condividere e

comprendere meglio la Tua Parola affinché possa essere ‘lampada per i

miei passi’ e rischiarare con forza la strada che mi porta a Te.

Luciana: il Salmo 23(22) del ‘Buon Pastore’ mi dà pace, serenità e gioia, mi

dà forza, non sarò mai sola. Il versetto 2 mi ricorda i prati bellissimi e

incontaminati di montagna, dove veramente ci si sente vicino a Dio e non si

può fare a meno di ringraziarlo e di lodarlo per tanta bellezza e tanto amore

che ha profuso nella creazione. Sono gli stessi sentimenti che provo nella

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notte di Natale: pace, gratitudine e gioia per il dono della sua nascita. Un

piccolo e indifeso Bambino ma tanto grande da cambiare la vita agli

uomini.

Luisa: “Avere il coraggio di alzare gli occhi e di fissare una stella. Chi segue me non

camminerà mai al buio”.

Emilia: “Il Signore ci faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso

tutti” (1Ts 3,12).

Barbara: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il

nostro cuore, così che non ti tema?” (Is 63,17). Ho scelto questo versetto perché

ultimamente ho vagato spesso, però, grazie ai nostri incontri, riesco a

trovare la strada giusta ed essere serena. Vieni Signore Gesù.

Nadia: leggo una parte della preghiera dei vincenziani che desidererei

“rispecchiare” e che diventasse veramente parte di me. Aspirazione

sicuramente troppo alta ma ritengo che i nostri desideri debbano puntare in

alto:

“Signore aiutami, perché non passi accanto a nessuno con il volto indifferente con il cuore chiuso,con il passo affrettato.

Signore aiutami, ad accorgermi subito: di quelli che mi stanno accanto, di quelli che sono preoccupati e disorientati, di quelli che soffrono senza mostrarlo,

di quelli che si sentono isolati senza volerlo.”

Anna: seguire il corso biblico mi ha insegnato a valutare le cose con

un’ottica diversa e mi ha spronato a leggere la Bibbia con maggior

frequenza dove trovo sempre qualche frase che mi colpisce particolarmente

e che mi aiuta a vivere i momenti difficili della mia vita con maggiore

serenità.

Adriana: “Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona

volontà”. Sia fatta la Tua volontà: perché la Tua volontà è la nostra salvezza. Aiutaci

ad accettarla soprattutto nei momenti più difficili e dolorosi, anche se non la

comprendiamo; riempici di fiducia in Te, donaci speranza e consolazione. Tu concedi

misericordia, onore e gioia a chi cammina secondo il tuo volere. Amen”.

Carla P.: l'arrivo di un nuovo Natale, la nascita di Gesù che si rinnova

anche quest'anno, le riflessioni scaturite dal gruppo su questo grande

evento, sono per me come un sorso di acqua fresca in una giornata assolata

e ridonano serenità e gioia al mio spirito appesantito dalla quotidianità che

devo affrontare in solitudine.

Laura: mi spiace di non aver pensato o scelto una preghiera o un testo della

Bibbia come avete fatto voi tutte. Però ho "ascoltato" e ascoltato con gioia e

interesse tutto ciò che è stato detto. Ho constatato che anche per voi, come

per me, questi incontri sono un arricchimento e una gratificazione... ci si

sente più leggere... dopo. Di questo dobbiamo ringraziare il Signore Gesù

che con la sua venuta ha illuminato il mondo e sicuramente qualche raggio

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luminoso ha centrato pure noi. Ecco perché mi fa piacere pensare che tutte

voi siate come "fiammelle", perché è bello incontrarsi ogni volta, anche

solo per strada, perché è interessante scambiarsi pensieri e riflessioni su

tante cose del quotidiano e non, perché insieme condividiamo la Bibbia che

oramai fa parte della nostra vita, perché questo cammino che stiamo

percorrendo passo dopo passo ci avvicina sempre più al traguardo della

luce.

Il gesto dell’accensione del lume ha occupato tutto il tempo del nostro incontro.

Riprenderemo il 9 gennaio con il programma previsto.

Con una preghiera ricordiamo di nuovo le nostre amiche in difficoltà e concludiamo con

un momento di festa per augurarci Buon Natale!

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA del nono incontro: 9 gennaio 2014

Con molta gioia apriamo il 2014 scambiandoci gli auguri e invocando la

benedizione del Signore:

“Ci benedica il Signore e ci protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di noi e ci sia

propizio. Il Signore rivolga su di noi il suo volto e ci conceda pace”(Nm 6,24-26).

Insieme al lume e al fiore rosso che rappresenta tutte le donne che hanno subito

violenze, abbiamo esposto oggi la bandiera della pace, (simbolo importante, non

sempre usato in modo corretto), con scritto le parole della settima beatitudine del

Vangelo di Matteo: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

Accendendo il lume Mgiulia ricorda Attilio, marito di Pierangela, mancato da

poco. Ricordandolo pensiamo ad altri operatori di pace che, come Attilio, sono

stati testimoni nella nostra comunità. Ognuna di noi potrebbe fare memoria di

donne e uomini di pace incontrati nel corso della propria vita. Dio è l’origine e la

fonte della pace, tutti coloro che si riconoscono figli di Dio sono chiamati ad

essere operatori di pace, per questo preghiamo perché ciascuna di noi possa

essere un piccolo segno pacificatore in famiglia e nel mondo. La pace sembra un

sogno utopistico ma per i cristiani è un impegno da realizzare ogni giorno.

Preghiera: Is 62,1-12

In questa preghiera, mettiamo nelle mani del Signore, Ursula, Roselda,

Mariarosa, Pierangela e Antonella e gli chiediamo di sostenerle, consolarle e

proteggerle; le affidiamo anche alla Madonna e diciamo insieme un’Ave Maria

per loro.

Nella risonanza del testo di Isaia abbiamo ancora una volta riconosciuto che Dio

non abbandona mai il suo popolo e il suo grande amore e la sua misericordia

sono sempre con noi. “Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema

regale nella palma del tuo Dio” (v 3).

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Ripercorriamo insieme gli ultimi incontri

Sintetizziamo i vari progetti che, partendo dal ritorno dall’esilio, hanno dato

inizio alla riorganizzazione del popolo d’Israele.

538 a.C. Ritorno (Editto di Ciro)

445 a.C. Riorganizzazione

Progetto Imperiale

La corte persiana vuole fare di Giuda una zona di sicurezza per difendersi

dall’Egitto. Il popolo in esilio è ritornato perché re Ciro gliel’ha concesso; questo avvenne non

perché il re persiano avesse così a cuore la sorte degli esuli, ma soprattutto perché

individuava nel territorio di Giuda una zona di sicurezza per difendersi dall’Egitto.

Progetto della ricostruzione del Tempio

L’elite dei rimpatriati cioè “i capi famiglia d’Israele” formano un’alleanza:

Monarchica/Sacerdotale/Levitica con il desiderio di ricostruire il tempio per

ridare vita al “Regno d’Israele”. E’ stato un progetto di sopraffazione per gli

ultimi e i poveri che ha prodotto l’oppressione del tempio. Non tutto è accaduto

subito, né in modo lineare; nel corso degli anni è aumentata sempre più

l’emarginazione nei confronti dei più deboli.

Un gruppo ostacola la ricostruzione del Tempio

Il “popolo della Terra” rimasto in Giuda, il gruppo degli schiavi e delle

schiave tornato dall’esilio, appoggiati dalle autorità della Samaria,

ostacolano il progetto di ricostruzione del Tempio. Con l’esilio è avvenuto un cambiamento radicale in Israele. I più poveri si

appropriano delle terre lasciate dagli esuli. Il popolo della terra, così chiamato, non

accetta di buon grado il ritorno degli esiliati e, appoggiato dai Samaritani e da altri

gruppi, ostacola la costruzione del tempio. Questi gruppi, che durante il periodo

dell’esilio hanno vissuta in Giuda, sono diventati idolatri, non ricordano più il Dio

dell’alleanza, seguono i culti cananei orgiastici chiamati anche culti “dei giardini”

(cfr Is 65,3-11; 66,17) dove le donne si prostituiscono e i bambini vengono sacrificati.

Progetto Luce delle Nazioni

Il gruppo che durante l’esilio ha elaborato la sua vocazione di servo: “è

troppo poco che tu sia mio servo, ti renderò luce delle nazioni” (Is 49,6), aiuta ad

analizzare il comportamento religioso del popolo giudaico e a criticare con

severità il “culto dei giardini”.

Né giardini, né tempio in cui versare i tributi. Entrambi i culti erano

idolatri. Anche se disprezzati questi poveri mantengono una chiara

consapevolezza di chi è Dio. Per la prima volta sono riuniti i tre nomi di

Dio frutto dell’esperienza dei piccoli: YHWH, Padre, Redentore: “Tu, YHWH ,

sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. (Is 63,16).

Il progetto Luce delle Nazioni è come un fiume carsico che ha inizio con il

profeta Isaia e continua fino a Gesù:

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Isaia → 740-701 a.C. “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” Is 9,1.

II Isaia → 550-539 a.C. “Ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della

terra” Is 49,6.

III Isaia → 539-445 a.C. “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;

mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori

spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a

promulgare l'anno di grazia del Signore” Is 61,1.

Gesù di Nazaret

Riprende il progetto “Luce delle Nazioni”, lo fa suo nella Sinagoga di Nazaret

(Lc 4,16-21) e lo realizza (Lc 7,22-23).

il primo Isaia parla del popolo che cammina nelle tenebre e vede una

grande luce

nel secondo Isaia il popolo riceve un comando: ti renderò luce delle nazioni

il terzo Isaia profetizza: lo Spirito del Signore è su di me

Gesù nella sinagoga proclama: “Oggi si è adempiuta questa scrittura”.

È importantissimo vedere la continuità nei secoli di questo progetto: prima i

profeti e poi Gesù, un insieme di persone che hanno avuto il coraggio di portare

avanti questi sentimenti e diventarne testimoni.

Un progetto “tramandato di generazione in generazione”, non come una memoria del

passato, ma come un progetto che si realizza di generazione in generazione fino a

oggi. Pensando al Natale appena trascorso, è importante riconoscere in quel

Bambino, nato più di 2000 anni fa, “il Dio con noi oggi”.

Gesù infatti dice: Oggi si è adempiuta questa scrittura.

Commenti e condivisione La figura del Messia atteso non era uguale per tutti, alcuni aspettavano un

liberatore, altri un principe che potesse continuare la dinastia davidica, una figura

forte, dominante, una guida sicura. C’èra molta confusione tra la gente, nessuno

aveva un’idea precisa, perciò il popolo di Nazaret, quando vede che Gesù, il

figlio del falegname, si dichiara il Messia, non lo riconosce e lo scaccia dalla

sinagoga.

Messia significa “unto” da Dio, consacrato per una missione speciale. Anche al

tempo dei giudici c’era questo rito dell’unzione, venivano unte le persone che il

Signore sceglieva per diventare guide della tribù e compiere un servizio: liberare,

governare, fare giustizia. Gesù ha incarnato un certo tipo di Messia,

probabilmente non quello che gli abitanti di Nazaret si aspettavano.

Gesù riprende il progetto “Luce delle Nazioni”, rimette i poveri al centro del

progetto di Dio: questo deve valere anche per noi oggi, dobbiamo mettere

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veramente i poveri al centro dei nostri progetti e volgere il nostro sguardo verso

di loro, seguendo l’esempio di Gesù. Il Signore ama ed è misericordioso con tutti

noi, ricchi o poveri, ma la sua attenzione particolare è verso gli ultimi, gli

emarginati: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano

la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano,

ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di

me!” (Lc 7,22-23).

Conclusione – frasi in libertà

o Durante l’esodo dall’Egitto, solo pochi ebrei hanno accettato di andare

verso la libertà, a loro si sono uniti egiziani, schiavi, altri poveri,

(un’accozzaglia di gente con diverse tradizioni e credenze); si può quindi

immaginare un miscuglio di razze, idoli, religioni. Anche per il rientro da

Babilonia, non tutti gli ebrei sono ritornati, e le terre sono state occupate da

altri gruppi provenienti da varie nazioni.

o Dio è per tutte le nazioni, non solo per il popolo d’Israele.

o È molto difficile uscire dai nostri schemi. Anche nelle piccole cose, nei

gruppi, invece di unirci a volte ci si divide, ci si chiude a riccio. Una

testimonianza di fede è desiderare di aprirci agli altri, cercare il dialogo per

superare le chiusure e le divisioni.

“Non abbiate paura della tenerezza!” è l’invito delicato ma instancabile che ci

fa Papa Francesco

Preghiamo insieme il Padre Nostro e ci scambiamo gli auguri per l’anno appena iniziato.

Buon Anno a tutte!

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA del decimo incontro: 23 gennaio 2014

IL RITORNO: VARI PROGETTI di RICOSTRUZIONE

La riforma di Neemia (445-433 a.C.) “Anche la memoria di Neemia durerà a lungo; egli

rialzò le nostre mura demolite, vi pose porte e sbarre e fece risorgere le nostre case.” (Sir 49,13)

Accoglienza e accensione del lume: Rosanna

Preghiera: Neemia 1,1-11: Adriana

Testi di studio: Neemia capitoli 2; 3; 4; 5; 6;7

Accendo il lume, perché il Signore risorto è in mezzo a noi ed è Lui la vera luce. Rosanna ci

ricorda che questa è la settimana, in cui i cristiani di tutte le confessioni si trovano insieme a

pregare per l’unità e ci dona questa riflessione:

“Dice il Signore: “Dove due o tre persone sono riunite nel mio nome, io sono in mezzo a

loro”. Con la Sua preziosa presenza, affronto il tema della “settimana per l’unità dei

cristiani”. L’unità dei cristiani deve iniziare con la nostra unità, sia nell’ambito familiare

sia nei gruppi, nella Comunità, nella Chiesa, in modo da formare una grande famiglia

cristiana perché tutti figli e fratelli in Cristo. Unità e fraternità vanno di pari passo, poiché

senza di esse si generano egoismo, rivalità e persecuzioni. Cristo ha dato la sua vita per

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amore, per un amore universale, senza limiti e senza distinzioni. Tocca a noi ora, dare

inizio, con amicizia, a un’urgente pacificazione umanitaria che favorirebbe il superamento

non tanto delle differenze, quanto delle diffidenze religiose. Dice il Signore “Io sono la via,

la verità e la vita”. Il nostro impegno sia quindi creare “comunione” per un dialogo di

amicizia e di pace affinché trionfi nel mondo una convivenza più religiosa e più civile per il

bene di tutti.

“La nostra Chiesa sia ecumenica, benedetta di grazia e feconda di speranza e non Chiesa

di scandalo” come ha sottolineato ieri Papa Francesco.”

Rosanna ci propone di pregare insieme il ‘Padre Nostro’ che è Padre di tutti.

Preghiera: Neemia 1,1-11 Introduzione di Adriana Neemia è fortemente addolorato per lo stato in cui si trova la città di

Gerusalemme, le sue mura devastate e le sue porte consumate dal fuoco, i suoi

abitanti scampati alla deportazione vivono in grande miseria e desolazione; la sua

tristezza si manifesta in pianto, digiuno e preghiera; Neemia dimostra un grande

desiderio di adoperarsi per l'opera del Signore.

In questi tempi abbiamo un disperato bisogno di seguire l'esempio di

Neemia, cioè di maturare la sua stessa passione per la verità della Parola di Dio,

indipendentemente da quanto ci possa costare o dalle conseguenze che ne

possono derivare. Il Signore mette tutti nella condizione di potersi dedicare a Lui.

Forse non saremo chiamati a ricostruire le mura della nostra città, ma

sicuramente all'interno della nostra Chiesa c'è un compito che tutti noi possiamo

svolgere, perché è il Signore che ci dona quella particolare capacità. La Sua

Parola ci incoraggia sempre: “Non temere, Io sono con te. Non preoccuparti, Io sono il

Tuo Dio. Ti rendo forte, ti aiuto, ti proteggo con la mia mano invincibile" (Is,41,10). E ancora: “Nessun'arma potrà colpirti; tu saprai difenderti da ogni accusa mossa contro di te

in tribunale. Io difendo i miei servi e assicuro loro la vittoria" (Is 54,17).

Alcune riflessioni sulla preghiera di Neemia

“I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in grande miseria e

abbattimento” v. 3. Sentite queste parole Neemia rimane colpito dalla

situazione in cui si trovano gli esuli, scoppia a piangere, digiuna e prega.

In qualsiasi circostanza, anche la più difficile, Neemia è sempre in contatto

con Dio, si rivolge a Lui e prega: “Signore, siano i tuoi orecchi attenti, i tuoi

occhi aperti per ascoltare la preghiera del tuo servo; io prego ora davanti a te per gli

Israeliti, tuoi servi” v.6. La sua preghiera riprende quella di Dt. 30,1-4, fa memoria dell’alleanza per

lui molto importante e crede fermamente che il Signore è fedele sempre: lo

era nei tempi antichi e lo è anche con noi oggi, in qualsiasi situazione anche

la più tragica.

Ha lasciato una posizione privilegiata alla corte del re di Persia, per andare

a Gerusalemme ad aiutare gli esuli.

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Si è rivelata una persona sensibile, onesta e capace.

Un uomo molto determinato, sapeva bene quale via doveva percorrere, ha

sposato un progetto ed è rimasto fedele fino alla fine.

Cenni storici sul periodo che stiamo trattando

Guardiamo insieme la linea del tempo, mentre Gianna riassume gli

avvenimenti più importanti.

Nell’anno 587 a.C. distruzione di Gerusalemme e deportazione in Babilonia.

Nel 538 a.C. finisce l’impero Babilonese e i persiani diventano i nuovi

dominatori. Nello stesso anno Ciro autorizza il ritorno a Gerusalemme di una

parte di deportati. Abbiamo visto negli incontri precedenti il progetto di

Zorobabele e Aggeo per la ricostruzione del tempio. I poveri della terra divenuti

proprietari delle terre durante l’esilio, non accettano la situazione economica e

politica che si sta creando e ostacolano in tutti i modi la ricostruzione del tempio,

appoggiati anche dai Samaritani.

Nel 520 a.C. i lavori riprendono grazie a una successiva ondata di esuli che

può contare anche sull’appoggio del re e, finalmente, nel 515 si inaugura il nuovo

tempio. Dopo oltre quarant’anni di esilio, la ricostruzione del regno, come la

sognavano gli esuli, non era più possibile: Israele non era più una nazione libera

perché politicamente faceva parte dell’impero persiano ed economicamente non

aveva più una terra propria.

Neemia, che arriva in Gerusalemme circa cento anni dopo il ritorno dei

primi esuli, sa di trovare una situazione difficile a causa del conflitto non risolto

tra gli ebrei rimasti e quelli tornati. Sente che la sua missione è quella di

ricostruire Gerusalemme come forte centro simbolico culturale e religioso per

tutti gli ebrei, sia per quelli della diaspora, sia per quelli rimasti. Si impegna

dunque come governatore nella ricostruzione delle mura e nella ripopolazione

della città.

Il Giudaismo nasce in questo periodo. Abbraccia la storia di Israele dal post

esilio ai tempi di Gesù ed è la trasformazione di Israele da nazione a comunità

religiosa, anche se il desiderio di ricostruire il regno politico rimane sempre.

Struttura portante del giudaismo diventa la sinagoga, luogo d’incontro della

comunità, nata a Babilonia per gli ebrei della diaspora, privi del tempio. I

sacrifici vengono sostituiti dalle opere di pietà: orazioni, digiuni, elemosine.

La legge perde a poco a poco il suo legame profondo con il progetto di Dio

e con la situazione concreta di esistenza e diventa sempre più legata alla liturgia e

al culto. Questo favorisce la nascita di uno spirito settario. Il giudaismo si

differenzia dagli altri popoli per la pratica della circoncisione, l’osservanza del

sabato e le leggi di purità legale per evitare il contatto con il mondo pagano che

avrebbe portato a una perdita d’identità del popolo.

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La stretta osservanza della legge porta a cambiare il “fare giustizia”, centro

del messaggio profetico, a “essere giusti”, non implicando quindi una

responsabilità sociale, ma un’adesione personale a ciò che prescrive la legge; una

delle conseguenze è l’oppressione dei più poveri che, attraverso le offerte per i

riti di purificazione, contribuiscono a mantenere il tempio.

I profeti, lungo i secoli, hanno sempre aiutato il popolo a ricordare e a fare

memoria: c’era stata un’alleanza di Dio con il suo popolo, nell’Esodo YHWH si

era rivelato come liberatore degli oppressi. I profeti aiutavano il popolo a capire

che l’alleanza con Dio non permette a nessuno di accumulare, anzi in ogni

occasione si deve condividere e aiutarsi a vicenda, come avvenne nel deserto con

la manna. Anche il Terzo Isaia che è del periodo del post esilio ha aiutato il

popolo a fare memoria e a rimanere fedele al progetto di Dio.

Leggiamo insieme le pagine di “Piccola Guida alla Bibbia” che parlano di Neemia per

puntualizzare alcuni aspetti importanti sottolineati da Gianna.

Neemia cap. 5 - Alcuni commenti dopo la lettura del testo:

Neemia ascolta i lamenti del popolo e delle loro mogli, rimane molto indignato e accusa i

magistrati e i notabili per il loro comportamento ignobile. Convoca una grande assemblea

chiedendo di restituire il dovuto a coloro che avevano derubato. I magistrati e i notabili

accettano e la riforma di Neemia ha inizio.

Integrità morale: Neemia si comporta così perché ha il timore del Signore.

Neemia ha ricordato al popolo sempre qual era il comportamento da

praticare. Ha ottenuto molto dai suoi collaboratori perché lui ha dato molto.

E’ importante il rapporto con Dio poiché se l’uomo è lasciato a se stesso,

tende a guardare solo i propri interessi.

I nostri governanti dovrebbero prendere esempio da Neemia, lui per primo

cercava di non gravare sul popolo

Prima di fare critiche dobbiamo rivedere sempre il nostro comportamento,

spesso è facile parlare delle cose che non vanno ma, all’atto pratico, noi

non ci mettiamo in gioco, non facciamo niente per migliorarle. Spesso nel

nostro quotidiano anche se capiamo che la situazione è sbagliata ci

adeguiamo alla maggioranza e la scusa rimane sempre quella: “Fanno tutti

così”.

Incontriamo a volte persone che non hanno la fede, ma sono molto oneste

rette e giuste. Sicuramente hanno una legge interiore che guida il loro

comportamento. Lo Spirito aleggia dove vuole.

Noi crediamo in Dio e in Gesù che ha fatto certe scelte; la Parola ci aiuta a

capire se siamo fedeli al progetto di Dio. Ecco perché siamo chiamati ‘sale

della terra e luce del mondo’ perché dovremmo impegnarci piano piano a

diffondere questo progetto; l’altro, lo vediamo tutti i giorni va avanti:

guerre, soprusi, odio, violenza.

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Recitando l’Ave Maria affidiamo alla Madonna Lia, la nipotina di Tiziana, nata ieri e

tutte le nostre amiche in difficoltà.

Rinnovandoci gli auguri di Buon Anno, terminiamo con una fetta di panettone offerto da

Lina.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA dell’ undicesimo incontro: 6 febbraio 2014

IL RITORNO: VARI PROGETTI di RICOSTRUZIONE Il progetto di Esdra (440-350 a. C.) Esdra si era dedicato con tutto il cuore a studiare la

legge del Signore e a praticarla e a insegnare in Israele le leggi e le norme.” (Esd 7,10)

Accoglienza e Accensione del lume: Laura

Preghiera Esd 9,6-10,1: Adriana

Testi di studio: Neemia cap. 8; 9; 10

Oggi ci accoglie Laura con una bella riflessione, eccola:

Durante il periodo natalizio, alla televisione, ho visto delle immagini girate

nei centri di accoglienza per extracomunitari appena sbarcati a Lampedusa.

Questi, venivano fatti spogliare nudi in un grande stanzone al freddo e lavati con

getti d’acqua. Le immagini di quelle persone, nude, mi hanno ricordato un libro

che ho letto questa estate in vacanza, il cui titolo è Le catene di Gorée. Gorée è

un’isoletta bellissima che si trova nell’oceano Atlantico, come lo è la nostra

Lampedusa nel mezzo del mar Mediterraneo. Questo libro racconta la storia di

due grandi tragedie dell’umanità.

La prima tratta le vicende dei trafficanti di schiavi dapprima portoghesi, poi

olandesi, infine francesi che quasi trecento anni fa rapivano intere famiglie e

tribù di africani per portarli in America nelle piantagioni di cotone come schiavi.

Si stima che circa venti milioni di africani furono strappati via dalla loro terra,

dalle loro tradizioni e spogliati di tutti i loro averi. Solo dodicimila riuscirono a

superare il viaggio, tutti gli altri morirono e furono gettati ai pescecani.

Luogo di smistamento o di “accoglienza” di questi schiavi era appunto Gorée.

La seconda tragedia avvenne in epoca più recente il 12 agosto del 1944 a

Sant’Anna di Stazzema, un paesino sopra Pietrasanta in Versilia. Qui i nazisti,

quel giorno fecero una carneficina. Nel giro di poche ore, dalle sette alle dodici,

radunandole nella piazza del paesino, uccisero con una mitragliatrice, solo per

rappresaglia, cinquecentosessanta persone: donne anche incinta, bambini, vecchi.

Ciò che lascia ancora più inorriditi, è che il plotone di esecuzione era formato da

un gruppo di giovani nazisti di diciassette, diciotto anni e qualche adulto.

Ebbene vedendo le immagini di persone nude, inermi, spaesate, che sono

state diffuse da tutti i mezzi di comunicazione, il mio pensiero è corso ai campi

di concentramento nazisti e alle prigioni di molti paesi dove, ancora oggi, la

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tortura è all’ordine del giorno. Luoghi che hanno incarcerato migliaia di esseri

umani, presi con la violenza e la prepotenza, privati della loro libertà, defraudati

dei loro averi, allontanati dalle loro famiglie, esseri umani oppressi da un nemico

più forte, per motivi politici, di odio o di razzismo. In più, dopo tutto questo,

come ultimo atto di umiliazione, prima di uccidere o di torturare, venivano

spogliati nudi, come è avvenuto anche ai nostri giorni a Lampedusa, per togliere

loro anche ogni barlume di dignità: se si calpesta la dignità di una persona, si

calpesta anche la sua anima.

La mia piccola riflessione cade proprio su queste due parole: dignità e anima. “La dignità di una persona è una condizione di nobiltà morale a cui si deve rispetto in

quanto essere umano”.

“L’anima è parola affine al greco che vuol dire soffio o vento: in senso più generale è il

principio vitale dell’uomo, di cui costituisce la parte immateriale, origine e centro del

pensiero, del sentimento, della volontà, dell’amore e della stessa coscienza morale”. L’essere umano è fatto di corpo e anima, quando ti portano via l’anima ti

portano via tutto. Nel libro “Le catene di Gorée mi ha colpito una citazione

sull’anima scritta da Simone Weil, pensatrice, filosofa e scrittrice francese di

origine ebrea, la cui posizione etica fondamentale è stata quella di mettersi

costantemente dalla parte degli oppressi. Dunque, con riferimento agli africani

dell’isola di Gorée, che venivano allineati in colonne e fatti salire su un

piedistallo alto in modo che tutti i compratori potessero vederli, Simone Weil

scrive: “In quel momento il prigioniero diventava davvero uno schiavo. Ormai era una

mercanzia a tutti gli effetti, con un suo prezzo, come un oggetto o un animale domestico.

Quegli esseri umani erano trattati come “cose”. Strana cosa una “cosa” che ha un’anima,

strano stato per l’anima: chi sa quale sforzo le occorre ad ogni istante per conformarsi a

ciò, per torcersi e ripiegarsi in se medesima”. L’anima non è fatta per abitare una “cosa”,

quando vi sia costretta non vi è più nulla in essa che non subisca violenza”.“Che un essere

umano possa essere una “cosa”, è da un punto di vista logico una contraddizione, ma

quando l’impossibile è diventato realtà, la contraddizione diventa strazio per l’anima.” Di fronte a queste tragedie del passato e a tutte quelle che accadono tuttora,

mi viene da pensare che il Signore Dio ci ha donato il libero arbitrio, cioè la

capacità di scegliere e di decidere, secondo la nostra coscienza, quale via scegliere: “Vedi, io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male …” (Dt.30, 15). La coscienza di tutti noi, dunque, dovrebbe sempre portarci a scegliere quella

giusta.

L’isola di Gorée è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità nel 1978.

A Sant’Anna di Stazzema, in memoria di quelle vittime, in cima ad una

collinetta, hanno eretto una statua raffigurante il corpo inerte di una mamma che

copre la sua bambina per proteggerla. Questa bambina è la più piccola vittima di

Sant’Anna: aveva 20 giorni e si chiamava Anna.

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Ci soffermiamo a pensare alle tragedie e alle riflessioni di Laura che ci hanno

toccato nel profondo e, mentre lei accende il lume per ricordare che Dio non

abbandona mai il suo popolo neanche nei momenti più tragici, recitiamo insieme

il Padre Nostro per ricordare chi ha vissuto, sta vivendo o vivrà queste sciagure.

Preghiera: Esd 9,6-10,1 – Introduzione di Adriana

Esdra e Neemia sono stati uomini che Dio ha usato non solo per restaurare

le mura e il Tempio di Gerusalemme, ma anche per ricostruire l'aspetto spirituale

e morale del popolo di Dio.

Motivo di questa preghiera sono i matrimoni misti con donne straniere. Esdra

vuole riportare Israele alla sua purezza religiosa ed etnica: "la stirpe santa". Dopo

aver compiuto un atto penitenziale con i riti tipici, pronuncia una supplica

solenne a Dio. La preghiera esprime l'angoscia di un popolo che avrebbe dovuto

imparare qualcosa dalla sua tragica storia e ha timore che l'ira del Signore possa

infiammarsi di nuovo. La storia di Israele è fatta di ribellione, di trasgressioni ai

comandi divini. Il popolo non ha riconosciuto i benefici che Dio ha operato, non

ha avuto fede in Lui e ha sostituito alla volontà di Dio, la volontà umana.

L'appello di Esdra si fa intenso e incita il popolo alla confessione del suo peccato

e alla conversione, perché possa sopravvivere quel "resto" che pur piccolo, si

rivelerà fedele al suo Signore. La grande supplica si conclude confidando nella

giustizia e nella misericordia di Dio. Papa Francesco ha detto che la preghiera,

sempre e comunque, è la strada che dobbiamo percorrere per affrontare i

momenti difficili, come le prove più drammatiche e il buio che a volte ci avvolge

in situazioni imprevedibili. Per trovare la via d'uscita bisogna pregare e avere

assoluta fiducia in Dio che mai ci abbandona, perché come suoi servi siamo

nelle palme delle sue mani, e lì vogliamo sempre rimanerci, al sicuro.

Condivisione

Il “resto” di cui ci ha parlato Adriana non è l’unico gruppo che si considera

“resto”. Ogni gruppetto si distingue per le esperienze diverse e per i valori in cui

crede. Non possiamo negare che uomini come Esdra e Neemia siano stati

importanti per il popolo ebraico e lo sono ancora oggi, hanno fondato il

Giudaismo. Molti rabbini, quando si parla della Legge di Mosè, pensano a Esdra

perché è stato lui che ha fatto conoscere la Legge al popolo, come abbiamo visto

nel cap. 9 di Neemia, ma il nostro punto di riferimento per noi, è Gesù, è Lui che

ha dato compimento alla legge antica. Qual è il progetto di Dio? Nei secoli i profeti

lo hanno portato avanti, ricordandolo continuamente al popolo che molto spesso

se ne allontanava. In questo periodo storico è tutto in evoluzione, non c’è

stabilità, non ci sono certezze. Quale immagine di Dio esce da questi versetti?

Esdra teme che la cultura Babilonese o Egiziana possa imporsi fino al punto di

cancellare il popolo eletto, per questo vuole la purità:“Il paese di cui voi andate a

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prendere possesso è un paese immondo, per l’immondezza dei popoli indigeni, per le

nefandezze di cui l’hanno colmato da un capo all’altro per le loro impurità” (Esd 9,11).

“La storia è retta dalla grazia di Dio e dalla confusione degli uomini” (Elio Guerrero).

v 6-7 “Mio Dio sono confuso , ho vergogna di alzare, Dio mio, la faccia verso di te, poiché

le nostre colpe si sono moltiplicate fin sopra la nostra testa” Esdra chiede perdono al

Signore a nome di tutto il popolo, dei re e dei sacerdoti. Anche Giovanni Paolo

II, davanti al muro di Gerusalemme, ha chiesto perdono per tutti gli errori

commessi dalla Chiesa nel corso degli anni. Tutti dovremmo seguire la nostra

coscienza, allora perché spesso scegliamo altre vie? E’ successo allora e continua

anche oggi. Le cose non vanno molto bene, dobbiamo sempre lottare per tutto. Ci

chiediamo: ‘Cosa possiamo fare nel nostro piccolo?’ Spesso ci scoraggiamo, ci

sentiamo impotenti. Coloro che potrebbero cambiare qualcosa, dall’alto della

piramide non lo fanno, anzi c’è sempre più corruzione, disonestà, nessuno prende

decisioni a favore dei meno abbienti e tutto continua peggio di prima. Invece di

abbatterci o scoraggiarci dobbiamo pensare che la cima della piramide è

sostenuta dalla base! Perciò iniziamo dal nostro comportamento, per quanto

possiamo, andiamo contro la mentalità che sembra vincente, cercando di

coinvolgere quelli che ci stanno intorno, come un’onda che si espande e, a poco a

poco, qualcosa può cambiare.

v 8 “Ora il nostro Dio ci ha fatto grazia: ha liberato un resto di noi”. Anche noi

vogliamo essere il “resto” che porta speranza anche là dove non sembra ce ne sia,

e diventare luce per tutti.

v 9-11 “Perché noi siamo schiavi; ma nella nostra schiavitù Dio non ci ha abbandonati” .

Queste parole ci rinfrancano, Dio non ci abbandona mai. Tocca a noi camminare

sulle sue vie per essere partecipi nella storia della salvezza.

La differenza tra l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento è che l’A.T. segue

la legge, il N.T. segue l’amore. Quello di cui tutti noi abbiamo bisogno è

l’amore! Se in ogni circostanza, noi seguiremo la via dell’amore che viene dal

profondo del cuore, allora diventeremo sale e lievito della terra e luce del mondo.

Riflessione di Rosanna G. Leggendo il versetto 12 del cap. 9 di Esdra: "Per questo non dovete dare le vostre

figlie ai loro figli, né prendere le loro figlie per i vostri figli! Non cercate mai la loro

prosperità, né il loro benessere, affinché possiate diventare voi forti, potendo mangiare i

frutti migliori del paese e lasciare un'eredità ai vostri figli per sempre.", mi è venuto in

mente che, pur tenuto conto sia del contesto storico in cui vive tutto il popolo ebreo, sia del

motivo fondante per cui Esdra attribuisce a Dio le parole del versetto 12: tenere lontana

l'idolatria. In questa preghiera c'è senz'altro retta coscienza perché si torni alla purezza di

vita che Dio vuole, ma debolezza della mente umana che vede Dio secondo il proprio

pensiero e il momento storico che sta vivendo, questo succede anche a noi tante volte nelle

nostre preghiere di intercessione: la nostra coscienza è onesta, crediamo di chiedere il

meglio, ma è un po' annebbiata dal nostro limite di non saper vedere il vero bene nelle cose,

a volte scambiando la nostra volontà per la sua.

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Con al Riorganizzazione del post esilio, le famiglie si trovano di fronte ad

una scelta terribile: tenere la moglie e i figli o far parte del popolo eletto?

Abbiamo visto che la radice del popolo non è pura ma comprende popolazioni e

razze diverse, schiavi, hapiru.

Ci chiediamo: qual è il vero Dio, quello dell’amore o il Dio che punisce?

Il popolo aveva paura di commettere peccati, pensava che Dio fosse pronto a

punirlo, mandandolo di nuovo in esilio, esperienza terribile che non voleva

assolutamente ripetere.

La prossima volta affronteremo il libro di Rut, una donna straniera che diventerà

la bisnonna di Davide. E’ una moabita e fa parte di coloro che Esdra ha

allontanato.

Con una preghiera insieme, concludiamo il nostro incontro.

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MEMORIA del dodicesimo incontro: 20 febbraio 2014

LA RESISTENZA DEL POPOLO: il Libro di Rut Accoglienza e accensione del lume: Fiorella

Preghiera: Rut 1,8-18 Rosanna G.

Testi di studio: tutti i quattro capitoli del Libro di Rut

Accendendo il lume, Fiorella ci accoglie con una riflessione tratta dal libro di

Bruno Ferrero “È di notte che si vedono le stelle”. E’ un libro di una semplicità

incredibile ma umanamente profondo, ci ricorda come nella vita le cose più

semplici sono quelle che aiutano a vivere nel buio e fanno nascere emozioni vere.

Commento di Fiorella

Quando le cose nella nostra vita vanno bene, viviamo nella luce del giorno, siamo

fiduciosi, tutto ci appare bello e vario, spesso però siamo distratti da quello che

vediamo e dai vari impegni che ci sembrano così importanti, quindi a volte pensiamo a

Dio in modo superficiale, questo perlomeno è successo a me. Quando invece anche per

noi arriva il buio più totale - può essere una sofferenza fisica o morale, nostra o di una

persona a noi vicina, una situazione di grave precarietà o la perdita di una persona

cara che lacera la nostra vita - ci sentiamo soli, soffocati dal nostro dolore e a volte ci

chiudiamo a riccio. La cosa veramente grande e stupefacente è che, quando siamo

sprofondati nell’abisso, proprio allora ci rendiamo conto che “è di notte che si vedono

le stelle”.

È soprattutto nei momenti bui e pesanti che si riesce ad avvertire la presenza, la

vicinanza di Gesù che soffre sulla croce - rivelazione del suo amore incondizionato

verso di noi - e sta al nostro fianco, non lasciandoci soli. L’essere accomunati a Cristo

nella sofferenza, dona pace e può aiutare a dare un senso nuovo alla nostra vita che

sembrava persa. In definitiva la luce del Signore Gesù illumina il nostro buio come il

chiarore delle stelle illumina la notte più profonda.

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La Parola della Bibbia in questo cammino mi è di grande conforto e termino citando un

versetto che conosciamo bene del Salmo 119 “Lampada ai miei passi è la tua Parola”.

Colgo questa occasione per ringraziarvi per l’aiuto che direttamente o indirettamente

mi state dando con la vostra presenza e la vostra parola.

Ringraziamo Fiorella per il suo intervento che ci ha molto commosso e

intoniamo insieme il canto “Il Signore è la luce che umilia la notte”.

Preghiera: Rut 1,8-18 Introduzione di Rosanna

Il Libro di Rut è uno dei libri più brevi della Bibbia, preceduto solo dal

libro di Abdia (21 versetti) e dalla Seconda Lettera di Giovanni (13 versetti).

E’ ambientato al tempo dei Giudici (1200-1100 a.C.) ma scritto, quasi sicuramente,

dopo l’esilio babilonese.

La storia è molto lineare, scritta come novella intesa nell’accezione della

parabola, cioè un racconto che indica orientamenti, mostra dei valori e aiuta a

capire e dare significato alla vita.

Per alcuni esegeti ogni passaggio della novella può essere interpretato come

una fase della storia del popolo ebreo, ad esempio Noemi e Rut che tornano a

Betlemme può simbolicamente rappresentare il ritorno di tutto il popolo d’Israele

dall’esilio in Egitto o in Babilonia, conducendo con sé una porzione d’altri

popoli.

Per altri, l’autore o gli autori hanno scritto questo racconto per dare una

risposta al problema dei matrimoni misti, perché molti ebrei durante l’esilio

babilonese avevano sposato donne pagane e al rientro nella loro terra, questi

matrimoni erano stati duramente contrastati da leggi emanate secondo le direttive

di Esdra, che vedeva in Israele la nazione santa la quale aveva diritto di

riprendere possesso della terra “promessa”. L’autore, fa diventare Rut la

bisnonna del re Davide, fa scorrere in lui sangue moabita, ma non per questo

viene diminuita la sua personalità, né viene meno la predilezione divina nei suoi

riguardi.

Alla luce di questo episodio l’autore fa capire implicitamente che i matrimoni

misti del suo tempo non costituiscono un pericolo né razziale né religioso.

Rut è una figura di grande spessore morale. Rimasta vedova di uno dei figli

di Noemi, che era emigrata con il marito Elimélec a Moab, vuole seguire la

suocera, anche lei vedova, che desidera ritornare a Betlemme, la sua città.

Booz, ricco proprietario terriero, parente della famiglia di Noemi, ammirato

dalla devozione filiale di Rut verso la suocera, come parente prossimo la sposa e

da questo matrimonio nasce il nonno paterno di Davide.

Perché temere dunque tutti questi matrimoni misti se nelle donne straniere

possono rifulgere le stesse virtù di Rut?

Umile donna straniera, entra a far parte del popolo eletto per mezzo della legge

del levirato, nella sua forma più antica e originale.

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Condivisione Riprendiamo l’introduzione di Fiorella: “È nel buio che si vedono le stelle”, raccontiamo

insieme la storia di Rut e Noemi, osservando le “stelle” che troviamo in questo racconto,

dove si parla inizialmente di sofferenza, dolore, morte e povertà. La notizia che a Betlemme c’è di nuovo pane, dà il coraggio a Noemi di

ritornare nella sua terra, nonostante lei sia diventata “piena di amarezza”

perché senza più marito né figli.

Rut non lascia la suocera ma sceglie di seguirla ovunque vada e di rimanere

con lei per sempre.

Per Noemi, Rut rappresenta la speranza e un inizio di qualcosa di nuovo:

Rut vuole diventare israelita, accettare la religione e il Dio della suocera,

condividere la sua vita con lei, nel bene e nel male.

Il loro arrivo a Betlemme è al tempo della mietitura dell’orzo: già un

preludio di una vita di abbondanza, senza più fame.

Il Libro di Rut anche se è una parabola, non è una storia inventata totalmente,

parte da situazioni reali che il popolo viveva e aiuta a riflettere e a ricercare la

verità più profonda.

La classe sacerdotale aveva istituito la legge sulla purezza della razza con tutto

ciò che essa comportava, le donne straniere venivano sempre accusate di

idolatria. I progetti di Esdra e Neemia volevano riportare il popolo alla fedeltà al

Dio dell’Alleanza.

La storia di Rut affronta il problema delle diverse religioni. Il dialogo tra le

diverse culture e religioni è necessario.

Rut ci insegna che l’amore unifica, crea relazioni nuove. Amore vuol dire anche

accettare lo straniero. Noemi e Rut si accettano reciprocamente, anche se è Rut

che fa un atto di fedeltà grande nei confronti della suocera Noemi.

Questo racconto è un ritorno alle origini, insegna a non dimenticare chi siamo e

da dove veniamo, ha in sé il desiderio di rivalutare le Leggi che promuovevano la

vita: la legge del levirato (Dt 25,5-6), la legge del riscatto (Lv 25,2-7) e del diritto

alla terra per tutti.

Significativa è la libertà con cui Rut si destreggia nel seguire i consigli di

Noemi, il che dimostra il suo coraggio nell’affrontare il futuro.

Significativo è il coraggio di queste due donne che nonostante fossero di

culture diverse la pensavano allo stesso modo e avevano desideri e intenti

comuni.

E’ determinante come le donne abbiano la capacità di portare cambiamento.

Il cambiamento parte sempre dal basso, dai poveri, dalla casa; Noemi

quando si trovava ancora a Moab, lascia libere le due nuore affinché

proseguano il loro cammino di vita nei luoghi dove sono nate. Ognuna di

loro sceglie autonomamente il proprio destino: Orpa ritorna sui suoi passi,

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mentre Rut sceglie una trasformazione radicale, resta con la suocera e

abbraccia la sua fede, la sua famiglia, pur sapendo di andare incontro a

problemi di integrazione. Sono le donne che nel dolore hanno il coraggio e

la forza di combattere, di riprendere il cammino della fede e di guardare

sempre a Dio, in Lui ritrovano la forza di ricominciare.

Gianna mette in luce come nel vangelo di Marco il primo miracolo di Gesù è quello fatto

in casa di Pietro, cioè la guarigione della suocera che appena guarita “serve” Gesù e i

discepoli: prima discepola nella casa.

Le due parole chiave della vicenda di Rut sono “bontà” e “misericordia”;

la bontà coinvolge tutti i protagonisti: Noemi, Rut, Booz, persino gli

spigolatori del campo di Booz hanno accettato di non molestare la straniera;

la misericordia di Dio si fa presente nel concedere a tutti la sua grazia,

ricompensando i singoli individui e premiandoli per i loro atti di bontà.

In particolare la misericordia di Dio si manifesta verso Noemi; mentre tutto

il popolo e gli anziani elevano una preghiera al Signore perché Rut diventi

una matriarca come Rachele e Lia (Rt 4,11).

Rut partorisce un figlio, ma le donne dicono a Noemi: "Benedetto il Signore, il quale oggi non ti ha fatto mancare uno che esercitasse il diritto di

riscatto. Il suo nome sarà ricordato in Israele! Egli sarà il tuo consolatore e il sostegno

della tua vecchiaia, perché lo ha partorito tua nuora, che ti ama e che vale per te più di sette

figli". Noemi prese il bambino, se lo pose in grembo e gli fece da nutrice. Le vicine gli

cercavano un nome e dicevano: "È nato un figlio a Noemi!". E lo chiamarono Obed. Egli fu

il padre di Iesse, padre di Davide.” (Rt 4,13-17)

Attualizzazione

Noemi e Rut possono simbolicamente rappresentare il dialogo tra religioni

e culture. Sia in Noemi che in Rut c’è l’accettazione del diverso.

Universalità della salvezza: Dio a volte rievangelizza il suo popolo

mediante altri che formalmente non gli appartengono, ma che di fatto sono

suoi. La salvezza non dipende da carne e sangue, ma da fede e amore.

Rut sceglie liberamente di seguire Noemi nella sua miseria e diventa così

modello per il popolo d’Israele e per tutti noi. Notiamo qui la profezia della casa: non ci sono riferimenti a re, sacerdoti, sacrifici, altari,

ma una donna straniera è portatrice di salvezza. Strumento di Dio non sono i potenti ma

gli umili.

E’ importante la figura di Rut in questa vicenda e fa molto riflettere il fatto che una

moabita possa arrivare ad avere una parte così importante nella discendenza di Gesù.

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MEMORIA del tredicesimo incontro: 6 marzo 2014

LA RESISTENZA DEL POPOLO: la parabola di Giona

Accoglienza e Accensione del lume: Ivana

Preghiera: Giona cap. 2 – Rosarita

Testi di studio: tutti i quattro capitoli del Libro del profeta Giona

In occasione della prossima festa dell’8 marzo, Ivana ci accoglie dedicando il suo pensiero

a tutte le donne.

Riflessione di Ivana

Accendendo il cero che ci ricorda la presenza di Dio, vorrei parlare dell’8 marzo che

è la festa delle donne, di tutte le donne, è una festa universale. Vorrei dedicare questa luce,

non alle donne celebri che hanno fatto la storia, o scoperte straordinarie, o dedicato la

propria vita ai poveri, penso a Madre Teresa di Calcutta, a Madame Curie, Montessori,

Montalcini, Hack, solo per fare qualche nome; neppure alle straordinarie donne della

Bibbia incontrate durante il nostro percorso biblico (Maria, Rut, Noemi e tante altre);

nemmeno alle tante donne coraggiose che hanno combattuto, dando a volte la propria vita,

per la dignità e la libertà delle donne contro la violenza; né per le tante donne partigiane

che hanno combattuto valorosamente per dare un futuro di libertà ai nostri figli. Di loro se

n’è parlato e se ne parla tanto attraverso i mass-media, i libri, le conferenze.

Voglio invece dedicare questa luce a noi che facciamo parte di questa piccola

comunità e ringraziare il Signore per averci guidato al gruppo del giovedì. Noi non siamo

donne celebri ma abbiamo un talento importante: quello di cercare di far vivere la Parola

nella nostra vita di tutti i giorni.

Questa luce che illumina il nostro percorso, ha portato nel gruppo, amicizia, armonia,

condivisione, aiuto reciproco, doni veramente rari di questi tempi, in controtendenza con

questa società in cui prevale la violenza, la rabbia e l’insulto. Secondo me questa è la prova

che la luce di Dio agisce dentro di noi, aumenta la nostra fede, ci indica la strada da

percorrere e ci sprona a fare il bene.

Penso a tante tra noi che dedicano parte del loro tempo e della loro energia ad

aiutare con amore, impegno e responsabilità i più bisognosi attraverso la Caritas o la San

Vincenzo; chi si occupa dei missionari, chi assiste i propri familiari in difficoltà, o anche

semplicemente ascolta e regala un sorriso, o condivide una preghiera.

È a tutte noi che voglio fare gli auguri perché, con l’aiuto di Dio, questa bella armonia e

amicizia ci accompagnino sempre. Ringraziamo Ivana per la sua bella riflessione e recitiamo insieme l’Ave Maria

per tutte le donne.

Preghiera: Giona cap. 2 Introduzione di Rosarita

Il libro di Giona è una novella popolare, anche se è fra i libri dei profeti.

Non è stato scritto da un profeta ma ha la forza di una profezia: ossia ci dice il

modo di pensare e di esprimersi del popolo, con i suoi problemi e le sue

soluzioni.

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Il popolo racconta le sue storie ambientando nel passato i suoi conflitti. Il

profeta Giona, di cui si parla nel nostro racconto, si trova nel Secondo Libro dei

Re (cap. 14,25) al tempo di Geroboamo nell'ottavo sec. a. C., ma la novella è stata

scritta dopo la riforma religiosa di Esdra.

Il libro di Giona fa vedere che Dio non si preoccupa solo del popolo eletto,

ma di qualunque persona. Ci dice che il “popolo di Dio”, nel suo cammino

tortuoso attraverso la storia, è strumento per portare un messaggio di speranza e

salvezza a tutti i popoli, qui simboleggiati dalla città di Ninive.

Il libro è suddiviso in quattro brevi capitoli: in modo ironico mette in

ridicolo il comportamento del profeta. Giona crede in Dio, ma non gli ubbidisce.

E’ chiamato per una missione, parte, fuggendo però verso la direzione opposta a

quella indicata da Dio, cercando di allontanarsi così dalla sua presenza.

Dalla Samaria deve andare a Ninive, capitale dell’Assiria, antico simbolo di

oppressione per Israele e si imbarca invece verso la Spagna. I marinai presenti

sulla nave, durante lo scatenarsi della violenta tempesta, si comportano meglio di

Giona: loro pregano il loro dio, mentre il profeta dorme. Essi manifestano la loro

umanità tentando di raggiungere la terraferma, pur di non buttare Giona in mare,

ma alla fine sono costretti a farlo e invocano JHWH per il gesto che hanno

dovuto compiere.

Giona si ravvede solo quando è nella pancia del pesce, esprimendo con la

preghiera la sua angoscia, rinnovando a Dio la promessa di andare a Ninive.

Ninive è una città molto grande di tre giorni di cammino, ma il re e i suoi

abitanti si convertono nell’unico giorno di predicazione di Giona, con sua grande

sorpresa e disappunto. La parabola di Giona annuncia come la salvezza sia per

tutti i popoli e l’amore di Dio universale. Giona, contro la sua stessa volontà, è il

primo missionario in terra straniera.

Gesù riprende questo racconto (cfr Matteo 12,40) come simbolo e contrappone

la conversione degli abitanti di Ninive all’incredulità dei suoi contemporanei, che

chiedono un segno perché possano credere alle sue parole. Leggiamo insieme tutto il Libro di Giona, già analizzato nei gruppetti, cercando di

attualizzarlo

Capitolo primo

Notiamo subito che i marinai pagani durante la tempesta pregano i loro dei:

sono più religiosi di Giona che invece di pregare, dorme. Ci sono delle persone

che formalmente sembrano lontane da Dio ma se vivono secondo coscienza, sono

più vicine di quelle che si proclamano cristiane senza esserlo veramente. Anche

se Giona, alle domande dei marinai che l’hanno svegliato per l’infuriare della

tempesta, ha proclamato la sua fede dicendo: “Sono Ebreo e venero il Signore Dio del

cielo il quale ha fatto il mare e la terra” (v.9) e ha continuato: “Gettatemi in mare e si

calmerà” (v.12), emerge soprattutto il fatto che Dio gli dà un ordine e lui scappa

46

lontano, ha paura, non vuole prendersi questo impegno. Il testo è molto attuale

perché è tipico di tutti noi fuggire dalle responsabilità, cercando di trovare

sempre delle scuse.

Nel momento in cui, buttando Giona in mare, la tempesta si placa, i marinai

pagani vedono la potenza del Dio di Giona e subito si mettono a pregarlo e a

supplicarlo. “Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici e

fecero voti” (v.16). Paradossalmente i pagani mostrano più fede di Giona, nel

momento del bisogno loro pregano e Giona dorme nell’angolo più remoto della

nave. Si osserva in Giona una grande chiusura interiore: non capisce perché Dio

voglia aiutare Ninive, una città pagana da sempre nemica d’Israele, ha paura, non

ha fiducia nel Signore, ha una fede debole ed è ripiegato su se stesso.

Attualizzando:

Un atteggiamento molto comune è quello di voler trovare sempre un

colpevole, un capro espiatorio, (in questo caso Giona durante la tempesta) e

poter dire ‘è colpa sua!’. Anche noi, quando possiamo, cerchiamo di dare la

colpa a qualcun altro, a volte la diamo perfino a Dio, soprattutto quando ci

capita un lutto, una disgrazia, una grave malattia.

Giona si sente incapace di affrontare una città pagana e nemica, è un

debole, gli manca il coraggio, ha paura. Spesso anche noi, come Giona,

prendiamo degli atteggiamenti sbagliati, troviamo delle attenuanti ai nostri

errori, a certi comportamenti dovuti a mancanza di coraggio, poiché non

poniamo la nostra fiducia in Dio. I marinai pagani non hanno buttato subito

Giona in mare, prima di arrivare a questa soluzione hanno fatto di tutto per

salvarlo.

Possiamo attualizzare la parabola anche da questo punto di vista: il Signore

prima ci interpella, ci indica una strada da seguire, noi scegliamo di andare

da un’altra parte, quindi ci manda una ‘tempesta’ per farci ritornare sui

nostri passi.

Dio non ha condannato Giona alla morte per aver disobbedito ai suoi

comandi, ma lo ha salvato mandandolo nella pancia del pesce: alle nostre

paure, ai nostri peccati, Lui contrappone la sua misericordia, il suo amore e

ci salva; questo racconto ci vuol dire anche che Dio si serve non solo dei

più coraggiosi, dei più bravi, ma anche dei deboli, dei codardi, si serve di

me…di te…di tutti.

Capitolo secondo

Giona rimane nella pancia del pesce per tre giorni e tre notti. Questo è il

tempo che gli è stato lasciato per riflettere. Nella cultura ebraica si diceva che

l’anima rimanesse nel corpo fino a tre giorni dopo la morte. Giona si ravvede,

prega con fede il Signore e gli rinnova la sua promessa: “Ma io con voce di lode

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offrirò a te un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore”. Il

Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto (v.10-11).

Capitolo terzo

Gli abitanti di Ninive si convertono tutti in un giorno ascoltando l’annuncio

frettoloso e poco convincente di Giona:“Ancora quaranta giorni e Ninive sarà

distrutta” (v.4), forse la loro conversione è dovuta anche alla paura.

Dio vuole dimostrare che la salvezza non è solo per gli ebrei ma per tutti,

c’è un accenno all’universalità della salvezza. Ninive era una città malvagia

eppure si converte. “I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno,

vestirono di sacco dal più grande al più piccolo”(v.5). in questo racconto il re di Ninive

ha un comportamento esemplare: “Egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di

sacco e si mise a sedere sulla cenere”(v.6), come tutti i suoi sudditi. Questo è il primo

atteggiamento di conversione, il re ha cambiato totalmente il suo modo di vivere,

si è messo allo stesso livello del popolo e chiede a tutti di cambiare la propria

condotta: “Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno

si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani” (v.8).

L’atteggiamento di stare seduti nella cenere è riconoscere che noi siamo

polvere e abbiamo bisogno d’aiuto per distaccarci dal nostro peccato. Gli abitanti

di Ninive però non conoscono la misericordia di Dio e lo invocano così: “Chi sa

che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?”

(v.9). Dio, riconoscendo che si erano pentiti dalla loro condotta e avevano

cambiato vita, si impietosisce e non fa il male che aveva minacciato di fare a

quella città.

Come già detto nell’introduzione, ricordiamo che questa parabola parla del

profeta Giona vissuto al tempo di Geroboamo II (ottavo secolo a. C.). in quel periodo

la grande città di Ninive con il suo re, aveva distrutto il regno del nord,

conquistando la Samaria e deportandone la popolazione. È quasi impossibile

avere compassione di quelli che hanno ucciso, distrutto, saccheggiato, violentato,

dunque l’atteggiamento del profeta potrebbe essere giustificato, ma Dio dice:

‘Non ho misericordia solo di te ma anche dei tuoi uccisori’. Dio è misericordioso con

tutti, anche con quelli che consideriamo nostri nemici.

Giona resiste al comando del Signore perché la città di Ninive è il suo

nemico! È molto difficile a volte capire la misericordia e l’amore di Dio! Solo la

conversione ci può aiutare ad entrare nella grandezza del suo amore.

Attualizzando:

Ancora oggi in molti Stati c’è la pena di morte: chi ha ucciso merita la

morte; con questo atteggiamento non si dà nessuna possibilità alla persona

di provare a cambiare vita. Il re di Ninive è cambiato, è sceso dal trono, si è

umiliato, si è fatto pari ai suoi sudditi.

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Molte persone di pace, Gandhi, Martin Luther King, Don Puglisi, solo per potare

qualche esempio, hanno predicato la tolleranza, la non violenza, il dialogo.

La violenza non si deve giustificare: il nostro Dio dice di non rispondere alla

violenza con altra violenza.

La giustizia terrena deve fare il suo corso ma noi che crediamo, dobbiamo

porci questo grande problema. Il messaggio non è per tutti ma coloro che

credono nel Dio della vita, devono cercare di seguire il suo insegnamento:

saper perdonare, come ha fatto Gesù sulla croce che ha detto: “Padre

perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Papa Francesco, in una recente

omelia ci ha incoraggiato: “Anche se i nostri peccati fossero enormi, Dio ci

perdonerà”. Differenza tra perdono e ricordo del male ricevuto: è difficile dimenticare

chi ci ha procurato una ferita grave, il ricordo rimane, ma con l’aiuto di

Dio, del suo Spirito si può perdonare, il tempo ci aiuta anche ad affievolire

sempre più il ricordo.

Per-dono: è un dono che riceviamo innanzitutto da Dio e possiamo “donare”

a chi ci ha fatto del male. Anche noi abbiamo bisogno di perdono, tutti

facciamo l’esperienza di donare e ricevere il perdono.

Capitolo quarto

Dio con la sua misericordia, ci vuole educare e ci provoca. Giona però

prova un grande dispiacere e dice addirittura che vuole morire, quasi rimprovera

Dio per aver salvato Ninive.

Noi siamo ‘di dura cervice’ e facciamo fatica ad uscire dal nostro egoismo.

Giona si allontana dalla città e si rallegra quando Dio fa nascere una pianta

di ricino per proteggerlo dal sole, ma il giorno dopo la pianta si secca.

Dio vuole mettere alla prova Giona e verificare la sua fede; infatti quando si

lamenta e di nuovo invoca la morte, Dio gli fa notare che lui si sta agitando per

una pianta e non si preoccupa del destino di un’intera città: “Tu hai pietà per quella

pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in

una notte è cresciuta e in una notte è perita! E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella

grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere

fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?” (Gb 4,10-11). Dio è stato misericordioso con Ninive che si è convertita in un solo giorno: se ha

pietà dei peccatori, ancora di più ha misericordia di chi non sa distinguere la

mano destra dalla sinistra, potrebbero essere i bambini o persone incapaci di

intendere e di volere, ma non esclude nemmeno gli animali dal suo amore;

Ninive rappresenta tutti i popoli pagani. Dio salva anche Giona che rappresenta il

popolo d’Israele.

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Attualizzando:

La nostra conversione può cominciare con l’avere occhi diversi nel

guardare chi vive intorno a noi, considerare le persone straniere come parte

della nostra comunità, mostrare il nostro interessamento verso di loro,

partecipando e condividendo i loro problemi; questo fa nascere in noi la

consapevolezza che siamo tutti figli di un unico Dio (cfr Ef 4,6). Possiamo

appartenere a culture diverse ma il cuore dell’uomo è lo stesso, abbiamo gli

stessi sentimenti, proviamo dolore, fame, sete, possiamo amare e possiamo

anche odiare…tutti siamo nati dalla polvere, tutti siamo fatti a immagine di

Dio, tutti siamo figli dello stesso Padre che è nei cieli.

Noi cristiani non dovremmo avere paura del diverso, dello straniero, anche

se è facile che in noi nascano sentimenti di paura provocati da situazioni

difficili da comprendere.

La storia è piena di guerre, di sangue e vendette combattute in nome di Dio

da tutte le culture e da tutte le religioni, chi uccide nel Suo nome non

appartiene al Dio della vita.

Leggiamo la preghiera di Primo Mazzolari: “Ci impegniamo noi e non gli altri” per

ricordare che tutto deve partire da noi.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA del quattordicesimo incontro: 20 marzo 2014

LA RESISTENZA del POPOLO: Giobbe, una nuova esperienza di Dio

Accoglienza e accensione del lume: Carla P.

Preghiera Giobbe cap. 10: Laura

Testi di studio: Giobbe cap. 1; 2; 36; 37; 42

Riflessione di Carla Leggendo il libro di Giobbe mi sono ritrovata all’interno del racconto.

Quando la tua vita, che scorre lineare e tranquilla, all’improvviso precipita in un gorgo

senza fine, hai difficoltà nel credere che tutto ciò stia capitando proprio a te. In quell’istante

il tempo si ferma, il lavoro non esiste più, il passato e il futuro si sono persi, la dimensione

del tempo è cambiata. Solo il presente, solo quello ti rimane. In questo tempo più che mai ti

ricordi di Dio e ti aggrappi a Lui e speri, speri anche se la speranza ti è stata tolta da

subito; poi entri nella fase del rifiuto di quello che ti capita, fingi con tutti che non ci sia

nulla di grave, non accetti questa situazione e ti domandi perché Dio ha distolto lo sguardo

dalla tua famiglia, perché non ti sostiene?

Ti ribelli, non puoi accettare tutto questo, hai un macigno che ti comprime il cuore, i

chilometri che percorri tutti i giorni per spostarti da casa all’ospedale e viceversa ti servono

per dar sfogo alla disperazione senza che nessuno ti veda; ti senti sprofondare in un abisso

senza fine, abbandonata e avvolta nel buio totale ripercorri la tua vita rivedi gli errori e le

prevaricazioni commesse, in un attimo comprendi tutta la tua piccolezza così ti aggrappi

all’infinita misericordia divina e quando pensi di avere raggiunto il fondo riscopri la fede o

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meglio ti viene donata una fede forte che ti fa comprendere che la vera realtà non è quella

che stiamo vivendo qui sulla terra, sarà in un’altra dimensione dove tutti ci ritroveremo.

Riappacificandomi con il Padre ho acquistato l’energia per sostenere i miei familiari e i

problemi che immancabilmente mi inseguono. Mi sono scrollata di dosso la zavorra che ci

tiene ancorati a questo mondo, a non arrabbiarmi per le cose negative che mi capitano ed

ho imparato a guardare il mio prossimo con occhi diversi.

Sono profondamente cambiata, tutto ciò che prima sembrava indispensabile ora non ha più

valore, le priorità sono cambiate, ora conta solo l’armonia interiore e quella che riesci a

trasmettere a chi ti sta vicino.

Questa esperienza mi ha avvicinata a Dio misericordioso che mi ha temprata nella prova e

che non mi ha tolto gli affetti perché tutte le mattine, quando mi sveglio, mi sento avvolta

dall’abbraccio dei miei cari che non vedo più ma che mi accompagnano nell’arco di tutta la

giornata sotto lo sguardo sorridente di un Dio buono.

Dopo questa perla bellissima sulla sofferenza che ci ha regalato, Carla accende il lume e

recitiamo insieme il Padre Nostro per ringraziare il Padre della sua bontà e misericordia.

Preghiera: Giobbe cap. 10 Introduzione di Laura

Il libro di Giobbe è uno dei capolavori della letteratura mondiale, si colloca tra il

V e il III secolo a. C., l’autore, probabilmente ebreo, è un poeta ignoto. Giobbe è

un personaggio leggendario e il suo ruolo in questo racconto è quello di un uomo

credente, fedele, integro, alieno dal male ma è anche ricchissimo, rispettato da

tutti e benedetto da Dio. Ebbene quest’uomo viene fatto oggetto di una crudele

sfida tra Dio e Satana. Ciò che scatena Satana per questa sfida è la grande

considerazione che Dio ha nei confronti del suo servo più fedele perché è sicuro

che mai e poi mai Giobbe l’avrebbe tradito. Satana mette in dubbio la parola di

Dio sostenendo che, se la fortuna di Giobbe svanisse improvvisamente, lui si

manterrebbe comunque fedele? Dio sentendosi punto sul vivo accoglie la

provocazione di Satana e lo autorizza ad agire, senza però provocargli la morte

finale. Nel giro di poco tempo Giobbe sopporta con rassegnazione la perdita di

tutti i suoi beni, la morte dei figli, l’incomprensione della moglie e tutta la

sofferenza dovuta alla sua malattia. “Se da Dio accettiamo il bene, perché non

dovremmo accettare il male?”(Gb 2,10b). Non solo, sopporta anche i rimproveri dei

suoi tre amici/saggi senza bestemmiare una sola volta il suo Dio. Inizialmente

Giobbe accetta tutto ma poi lotta per rivendicare la sua innocenza ed avere

giustizia dal Signore e dai suoi amici. Inizia una specie di processo in cui Giobbe

parla per primo, si ribella a Dio perché è sicuro di non meritare un trattamento

simile: parla della sua sofferenza, che non è soltanto esteriore, perdita dei beni e dei figli,

non è neanche per la malattia o per l’incomprensione della moglie, ma è un dolore che

nasce nel profondo dell’anima, un dolore che nasce dalla fede. Giobbe si sente lontano da

Dio, non ha più la certezza che Dio sia giusto e che le sue benedizioni non vengano mai

meno. L’esperienza che sta vivendo, gli mostra che esiste il “male ingiusto” non dovuto al

peccato.

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Poi prendono la parola i suoi tre amici uno dopo l’altro, ma essi non fanno che

ricalcare la dottrina dei saggi di quel tempo, secondo cui nel mondo la sciagura

colpisce chi è nel peccato, mentre il giusto vive felice, dunque, se Giobbe soffre

vuol dire che è un peccatore perché solo un colpevole può soffrire così. Pertanto,

secondo gli amici/nemici, a Giobbe non resterebbe altro che proclamarsi

peccatore e chiedere perdono a Dio.

Nel cap.10 Giobbe fa un’accusa implacabile contro la condotta di Dio e, nella sua

lacerante preghiera, gli mostra il suo travaglio quotidiano, la sua sofferenza, si

appella a lui, vuole entrare in causa con lui, prende di mira soprattutto la sapienza

tradizionale che ha elaborato la dottrina della retribuzione, secondo la quale ogni

sofferenza è mandata da Dio come punizione dei peccati personali.

Giobbe non accetta questo tipo di accusa enormemente ingiusta perché sa di

essere innocente.

Il primo versetto della sua lamentazione riassume tutto il suo pensiero: “Non

ritenermi colpevole. Fammi sapere di che cosa mi accusi” (Gb.10,2). Per concludere,

Giobbe diventa l’avvocato di se stesso e la sua apologia finale non ha altro scopo

che quella di forzare Dio a mostrarsi. Ma Giobbe è un credente che, pur cadendo

nella più cupa disperazione per il silenzio totale di Dio, continua a cercarlo e a

sperare nella sua benevolenza. Tema centrale di tutto il libro di Giobbe è la

sofferenza dell’innocente e il bisogno di capire, prima ancora di chiedere

giustizia. Da una prima accettazione e rassegnazione Giobbe passa al rifiuto e poi

dalla collera, all’aperta rivolta e accusa contro Dio. Giobbe rappresenta la contraddizione della nostra stessa esistenza: cioè il giusto che soffre

senza colpa e il malvagio che invece prospera. È la nostra continua ricerca della giustizia

umana, che dovrebbe colpire chi fa il male e assolvere e premiare chi fa il bene e che è

totalmente diversa dalla giustizia divina.

Ringraziamo Laura che, con sintesi e chiarezza, ci ha introdotto così bene nel

testo di Giobbe.

Condividiamo insieme

Il libro di Giobbe ruota intorno alla sofferenza innocente.

Giobbe non accetta quello che gli sta succedendo perché si ritiene un uomo

giusto, retto, integro, solidale con chi è nel bisogno. “È il più ricco dei figli

d’oriente”. Il parallelismo è evidente – dice Gallazzi – il più integro = il più ricco.

Anche in Giobbe è ben radicata la teologia della retribuzione, non può accettare

il male da Dio perché si ritiene un uomo giusto. Il suo errore è quello di voler

spiegare razionalmente il progetto di Dio, ma questo non lo si può fare, bisogna

solo avere fede e continuare a confidare in Lui, altrimenti la vita può diventare un

inferno.

Ci siamo ritrovate tutte nell’esperienza personale di Carla: prima c’è il

dolore che non comprendiamo e ci sommerge, poi c’è la rabbia anche con Dio:

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‘Perché proprio a me? Cosa ho fatto di male?’ È molto comune nei momenti di

maggiore afflizione, non riuscire a rapportarci con nessuno, rifiutare gli altri: Il

dolore è così violento che ci toglie tutto, in un momento niente ha più senso, il

mondo ci crolla addosso. In seguito abbiamo bisogno di qualcuno che ci consoli

e ci aiuti ad uscire da questo abisso in cui ci troviamo. La mano di un’amica, una

preghiera, ci possono aiutare a rinascere di nuovo. Sono percorsi lunghi, non tutte

abbiamo le stesse reazioni, ma è la vita che ci propone tempi di gioia e altri di

dolore; la fede ci aiuta, ci sostiene, sappiamo che Dio ci consola, ci è sempre

vicino.

Una nostra amica ricorda la bella poesia “Messaggio di tenerezza” di un

anonimo brasiliano che dice: ‘Non ci sono due orme nella sabbia nei momenti più

dolorosi della tua vita perché Io ti portavo in braccio’. Come ci ha detto Carla, con la

fede e l’affidamento ci sentiamo protette dallo ‘sguardo di un Dio buono’.

Gallazzi, nel suo commento al libro di Giobbe sintetizza in questa frase come

opera l’amore di Dio:

“L’onnipotenza creativa di YHWH non serve per schiacciare e umiliare la

creatura, ma per garantire a tutti noi che chi sta al nostro fianco, è colui che

tutto può, che tutto sa, che tutto vince. Non ci mette mai paura, nemmeno

quando noi siamo nella sofferenza, nel dolore e gridiamo a lui. Attraverso gli

occhi di YHWH, Giobbe è condotto a considerare la resistenza, la combattività,

la ribellione, la libertà e la sovranità della vita generata dalla forza di YHWH”

Giobbe ha perso tutto, i dieci figli, gli animali, i suoi possedimenti e infine la sua

salute. Il dolore è così grande che esce dal paese e non vuole parlare con nessuno.

Persino i tre amici, dopo aver pianto, tacciono per sette giorni e sette notti.

Quando gli amici iniziano a parlare, Giobbe si lamenta perché invece di

consolarlo lo confondono con le loro parole, certamente ha sentito più la loro

amicizia nella vicinanza e nel silenzio dei primi sette giorni.

Gallazzi, sempre nel suo commento, ci aiuta a vedere come viene chiamato Dio

nella storia di Giobbe: El, Elohim, Adonai, Eloah, El, Shaddai; questo è un Dio

a dimensione della gente, può essere pensato solo partendo dall’esperienza

umana, un Dio che ha i nostri stessi sentimenti e ‘funziona’ secondo i nostri

schemi.

YHWH invece ode il grido del suo popolo, scende, prende posizione, sta con noi,

ci ascolta, ci aiuta a liberarci, è un Dio che manda, dice a Mosé: ‘Va e libera il

mio popolo’, ci trasforma in combattenti, in eroi ed eroine.

A ruota libera abbiamo espresso i nostri pensieri attualizzando il libro di Giobbe :

Giobbe cercava un altro Dio che si era creato lui. Come può essere giusto

un Dio che opprime, non ascolta il grido, non si cura e non libera?

Leggo il libro Giobbe come una lotta al dolore, al male, non una lotta

contro qualcuno ma per uscire, per liberarmi; Giobbe esprime bene questi

sentimenti.

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Recitando il Padre Nostro diciamo ‘sia fatta la tua volontà’ se noi ogni giorno

pensassimo a questa frase non in modo sterile, potremmo trovare in Dio la

forza di reagire.

Sono appena tornata da Camaldoli dove ha vissuto un’esperienza molto

bella con Lorence Freeman, monaco benedettino che guida la comunità

mondiale per la meditazione cristiana; ho letto molte volte Giobbe nei

momenti in cui nella mia famiglia sono arrivate cose molto impegnative. Il

tempo per elaborare il dolore è necessario. Sentendo le vostre testimonianze

mi viene da pensare che ognuno di noi è Giobbe e ci comportiamo come

lui, anche noi ci facciamo una visione soggettiva della nostra relazione con

Dio per arrivare al passaggio dell’accettazione del male. E’ come se

volessimo farci un immagine personale di Dio e non accettarlo nella sua

trascendenza.

Noi diventiamo il Giobbe salvato quando accettiamo la misericordia di Dio,

comprendiamo che il suo amore e la sua misericordia sono di natura diversa

dalla nostra, ci affidiamo e confidiamo in questo amore eterno.

La testimonianza di Carla è vicina a tutti e quindi, nel sentirla, mi sono

immedesimata. Dio ineffabile ci è stato rivelato da Cristo che è nello stesso

tempo Giobbe e Colui che ci svela la misericordia di Dio.

Nel Vangelo di Matteo, si ricorda la profezia di Isaia: “Ecco, la vergine

concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con

noi (Mt 1,23) e si conclude con le parole di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni fino

alla fine del mondo” (Mt 28,20). Il nostro Dio è proprio questo! Nel Vangelo di

Giovanni Gesù si dà il nome di YHWH: ‘Io sono’ (cfr Gv 8,58) quel Dio che vi ha

fatto uscire dall’Egitto’. Gesù ha vissuto come noi tutti i passaggi della vita

umana, per questo ci è vicino, lui che ha vinto la morte ci può aiutare a

vincere tutte le nostre morti quotidiane.

Rosanna vuole spezzare una lancia a favore dei non credenti: la vicinanza

con Dio non si esprime concretamente nella realtà. Nell’anima ci sono vari

strati, si può anche non arrivare alla fede però credere nella legge morale, il

cielo stellato è dentro di noi. Come persona di fede ho visto credenti

disperarsi davanti ad un lutto e atei vivere le situazioni diversamente con

speranza. Ogni essere umano ha la capacità di fare un cammino e trovare

consolazione in vari modi.

Per chi non ha il dono della fede il cammino è più difficile, però può

trovare conforto attraverso le relazione con altre persone, credere nell’uomo

attraverso la solidarietà e l’attenzione al prossimo. Tutti gli uomini possono

distinguere il bene dal male perché la legge di Dio è in ciascuno di noi,

credente o non credente. Questa legge morale dà la possibilità a tutti di

essere persone integre, giuste e corrette.

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Ci sono due modi di vivere la fede: credere o avere fiducia. Ci si chiede come

persone totalmente atee possano vivere grandi dolori, esperienze molto

pesanti senza la fede. Pensiamo che vengano sostenuti da una speranza - è

questa la presenza di Dio che c’è in tutti - e credano nell’aiuto e nella

solidarietà tra gli uomini. Il dolore da soli non si può superare, è importante

trovare qualcuno che ti dia una mano; questa esperienza umana possono

farla credenti e non credenti. La fede può dare una chiave di lettura diversa

per tutti gli avvenimenti gioiosi o tristi della nostra vita.

Analizziamo insieme il capitolo 42: la conclusione del libro di Giobbe

Giobbe finalmente ha capito: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei

occhi ti vedono” (v. 5). Dio rimprovera gli amici di Giobbe che da amici erano diventati nemici. Alla

fine del racconto Giobbe prega per i suoi amici/nemici, anche loro hanno

ascoltato la Parola del Signore e si sono messi in una relazione diversa sia nei

confronti di YHWH, sia di Giobbe, da questo riconoscimento reciproco nasce

una rinnovata armonia. La nuova situazione di Giobbe avviene perché: “I suoi

fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo e mangiarono pane

in casa sua e lo commiserarono e lo consolarono e gli regalarono ognuno una piastra e

un anello d’oro”(v.11). La ricchezza di Giobbe è prodotta dalla condivisione, dalla solidarietà, tutto è

ricominciato perché nessuno ha avuto più paura della sua situazione, si è

avvicinato a Giobbe e ha condiviso preghiere, dolore, pane, ricchezze.

Di fronte ai grandi dolori spesso ci allontaniamo da chi soffre, solo se noi

stesse abbiamo vissuto un’esperienza dolorosa, il nostro atteggiamento

cambia e troviamo il modo di stare vicino a chi è nell’angoscia.

Non sempre è per insensibilità che ci si allontana, di fronte alla sofferenza

la gente non sa cosa dire, tutto sembra banale, senza significato, le persone

non sanno come consolare, come aiutare. Ci si sente inadeguati. A volte è

sufficiente stare vicino in silenzio. Quando si soffre a volte diventiamo

scostanti, ci chiudiamo in noi stessi e gli altri non sanno come avvicinarci.

E’ importante saper ascoltare e non parlare, tante persone hanno bisogno

solo di essere ascoltate.

Dalla cenere dove si trovava Giobbe nel suo dolore, è nata una nuova

creazione avvenuta attraverso YHWH che scende, ascolta, ama, dona la forza

di rialzarsi e di riprendere il cammino.

La nostra riflessione su Giobbe e la sofferenza non finisce qui. Il 10 aprile faremo una

preghiera di intercessione. Le preghiere non servono a Dio ma a noi per prendere coscienza

della realtà, accogliere nel nostro cuore il dolore di chi ci vive accanto e il dolore del

mondo.

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Il Signore non ha mani, usa le nostre per portare pane, amore, conforto a chi non ne ha.

Aiutiamoci a vicenda per vincere il male con il bene.

A conclusione ricordiamo le nostre amiche assenti, pregando l’Ave Maria.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA del quindicesimo incontro: 3 aprile 2014

La nuova legge proposta da Gesù

Accoglienza accensione del lume: Carla B.

Preghiera: Maria Giulia Mt 5,1-16

Testi di studio: Mt 5,17-7,29

Oggi Gina avrebbe dovuto accendere il cero ma, per gravi motivi familiari, non ha potuto

essere presente, ricordiamo lei e tutte le nostre amiche assenti.

Introduzione di Maria Giulia: giovedì prossimo faremo un incontro un po’ particolare;

sarebbe interessante che ciascuna di noi, nella massima libertà, portasse un dolore, una

sofferenza, legata non a noi ma a quello che cogliamo negli eventi che ci circondano, nel

mondo, faremo una preghiera universale. Sarebbe bello avere anche la fonte da cui abbiamo

preso la notizia.

Quando preghiamo per gli altri, troviamo beneficio anche per i nostri dolori.

Facciamo un momento di silenzio, mentre Carla accende il cero.

Per entrare nel tema di oggi ci soffermiamo su due notizie che ci aiutano a capire cos’è la

legge dell’amore:

Progetto Gemma: compie vent’anni, con pochi euro al mese si adotta un bambino

che avrebbe avuto difficoltà a nascere o a continuare a vivere, grazie a questo

progetto sono nati ventimila bambini. Anche nella nostra comunità, Loredana segue

questa iniziativa, sono state aiutate molte mamme in difficoltà che, senza un

sostegno, non avrebbero potuto continuare la gravidanza.

Il Movimento per la vita, promotore del progetto Gemma, ogni anno salva

centoventimila bambini: la popolazione di una grande città. Con l’amore per la vita

si vincono tante difficoltà.

Slow Food italiana ha iniziato un progetto ‘Mille orti per l’Africa’, entro il 2016

vuole costruire in Africa diecimila orti. In molti villaggi del continente africano gli

orti si moltiplicano. Nelle scuole i bambini imparano a seminare e coltivare la

terra, così le famiglie si sfamano e si nutrono con più equilibrio, i piccoli contadini

trasmettono ai loro genitori l’amore per la terra dimenticato da tante guerre tribali

e genocidi. Ci sono delle scuole italiane coinvolte nel progetto mille orti, tra un’ora di italiano

e una di matematica gli studenti si cimentano con sementi, sistemi di irrigazione,

zappe e filari. Gli insegnanti africani e italiani si collegano tra loro, condividono

obiettivi e si scambiano esperienze.

Preghiera: Mt 5,1-16

Le Beatitudini non si devono commentare, ascoltiamo in silenzio questo brano

che racchiude tutto l’insegnamento di Gesù. Cerchiamo di condividere insieme

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ripetendo, pregando, o commentando un versetto di tutto il Discorso della

Montagna.

La legge di Mosè, che veniva praticata al tempo di Gesù, non è quella originaria,

ma è stata completata nel corso di molti anni con l’aggiunta di parecchie norme.

Gesù, come nuovo Mosè, ha cercato di togliere tutte le sovrastrutture per farci

conoscere com’era la legge nel cuore di Dio. Gli insegnamenti di Gesù, sono

avvenuti durante i tre anni della sua vita pubblica, Matteo li ha raccolti nel

bellissimo ‘Discorso della Montagna’ (cap. 5-6-7), collegandoli alla legge antica: “Avete inteso che fu detto… ma io vi dico…”

Condividiamo insieme

Pinuccia: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (5,7). Misericordia è

anche perdono, a volte è un po’ difficile metterlo in pratica, specialmente nei casi

in cui sono coinvolti i bambini, come spesso sentiamo da dolorosi fatti di

cronaca. Siamo mamme e nonne e abbiamo capito la nostra difficoltà a essere

misericordiosi, a saper perdonare a chi fa del male ai bambini. Graziella: “Voi siete il sale della terra; Voi siete la luce del mondo (5,12-14). Siate dunque

perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”(v.48). Possono sembrare scoraggianti

per noi queste richieste, troppo grandi, soprattutto l’invito di Gesù a essere

perfetti, ma Lui vuole indicarci un modo nuovo di rapportarci al Padre, ci ha

lasciato la Sua Parola che è luce per noi e ci invita a viverla nella nostra vita, nel

nostro quotidiano. Tanti piccoli comportamenti che cambiano, ne fanno uno

grande e così la luce e il bene aumentano, gli atteggiamenti si modificano, come

il nostro modo di pensare. Quindi continuiamo con speranza e senza scoraggiarci.

Fiorella: “Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché

siete figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni,

e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre

vostro celeste” (5,44-.48). Troviamo grandi difficoltà a fare quello che ci dice Gesù,

ma se riusciamo ad attuarlo, otteniamo una grande pace e tanta soddisfazione e ci

avviciniamo, anche se solo un po’, alla perfezione e alla bontà del Padre che ‘fa

piovere sui giusti e sugli ingiusti’. Questa bontà infinita di Dio che concede a tutti il

suo bene, ci impone una riflessione: ‘chi siamo noi per pretendere di giudicare, di

dividere, di separare?’ Emilia: è molto difficile seguire Gesù ma c’è una cosa che ci aiuta molto: se

sbaglio posso sempre ricominciare.

Carla B.: “Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a

forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete

bisogno prima ancora che gliele chiediate” (6,7-8).

Pregare è affidarsi al Padre che conosce tutto di noi e sa quello che ci occorre. Io

sono molto impaziente, vorrei vedere subito la soluzione dei miei problemi. È

importante abbandonarci nelle mani del Signore, affidarci a Maria e avere molta

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pazienza; nella mia preghiera ho imparato a dire “Gesù pensaci tu”, questo mi

aiuta molto. Nadia: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (7,12). È un invito a sporcarci le mani e a mescolarci agli altri; è facile dire a parole di

voler bene e amare il prossimo. L’esperienza che sto facendo al Centro di

Ascolto Caritas spesso mi fa pensare: ‘se fossi al suo posto, come vorrei che gli altri si

comportassero con me?’ La regola d’oro è proprio quella di ‘fare agli altri ciò che

vorresti fosse fatto a te’ e cioè: essere ascoltata, accolta, trovare persone che ti

dedicano la loro attenzione, il loro tempo, il loro aiuto.

Laura: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci” (7,6). È

una frase difficile da comprendere. A me sembra che voglia dire di essere cauti

nel manifestare e raccontare le nostre esperienze, perché non tutti possono essere

in grado di capire e cogliere quello che per noi è importante e prezioso come una

perla.

Graziella: a proposito di questi versetti Don Angelo ha detto di essere sempre

testimoni attenti, di cogliere se quello che si sta facendo o dicendo coinvolge,

interessa oppure no. In questo caso meglio lasciar perdere, è anche un modo di

rispettare le persone che in quel momento non sono interessate ‘alle cose sante’.

Anna: Gesù ha detto: “Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e

scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro” (Lc 9,5).

Maria Giulia: il Discorso della Montagna è soprattutto rivolto alla comunità,

questi insegnamenti sono difficili da affrontare personalmente; è la comunità che

deve prendere coscienza delle necessità degli altri; insieme tutto diventa

possibile.

Luisa: “Chiedete e vi sarà dato” (7,7). A volte è più difficile ricevere che dare. Spesso

facciamo fatica a chiedere perché quando siamo nel bisogno non abbiamo il

coraggio di riconoscere le nostre debolezze.

Mariuccia V.: quando chiediamo, spesso non riceviamo subito una risposta, ci

sembra di non essere ascoltati, ma con il passare del tempo capiamo che il

Signore ci risponde sempre.

Luciana C.: quanti doni abbiamo ricevuto dal Signore, ci accorgiamo sempre a

posteriori, al momento ci sembra tutto scontato.

Gianna: Gesù dice: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso

dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello

dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: ‘Stupido’, dovrà essere

sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: ‘Pazzo’, sarà destinato al fuoco della Geènna.” (5,21-

22). Dobbiamo stare attenti, incominciare dalle cose piccole: non dire parolacce,

non parlare male, non dire a tuo fratello ‘stupido’ per evitare di far aumentare il

male dentro di noi e arrivare a compiere atti estremi. Per evitare un male

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gravissimo, dobbiamo preparaci a non commettere le piccole cose. Cerchiamo di

estirpare il male alla radice.

Gabriella: spesso si sente dire che un marito era tranquillo, non c’era nessun

problema, poi ammazza moglie e figli o viceversa. Io in genere esplodo subito e

poi mi sento tranquilla e tutto passa.

Graziella: “Non giudicate per non essere giudicati (7,1). Solo il Signore può giudicare

perché solo Lui sa leggere nel cuore dell’uomo. Noi non possiamo giudicare, non

conosciamo i sentimenti, i motivi, le situazioni che inducono il nostro fratello ad

avere un certo comportamento. Gesù ci dice di guardare la trave che è nel nostro

occhio prima di vedere la pagliuzza nell’occhio del nostro fratello. Rosanna B.: molto spesso si ha timore di non essere capiti, di essere giudicati, si

vive il dispiacere nella solitudine; è solo grazie alla preghiera che si riesce ad

andare avanti: si sta in silenzio, non si racconta il proprio disagio per timore degli

altri.

Fiorella: si può parlare e discutere su un fatto negativo senza fare il nome della

persona che l’ha commesso. Laura: Gesù è stato molto diplomatico dicendo: “Avete inteso che fu detto…ma io vi

dico..” smentisce la vecchia legge e ci dà una nuova linea per continuare. Non è

più ‘occhio per occhio’ ma è 'porgere l’altra guancia’. Smentire ciò che dice la

vecchia legge dei profeti e dei sacerdoti proprio per aiutarci a mettere in pratica

la Buona Notizia e seguire il suo esempio.

Maria Giulia:“Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per la via con lui

perché non ti consegni al giudice” (5,25). Queste regole sono anche saggezza popolare

e sono per il nostro bene: se durante una lite ricevi uno schiaffo e lo ridai,

violenza si aggiunge a violenza, mentre riscoprire il dialogo può evitare

sicuramente situazioni più gravi.

Nadia: rinunciare a rispondere con la violenza si può sembrare perdenti, ma si

deve essere anche umili.

Mt 7,21-29 – per finire leggiamo insieme la conclusione del ‘Discorso della Montagna’ Gesù dice: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui

che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (v 21).

“Non vi ho mai conosciuto; allontanatevi da me voi operatori di iniquità” (v 23), perché ho

avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere(Mt

25,42seg.).

La conclusione del Discorso della Montagna ci invita ad essere concreti e agire

secondo la Volontà del Padre: stabilire il diritto e la giustizia come dicevano i

profeti. Matteo riprende questo concetto presentandoci le opere concrete

dell’amore verso i bisognosi; non tener conto di questo criterio è come costruire

la nostra casa sulla sabbia. A volte il bene lo facciamo per gratificare noi stessi.

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Non è facile però riconoscere se il nostro comportamento è per mostrare a tutti il

bene che facciamo, oppure se ci viene veramente dal cuore e dall’amore verso gli

altri. San Paolo nella prima lettera ai Corinzi dice “Ognuno si consideri come servi di

Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che

ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un

tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono

consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!.

Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori”(1Cor 4,1-5)

Nella nostra realtà umana possono essere presenti tutti e due gli atteggiamenti. È

comunque meglio fare del bene anche per avere un riconoscimento dagli altri,

piuttosto di non fare niente, restare immobili. L’indifferenza è la cosa peggiore! Nella Lettera agli Ebrei leggiamo: “Cercate di essere in pace con tutti”(Eb 12,14). Se

siamo in pace con noi stessi siamo in pace con tutti, è la battaglia contro il male

che converte il cuore. La Parola di Dio è costruire la casa sulla roccia. Se una

persona è in pace ha gioia e disponibilità verso tutti.

La pace interiore è un dono, viene solo dal Signore. Ci sono momenti in cui noi

non siamo in pace con noi stessi, non dobbiamo colpevolizzarci, per questo

dobbiamo pregare perché Dio ci conceda e mantenga nel nostro cuore questo

grande dono. Conclusione “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che

ha costruito la sua casa sulla roccia” (7,24). Ascoltare la Parola e metterla in pratica: è

questo il messaggio riassuntivo che Gesù ci invita a seguire.

Gabriella, dopo essere uscita da un periodo difficile e doloroso, ci chiede di leggere la parte

conclusiva della sua testimonianza dove esprime il desiderio di dare una svolta decisiva alla

sua vita: “C’è un ‘tempo cronologico’, esterno a noi, misurato da orologi atomici sempre

più sofisticati, e un ‘tempo esistenziale’, personale, misurato dal cuore oltre che dalla testa.

A ognuno di noi decidere con quale ‘tempo’ sintonizzare l’orologio. Io ho deciso che con

Giulia e tutto il gruppo, sintonizzerò solo e sempre l’orologio del cuore.

Terminiamo il nostro incontro pregando il Padre Nostro tenendoci per mano in segno di

comunione e di amicizia.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA del sedicesimo incontro: 10 aprile 2014

IL DOLORE INNOCENTE: quale risposta?

Accoglienza e accensione del lume

Preghiera. Fil 2,1-11

Per continuare la nostra riflessione sulla sofferenza di Giobbe, faremo oggi

una preghiera d’intercessione meditando sul dolore nel mondo, in

particolare quello innocente.

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Rosanna ci accoglie ricordandoci l’importanza di conoscerci per nome, siamo in tante ed è

bello ripetere i nostri nomi per rafforzare il legame di amicizia e di affetto. A questo

proposito ci legge una bella riflessione:‘Chiamami per nome’ di Don Luigi Pozzoli su Gv

10,1-10 “Il Buon Pastore conosce tutte le sue pecore”(Gv 10,14) - “Voi siete miei amici”

(Gv 15,14)

Gli amici si chiamano per nome

“Il Signore conosce ciascuno di noi. Signore Gesù, se ami l’appellativo di Buon Pastore,

chiamaci per nome, ciascuna con il proprio nome, affettuosamente, teneramente, come

creature fragili e insicure che hanno bisogno di sentirsi protette e amate. È importante per

noi sapere che il nostro nome è custodito nella memoria del tuo cuore. Tu, Signore, vuoi

essere per noi anche la porta che apre il passaggio verso una vita risorta. Noi conosciamo

tante porte che non si aprono mai o che si aprono solo per pochi o solo per catturare la

nostra libertà. Fa che in te possiamo trovare una porta sempre aperta che ci permetta di

entrare in comunione con il Padre così da aprire anche noi la porta del nostro cuore ad

accogliere la presenza di tanti fratelli che come noi cercano sulle strade del mondo una

parola di comprensione che li incoraggi a sperare e un gesto di amicizia che li aiuti a

vivere”.

Mentre ciascuna di noi ripete il proprio nome, Luigia accende il cero.

Preghiera: Fil 2,1-11

Questo inno antico, che le prime comunità cristiane ripetevano e cantavano, ci

aiuta a considerare in Gesù tutte le sofferenze che ancora oggi affliggono

l’umanità. Nei primi versetti San Paolo ci invita ad avere anche noi gli stessi

sentimenti di Gesù: contempliamo il crocifisso prima di iniziare la preghiera.

Ascoltiamo la lettura del testo e restiamo in assoluto silenzio per contemplare la

Parola

Preghiera d’intercessione: con testimonianze di vita e nostre preghiere Iniziamo raccontando una bella storia, vera.

Dopo 20 anni dalla maturità, gli ex compagni di classe di un liceo

s’incontrano per festeggiare.

Tra i vari racconti di vita ne emerge uno particolare che commuove tutti.

Una loro compagna, dieci anni prima è diventata mamma di un bellissimo

bambino; dopo qualche giorno dalla nascita si sono verificati dei problemi

di salute, nessun medico a tutt’oggi è riuscito a fare una diagnosi. Filippo

è sempre bellissimo ma non cammina, non parla, non vede ma sente e

sorride. La commozione è grande, tutti i presenti si fermano e decidono di

fare subito qualcosa per aiutare il bambino e la loro ex-compagna di

classe. Lo hanno conosciuto e, da allora, stanno vicino a lui e alla sua

mamma sia con la loro presenza affettuosa, sia con dei progetti che

possano alleviare un po’ la fatica. Sono rimasti così coinvolti che hanno

deciso di estendere il loro aiuto morale, economico e la loro solidarietà ad

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altri bambini e alle loro famiglie. Per questo hanno fondato l’associazione

“Fermi tutti” (Fermi è il liceo che hanno frequentato).

La mamma di Filippo dopo l’incontro con i suoi ex-compagni ha scritto: “Giovedì, quando sono rientrata, il mio piccolo principe biondo era ancora sveglio. Con la

voce commossa gli ho raccontato una bellissima storia, la storia di un gruppo di amici che si

sono conosciuti negli anni più sereni e spensierati, quelli in cui ci si è divertiti e magari

anche un po’ preoccupati per qualche interrogazione…E, quegli amici, una volta diventati

“grandi” hanno smesso per un momento di correre nella movimentata e frenetica vita di

ogni giorno ed hanno urlato, tenendosi per mano, “Fermi tutti!”Poi, suonando il

campanello, hanno sussurrato: noi ci siamo! C’è un tempo per il divertimento, un tempo per il pianto, un tempo per la speranza e un

tempo per la reazione…la salita, in compagnia, può essere meno faticosa.

Grazie per aver pensato a noi e a chi, come noi, ha iniziato il cammino con qualche

difficoltà…” Ti prego Signore per tutti noi, ma sopratutto per i giovani perché, come questi ragazzi, non

rimangano chiusi nei loro egoismi, ma riescano a lasciarsi coinvolgere dalle necessità degli

altri e possano vedere le sofferenze del mondo con occhi diversi.

Ti affido Signore tutte queste mamme e papà speciali con i loro bambini che stanno vivendo

una vita sempre in salita, sostienili, aiutali e accompagnali sempre. Per questo ti prego. Succede a volte di essere testimoni di episodi incresciosi, ai quali non si

vorrebbe assistere mai. Un mendicante extracomunitario, un africano nero

piuttosto anziano, chiedeva un’offerta per la strada, gridando con le

braccia tese verso i passanti, completamente indifferenti. Una signora con

un tono di cattiveria e disprezzo commentava con altre persone che ‘non se

ne poteva più di vedere questi africani sbraitare e che se ne tornassero a casa loro,

invece di stare qui a urlare e a disturbare i passanti’. Sarebbe stato molto più

decente per quella signora, starsene zitta invece di mostrare tanta

arroganza di fronte alla miseria e alla disperazione di questo sfortunato.

La vicenda ci ha ricordato i tre amici di Giobbe che per una settimana

rimasero in silenzio di fronte alle sue sventure. Come Giobbe, questo

poveretto, impersona una delle problematiche più lancinanti dell'umanità

‘la sofferenza dell'innocente’. È il problema di tanti uomini e donne di tutte le

età e di interi popoli che soffrono senza che la loro sciagura abbia come

causa la minima colpa da parte loro. La Parola ci dice: "Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città

nella terra del Signore, che il tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non

chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli

presterai quanto occorre alle necessità in cui si trova." (Dt 15,7-8).

A volte i nostri governanti e politici per distogliere l’attenzione dalle loro

incapacità cercano sempre di trovare un colpevole e puntano il dito verso

gli innocenti e le persone inermi. "Signore, aiutaci ad aprire gli occhi, le orecchie e il cuore e a non lasciarci ingannare da

chi, mentendo, proclama di agire per il bene del popolo".

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Preghiamo per tutti i sofferenti, in particolare per i cristiani perseguitati oggi in

Siria, in Africa occidentale e non solo. La fine atroce di Padre Francis Van Der

Lugt, un gesuita olandese di settantasette anni che aveva fatto dell’aiuto ai

poveri e ai sofferenti la propria missione, ha evidenziato una realtà

sottovalutata. Attentati, rapimenti, uccisioni di cristiani si susseguono in

un silenzio ‘assordante’ sui mass media. Le prese di posizione sono di

circostanza, a volte imbarazzate e superficiali, posizionate nelle pagine

interne dei giornali. Signore apri i nostri occhi e il nostro cuore sulla sofferenza e sul martirio di tanti nostri

fratelli, messi alla prova della croce. Facci capire cosa dobbiamo fare per non essere

testimoni muti e distratti di quello che avviene intorno a noi, nel mondo. Forse la nostra

condivisione può avvenire attraverso la fede, la preghiera, l’attenzione e la testimonianza.

Nelle tue mani, Signore, affidiamo questi nostri fratelli cristiani, affinché tu possa

sorreggerli, aiutarli, rendendo possibile, con il loro esempio, la nascita di un mondo nuovo

che deve iniziare dal cuore di ognuno di noi. Ascoltaci Signore.

“Sul mio dorso hanno arato gli aratori, hanno fatto lunghi solchi"(Sal 129,3). Questo versetto, che si canta nel triduo pasquale, mi ha ricordato un film

recente sulla schiavitù in America nel 1800, dove gli schiavi venivano

frustati a sangue, per il semplice fatto di essere neri. Vorrei pregare per tutte quelle persone che, in tutto il mondo, oggi vivono ancora la

mancanza di libertà, di dignità, di povertà assoluta, di disprezzo, a causa di altri uomini,

compresi noi, con i nostri pregiudizi, che ci consideriamo cristiani.

Saeed Abedini è un cittadino iraniano; nato e cresciuto in Iran, pastore

evangelico, sposato con una statunitense da cui ha avuto due figli. All’età

di 20 anni si è convertito al cristianesimo, per questo è stato condannato a

8 anni di prigione da un tribunale di Teheran, accusato di minacciare la

sicurezza interna iraniana. Ha potuto presenziare con il suo avvocato una

sola volta al processo: sembra che interverrà Washington per un processo

equo. Rifletto su questo fatto e mi chiedo quanto sia umiliante vivere in

un paese dove non c’è libertà, per esprimere i propri pensieri si rischia la

vita. Chiediamo al Signore di sentirci uniti a queste persone soprattutto nella preghiera, perché

dia loro la forza di non scoraggiarsi, ma di aver fiducia in Lui che non li abbandona, così

come ci dice la beatitudine:“Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il

regno dei cieli” (Mt 6,10).

Dai pensieri di pace e speranza di Giovanni Paolo II: “La fede nel medesimo Dio non

deve essere motivo di conflitto e rivalità, ma di impegno a superare nel dialogo e nella

trattativa i contrasti esistenti. Che l’infinito Amore del Creatore aiuti tutti a capire

l’assurdità di una guerra in nome Suo ed infonda nel cuore di ognuno veri sentimenti di

fiducia,comprensione e collaborazione per il bene dell’intera umanità”.

Gesù raccomandiamo il nostro passato alla tua misericordia, il nostro presente al tuo

amore, il nostro futuro alla tua provvidenza. Siamo in cammino verso una meta

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luminosa. Ce lo hai promesso Gesù: le nostre pene passeranno e si cambieranno in

gioia che più nessuno ci toglierà.

Il 2014 sarà ancora un anno di grande sofferenza per il lavoro, preghiamo quindi per

i disoccupati e per coloro che vorrebbero guadagnarsi da vivere per se stessi e per le

loro famiglie. Il Signore ispiri i governanti, i capi di società perché trovino iniziative e

soluzioni giuste affinché tutti possano ottenere e conservare un onesto e dignitoso

lavoro. Di fronte al tanto dolore personale e collettivo che stiamo ricordando, mi è

sembrata particolarmente efficace una frase della preghiera iniziale: "Tu

Porta sempre aperta....." Nella vita e nella casa della mamma con il

bambino disabile, sono entrati gli amici del liceo e le hanno fatto tanto

bene. Chiediamo a Gesù di aiutarci a non chiudere le nostre porte e i nostri cuori

davanti alla sofferenza. Su “Famiglia cristiana” un articolo ha colpito molto. Si parla di un nuovo

“gioco” arrivato dall’Australia e ormai, pare, molto di moda tra i giovani.

In Italia circola come “Birra alla goccia”, ma da altre parti si tratta di

superalcolici, altro che birra! E il fenomeno dilaga. Consiste nel bere alcol

tutto d’un fiato, dopo essere stati sfidati dagli amici su Facebook. Il

prescelto viene nominato in un video e costretto a raccogliere la sfida. Lo

sfidato più giovane aveva 9 anni! Rifiutare significa mostrarsi deboli,

perdere la faccia di fronte al gruppo. Non sia mai! Per fortuna qualcuno si

ribella. Rovesciamo l’equazione: sono questi i più forti.

Quello che colpisce di più è la bestialità del gioco. Come possono giovani

intelligenti e vivaci caderci? La bestialità esiste nella sfida stessa! L’alcol

da bere è in grandi quantità e il giovane lo sa in partenza, non c’è una

curiosità da soddisfare. Si può capire di più il ragazzino che si lascia

adescare da uno spinello…cosa succederà se mi faccio questa canna?? E

noi, cosa possiamo offrire come alternativa? Il problema travalica le nostre

possibilità immediate. Mettiamo nelle tue mani Signore i nostri giovani. Perché trovino adulti che sappiano aiutarli

a riconoscere i valori autentici della vita, così che fondino la loro esistenza sul Buono e sul

Vero, noi ti preghiamo:Ascoltaci!

La cronaca di tutti i giorni ci mette al corrente di tante stragi inutili che

avvengono intorno a noi e nel mondo intero, l’uomo sembra impazzito;

guerre, uccisioni per un pugno di soldi, per gelosia, per odio, per vendetta.

Non sappiamo perdonare le offese perché siamo diventati intolleranti verso

tutto ciò che ci può disturbare. Ci siamo allontanati da Te, o Signore e ci siamo persi dimenticandoci l’amore che tu ci hai

insegnato; l’amore per la vita nostra e dei fratelli. Ci affidiamo a Te, o Signore, perché Tu ci

possa aiutare a ritrovare la strada che conduce a te, che sei la vera fonte della vita e

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dell’amore, affinché possiamo avere la pace in noi stessi e verso gli altri; in particolare

riconduci a te quelli della nostra famiglia che si sono allontanati.

Preghiamo per la pace nel mondo, perché le armi vengano messe a tacere.

Preghiamo per i leader politici del mondo intero, affinché si impegnino a promuovere

il dialogo e il rispetto.

Preghiamo affinché smettano di dare precedenza alla propria sete di potere.

Preghiamo per chi lavora strenuamente per la pace dove pace non c'è .

Per chi si adopera per alleviare il dolore e asciugare le lacrime di chi soffre.

Preghiamo per tutti coloro, uomini di fede e non, che ogni giorno cercano di fare di

questo mondo un mondo migliore.

Abbiamo ricordato molti altri dolori innocenti: malattie rare, la pedofilia, il

mercato di organi a scapito di bambini e famiglie povere, ragazze straniere

portate in Italia con l’inganno e costrette a prostituirsi, le guerre, la corruzione.

Tutte le schiavitù di oggi! Signore rendici operatrici di pace. Con la forza del tuo Spirito vogliamo vincere il male con

il bene, sicure che le piccole sementi d’amore non muoiano ma portino frutti in abbondanza.

Per concludere mettiamo tutti i dolori dell’umanità nel cuore del Padre, un

pensiero particolare per le tre amiche di Silvia e per tutte le nostre amiche assenti

malate o in difficoltà, recitiamo insieme il Padre Nostro.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

MEMORIA del diciassettesimo incontro: 24 aprile 2014

IL PENTATEUCO: come si è formato e la sua evoluzione nel tempo

Accoglienza e accensione del lume

Preghiera: Salmo 119 (118)

Luciana accende il lume mentre cantiamo: “Il Signore è la vita che vince la morte”

È il nostro Alleluia a Gesù risorto!

Salmo 119 (118): introduzione

È il salmo più lungo della Bibbia, è una raccolta di canti, preghiere, meditazioni nel

corso di tanti secoli. La stesura completa di questo salmo, così come lo leggiamo oggi è

avvenuta nel post esilio e ci dà l’idea chiara dell’importanza che la Torah occupava nella

vita pubblica e privata del popolo di Dio. Il sapiente o il mistico che dà voce al salmo

dialoga con Dio ed esprime i suoi sentimenti profondi: amore per la vera sapienza,

attaccamento alla Parola, nonostante le debolezze e le difficoltà, la sua gioia è seguire la

volontà di Dio.

Ad ogni versetto ritorna la parola “Legge” o qualche termine equivalente. È il salmo

dell’intimità spirituale, dell’amore verso Dio, con il desiderio di fare la sua volontà.

Meditando la sua legge, il credente contempla soprattutto il volto amorevole di Dio e si

lascia così trasformare fino nel profondo del suo essere. L’osservanza della Legge, così

concepita e amata diventa libera scelta di vita, la via per raggiungere Dio.

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Per noi cristiani la Legge si realizza totalmente in Gesù, Parola incarnata, che ci rivela il

volto amorevole e compassionevole del Padre.

Il versetto “Lampada per i miei passi è la Tua Parola” ci permette di ringraziare il Signore

perché ha messo in ciascuna di noi il desiderio di conoscere e approfondire la sua Parola.

Questo è un suo grande dono.

Grazie Signore!

Il Pentateuco

Ricordiamo brevemente che la Bibbia è composta da tanti libri, scritti in tempi,

contesti e linguaggi diversi. Il testo che noi usiamo abitualmente è stato redatto in

modo ‘didattico’ affinché tutti potessero cogliere e conoscere meglio il progetto

di Dio.

Il Pentateuco è composto da cinque libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e

Deuteronomio. Per gli ebrei è la Torah = Legge.

Come abbiamo visto consultando la nostra linea del tempo, dal 1800 al 1000 a.C.

circa, non ci sono scritti, esistono solo tradizioni orali: racconti popolari, tante

memorie di persone nomadi con esperienze e situazioni molto diverse,

tramandate a voce di generazione in generazione. Il Pentateuco, come lo

leggiamo oggi, è stato redatto nel Post Esilio. Al tempo di Esdra sono state

riunite le varie tradizioni e fuse insieme in un’opera sola: “Esdra era uno scriba

esperto nella legge di Mosè, data dal Signore, Dio d'Israele (cfr Esd 7,6)”, è lui che l’ha

completata, divulgata e fatta amare dal popolo d’Israele che stava vivendo nello

scoraggiamento, dopo il rientro dall’esilio in Babilonia.

Abbiamo conosciuto Esdra e Neemia nel nostro programma di quest’anno, due

personaggi molto influenti, mandati a Gerusalemme dal re persiano Artaserse,

per aiutare il popolo a riorganizzarsi. Esdra è considerato il Mosè del giudaismo.

Teoria delle Quattro Tradizioni Secondo questa teoria, la Bibbia è stata composta da quattro gruppi di redattori,

che hanno contribuito all’elaborazione del Pentateuco e degli altri libri. Questi

gruppi sono denominati: Jahvista (J), Elohista (E), Deuteronomista (D) e Sacerdotale

(P). Le quattro tradizioni spesso s’intrecciano ed è per questo che nello stesso

brano, troviamo fatti raccontati in modi diversi o addirittura contrapposti, o con

aggiunte non compatibili con il contesto storico.

Nella Bibbia ci sono diversi stili letterari: racconti poetici, epici, testi storici,

preghiere, parabole.

È importante imparare a leggere ed entrare in un testo con senso critico, tenendo

presente chi scrive, perché scrive, il contesto e la situazione del popolo, cercando di

cogliere nella Parola, il messaggio di Dio e il suo progetto.

Ogni testo può darci dei messaggi diversi: l’abbiamo sperimentato

quest’anno con i libri di Rut, Giona e Giobbe che denunciano l’applicazione

rigorosa e integralista della Legge, la quale dava molto importanza all’esteriorità,

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ai riti, ai doveri. la Legge diventata legalista, non si preoccupa del bene delle

persone e diventa un peso eccessivo per tutti e danneggiava in particolare le

donne, i poveri, gli ultimi, gli indifesi, i malati e gli emarginati in generale.

Alcuni racconti biblici non sono in armonia con il progetto di Dio: le violenze, le

guerre, gli omicidi, i soprusi, non possono far parte del suo progetto, Dio difende la

vita.

Concludiamo pregando Maria, anche lei, con il suo Sì, ha incarnato nella sua vita la

Parola, donandoci Gesù.

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MEMORIA del diciottesimo incontro: 8 maggio 2014

“Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!”

Accoglienza e accensione del lume

Preghiera: Salmo 119 (118) – vv 33-61

Testi di studio: o Mt 12,1-8 i discepoli di Gesù colgono spighe in giorno di sabato o Mt 12,9-21 Gesù, nella sinagoga, guarisce di sabato un uomo dalla

mano inaridita o Mt 15,1-20 discussione con i farisei, sul puro e l’impuro

o Mt 23,1-39 Gesù accusa gli scribi e i farisei di ipocrisia e vanità

Le letture liturgiche di oggi (At 9,1-9 e Gv 6,16-21) ci aiutano a entrare nel tema che

dobbiamo trattare: l’incontro che Saulo ebbe sulla via di Damasco cambiò totalmente la sua

esistenza, da osservatore irreprensibile della legge, persecutore e uccisore dei cristiani,

diventò Paolo, uno dei più grandi testimoni di Gesù. Dopo tre giorni di cecità seguiti

all’incontro, arrivò per Paolo la vera conversione, i suoi occhi riacquistarono la vista,

segno della luce interiore: il dono della fede, con il battesimo ricevuto da Anania.

Il brano del Vangelo di Giovanni ci aiuta a non avere paura: Gesù cammina sulle

acque per raggiungere i suoi discepoli che sono in pericolo su una barca per il mare agitato

da un forte vento, lo vedono arrivare ma non lo riconoscono e hanno paura, ma Gesù dice

loro: “Sono io, non temete” lo prendono sulla barca e rapidamente arrivano alla riva dove

erano diretti.

Ci affidiamo a te Gesù, mettiamo nelle tue mani le nostre vite, aiutaci a riconoscerti, a

superare le paure, i timori, gli smarrimenti.

La tua Parola possa illuminarci sempre e guidarci verso il bene e la vita e non diventi mai

per noi una rigida legge che non vede il bene delle persone e venga usata come strumento di

esteriorità e di ‘morte’.

Preghiera: Salmo 119 (118) vv 33-61 Luisa accende il cero, luce che ricorda la presenza del Signore tra noi; preghiamo

insieme il Salmo, ripetendo il versetto che più ci ha colpito e finiamo con una

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preghiera: Abbiamo fiducia nella tua Parola e nei tuoi comandi Signore, ci affidiamo a Te

perché desideriamo che i tuoi insegnamenti cambino i nostri cuori.

Facciamo emergere dai primi tre testi quanto già condiviso nei gruppetti, il

quarto invece lo analizzeremo insieme.

Mt 12,1-8 I discepoli di Gesù colgono spighe in giorno di sabato

I farisei hanno un forte contrasto con Gesù perché lui e i suoi discepoli

‘lavorano’ in giorno di sabato. La legge, infatti, proibisce tutti i tipi di lavoro nel

giorno dedicato al Signore, tranne casi eccezionali.

I discepoli di Gesù, avendo fame, raccolgono delle spighe e le mangiano; non era

proibito cogliere delle spighe nei campi altrui, ma era vietato farlo nel giorno di

sabato. Gesù si contrappone alle proteste dei farisei ricordando loro che Davide e

i suoi compagni, per non morire di fame, entrarono nel tempio e mangiarono i

pani dell’offerta che erano riservati solo ai sacerdoti; nel tempio, infrangono il

sabato anche i sacerdoti, tuttavia a loro non è addebitata nessuna colpa. Dice

Gesù: “Se aveste compreso che cosa significa ‘Misericordia io voglio e non sacrificio’ non

avreste condannato individui senza colpa”(v.7).

Mt 12,9-21 Gesù, nella sinagoga, guarisce di sabato un uomo dalla mano inaridita Subito dopo, Gesù entra nella sinagoga e guarisce un uomo che aveva una

mano inaridita. Rispondendo alle domande dei farisei Gesù dice: “Chi tra di voi,

avendo una pecora, se questa cade di sabato in una fossa, non l’afferra e la tira fuori? Ora

quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche nel

giorno di sabato” (v.12).

Per Dio il bene dell’uomo è la cosa più importante. Il sabato doveva essere un

giorno di riposo per tutti, per dedicarlo al Signore e per migliorare la vita con il

riposo, come del resto sta scritto nella legge antica: “Sei giorni faticherai e farai ogni

lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu,

né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino,

né alcuna delle tue bestie, né il forestiero che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la

tua schiava si riposino come te” (Dt 5,13-14).

Gesù dice che il bene dell’uomo è al disopra dell’osservanza del sabato, al

contrario i farisei sostengono che Dio è superiore all’uomo perciò è al di sopra di

tutto. Forse l’aridità della mano che viene guarita da Gesù rappresenta l’aridità

dei farisei che non riescono ad aprire i loro cuori al nuovo messaggio di Gesù.

Venuto a conoscenza che i farisei stanno tramando per ucciderlo, Gesù si

allontana, guarisce tutti gli ammalati, ordinando loro di non divulgarlo perché si

compisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: “Ecco il mio servo che io ho scelto;

il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio spirito sopra di lui e

annunzierà la giustizia alle genti. Non condannerà, né griderà né si udrà in piazza la sua

voce. La canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché non abbia

fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni” (Is 12,18-21).

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Il Servo del Secondo Isaia è il popolo schiavo in Babilonia che sceglie di

testimoniare la Parola di Dio, anche se sa che tante persone, per tutelare i propri

interessi e privilegi, si metteranno contro di lui, ma sa anche che chi lo difende è

il Signore; il servo di YHWH sceglie di restare con gli ultimi e con gli emarginati

per dimostrare l’amore che Dio ha per loro. Questi versetti sintetizzano molto

bene le caratteristiche di Gesù: è giusto, non condanna, porta la pace, difende

sempre gli ultimi. Gesù, probabilmente, chiede di non divulgare le guarigioni

perché vuole che la gente non creda in lui per i segni che compie, ma cambi il

cuore seguendo i suoi insegnamenti.

Mt 15,1-20 discussione con i farisei sulla tradizione e sul puro e l’impuro

I farisei continuano a criticare Gesù per le sue affermazioni, accusandolo di

trasgredire la tradizione degli antichi. Gesù li contesta e li chiama ‘ipocriti’

perché, con il loro comportamento, trasgrediscono il comandamento della legge

di Mosè in nome della loro tradizione e cita come esempio: Onora il padre e la

madre “Invece voi asserite che chiunque dice al padre e alla madre: Ciò con cui ti dovrei

aiutare è offerto a Dio, non è più tenuto a onorare il padre e la madre, così avete annullato

la Parola di Dio in nome della vostra tradizione” (vv 5-6).

E’ necessario tornare alle origini: questo vale per tutti noi. Dobbiamo fermarci e

riflettere sulle scelte importanti fatte molti anni fa: siamo rimaste fedeli e

coerenti, oppure siamo state sopraffatte dagli avvenimenti e abbiamo cambiato o

dimenticato il motivo che all’inizio ci ha spinto a fare quelle scelte? Pensiamoci!

Molti movimenti religiosi, con il passare del tempo, perdono le motivazioni

primarie del loro fondatore. È importante tornare alle origini e chiedere aiuto al

Signore per riprendere coscienza e forza, per riscoprire i valori evangelici.

Gesù fa un altro grande insegnamento: “Riunita la folla disse ‘Non quello che

entra nella bocca rende impuro l’uomo bensì quello che esce dalla bocca”(vv 10-11). Infatti,

ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore, è nel cuore che nascono i propositi

malvagi, è questo che rende immondo l’uomo. È il cuore che deve essere

purificato.

Gesù non condanna soltanto la cecità dei farisei dicendo: “Lasciateli! Sono

ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un

fosso!”(v 14), ma anche l’incapacità dei suoi discepoli di comprendere la sua

Parola.

Leggiamo ‘La storia della matita’

Mt 23,1-39 Gesù accusa gli scribi e i farisei d’ipocrisia e vanità

Vv 1-12 Continua il duro discorso di Gesù contro gli scribi e i farisei,

condanna la loro ipocrisia perché: “Dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli

e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”

(vv 3-4). Fanno tutto solo per essere ammirati dal popolo, occupano i primi posti, e

si fanno chiamare ‘rabbì’.

69

Tutti atteggiamenti che possiamo trovare oggi nella nostra società, sia a livello

personale, sia come nazione: quanti pesi vengono imposti ai più deboli!

L’ipocrisia e la corruzione dilagano ovunque e l’esteriorità, il farsi ammirare

dagli altri, spesso prevalgono. Possiamo sintetizzare così i nostri atteggiamenti

sbagliati: Incoerenza tra parola e vita, indulgenza con se stessi e pesanti pretese con gli

altri, agire solo per vanità. Piuttosto di non fare nulla è meglio fare, dice una nostra

amica. È molto difficile essere veramente umili e non ostentare qualche nostra

azione; fare le cose insieme forse ci aiuta a non emergere singolarmente. Infatti,

Gesù dice: “Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece s’innalza sarà abbassato e

chi si abbasserà sarà innalzato” (v.11-12). Dice anche: ‘Siate testimoni credibili non solo a

parole, non occupate i primi posti - e ancora - non chi dice Signore, Signore entrerà nel

regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio’. Gesù è stato il Servo obbediente

fino alla morte e alla morte di Croce. Solo Lui può essere chiamato Maestro

perché è la via, la verità e la vita.

Gesù minaccia gli scribi e i farisei con sette maledizioni: “Guai a voi scribi e

farisei ipocriti…” In queste maledizioni sono riassunti tutti gli atteggiamenti

sbagliati dei farisei. Teniamo presente che il Vangelo di Matteo è rivolto ai

giudei: molti accolgono il nuovo messaggio di Gesù, altri rimangono legati alle

vecchie tradizioni.

vv 13-15, I pesanti obblighi che gli scribi e i farisei impongono al popolo,

chiudono il Regno di Dio agli uomini, cioè non mostrano il volto misericordioso

e amorevole di Dio, tengono ‘la porta chiusa’ alla misericordia di Dio, le persone

si allontanano e la salvezza non può raggiungere coloro che la cercano; amano

solo se stessi e non Dio.

vv 16-22 Gli scribi e i farisei si sentono sicuri, si atteggiano a guide, ma la loro

sicurezza è quella del cieco. Sono molti i segni della loro cecità: il rigore

minuzioso dell’osservanza della legge; l’amore per se stessi, fatto passare per

zelo per il Signore; i falsi giuramenti per salvaguardare i propri interessi

economici.

E le nostre cecità quali sono? Quante volte anche noi ci fermiamo sui particolari

e non riusciamo ad andare oltre. Ci lasciamo incantare da persone che sanno

parlare bene, ci convincono con i loro discorsi, senza riflettere o approfondire ci

adeguiamo al sentire comune, diventando così schiavi di noi stessi.

Il giuramento per gli ebrei era molto importante, per questo Gesù ha detto

‘il vostro parlare sia sì, sì e no, no’. Nel nostro contesto non esiste il giuramento,

tranne quello legale, ma la nostra testimonianza è basata sui nostri discorsi o sul

nostro modo di vivere? A quali cose diamo valore?

vv 23-28 Continuano le accuse di Gesù contro gli scribi e i farisei perché pagano

le decime e trasgrediscono le prescrizioni più gravi della legge cioè la giustizia,

la misericordia e la fedeltà: “Guide cieche che filtrate il moscerino e ingoiate il

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cammello!” (v 24); puliscono l’esterno e non l’interno che è pieno ‘di rapine e di

intemperanze’. “Guai a voi scribi e farisei ipocriti che assomigliate a sepolcri

imbiancati…, apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni

d’ipocrisia e d’iniquità” (vv 27-28). Il discorso si ripete: si distoglie l’attenzione da ciò

che è essenziale per dare importanza a ciò che non lo è. Oltre la decima, c’è la

giustizia e la misericordia, l’impuro non è quello che si vede all’esterno ma è

dentro di noi. vv 29-33 “Guai a voi scribi e farisei ipocriti che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le

tombe dei giusti" (v 29). Innalzano monumento ai profeti e perciò si ritengono

migliori dei loro padri che invece li uccisero. È sempre ipocrisia, venerano i

profeti antichi perché lontani e idealizzati. In realtà, come i loro padri, rifiutano e

uccidono i loro profeti, sono pronti a rifare la stessa cosa. Adornano le tombe dei

giusti e magari durante la vita sono stati i primi a perseguitarli.

Fermiamoci pensando a tutte le persone che, ancora oggi, nel mondo vengono

perseguitate e uccise.

Gesù è il salvatore promesso dall’Antico Testamento, ma il popolo eletto lo ha

respinto. E così Israele si è escluso dalla storia della salvezza. Il lamento finale è

pieno di tristezza quasi di impotenza. Ma non è un abbandono definitivo e senza

speranza, il piano di Dio non è sconfitto. L’ultima parola è un’allusione alla

domenica delle palme e quindi alla croce, ma anche al ritorno trionfale di Cristo

nella gloria: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (v 39).

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MEMORIA del diciannovesimo incontro: 22 maggio 2014

LE FESTE GIUDAICHE e GESÙ nel Vangelo di Giovanni

Accoglienza e accensione del lume

Preghiera: Il Prologo di Giovanni - Gv 1,1-18 il prologo è una sintesi di tutto il

vangelo. Nella preghiera cogliamo la parole chiave che si ripetono e che troveremo

poi sviluppate nei nostri testi di studio

Testi di studio: come da schede per ogni gruppo

Accendiamo il lume e, dopo un momento di silenzio, ricordiamo le nostre amiche assenti, in

particolare alcune di noi che stanno vivendo grandi sofferenze, le affidiamo al Signore;

mettiamo nelle Sue mani anche le nostre famiglie, le preoccupazioni e le gioie, i nostri figli

e nipoti, gli amici e i nemici.

Preghiera: Gv 1,1-18

Ricordiamo che nel Vangelo di Giovanni quando troviamo la parola ‘In principio’

non significa all’inizio del mondo, ma la base del nostro credere, le fondamenta della

nostra fede.

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Cerchiamo di far emergere dalla preghiera le parole attinenti ai testi che abbiamo

preparato, eccone alcune: Verbo, vita, luce, tenebre, testimonianza, fede, accogliere,

Padre, verità, grazia, gloria, rivelazione.

Recitiamo insieme un Gloria e ringraziamo il Signore per la fede della comunità di Giovanni

che è arrivata fino a noi attraverso la Parola del vangelo.

Ogni gruppo espone i testi analizzati ◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈

Gruppo Maria di Magdala: la purificazione del tempio

Testi di studio: Gv 2,13-25 da confrontare con Ne 13,4-14

Premessa

Il Vangelo di Giovanni, scritto intorno al 100 d.C., è destinato a una comunità di cristiani di

provenienza ebraica in un momento difficile, quando i giudei che credevano in Gesù, erano

espulsi dalle sinagoghe e dovevano tagliare le loro radici giudaiche. L’esigenza della

comunità è di approfondire la conoscenza teologica di Gesù e rompere in parte con il

passato.

Gv 2,13-25: in questo testo si parla della purificazione del tempio.

Gesù per la festa di Pasqua sale al tempio e trova i mercanti. Il tempio è

luogo esclusivamente di culto e non di commercio e di lucro, per cui con

violenza scaccia i venditori e dice: “Portate via queste cose e non fate della casa del

Padre mio un luogo di mercato”(v 16). I giudei chiedono a Gesù un segno che

giustifichi perché fa questi gesti e Lui risponde: “Distruggete questo tempio e in tre

giorni lo farò risorgere”(v 19).

Ricordiamo che il Vangelo di Giovanni è stato scritto verso il 100, il tempio di

Gerusalemme è stato distrutto nel 70, quindi chi scrive ha già vissuto questi

avvenimenti. Il tempio di Gerusalemme non c’è più, Gesù invece dopo tre giorni

è risorto e dona la vita. Per i cristiani Gesù risorto è il nuovo tempio, centro del

culto.

La comunità di Giovanni, per dare una risposta ai problemi interni e confermare

la verità su Gesù, ripercorre e ricorda i suoi insegnamenti e le sue opere.

I profeti si sono sempre battuti perché il tempio fosse dedicato solo al culto, per

questo i discepoli di Giovanni ricordano le parole del salmo “Lo zelo per la tua casa

mi divora” (Sal 69,10). Molti profeti, nel corso degli anni, hanno accusato re e

sacerdoti perché si servivano del tempio per aumentare il loro potere. Più ricco e

grande era il tempio, più il re aveva potere; ricordiamo Salomone, Erode e

Geroboamo, quest’ultimo, per ragioni politiche, ha costruito due templi uno a

Betel e uno a Dan ponendo come simbolo i vitelli d’oro. Amos, profeta della

giustizia, denunciava la ricchezza del culto contro la povertà del popolo

abbandonato (cfr Am 2,6-8; Am 5,21-6,7).

Ne 13,4-14: Neemia, nella sua seconda missione a Gerusalemme, si accorge che

in un locale del tempio era ospitato un parente del sacerdote, se ne dispiace, fa

gettare fuori tutte le cose dell’ospite e fa purificare la camera che viene di nuovo

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utilizzata per riporre arredi sacri, offerte, incenso e le decime. La preoccupazione

di Neemia era solo legata alla gestione e all’amministrazione del tempio: che

tutto funzionasse al meglio, che le decime fossero distribuite equamente, a

scapito della religiosità e del vero culto al Signore, che non si avverte in questo

brano.

Attualizzazione

La comunità deve essere luogo di preghiera, di accoglienza e di condivisione.

Dobbiamo aprirci alle novità superando le nostre tradizioni, le nostre idee

preconcette e le nostre sicurezze, mettendoci al servizio, come dice Papa

Francesco.

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Gruppo la Samaritana: La Festa di Pasqua – Pesach

Testi di studio: Gv cap. 6 da confrontare con Esd 6,19-22 e Es 16 Premessa

Confrontando la Pasqua del Vangelo di Giovanni con quella degli esuli tornati da Babilonia

(Esd 6,19-22) abbiamo subito notato la differenza tra la stretta applicazione della legge

nella Pasqua del 515 a.C. e quella di Gesù. ‘Tutti i leviti e i sacerdoti si erano purificati,

avevano immolato la Pasqua per tutti i rimpatriati, per i loro fratelli sacerdoti, per se stessi

e per quanti si erano separati dal popolo del paese e si erano uniti a loro per aderire al

Signore Dio’(cfr Esd 6,20-21). Gesù invece va al cuore della legge, il testo che analizzeremo,

al v.4 dice: “Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei, Gesù vide una grande folla venire

verso di lui”. La Pasqua di Gesù non avviene nel tempio ma sul monte e la folla, liberamente

lo segue, lui accoglie tutti, ama tutti, condivide con tutti.

La moltiplicazione dei pani: 6,1-15

Questo è il quarto segno del Vangelo di Giovanni e avviene subito dopo la

guarigione del paralitico nella piscina di Betzaetà. Analizzando il testo possiamo

accostare Gesù a Mosè (cfr Es 16) per coglierne i legami e le differenze.

Gesù dà inizio ad un nuovo esodo

Mosè:

Prima dell’Esodo, ci furono le dieci piaghe

rivolte ai potenti.

Attraversa il Mar Rosso.

Il Signore manda la manna e le quaglie.

Va sul Monte Sion per accogliere Le Dieci

Parole.

Libera gli ebrei dalla schiavitù dell’Egitto.

Il cammino nel deserto dura quarant’anni.

Il popolo per la Pasqua fa un pellegrinaggio

al tempio.

Dio mette alla prova il popolo che non ha da

mangiare.

Gesù:

Si rivolge ai deboli, libera, guarisce il

paralitico.

Attraversa il Mare di Galilea.

Moltiplica pani e pesci. È la nuova manna

Va sul Monte, è Lui che insegna la Nuova

Legge.

La folla lo segue liberamente.

Si siede sull’erba della montagna, segno di

permanenza definitiva, non di un fatto

passeggero.

Non va nel tempio, sta sul monte con i

discepoli e tanta gente.

Mette alla prova Filippo che si preoccupa di

non avere abbastanza denaro.

73

Gesù vuol far nascere nel cuore dei discepoli, la fiducia in Dio, ma Filippo, come

il popolo nel deserto, vede quello che manca materialmente e non confida nella

potenza del Signore. Anche Andrea, con il ragazzo che offre i suoi pochi pani e

pesci dice: “Ma cos’è questo per tanta gente?” Il ragazzo è l’unico che offre quel

poco che ha per tutti, non si pone domande, dona con il cuore - amore e

condivisione - e il segno avviene, il pane si moltiplica. I discepoli servono,

distribuiscono la “nuova manna”. A Pasqua gli ebrei fanno memoria della

liberazione dalla schiavitù, Gesù non è nel tempio, la folla lo segue liberamente e

diventa commensale di Cristo nella celebrazione della Nuova Pasqua.

Contrariamente alla manna questo pane non imputridisce e si dà a volontà. Gesù

fugge dalla folla che vuol farlo re solo perché è in grado di soddisfare i bisogni

materiali, il popolo non ha ancora capito il vero messaggio di Gesù: amore,

servizio e attenzione ai più deboli.

Gesù raggiunge i suoi discepoli camminando sul mare: 6,16-21 Anche se siamo nel buio e abbiamo paura per le tempeste della vita, Gesù ci

viene incontro, in qualsiasi modo, come ha fatto con i suoi discepoli che erano

sulla barca con il mare in burrasca, camminando sulle acque e ci dice: “Sono io,

non temete” (v 20); con il suo amore e il suo sostegno possiamo continuare con

coraggio il nostro percorso.

Discorso nella sinagoga di Cafarnao: 6,22-66 Il giorno dopo, la gente va in cerca di Gesù e lo trova al di là del mare. C’è

incomprensione tra Gesù e la folla che non riesce a capire il suo vero messaggio,

lo segue perché è stata sfamata.“In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché

avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi

non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi

darà. Perché su di Lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo” (6,26-27).

Cristo si fa pane di vita per l’uomo, è lui il vero cibo: il Padre l’ha mandato per

portare la salvezza! Per avvicinarci al mistero di Dio, dobbiamo credere. Il

discorso di Gesù è troppo difficile, la gente non lo capisce perché sta aspettando

un Messia potente, prodigioso, forte, che sappia governare il suo popolo, perciò

non accetta l’immagine di un Messia che viene nell’umiltà, che condivide la vita

di tutti i giorni ed è attento agli ultimi.

I discepoli non comprendono la grandezza e la gloria di Dio presenti nella

debolezza della carne. “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”. Hanno

paura di fronte al dono gratuito della vita per gli altri, infatti molti di loro si

allontanano da Gesù. “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi

crede in me non avrà più sete (6,35), Gesù nel pane spezzato è presente nella nostra

esistenza, in ogni momento e per sempre: Lui è il pane della vita, pane del

cammino, pane della condivisione.

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La confessione di Pietro: 6,67-71

Gesù allora dice ai dodici: “Forse anche voi volete andarvene?” - gli rispose Simon

Pietro – “ Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e

conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (vv 67-69). Gesù però già predice che all’interno

dei dodici uno lo tradirà. È difficile credere, anche Pietro dopo poco lo tradirà.

Condivisione e attualizzazione

La comunità non è perfetta: è proprio quando siamo tutti insieme e

spezziamo il pane che viene fuori il nostro tradimento, la nostra paura, la nostra

debolezza. Gesù si presenta come pane di vita e si dona a noi, con la Sua Parola e

nello spezzare del pane. Spesso non ci rendiamo conto di questo grande dono, lo

riceviamo quasi come un’abitudine, a volte invece non ci sentiamo degni di

ricevere il Corpo di Gesù. È nella comunità dove si prega, si accoglie e si condivide

che avviene il grande mistero della Comunione dei Santi: tutti in cammino per

testimoniare Gesù risorto e vivo in mezzo a noi.

Gesù che cammina sulle acque vuole mostrare che, oltre al suo aspetto

reale, c’è anche la sua divinità e dice ‘Sono io, non temete’. È come una nuova

trasfigurazione che emana luce e speranza.

Di frequente ci succede di fare come Pietro: professiamo la nostra fede in Gesù e

dopo poco lo tradiamo. Purtroppo, nonostante i buoni propositi, spesso in noi

vincono le paure e le debolezze.

Chi cammina nella tempesta è la comunità di Giovanni che sta attraversando

molte difficoltà, ma riconosce che quando Gesù arriva, tutto si placa: quando ci si

confronta con Lui, nella fede, noi possiamo anche tradire, ma ritrovare poi la

forza di pregare, accogliere e condividere. Una piccola testimonianza: durante la cerimonia di Prima Comunione, il sacerdote, al

momento dell’elevazione del Pane consacrato ha esclamato: “È Lui”. È stata una

testimonianza di fede molto forte che ha suscitato tanta emozione tra tutti i partecipanti.

Queste due parole ci ricordano il brano di Giovanni: Gesù è sulla spiaggia e chiede ai suoi

discepoli - che stanno tornando da una notte di pesca infruttuosa - qualcosa da mangiare,

ma loro non lo riconoscono. Gesù li invita a rigettare la rete, e dopo poco, non riescono a

tirarla su per la grande quantità di pesce: “Allora quel discepolo che Gesù amava disse a

Pietro È il Signore!” (Gv 21,7).

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Gruppo Agar: La Festa delle Capanne - Sukkot

Testi di studio: Gv 7,1-52 e Gv 8,12-30 da confrontare con Ne 8,1-18

Analisi del testo

I cristiani stavano vivendo un periodo molto difficile, venivano espulsi dalle

sinagoghe, erano perseguitati da Diocleziano e Nerone. Il capitolo sette richiama

molto il Prologo di Giovanni che abbiamo pregato al’inizio.

Gli ebrei in questa festa ricordano fanno memoria delle capanne che costruivano

durante il loro cammino nel deserto; anticamente era una festa agricola,

75

rammentava il raccolto e la vendemmia. Si aspergeva l’acqua per propiziarsi il

raccolto e si faceva memoria dell’importanza dell’acqua durante i quarant’anni di

cammino nel deserto. Nel tempio venivano accese le luci nell’atrio delle donne,

come segno di sapienza divina. Neemia ha ripristinato questa antica festa,

rileggendo al popolo i dettami della legge di Mosè: “La festa si celebrò durante sette

giorni e l’ottavo vi fu una solenne assemblea secondo il rito” (Ne 8,18). Neemia invitava il

popolo a vivere con gioia la festa per dimenticare tutti i travagli vissuti durante il

recente esilio in Babilonia, a condividerla con tutti, prestando anche attenzione ai

poveri. Una festa così prolungata inoltre rappresentava un forte sostegno

economico per il tempio.

In questo capitolo si vuole mostrare il forte contrasto che c’è tra Gesù e i farisei, i

quali sostengono che il Messia non può arrivare dalla Galilea.

Gesù insegna! Questa è La parola che più ci ha colpito! È Lui la luce, è lui che va

al cuore della legge e ci insegna come metterla in pratica, accusa i farisei: “Voi

non giudicate con giustizia, ma applicate la legge solo in maniera formale”, ma invita

anche: “Chi ha sete venga e beva da me”.

La Parola – il Verbo – si è fatto carne e ha messo la sua dimora (capanna) in mezzo a noi.

Ancora oggi gli ebrei praticanti, alla festa delle Capanne, costruiscono una

capanna nel loro giardino e vi consumano almeno un pasto al giorno. La capanna

deve avere un’apertura nel tetto per poter intravvedere le stelle, così c’è l’unione

tra l’uomo e Dio. Dio ha camminato con gli israeliti per quarant’anni nel deserto;

anche noi dobbiamo ricordare che Dio ci è sempre vicino e non ci abbandonerà

mai. Quando le nostre certezze non ci bastano, abbiamo sempre un rifugio sicuro,

una capanna: la dimora di Dio con gli uomini.

Attualizzazione

Le ragioni più importanti dell’incredulità per noi oggi, come per gli ebrei di

allora sono: dare più importanza alla materialità (cibo), alle cose concrete e fare

confusione tra il divino e il prodigioso.

Nel primo secolo d.C. ha avuto inizio un movimento filosofico lo gnosticismo =

conoscenza del divino, che non accettava l’incarnazione di Gesù. Per gli gnostici la

salvezza consisteva nella conoscenza del divino non come un atto di fede e

amore. La comunità di Giovanni oltre a combattere contro questa dottrina, era

perseguitata e rifiutata dai giudei ed era in accesa polemica con la sinagoga che

riconosceva solo la Torah come la manifestazione ultima e definitiva di Dio.

Per i discepoli di Giovanni, come per i cristiani di oggi, Gesù è il vero tempio,

ma anche noi siamo il tempio di Dio.

È la comunità il tempio di Dio: san Paolo ci ricorda “noi siamo il corpo di Cristo”:

una comunità che prega la Parola, accoglie gli ultimi, condivide il pane e la Parola,

diventa il vero tempio.

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Quando Giovanni dice che Gesù è la luce del mondo e l’acqua che scaturisce

dalla roccia, è perché la comunità l’ha riconosciuto come via, verità e vita: via

perché va alle radice della Legge, verità perché è il profeta per eccellenza e vita

perché ci ha dato l’esempio di come vivere: con la sapienza del cuore.

Gesù è via, verità e vita e la comunità che segue il suo esempio, prega, accoglie e

condivide, per essere luce, e sale della terra.

Il commento di Laura sulla Festa delle Capanne

La festa delle capanne era per gli ebrei una delle più sacre e più importanti.

Si celebrava a Gerusalemme per sette giorni, si dimorava nelle capanne ed era

legata anche alla vendemmia. I riti più caratteristici erano quelli dell’acqua e della

luce. Il rito dell’acqua aveva lo scopo di intercedere per la pioggia, così

necessaria in autunno per la semina. Nell’ultimo giorno c’era il rito della luce che

proveniva dai grandi lampadari del tempio e illuminava tutta la città.

L’acqua e la luce offriranno a Gesù lo spunto per rivelare il mistero della sua

Persona divina; si reca anche Lui a Gerusalemme per la festa delle capanne e,

circa a metà della festa, sale al tempio e incomincia a insegnare.

Tra la folla si fa un gran parlare di Gesù, di nascosto per paura dei Giudei, i quali

si stupiscono perché Gesù insegnava con sapienza le Scritture; come mai – si

chiedono – uno che viene dalla Galilea e non ha studiato conosce così bene le

Scritture? Rispondendo alle loro domande Gesù dice: “La mia dottrina non è mia ma

di colui che mi ha mandato”(7,16). Inoltre di fronte alla loro incredulità, Gesù

risponde: “Io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero e voi non lo

conoscete. Io però lo conosco perché vengo da lui ed egli mi ha mandato” (7,28-29).

Alcuni cedettero in lui, mentre i sommi sacerdoti e i farisei volevano arrestarlo.

Altre affermazioni di Gesù “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva chi crede in me;

come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”(7, 37-38). Nel cap.8, in un crescendo drammatico di domande e risposte, mentre i Giudei si

ostinano nella loro incredulità, Gesù rivela sempre più chiaramente la sua

divinità con questi annunci: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà

nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (8,12). Questa solenne dichiarazione di Gesù

richiama le parole del Secondo Isaia per il ‘Servo di YHWH’: “Ma io ti renderò

luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 42,6-7). - “Voi non conoscete né me né il Padre mio, se conosceste me, conoscereste anche il Padre

mio” (8,19).

- “Se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati” (8,24). Con ‘Io Sono’

Gesù si attribuisce lo stesso nome di YHWH.

- “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non

faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato” (8,28).

In questi due capitoli si apre un ampio confronto tra Gesù, la folla, i farisei, i

Sacerdoti e i capi. Le reazioni della folla sono in parte favorevoli

all’insegnamento di Gesù nel tempio, altri contrari (cfr Gv 7,12ss).

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L’insegnamento di Gesù sembra una sfida nei confronti dei capi giudei, dei

farisei e dei sacerdoti che avviene proprio nel cuore dell’istituzione ebraica, il

tempio, creando così un clima di sospetto e di minaccia che culminerà nel

tentativo di lapidarlo (cfr cap.8). Nell’ultimo giorno della festa, il più importante -

giorno in cui arrivano a compimento tutte le attese di salvezza - Gesù si rivolge a

coloro che hanno sete di tale ‘pienezza’ e si rivela loro come ‘ultimo e definitivo

inviato dal Dio Padre’. Egli infatti con stile sapienziale invita tutti ad accostarsi a lui e bere della sua

acqua. Molte sono le citazioni nella Bibbia che parlano di questa acqua viva

inesauribile che si identificano: nella Parola di Dio, nella Sua legge, nella Sua

sapienza e nella Sua salvezza. Acqua che disseta il popolo, che rende fertile la

terra. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù sceglie l’ultimo giorno della festa, il più

importante, per rivelarsi come l’autentica sorgente della definitiva rivelazione del

Padre, rivolge un altro appello ai giudei perché si convertano, offrendo loro una

ulteriore opportunità per non morire nel peccato di incredulità.

Solo quando i giudei avranno “innalzato” in croce il Figlio dell’Uomo allora

comprenderanno che Gesù è ‘Io Sono’.

In merito alle domande del tema dell’incontro ciò che mi ha colpito di più è stata

la testimonianza che Gesù fa del Padre suo, più volte ripetuta, purtroppo molti non

hanno creduto alla sua dichiarazione ‘Io Sono’ che rivelava la sua origine divina.

Il confronto con il testo di Neemia ci dice che Esdra raduna nella piazza tutto i

giudei ritornati dall’esilio per ascoltare insieme la lettura del libro della legge,

come se il popolo fosse un solo uomo per dire che la Parola è rivolta a tutti e a

ciascuno in particolare.

Terminiamo il nostro incontro recitando la Salve Regina.

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INCONTRO del 5 giugno 2014 – 0ggi si festeggia! Che strano clima si respira oggi!

Un po’ di commozione, gioia, tristezza e un pensiero che accomuna tutte: gli

incontri del giovedì ci mancheranno molto.

La nostra amica Anna di Cesano ci porta una lettera di Don Antonio Niada che

noi tutte conosciamo per averci introdotto al tema biblico dell’esilio, all’inizio

del corso 2012-2013; alcune di noi lo conoscono anche come docente

dell’UNITRE, ha una cultura, una preparazione e un modo di fare eccezionali.

La sua lettera ci ha commosso; la sua fede e il suo modo di affrontare questo

periodo sono esemplari.

Come testimonianza vogliamo trascrivere alcuni passi della sua lettera:

“La sofferenza non è parola che serve a riempire la bocca, ma è la consapevolezza che la

tua carne e il tuo sangue sono già minate dal limite che li porterà alla fine della vita terrena.

È indubbio che ogni sofferenza non è uguale all’altra e che ogni sofferente è unico e

irripetibile nella sua storia di persona amata dal Signore. La malattia può essere anche

curata, ma il traguardo umano è la morte. Con queste riflessioni che ho vive nella mente e

nel cuore, sto affrontando il cammino iniziato e chiedo al Signore Gesù di aumentare la mia

fede e di credere, come lui disse per Lazzaro che: ‘Questa malattia non porterà alla morte, ma

è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato’ (Gv 11,4).

Cosa sarà per me la possibilità della glorificazione del figlio di Dio nella mia

malattia, mi sarà dato di comprenderlo nei passi ai quali sarò chiamato. Per questo chiedo

una preghiera di intercessione per me e per tutte le persone che soffrono di tumore, perché

la preghiera fatta per gli altri ritorna a noi come una benedizione e chiedo di

accompagnarmi e accompagnarci nel concreto cammino che certamente, nella fede, è per la

vita eterna. Grazie e sia lode al Signore.”

Caro don Antonio ci uniamo ai suoi parrocchiani per accompagnarla, nel suo percorso di

malattia, con le nostre preghiere e il nostro affetto.

Dopo il canto dello Shêmá, affidiamo al Signore Don Antonio e alcune

nostre amiche che stanno vivendo periodi di grande sofferenza.

Ringraziamo il Signore per il grande dono che ci ha concesso: un altro anno in

cui ci siamo incontrate per approfondire e condividere la sua Parola in un clima di

amicizia, armonia e affetto. Grazie Signore Gesù! Tutto e un tuo dono!

La sala dove ci vediamo di solito, ha un aspetto festoso, tavoli apparecchiati, con

tante delizie che alcune nostre amiche, bravissime cuoche, hanno preparato; c’è

di tutto: torte, dolcetti, bevande, fiori, perfino il caffè!

Siamo in tante, ci scambiamo impressioni, idee, promesse di incontrarci durante

l’estate, mentre godiamo di tutte le squisitezze che abbiamo a disposizione.

Con un po’di commozione ci salutiamo. Ci auguriamo di ritrovarci tutte a

settembre, magari con qualche novità; si sa che lo Spirito Santo rinnova e noi

vogliamo essere aperte alle novità dello Spirito. BUONE VACANZE A TUTTE!

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Ci impegniamo di don Primo Mazzolari

Ci impegniamo noi e non gli altri,

unicamente noi e non gli altri,

né chi sta in alto, né chi sta in basso,

né chi crede, né chi non crede.

Ci impegniamo

senza pretendere che altri s'impegnino,

con noi o per suo conto,

come noi o in altro modo.

Ci impegniamo

senza giudicare chi non s'impegna,

senza accusare chi non s'impegna,

senza condannare chi non s'impegna,

senza disimpegnarci

perché altri non s'impegnano.

Ci impegniamo

perché non potremmo non impegnarci.

C'è qualcuno o qualche cosa in noi,

un istinto, una ragione,

una vocazione, una grazia,

più forte di noi stessi.

Ci impegniamo per trovare un senso alla

vita, a questa vita, alla nostra vita,

una ragione che non sia una delle tante

ragioni che ben conosciamo

e che non ci prendono il cuore.

Si vive una volta sola

e non vogliamo essere "giocati"

in nome di nessun piccolo interesse.

Non ci interessa la carriera,

non ci interessa il denaro,

non ci interessa la donna o l'uomo

se presentati come sesso soltanto.

Non ci interessa il successo né di noi

né delle nostre idee,

non ci interessa passare alla storia.

Ci interessa perderci

per qualche cosa

o per qualcuno che rimarrà

anche dopo che noi saremo passati

e che costituisce la ragione del nostro

ritrovarci.

Ci impegniamo

a portare un destino eterno nel tempo,

a sentirci responsabili di tutto e di tutti,

ad avviarci, sia pure attraverso un lungo

errare, verso l'amore.

Ci impegniamo

non per riordinare il mondo,

non per rifarlo su misura,

ma per amarlo;

per amare

anche quello che non possiamo accettare,

anche quello che non è amabile,

anche quello che pare rifiutarsi all'amore,

poiché dietro ogni volto

e sotto ogni cuore

c'è insieme a una grande sete d'amore,

il volto e il cuore dell'amore.

Ci impegniamo

perché noi crediamo all'amore,

la sola certezza

che non teme confronti,

la sola che basta

per impegnarci perpetuamente.