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LA “NUOVA” VISIONE DELLA FENOMENOLOGIA 1 Javier San Martín UNED, Madrid L’intento di queste pagine è discutere quello che qualche anno fa è stato definito il new Husserl, il nuovo Husserl 2 . Com’è noto, Husserl fu il fondatore della fenomenologia, un movimento filosofico che ha significativamente segnato il secolo XX, e che per molti aspetti continua a caratterizzare il XXI. Eppure, questo influsso non é stato chiaro e rettilineo, ma tortuoso, attraversando strade talora sconosciute, talaltra di mera reazione alla medesima fenomenologia. Questo influsso e, soprattutto, i percorsi che ha seguito si fondavano su una interpretazione dell’opera di Husserl che presentava una certa ambiguità, giacché, da una parte, si basava su alcune particolari espressioni del fondatore della fenomenologia riguardo alla sua propria opera, sulle quali erano in disaccordo molti di coloro che lavoravano con lui, e, dall’altra, sul carattere generale della fenomenologia che tutti costoro accettavano di buon grado e a cui era dovuta la fortuna stessa della fenomenologia. Questa duplicità si

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LA “NUOVA” VISIONE DELLA FENOMENOLOGIA1

Javier San Martín

UNED, Madrid

L’intento di queste pagine è discutere quello che qualche anno fa è stato definito il

new Husserl, il nuovo Husserl2. Com’è noto, Husserl fu il fondatore della

fenomenologia, un movimento filosofico che ha significativamente segnato il secolo

XX, e che per molti aspetti continua a caratterizzare il XXI. Eppure, questo influsso non

é stato chiaro e rettilineo, ma tortuoso, attraversando strade talora sconosciute, talaltra di

mera reazione alla medesima fenomenologia. Questo influsso e, soprattutto, i percorsi

che ha seguito si fondavano su una interpretazione dell’opera di Husserl che presentava

una certa ambiguità, giacché, da una parte, si basava su alcune particolari espressioni

del fondatore della fenomenologia riguardo alla sua propria opera, sulle quali erano in

disaccordo molti di coloro che lavoravano con lui, e, dall’altra, sul carattere generale

della fenomenologia che tutti costoro accettavano di buon grado e a cui era dovuta la

fortuna stessa della fenomenologia. Questa duplicità si è poi definitivamente accentuata

e approfondita con l’opera di Heidegger.

L’opera scritta di Husserl è immensa. La sua formazione di matematico lo aveva

abituato a pensare scrivendo. Se a questa pratica aggiungiamo una lunga vita dedicata

alla docenza e, in particolare, l’impegno di scrivere un testo di almeno duecento o

trecento pagine per ogni corso di lezione, per ogni Vorlesung, nell’arco di trent’anni, e

due volte ogni anno, cioè, una ogni semestre, arriveremo alle cinquantamila pagine di

testi da lui lasciateci. Al contrario, ciò che Husserl pubblicò in vita si riduce a cinque

libri in tedesco3, uno in francese4, alcuni articoli e il frammento dell’opera La crisi delle

scienze europee5. Quale fu la conseguenza di questa curiosa situazione, quella di un

filosofo che scrive un’opera, che se fosse messa in forma di libri ammonterebbe a

centoventi volumi, ma di cui viene pubblicato solo un numero esiguo? Proprio quella

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cui prima accennavo, ovvero la grande discrepanza tra l’interpretazione ufficiale che i

professionisti della filosofia davano o diffondevano della fenomenologia di Husserl

(basata perlopiù sulle opere edite, cioè su una minima parte dei suoi testi) e l’influenza

che la fenomenologia stava avendo nella filosofia del secolo XX in molte direzioni, una

delle quali era quella che proseguiva lo spirito della fenomenologia che i più

condividevano, avendolo appreso direttamente dalle lezioni del maestro moravo, e

attraverso cui passavano molte formule della fenomenologia che spesse volte urtavano

contro ciò che lo stesso Husserl aveva pubblicato.

Ebbene, ora disponiamo della pubblicazione di una quantità ragionevole di questa

opera manoscritta. La serie Husserliana ha al suo attivo, a fine 2009, già 40 tomi6, quasi

un terzo dei suoi testi, il che è ad ogni modo sufficiente per comprendere in profondità

la filosofia dell’autore, superando così i difetti di quella linea interpretativa la cui

parzialità era dovuta al limite di disporre delle poche opere pubblicate in vita. E questa

situazione ha costretto molti a cambiare la loro visione di Husserl. È in questo contesto

che è sorta la teoria del “nuovo Husserl” che, partendo da quelle numerose

pubblicazioni, sarebbe in grado di correggere la visione topica che insegnano i manuali

e contro cui si ribellano molti degli stessi discepoli di Husserl.

In primo luogo proverò a tracciare brevemente i tratti di quello che è stato definito

lo Husserl “topico”, che si formò attraverso un'interpretazione tradizionale della parola

"idealismo", attraverso le interpretazioni di alcuni discepoli di Gottinga, e soprattutto

poi di Heidegger, ed attraverso alcune affermazioni tratte da Merleau-Ponty e Derrida,

nel convincimento che quello Husserl è lo stesso che per alcuni aspetti ancora è presente

in talune letture in Spagna e in Italia (in quest’ultima nonostante gli scritti di Antonio

Banfi e soprattutto del suo discepolo Enzo Paci, e nonostante le traduzioni di importanti

testi di Husserl)7. In secondo luogo, analizzerò alcuni punti chiave di questo nuovo

Husserl, con la precisazione che il nuovo Husserl non è veramente nuovo perché si

trovava già nei libri su Husserl almeno dagli anni ’50, nelle opere di Gerd Brand 8, di

Klaus Held9, in significative parti dell’opera di Merleau-Ponty e, in Italia, almeno nei

libri di Paci e dei suoi discepoli, nei testi di Angela Ales Bello e di altri10. In questo

senso la lettura di molti studiosi, ancora prima della progressiva pubblicazione dei

manoscritti di Husserl, già negli anni ’60 e ’70, è andata preparando ciò che possiamo

chiamare il cambiamento di paradigma nell’interpretazione di Husserl, passando da uno

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Husserl fondamentalmente delineato nell’opinione degli addetti ai lavori a partire dalle

formulazioni heideggeriane, a uno Husserl che ha poco a che vedere con quella

definizione e che per ciò stesso giunge al secolo XXI libero da fastidiose adesioni che,

dando la sua filosofia per morta, propendevano per il suo congedo. Così, nella prima

parte intendo esporre il paradigma più comune nell’interpretazione della fenomenologia,

mentre nella seconda parte emergerà il nuovo paradigma che, a mio giudizio, si è già

imposto, sebbene non sia ancora arrivato ai manuali. Devo inoltre aggiungere che il

cosiddetto “nuovo Husserl” è proprio quello al quale appare profondamente ispirato il

libro più affidabile che sia mai stato scritto finora sulla presentazione globale della

fenomenologia. A questo libro, intitolato Edmund Husserl: Darstellung seines Denkens

e dato alle stampe nel 1989, parteciparono tre ricercatori degli Archivi-Husserl, di

quello di Lovanio e di quello di Colonia: Iso Kern, Eduard Marbach e Rudolf Bernet. È

da segnalare che la versione italiana di questa importante opera è uscita

immediatamente dopo l’edizione originale11.

1. Il paradigma topico nell’interpretazione di Husserl

Non è difficile indicare le note più importanti del paradigma tradizionale a

proposito della fenomenologia di Husserl. Sarà sufficiente indicare alcune coordinate

storiche, o riandare ai luoghi teorici che si sono accumulati e che hanno dato origine ad

una struttura interpretativa talmente salda che solo un corrispettivo accumulo di

evidenze circa la sua inadeguatezza ha fatto sì che tale struttura ermeneutica iniziasse ad

incrinarsi.

Il punto di partenza di quel paradigma è intimamente connesso all’effetto che sortì

la pubblicazione dell’opera fondamentale di Husserl, le Idee per una fenomenologia

pura nel 1913, in cui si afferma un idealismo trascendentale di nuovo tipo, che però è

considerato dai discepoli di Gottinga come un tradimento dello spirito e delle parole

stesse della fenomenologia. Questa frattura tra Husserl e i suoi discepoli non si sarebbe

mai più ricomposta, e tale idealismo, respinto dai discepoli, continuò ad essere il motivo

del rifiuto della fenomenologia, divenendo, inoltre, una nota essenziale della stessa, che

la qualificava in modo assolutamente negativo.

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Ma in quella stessa opera di Husserl ci sono altre caratteristiche molto importanti

che vanno a determinare l’immagine che, dagli anni Trenta in poi, farà della

fenomenologia di Husserl una filosofia profondamente inadeguata per i nuovi tempi.

In Idee I la teoria dell’idealismo trascendentale si basa – e così continuerà ad essere

nell’opera di Husserl – sulla teoria dell’epoché e sulla riduzione trascendentale, per cui

sembra instaurarsi un atteggiamento specifico del filosofo che acquisisce una

condizione molto peculiare. La condizione dell’epoché e della riduzione appare

particolare in quanto, da un lato, sono per Husserl indispensabili in fenomenologia al

punto che mai le abbandona, e, dall’altro, dal lato di quelli che lo circondano, epoché e

riduzione trascendentale costituiscono proprio ciò di cui la fenomenologia deve liberarsi

se vuole essere fruttuosa.

L’epoché e la riduzione sono caratterizzate in virtù della loro facoltà di costituire il

fenomenologo come “spettatore disinteressato”, che cerca soltanto di descrivere

l’esperienza. L’affermazione husserliana secondo cui il fenomenologo è uno spettatore

disinteressato sembra condannare la fenomenologia alle tenebre della filosofia del

“disimpegno”, proprio quando si affermava che la filosofia doveva essere connotata

dall’impegno politico. Che Husserl proclamasse l’assenza di impegno – null’altro,

infatti, poteva significare l’espressione “spettatore disinteressato” – qualificava la sua

filosofia secondo un orientamento che la trasformava in una filosofia affatto reazionaria,

al servizio degli interessi dei potenti contro i quali lottavano i politici di sinistra e i

filosofi “impegnati”.

Ma accanto a ciò, nell’opera di Husserl del 1913 si poteva constatare il compimento

di una tendenza allarmante che era già apparsa in un articolo del 191112, in cui Husserl

rifiutava con la stessa fermezza tanto lo storicismo quanto il naturalismo, oltre al fatto

che negava alla storia ogni tipo di influenza. Eppure sappiamo che, subito dopo, Husserl

intrattenne un duro carteggio con Dilthey, in cui si mostrava più prudente. Appare, però,

incontrovertibile che nelle Idee del 1913 non solo la storia non esiste, ma, anzi, viene

affermata l’astoricità della filosofia. La fenomenologia sarebbe stata vista come una

filosofia che non ha niente da dire sulla storia e, per ciò stesso, radicalmente incapace di

esprimersi sulla storia13.

A ciò si aggiunge il fatto che, nell’opera edita di Husserl, e in linea con le

sopracitate tendenze, non pare che si faccia menzione dei problemi morali. Il che

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sembra scaturire necessariamente dal fatto che il fenomenologo è uno “spettatore

disinteressato”: se egli non ha alcun interesse, appare ragionevole che sia estraneo alle

faccende umane. Piuttosto, per la fenomenologia il soggetto trascendentale non è un

essere umano, in quanto il carattere umano è stato neutralizzato dall’epoché, così come

il mondo effettivamente reale, in cui noi viviamo e che è pieno di cose umane, di

strumenti d’uso, di cose che valgono, ecc. Tutto ciò è stato messo tra parentesi affinché

il fenomenologo potesse costituirsi come una istanza di accesso alle cose stesse, al fine

di descrivere che cosa sono le cose nel loro modo d’apparire. Perciò, si dice che Husserl

prescinde in quest’opera da tutte le questioni importanti di una filosofia morale. La

fenomenologia si diffonde fin troppo nella trattazione dei problemi teoretici, ma non ha

detto né dice né mai dirà nulla sull’etica e sulla morale14.

E tuttavia vi è una questione che non appariva nelle opere edite, ma che era allo

stato latente, e che stranamente sarà compito della stessa fenomenologia mettere a tema.

È, infatti, indubbio che, nell’opera di Husserl, il fenomenologo è da solo, e ciò perché

con l’epoché e con la riduzione, attraverso le quali rompe con il mondo, il

fenomenologo rompe anche con gli altri, e così rimane da solo, per quanto ciò suoni

contraddittorio. Era da un bel po’ che gli studi di Husserl giravano attorno a quel

problema, di cui soltanto i più vicini a lui, come la sua assistente Edith Stein, potevano

avere notizia15. Molti anni dopo, nelle Meditations cartésiénnes, pubblicate in francese,

tale problema riappare formulato e declinato nei termini dell’intersoggettività, insieme

ad un tentativo di soluzione. Ma siccome quest’ultima era tanto difficile da ottenere

quanto fondamentale per la fenomenologia – al punto che la stessa fenomenologia

dipendeva da tale soluzione – il fatto che la proposta di Husserl non fosse convincente

provocò due peculiari effetti. Da un lato, l’assunzione di un problema filosofico nuovo,

la necessità di comprendere il tratto sociale dell’essere umano, che non consiste soltanto

nella fattività dello stare con gli altri, giacché, secondo la descrizione di Husserl,

l’intersoggettività appartiene alla nostra realtà. Ma dall’altro lato, l’incapacità della

fenomenologia di risolvere o di rispondere alla domanda che essa stessa, ed essa prima

di tutti, aveva posto, e la relativa accusa di essere un metodo incapace di risolvere il

problema dell’intersoggettività. In poche parole, la fenomenologia è accusata di

chiudersi in un solipsismo metodologico.

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D’altro canto, quest’ultimo punto ha la sua coerenza: storia, impegno e morale sono

sfaccettature della vita sociale dell’essere umano. Le difficoltà a rispondere alle

domande che scaturiscono dal problema dell’intersoggettività sono in stretta

connessione con lo stile della fenomenologia nella trattazione di quei luoghi teorici che

sono via via apparsi. A partire dalla constatazione che, malgrado il suo stesso intento, la

fenomenologia non risponde al problema dell’intersoggettività, diviene possibile

cogliere in pieno il fondamento più profondo delle suddette mancanze.

Ancora una nota, a conferma di tutto questo insieme paradigmatico, è possibile

trovarla in un testo di Husserl, edito da Heidegger, sulla coscienza interna del tempo, in

cui, in linea con altri suoi scritti, egli espone descrittivamente il tempo come un flusso

che va verso il passato, che permane in qualche modo in noi, come ritenzione,

configurando anche la coscienza presente. Dietro il tempo sembra esservi un io assoluto

costituente. La presenza ultima di questo io, così come il fatto che il tempo sia

fondamentalmente la sua dimensione del passato, sembra essere coerente con

quell’immagine di un io disimpegnato, dal momento che in tale testo tutto sembra essere

stato deciso nel passato, e sembra che non vi sia futuro, il che va a legarsi con i

problemi di cui sopra.

Questa immagine di Husserl, che risale alla sua pubblicazione del 1913, sarebbe

divenuta stabile a partire dai commenti di Heidegger a Marburgo, intorno al 1921.

Heidegger nelle sue Lezioni – per esempio nella prima lezione di Marburgo16 – mostra

di assumere in modo sempre più evidente quei luoghi teorici, e li trasmette ai suoi

allievi, tra i quali vi erano sia Hanna Arendt sia Hans-George Gadamer, che tanta

influenza avrebbero avuto nel consolidamento del paradigma su Husserl stratificatosi

poi nella tradizione filosofica. L’aspetto fondamentale dell’accusa heideggeriana contro

Husserl è di essere radicalmente cartesiano. Tale accusa è da Heidegger esposta in un

punto fondamentale, ovvero laddove spiega quella che avrebbe chiamato l’“illusione

fenomenologica”, consistente nel pensare che le cose sono come il metodo che si

impiega; è convinzione di Heidegger che Husserl sia caduto in quell’illusione e che

abbia quindi falsato la realtà. In effetti, la realtà che Husserl descrive è ben lungi

dall’essere la realtà storica concreta nella quale viviamo; al contrario, essa è una realtà

già manipolata, depurata dai tratti storici che la configurano come una realtà vincolata

alla vita umana. La realtà descritta dalla fenomenologia è una realtà artificialmente

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creata dalla fenomenologia stessa, ragion per cui il difetto della filosofia di Husserl

starebbe nell’ignorare che è proprio la storia a fare quella realtà umana. Il

cartesianesimo di Husserl è divenuto uno dei topici fondamentali che riassume il

“vecchio” paradigma della fenomenologia, paradigma che ha trovato conferma negli

ultimi testi di Patočka17, che a loro volta si rifanno alla lettura heideggeriana e

arendtiana di Husserl.

2. Il nuovo paradigma di interpretazione della fenomenologia: il “nuovo” Husserl

Prima di entrare nel merito, desidero chiarire il senso di questa “novità”. È evidente

che essa non è veramente tale, per le ragioni sopra richiamate. Infatti, il paradigma cui

faccio riferimento non è certo nuovo per coloro che abbiano studiato i manoscritti di

Husserl a partire dagli anni ’50, come è il caso, già citato, di Gerd Brand, Klaus Held o

Enzo Paci, e ancora, a partire dagli anni ’60 e ’70, come è il caso di molti italiani,

spagnoli e latinoamericani, ad esempio Giovanni Piana, Stefano Zecchi, Angela Ales

Bello, in Italia; Roberto Walton, Antonio Aguirre o Guillermo Hoyos, in America

latina, o di spagnoli, come io stesso, o Miguel García Baró. Certamente occorrerebbe

anche citare qui alcuni studiosi estremo-orientali come il giapponese Hamauzu o il

coreano Nam In Lee. Per me e per tutti quelli che ho appena citato, il “nuovo”

paradigma non è tale, in quanto non abbiamo mai adottato quello precedente, piuttosto

ci siamo avvicinati a Husserl non attraverso il vecchio paradigma, bensì, al contrario,

attraverso quello che ora è chiamato il new Husserl. Questi è l’unico Husserl che io

abbia mai conosciuto, giacché ho cominciato a studiare Husserl nel 1968, a Lovanio,

con Alphonse de Waelhens, e a partire da Merleau-Ponty. Nel Prologo al suo libro più

importante, la Fenomenologia della percezione, si possono leggere quasi tutti i problemi

insiti in quello che ho chiamato il “vecchio” paradigma di interpretazione, così come un

certo orientamento verso la loro soluzione, ovvero, le linee che avrebbero configurato il

“new” Husserl. Con tale preparazione io andai direttamente a studiare presso

l’Archivio-Husserl a Friburgo i.B., sicché agli inizi degli anni ’70 ero già immerso in

quello che ora è denominato il “new Husserl”18. Pur non potendo raccontare le storie

degli studiosi che ho appena citato, immagino che le loro circostanze siano più o meno

simili alle mie.

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E, prima di passare all’esposizione di questo “new” Husserl, voglio evidenziare ciò

in cui consiste l’interesse di questa novità, posto che è lecito interrogarsi sulla maggiore

o minore adeguatezza di un’interpretazione rispetto all’altra. La questione è a mio

giudizio assai importante per le ragioni che seguono. Con il vecchio paradigma, Husserl

è abbandonato o si raccomanda di non studiarlo perché tutta la sua filosofia sarebbe

basata su un grande errore. Questo interdetto potrebbe estendersi perfino allo Heidegger

di Essere e tempo – ovvero allo Heidegger fenomenologo –, perché la Kehre ne avrebbe

superato i primi lavori. Si può dire che in molti luoghi la critica di Heidegger e l'influsso

della sua "seconda navigazione” avrebbero potuto soffocare i tentativi di studiare

Husserl. E, in una certa misura, questo è accaduto proprio in Germania. Il predominio

assoluto di Heidegger e di Gadamer fece sì che Husserl praticamente sparisse

dall’Università, e che Klaus Held, o Waldenfels, non esercitassero l’influsso che le loro

filosofie avrebbero meritato.

Ebbene, non studiare Husserl presuppone di non considerare le questioni

fondamentali che egli pone, il problema della natura della filosofia e della professione

del filosofo nel mondo contemporaneo; la deriva di un mondo sociale che prescinda dal

confronto con gli esperti che discutono con serietà sul valore orientativo delle idee; la

relazione delle scienze umane con le scienze naturali, con la filosofia e con il mondo

quotidiano, problemi, insomma, che Husserl aveva esaminato estesamente e nella cui

trattazione una filosofia, che ne ignori gli apporti, sembra destinata a tornare a livelli di

discussione ampiamente superati.

Detto ciò, diviene ora possibile procedere segnalando alcune caratteristiche di

questo nuovo Husserl. E credo che in primo luogo occorra mettere in rilievo

l’importanza che in questa riconsiderazione di Husserl ha acquistato il ripensamento dei

suoi due concetti metodologici più importanti: la riduzione e l’epoché. Partiamo dalla

considerazione che secondo il “vecchio” paradigma esse sono la stessa cosa, senza che

sia poi possibile capire perché Husserl abbia avvertito la necessità di utilizzare due

parole diverse. Ebbene, il punto è che si tratta di due cose profondamente diverse, una

cosa è la riduzione fenomenologica, un’altra è l’epoché. Quest’ultima ci appare adesso

come l’instaurazione di un atteggiamento di sospensione riflessiva per poter fare

filosofia; per fare filosofia devo uscire dal mondo degli affari, devo mettere in

discussione il mondo stesso, anziché darlo in partenza per presupposto. In secondo

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luogo, – ed è proprio qui che si trova la differenza temporale tra l’epoché e la riduzione

– vi è l’importante scoperta che tutto è intorno a me, che tutto si riferisce o è riferito a

me, sicché – questo è il senso della riduzione – tutto viene ricondotto a me. Bisogna

leggere la famosa riduzione nel suo originario significato latino, ossia ritornare al luogo

di riferimento, per esempio, exercita in castra reducere, “ricondurre gli eserciti

all’accampamento”. La riduzione, in questo senso, è rendersi conto che la realtà, ciò che

è nel mio ambiente circostante, dipende da me, che essa è sempre un polo di una

struttura duale, sicché il mondo è il “mio” mondo, la realtà sociale è la “mia” realtà

sociale, Dio è il “mio” Dio, in poche parole, tutto è il polo di una visione, di una

coscienza che vede, di un modo di essere aperto a quella realtà.

Husserl sta proponendo una cornice concettuale per pensare l’origine della

filosofia, e la filosofia come professione. Infatti, la filosofia come professione non è

altro che aprire uno spazio-tempo nel quale anzitutto prendiamo coscienza che il mondo

ci appare e che, al di fuori di questa cornice di apparizione, il mondo non è niente, gli

spazi interstellari non sono altro che prolungamenti di quello spazio di apparizione. In

questo modo l’epoché e la riduzione diventano la cornice che definisce la natura del

sapere filosofico come un tipo di sapere diverso, profondamente diverso dagli altri

saperi, i quali, invece, cercano sempre di conoscere una parte del mondo in modo da

poter agire in quel mondo o almeno in quella parte di esso conosciuta. La filosofia, che

parte dall’instaurazione di quello spazio-tempo particolare, in cui non ci curiamo degli

affari – e proprio questo è l’epoché19 – istituisce lo spazio-tempo di apparizione del

mondo nel mio ambiente circostante, o suppone di prenderne coscienza, dacché è a me

che il mondo appare, sicché il mondo è il correlato della mia vita. Possiamo spingerci

ancora più in là, e affermare che la mia vita non è altro che l’altro polo del mondo che

appare. È proprio ciò che affermava Husserl, sin dall’inizio, quando cercava di definire

quella situazione che viene alla luce alle origini della filosofia, ovvero che ogni

coscienza è coscienza di un oggetto, e, in modo equivalente, che ogni oggetto è oggetto

di una coscienza; il che vuol dire che oltre l’uno o l’altro polo non c’e niente, e che non

posso uscire dalla correlazione. Questo è quello che si chiama l’a priori della

correlazione intenzionale.

In secondo luogo, i cambiamenti più importanti in relazione al “vecchio” paradigma

si riferiscono al modo di concepire quel me dal quale dipende tutto – e che ci è apparso

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quando ci siamo accorti che tutto è nel mio ambiente circostante, che tutto dipende da

me – e al modo di cogliere il carattere della filosofia che sorge a partire da tale

atteggiamento. Il fatto è che quella filosofia, formulata nei termini “teorici”

contemplativi di cui sopra, e in virtù della quale il filosofo è uno “spettatore

disinteressato”, sembra slegata dalla vita, sembra non avere alcuna utilità per la vita,

sembra una specie di gioco di divertimento in cui ci alieniamo dai problemi della vita e

della società. In quanto all’io che necessariamente sorge nell’atteggiamento filosofico,

sappiamo che, secondo il vecchio paradigma, si tratta di un io senza storia e isolato; e

che, nella misura in cui è un io contemplativo, si configura come un io senza interessi,

appunto come afferma Husserl, uno “spettatore disinteressato”. Ebbene, in relazione a

tutti questi punti, il cambiamento rispetto al vecchio paradigma è, nel “new Husserl”,

radicale.

Prendiamo pure le mosse da questo secondo aspetto, quello dell’io senza interessi,

assunto che il fenomenologo è uno “spettatore disinteressato”. Questo è stato appunto

uno dei temi più importanti che configuravano il vecchio paradigma, il quale qualificava

Husserl come un filosofo cruciale per una teoria della conoscenza ma irrilevante per la

filosofia morale e per la filosofia politica. Ma la realtà è un’altra: la filosofia, la cui

natura viene descritta nei termini che abbiamo appena analizzati, non si intraprende

senza motivi, ci sono motivi, ci sono ragioni, temi che, pur scaturendo dalla vita

quotidiana, la mettono in discussione, che non si riferiscono al valore di alcuni scopi che

possiamo inseguire nella vita, ma alla vita stessa, alla totalità degli scopi, giacché è il

problema della nostra vita, il mondo come insieme, ciò che all’improvviso, o in un

processo di maturazione della problematicità, fa irruzione nella nostra vita, obbligandoci

a fermarci – questo significa la parola epoché: fermarsi – e a riconsiderare la totalità, il

mondo, la sua forma, la mia vita, etc. Perciò la filosofia, che deve essere definita come

una attività contemplativa, sorge dalla massima preoccupazione, dalla preoccupazione

per il senso della vita, del mondo, della nostra presenza nel mondo. Questa è la ragione

per cui, nell’ottica di Heidegger, l’intenzionalità husserliana, che è la forma nella quale

appare la relazione tra io e mondo, è la Cura, la Sorge20.

Mi si dirà che tutto ciò è frutto di una possibile interpretazione di un’opera, quella

di Husserl, molto estranea a questa preoccupazione per la vita, che, d’altra parte, sembra

destinata a trasformarsi, prima o poi, in una preoccupazione morale e politica. Ebbene,

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un dato fondamentale del nuovo paradigma è proprio l’insistenza con cui Husserl tenne

lezioni di filosofia morale. Il che indica come questa fosse per lui tanto importante

quanto la filosofia teoretica. In effetti, già a partire dal 1898, Husserl tenne regolarmente

corsi di filosofia morale, rimasti però inediti. Per Husserl la vita umana – e la

fenomenologia è soprattutto descrizione della vita umana – possiede tre versanti

fondamentali, quello conoscitivo, quello affettivo/valutativo e quello pratico/attivo.

‘Conoscere’, ‘valutare’, ‘fare’ sono i verbi che denotano la nostra vita. Generalmente

ciò che conosciamo ci affetta positivamente o negativamente: è qui che sorge la

valutazione delle cose, in loro stesse, o in relazione ad altri scopi valutati o voluti, ed il

risultato è l’azione dopo una decisione, che, dal canto suo, è vera decisione fintantoché

si prolunga nell’azione. Tutta l’opera di Husserl si concentra su questi nodi tematici21.

Bisogna però considerare una questione, che a Husserl stesso preme esaminare

quando, dopo la Grande guerra, la sua preoccupazione è più sociale e politica che

semplicemente morale, proprio perché quella vicenda bellica aveva mostrato il

fallimento dell’idea d’Europa. Dopo la guerra, esattamente quando egli si trasferisce a

Friburgo nel 1917, la morale sarà una morale sociale, con la sua traduzione politica. Ciò

che preoccupa Husserl è il “rinnovamento” della vita culturale europea, la ricostruzione

di quell’ideale europeo che aveva costituito l’essenza filosofica dell’Europa, e di cui la

guerra aveva mostrato il fallimento. C’è una lezione del semestre invernale del 1922/23,

ora pubblicata nel volume XXXV dell’Husserliana, in cui si parla di come l’etica sia

quella filosofia che sta al di sopra di tutte, dal momento che qualunque altra parte della

filosofia è risultato di un’azione, e l’etica è la filosofia della legittimità dell’azione22. Ma

d’allora in poi Husserl, che in quel momento ha sessantatre anni, non si sarebbe

dedicato all’etica in senso stretto, ma a pensare le ragioni del fallimento dell’Europa e le

condizioni di un suo rinnovamento. Questo orientamento si sarebbe accentuato con

l’ascesa dei nazisti al potere, che non inducono alcun cambiamento significativo nella

fenomenologia, ma soltanto un’insistenza sulle riflessioni di ordine morale e politico

degli anni immediatamente precedenti alla Grande guerra. Questa insistenza su tali

argomenti comporta l’ampliamento di un tema che era già presente negli anni

precedenti, ma che adesso – proprio perché Husserl prende sul serio la vita dell’Europa

come una vita sociale e culturale – acquista una dimensione molto più ampia. Mi

riferisco al tema del mondo della vita, su cui mi soffermerò in seguito.

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È quindi chiaro il versante pratico della fenomenologia. Il fenomenologo è certo

“spettatore disinteressato”, ma lo è per la stessa ragione per cui lo scienziato in quanto

tale non formula proposizioni opportuniste per ottenere un risultato di successo,

incurante di ciò che le cose sono. Proprio per poter interagire con la natura bisogna

conoscere le sue caratteristiche così come sono, non come si vorrebbe che fossero. In

questo senso il fenomenologo è spettatore disinteressato, ma il fenomenologo è, come

afferma Fink, l’esponente23 − non solo nel senso di esporre, ma in senso matematico, di

potenziare la base − del vero soggetto trascendentale, che non è altro che il mio vero io,

la mia vera personalità e, in questo senso, non fraintesa da teorie interpretative. È

proprio ciò che Ortega chiamerà con due parole, che, d’altra parte, saranno il nucleo

della sua filosofia fenomenologica, il fondo incorruttibile. Io, la mia vita, ho un’entità

che in ultima istanza non si lascia ingannare, perché mi chiama all’azione corretta che,

in questo senso, è morale. Proprio questo io è colui che sta dietro l’istituzione della

filosofia e perciò – nella misura in cui questo io si è elevato a suo esponente, ovvero

l’ego, l’io che fa fenomenologia – «la teoria è pratica». Per questo Husserl avrebbe

detto, negli ultimi anni, che ciò che succede al livello teorico della ragione non manca di

avere conseguenze sul livello pratico: infatti sul terreno della fondazione «non c’é

differenza fra teoria e pratica»24.

Giustappunto questo versante pratico della teoria impone a Husserl di approfondire

la “teoria” dell’ io, ossia, di studiare ciò che è la persona concreta che io sono e, con me,

ognuno di noi. Con tre notazioni possiamo circoscrivere le caratteristiche dell’ego, o, se

si vuole, della mia vita, una vita che certo parla di se stessa come di un io, un ego. Con

questo rispondo alla domanda sulla natura dell’ego, del Me, dal quale – abbiamo detto

all’inizio – “dipende” il mondo, che è l’altro polo della struttura di apparizione o

apertura dello spazio di apparizione del mondo. Queste tre notazioni definiscono i tratti

basilari del paradigma del new Husserl, secondo cui l’io è generativo, intersoggettivo e

storico. I tre tratti sono intimamente legati e, benché ognuno abbia la propria densità,

tuttavia essi appaiono a malapena o per nulla nell’opera pubblicata di Husserl, sicché

sono completamente assenti nel vecchio paradigma, pur essendo consustanziali

all’opera di Husserl. Chiunque si sia affacciato tra i suoi manoscritti si renderà conto

immediatamente che per Husserl quelle tre note sono fondamentali.

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Cominciamo dal primo tratto, intorno al quale possiamo concentrare due

caratteristiche della vita umana, ovvero il fatto di darsi nell’ambito di una generazione e

di un tempo. L’io ha inizio in una famiglia, e vive in quel contesto generazionale25.

Husserl ha indagato con molta insistenza tanto l’elemento temporale della coscienza,

della sua vita, quanto l’elemento generazionale in cui siamo immersi, e dal quale noi

emergiamo alla vita, generalmente per passare da una posizione generazionale ad

un’altra. Particolare interesse ha la relazione madre-figlio, in cui si configura un modo

d’interrelazione che costituirà la matrice di molte altre relazioni26. Inoltre, in quel

contesto Husserl ricerca elementi istintuali che costituiscono una prima matrice del

comportamento e contribuiscono alla genesi di altri elementi acquisiti che avranno uno

sviluppo nella mia vita. Il passaggio generazionale della vita, dalla nascita alla morte, è

un tema che ha molto interessato Husserl, benché egli sia arrivato alla conclusione che

la morte è un accadimento che non affetta la “soggettività trascendentale”, dacché la

verità e i suoi valori legittimi trascendono la morte dell’io proprio in quanto sono

sostenuti da una soggettività quale quella trascendentale. Ciononostante, questa tesi di

Husserl non è compatibile con il fatto, anch’esso affermato da Husserl, che l’io, la

soggettività trascendentale, in quanto generativa e immersa in uno sviluppo, è soggetto

di abitudini. Ovviamente, in quanto soggetto di abitudini, tale io è destinato ad una fine,

ma come soggetto epistemologico viene pensato anche dopo la morte.

Proseguiamo pure con gli attributi dell’io. Se l’io è generativo e temporale, esso è

anche affettivo. Il tempo si lascia affettare, affezione, questa, che rimane nello stesso

tempo, perché la prima affezione del tempo è la medesima forma del tempo, che è un

modo di perdere presenza, di depresentificazione. Quando Heidegger pubblicò il testo di

Husserl sul tempo, che risaliva al 1905, la descrizione che vi apparve di ciò che

costituisce la forma del tempo non alterò la posizione che già si era configurata e che

avrebbe finito per accusare Husserl di essere immerso in una filosofia della presenza27,

benché la forma stessa del tempo, come una forma di depresentificazione

[Entgegenwärtigung] essenziale, portasse a pensare la forma umana come corrosa in

modo insuperabile da una perdita della presenza. Così purtroppo si confonde la

descrizione della vita umana, che vive in modi di non presenza, con i risultati

epistemologici che si riferiscono a ciò che è presente, pur con il limite di essere sempre

corroso dalla perdita di presenza.

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L’affezione del tempo si dà realmente nella configurazione di schemi secondo i

quali ci relazioniamo cognitivamente, affettivamente – valorialmente – e attivamente al

mondo. Questi schemi costituiscono l’insieme di abitudini che configurano lo stile di

essere di una persona, in realtà di una soggettività trascendentale. Dacché questo modo

di essere finisce con la morte, la soggettività trascendentale concreta muore, per quanto

non possiamo dire lo stesso della soggettività trascendentale come polo soggettivo della

verità. Husserl asserisce nelle Meditazioni cartesiane che l’io è soggetto di abitudini28.

Roman Ingarden saluta con entusiasmo questa affermazione di Husserl29, riconoscendo

così all’io un contenuto evolutivo e storico. Eppure queste annotazioni così rilevanti di

Roman Ingarden apparvero solo nell’edizione delle Meditazioni cartesiane, in

Husserliana I, risalente al 1950, quando il paradigma topico e l’influsso di Heidegger

precludevano ormai qualunque revisione del pensiero di Husserl.

Da quanto detto si deduce che per Husserl l’io, la vita umana, era sin dall’inizio

intersoggettivo. Se la vita sorge e si evolve in un contesto generazionale, quella stessa

vita è necessariamente intersoggettiva. Certo si potrebbe dire che questo non costituisca

alcuna novità, perché sarebbe già presente nel vecchio paradigma, essendo piuttosto uno

degli aspetti che tradirebbero l’incapacità della fenomenologia di farsi carico

“teoricamente” dell’altro. Questa è stata un’accusa frequentemente rivolta a Husserl.

Anche un fenomenologo molto vicino a Husserl come Schütz è giunto alla conclusione

che la teoria husserliana dell’intersoggettività, cioè a dire quella delle Meditazioni

cartesiane, non renderebbe giustizia alla realtà dell’altro così come questo si presenta30.

Ebbene, benché ciò sia vero, occorre leggere tale teoria in un contesto molto più ampio,

che è quello descritto nei paragrafi precedenti. Io sono sin dall’inizio con gli altri, con i

miei genitori, e costituisco la mia entità, la mia biografia, in uno scambio con gli altri,

prima di tutto con mia madre e con la mia famiglia, talché non so che cosa sia mio di ciò

che è in me, e che cosa dei miei familiari. Io sono talmente coinvolto con loro, da essere

me stesso soltanto con gli altri. Non sono prima io e dopo gli altri – e questo io non è

quello colto da una prospettiva prefenomenologica – bensì quell’io incorruttibile, che è,

come abbiamo detto, l’io o la vita trascendentale: io sono con gli altri, come afferma

Husserl in un manoscritto che precede il soggiorno marburghese di Heidegger31, l’essere

umano è un Mit-sein, è un essere che esiste in compagnia degli altri.

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Questa compagnia ha diversi livelli, ma ve ne è uno molto interessante, che Husserl

analizza in extenso, ossia la compagnia che noi abbiamo di noi stessi, oggettivati, ma in

una oggettivazione animata dal mio corpo come carne sentita dal didentro, nel ricordo,

in tutte le rappresentazioni, nella costituzione dello spazio omogeneo definito in virtù di

un movimento che parte da un centro dello spazio disomogeneo. Io ho di me

un’immagine che mi accompagna, come mi accompagna sempre l’immagine dei miei

parenti più vicini, un’immagine ricordata, aspettata e presente. Sono sempre

accompagnato da un orizzonte in cui viene meno la mia condizione di essere un io,

circondato dagli altri, tra i quali mi trovo in altri momenti, in altri luoghi, in altre

situazioni. Giusto questa perdita della mia stessità32, vissuta senza alcuno scandalo né

difficoltà, fa che gli altri siano presenti nella mia vita direttamente, senza che in una vita

mentalmente sana mi faccia domande riguardo all’avere esperienza degli altri come

altri.

La costituzione, dall’inizio della vita, almeno dopo la nascita, di questo a priori

dell’esperienza dell’altro è una caratteristica fondamentale delle analisi di Husserl che,

pur non essendo evidente nelle Meditazioni cartesiane, tuttavia è presente nei testi

sull’Intersoggettività pubblicati sin dal 197333.

Qui voglio introdurre un elemento, che dovrebbe essere ovvio, ma che, se non è

citato, sembra non avere importanza, ed, infatti, nel vecchio paradigma non è negato,

ma neanche affermato con la dovuta chiarezza. Ciò che vale riguardo all’interrelazione

del bambino con sua madre può darsi soltanto perché ambedue interagiscono

corporalmente. Lo stesso capita con le abitudini. Ci sono abitudini intellettuali, ma la

maggior parte di esse sono abitudini corporali. Questo significa che la vita umana è

corporale, che la soggettività trascendentale, l’io come fondo incorruttibile è corporale;

certo non è fisicamente corporale, non è quello il corpo che mi costituisce, ma il corpo

vissuto, la carne come lo strato fondamentale o primario della vita soggettiva. Ciò

appare ora relativamente pacifico, ma quando Landgrebe lo espose in un

importantissimo incontro a Lovanio nel 1971, in occasione di un riconoscimento

accordato a lui e a Fink34, suonava alquanto strano, in quanto della soggettività

trascendentale si aveva una nozione molto astratta, in linea con quella coscienza

trascendentale che Kant pensava dovesse poter accompagnare tutte le rappresentazioni.

Adesso diventano efficaci le descrizioni husserliane in Idee II, da cui è facilmente

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deducibile ciò che Landgrebe annunciava a Lovanio35. Così la soggettività

trascendentale husserliana diventava qualcosa di concreto, la mia vita che si va

configurando in un mondo al quale si adatta perfettamente, poiché la vita stessa si

configura mediante abitudini che facilitano non soltanto la conoscenza ma anche la

valutazione e l’azione.

Se l’essere umano, nel suo senso trascendentale, è generativo e intersoggettivo,

allora esso è anche storico. L’astoricità, infatti, è il punto più ridicolo di quelli che

costituiscono il vecchio paradigma di Husserl. Egli stesso riconosce, in una lettera a

George Misch, di essere stato oggetto di tali accuse: «io, l’Husserl astorico...» – scrive36.

Viceversa, la realtà è ben altra; il tema della storia preoccupa Husserl sin dall’inizio, da

quando ha interesse a determinare i concetti propri delle scienze storiche, cioè già dal

190537; ma in realtà, sotto la forma delle scienze dello spirito si trova sempre, nella

mente di Husserl, il carattere storico della vita umana. Ancora in Idee II egli avrebbe

attribuito carattere storico a tutto l’animato, perché l’esperienza lascia nella vita una

impronta irreversibile, che rende impossibile ritornare alla fase precedente, a differenza

delle cose inanimate, nelle quali gli equilibri possono, in uguali circostanze, essere

totalmente restaurati38.

Nel testo di Idee II Husserl non approfondisce esaurientemente i tratti del carattere

storico della vita umana, benché la descrizione che in quell’opera si fa del mondo dello

spirito sia poi utilizzata per la teoria della soggettività trascendentale intersoggettiva,

soggetto della storia. In effetti, in quell’opera si pongono le basi di ciò che nel periodo

friburghese sarebbe stato uno dei temi più importanti: la descrizione del mondo

quotidiano, di ciò che poi sarebbe stato il mondo della vita, intorno al quale Husserl

avrebbe articolato la sua teoria della storia. In realtà, l’approssimazione di Husserl alla

storia ha un’origine assai precoce e finisce solo nella sua ultima opera, La crisi delle

scienze europee. È sufficiente che i prodotti dell’attività in comune dell’essere umano si

sedimentino e siano assunti dagli altri perché si abbia storia. La storia ha dunque come

primo requisito la temporalità della vita umana nel modo in cui questa è temporale, cioè,

una temporalità che si modifica continuamente depresentificandosi nella ritenzione, ma

con la capacità di ritornare nel ricordo a quella depresentificazione; quale secondo

requisito il carattere intersoggettivo, e in questo contesto la sedimentazione dei risultati

delle azioni nella realtà mondana cambia il mondo. Così Husserl propone anche una

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teoria della cultura39, che gli sarebbe servita, inoltre, come punto di partenza per la

proiezione di una cultura ideale che fungesse da orientamento o rinnovamento per

l’Europa in rovina.

Tutta questa teoria della storia – integrata, altresì, da importanti contributi a una

filosofia della storia come scienza, nonché posta nella cornice di una filosofia della

storia come accadere storico – rappresenta il culmine e l’unione degli aspetti teorici e

pratici della fenomenologia. La storia non è estranea alla fenomenologia, non lo può

essere, visto che la vita umana che la fenomenologia vuole descrivere è storica. E se la

descrizione della fenomenologia vuole tenersi fedele alle cose come sono, bisogna

descrivere la soggettività così come essa è. Husserl lo fa sin dall’inizio, benché ciò non

appaia nelle opere pubblicate, e coloro che ebbero accesso ai suoi testi manoscritti non

potevano ignorarlo né, per ciò stesso, considerare valido il vecchio paradigma.

Due temi finali ancora, più per dare spunti ad una riflessione che per chiudere

quella contenuta in questo saggio. Ciò che è stato fin qui detto sul nuovo Husserl non ha

considerato due questioni che, indipendentemente da tutto ciò che è stato asserito prima,

sembrerebbero trasformare Husserl in un filosofo radicalmente superato dalla

postmodernità. Mi riferisco, in primo luogo, alla tesi della filosofia come fondazione

ultima e, in secondo luogo, alla filosofia della storia che pone l’Europa sulla vetta della

storia dell’umanità, giungendo persino ad affermare che quell’Europa è il telos

dell’umanità40. Per molti, la prima tesi è un tentativo totalmente superato nell’epoca

della postmodernità. Quanto alla seconda, la cattiva coscienza dell’Occidente ha fatto sì

che si vedesse in quella proposta il residuo di un colonialismo intellettuale che finisce

per giustificare quello reale e ogni genere di violenza, e ciò per l’ironia di un destino

che vedeva l’ebreo Husserl, perseguitato dai nazisti, convertirsi in un difensore della

stessa superiorità culturale in virtù della quale egli stesso era stato perseguitato.

Soltanto due parole al riguardo. Prima di tutto, in fenomenologia bisogna

distinguere tra la descrizione fenomenologica e il tentativo di fondazione ultima. A

prova di ciò, lo stesso Husserl afferma che tutta la teoria dell’epoché e della riduzione

può essere disgiunta dall’obbiettivo del filosofo che comincia41, all’inizio della sua

riflessione, obbiettivo che non è altro se non la ricerca di fondamento e di saldezza negli

atti che si vanno compiendo nella vita. La fenomenologia pretende di creare una scienza

rigorosa, in ultima istanza responsabile delle sue affermazioni. Ma questo è uno scopo

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ulteriore, che, per esempio, nelle Meditazioni cartesiane si colloca in posizione finale, e

che non invalida affatto la prima parte perché ne è indipendente42. D’altro canto, tale

fondazione, in una fenomenologia che riconduce tutto all’esperienza, compresi i principi

ultimi, non manca di offrire punti deboli; ma Husserl direbbe che la fenomenologia ci

offre la fondazione che è possibile, e non quella che non è possibile.

In seconda istanza, rispetto all’idea di Europa. Per Husserl l’Europa è la

configurazione culturale che si forma nella restaurazione dell’ideale greco di

emancipazione e di liberazione umana, e che nell’Età Moderna configura un’umanità

che vuole organizzare la vita a partire da una ragione libera, idea che costituirebbe ciò

che è fondamentale e fondante dell’Europa, ciò che appunto sarebbe stato al centro

dell’Illuminismo. Quell’idea troverà la sua formulazione istituzionale nel linguaggio dei

Diritti Umani, che dovrebbero definire i minimi assoluti a cui tutte le società aspirano;

essi, senza dimenticare le differenze di ogni cultura o popolo, fanno parte della storia

europea, in un processo di integrazione nella storia a partire dalla prospettiva europea,

una prospettiva che, proprio per questo, non è più patrimonio dell’Europa soltanto, ma

dell’Umanità intera43. Ad ogni modo, ambedue le tesi, quella della fondazione e quella

del senso dell’Europa come configurazione culturale che ha dato i natali al mondo

contemporaneo, non sono temi di cui si possa parlare senza il rigore di una conoscenza

autentica dei testi, e soprattutto senza assumere le conseguenze delle tesi contrarie.

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1 La traduzione italiana del presente testo è stata rivista da Maria Lida Mollo.2 Nell’agosto del 2003 è uscito un libro con questo titolo, AA. VV., The New Husserl: A Critical Reader, a cura di D. Welton, Bloomington, Indiana University Press.3 I libri sono: Philosophie der Arithmetik (1891), poi in Husserliana: Edmund Husserl – Gesammelte Werke, Dordrecht, Springer [d’ora in poi Hua], Bd. XII, a cura di L. Eley, 1970; Logische Untersuchungen (1900/01), poi in Hua, Bd. XVIII, a cura di E. Holenstein, 1975; Hua, Bd. XIX, a cura di U. Panzer, 1984; Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, I (1913), poi in Hua, Bd. III, a cura di K. Schuhmann, 1976; Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins (1928), poi in Hua, Bd. X, a cura di R. Boehm, 1969; Formale und transzendentale Logik (1929), poi in Hua, Bd. XVII, a cura di P. Janssen, 1974.4 Le Méditations cartésiénnes (1931), poi (con l’aggiunta dei Discorsi Parigini) Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, in Hua, Bd. I, a cura di S. Strasser, 19912. 5 Furono pubblicate le parti I e II, cioè i §§ 1-27.6 L’ultimo tomo è: Edmund Husserl. Untersuchungen zur Urteilstheorie. Texte aus dem Nachlass (1893-1918), Hua, Bd. XL, a cura di R. Rollinger, 2009. Alla serie Husserliana dobbiamo aggiungere anche “Husserliana”: Edmund Husserl – Materialien, nella quale sono apparsi già otto volumi, l’ultimo volume dei quali è Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934). Die C-Manuskripte, a cura di D. Lohmar, Dordrecht, Springer, 2006.7 Il caso dell’Italia è particolarmente interessante, perché il “nuovo Husserl” fu qui riconosciuto a pieno fin dall’inizio. Gli scritti di Enzo Paci (come detto, discepolo di Antonio Banfi. Su Paci, cfr. il recentissimo AA. VV., In ricordo di un maestro. Enzo Paci a trent’anni dalla morte, a cura di G. Cacciatore e A. Di Miele, Napoli, ScriptaWeb, 2009), Angela Ales Bello, Aldo Masullo, Giovanni Piana, Antonio Ponsetto, Mario Sancipriano, Giorgio Scrimieri, Giuseppe Semerari, Carlo Sini (successore di Paci a Milano), Paolo Valori, Stefano Zecchi e altri, sono riusciti a dare alla fenomenologia uno status molto forte nell'insieme della filosofia italiana. Di quelli citati, Zecchi e Piana si sono laureati con Enzo Paci, l’ultimo con una tesi sulla storia nei manoscritti di Husserl, che fu pubblicata con il titolo Esistenza e storia negli inediti di Husserl (Milano, Lampugnani Nigri Editore, 1965). Questo saggio è, come viene affermato nella traduzione inglese – History and Existence in Husserl's Manuscripts, in «Telos», 13 (1972), pp. 86-124 –, risultato «of a study conducted in the Husserl Archives in Freiburg»; la ricerca, che è un chiaro segno del “nuovo Husserl”, conta sul saggio di Brand. Ponsetto studiò a Colonia, con Landgrebe. Ma, come si legge nella Prefazione del libro di Renato Cristin, e nel suo contributo al libro Phänomenologie in Italien (a cura di R. Cristin, Würzburg, K&N, 1995), la caratteristica della ricezione della fenomenologia in Italia «sta nello sforzo intrapreso in modo energico, di mediare tra il pensiero di Husserl e quello di Heidegger. L'obiettivo di questa via italiana alla fenomenologia è tanto il superamento dei limiti di queste posizioni classiche della fenomenologia, quanto il rinnovamento generale della prospettiva fenomenologica, nella misura in cui si discute e si prosegue lo sviluppo di punti di partenza centrali della fenomenologia tedesca». Anche Spiegelberg (The Phenomenological Movement. A Historical Introduction, The Hague, Nijhoff, 19843, p. 658) scrive: «Italian phenomenology has been at least as much under the influence of Heidegger, Sartre and Merleau-Ponty as that of Husserl». In ogni caso la ricezione della fenomenologia in Italia è un tema appassionante, al quale non posso far altro che alludere. Come introduzione generale si può leggere quella di Renato Cristin, Zur Geschichte der Phänomenologie in Italien, nel libro citato Phänomenologie in Italien, pp. 11-43. Renato Cristin parla delle fasi di quell'accoglienza, legata alle opere, in un primo momento, di Antonio Banfi (fase numero 2), e del suo discepolo, Enzo Paci, (fase numero 3). Nella fase numero 1 si possono rinvenire indicazioni su quella che potremmo chiamare la differenza tra i due Husserl, quello compreso tradizionalmente ed il nuovo. Le "eresie" di cui parla Ricoeur e che ricorda Cristin sono in relazione ad una concezione della fenomenologia che considera la coscienza pura nel suo essere tale, in quanto è una coscienza incarnata, mentre, nel nuovo Husserl, la prima tappa della coscienza è la coscienza come carne, come Leib. Il protagonismo attribuito a Löwith, nell'interpretazione del rapporto del movimento fenomenologico con Husserl, è indicativo di quello che è stato probabilmente frequente anche in Italia. Risale già al 1965 l’articolo di Carlo Sini: La fenomenologia in Italia. I. Lo sviluppo storico, in «Revue international de Philosophie», XIX, fasc. 1-2, 71-72 (1965), pp. 125-139. Successivamente si può vedere, di A. Ales Bello, La fenomenologia in Italia, in «Filosofia e Società», 2-3 (1979), pp. 103-126. E, della stessa autrice, Phenomenology in Italy, in «Analecta Husserliana», 9 (1979), pp. 429-486. Isidro Gómez Romero fa eco al testo di Ales Bello in Fenomenología y Metafísica. Un debate en la filosofía italiana actual, in «Anales del Seminario de Historia de la Filosofía», 3 (1982-83), pp. 211-240. Ancora si può ricordare lo scritto di Stefano Zecchi, La fenomenologia in Italia: diffusione e interpretazioni, in Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, in «Rivista di Filosofia», 2-3 (1988), pp. 175-96. Significativa, infine, è la sezione che Massimo Ferrari dedica a questo argomento nella Storia della Filosofia, diretta da Mario dal Pra, 11/ La Filosofia contemporanea / Seconda metà del Novecento, t. 1, Padova, ed. Piccin, 1998, pp. 75-84, intitolata La “rinascita” della fenomenologia.8 La sua opera principale fu tradotta in italiano già nel 1960, a cura di E. Filippini e con un’introduzione di E. Paci: Mondo, io e tempo. Nei manoscritti inediti di Edmund Husserl, Milano, Bompiani, 1960.9 Esiste l’edizione italiana di alcuni saggi di K. Held, per esempio, Per una fondazione fenomenologica della filosofia politica, in «Fenomenologia e Società», 9 (1986), pp. 55-68; o La tesi dell’europeizzazione dell’umanità in Husserl, in AA. VV., Razionalità fenomenologica e destino della fenomenologia, a cura di A. Masullo e C. Senofonte, Genova, Marietti, 1991, pp. 101-121.10 Nonostante le affermazioni di Spiegelberg e la conferma di Renato Cristin, di cui abbiamo riferito nella nota 7, bisogna dire che l'Italia ebbe l’opportunità, grazie in primo luogo ad Antonio Banfi e soprattutto ad Enzo Paci, di mettere a fuoco, sin dall'inizio, la fenomenologia in un orientamento pratico in virtù dell’accesso ai manoscritti di Husserl. In coerenza con quanto già osservato nella nota 7 relativamente all’influenza di Banfi e Paci nella ricezione

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italiana della fenomenologia, è opportuno richiamare l’attenzione sull'interessante collana di A. Ponsetto Fenomenologia e Società, la quale dà testimonianza di quell'orientamento pratico. Tutto questo diede come frutto una precoce conoscenza in Italia del “nuovo Husserl”, come si vede nella traduzione, già nel 1960, del libro di Gerd Brand (cfr. nota 8). Le molte traduzioni che sono state condotte sui testi di Husserl indicano una notevole continuità nelle ricerche. In S. Spileers, Husserl Bilbiography (Dordrecht, Kluwer, 1999) pp. 75-78, si può ritrovare una panoramica di tutte queste traduzioni (fino al 1997). Da sottolineare è la bella edizione bilingue a cura di Paolo Volontè di uno dei testi che Husserl preparò nel 1917 per l'Antrittsrede a Friburgo. Per me questi testi furono molto importanti, perché uno di essi, intitolato Fenomenologia e psicologia, è quello che usò Leo van Breda nella sua tesi dottorale sulla riduzione. Il testo che traduce Paolo Volonté è l'altro, Fenomenologia e teoria della conoscenza (Milano, Bompiani, 2004). Le ultime traduzioni, totali o parziali, dei diversi volumi dell’Husserliana indicano l'enorme vigore della fenomenologia in Italia, adesso sicuramente nella direzione del nuovo Husserl. Queste traduzioni sono: il vol. VII, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, trad. it. di A. Staiti, a cura di V. Costa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007; il vol. VIII, Filosofia prima (1923-24). Teoria della riduzione fenomenologica. Parte seconda, a cura di P. Bocci, Pisa, ETS, 2009; il vol. XIII, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-11), a cura di V. Costa, Macerata, Quodlibet, 2008; il vol. XVI, La cosa e lo spazio. Lineamenti fondamentali di fenomenologia e teoria della ragione (1907), trad. it. di A. Caputo, a cura di V. Costa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008; il vol. XXIII: Sulla fantasia. Manoscritti 1918-1924, a cura di F. Masi, Napoli, Giannini, 2009; il vol. XXXI: Lezioni sulla sintesi attiva. Estratto dalle lezioni sulla «logica trascendentale» (1920-21) [Ms. F I 39], a cura di L. Pastore, Milano, Mimesis, 2008; e il vol. XXXVI: Introduzione all’etica, a cura di N. Zippel e con un’introduzione di P. S. Trincia, Roma-Bari, Laterza, 2009. 11 Edmund Husserl, trad. it. a cura di C. La Rocca, Bologna, Il Mulino, 1992.12 Mi riferisco al noto articolo Die Philosophie als strenge Wissenschaft, pubblicato nella rivista «Logos» nel 1911, ed attualmente riedito nel vol. XXV della Hua. L’articolo fu tradotto in italiano: La filosofia come scienza rigorosa, a cura di F. Costa, Torino, Paravia, 1958 (poi trad. it. di C. Sinigaglia, introd. di G. Semerari, Roma-Bari, Laterza, 2001.13 Tra le fila degli heideggeriani sembrerebbe esservi l’interesse di mantenere questa tesi oltre ogni evidenza. In merito si veda J. M. Díaz, Husserl y la Historia. Hacia la función práctica de la fenomenología, pref. di J. San Martín, posf. di J. Muguerza (Madrid, UNED, 2003). È molto pertinente al riguardo il già citato saggio di G. Piana, Esistenza e storia negli inediti di Husserl.14 È stato osservato che, in Italia, ad opera di Banfi, si intese la fenomenologia a partire da un impegno civile e in una prospettiva pratica. In molti ambienti, poi, si pensò che l’engagement di Paci fosse addirittura eccessivo. Non si può dimenticare, tuttavia, che per alcuni discepoli di Husserl la fenomenologia aveva un gran potere critico di fronte alla società contemporanea. Il saggio di Metzger Phänomenologie der Revolution (Francoforte, Syndikat, 1979) è testimonianza di una tale possibilità. D'altra parte, la citata collana Fenomenologia e Società, del gesuita Ponsetto, che si lega al lavoro condotto a Colonia dal colombiano, anch’egli gesuita, Guillermo Hoyos Vásquez, rappresenta un identico orientamento sociale della fenomenologia. Si deve anche citare il libro di Mario Sancipriano Edmund Husserl: l'etica sociale, Genova, Tilgher, 1988. È degno di nota, inoltre, che siano apparsi in Italia negli ultimi dieci anni almeno quattro libri in relazione all'etica di Husserl, primo tra i quali quello di I. A. Bianchi, Etica husserliana. Studio sui manoscritti inediti degli anni 1920-1934, Milano, Franco Angeli, 1999; e, della stessa autrice, Fenomenologia della volontà. Desiderio, volontà, istinto nei manoscritti inediti di Husserl, Milano, Franco Angeli, 2003. Poi Fenomenologia della ragion pratica. L'etica di Edmund Husserl, a cura di B. Centi e G. Gigliotti, Napoli, Bibliopolis, 2004; e, infine, come ho già indicato, la traduzione dell'etica di Husserl degli anni 1920 e 1924. Come sostiene Cornice Deodati, in una recensione del libro del 2004, «L'interesse nei confronti dell'aspetto pratico del pensiero di Husserl è andato negli ultimi anni crescendo in modo esponenziale». 15 E. Stein ha condotto su questo tema la tesi di dottorato, Das Einfühlungsproblem in seiner historischen Entwicklung und in phänomenologischer Betrachtung, pubblicata nel 1917 col titolo Zum Problem der Einfühlung, presso la Buchdruckerei des Waisenhauses di Halle.16 Einführung in die phänomenologische Forschung. (Wintersemester 1923/24), Gesammt-ausgabe, a cura di F-W. von Herrmann, Bd. 17, Francoforte, Klostermann, 1996: «Die Vorlesung [...] verdient besondere Aufmerksamkeit. [Sie] ist von bestechender Klarheit: Nachdem Heidegger nicht mehr Husserls Assistent war, konnte er sich mit der Philosophie seines Lehrers Husserl sehr viel freier beschäftigen als in seiner Freiburger Zeit». Su questa critica ho scritto in J. San Martín, La crítica heideggeriana a la fenomenología de Husserl, in Centenario de Descartes (1596-1996), a cura di E. Ranch e F.-M. Pérez Herranz, Alicante, Universidad de Alicante, 1998, pp. 89-98.17 Su questo tema ho tenuto una relazione dal titolo Die Kritik von Patočka an der Phänomenologie Husserls, nel corso del convegno Das Phänomen. Eugen Fink und Patočka, in occasione del 90esimo anniversario della nascita di Jan Patočka, che ebbe luogo a Praga la seconda settimana di aprile del 1997. Il testo fu pubblicato prima in serbo-croato, Patočkina kritika Huserlove fenomenologije, in «Filozofski Godišnjak», 10 (1997), pp. 286-292, e poi in ceco, Patočkova kritika Husserlovy fenomenologie, in AA. VV., Fenomen Jako filosofický problém, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praga, Oikoymenh, 2000, pp. 150-159.18 Cfr. J. San Martín, La estructura del método fenomenológico, Madrid, UNED, 1986 – una rielaborazione della mia tesi di dottorato. In questo libro sono affrontati alcuni dei problemi interpretativi più frequenti del vecchio paradigma.19 Sull'epoché da questo punto di vista può leggersi il mio Epoché und Selbstversenkung. Der Anfang der Philosophie, in spagnolo: http://www.o-p-o.net/essays/SanMartinArticleSpanish.pdf. In tedesco:

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http://www.o-p-o.net/essays/SanMartinArticleGerman.pdf. Anche in «Phainomenon. Revista de Fenomenología», 7 (2003), pp. 13-22.20 Cfr. G. Piana, op. cit., p. 77, e la citazione del manoscritto E III, p. 2: «Ogni vita nella speranza è vita nella cura e reciprocamente: se appunto cura d'esistenza riguarda il come non il che dell'esistenza».21 Si veda al riguardo il mio Ética, antropología y filosofía de la historia. Las lecciones de Husserl de Introducción a la ética del Semestre de verano de 1920, in «Isegoría», 5 (1992), pp. 43-77, ora disponibile in La fenomenología como teoría de una racionalidad fuerte, Madrid, UNED, 1994, cap. IX, in part. pp. 304 e ss.22 Si veda l’interessante paragrafo delle lezioni londinesi, pubblicate per la prima volta in questo volume, p. 314. Husserl descrive il principio della filosofia come una erkenntnisetische Einstellung, come una disposizione etico-conoscitiva, in Einleitung in die Philosophie. Vorlesungen 1922/23, Hua, Bd. XXXV, a cura di B. Goossens, 2002, p. 315.23 E. Fink, VI. Cartesianische Meditation. Teil I: Die Idee einer transzendentalen Methodelehre, a cura di H. Ebeling, J. Holl, G. van Kerckhoven, Dordrecht, Kluwer Academic Publisher, 1988, p. 44, 65 e 73. Cfr. anche G. van Kerckhoven, Mundanisierung und Individuation bei Edmund Husserl und Eugen Fink. Die VI. Cartesianische Meditacion und ihr “Einsatz”, Würzburg, Koenigshausen & Neumann, 2003, pp. 323, 333, 350, 362, 425. C’è una traduzione italiana, che è uscita prima della versione tedesca: Mondanizzazione e individuazione. La posta in gioco nella sesta Meditazione cartesiana di Husserl e Fink, Genova, Il Nuovo Melangolo, 1998. Fink parla di un “esponente funzionale”.24 Per questo afferma Husserl che «Das Versagen der theoretischen Vernunft als Philosophie beschliesst aber auch das Versagen der praktischen», in Über die gegenwärtige Aufgabe der Philosophie, (1934), in Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Hua, Bd. XXVII, a cura di T. Nenon e H. R. Sepp, 1988, p. 206.25 Cfr. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie (1936), Hua, Bd. VI, a cura di W. Biemel, p. 13: «Menschentum überhaupt ist wesensmässig Menschsein in generativ und sozial verbundenen Menschheiten».26 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität (1929-1935), III, Hua, Bd. XV, a cura di I. Kern, 1973, pp. 604-608.27 L’accusa deriva principalmente da Derrida, ma dopo di lui è diventata classica. 28 Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Hua, Bd. I, cit., p. 100, § 32.29 Egli parla di «ein wichtiges – und mir pensönlich sehr sympatisches – Novum im Vergleich zu de Ideen», ivi, p. 215.30 Cfr. A. Schütz, Das Problem der transzendentalen Intersubjektivität bei Husser”, in «Philosophische Rundschau: Eine vierteljahrsschrift für philosophische Kritik», 5 (1957), pp. 81 e ss. In inglese, in Collected Paper III: Studies in Phenomenological Philosophy, The Hague, Martinus Nijhoff, 1966, pp. 51-83.31 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität (1921-1928), II, Hua, Bd. XIV, a cura di I. Kern, 1973, p. 308: «[…] durch Indizierung der phänomenologischen Empirie phänomeno-logische Rechtgebung vollziehend, mich als reines Ich weiss und dazu empirisch gewiss bin (im phënomenologischen Feld) des Mitseins und kommunikativen Verbundenseins mit anderen reinen Ich». Il testo risale presumibilmente all’inizio del 1923.32 Così parla Husserl di una “Selbstentfremdung meines Leibes”, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität (1905-1920), I, Hua, Bd. XIII, a cura di I. Kern, 1973, p. 443.33 Ciò è particolarmente chiaro nei testi nº 8 e 9 di E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität (1905-1920), I, Hua, Bd. XIII, cit., in part., pp. 253 dove Husserl scrive: «Um die Möglichkeit der Erfahrung, der äusseren Erscheinung eines fremdem Ich zu gewinnen, brauche ich offenbar nicht wirkliche Erfahrung von einem solchen. Es genügt, dass ich mich körperlich hinausbewegt, hinausversetzt denke und meine Körpererscheinung übergeführt denke in eine äussere Erscheinung und zugleich in der ursprünglichen Erscheinung, der Selbsterscheinung meines Körpers, ihn also apperzipiere als Leib mit seinen Empfindlichkeiten etc.». Su questo tema, cfr. il cap. III del mio libro La fenomenología como utopía de la razón, Barcellona, Anthropos, 1987; ora in Madrid, Biblioteca Nueva, 2008. César Moreno richiama questo tema nel suo libro La intención comunicativa, Siviglia, Themata, 1989, definendolo come «la disposición comunicativa», che si forma con la possibilità d’essere in un altro modo, l’Anders-sein-können. (op. cit., pp. 192 e ss.).34 Insieme con Walter Biemel, Marly Biemel e Rudolf Boehm.35 Un'analisi della problematica di Idee II (Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, in Hua, Bd. IV, a cura di M. Biemel, 1991) al riguardo può vedersi in J. San Martín, Apuntes para una teoría fenomenológica del cuerpo in AA. VV., El cuerpo. Perspectivas filosóficas, a cura di J. Rivera de Rosales e M. López, Madrid, UNED, 2002, pp. 133-165.36 Giovanni Piana richiama questa citazione (op. cit., p. 45) all’inizio della sezione seconda: «In fine risulterà chiaro — io penso — che l'«astorico Husserl» solo temporaneamente prese distanza dalla storia (che in realtà gli fu sempre presente), proprio per approfondire il metodo fino al punto di poter porre su di essa questioni scientifiche». Lettera di E. Husserl a G. Misch, (Freiburg, 27 XI '30). Piana prende la citazione da A. Diemer, Edmund Husserl Versuch einer systematischen Darlegung seiner Phänomenologie, Meisenheim am Glan, A. Hain, 1956, p. 394.37 Cfr. A. Noor, Individuación, identificación, e interpretación: la demarcación categorial de Husserl entre “Natur” y “Geist”, in AA. VV., Sobre el concepto de mundo de la vida, a cura di J. San Martín, Madrid, UNED, 1993, pp. 33 e ss.38 Cfr. E. Husserl, Ideen II, Hua, Bd. IV, cit., p. 137.

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39 Su questa teoria fenomenologica della cultura ho scritto nel cap. III del mio libro Teoría de la cultura, Madrid, Ed. Síntesis, 1999. Cfr. anche i capitoli IV, V e VI del mio libro Para una filosofía de Europa. Ensayos de fenomenología de la historia, Madrid, Biblioteca Nueva, 2008. In particolare si veda il capitolo V, il cui titolo è La filosofía de la historia de Husserl como núcleo de una filosofía fenomenológica de la cultura.40 Cfr. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, in Hua, Bd. VI, cit., p. 13 e s.41 Cfr. E. Husserl, Erste Philosophie (1923/24). Zweiter Teil: Theorie der phänomenologischen Reduktion, in Hua, Bd. VIII, a cura di R. Boehm, p. 170.42 Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Hua, Bd. I, cit. § 63. Questa divisione della fenomenologia in due tappe è presente già nella Grundproblemevorlesung dal 1910/11. Cfr. Hua, Bd. XIII, 151. Al riguardo cfr. la presentazione della traduzione di questo testo fatta dall’autore, in E. Husserl, Problemas fundamentales de la fenomenología, Madrid, Alianza Editorial, 1994.43 Cfr. i capitoli VIII e IX del già citato Para una filosofía de Europa.