la legge del cane

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    Jake La Furia

    §

    Guè Pequeno

    §

    La legge del cane 

    http://www.tntvillage.scambioetico.org/

    ISBN: 9788896873144

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    ATTENZIONE. OGNI RIFERIMENTO A FATTI E PERSONE REALI È LANOSTRA STORIA.

    «Rimo da quando i frà ti rubavano i Woolrich…» 

    Puro Bogotà, 2007

    Le leggi del Dogo

    Jake: «Club» stava a indicare il fatto che eravamo un gruppo di amici. Il dogo argentino,invece, ci trasmetteva un’idea di forza, d’intensità e di potenza. 

    Pequeno: La versione rap del cobra kai.

    J: Esatto. Poi c’è il fatto che il cane, nella nostra generazione, era una roba importante. Unculto. Un po’ come il culto del motorino. 

    P: Il cane era una hit. Gli zarri amavano i cani. Il cane, legato con la catena, che impazzivae sradicava la panchina. Minchia, andava di brutto.

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    Anni ’90 

    «Tu che cazzo guardi»

    J: Un mio vecchio, grande amico, Luchino, che appartiene al catalogo «persi degli anni’90», aveva una borsettina magica, piccola così, che si riempiva di qualsiasi droga e cosa,compreso il cucchiaino, perché si faceva le spade, e infatti poi è andato a curarsi incomunità. Una sera nella borsa aveva solo una scatola di Plegine, che non sapevamo checazzo fossero. Ne abbiamo ingoiata una, poi due, ma non succedeva nulla. Alla fine cisiamo presi tutta la scatola, nell’arco di otto, nove ore. Pensavamo che non ci stesserofacendo effetto, non ce ne rendevamo conto, ma in realtà eravamo straimpizzati eanfetaminici. Decidiamo di andare a comprare le paglie. Cammina cammina, da parco

    Solari s’arriva in via Legnano. Erano le quattro, le cinque del matt ino. Quando torniamo,troviamo in corso Garibaldi il gruppo degli «unti», così li chiamavamo, che era una bandache terrorizzava la Milano bene. E insomma questi, pieni di bamba, erano andati al Planete lì avevano litigato con dei tipi, si erano presi a botte, poi al ritorno avevano rubato unamacchina e con la macchina erano finiti dentro la vetrina di un mobilificio, con l’intenzionedi fottersi la cassa. La cassa non l’avevano trovata e allora si erano tolti i pantaloni e sierano messi a farla proprio lì, sui tavolini in vendita del mobilificio. Questo ce l’hannoraccontato alle cinque del mattino, in corso Garibaldi, gridando di brutto perché stavanochiamando qualcuno alla finestra per farsi lanciare un paio di chiavi. Poi siamo andati a

    casa, ci sono scese le Plegine e siamo praticamente morti per tre giorni… 

    P: …e questi erano gli anni ’90, che abbiamo vissuto sempre in giro e per strada. 

    J: La strada, per i Dogo, ha sempre significato essere gente di strada. Gente che frequentae che vive la strada. E al di là di ogni fraintendimento, la strada non ha mai significato, pernoi, essere rapinatori o spacciatori. Ne conosciamo perfettamente i meccanismi, la psicologia, l’economia, lo spaccio, perché ci siamo rimasti a contatto per molto tempo.Tutto qua.

    C’è chi canta la strada, come noi, e c’è chi fa fino in fondo la vita della strada, come glispacciatori e i rapinatori. Noi facciamo un altro mestiere: facciamo rap.

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    P: Di certo, se nella mia vita non avessi attraversato una grande varietà di esperienze, senon avessi frequentato una miriade di ambienti sociali, a partire dalla strada, sarei un’altra persona. Una persona non necessariamente migliore.

    J: Pensando a quello che facciamo con il rap, mi viene spontaneo un paragone. Mi spiego:i Dogo, secondo me, fanno lo stesso lavoro dei cronisti di guerra. Un cronista va nelle zonecalde, si guarda intorno, elabora ciò che vede e scrive un pezzo, un reportage. Allo stessomodo, noi raccontiamo il nostro mondo, la strada, che è il posto dove siamo cresciuti.

    P: Ed è un mondo che nel tempo si è molto trasformato. Se ripenso agli anni ’90, mi rendoconto che la strada, le piazze, sono proprio cambiate. C’erano parco Sempione, piazzaVetra, e un sacco di altre situazioni che sono scomparse. Luoghi di aggregazione sociale edisgregazione mentale. La città era diversa, erano altri tempi. In Sempione vedevi muoversi

    un magma dove si trovavano un po’ tutti i tipi di gente: dai pettinati agli zarri, fino ai writer.Abbiamo vissuto da testimoni il passaggio al cellulare e a Internet, che di fatto ha svuotatole piazze. La nostra è stata davvero l’ultima generazione analogica. 

    J: Le differenze tra un gruppo e l’altro, all’epoca, erano molto più marcate. 

    P: Oggi regna un crossover culturale che da una parte è un bene, una vera figata, dall’altraha contribuito ad annacquare le identità. Un processo di contaminazione, di cancellazionedei confini, che si è verificato anche nella musica. All’epoca, invece, c’erano proprio delle

    tribù, con dei tratti molto accentuati. Punk, metallari, rapper, writer. Oggi si sono mixatigli elementi, tra un gruppo e l’altro. Nel futuro ci saranno le etnie, al posto delle bande. 

    J: Già oggi le etnie tendono a far gruppo a sé: gli arabi stanno con gli arabi, i filippini coni filippini, i latinos con i latinos, i cinesi con i cinesi.

    P: Magari tra cinque o sei anni, a seconda di come funzionerà l’integrazione nelle scuole,le cose cambieranno… 

    J: Io resto un po’ scettico al riguardo. Se non si riusciva prima, quando andavo a scuola io,a mettere insieme uno della Barona e uno di Corsico, voglio vedere adesso… 

    P: Però io noto in giro compagnie di ragazzini italiani, dove c’è anche il nero, l’arabo. Poil’integrazione, il melting pot, sarà tutto da vedere, chiaro, perché stiamo parlando di  soggetti belli dissociati, problematici… Anche per via di questo elemento etnico, è un

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     panorama sociale e giovanile molto diverso da quello della nostra adolescenza, quandoancora c’erano i punk, gli alternativi, i rapper. Mi ricordo delle grandi risse, tra un gruppoe l’altro. C’erano delle scorribande, la città era più anarchica, di fatto. 

    J: Allora, principalmente, si andava al parco per il fumo. Si faceva la colletta per fumare,quindi c’era tutta questa gente che si faceva i cilum: cilum di miccette, di mango, di canditi,cilum di erba del parco, e i poveretti collavano, fumavano, e non dicevano niente sennò si prendevano i calci nel culo. Facevamo questi gran colli di cilum, poi dopo, tutti fatti,s’andava alla collinetta. In cima alla collinetta prendevi il più babbo, lo afferravi per lemani e le braccia, un altro lo prendeva per i piedi, e poi boom!!!, lo buttavamo giù dallacollinetta… 

    P: Poi c’era il business dei motorini, e perché? Perché il motorino era il vero centro del

    mondo. Di conseguenza c’era un lavoro di furto pazzesco, con la caccia agli ultimi modelli,che poi erano lo Zx, il Cub. Tanti facevano quello di mestiere, sistematicamente. C’eranoquei metodi abbastanza classici, tipo quello che ti chiedeva di farsi un giro sul tuo motorino,«Fammi fare un giro, dài». Allora si faceva un giro, due giri, tre giri e poi ciao, scompariva per sempre. Mi ricordo che si facevano anche le cacce all’uomo. Praticamente, si prendevano degli sfigati e gli si dava un vantaggio, e così vedevi questi pazzi che correvanoa zigzag per il parco, inseguiti da un mucchio di persone. Se il tipo si liberava, se riuscivaa scappare, c’erano dei soldi in palio. Di norma, però, veniva sempre catturato e allora glisi facevano delle bruciature con le sigarette e qualcuno gli passava sopra con il motorino.

    Era proprio una situazione, come dire, medioevale.

    J: Ricordo una rissa devastante tra i punk, gli «alterna», quelli che facevano i giocolieri conil diablo, che li avrei ammazzati tutti. Insomma, erano quelli lì, in gran quantità dietro lacollinetta, e poi c’erano i tarri. Si era già formato un certo mix, in realtà, tra i cattivi di buona famiglia e i tarri quelli veri. Stavano alla Triennale. Un giorno successe un disastro,si diedero un sacco di botte e in più quegli zarri, che erano pieni di pitbull, gli avevanoaizzato contro i cani. Li avevano sfondati.

    P: C’erano dei tipi, degli elementi, che erano davvero da film, che esprimevano unacattiveria e un livello di anarchia incredibile.

    J: In Triennale c’era il mischione, poi c’erano gli alternativi, i marocchini che giocavano a basket, quelli che giocavano a frisbee, nel pratone, cui non fregava un cazzo di niente emagari si prendevano qualche schiaffo da un megabalordo di passaggio. Per ogni zona del

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     parco c’era sempre una questione, un problema. All’epoca in parco Sempione neppurec’erano le sbarre. 

    P: A differenza di oggi, quelli erano decisamente gli anni degli schiaffi. Si davano e si

     prendevano. Non potevi mica tanto fare il coglione. C’era certa gente in giro, tipo MimmoTerremoto, Ken Shiro. Hai presente Ken Shiro, quando va a depredare il villaggio?Personalità allo sbando, che venivano da fuori. Prendevano il motorino di uno e andavanoa disfare tutto.

    J: Quell’epoca è abbastanza tramontata, anche a causa del fatto che non ci sono più le piazze.

    P: Adesso molti zarri se ne stanno nell’androne del palazzo. Scendono e stanno sotto il

     palazzo, spacciano, fanno tutte le robe lì. Poi ogni tanto escono e vanno in discoteca all’OldFashion.

    J: Se volevi andarti a fumare un lotto con un tuo amico, non potevi chiamarlo così,all’improvviso, dato che il telefonino non ce l’avevi, ed era ancora qualcosa di molto raroe costoso. Insomma, era molto più difficile comunicare, mettersi d’accordo, darsi unappuntamento. Però sapevi che dalle tre in poi, se volevi beccare qualcuno, potevi andarein Triennale.

    P: Era un mondo tutto da scoprire, in un certo senso.

    J: Ed era un mondo in cui ci si menava di brutto.

    Te ne racconto una. Ci sono due tipi, due tipi che io conoscevo, che un giorno, praticamente, si trovano a passare per questa piazza di truzzi, e la attraversano un po’ conquello spirito anni ’90, e cioè: io guardo brutto te e tu guardi brutto me. Il famoso «Tu checazzo guardi». Insomma, c’è questo gioco di sguardi cattivo e allora quelli della piazza,che sono sei, sette, gli tirano un bottiglia. Dopodiché schiaffi, botte, violenza, e si rubanoil cappellino. Età media 22, 23 anni. Neanche giovanissimi. Insomma, si rubano ilcappellino e succede un pandemonio.

    Della cosa vengo informato in tempo reale da un tipo, uno che a sua volta era amico diquelli che si stavano menando in piazza. All’epoca ero abbastanza un perditempo, per cuisenza starci troppo a pensare salgo sul motorino e vado. Quando arrivo vedo che è confluita

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    un sacco di gente del circondario. Si sono chiamati l’uno con l’altro, in qualche modo, esono arrivati sul posto.

    P: Sì, la gente stava in giro. Magari arrivava la voce in un bar e tutti partivano all’istante

    in motorino.

    J: Esatto, e insomma, in quella piazza là, ricordo che tutti si davano le mazzate, senzaneppure saperne il motivo. Un disastro di mazzate, finché la rissa, per ragioni intricatissimelegate al cappellino, a chi ha tirato la bottigliata eccetera, si trasferisce addirittura in SanBabila, al Madame Claude.

    P: Nota discoteca di pettinati.

    J: E anche là, botte della madonna. Dopo ce ne andiamo alla sala giochi, perché tra l’altronon bisogna dimenticare che, all’epoca, non esisteva la Play-Station. Alla sala giochi c’è ilterzo tempo della rissa, che a questo punto si è trascinata per mezza città e lungo tutta lagiornata. Ti vengono a ricercare per picchiarti, una roba che non finisce più. Nell’arco diuna giornata ti sei picchiato cinque, sei volte, e alla fine, quando sono le otto di sera, arrivail più cattivo di tutti, come il mostro finale all’ultimo quadro dei videogiochi. È quello pesante, che arriva dalla tal zona.

    P: Arriva quello che fa brutto, da un posto che fa brutto, insomma: non un coglioncello.

    J: Sì, quello famoso, che ha un nome, un’aura che si porta dietro, su cui circolano totleggende. Lo chiamiamo e lui arriva con la Regata e soprattutto con il fucile dentro laRegata.

    P: Minchia… 

    J: Fa vedere il fucile, lo tira fuori dalla macchina, e allora i tipi chiedono scusa e se nevanno.

    P: I motivi, i meccanismi che facevano scatenare queste guerre, erano sempre molto futili,un po’ alla film di Van Damme, del tipo: «Tu che cazzo guardi». Il «Tu che cazzo guardi»,ecco, era proprio la chiave di tutto, la chiave degli anni ’90. 

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    Gli anni ’90 sono stati anche l’epoca dello status symbol, che veniva vissuto in modo moltosofferto. È una cosa che mi ha riguardato, specialmente da piccolo. Venivo da una famigliadel ceto medio, quindi non potevo avere tutto quello che mi piaceva. Premesso che non mimancava nulla, soffrivo perché non potevo comprarmi tutte quelle cose che avevano i

     pettinati veri. Io, per esempio, abitavo in centro a Milano, ma si capiva che non ero un veroricco. La cosa mi faceva star male e vedevo che anche tanta altra gente soffriva, per lestesse ragioni e con tutta una serie di conseguenze. C’erano degli status symbol classici,tipo la polo Ralph Lauren, i motorini. E comunque la gente voleva scavallare. Rispetto aora, in quegli anni a Milano c’era un’esplosione pazzesca del liberismo dello spaccio, incui c’erano vari tipi di fumo e tutti spacciavano. Era effettivamente una questione centrale. 

    J: La cocaina oggi ha la stessa diffusione, la stessa identica facilità di accesso che aveva ilfumo una volta. La coca, a quel tempo, rappresentava abbastanza un’eccezione. Quando

    vedevi un impizzone, uno che pippava tanto, pensavi: «Oh, guarda questo come èscoppiato», oppure: «Minchia, quello si che è pericoloso!» Adesso i bambini di 17 anni si pigliano la bamba e si sfondano, mentre si fuma molto meno.

    Qualche giorno fa mi è capitato di passare la serata con mio nipote e i suoi amici. A uncerto punto mi fanno: «Oh, vogliamo farci una canna. Ma tu sai dove andare a prendere ilfumo?» Eh no, non lo so. Era mezzanotte. Nel 1994, a mezzanotte, andavo in piazza Vetrae mi assalivano per vendermi il fumo.

    P: A quei tempi, chi più chi meno, tutti smazzavano il fumo.

    J: Si spacciava il fumo perché quella era la droga di maggior consumo, per cui tutti siritrovavano per farsi le canne, i lotti, e c’era la rincorsa al fumo più buono. 

    P: Chiaro. C’era una cultura del fumare. 

    J: La qualità non era appannaggio esclusivo della malavita.

    P: Spesso il fumo migliore era quello che un tuo amico, o l’amico dell’ami co, si portavaincellophanato nello stomaco di ritorno da un viaggio a Tarifa, o dal Marocco, e poi se locagava.

    J: C’erano anche delle piazze borghesi: Guastalla, San Celso. Dove poi si diventava deglispacciatori a tutti gli effetti.

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     P: Tutti, bene o male, ci trovavamo all’interno di quel cerchio. 

    J: Andavi, prendevi il fumo a tuo rischio e pericolo, ma poi era tutto guadagno. All’epoca

    costava 20.000 lire a lotto.

    P: Nello stesso periodo, parallelamente, ci fu il boom dei canapai.

    Ricordo un episodio incredibile: a un amico, un giorno, venne regalato un barattolo di oliodi charas. Lo accompagnai in Sempione, dove si mise a vendere questo olio. Si formò unafila pazzesca, come a un concerto degli U2, una fila a S che partiva dal fondo dei campi da basket. I tipi arrivavano, pucciavano la paglia nell’olio e se ne andavano. Tiravi su milionidi lire al giorno. E ricordo anche, in quel periodo, che ho fumato un lotto che era quello

    che mi ha fatto di più in tutta la mia vita. Cilum di olio. Il cilum, tr a l’altro, è un fenomenomolto milanese. Non so se a Roma sia stato altrettanto diffuso.

    J: Magari i cilum no, ma grandi canne sì. Se andavi a Tarifa, oltre a milanesi, napoletani,trovavi una cifra di romani. E se ti piaceva farti le canne di brutto, a Tarifa trovavi tuttoquello che volevi: caramello, charas, nero, afgano. Ovviamente, se eri uno che a livello difumo non sapeva un cazzo di niente, funzionava come a livello di cinema: se tu guardi solofilm d’azione, conosci solo i film d’azione. Così, scendevi e ti compravi giusto ilcioccolato, al massimo il marocchino.

    P: Oggi c’è una situazione molto diversa rispetto a un tempo: il malandrino, il capo, il piùgrosso, insomma il numero uno, è uno di cui avere paura.

    J: Vabbè, anche prima c’era l’innominabile. Tutti sapevano chi fosse e tutti dicevano diessere suoi cugini. Sembrava che tutti fossero parenti di questo. Però, noi eravamo menosmaliziati. Era tutta una favolona e sapevi che l’innominabile era uno che faceva brutto, per cui ti regolavi e sapevi quando dovevi lasciar perdere. Noi eravamo tra i tanti chefrequentavano il parco o la piazza, ma sapevamo che quello faceva una vita diversa, cheera un malavitoso pesante.

    P: Poi c’era chi provava a salire, i classici tentativi di escalation alla Scarface.

    P: Però il mito di fare la scalata c’era. Eccome. C’era di brutto. 

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    Ricordo un sacco di gente che aveva il sogno, proprio alla Scarface, di arrivare a un livellooltre, di superare tutti.

    J: Si stava diffondendo la cocaina. Certo, ce n’era di meno e costava di più. Ma molti

    iniziavano già ad andare fuori di testa.

    P: Dentro tutto questo marasma, ci sono le storie di quelli che si sono persi… 

    J: …tipo un mio amico, che veniva da una famiglia normale, quasi una buona famiglia, cheviveva in centrissimo a Milano. Solo che questo tizio era un po’ testa calda, non un pazzofuori controllo, intendiamoci, però sai, quando inizi a pippare alla grande e cominci adavere bisogno di 150, 300.000 lire al giorno… 

    P: …sì, scleri di brutto. Eppure c’era sempre questa distinzione tra chi usava quantità ancheconsistenti di cocaina e i vecchi eroinomani, i robbosi. Come se i cocainomani non avesseroun vero problema di dipendenza.

    J: Oggi c’è un ritorno dell’eroina, però senza una vera consapevolezza del rischio, anche perché viene fumata. La nostra generazione ha visto gli ultimi scheletri dell’eroina.Essendo nato nel ’79, ho fatto in tempo a vedermi gli anni ’80, e ricordo che in quell’epocac’erano in giro dei mostri, emarginati dalla società. Ricordo quando andavo a spasso conmio padre, da piccolo, e li incontravo, i famosissimi tossicodipendenti. Erano veramente

     brutti, malati, e vedendoli capivi che quella roba lì era una merda. Era ancora quellagenerazione che aveva iniziato senza sapere dove sarebbe andata a finire, senza cognizionedel rischio. C’erano entrati dentro, pensando che fosse chissà quale figata. Io li ho vistiquando erano alla fine, quando erano sfondati dall’ero. Di conseguenza, ero consapevoledi come ti combinava l’eroina. Per tutto il  decennio in cui da adolescente sono diventatoadulto, nessuno si è fatto di eroina, perché tutti avevano visto quelli là, sapevano comesarebbero diventati se avessero toccato la roba. Invece, i ragazzi che hanno 10, 15 annimeno di me, quella gente là, quella rovinata dall’eroina, non l’hanno mai vista. Hannoconosciuto soltanto noi, che siamo belli come il sole.

    P: E infatti, oggi l’eroina è tornata, proprio perché non c’è consapevolezza del rischio edella bruttura che comporta. Questi si pippano l’eroina, se la fumano, pensano sia unafigata, ma la verità è che non hanno mai visto un eroinomane, non lo sanno come andrà afinire.

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    J: I vecchi eroinomani sono scomparsi un po’ come sono scomparse le piazze, che secondeme, è una mia teoria, sono sparite per via della PlayStation, del telefonino e di Internet.

    P: C’entra anche la politica, però. Da quando c’è la destra al potere, a poco a poco hanno

    cominciato a chiudere questo, quell’altro posto, hanno messo le telecamere. Diconseguenza la gente se ne sta in casa. A Barcellona, invece, la gente esce, anche se haFacebook in casa.

    J: Anche la PlayStation non c’era e di conseguenza si andava in sala giochi, all’Astragames.Adesso, con la PlayStation, inviti un amico, fumi i lotti, ti fai le righe e resti blindato incasa. Gli adolescenti di oggi, magari, vanno giusto nella piazza del quartiere, quella sottocasa, sotto quel palazzo dove vivono trecentomila famiglie.

    P: C’è stata una sorta di civilizzazione. Prima, all’epoca della nostra adolescenza, era tutto più selvaggio. Noi stessi eravamo più selvaggi. Mi sale un po’ di nostalgia, al pensiero, perla magia di quei tempi. Per le storie d’amore. Era figo quando ti piaceva una ragazza, chemagari apparteneva a un’altra compagnia, scambiarsi dei segnali, degli sguardi.

    J: Uscire, poi, in un certo senso, rappresentava un’occasione. La possibilità di guardareoltre i tuoi confini. Su centomila ignoranti, che vengono veramente dalla strada, ce ne sonocinque che vanno fuori, danno un’occhiata e si accorgono che forse c’è vita oltre il palazzoe il quartiere. Personalmente, ho bazzicato dei posti tremendi, ho frequentato gente che

    veniva da certe zone e me li sono portati dietro al cinema, cioè in una situazione che a loronon sarebbe mai venuta in mente, cui non erano abituati. Non voglio dire che si sianoevoluti, però hanno avuto l’occasione di vedere anche altre robe. Funziona come nel casodei cani arrabbiati. Se hai un rottweiler e lo porti fuori, al parco, lo fai stare con gli altricani, il tuo cane impar erà a giocare, anche se resterà sempre un po’ più aggressivo. Seinvece lo tieni sempre in casa, appena esce e vede un altro cane lo ammazza. Ecco, se tuquesti li tieni sempre chiusi nel cortile del palazzo, perché non c’è un cazzo da fare, perchégli hanno fatto i cinema multisala come in America, i centri commerciali come il Fiordalisoa Rozzano, quelli non vanno più da nessuna parte.

    P: Pensa al Bicocca Village o a quello che hanno tirato su ad Assago. Sono posti orrendi.Dentro ci sono i negozi, il cinema, la sala giochi, il bowling. Sono case popolari in versionedivertimento. Si ficcano tutti là dentro, ci perdono intere giornate. Non vai più danessun’altra parte, perché vivi in funzione del comprare, consumare e tornartene a casa. 

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    J: Poi magari al venerdì sera escono, entrano all’Old Fashion e al primo che capita glifanno: «Tu che cazzo guardi».

    P: Oggi i giovani sono ignoranti. Non sanno niente di niente. Invece noi, come dici tu, non

    eravamo totalmente dei balordi, perché comunque avevamo una serie d’interessi. 

    J: Gli scambi umani, spesso, seguivano una specie di parabola, di evoluzione. Prima,magari, conoscevi uno, ci fumavi insieme trenta canne, ti ci pigliavi pure a schiaffi, sempre per il famoso «Cazzo guardi», «Cazzo vuoi», «Cazzo ridi, tu di dove sei?», però poi lorivedevi il giorno dopo, un altro giorno ancora, e alla fine ci diventavi amico. Grazie a luiscoprivi delle cose e viceversa. Scoprivi, per esempio, che nelle case popolari esistevanogarage con trecento macchine smontate e tu potevi andare e sceglierti un pezzo per ilmotorino. Lui, invece, scopriva il cinema, che esistevano film bellissimi, capolavori che

    riuscivano a parlare anche a lui. C’era uno scambio, uscivi da quello che era il recinto dellatua vita. Adesso questi vanno su Internet, scopano su Internet. Magari si mettono insiemee si mollano senza essersi mai visti.

    P: Anche dal punto di vista banalmente estetico, si vedono fenomeni che prima nonc’erano, tipo uomini che si truccano e si fanno le sopracciglia. Sono ca mbiati i modelli,anche per colpa della televisione.

    J: Basta pensare a Uomini e Donne.

    P: Noi avevamo le tessere della videoteca, prima che arrivasse Blockbuster, e andavamoad affittarci le cassette, oppure andavamo nei negozi a cercarci i fumetti. Insomma,avevamo anche questo aspetto, che coltivavamo e che ci ha permesso di diventare deicantanti e non qualcos’altro. 

    J: Gli altri, invece, o sono tutti morti o è gente finita male, che c’è rimasta sotto. È come sefossimo dei reduci, in un certo senso.

    P: Mdma, ketamina. Rispetto alle droghe che si consumavano un tempo, sono un po’ più blande, ma per certi versi più brutte. All’epoca giravano i trip, l’Lsd. La gente ci rimanevasotto con il cervello. Diventava scema.

    J: Anche con la Tv ci resti sotto, specie con quella che circola oggi: il GF, Uomini eDonne… davvero una gran merda. 

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     P: Il modello culturale dei giovani, di un ignorante tipo, è il palestrato con le sopraccigliarifatte, che si atteggia a Tony Montana e parla il dialetto. Marcare l’inflessione meridionaleè un modo per far paura, per fare brutto.

    Tutti mezzi fascisti, tra l’altro. Spesso mi faccio dei giri sui profili di Facebook e sotto«orientamento politico» leggo sempre «fascista», «nazista», e poi gente che ha le foto diMussolini, giusto per fare brutto.

    J: Perché richiama un’idea di forza e violenza. 

    P: I discorsi di Mussolini sono l’applicazione più scaricata con l’iPhone. 

    J: Anche ai nostri tempi, comunque, esistevano i nazi.

    P: Però, come si diceva prima, parliamo di un tempo in cui esistevano le tribù, un tempo incui i confini tra un gruppo e l’altro erano marcati. C’erano identità, appartenenza. Adessonon riesci a capire perché il tale si dichiara fascista. Non voglio fare discorsi da vecchio,da nostalgico, ma i giovani oggi non sanno proprio un cazzo, non hanno mai visto Nightmare, non conoscono la musica, i dischi classici dell’epoca. 

    La televisione è stata un’onda che ha spazzato via tutto. 

    J: Il pomeriggio uscivi, non stavi a guardarti Uomini e Donne.

    P: Uscivi e andavi a guardare i Cd in un negozio, per esempio. Andavi al parco, nelle piazze. Adesso, dove cazzo vai?

    J: A me viene la paranoia quando devo uscire il pomeriggio.

    P: In giro c’erano le tipe più desiderate, le fighette, i miti. 

    J: Sono stati anni di sperimentazione, che hanno cambiato delle cose. Non erano anni dirivolta, chiaro, però ecco, possiamo dire che sono stati anni di sperimentazione, anchesoltanto a livello di droghe.

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    P: Quando ci si trovava in piazza si diceva: «Guarda che fumo ho, si attacca alla plastica perché è troppo cremoso. È troooppo buono!» Oppure: «Minchia, che giacca hai!», unagiacca che magari era stata scavallata, visto che noi approfittavamo delle occupazioni nellescuole per rubare le giacche. O si andava in discoteca e si usciva con la giacca di un altro.

    J: Per quel che riguarda la nostra musica, è in quegli anni lì che è venuto fuori, che si èformato il rap più figo.

    P: E i Dogo sono nati nelle piazze, assolutamente. A te ti vedevo quando ti menavi e faceviil writer. Sì, perché quelli che facevano i graffiti formavano delle specie di gang, l’una inlotta contro l’altra per il controllo del territorio. Una volta al parco Sempione mi ricordoc’era uno seduto in un cerchio, arriva un altro writer da dietro e gli dà un pugno sulla nuca.Robe di graffiti, pensa te. Comunque ci siamo conosciuti in quel contesto, e poi soprattutto

    ci incontravamo alle feste.

    J: Alle feste ci s’imbucava. Funzionava così: un ricco faceva una festa e lo diceva ai suoiamici. I suoi amici, che erano delle merde, lo dicevano ad altri amici e prima o poi la vocearrivava all’amico sbagliato. L’amico sbagliato si presentava con quaranta persone, entravae ti sfondava la casa, rubava tutto quello che poteva, ti svuotava il frigo e si scopava tuttele tue amiche, perché alle tue amiche piacevano quelli che spaccavano tutto.

    P: C’era un sacco di elettricità. 

    J: Però c’è da dire che si scopava meno di adesso. 

    P: Era più dura scopare.

    J: Adesso i ragazzini chiavano di brutto.

    P: Le feste più fighe erano quelle nelle case bene, dove si creava una commistione tra truzzie gente di altre classi sociali. A volte c’era un mare di gente. 

    J: Magari succedeva che andavi e spaccavi tutto e la volta dopo ti rinvitavano… 

    P: …sì, per assegnarti una specie di servizio d’ordine, informale, perché controllassi la tuagang e che tutti gli altri non facessero casino.

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    J: Mi ricordo una festa in viale Papiniano, di fianco all’Esselunga, in cui tirarono giù tuttodalla finestra, tutta la casa giù dalla finestra. Da tanta, troppa gente che c’era, non si riuscivaa oltrepassare l’androne delle scale. Infatti, alle feste spesso succedeva che la gente siraggruppasse anche sotto casa.

    P: C’era Luca La Mina, una specie di pazzo, un Henry Rollins metallaro. 

    J: Ci sono andato in vacanza, con Luca La Mina.

    Un pazzo vero. L’ho aggiunto l’altro giorno su Facebook. 

    P: Luca La Mina e un suo socio, a una festa, tirarono giù un divano di pelle, lunghissimo,dal quinto piano.

    P: C’ero anch’io a quella festa lì. 

    J: Avevamo infilato i pomodori dentro la ventola.

    P: Altre volte si chiamava il 144 e si lasciava la cornetta aperta per ore.

    J: Un altro scherzo era quello di telefonare per ordinare le pizze. Tipo quaranta pizzeall’indirizzo di qualche amico babbo. 

    P: Una volta, dalle parti di piazza Vetra, ci siamo infilati in una specie di toga party. Siamosaliti… 

    J: …e abbiamo preso a schiaffi tutti. 

    P: …siamo saliti, c’è stato un malinteso ed è successo un disastro… 

    J: …sì, ricordo che stavo montando le scale e c’era uno che scendeva a gambero tirandocento pugni in faccia a tutti… 

    P: …mi sembra che avesse in mano un lucchettone da Booster… 

    J: …no, zio, aveva il sampietrino in mano, me lo ricordo… 

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    P: …vero, il sampietrino… e insomma, siamo dovuti fuggire nel parchetto, di notte, bello… 

    Che disastro, quante distruzioni… 

    La nostra era una generazione che guardava film come Codice Magnum, le robe con Jean-Claude Van Damme. Oggi c’è Harry Potter, e nei film non muore più nessuno perché cisono gli effetti speciali. Mi piacerebbe farci un pezzo su Van Damme.

    J: Facciamolo.

    P: La sua storia da Bruxelles a Hollywood.

    J: Con tutti gli aneddoti.

    P: Un capitolo a parte delle feste era quello dei diciottesimi di gente importante.

    Io lo smoking non ce l’avevo, e non ne affittavo uno soltanto per andare a una festa.Arrivavo combinato un po’ così, con i pantaloni di mio padre, in mezzo ai damerini veri.Questo è un ricordo anche agrodolce, se vuoi. Poi c’era gente che andava con il vestito,tipo te… 

    J: …o anche solo con la camicia… 

    P: …o in qualche modo ci s’inventava lo smoking. Sono finito al compleanno di una figliadi un miliardario.

    J: …io una volta in un castello, un castello con gli ascensori… 

    P: Mi ricordo di una villa sul lago, dove successe un degenero. Io all’epoca ero in un periodo di transizione. Frequentavo il Magenta, dove si spacciava e confluivano sia zarrisia pettinati. Dal Magenta ci s’imbucava per feste importanti, tipo questa sul lago, doveuna, con i tacchi, aveva spaccato la testa di un’amica della festeggiata. Io non ci sono maistato, ma pare che le feste più favolose fossero quelle del figlio di un petroliere. Per andaresi organizzavano dei ritrovi, tipo: tutti in Cadorna alle dieci. E poi arrivati lì, ancheapprofittando del fatto che il figlio del petroliere era un buono, spaccavano tutto. In questesituazioni era bello perché vedevi le vere fighe, quelle che ci pensavi e ti facevi le seghe ascuola. Io ero più concentrato sui cilum, sullo sballo in generale… 

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     J: …e arrivavi a casa svenuto… 

    P: Tu le guardavi, quelle tipe, e sognavi, perché massimo massimo ci scappava una

    limonata. A queste feste s’incontrava davvero la gente ricca, veramente ma veramentesnob. Anche a scuola mia c’erano conti, duca eccetera, e quando li rincontro oggi miaccorgo che fanno finta di non riconoscermi o mi fanno complimenti di circostanza sulsuccesso, sulla musica. Da queste differenze, che percepisci a pelle, da queste dinamiche,sviluppi un senso di appartenenza che ti accompagna per tutta la vita.

    J: Io sono sempre andato a scuola con zarri pazzeschi… 

    P: Io invece ho incontrato anche quel tipo di gente, i rampolli. Un paio d’anni fa sono finito

    a una festa privata, in Sant’Ambrogio, e lì ho ribeccato persone che non vedevo da noveanni. Ho rivisto certe figlie di, mezze pastigliomani, che continuavano a far finta di nonconoscermi. Sono questioni che hanno a che fare con le classi sociali, ma anche con cometu sei fatto.

    J: Comunque, ai tempi, ovviamente, non c’erano soltanto le feste. Sì, c’era il party del babbo dove andare e spaccare tutto, ma poi c’erano la piazza, il bar figo dove sapevi che potevi incontrare le tipe, e poi varie situazioni, moltissime a livello di dance: il Mazoom, per esempio, i centri sociali come La Pergola. E poi i rave al parco, la notte. Non ci siamo

    fatti mancare niente.

    P: In quel periodo andavo ancora a scuola, dove c’era un’imprenditoria individuale delladroga fortissima. Tutti che vendevano… 

    J: …nell’intervallo tutti ai cessi a smerciare. 

    P: La sera, invece di studiare, di ripassare la lezione, passavo il tempo a fare le palline difumo. Ricordo che c’era anche gente con le panette, a scuola. Nell’intervallo ero capace difumarmi due cilum. In mezzo a tanti babbi, c’erano anche un bel po’ di personaggi da film, persone che alla fine sono diventate amici. C’era questo tipo basso ma fortissimo, un piccolo Hulk che fin da ragazzino spacciava e aveva una sua indipendenza economica. Oraè cresciuto, e fa il suo businnes. Faceva due, trecento flessioni. Una volta ha sradicato unlavandino. Un’altra ha spaccato il parabrezza di uno scooter. Aveva una forza pazzesca.

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    J: Sì, lo conosco. Una volta è impazzito, tipo indemoniato… 

    P: …davanti a un famoso bar di Milano. Si era piegato su se stesso, poi si era messo perterra tipo verme, faceva dei movimenti innaturali. L’hanno portato via in ambulanza, gli

    hanno messo tipo la camicia di forza, dopo mille lotte, e all’ospedale la situazione èdegenerata. Hulk ha cominciato a delirare, a millantare di essere figlio del presidente della Nasa, poi è schizzato in sala d’attesa, dove c’erano delle vecchie sedute alle quali diceva:«Lei è molto attraente», a fare delle avance, insomma, cose così. Poi l’hanno sedato. 

    J: Se facessimo un film, lui sarebbe uno dei protagonisti.

    P: Hulk era un mostro, un pazzo. In vacanza a Ibiza dei catalani l’hanno massacrato, malui reggeva sempre, anche se era piccolo, assorbiva tutto. Per un capodanno andò a Berlino

    da solo, e dopo essere stato rimbalzato al Ministry, finì in un locale di troie, dove si rifiutòdi pagare, aprì un estintore e cominciò a schiumare tutto intorno. Ad Amsterdam è scappatoda un locale mezzo nudo, con le Nike in mano, perché un nero gigante gli stava dando lacaccia con un pitbull.

    J: E poi c’erano le occupazioni, a scuola… 

    P: …che erano un’opportunità di degenero, per rubare e spaccare random.

    C’erano già certi oggetti del desiderio, tipo le giacche Carharrt, e le occupazioni eranoun’occasione per fottere a man bassa. Noi allora s’andava al muretto. 

    Un gruppo di ragazzini del Berchet vennero picchiati da gente più grande e andarono araccontare la cosa al muretto. Si mobilitarono Enzone e altri tamarri più grandi cheorganizzarono una spedizione al Berchet per fare vendetta. La cosa divertente è che finì sulgiornale e scrissero frasi tipo: «Terrore al Berchet, maniaco paramilitare». E poi: «Alcunistudenti terrorizzati riescono fortunatamente a raggiungere i servizi e a chiamare igenitori». Il maniaco paramilitare era Enzone, che infatti al tempo girava sempre con un paio di pantaloni mimetici, stile Wu-Tang Clan. Dopo un po’, nella mia scuola, un liceoclassico, cominciarono a circolare gli sbirri con i cani.

    J: Il tipico modo per nascondere il fumo, se c’erano i cani, era avvolgerlo dentro unastagnola e poi infilarlo nella bottiglia dello sham poo. Anche se c’erano fumi tipo charas ecaramello che puzzavano di brutto.

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     P: Mi ricordo di estorsioni pesantissime.

    J: C’era lo scavallo. 

    P: Sì, gente che si appostava fuori della scuola, per questioni di crediti di fumo, e che pretendeva di venir ripagata con le polo Ralph Lauren, per esempio, o con un paio diocchiali. «Domani mi porti due polo, domani mi porti gli occhiali.» Di scene così ne hoviste tante. Quelli che potevano cambiavano scuola, per liberarsi dall’incubo e dalla persecuzione.

    J: Da bambino sono sempre stato bravissimo a scuola. Imparare mi piaceva, di brutto. Però,ecco, sono sempre stato un disgraziato. Ho sempre fatto disperare tutti, anche se in classe

    andavo e m’interessavo alle cose. Al Santa Marta, la scuola che frequentavo, per un periodoci proibirono le gite. Tutta colpa di questo mio amico, Simone, che ora fa il buttafuori, egià a 14 anni era uno e novanta, due bicipiti così, un mezzo naziskin. Con lui mi divertivoa sputazzare dalla finestra di classe. Un giorno, per effetto di un nostro sputo, una signorain bicicletta, per schivare lo sputo, cadde. Dopo un po’ arrivò il preside in classe: «Chi èstato? Se non mi dite chi è stato, fine delle gite di classe, fine di tutto». Nessuno parlò, perché c’era un’omertà pazzesca e anche perché la nostra classe sembrava quella di unriformatorio, una roba da Mery per sempre, tutti ripetenti o quasi. Da quel momento nonsiamo mai più usciti dalla scuola, zero gite, niente di niente.

    P: Un personaggio ricorrente di quell’epoca, un sim bolo del disagio, era quello che si presentava il primo giorno di lezioni dopodiché spariva, non si ripresentava più. Nei primianni ’90 in giro era pieno di psicoconfusi, gente pluriripetente che spacciava il fumo, eveniva a scuola con la stessa macchina che all’epoca aveva J-Ax, e che J-Ax si eracomprato con i suoi primissimi soldi. Questo per dirti la quantità di grano che si erano fattigrazie al pusheraggio.

    J: Nella mia classe mitologica, dov’ero arrivato dopo che mi avevano già bocciato duevolte, oltre a me e Simone c’era un tipo che si chiamava Balla, e che nel mezzo della lezionefaceva un verso assurdo, urlando fortissimo: «WhoOOOoooOOOOoooo». Quando venivainterrogato, a qualsiasi domanda rispondeva con una bestemmia pesantissima. Una volta il prof di storia dell’arte, uno sfigato pazzesco, chiama Simone, che non sente perché avevail walkman in testa. Il prof continua a chiamarlo e finalmente Simone, che, ribadisco, eraun tizio di un metro e novanta, si toglie le cuffie. Il prof gli chiede di consegnargli il

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    walkman, ma Simone si rifiuta, «Io non ti porto un cazzo», e allora il prof si riduce amettergli la nota sul registro. Un’altra volta, sempre il prof di storia dell’arte chiamainterrogato un certo Stanga, altro disadattato sociale che il secondo giorno di scuola si eramenato con Balla, con i banchi messi a ferro di cavallo tipo ring. Stanga non apre bocca e

    il prof gli mette due. Qualche giorno dopo lo richiama interrogato, per dargli la possibilitàdi recuperare, e Stanga gli fa: «Ma allora, non l’hai capito che il mio nome te lo devidimenticare?» E il prof, zitto, che mette un’altra nota. Poi c’erano canne in classe eccetera. 

    P: Dopo aver fumato in bagno, tornavo in classe con gli attacchi di panico. Mi vergognavo,tanto ero fatto, specie quando tornavo a casa per pranzo. In classe mia c’era un tale, Chicco,che un giorno venne interrogato appena rientrato dopo un cilum. Ebbe un sussulto, fece unrutto e dalla bocca uscì una specie di fumo viola, una roba da Harry Potter. Un’altra voltaandai con la scuola in gita a Budapest. Mettemmo a ferro e fuoco l’albergo, dove c’erano

    trenta classi da tutto il mondo. Una vera calamita di casini. Una sera, ubriachi, abbiamofatto una partita di calcio con dei finlandesi, al terzo piano dell’albergo . Poi ci siamomenati, è scattata una mezza rissa, e sono ruzzolato giù dalle scale. Dopo ho un ricordo allaRobocop, con della gente che mi ricuciva all’ospedale, tutto rotto, senza nessuno che parlasse inglese. All’ospedale sono stato due giorni e mi sem brava di viaggiare dentro unaschermata di Silent Hill, il videogioco. All’aereoporto venne a prendermi mia mamma:avevo su la felpa della Carharrt, l’unica cosa che mi era rimasta, tutta zozza di sangue.Dopo mi hanno sospeso da scuola. Non mi hanno bocciato perché comunque andavo bene,e un bel giorno mi arrivano però le 650.000 lire dell’assicurazione, con cui mi compro il

     North Face.

    J: …io mi ricordo all’Itsos, durante le occupazioni, le moto nei corridoi della scuola, stileKaneda di Akira. Ora non è più così… 

    Le bigiate: c’era un vero culto dell’Astragames… ci ho vissuto lì dentro. Era un posto doveandavano tutti quelli che bigiavano, ma anche quelli che non avevano un cazzo da fare. Elì si prendevano tutti a botte. Cartelle, pugni in faccia, le r obe in testa alla gente… 

    P: …le cinturate… 

    J: A Le Cinemà poteva finire a coltellate. Anche oggi, se ti meni con l’orologiaio in corsoVercelli è un conto, con lo spacciatore a Baggio è un altro.

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    P: Una cosa storica delle bigiate era l’auletta in Statale. E anche le discoteche che aprivanoil mattino per chi bigiava. In Statale c’erano tutti i più grattati, che fumavano i cilum,nessuno che studiava.

    J: Fuori da scuola mia c’erano spacciatori di eroina che lavoravano per gente seria. C’eraun perenne via vai di tossici che portavano di tutto per avere una busta. Una volta, vistocon i miei occhi, uno spacciatore che aveva finito la roba, ha venduto un sacchetto di stuccograttato da un muro a un tipo, un tipo che in cambio gli ha dato, udite udite, una Deltaintegrale.

    P: Tu te lo ricordi Hash, il tunisino?

    J: Come no, uno che si presentava sempre bene, meglio degli altri, poi però l’ho cacciato

    dalla piazza di San Simpliciano.

    P: Un giorno questo Hash si fa dare un passaggio in motorino da un mio amico, con la promessa di regalargli quattro pezzi di bamba. Arrivano a Loreto, «Tu vai avanti, avanti,continua, ti dico io quando fermare», e poi proseguono per viale Padova, viale Padova,sempre su viale Padova, fino in fondo a viale Padova. Entrano in un cortile, una roccafortedello spaccio, dove cominciano a sporgersi tutti dei tunisians, e si apre una specie disottomondo, dove vivevano al buio, e ’sto mio amico era terrorizzato, ed è entrato in stanzeaffollatissime di tunisini, mi ha raccontato, e intorno panette, coca e sacchi di iuta che

    chissà cosa contenevano.

    J: C’è stato un altro periodo che avevamo una piazza, dietro San Simpliciano, e avevamoiniziato a giocare a dadi, così per scherzo, però dopo una settimana c’erano tipo cento persone, tutti che venivano a giocarsi l’orologio e il motorino. 

    P: Negli anni ’90, poi, cento storie di scavalli, per via di gente che era impazzita per lacoca. Ho saputo di tipi che hanno portato persone davanti al bancomat a prelevare, senza pensare al fatto che c’erano le telecamere.

    J: Quella però era poca furbizia, associata allo svalvolamento, al non capire più un cazzodall’enfasi per la coca, che ti portava a una delinquenza stupida. 

    P: Spesso erano babbi gli uni e babbi gli altri, perché conoscendosi per nome e cognomefiniva che poi uno denunciava e l’altro, per una stronzata, finiva dentro al Beccaria, a farsi

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    la galera vera. Un grande personaggio era Gigi, uno scoppiatissimo. Aveva una sua hit, ilsuo stile: scarpa di legno senza calze, jeans, capello ingellato, maglietta bianca attillata e,in anticipo sui tempi, occhiale nero scuro.

    J: Aveva un’attitudine allo zarrismo pesante. Gigi era un precursore, e poi aveva unosmodato entusiasmo per le droghe. Quando la coca è stata sdoganata, lui c’era già dentro  fino al collo.

    P: Comunque, pensa per certi soggetti che cosa ha significato scoprire la coca… era unaroba che ti cambiava l’esistenza, come la ruota per l’uomo della preistoria, soprattutto senon avevano nient’altro da fare nella vita. 

    J: Innanzitutto, cominciavano a vendere la bamba, perché avevano un costante bisogno di

    soldi, visto che all’epoca la coca costava il doppio. Così iniziavi un ciclo: dal bullismo alloscavallo, dallo scavallo al furto, dal furto alla rapina e poi dentro fino al collo e la galera.Adesso a vederlo, Gigi, sembra un reduce del Vietnam.

    P: Stile Taxi Driver.

    J: Poi tra i superstiti ci sono quelli choccati o quelli che hanno fatto la carriera criminale,nonostante avessero il padre banchiere o avvocato.

    P: Poi c’è chi è in galera, chi in comunità. Chi è rimasto sotto con le pastiglie e i trip.

    J: Tutti personaggi che appartenevano al grande scenario delle piazze di Milano, ognunadiversa dall’altra. In Dezza, per esempio, giravano dei gran zarri. 

    P: Anche il parchetto di Moscova era una gran fucina di elementi.

    J: A questo c’è una spiegazione sociologica, perché all’epoca non avevano ancora sfollatole case Aler del centro di Milano.

    P: In quella zona circolava un tizio, Giuseppe detto Pez, che faceva mille jingle criminali,tipo 50 Cent, ma senza saperlo. Cantava: «Dammi il tuo Rolex / Non chiedermi niente /Dimmi che / la denuncia non c’è». 

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    J: È finito a San Vittore. Era uno scoppiatone, come il fratello che lavorava in unarosticceria, che però, in confronto a Pez, sembrava il principe di Galles. Pez, all’epoca,aveva già il tatuaggio sul collo.

    P: Negli anni ’90, ecco, sono iniziati anche i tatuaggi. Soprattutto i tatuaggi giapponesi,quelli stile yakuza.

    J: Gli zarri oggi hanno tutti quanti il tatuaggio sul collo, come Pez. Ma l’etica del tatuaggioormai non esiste più.

    P: Poi, i peggiori se li fanno in faccia.

    J: Nella nostra ballotta, nel periodo delle feste, c’era anche Sgarra, che era uno del parco

    Solari. Abbiamo fatto la scuola insieme e siamo diventati amici di brutto. Anche lui fa dei pezzi rap. La vera passione per il rap è nata tra me, te, Joe, Enzone e Marracash.

    P: All’epoca si dipingeva tanto tanto. C’era pieno di writer. La sera si andava a fare untreno o a vedere qualcun altro che andava a fare un treno. C’era chi dipingeva, chi faceva bombing, chi faceva il palo. Spesso capitava che ti crossavano, cioè disegnavano sopra aqualcosa che avevi disegnato tu, quindi c’era un passaparola, una cosa tribale, e finalmentesapevi il nome di chi ti aveva crossato e ti menavi… 

    J: Una volta, avrò avuto 15 anni, ero in uno dei tanti locali di quei tempi in cui si potevafumare. A un certo punto uscii in strada, mi misi a fare una tag sul muro e in quel momento passò uno sbirro, sulla cinquantina. Il tipo mi controllò le tasche, mi fece mille domandesulla mia famiglia, su mia madre. Io gli dissi di farsi i cazzi suoi e questo, allora, mi fracassòdi botte, fino a farmi sanguinare le orecchie. Gli dissi che avevo 15 anni e che non potevamassacrarmi, allora lui si girò verso la volante, dove stavano due colleghi, un uomo e unadonna, e disse: «Perché, lo sto picchiando? Avete visto qualcosa voi?», «No, no, figurati».Quando se ne andò mi fece, me lo ricordo ancora: «Ragazzino, invece di perdere tempoqui con te, a quest’ora potevo essere tra le cosce di mia moglie». Dagli sbirri sono stato picchiato mille volte.

    P: C’era questo personaggio del commissariato, famosissimo. Era uno che si travestiva da barbone, all’epoca di piazza Vetra, per controllare lo spaccio. Er a conosciuto anche per viadi un sequestro di persona allo stadio, nelle stanzine, per prendere la coca a gente che era

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    stata fermata. Oggi gli sbirri, grazie all’appoggio del Comune, della politica, si sentonoancora più forti. Una volta erano solo degli infami, adesso sono degli squadristi.

    J: Una volta andai in questura con un amico che lì conosceva della gente. Volevo sapere se

    un motorino che avevo appena comprato fosse rubato o meno. Se volevi avereun’informazione di questo tipo, l’unico modo era conoscere qualcuno in questura. Se fossiandato da solo magari mi avrebbero preso e arrestato. Comunque, scoprii che il motorinoera rubato, e il tipo, lo sbirro, non faceva altro che mostrarmi le mazze da baseball, sporchedi sangue, con cui sfondava i marocchini, e poi le bombe a mano che aveva nella vetreria,disegnate con i simboli nazisti. È la verità, pura e semplice. Ho preso le botte migliaia divolte dagli sbirri, e spesso senza motivo. Una volta sono scappato con il motorino, solo perla voglia di non farmi fermare. Mi hanno bloccato dietro una stradina, uno mi ha messo ilferro in bocca. Diceva: «Adesso ti metto le cose in tasca, così ti trovo le cose in tasca e ti

    sparo». Ne ho viste di tutti i colori, tipo prendere la bamba e dire: «Oh, questa me la piglioio e me la pippo stasera». Oppure trovarsi in questura, davanti a sbirri in evidente stato dicocaina, che pippano e ti danno le mazzate.

    P: Lo sbirro di cui ti dicevo prima, quello che si travestiva da barbone in piazza Vetra, hatutti i denti marci per via del crack. Sequestrava i marocchini, sequestrava la gente allostadio. Era veramente teatrale, roba da non credere.

    J: Quelli non sono sbirri, sono balordi in divisa, legittimati a fare le peggio cose. Pensa che

    ho visto anche degli sbirri che andavano a prendersi la bamba in casa dei latitanti.

    P: Una volta ci fermò una pattuglia. Il capo, l’unico in borghese, con la giacca di renna,una specie di ispettore Callaghan, mi ricordo che metteva paura anche agli altri sbirri, chelo guardavano tutti intimoriti.

    J: Da una parte posso anche capirli, dato che vivono in mezzo alla merda, ma quando finiscinelle loro mani, la cosa può diventare molto pericolosa. Della morte di Stefano Cucchi, percui c’è stato così tanto stupore, indignazione, io non mi sono per niente meravigliato. Ho preso tante di quelle botte, io. A Emiliano, il nostro tour manager, gli hanno dato 70 puntiin testa. Gli hanno sfondato il cranio con il calcio della pistola. Ti racconto questa, semprecon Emi. Uscivamo da un ristorante sfondati di alcol, di tutto. Partiamo con il mio Booster,senza casco, al tempo c’erano ancora le lire. Emi lavorava in discoteca come responsabiledi sala, a 19 anni. Lavorava in posti tipo il 1057, il Café Solaire, e gli affidavano gli incassi.Aveva già i controcoglioni. In via Porpora passiamo con il rosso, arriva una volante e ci

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    ferma. Io non parlo con gli sbirri, mai, per cui mi limito a dare i documenti e mi girodall’altra parte. Il poliziotto, uno rasato, stile Benito Mussolini, convintissimo del suolavoro, ci fa spogliare, ci fa levare tutto, la maglietta, ci fa svuotare le tasche. AlloraEmiliano tira fuori questa rotella di soldi, 90 milioni in contanti legati con l’elastico, e li

     butta sulla macchina degli sbirri. Era l’incasso della di scoteca, tutto regolarissimo. Il tipogli fa: «E questi? Dove li hai presi?» Risposta di Emiliano: «Io li rubo. Li rubo alla gentecome te. Mio padre ruba pure lui». Il poliziotto minaccia di metterci le mani addosso edEmiliano se ne sta tranquillo, come a dire che se c’è da menarsi non si tira indietro. Allafine lo sbirro se ne va, sbattendo la portiera e facendoci cadere il motorino.

    P: E comunque, di sbirri violenti c’è pieno così. Chi ha vissuto come noi, chi è finito inquestura e in mano agli sbirri, sa delle botte, sa che quello che è successo a Cucchi è unfatto normale, una di quelle cose che si verificano nelle caserme.

    Da quello che è successo alla Diaz a Genova nel 2001 fino ad arrivare all’ultimo ragazzoromano picchiato dagli sbirri, queste situazioni mi hanno fatto diventare sempre più paranoico. Ovunque mi giro, a Milano ma anche altrove, sento puzza di squadrismo.Magari non è una cosa politica, ma tra le autorità c’è tanta, troppa violenza gratuita,soprattutto in strada.

    J: Ti rendi conto che è davvero la giungla. Come la scimmia sa di non potere scenderedall’albero, quando c’è il coccodrillo, tu sai che hai a che fare con delle merde e impari a

    comportarti di conseguenza.

    P: Sono comunque e sempre «Fuck the Police», ma certo adesso non mi metto a fare lesassaiole con il fazzoletto in faccia.

    J: Ma questo è perché non te ne frega più un cazzo e perché sei diventato grande.Quell’epoca degli scazzi con gli sbirri, della scuola, delle feste, delle piazze, era anche untempo della vita in cui i soldi non avevano grande importanza, ricordo.

    P: Mi ricordo che una volta, andare in giro con i 200 euro di oggi, era una bomba.

    J: Quando hai 17, 18 anni, ti accontenti di poco, vivi alla giornata. Vendi il fumo e vivi diquello. Cerchi di arrabattarti e ti diverti tanto con quel poco che hai. Ora è diverso.

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    P: La prospettiva di fare i soldi la percepivo molto lontana, improbabile. È stato unmomento magico, quello dell’adolescenza, che a un certo punto si è chiuso. 

    Ho finito le superiori e ho capito varie robe. La prima è che nonostante avessi fatto il liceo

    non avevo un futuro. La seconda è che l’università mi rompeva i coglioni. Così è finito il periodo della giovinezza e mi sono trovato, all’improvviso, senza certezze e senzasperanze. Non c’era niente che mi piacesse, zero, quindi mi ritrovavo a fare dei lavori dimerda, tentando di portare avanti l’università. Grazie a Dio la musica, che c’era semprestata a livello di gioco, a un certo punto ha iniziato a prendere un livello di business, chemi ha liberato dal dover fare certi lavori, tipo il magazziniere, anche se continuavo adarrangiarmi.

    J: Sì, a un certo momento il gioco si è trasformato in business.

    P: Nello stesso periodo mi sono perso una cifra con la droga. Ho perso per strada amori eamicizie.

    J: La droga è stata anche la causa della mia rovina, da adolescente, e poi della mia rivalsa.Se non avessi fatto certe scelte, chissà che cazzo sarebbe successo. Ho sempre fatto il pazzo, ho sempre fatto disperare la mia famiglia, anche se a scuola ci andavo e c’eranomaterie che mi attiravano. Poi sono cresciuto e mi sono ottenebrato con la droga, con tuttele droghe.

    P: È stato comunque bello spassarsela… 

    J: …però quando tiri la corda, prima o poi arriva il conto da pagare. La droga, de l resto,era il perno della socialità. Era difficile starne alla larga. Ed è così anche oggi. Ora che non pippo più, mi accorgo di non essere al passo con i tempi. Fuori, nei posti, sono tuttiimpizzati tranne me.

    Dopo il trauma dello svalvolo da droga, anni fa, mi sono ricostruito una vita, mainevitabilmente resto circondato da persone, cari amici, che ci sono dentro fino al collo. Semi ci ritrovo in mezzo, ho le mie scappatoie. Non me ne frega più un cazzo di certe cose.L’essere stato ottenebrato dalle sostanze, ha rovinato una parte della mia vita. Quando, tantianni fa, avevo iniziato a divertirmi, a scoprire tutta una serie di cose, sono iniziati anche iguai con la scuola. Aggiungi poi il fatto che ho sempre avuto un rigetto forte per l’autorità.Sono riuscito a farmi bocciare pur avendo 9 in alcune materie. Se una roba mi piaceva, mi

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    conquistava, ero un fenomeno, ma non me la si poteva imporre. Piuttosto mi ammazzavo.Quindi la scuola è andata com’è andata e ho iniziato a lavorare. Ero ancora piuttostogiovane. Con il lavoro sembrava quasi avessi trovato una mia strada, ma avevo dentroun’urgenza, troppe cose da dire, che venivano dalla vita che avevo fatto. 

    Milano

    P: Chi comanda a Milano? Non noi, purtroppo.

    J: A Milano comandano la destra, gli sbirri, gli ammanicati in generale e i figli di.Innanzitutto bisogna appartenere, secondo me, a una famiglia importante. Una famiglia potente nel senso in cui lo intendo io. Avere una grossa, grossissima disponibilitàeconomica, conoscere a tutti i livelli, essere ammanicati veramente bene con quelli delComune e con quelli della Polizia. Allora, rientrando in questa categoria, diventi uninvulnerabile, anche se sei un ricco tossico e un ricco vizioso. Aggiungerei che a Milanovale il teorema di Corona: potere, successo, donne. C’era, questo trittico, ai tempi di Craxi,e c’è ovviamente anche adesso, di brutto. Lo vedi andando in giro, frequentando i locali

     più fashion. Nel privé, se ordini tante bottiglie, automaticamente ti si riempie il tavolo diescort. Poi vedi dei tavoli di giovani rampolli, comunque di solito gente di quarant’anni,così, con puttane molto giovani e moltissime tipe che fanno finta di fare immagine, masono puttane, e comunque vedi sempre questa situazione di… 

    P: …di scambio… 

    J: …di scambio, assolutamente. 

    P: D’altronde Milano si è sempre mossa intorno allo spendere/fare soldi. Poi ci sono imodellari, in discoteca, che sono quelli che portano le modelle. Un business legato alledonne, però in modo diverso dal binomio cliente-prostituta.

    J: Sì, perché il loro lavoro è quello di riempire il locale di belle fighe.

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    P: È un ambiente dove ho sguazzato parecchio. Oggi mi repelle. Non riesco più a starci,ecco, però in passato mi ci sono trovato tanto. L’ultima volta che sono andato in  unasituazione del genere, ho visto delle fighe che conoscevo in grande compiacenza, purtroppo, con dei vecchi schifosi, con gente come io non vorrei mai essere. Sessantenni

    lampadati, con i capelli tutti leccati, pieni di bamba. Non vorrei fare il moralista, dopo tuttala merda che ho visto, ma vorrei arrivare a quell’età non in quelle condizioni, ma avendouna bella famiglia.

    A dirla tutta, io li capisco anche, perché è una vita da cui è difficile uscire, una volta chesei in quel circuito, perché la tua testa, il tuo software, sono condannati a ragionare in uncerto modo. Poi nei privé, oltre ai Vip, ai papponi, ai modellari, ai pusher, si vedono unsacco di zarri che s’infilano e provano a fare i fighi. 

    J: Il mezzo per arrivare alle donne, a trionfare nel privé, sono sempre i soldi.

    P: Certo.

    J: Cioè, avere tanti soldi significa poter andare nei locali, buttare via, comprare bottiglie, pagare puttane.

    P: Il pappone è ricco e ha le puttane, ma poi ci sono anche il tamarro pusher, i malavitosidi bassa lega, e tutti vogliono fare quella roba là.

    Le bottiglie, le tipe, le possono avere solo quelli che mettono il soldo. Quindi, viene un po’da chiedersi: perché non scappare da Milano? A me non dispiacerebbe, però prima vorreiancora fare tanto con la musica.

    J: La gente vorrebbe andarsene. Sogna il Sud America, il chiringuito. A me non me nefrega un cazzo del chiringuito sulla spiaggia. Vorrei andare in un posto interessante, piuttosto. I Dogo restano a Milano per motivi di business, però c’è anche il fatto che io nonsono uno che piglia e va, di mio.

    P: Non nego, comunque, che nella vita che si fa a Milano ci sia anche un lato divertente.Io ci ho sguazzato per anni in mezzo a questo popolo, ai personaggi della Tv che dopo unariga di coca fanno gli amiconi. Mi sono divertito tanto, sono andato con gentaglia, cosecosì.

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    J: Divertirsi, dipende molto da come sei fatto. Se sei un coglione, che non sa niente diniente, potrai al massimo andare all’Hollywood, pagare l’ingresso, aspettare due ore perentrare e per prendere un cocktail, poi dire: «Ho visto Maldini, ho visto tizio, ho vistoquello del Grande Fratello». È un genere di serata che a molti piace. Per noi, invece, in che

    cosa consiste il divertimento? In questo: entri nel locale, conosci, ti sfondi, scopi.

    P: Questo mondo, comunque, lo abbiamo sempre vissuto a sfregio. Nel senso che andarein una situazione dove c’è gente della Tv, quattro puttane sgallettate, in cui tu sei lì ascroccare, entri vestito come ti pare e scrocchi insieme ad altri artisti, così, è anche unmodo, come dire, un po’ canzonatorio e molesto di vivere quel tipo di ambiente. Cioè, nonè viverlo come un sogno, una meta da conquistare. Non è mai stato un obiettivo, per noi,andare in discoteca con il tavolo a farsi vedere.

    J: Siamo sempre stati consapevoli del posto in cui eravamo.

    P: E consapevoli che eravamo degli stronzi.

    J: Infatti, detto questo, non è che andiamo tutti i mercoledì all’Hollywood, ma giusto secapita la serata, se c’è qualche amico che c’invita. 

    P: Questo è un aspetto molto importante. C’è molta gente che ci vive come dei neriamericani, in discoteca, ma di solito nasce sempre tutto per caso. Magari arriva l’amico, il

     pappone della situazione, «Dài, raga», allora andiamo, ma non è che il nostro obiettivo, ilnostro top, è andare nel privé a farci vedere con un tronista o con le donne.

    J: È solo un posto dove andare e scroccare mille, duemila euro di roba da bere.

    P: …sì, un modo per sfondarsi e per sfottere la gente che ci va. All’ultima festa di Dolce& Gabbana, per esempio, siamo andati con J-Ax. Ci siamo seduti a un tavolo, insieme adelle modelle, poi abbiamo cominciato ad avvistare vari industriali bresciani sfigati e a uncerto punto abbiamo cominciato a bere dalle Magnum di Belvedere che stavano sul tavolodi due bergamaschi, che ci subivano, che ci guardavano un po’ intimoriti. Poi gli abbiamo proprio preso le bottiglie. Io, comunque, sono stato buttato fuori dall’Hollywood varievolte, il che per un artista non è proprio il top. Una volta è successo con il cantante deiMattafix, numero uno nel mondo. Serata indimenticabile. Mi stavo facendo una canna così,dentro il privé, sbattendomene di tutto e tutti, ed è arrivato uno stile Steven Seagal che ciha buttato fuori.

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     J: Di sicuro Steven Seagal manco sapeva chi cazzo è quello dei Mattafix. Magari l’ha preso per uno di Centovetrine, visto che sono addestrati a riconoscere solo i calciatori, la gentedei reality e delle fiction.

    P: Sempre in quella serata lì, a un certo momento molti, i più timorati di Dio, se ne sonoandati, e sono rimasti soltanto i grattoni. Al tempo avevo una frequentazione del mondodella Tv, che abitava lì dietro all’Hollywood. Così dall’Hollywood sono andato a casa sua,e la tipa faceva un po’ la molesta, l’ipocrita, perché di nas costo pippava, ma diceva a medi non farlo. Sono arrivato in evidente stato confusionale, cercando di mascherare, ma leimi ha sgamato e abbiamo iniziato una discussione, per cui le ho rotto delle robe in casa.Me ne sono andato e ho preso un taxi per l’Hollywood, dove ho incontrato un mio amico,uno che fa rap con me. Lì abbiamo avvistato due sfigate, non per essere razzista, ma

    insomma, due sciampiste, che avranno pensato, nella loro cultura, che fossimo due vestitistrani, non proprio due tronisti, e io sono andato lì verso il bar, «Ragazze, piacere», e questeci hanno detto «No, no», perché evidentemente erano in cerca d’altro, di un Costantino. Noi allora, un po’ interdetti, abbiamo messo su una scena proprio da tremila lire: «’statroia, ’sta troia!» e lì siamo stati allontanati nuovamente e ci hanno fatto uscire dalla portaantipanico. Quando abbiamo preso la macchina, abbiamo per caso rivisto le tipe e leabbiamo ingiuriate.

    J: E oltre all’Hollywood, che cosa c’è a Milano? C’è che quando salta fuori un locale, un

     bar, un baracchino che raccoglie tot gente e diventa un luogo di aggregazione, dopo 15giorni lo chiudono. È una specie di avvertimento. Come a dire che divertirsi non èconsentito. Succede con le discoteche e con tutti gli altri posti interessanti. Difatti se tu escialle sei del pomeriggio, a Milano, non sai mai dove andare. Questa città è un posto dimerda, un posto che nega il divertimento. Eppure, passa per esserlo, un posto divertente.A tutte le sgallettate della provincia che su Facebook dicono: «Che bomba, minchia, vorreivenire a Milano, andare lì, andare là», io dico sempre che è una cagata di posto. Vorrebberoabitare a Milano solo perché vivono nel buco del culo sul monte.

    P: Certo.

    J: Però poi, dopo un anno che sono qua, si annoiano pure loro.

    P: Comunque, zio, non voglio fare il 50 Cent di «She likes me because she’s from thecountry and I’m from New York», ma le tipe che vanno all’Hollywood, le fighe, vengono

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    tutte da Limbiate, Azzate, Minchionate. Dove vanno le vere fregne, quelle con il grano,non saprei dirlo.

    J: Quelle cercano la situazione più che pettinata.

    P: Al contrario di noi che frequentiamo posti parecchio distanti l’uno dall’altro. Forse perché abbiamo alle spalle un background molto composito. Io, per esempio, ho fatto coseche poi abbiamo tutti rinnegato. Abbiamo frequentato un po’ tutte le robe, tutti gli ambienti.Forse, ecco, se c’è un genere di ambiente che non mi piace è quello dell’indie rock, chenon tollero. È quel tipo di supponenza intellettualoide, stile «Rockit», che non sopporto. Non è neppure emo. Emo alla fine lo sono i ragazzini, che non mi danno fastidio. Intendo,invece, quel certo alternativismo. È quel genere lì che mi irrita. Pur essendo cresciuti in unambiente alternativo, dispiace dirlo, ma più esco, più giro, più mi rendo conto che quelli là

    sono come i fascisti. Cioè, sono snob di brutto. Perché se tu sei di una scuola di pensieroche si ritiene alternativa, e poi mi guardi da capo a piedi, mi dici: «Ah, guarda come seivestito», allora sei uno snob. Dovresti soltanto guardarmi in faccia, ecco. È quello stessotipo di persone, poi, che ci contesta per l’aria un po’ malavitosa che si respira ai nostriconcerti.

    J: Senza capire che non siamo stati noi a creare quell’ambiente. 

    P: Giusto.

    J: Se ai nostri concerti, oltre a migliaia di ragazzini, in prima fila ci sono un paio dimalavitosi, non è colpa nostra. Noi abbiamo sempre scritto e raccontato un certo mondo,facendolo alla nostra maniera. Magari in prima fila ci sono i malavitosi, in quinta le fighe,in decima ci sono i rockettari e nell’ultima i poeti, che cazzo ne so? Non si puògeneralizzare e dire che ai nostri live ci sono malavitosi… 

    P: Questa accusa, quella di essere contigui alla criminalità, è una cazzata. Se tu canti unmondo, è normale che quel mondo ti ascolti. Sarebbe come dire che ai concerti di EltonJohn sono tutti ricchioni.

    J: Questi che si ritengono molto alternativi, impegnati, sono gli stessi che odiano l’esseretamarro, cioè tutto quello che noi incarniamo.

    P: È solamente l’estetica che loro vedono, non gli interessa guardare oltre. 

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     J: Sì, perché l’estetica nostra è anche tamarra. E gli alternativi odiano il tamarro. Noirappresentiamo tutto ciò che loro detestano: il malavitoso, quello che c’ha la catena, quellicon gli occhiali fashion. Io invece, quando li guardo, che cosa vedo? Vedo gente vestita

    come scemi, da ciclisti… 

    P: …con la frangetta da coglioni…. 

    J: …oppure vedo chi a 35 anni va in giro con i pantaloni a sigaretta… 

    P: …vestito come John Lennon… 

    J: Per quanto ci riguarda, dato che abbiamo a che fare con gente di tutti i tipi, per questioni

    di lavoro, il pregiudizio non va mai oltre il «Minchia, che pantaloni di merda». Io non vadoai concerti per dire: «Oh, qua sono tutti con gli occhiali» o a sentire i Dream Theatre perdire: «Guarda che capelloni», perché io sono venuto a vedere il concerto, che cazzo me nefrega di chi c’è. 

    P: Noi abbiamo un po’ questo dono, che siamo crossover. Ultimamente sono stato conMarracash al concerto degli Alice in Chains. Tutti che ci guardavano, che ci chiedevanocosa ci facessimo lì, anche se poi abbiamo beccato gente che ci ha chiesto le foto.

    J: Siamo stati così tanto in giro, in piazza, che per noi certi schemi non esistono. Di fattoconoscendo, mischiandoti con altri gruppi, con altri artisti, ti rendi conto che chi ha meno pregiudizi è chi poi rappresenta il movimento. Noi siamo dei rapper. Ci sta che certa genteche viene ai nostri concerti dica: «Guarda che criminali». E noi non facciamo una piega,non ce ne frega un cazzo. Magari, poi, conosciamo una band di hipster che si dimostramolto più disponibile a conoscere il nostro lavoro di quanto non lo sia il loro movimentodi merda, che quando ci vedono dicono: «Minchia, che tarri», mentre il loro gruppo diriferimento magari ci adora.

    P: Se ci danno dei criminali, pazienza. Nel nostro background c’è di tutto, in realtà, e nonsconfessiamo nulla. Chiaramente, il mondo della strada è una delle cifre che compongonola nostra poetica, anche se rifiutiamo certe etichette e c’incazziamo quando ci definisconoun po’ i cantori delle periferie milanesi. 

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    J: I ghetti, comunque, ci sono, esistono. In quasi tutti i quartieri popolari di Milano c’èsempre un punto che fa brutto e che si può definire un ghetto. Se entri e fai lo scemo ti prendono a scarpate in bocca, quando va bene. Ma anche in centro a Milano ci sono i ghetti.Qualcosa, però, è cambiato: dove c’erano gli italiani che facevano brutto, adesso ci sono

    gli stranieri. Credo che sia soprattutto una caratteristica di Milano.

    P: Stando alla mia esperienza, magari mi sbaglio, mi sembra che siano ancora gli italiani acomandare sul nero.

    J: Sì, però ci sono zone soltanto di neri, completamente. In Porta Venezia, per esempio, cisono soltanto neri. Dalle mie parti, vicino allo Stadera, vedo solo arabi. I quartieri tostisono sempre quelli: la Barona, Corsico, la Trecca. Te ne accorgi subito se sei capitato inun brutto posto. Se sei finito in un quartiere di casermoni, serpentoni, dove vivono

    settantamila famiglie, dove non c’è un negozio, dove non c’è un cazzo, c’è solo gente sottoi portoni, ed è tutto grigio, allora sei finito in un posto di merda.

    P: Io vado spesso all’Isola, che rimane un posto tranquillo: c’è comunque un po’ di genteche fa brutto. Devi stare all’occhio, anche se in giro il feeling di rompere i coglioni è moltocambiato. Non è più come dieci anni fa, quando la rottura di coglioni era all’ordine delgiorno, il «Tu che cazzo guardi» di cui si diceva.

    J: Non saprei, adesso, che percezione c’è dei quartieri. Mi sembra che lo spirito di

    appartenenza, «Io sono di Corsico», «Io sono della Barona», fosse molto più forte untempo.

    P: Un po’ tutti, oggi, compresi i fighetti, vogliono fare i borgatari, i gangster. La tendenzadominante è quella di voler fare quello che fa brutto.

    J: Sì, però nella mia esperienza succede sempre che se uno non è un vero tarro, finisce chela paga cara. Se non sei uno del quartiere e fingi di essere del quartiere, arriva sempre unovero del quartiere che ti prende e ti spacca il culo. Più gli ambienti sono alti di livello, piùc’è voglia di fare lo spaccone, di apparire quello che non si è. Però anche quelli che nonhanno niente sognano di essere ricchi e quelli che sono ricchi sognano di non avere uncazzo.

    P: Si desidera sempre quello che ti manca, quello che non hai. Oltre ai quartieri, alle periferie, c’è la città vera e propria. I Navigli hanno ancora un certo tipico retaggio: ci

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    vanno gli alternativi e i ragazzini barra tamarri. In mezzo mille sfaccettature. Corso Como,invece, elimina gli alternativi. Quelli che vanno in Senigallia o al Cantiere, in viaMonterosa, non ci vanno in corso Como.

    J: Se tu vivi tutti i giorni la città, non te ne frega un cazzo di andare ai famosi Navigli. Seinvece passi tutto il giorno ad avvitare i bulloni, poi dici: «Andiamo ai Navigli, andiamo avedere un posto bello». Ma per chi è di Milano è una roba talmente scontata andare ai Navigli… 

    P: È provinciale… 

    J: ….come per un parigino andare a Montmartre. 

    P: …e aggiungi che se la Senna è bella,  il Naviglio in sé non esiste, è una roba putrescente… 

    J: Sui Navigli vedi sfilare i ragazzini di Concorezzo, fra questi locali tutti uguali, fattiapposta per spillare soldi.

    Popolo bue. In realtà, ai Navigli, di davvero divertente non c’è un cazzo. 

    P: Corso Como, invece, è una specie di versione esterna del mondo dei locali. Vedi le belle

    fighe, i Pr, e i tamarri che fanno la vasca per vedere chi c’è, come dentro all’Hollywoodcercano di vedere se c’è la tizia del Grande Fratello. 

    J: È come il viale Ceccarini di Riccione, però a Milano.

    P: In più, c’è un’altra caratteristica: corso Como è stata una grande roccaforte degli«sputapalle». Africani che, come una gang di Harlem, per pochi soldi ti sputavano dalla bocca una pallina di coca, neanche di cattiva qualità. Dipende. Fra loro c’è moltaconcorrenza. Fino a poco tempo fa trovare la coca era di una semplicità pazzesca… 

    J: …poi c’è stata la maxiretata, alla Stecca, in via Confalonieri… 

    P: …sì, alla Stecca, dove compravi la bamba con la stessa facilità con cui una voltacompravi il fumo. Il capo di tutti era un intoccabile, un po’ il 50 Cent della situazione, e so

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    che i neri prendevano la bamba dagli italiani, bamba di qualità medioalta, poi lorotagliavano.

    Una volta, all’Hollywood, ero con un mio amico, un notaio corrotto, questo per dirti che

    gente c’è, anche ad alti livelli, che prima vedo nel bagno a fare il gangster con uno, perchéquesto è l’effetto che fa la coca, renderti gangster, poi con il suo loden, il foularino e tuttoil resto, a minacciare un africano fuori dell’Hollywood. Molti pippano, anche sul lavoro.Mi sono sempre chiesto, non l’ho mai capito, come fa certa gente a schiantarsi in un localefino alle cinque del mattino e il giorno dopo andare al lavoro.

    J: Anche se Milano è pure una città di gente che non fa un cazzo. Il fatto che sia una città produttiva, dove tutti corrono, dove si lavora una cifra, è un mito, una minchiata pazzesca.

    I bar sono sempre pieni, se vai in giro la mattina. C’è pieno così di gente, non possono faretutti i runner e i fattorini… La notte, invece, soprattutto nell’infrasettimanale, il lunedì, ilmartedì, in giro ci sono soltanto i malandrini, gli impizzati, le troie, gli sbirri, i tassisti… 

    P: …o gente che il giorno dopo non deve svegliarsi, che può permettersi di dormire. Moltisi ficcano dentro agli strip club. Ce n’era uno, lo Zip, che apriva alle quattro del mattino. Il popolo della notte: quelli che hai detto tu, ma anche zanza, drug enthusiast, qualchestudente.

    J: Una notte sono finito al Punto Caldo, alle cinque del mattino. Incontro questo tarro, unmalandrino lampadato, con gli occhiali da sole, che arriva dritto dall’edicola porno e midice: «Perché mi guardi male?» E io gli faccio: «Non ti guardo male. Ti guardo e basta».Allora lui mi fa: «Ah sì…», e infila una mano in tasca e tira fuori la più grossaquantità- di-coca-trasportata-dentro-un-sacchetto che abbia mai visto. Una trentina di grammi. Davantia tutti, c’erano una cinquantina di persone, mi prende la mano, mi stende un francesino emi fa: «Tè, pippa», allora io gli dico no, che non mi va, e allora si china e si pippa questodestro da un grammo. Poi abbiamo fatto amicizia. In un altro strip club, invece, ci giraPino, uno che vuole fare il malavitoso, amico della violenza, che picchia tutti quelli chevede.

    P: Quelli che incontri fuori di notte, il martedì o il mercoledì, devono essere per forza bolliti. Se alle cinque del mattino sei ancora in giro, significa che o stai lavorando o seifatto. Il 90 per cento della gente che becchi sono tutti sfondati. Drogati viziosi o relitti comePino, che se fai tanto di parlarci un quarto d’ora ti becchi due schiaffi. 

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     J: Tutti rompicoglioni a quell’ora lì. Non per niente i gestori dei baracchini sotto il banconehanno il fucile, il machete, la mannaia. Al baracchino vai per bere una birra, unMontenegro, se non hai voglia di entrare in un locale. E lì ci trovi i cattivi che pippano,

     bevono e diventano ancora più cattivi. E i buoni che bevono, pippano e diventano ancheloro cattivi.

    P: A Milano non ci sono grandi chance di vita notturna, di vita in generale. Non è comeBerlino, dove c’è tutto, puoi fare quel cazzo che vuoi, ed è una città viva, aperta, piena dimovimento, di arte, locali. Milano no. È un paesino di merda, in confronto a Berlino. Lostadio, la curva, restano il più grande luogo di aggregazione, soprattutto per chi vuolerompere il cazzo. Andare allo stadio è l’unico modo di poter sfondare tutto senza chenessuno ti dica niente. I giovani sono arrabbiati, non hanno niente nel cervello, non gli

    interessa della politica, del cinema, di leggere, gli interessa solo di fare come i loro amicivincenti che hanno la Mercedes, le fighe e l’ultimo modello di cellulare. 

    J: La folla non è controllabile. Quelli che sono pericolosi fuori lo sono anche allo stadio.Quelli che invece fuori non sono pericolosi, allo stadio si sentono parte di qualcosa digigantesco e pericoloso.

    P: Io non so neanche come si gioca a calcio, non ne so niente, e quelle poche volte che cisono stato, per qualche derby, ci sono andato per fare casino e fumare.

    J: È lo stesso motivo per cui si andava al parco Sempione, al Number One, o si vaall’Hollywood: per sfondarsi. 

    Con una differenza: la curva ha un peso politico, una capacità di ricatto. Mentre in tutto ilresto del mondo sono state manganellate, schiacciate, in Italia le curve continuano acomandare. Le società spendono il doppio di quello che guadagnano, così hanno bisognodi abbonamenti e devono tenere per forza la gente allo stadio. Per tenere gente allo stadiodevi fargli fare quello che vogliono. I tornelli, per esempio, sono stati un problema e unmotivo di scontro. Le tessere nominali anche. La gente non vuole i tornelli, non vuole letelecamere. Qui da noi le società sono schiave dei tifosi, non come in Inghilterra. Ecomunque andare in curva è una figata.

    P: Ti diverti come un pazzo, a tutti i livelli.

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    J: E non è neppure vero che la gente ha paura di andare allo stadio. Se vuoi portare tuofiglio di sei anni, chiaro che non lo porti in curva, ma al primo raggio, dove non si picchiano.

    P: La Milano che detesto, invece, è quella della settimana della moda, in cui si cerca di far passare Milano come una città più figa, più europea di quello che non è. Ci sono eventimediocri, lo so per via delle tipe che me ne hanno parlato. Tutta roba poco europea,internazionale, una cifra di metrosexual e fashion victims. Nessuna sostanza e zero arte. Niente di figo, ma solo gente vestita come stronzi.

    J: In più attira poco pubblico, soltanto addetti ai lavori. Se fosse la settimana della sborra,la settimana della guerra, sarebbe la stessa cosa: un pretesto per fare le feste. La gente odiala settimana della moda perché in quei giorni lì Milano è completamente paralizzata.

    P: Nel mio periodo modellaro me ne andavo nei locali, tipo il Just Cavalli, a broccolare lemodelle accompagnato da uno che in due minuti diventa il tuo migliore amico perché ti presenta delle modelle che sono delle fighe pazzesche.

    Sono stato con tre modelle straniere, ma l’idea di doverti fare amico certa gente, oggi comeoggi mi deprime, mi sembra una roba da poverini… e poi non è neppure questa roba cool:a Parigi, magari, dove sai che c’è tizio che suona, l’evento eccetera, ma qui, dove vedi isessantenni papponi che vanno con le ragazzine… 

    Ora arriva l’Expo, ma siamo indietrissimo, e a nessuno gliene fotte un cazzo. 

    J: Solo a quelli della Bovisa gliene importa, ma perché gli fanno la metropolitana.

    P: Milano è una città dominata dai gay che impongono la moda, per cui fa quasi figo esseregay, è trendy.

    J: Ma come in tutta Italia, nelle Tv, in radio, dappertutto.

    P: Quando fa figo che i maschi si mettano l’eyeliner, significa che c’è qualcosa che non va.Ma non è l’eyeliner come se lo davano i Van Halen, che si facevano le tipe. Ora è solomoda, mercato, tendenza… stronzate del genere. 

    J: È che Milano passa per essere una città europea… 

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     P: Milano è provinciale, non europea. Questa città da troppi anni è solo fashion, e di scarsaqualità. Non si creano mode, ma si seguono quelle prodotte dalla Tv dove pare quasi chese sei etero hai meno possibilità di farcela nel mondo dello spettacolo. Fai caso ai ragazzini

    dei talent show: sono già tutti velatamente omosessuali, guardati con libidine dai loromaestri.

    J: …sì, pensano: «Tra un po’ ci provo, me lo f accio».

    P: Questa è la casta che comanda la televisione… 

    J: …che in Italia è tutto. 

    P: Certo, la Tv è tutto. I reality e i talent show sono tutto. Chi fa un talent show poi, graziea un potere mafioso, vince Sanremo. I tronisti di Uomini e Donne sono in televisione a fareil macho ma per essere lì hanno dovuto soddisfare uomini più potenti e più vecchi di loro.Insomma, io non sono omofobo come un Dj giamaicano, sto solamente facendoun’osservazione sul potere e su certi modelli che imperversano. 

    Modelli libidinosi, ma solo a parole. Basta pensare alle feste electro-fashion milanesi, dovele tipe limonano e basta.

    J: È quella tipologia di donne che c’è, soprattutto a Milano, modello Frangetta: «Non mi piace il cazzo, vai via con quel cazzo». Donne che se la tirano, che pensano che scoparesia cheap, poco interessante, e che girare con l’amico gay sia cool, come averci la borsettadi Louis Vuitton e le scarpe rosa. È una situazione denigrante per loro, per gli omosessuali,alla fine.

    P: Una volta i gay abbassavano la concorrenza. Se andavi in un posto con tanti gay e tantetipe, avevi più possibilità di broccolare, ovviamente.

    J: Invece, ora, le tipe nei locali si circondano di gay proprio per evitare il fastidio chequalcuno le broccoli.

    P: Bisogna anche dire che fra electro, hipster, indie rock, vedo un sacco di etero vestiti inmodo scandaloso. Hanno i Levi’s pizzati nel culo, le magliette all’ombelico, tutti efebici.

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    Si sono tutti un po’ infrociti il cervello, come dice Pino Scotto. Ma magari è un ciclo,soltanto un ciclo… 

    J: Si può dire che a Milano, e non solo, i gay per tanti aspetti detengono un potere. Oltre ai

    gay, però, secondo me anche i vecchi in qualche modo comandano.

    P: Certo, ma non perché Milano sia vecchia, ma perché è tutta l’Italia a essere vecchia. Nell’industria discografica, per esempio, sono tutti vecchi. Così anche nella Tv, nella politica, nella radio, e poi ti domandi perché i giovani siano spaesati, disinteressati, o perché i Dogo o i Truceklan abbiano grandissimo successo tra la gente, ma poco in radio ein televisione.

    J: Un tempo i giovani si ribellavano, a differenza di oggi. Quando le radio le facevano i

    vecchi, i giovani si facevano le loro radio. Adesso i giovani sono tutti omologati, tuttiassuefatti.

    P: Ed ecco perché Marco Carta vende 400.000 copie.

    J: La politica, anche la politica è scomparsa dalla vita delle nuove generazioni. Il caso diDax, il ragazzo ucciso negli scontri tra fascisti e centri sociali, è stata una fiammata,un’eccezione. La politica in strada non c’è più. Non gliene frega più niente a nessuno. 

    P: L’italiano medio è incolto, fascista e razzista. Ripeto: incolto, fascista e razzista. El’ignoranza coincide con fascismo e razzismo, sempre. E gli assassini di Dax, queglistronzi, e quelli di Abba, sono fatti della stessa pasta: ignoranti pazzeschi, di destra. Seavessimo a disposizione degli archivi, tipo quelli degli sbirri, e andassimo a vedere chi è iltale che ha ucciso, commesso quel crimine, ti accorgeresti che sono tutti mezzi fascisti.

    J: Anche Balotelli è una vittima di questo clima. Io l’ho conosciuto. Persona tranquilla.Fossi al suo posto sarei avvelenato quanto lui. Se durante ogni concerto ci fosse qualcunoche mi lancia una banana, scenderei a tirargli una cartella. Anche tra i nostri fan ci sonofascisti e berlusconiani. Ma noi non ci parliamo. È capitato di vedere gente nel backstagecon le celtiche sui telefonini e si son presi schiaffi e calci nel culo. Berlusconi incarna tuttoquello che gli italiani vorrebbero essere: furbo, ricco, che la mette in culo a tutti. E gliitaliani sono così. Una cosa che fa godere gli italiani, più che arricchirsi, è arricchirsi sulla pelle degli altri.

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    P: Molti dei suoi elettori sono ancora più fessi, perché sono quelli che pensano che lui sia bravo, sia uno che ci sa fare veramente.

    J: Lo votano perché è un vincente, furbo, onnipotente, perché si scopa le fighe, perché è il

     padrone del Milan e di Canale 5. Non ha vinto le elezioni perché è onesto, ma perché l’hamesso in culo a tutti, e negli italiani questa tendenza è molto, molto sviluppata.

    P: Uno che, nel 2010, tira fuori sempre la storia dei comunisti… 

    J: …e «comunisti» nella strada, tra la gente comune, significa essere delle zecche, deirompicoglioni, qualcuno che ti vuol mettere in galera, un povero, uno vestito male… 

    P: …e la Moratti è la vergogna di Milano. 

    J: Tutto quello che ha fatto la Moratti è andato contro la città. Tutto. È colpa sua anche lasituazione che si è creata con i concerti. Vasco Rossi ha preferito fare sette concerti alForum piuttosto che uno a San Siro.

    P: Anche Madonna non vuol più suonare a Milano. Nessuno vuol più suonare a Milano. Equesto per proteggere una casta di bacucchi che vive a San Siro. Così, Milano è diventatauna città a misura di vecchi, tornando al discorso di prima, proprio perché c’è la Moratti. 

    J: Tutto questo mentre a Milano sono altri che comandano.

    P: In questi anni qualunque cosa è diventata normale, accettabile. Vedi Berlusconi,Marrazzo, lo scandalo della Protezione civile. Per la gente è tutto normale, passa. Allagente non gliene fotte nulla. È come passare dalle droghe leggere a quelle pesanti: la sogliadi tolleranza e assuefazione si abbassa. Così in Italia la soglia di assuefazione al marcio èdiventata bassissima. Niente scandalizza più.

    J: A Milano si sono radicate le associazioni criminali, dal momento che girano i soldi,chiaramente, che poi vengono lavati da altre parti. Milano è il kindergarten e l’ufficio dellamalavita. Ci sono quartieri strutturati in modo da essere la copia esatta del paese di originedi chi ci abita. Po