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LA FRANCIA DI VICHY: STRUTTURE DI GOVERNO E CENTRI DI POTERE Nel 1957, quando vennero diffusi in Francia i documenti che il californiano Hoover Institut aveva raccolto per iniziativa della figlia di Pierre Lavai la reazione dei resistenti, attori e studiosi, fu di giustificata indignazione. Alcuni dei maggiori esponenti di Vichy cercavano infatti, attraverso una lunga serie di testimonianze rese nell’immediato dopoguerra, di accreditare l’azione dell’État français come unica forma effettiva di renitenza alle pressioni dell’oc- cupante tedesco, di freno al saccheggio umano ed economico del paese. Il movimento clandestino, per converso, non avrebbe fatto altro che attizzare la rappresaglia nazista, offrendo ripetuti pretesti al suo scatenarsi. Nel quadro di questa operazione giustificazionista, tesa alla riabilitazione delle figure di Lavai e, in subordine, di Pétain, gli anni 1940-42, quelli della Rivoluzione nazionale, si dissolvevano per lasciar posto esclusivamente al biennio successivo, quasi che il regime nato dalla disfatta non avesse conosciuto un proprio momento « costruttivo », non avesse tratto partito dalla stessa presenza tedesca per creare un nuovo ordine politico e sociale, per condurre, in definitiva, una azione di governo che se da un lato vedeva la propria autonomia forte- mente limitata dall’occupazione, dall’altro trasformava questa stessa circostanza nel più potente strumento di lotta contro le strutture e l’assetto politico della Terza Repubblica. La vicenda di Vichy veniva così trasformandosi in una serie di atti individuali, esclusivamente collegati da un generico impulso di patriottismo e di volontà di sopravvivenza. Studiosi e resistenti offrirono allora, a caldo, una messa a punto che individuava alcune delle principali mistificazioni contenute nella pubblicazione dell’Hoover Institut e rimandava risposte più approfondite a successive ricerche 1 2. Bisogna dire subito che, sotto questo pro- filo, l’ultimo decennio è stato complessivamente deludente. Ove si escluda Vichy année 40 di Henri Michel e qualche contributo settoriale3, la storia dell’État français è rimasta ancorata alle secche della memorialistica e delle dispute retrospettive; troppo poco, in ogni caso, per far progredire l’intelligenza del problema. La recente pubblicazione di parte degli atti del convegno su « Le gouverne ment de Vichy et la Revolution nationale » 4, organizzato nel marzo 197G 1 Hoover Institut, La vie de la France sons l’occupation 1940-44, Parigi, 1957, 3 voli. 2 AA. VV., La France sous l’occupation, Parigi, 1960. 3 Cfr. le indicazioni bibliografiche contenute in M. L egnani , La Francia di Vichy dalla « Rivoluzione nazionale » alla « collaborazione », in II movimento di liberazione in Italia, luglio-settembre 1967, pp. 57-69. '4 Le gouvernement de Vichy 1940-1942. Institutions et politiques, Parigi, 1972.

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LA FRANCIA DI VICHY:STRUTTURE DI GOVERNO E CENTRI DI POTERE

Nel 1957, quando vennero diffusi in Francia i documenti che il californiano Hoover Institu t aveva raccolto per iniziativa della figlia di Pierre Lavai la reazione dei resistenti, attori e studiosi, fu di giustificata indignazione. Alcuni dei maggiori esponenti di Vichy cercavano infatti, attraverso una lunga serie di testimonianze rese nell’immediato dopoguerra, di accreditare l’azione dell’É tat français come unica forma effettiva di renitenza alle pressioni dell’oc­cupante tedesco, di freno al saccheggio umano ed economico del paese. Il movimento clandestino, per converso, non avrebbe fatto altro che attizzare la rappresaglia nazista, offrendo ripetuti pretesti al suo scatenarsi. Nel quadro di questa operazione giustificazionista, tesa alla riabilitazione delle figure di Lavai e, in subordine, di Pétain, gli anni 1940-42, quelli della Rivoluzione nazionale, si dissolvevano per lasciar posto esclusivamente al biennio successivo, quasi che il regime nato dalla disfatta non avesse conosciuto un proprio momento « costruttivo », non avesse tratto partito dalla stessa presenza tedesca per creare un nuovo ordine politico e sociale, per condurre, in definitiva, una azione di governo che se da un lato vedeva la propria autonomia forte­mente limitata dall’occupazione, dall’altro trasformava questa stessa circostanza nel più potente strumento di lotta contro le strutture e l ’assetto politico della Terza Repubblica. La vicenda di Vichy veniva così trasformandosi in una serie di atti individuali, esclusivamente collegati da un generico impulso di patriottismo e di volontà di sopravvivenza. Studiosi e resistenti offrirono allora, a caldo, una messa a punto che individuava alcune delle principali mistificazioni contenute nella pubblicazione dell’Hoover Institu t e rimandava risposte più approfondite a successive ricerche 1 2. Bisogna dire subito che, sotto questo pro­filo, l ’ultimo decennio è stato complessivamente deludente. Ove si escluda Vichy année 40 di Henri Michel e qualche contributo settoriale3, la storia dell’É tat français è rimasta ancorata alle secche della memorialistica e delle dispute retrospettive; troppo poco, in ogni caso, per far progredire l’intelligenza del problema.

La recente pubblicazione di parte degli atti del convegno su « Le gouverne ment de Vichy et la Revolution nationale » 4, organizzato nel marzo 197G

1 Hoover Institut, La vie de la France sons l’occupation 1940-44, Parigi, 1957, 3 voli.2 AA. VV., La France sous l’occupation, Parigi, 1960.3 Cfr. le indicazioni bibliografiche contenute in M. L e g n a n i , La Francia di Vichy dalla « Rivoluzione nazionale » alla « collaborazione », in II movimento di liberazione in Italia, luglio-settembre 1967, pp. 57-69.

'4 Le gouvernement de Vichy 1940-1942. Institutions et politiques, Parigi, 1972.

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dalla Fondation nationale de sciences politiques, e di una ricostruzione comples­siva dell’americano Robert O. P ax tons, offrono pertanto l’occasione, pur entro i lim iti di m i diremo, di riaprire il discorso nei suoi termini generali. I lavori del convegno si sono mossi sulla base di una triplice restrizione (temporale, geografica e tematica) che, se trova giustificazione nel proposito di analizzare il regime di Vichy sotto angolature parzialmente nuove, solleva non­dimeno gravi problemi di impostazione storiografica. Osserva René Remond nella presentazione che i lim iti prescelti hanno soprattutto lo scopo di favorire una prima risposta all’interrogativo principale che Vichy pone, vale a dire la sua stessa collocazione nel contesto della Francia contemporanea, la verifica delle correlazioni e delle fratture tra l’esperimento pétainista e il quadro della lotta politica e sociale quale si era venuto configurando tra le due guerre e soprattutto negli anni cruciali del Fronte popolare. Per aderire a questa esigenza sono stati presi in considerazione solo gli atti di politica interna, e si è studiata la loro applicazione nella zona non occupata sino alla primavera del 1942, quando col ritorno di Lavai alla testa del governo non sarebbe più possibile guardare a Vichy come ad una entità in qualche misura autonoma,, ma solo come ad un regime integralmente asservito ai tedeschi. È evidente, in simile proposizione del tema, l ’intento di reagire alle interpretazioni che riducono Vichy a precario interlocutore dell’occupante e relegano quindi la Rivoluzione nazionale tra le velleità o le mascherature ideologiche.

Non sembra, tuttavia, che questa contrapposizione ponga in una prospet­tiva corretta il problema dei rapporti tra collaborazione e Rivoluzione nazionale, tra politica estera e politica interna, a meno che il termine di collaborazione venga impiegato non per designare il complesso delle relazioni franco-tedesche dopo l ’armistizio, ma inteso nell’accezione assai più ristretta di collaborazio­nismo, e quindi limitato all’iniziativa dei raggruppamenti filo-nazisti operanti a Parigi e nella zona occupata. La ricostruzione effettuata da Paxton dimostra infatti, con grande ricchezza di riferimenti alle fonti dirette dell’una e dell’altra parte, come l ’obiettivo costantemente perseguito da Vichy dall’autunno del ’40 sin’oltre l’invasione della zona libera sia stato quello di concludere un negoziato globale sulla presenza francese nella nuova Europa nazista5 6. Certo, l ’allonta­namento di Lavai nel dicembre 1940, il breve intervallo Flandin, il lungo esperimento di Darlan, e infine, il ritorno di Lavai, sono tu tti episodi che incidono direttamente sul perseguimento di questo disegno, ma non ne mutano la direzione di fondo, che lo stesso Pétain del resto condivide e che si ado­pera, anche in prima persona, a far progredire. Il superamento della situazione armistiziale, il tentativo di garantire l ’integrità del proprio spazio marittimo e coloniale quale contropartita dell’accettazione dell’egemonia tedesca sul con­tinente, l ’integrazione del sistema economico e produttivo francese in quello del grande Reich restano al centro della politica dell’É tat français in tu tte le sue successive fasi e la mancata realizzazione di questo programma — anche qui le conclusioni di Paxton appaiono estremamente persuasive — non è

5 R. O. P a x t o n , La France de Vichy 1940-1944, Parigi, 1973.6 Vedi anche H. M i c h e l , La Révolution nationale latitude d’action du gouverne­ment de Vichy, in Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale, gennaio 1971,. PP- 3-22 e, dello stesso, Rétain, Laval, Darlan. Trois politiques?, Parigi, 1972.

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Imputabile all’atteggiamento di Vichy quanto al disinteresse dimostrato dalla Germ ania per una simile regolamentazione.

Non meno gravi sono le riserve che l’impostazione del convegno solleva in merito alle lacune, ai temi non affrontati, che vanno dalla politica economica all’apparato repressivo messo in atto dal nuovo regime. Esaminare le riforme introdotte, o semplicemente postulate, dalla Rivoluzione nazionale senza ricol­legarle alla concreta attitudine delle classi dominanti e agli strumenti di coerci­zione che ne accompagnano la attuazione, porta inevitabilmente a delineare un quadro mutilato di una componente essenziale, a fermare l’indagine al livello strettam ente istituzionale. Sotto questo profilo, anche l’intervento nella discus­sione di alcuni esponenti di Vichy aggiunge ben poco sia all’informazione che alla impostazione dei problemi, né, in linea generale, permette di acquisire elementi sostanzialmente nuovi rispetto a quelli contenuti nella citata pubblica­zione dell’Hoover Institut.

L’attenzione, in definitiva, si concentra esclusivamente sulla natura e il funzionamento degli organi di governo, e sulle principali direttive che da •essi emanano. Solo entro questo ambito viene affrontato il problema di defi­nire i caratteri e la composizione della classe dirigente che si impadronisce del comando all’indomani dell’armistizio, dei suoi rapporti coi gruppi politici tradizionali, dell’adozione di nuove forme di esercizio del potere. Tutti i rela­tori concordano sostanzialmente nel rilevare la natura composita del nuovo regime, gli scarti tra gli orientamenti centrali e l ’effettiva configurazione delle soluzioni adottate a livello settoriale e periferico. Due fattori sembrano con­vergere e confondersi: l’estrema frammentazione della dirigenza dell’É tatfrançais (la « dittatura pluralista » di cui già aveva parlato Stanley Hoffm ann) 1. e, conseguentemente, l ’impossibilità di contrapporre frontalmente Vichy alla Terza Repubblica. O, meglio, la contrapposizione che si manifesta a livello isti­tuzionale non troverebbe poi un sistematico riscontro nei contenuti delle poli­tiche adottate o negli uomini preposti alla loro realizzazione. Se la spaccatura tra destra e sinistra, divenuta incolmabile attraverso l’esperienza del Fronte popolare, riceve conferma — ma non senza qualche significativa eccezione — ai vertici, essa viene parzialmente elusa nell’ambito degli organi intermedi e alla periferia. Va da sé che questi caratteri estremamente compositi sono anche frutto dei rimescolamenti provocati dal drôle de guerre, dal crollo mili­tare, dalle credenziali politiche e morali che Vichy esibisce inizialmente per suffragare la propria legittimazione. Occorre quindi essere assai cauti nel ritrarre l ’avvento di Pétain come integrale ribaltamento del precedente regime, come il riemergere trionfale della vecchia Francia contro-rivoluzionaria. Su Vichy convergono esigenze ed ambizioni assai diverse, rispetto alle quali la sconfitta agisce da catalizzatore, ora portandole a fusione, ora, più di frequente, costringendole a convivere in condizione di precario equilibrio. Una limitata, ma significativa conferma ci viene dallo studio di Yves Durand sul dipartimento del L o ire t7 8. Mentre il prefetto insediato da Vichy assegna gli incarichi valoriz­

7 S. H o f f m a n n , Aspects du regime de Vichy, i n Revue française de sciences politi­ques, marzo 1956, pp. 44-70.8 Y. D u r a n d , La politique de Vichy mise en oeuvre au niveau d’un département. Le Loiret: 1940-42, in Le gouvernement, cit., pp. 37-45.

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zando soprattutto i tecnici e i dirigenti industriali (nonostante l’Orleanese sia territorio essenzialmente agricolo) e tende a presentarsi come campione di una amministrazione « efficientistica », l’avvicendamento dei quadri a livello comunale registra — in linea generale — il trasferimento del potere da per­sonalità radicali ad esponenti dei gruppi di centro-destra. Il ricambio pertanto' si attua, ma non provoca bruschi rivolgimenti9. Il confronto tra l’estrazione politica dei membri del Consiglio generale del dipartimento alla vigilia della guerra, del Consiglio dipartimentale del 1943 e del Consiglio generale del 1945 consente di concludere che le oscillazioni si collocano entro un’area che in parte assimila ed assorbe gli schieramenti politici della Terza Repubblica: si va dai radico-socialisti ai radicali, ai democratico-popolari con sostituzioni che raffor­zano le posizioni di destra senza tuttavia cancellare la situazione preesistente. Del resto, sul piano nazionale, il sostegno oflerto a Vichy, sino al 1942, da grandi notabili della tradizione radicale come Herriot e Jeanneney10, va evidentemente ben oltre il caso personale. La Rivoluzione nazionale si affida dunque anche a gruppi che hanno legato le proprie fortune al regime prece­dente; in questo senso restano significative le indagini di M. Baudot sul dipar­timento normanno dell’Eure11 12. Il problema non si pone, come è ovvio, per quei dipartimenti nei quali la situazione prebellica era già nettamente orientata a destra. È il caso della Haute-Loire, dove la prepotente influenza esercitata dalla gerarchia ecclesiastica, l’impermeabilità alle esperienze del Fronte popo­lare, il municipalismo accentuato dall’isolamento geografico costituiscono altret­tanti elementi di spinta verso Vichy. Ed in effetti l’adesione si rivela larghissima — almeno sino al tornante del novembre 1942 —, ma essa sembra rivolgersi più ai simboli del nuovo regime (primo fra tutti il culto del Maresciallo) che non alle sue specifiche scelte politiche. Ci si immerge qui in un mondo fuori del tempo, nel quale l’eco dei grandi avvenimenti è come ottusa e schiacciata da un radicatissimo spirito di particolarismo locale u . In questo senso acquista un certo significato, pur sottolineandone lo scontato carattere giustificatorio, la testimonianza resa al convegno da Georges Potut, un parlamentare divenuto prefetto del dipartimento della Loire: « Si viveva allora sullo slancio della Terza Repubblica, con gli stessi quadri di funzionari, secondo la stessa prassi amministrativa, e la presenza del Maresciallo Pétain al vertice dello Stato, al­meno nel primo periodo, non appariva come qualcosa di molto diverso da quella dei capi di governo che avevano esercitato i pieni poteri come nel caso di Poincaré, di Doumergue ecc. Per conseguenza l’idea di una rottura, di un mutamento non era allora affatto diffusa in seno alla popolazione » 13.

L’affermazione di una larga persistenza dei raggruppamenti borghesi di cen­

9 Su 349 comuni del dipartimento, solo 30 sindaci vengono revocati e sostituiti a tutto l’aprile del 1942. Cfr. Y. D u r a n d , art. cit.10 Cfr. J. J e a n n e n e y , Journal politique. Septembre 1939 - juillet 1942, Parigi, 1972. La pubblicazione di questo diario, utile per la miglior conoscenza di alcuni aspetti particolari, non reca tuttavia sostanziali novità.11 M. B a u d o t , L’opinion politique sous l’occupation, Parigi, 1960.12 G. G o m b e s , L’esprit public en Haute-Loire de 1940 à 1942, in Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale, gennaio 1972, pp. 51-71.13 Le gouvernement, cit., p. 104.

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tro-sinistra nell’apparato periferico dell’État français (non si dimentichi, del resto, che nel 1936 il Sud e il Sud-Ovest avevano offerto largo sostegno alla coalizione del Fronte popolare) appare peraltro smentita, o posta fortemente in dubbio, dalla relazione di J. Steel, W. Kidd e D. Weiss sulle Commissioni amministrative dipartimentali create nell’ottobre 1940 14. I nuovi organi, chiamati a sostituire i precedenti consigli elettivi, rientrano in un disegno accentratore che affida ai prefetti pieni poteri e lascia alle commissioni funzioni puramente consultive. Solo una minima parte — circa il 10% — dei membri dei vecchi consigli ricompare nei nuovi organismi. Del resto proprio il 15 ottobre il ministro degli Interni Peyrouton, in una circolare ai prefetti, affermava fra l’altro: « Di fronte agli eletti di ieri non ho bisogno di chiedervi di osservare la più stretta cortesia. Nulla di più. Le vostre direttive vengono solo dal governo; ad esso solo dovete rendere conto. Con la certezza che, sotto la guida del Maresciallo, voi dovete combattere tutte le forze che, manifeste o clandestine, nel nome di ambizioni deluse, di interessi colpiti, di ideologie fatali, tenteranno di far rinascere la vecchia anarchia profittatrice » 15. L’epurazione, nelle direttive e nei fatti, appare pertanto drastica16. E tuttavia anche questa constatazione riesce notevolmente ridimensionata da una duplice circostanza. In primo luogo, dal fatto che le nuove commissioni restano larga­mente inoperanti; secondariamente dalla strana sorte cui vanno incontro i pre­cedenti consigli, sciolti e soppressi, ma in qualche modo sopravviventi a se stessi se è vero che i loro componenti sono fatti oggetto di diverse e successive disposizioni legislative emanate tra il novembre 1940 e il giugno 1941. Ci si trova quindi di fronte ad una nuova struttura che non riesce a decollare e che in una certa misura coabita con gli organismi che è chiamata a sostituire.

Coi provvedimenti sulla riorganizzazione delle amministrazioni locali —- ispirati, s’è detto, a un criterio centralistico e gerarchico che ritroveremo nei diversi settori dell’organizzazione politica e sindacale — si entra nel cuore del sistema istituzionale di Vichy. La soppressione di fatto del Parlamento e la riunione dei pieni poteri nelle mani del nuovo capo dello stato costituiscono un totale capovolgimento dell’assetto precedente. Ma quale configurazione as­sume il nuovo regime? Che cosa sostituisce a ciò che rifiuta? Gli atti costitu­zionali che Pétain emana tra il luglio 1940 e l’estate 1941 mirano esclusivamente a provocare la decadenza della costituzione del 1875 e a legittimare la propria illimitata facoltà di interavento. È vero che la messa fuori gioco del Parlamento è accompagnata dall’impegno formale a promulgare una nuova costituzione e a sottoporla alla ratifica del paese, ma nessun passo sostanziale verrà mai com­piuto in quest’ultima direzione; anzi, come meglio vedremo a proposito delle vicende del Conseil national, qualsiasi compromesso con criteri di natura rap presentativa verrà rigorosamente contrastato dalla politica pétainista. Né serve invocare ancora una volta lo stato di necessità scaturito dall’armistizio e dalla presenza tedesca; a ben guardare il culto del Maresciallo, oltre che a fornire

14 J. S t e e l , W. K id d e D. W e i s s , Les commissiones administratives départemen­tales, in Le gouvernement, cit., pp. 55-64.15 Testo riportato in appendice a M. B a u d o t , op. cit., pp. 218-220.16 Secondo H. M i c h e l , Pétain, Lavai, Darlan, cit., p. 93, i funzionari statali revocati alla fine del 1940 sono 2.282.

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un farraginoso e martellante bagaglio propagandistico (al limite del grottesco: si veda la vicenda della Francisque Gallique) 17, serve in definitiva a nascon­dere il vuoto costituzionale di Vichy; rinvia, dietro il paravento del capo cari­smatico, alle lacerazioni e ai contrasti tra gruppi e interessi diversi, al contesto entro il quale si sviluppa il tentativo di formare una nuova classe dirigente. Le contraddizioni giuridiche diventano così spia della mancata omogeneizzazione politica. Pétain, osserva Marcel Prélot, « sostituisce alla delega dell’Assemblea nazionale, che lo aveva reso titolare di un potere costituzionale derivato, la pro­pria personale autorità, in virtù della quale agisce come detentore di un pote­re costituente originario » 18. È tuttavia un potere, per così dire, statico, tanto che — e i lavori del Convegno avrebbero dovuto mettere maggiormente in rilievo questo tratto essenziale — la celebrazione dello stato forte, del regime che finalmente realizza la concordia e l ’unità nazionale sulle ceneri della Terza Repubblica, rimanda alla realtà, addirittura capovolta, di una struttura che cerca affannosamente la propria identità e le proprie articolazioni.

L ’esperimento del Conseil national ribadisce con esemplare evidenza questo stato di cose. I l nuovo organismo nasce nel gennaio del 1941, ed è significativo che a volerne la costituzione sia soprattutto Pierre Etienne Flandin, uno dei più navigati parlamentari della esecrata Terza Repubblica e acceso fautore della politica di Monaco. L’obiettivo dell’iniziativa è esplicito: ristabilire un contatto diretto con i grandi notabili, spezzare l ’isolamento cui soggiace l’azione del governo. Gli ambienti moderati si compiacciono dell’iniziativa e non a caso il Temps vi dedica calorosi com m enti19. L’avvio sembra confortare queste previsioni e queste speranze. Sui 188 membri nominati il 22 gennaio 1941, troviamo ben 68 parlamentari in carica e 10 ex deputati e senatori. P ur pre­valendo le personalità di destra e di centro-destra, non mancano i radicali e i socialisti. La caratteristica dominante, nota Rossi-Landi20, è in ogni caso quella della fedeltà personale al Maresciallo. A noi non sembra una spiegazione con­vincente. Dato per scontato che l ’atteggiamento assunto nei confronti di Pétain costituisce la discriminante principale, restano nondimeno aperte, entro questo ambito, diverse alternative. Prova ne sia che l ’attuazione del Conseil attraversa due fasi ben distinte, e che l ’intonazione « parlamentaristica » dell’esordio conosce subito dopo una secca smentita. Nonostante le sue funzioni siano puramente consultive, le prerogative del Conseil verranno infatti ulteriormente ridimensionate — col decreto del 22 marzo 1941 — sia sotto il profilo delle materie sottoposte al suo esame (un atto rilevante come la Carta del lavoro verrà presa in considerazione solo dopo la sua emanazione!), sia sotto quello del funzionamento (al Conseil verrà interdetto di riunirsi in seduta plenaria

17 G. G a s p a r d e G. G r u n b e r g , Les titulaires de la Francisque Gallique, in Le gouvernement, cit., pp. 71-85.18 M. P r é l o t , La revision et les actes costitutionneles, i n Le gouvernement, cit., pp. 23-36.19 Cfr. G. S l a m a , Un quotidien républicain sous Vichy: le Temps (juin 1940 - no­vembre 1942), in Revue française de sciences politiques, agosto 1972 pp. 714-749. Sia questo articolo che quello citato alla nota 23 rientrano nei contributi del convegno della Fondation nationale de sciences politiques.20 G. Rossi-Landi, Le Conseil national, in Le gouvernement, cit., pp. 47-54.

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e potrà operare solo attraverso le Commissioni). Per questi motivi ci sembra in parte ingiustificata l’attenzione che Paxton dedica a questo organo come ela­boratore della nuova costituzione, mentre appare assai più significativa la restituzione di funzioni legislative al Consiglio di Stato, che bene esprime la prevalenza della struttura amministrativa appoggiata sulla grande borghesia a danno della classe politica 21.

Dai riferimenti svolti — ed altri se ne potrebbero trarre dalle vicende della Carta del lavoro, della Corporazione agricola e della Legione — emergono pertanto con sufficiente evidenza i caratteri centrali deH’ordinamento dell’É tat français. La spinta accentratrice e autoritaria da cui nasce non riesce ad arti­colarsi in un sistema di potere che crei saldi collegamenti tra l ’iniziativa di governo e le realtà locali. Alla situazione di Vichy, resa costantemente fluida dai contrasti tra i gruppi in lotta (e l’instabilità delle formazioni ministeriali lo dimostra: nel corso del primo anno, per limitarsi ad un solo esempio, gli Esteri mutano titolare quattro volte, gli Interni cinque, la produzione industria­le sei), corrisponde alla periferia un assetto non meno instabile, anche se in questo caso la precarietà deriva dalla ricerca di faticosi equilibri tra i quadri dirigenti portati alla ribalta dalla disfatta militare e il vecchio centro radicale su cui faceva perno tanta parte della vita politica della Terza Repubblica. T utto ciò non autorizza certo a concludere che Vichy costituisca solo una avventurosa parentesi; deve piuttosto indurci a ricercare le ragioni dei vuoti e delle contraddizioni istituzionali a livello delle scelte politiche del nuovo regime e dei suoi rapporti con le forze economico-sociali.

Nella misura in cui il rivolgimento provocato dall’armistizio valorizza i più tradizionali bastoni controrivoluzionari, l ’esercito e la Chiesa cattolica diventano un punto di riferimento obbligato. I l primo — com’è ben noto per quel che riguarda il ruolo svolto dai suoi maggiori esponenti — svolge una funzione preminente nella dissoluzione della Terza Repubblica; la seconda si aggrega calorosamente all’É tat français celebrando nell’appello pétainista al raccoglimento e all’espiazione la conferma delle proprie diagnosi sulla degenerazione morale, politica e sociale degli anni ’30. Purtroppo né l ’eser­cito, né la Chiesa cattolica sono stati fatti oggetto di specifici rapporti, né tra i testimoni compaiono militari o ecclesiastici. Così, per limitarci ad un solo esempio, rimane totalmente in ombra la vicenda dell’ ’’armée de l’armisti- ce” 22 23. Alla gerarchia ecclesiastica e al mondo cattolico ci si riferisce invece con una certa frequenza, e non poteva essere altrimenti, sia a proposito del culto del Maresciallo che alla legislazione sulla famiglia o alle iniziative verso la gioventù. Qualche utile benché limitata indicazione viene anche dall’analisi delle Semaines religieuses edite dalle diocesi della zona liberaa , e dalle quali sembra trasparire una discriminazione abbastanza netta tra pétainismo e Rivo-

21 R. O. P a x t o n , op. cit., p. 189, Cfr. anche G. S l a m a , art. cit.22 Su cui cfr. R. O. P a x t o n , Parades and Politics at Vichy, Princeton 1966. Qualche cenno anche in J. N o b e c o u r t , Une histoire politique de l’armée, I - 1919, 1942, Parigi, 1967.23 Cfr. C. L a n g l o is , Le régime de Vichy et le clergé d’après les « Semaines reli­gieuses » des diocèses de la zone libre, in Revue française de sciences politiques, agosto 1942, pp. 750-774.

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fazione nazionale. La gerarchia, in altri termini, mentre accoglie senza riserve la condanna che il Maresciallo pronuncia del passato (e spinge talvolta il pro­prio rifiuto alle radici stesse del sistema rappresentativo, al suffragio universale: anche il progetto di costituzione elaborato dal Conseil national si muove nella stessa direzione), si mostra assai più esitante sul ruolo dell’É tat français nel­l’Europa dominata dai nazisti. I rischi e le incognite della collaborazione, ad esempio, sarebbero stati avvertiti con particolare intensità a causa dei tradi­zionali fermenti nazionalistici diffusi in larghe zone del clero.

Dove invece gli atti del convegno riescono ad offrire spunti nuovi alla ricerca è nel settore delle organizzazioni combattentistiche e dei provvedimenti verso la famiglia e la gioventù. Sono anche i campi, più segnatamente il primo, nei quali Vichy tenta di crearsi una base popolare di consenso. La Legione dei combattenti è certamente il gruppo di pressione al quale il nuovo regime dedica le maggiori cure. Le diverse associazioni che avevano operato tra le due guerre giungono all’estate nel 1940 nelle condizioni più propizie per recepire le parole d ’ordine del pétainism o24. L’imputazione alla Terza Repubblica di aver condotto una guerra suicida e dunque contraria agli inte­ressi nazionali, spinge la grande maggioranza dei quadri dirigenti a far proprio il patriottismo vichysta. D ’altra parte la costituzione, il 29 agosto, della Légion française de combattants rappresenta anche la risposta degli ambienti più tradi­zionalisti alla tesi del partito unico propugnata da Marcel Déat e non con­trastata dallo stesso Laval. Pétain, l’esercito, l’Action française combattono uniti una tesi che, ai loro occhi, presenta il duplice rischio di concedere troppo ai gruppi apertamente filonazisti e, contemporaneamente, al parlamentarismo della Terza Repubblica. L’assetto iniziale della Legione trae dunque ragione dallo sforzo di equidistanza da queste due alternative estreme. L’orientamento è confermato dai criteri di scelta dei nuovi dirigenti, quasi sempre provenienti (come già s’è visto per le Commissioni amministrative dipartimentali) dal moderatismo liberale e dalla destra estrema, ma con una netta preferenza per personalità rimaste ai margini della vita politica nel decennio precedente. Fra i quaranta presidenti dipartimentali (la Legione è vietata nella zona occupata), prevalgono, accanto agli ufficiali, i liberi professionisti e i funzio­nari pubblici dei gradi medi ed elevati: uno specchio fedele, insomma, del notabilato di provincia che Vichy cerca di organizzare25. La Legione giunge rapidamente a raccogliere oltre un milione e mezzo di aderenti; essa non gestisce direttamente nessuno strumento di potere, ma ha il compito esplicito di affiancare le autorità pubbliche (vale notare che il potenziale conflitto tra Legione e prefetti viene immediatamente risolto a favore di questi ultimi: prova ulteriore della prevalenza del potere amministrativo su quello politico)- Questa funzione di culto dei valori nazionali comincia ad incrinarsi, all’inizio del 1941, quando la Legione viene mobilitata e rimodellata quale base di massa della Rivoluzione nazionale. La relativa unanimità dei primi mesi si frantuma in una serie di situazioni locali che vedono prevalere ora sentimenti

24 A. P r o s t , Les anciens combattants. Aux origines de la Légion-, les mouvements d’anciens combattants, in Le gouvernement, cit., pp. 115-121.25 J. P. C o i n t e t , Les anciens combattants. La Légion française de combattants, in Le gouvernement, cit., pp. 123-143.

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di rinuncia e di assenteismo, ora l’aperta persecuzione nei confronti degli avversari politici. È il primo passo della parabola che porterà, un anno più tardi, alla creazione del Servizio d ’ordine legionario, e nel 1943, alla nascita della M ilizia26. Ma ciò che qui va richiamato non sono questi sviluppi ter­minali, quanto il fatto che più Vichy si impegna sulla strada delle scelte politiche imposte dalla Rivoluzione nazionale, più si accentuano i caratteri repressivi della stessa struttura statale. È anche a questo livello che si rea­lizza una obiettiva convergenza tra la politica dell’occupante e quella dell’É tat français: campione illuminante quello dell’antisemitismo27.

Se la Legione vuole rappresentare il cardine della nuova morale patriot­tica, la rivalutazione della famiglia è posta a base della rigenerazione del co­stume nazionale. Anche qui ci si imbatte nella ripresa di tendenze manifestatesi verso la fine degli anni ’30 e sfociate nel Codice familiare fatto approvare da Daladier nel luglio 1939. Ma mentre allora s’era trattato di ridare incen­tivo alla natalità, ora l’attenzione è rivolta al ruolo sociale complessivo del nucleo familiare. La lotta contro le concezioni individualistiche resta uno dei cavalli di battaglia degli ambienti più tradizionalisti di Vichy. Per impulso del Commissariato generale alla famiglia si varano provvidenze economiche, di tutela dei figli, restrizioni nella legislazione sul divorzio, inasprimenti delle pene per il coniuge che abbandona la famiglia ecc. Si elabora inoltre una legge sulle associazioni familiari — fondata sulla costituzione di un organismo unico — e si affiancano rappresentanti delle famiglie ai pubblici poteri, secon­do gli orientamenti già emersi nella ristrutturazione della Legione. Non pochi elementi di questa legislazione verranno m antenuti o ripresi — conclude Aline C ou tro t28 — dai governi della Quarta Repubblica, sia pure in un contesto poli­tico-ideologico profondamente diverso. Osservazione, quest’ultima, tanto ovvia quanto ambigua. Quel che importa semmai approfondire sono le matrici delle scelte dell’É tat français, la riproposizione della famiglia come nucleo originario della struttura sociale (ed è superfluo richiamare qui l’interesse diretto del clero cattolico a questa inversione di rotta), che ben si accompagna alla visione organicista e « contadina » del pétainismo. Il discorso si arricchisce attraverso l ’analisi della politica della gioventù, anche perchè in questo settore Vichy non si trova alle prese con la fragile struttura statale, ma con organiz­zazioni di lontana tradizione, spesso monopolio dell’influenza ecclesiastica. Per­ciò la tesi della associazione unica uscirà alla fine sconfitta; Pétain dovrà riconoscere il pluralismo e ripiegare sul generico richiamo alla base comune della nuova morale nazionale. L’opposizione della Chiesa cattolica (« sì alla gioventù unita al servizio del paese, no alla gioventù unica ») si rivela un ostacolo insuperabile e sottolinea ancora una volta il « pluralismo » del nuovo

26 Un’utile ricostruzione d’insieme è quella di J . D e l p e r r i e d e B a y a c , Histoire de la Milice 1918-1945, Parigi 1969.27 R. O. P a x t o n , La France de Vichy, cit., pp. 167 sgg. illustra le radici naziona­listiche e cattoliche della legislazione antiebraica di Vichy nel 1940-41. Le pressioni tedesche su questo problema (come su quello — essenziale — dell’ordine pubblico) si faranno sentire solo a partire dal 1942. Lo studioso americano è peraltro assai puntuale nell’illustrare le responsabilità di Vichy di fronte alla « soluzione finale » (pp. 180-181)28 A. C o u t r o t , La politique familiale, i n Le gouvernement, cit., pp. 245-263.

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regim e29. La ricerca di un faticoso compromesso tra Vichy e la gerarchia ecclesiastica è evidente anche sul terreno della politica scolastica, che non trova posto negli A tti editi del Convegno, ma alla quale Paxton dedica alcune pagine di felice sin tesi30. Sia per quanto riguarda la reintroduzione dell’inse­gnamento religioso, sia per il finanziamento statale alle scuole libere ci si ferma a mezza via, intaccando, ma non distruggendo, uno dei caposaldi del radicalismo della Terza Repubblica. Dove invece l ’assetto precedente viene ribaltato è nel campo della formazione del corpo insegnante. N ell’autunno del 1941, vengono soppresse le écoles normales da cui escono gli instituteurs della scuola primaria e la formazione di questi ultim i resta affidata ai licei, a loro volta ristrutturati secondo la più rigida aderenza alla tradizione classi- cistica: l ’alta borghesia riacquista in tal modo il pieno dominio sull’intero sistema scolastico.

Nonostante l’importanza attribuita alla Légion e agli altri gruppi di pres­sione di cui l’É tat français si serve per garantirsi una larga base di consenso, il vero banco di prova del nuovo regime è costituito dalla stabilizzazione dei rapporti di classe. È a questo livello, più che nelle politiche settoriali sinora esaminate, che si riflettono le tendenze di fondo di Vichy, e i reali rapporti di potere tra i gruppi tradizionalisti (vedremo il significato e la portata del « ritorno alla terra » proclamato da Pétain) e i quadri dirigenti della grande industria. Lo sbandamento provocato dalla disfatta del 1940 era penetrato ben dentro il movimento sindacale. La linea « disfattista » si afferma netta­mente, all’interno della CGT, col Consiglio nazionale svoltosi a Tolosa il 20 luglio 1940. Il rifluire sulla organizzazione professionale, la proclamata subordi­nazione dell’iniziativa operaia « all’interesse generale delle professioni e del paese », la rinuncia all’arma dello sciopero31 costituiscono altrettanti avalli preventivi agli esperimenti corporativi che Vichy si accinge a varare. Non irrilevante è anche l’appoggio che al nuovo regime verrà dalla cattolica CFTC, che, sotto l ’impulso di larghi strati della gerarchia ecclesiastica, rivendica la propria matrice corporativista32. Dopo il contemporaneo scioglimento dei sin­dacati padronali e operai, dopo la creazione dei Comités d ’organisation (atto determinante, come vedremo) prende avvio la tormentata elaborazione della Carta del lavoro. Le fasi di questa elaborazione occupano un intero anno — il testo definitivo della Carta apparirà sul Journal Officiel del 26 ottobre 1941 — e sono caratterizzate dal progressivo abbandono e snaturamento delle stesse posizioni corporative. Così il progetto stilato nel settembre 1940 (opera in gran parte di René Belin, ex segretario aggiunto della CGT dal 1933 al ’40 ed ora ministro del Lavoro a Vichy) e che prevede, fra l’altro, la presenza di rappresentanti operai nei Comités d ’organisation, abortisce per

29 A. C o u t r o t , Quelques aspects de la politique de la jeunesse, i n Le gouvernement, cit., pp. 265-284.30 R. O. P a x t o n , op. cit., pp. 151-158.31 II testo del documento votato è in G. L e f r a n c , Le mouvement syndical sous la troisième Republique, Parigi, 1967, pp. 419-421. Lefranc fu poi capo-gabinetto di Belin a Vichy.32 Cfr. G. A d a m , La C.F.T.C. 1940-1958. Histoire politique et idéologique, Parigi 1964.

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l ’opposizione degli ambienti più conservatori; e anche quello del dicembre, imperniato sulla istituzione di comitati misti tra operai e imprenditori, adot­tato in un primo momento, cade subito dopo per intervento diretto del Mare­sciallo. Nel febbraio 1941 si giunge infine alla redazione di un terzo progetto che cerca di mediare e conciliare i precedenti. Al sindacato di classe si sostituisce l ’organizzazione professionale; lo sciopero e le altre forme di lotta vengono banditi; i conflitti dovranno essere risolti a livello dei Comitati sociali, organi misti di padroni e operai33. Al di là di ogni valutazione sulle fonti della Carta e sul fatto che in essa si riscontrino i riflessi di molteplici istanze ideologiche (dalla « dottrina » pétainista alle soluzioni corporative lar­gamente dibattute in Francia nei secondi anni ’30, dal paternalismo delle associazioni professionali alle suggestioni della politica sociale dei regimi fascista e nazista), il dato di fondo è rappresentato dalla sanzione, che il documento contiene, dell’illimitato potere del padronato sia in fabbrica sia nella determinazione della politica economica. La costituzione, sin dall’ago­sto 1940, dei già ricordati Comités d ’organisation, previsti inizialmente come strumenti di emergenza per fronteggiare il caos economico provocato dalla disfatta, e diventati poi di fatto — come li definisce Julliard — « organi di un vero e proprio dirigismo privato messo in atto a profitto del padro­nato », rappresenta in realtà l’elemento determinante della situazione. Tutte le fasi del processo produttivo cadono sotto lo stretto controllo dei Comités e quindi del padronato, che in parte le gestisce direttamente, in parte ne affida l ’esecuzione all’apparato burocratico-ministeriale. Già lo Ehrm ann aveva osservato come le successive crisi ministeriali e politiche di Vichy non intac­chino la compattezza e persistenza di quel corpo di alti funzionari (in genere provenienti dall’Ispettorato delle Finanze e dagli Ingegnieri di Stato) che for­mano l’anello di congiunzione tra padronato e governo o, meglio, assicurano l ’allineamento degli interventi governativi agli interessi del grande capitale34. Anche in questo caso si tratta di un fenomeno che affonda le proprie radici nel decennio precedente e sul quale l’armistizio agisce da catalizzatore. Se si vogliono trovare elementi di sostanziale continuità tra la Terza Repubblica, Vichy e la Quarta Repubblica è prima di tu tto a questo livello che vanno ricercati, e non solo nel senso di continuità fisica dei gruppi che mantengono intatto il proprio potere o addirittura lo accrescono attraverso i rivolgimenti politici degli anni ’40, ma soprattutto come maturazione di un disegno di riorganizzazione e pianificazione del sistema industriale che negli anni di Vichy compie sostanziali passi avanti. Da un lato progredisce la concentrazione aziendale e lo sviluppo dell’industria pesante strettamente collegato ai rapporti con i tedeschi, dall’altro viene garantito, attraverso la Carta del lavoro, la sudditanza della classe operaia3S. L’assenza di ogni controllo politico e il

33 J. J u l l i a r d , La Charte du travail, i n Le gouvernement, cit., p p . 157-194.34 H. W. E h r m a n n , La politique du patronat français (1936-1955), Parigi, 1959.35 II fenomeno della concentrazione e dello sviluppo dell’industria pesante assume caratteri particolarmente intensi soprattutto nel 1943, dopo che la Germania, con Albert Speer, muta il precedente indirizzo e gioca la carta della integrazione fra le due economie. Cfr. R. O . P a x t o n , op. cit., pp. 212-213.

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soffocamento della lotta di classe consentono l ’emergere di una tecnocrazia altamente preparata e specializzata, che si affermerà poi negli anni della Quarta Repubblica, e, più compiutamente, con l ’avvento della Quinta. « Quella di Vichy — ha osservato giustamente Sergio Bologna — ci appare dunque come una specie di prova sotto vetro della programmazione » 36. Di estremo inte­resse è, in questa prospettiva, la testimonianza di François Lehideux — ammi­nistratore delegato della Renault nel 1939, poi presidente del Comitato d ’or­ganizzazione dell’industria automobilistica, commissario per la lotta alla disoc­cupazione, segretario di stato alla produzione industriale — che mette in luce il reale significato propulsore dell’attività sviluppata sotto Vichy rispetto alla ripresa postbellica. Lehideux ribadisce i consueti motivi giustificazioni- sti: lotta alla disoccupazione, necessità di contendere all’occupante la mano­dopera, di impedire che l ’apparato industriale sia interamente assoggettato ai disegni nazisti. Ma non è questo che conta (e che comunque rappresenta,10 si è detto, ima totale falsificazione della realtà), quanto l’affermazione ripetuta della « necessità assoluta per la Francia di preparare il suo ingresso .nell’era industriale » e della « convinzione che il momento fosse favorevole alla mobilitazione dei progetti e delle energie richiesti da tale programma » 37.

La prospettiva che si affaccia attraverso l’attività dei Comités d ’organi­sation pone perciò sotto una luce particolare la politica agraria di Vichy, uno dei principali — e certo il più propagandato — tra i cavalli di battaglia del pétainismo. I l ritorno alla terra campeggia in tu tti gli appelli del Maresciallo •(« solo la terra non mente ») e si accompagna alla denuncia dell’urbanesimo come veicolo della lotta di classe, all’auspicato rientro sulla strada maestra della tradizione cristiana, dell’andca Francia contadina. Negli anni 1940-42 si assiste al fiorire di una letteratura ruralistica che vale più come testimo­nianza del clima morale creato dalla disfatta che non come momento di ela­borazione di una nuova politica38. Nello stesso periodo, infatti, i provvedi­menti legislativi di Vichy hanno carattere analogo a quelli assunti, ad esempio, nel settore della politica familiare: il tentativo di riorganizzare le varie cate­gorie produttive e, principalmente, di consolidare la condizione dei coltivatori ■diretti è erede àt\Yagrarisme degli anni ’30 e come tale coinvolge, sotto11 profilo politico, anche larghe frazioni radicali e radical-socialiste. « In •definitiva — constata il rapporto di Pierre Barrai e Isabel Boussard39 — le sole organizzazioni di estrema sinistra, socialiste e comuniste, furono poste completamente fuori gioco ». L ’evoluzione stessa della congiuntura agli inizi degli anni ’30 favoriva queste tendenze; l’esodo dalle campagne era stato frenato dalla crisi economica e la guerra e l ’occupazione produrranno, per vie diverse, analoghi effetti. Esiste dunque una situazione che sembra recepire facilmente l ’esortazione di Pétain. Eppure Vichy non conseguirà risultati consi­stenti, almeno secondo l’impostazione iniziale: una legge del maggio 1941 che

36 Cfr. la recensione al citato volume dello Ehrmann su questa rivista, 1965, luglio- settembre, pp. 111-115.37 Le gouvernement, cit., pp. 91-96.38 Vedi P. B a r r a l , Les agrariens français de Méline à Pisani, Parigi, 1968.39 P. B a r r a l e I . B o u s s a r d , La politique agrarienne, i n Le gouvernement, cit., pp. 211-233.

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concede benefici economici a famiglie che ritornino alla terra ottiene solo 1561 adesioni. Ma ancor più dirompenti sono gli effetti delle crescenti necessità alimentari e del sempre più intenso saccheggio tedesco. La pressione congiun­ta di questi fattori provoca un sempre più diretto intervento dello stato, vincola, in definitiva, la produzione agricola agli interessi dei grandi proprietari. I l « piccolo contadino — osserva giustamente Paxton — perde progressiva­m ente terreno insieme coi tradizionalisti che lo sostengono. Dopo la guerra, coloro che vogliono sacrificare la produttività alla pace sociale non sono più che una infima minoranza » 40.

Il ruralismo di Vichy appartiene dunque al primo tempo del nuovo regime, impersona quel tentativo di ripiegamento verso il passato cui il vecchio conser­vatorismo « controrivoluzionario » cerca di legare le proprie fortune. Da qui nasce, attraveso la Legione, la politica familiare e della gioventù, la valorizza­zione dell’elemento indigeno, il disegno di comunità locali e professionali autonome, l ’immagine di uno stato « nazionale, autoritario, gerarchico, sociale ». Ma il progetto, l ’abbiamo visto, non riesce a concretarsi, non riesce ad espri­mere, né al centro né alla periferia, una nuova classe dirigente. La strada di questa evoluzione è tagliata in partenza dal fattore stesso che pure aveva consentito l ’esperimento della Rivoluzione nazionale (l’occupazione tedesca) e più ancora dalle grandi centrali del potere industriale e finanziario, che sosten­gono Vichy nella misura in cui essa assicura loro l ’emarginazione della vecchia classe politica e il trionfo delle competenze tecniche e amministrative. D i tale evoluzione, gli atti del convegno organizzato dalla Fondation nationale de sciences politiques offrono un parziale panorama a livello istituzionale e legi­slativo; l ’opera di Paxton una sintesi incisiva e sufficientemente completa. In entrambi i casi, tuttavia, è assente il rapporto tra i gruppi politici e le forze sociali, senza del quale il discorso sul ruolo di Vichy nella Francia contempo­ranea resta gravemente limitato, non meno di quello sul movimento di Resi­stenza e sulla genesi della Quarta Repubblica. Ed è da qui che le indagini devono riprendere se vogliono infine superare l ’ambito dell’analisi storico­politica.

M a s s i m o L e g n a n i

40 R. O. P a x t o n , op. cit., p. 204.