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La Condizione Operaia - Simone Weil

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SIMONE WEIL

LACONDIZIONE

OPERAIA

Il 4 dicembre del 1934, SimoneWeil fu assunta come operaia pressole officine della società elettrica

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Alsthom di Parigi [...]. Inizia così lafase sperimentale della sua ricercasull'oppressione sociale che siprotrarrà fino all'agosto dell'annosuccessivo, con due pause imposte dauna malattia e dalla difficoltà atrovare un nuovo impiego. Ricercadolorosa, per il corpo sottoposto auna prova durissima, e per il pensierocostretto a verificare fino in fondo lostato di abbrutimento fisico e moralea cui gli operai erano ridotti, la loropiena soggezione a un meccanismoproduttivo impenetrabile al pensiero.Di questa ricerca Simone Weil volleregistrare di giorno in giorno, quasidi momento in momento i datioggettivi, le reazioni personali, leprove fisiche e psicologiche, irapporti tra le persone, in una parolala realtà concreta della condizioneoperaia vissuta dall'interno. Allettore viene così offerta unarappresentazione della vita di

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fabbrica condotta al limite dellaumana sopportabilità. Unarappresentazione fatta di situazioni,di dettagli, di impressioni fisiche epsicologiche, di descrizioni tecnichedelle macchine e dei procedimenti dilavoro, di sofferenze e di angosce, maanche di insperati momenti di gioiaper un cenno di solidarietà o per ilfugace sentimento di essere partecipidi una operosa vita collettivapiuttosto che succubi di undegradante asservimento al processoproduttivo (G. Gaeta).

http://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/

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SIMONE WEIL

LACONDIZIONE

OPERAIA

Traduzione di Franco Fortini

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INDICE

Introduzione di AlbertineThévenon

Tre lettere ad Albertine Thévenon(1934-1935)

Lettera a una allieva (1934)

Lettera a Boris Souvarine (1935)

Frammento di lettera a X (1933-1934)

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Frammenti.

Lettere a un ingegnere direttore difabbrica.

La vita e lo sciopero delle operaiemetalmeccaniche.

Lettera aperta a un operaio iscrittoai sindacati (dopo il giugno

1936)

Lettera a Auguste Detoeuf (1936-1937)

Osservazioni sugli insegnamenti datrarre dai conflitti nel Nord (1936-1937)

Principi di un progetto per unnuovo regime interno nelle impreseindustriali (1936-1937)

La razionalizzazione del lavoro

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(23 febbraio 1937)

La condizione operaia (30settembre 1937)

Esperienze della vita di fabbrica(Marsiglia 1941/1942)

Prima condizione di un lavoro nonservile.

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INTRODUZIONE

Nell'incontro fra il piccolo gruppodi sindacalisti rivoluzionari dellaLoira e Simone Weil, avvenuto nel1932, non si deve scorgere nessunintervento del caso. Come lei stessaracconta, le ingiustizie socialil'avevano commossa findall'adolescenza e l'istinto l'avevacondotta vicino ai diseredati. La suavita ha trovato la propria unità nelladurata di quella elezione.

Ben presto fu attratta dairivoluzionari. La rivoluzione russa,che in origine portava con séun'immensa speranza, aveva mutatostrada e i proletari vi erano mantenuti

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in servitù dalla burocrazia, nuovacasta di privilegiati chevolontariamente confondevanoindustrializzazione e socialismo.Simone amava e rispettava troppol'individuo per poter essere attrattadallo stalinismo, creatore di un regimedel quale, nel 1933, essa avrebbedetto: "A dir la verità, questo regimesomiglia al regime che Lenin credevadi instaurare nella misura in cui ne èquasi completamente l'inverso".

Eliminati così dal mondorivoluzionario gli stalinisti, essa siavvicinò ad altri gruppi: anarchici,sindacalistirivoluzionari, trotzkisti.Era troppo indipendente perché fossepossibile classificarla in uno di questigruppi; tuttavia quello per il quale essaaveva maggiore simpatia quando laconoscemmo era rappresentato dallarivista "revolution proletarienne"[Rivoluzione proletaria]

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Fondata nel 1925, questa rivistache ai suoi inizi portava comesottotitolo "rivistasindacalistacomunista" era il centro diun gruppo dei sindacalisti che,trascinati dal loro entusiasmo perla Rivoluzione d'ottobre, avevanoaderito al partito comunista e ne eranostati espulsi o l'avevano lasciatovolontariamente constatando che pocoa poco la burocrazia si sostituiva allademocrazia operaia degli inizi. Le duefigure di maggior rilievo erano e sonoancora Monatte e Louzon, tutti e duesindacalistirivoluzionari e diformazione libertaria.

Simone entrò in contatto con variepersone fra quelle che animavano larivista e quando, nell'autunno 1931, funominata professoressa al liceo delPuy du Dome, fu a costoro che sirivolse chiedendo d'essere messa incontatto con qualche militante di quella

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regione. Così, una sera d'ottobre, essavenne a casa nostra per trovarviThévenon, allora membro delconsiglio di amministrazione dellaBorsa del lavoro a SaintEtienne,segretario aggiunto della Unionedipartimentale confederata della Loira,che si sforzava di raggruppare laminoranza sindacalista e di ricondurrealla C. G. T. la federazione regionaledei minatori, allora minoritaria nellaC. G. T. U. e il cui segretario PierreArnaud era stato da poco espulso dalpartito comunista.

Grazie a Thévenon, Simone sitrovò a essere introdotta in pienonell'ambiente operaio e,simultaneamente, nella lotta sindacale.Non chiedeva di meglio. Ognisettimana essa fece almeno una volta ilviaggio dal Puy a SaintEtienne, e, dueanni dopo, da Roanne a SaintEtienne,per prendere parte ad un gruppo di

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studio organizzato alla Borsa dellavoro, per assistere a riunioni omanifestazioni.

La sua straordinaria intelligenza ela sua cultura filosofica le permiserouna conoscenza rapida e approfonditadei grandi teorici del socialismo, inparticolare di Marx. Ma questaconoscenza storica dello sfruttamentocapitalistico e della condizioneoperaia non la soddisfaceva. Credevanecessario penetrare nella vitaquotidiana dei lavoratori.

Al sindacato minatori, c'era PierreArnaud, una bella figura di proletario.Benché effettivo nel sindacato, avevaconservato tutte le sue abitudini diminatore: modo di parlare, modo divestirsi, e soprattutto, coscienza diclasse. Era un minatore e non cercavad'essere altro. Simone ebbe viva stimadi lui, ne apprezzò la fierezza, la

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dirittura e il disinteresse. Intorno a luigravitavano uomini avvezzi a duriscontri con l'esistenza, alcuni dei qualierano stati nei "battaglionidisciplinari" Simone cercò di viverefra loro. Non era facile. Frequentò laloro compagnia, andò a mangiare conloro all'osteria o a fare una partita abriscola, li seguì al cinema, nelle festepopolari, chiese di farla entrare nelleloro case senza avvisare prima le lorodonne. Erano un po sorpresidall'atteggiamento di quella ragazzatanto istruita che si vestiva piùsemplicemente delle loro mogli e cheaveva certe curiosità, per loro,straordinarie. E tuttavia era simpaticaa tutti; e tutti rivedevano la "ponote"(1) con un moto d'amicizia. Nonl'hanno dimenticata. Uno di costoro,uomo semplice quant'altri mai, leconserva un affetto fedele; un altro,incontrato poco tempo fa, cosìespresse il suo dispiacere, alla notizia

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della morte di Simone: "Non potevacampare, era troppo istruita e nonmangiava" Questa doppiaconstatazione caratterizza assai beneSimone. Da un lato un'attivitàcerebrale intensa e continua e dall'altrala negligenza quasi completa della vitamateriale. Squilibrio che potevaconcludersi solo con una morteprematura (2)

Quale fu la sua partecipazione almovimento sindacale in quell'epoca?Non solo partecipò al gruppo di studidi SaintEtienne, ma lo aiutò a vivere,impiegando nell'acquisto di libri il suopremio di concorso che essaconsiderava un privilegiointollerabile. Rafforzò la cassa disolidarietà dei minatori, perché avevadeciso di vivere con cinque franchi algiorno, il sussidio di disoccupazioneper la regione del Puy. Militò nelsindacato insegnanti dell'Alta Loira,

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nel quale fu vicina al gruppode"L'Ecole émancipée" [La Scuolaemancipata] Al Puy, si unì a unadelegazione di disoccupati; il che levalse una bella campagna di stampa emolte noie con la sua amministrazione.E, oltre al resto, essa fissò doponumerose discussioni con vari militantile sue riflessioni sull'evoluzionesociale in un articolo comparso sulla"revolution proletarienne" nell'agostodel 1933, sotto il titolo generale di"Prospettive" Questo studio cheportava come sottotitolo: "Stiamoandando verso una rivoluzioneproletaria?" dà un'idea precisa di quelche Simone intendeva per socialismo,cioè "la sovranità economica deilavoratori e non quella della macchinaburocratica e militare dello stato" Ilproblema è quello di sapere se, datoche l'organizzazione del lavoro è quelche è, i lavoratori vanno o no versoquella sovranità. Contrariamente a una

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sorta di credo rivoluzionario che vuolevedere nella classe operaia quella chesostituirà la classe capitalistica,Simone vede spuntare una nuova formadi oppressione, "l'oppressionemediante la funzione" "Non si capisce,scrive, come un modo di produzionefondato sulla subordinazione di coloroche eseguono a coloro che coordinanopotrebbe non produrre una strutturasociale definita dalla dittatura d'unacasta burocratica" Il pericolo di questadittatura burocratica si è precisato inseguito, come ne dà testimonianzaBurnham nel suo libro sui managers.Queste constatazioni, tantochiaroveggenti e pessimiste da farletemere l'accusa di disfattismo, sonoforse una ragione di disperare e diabbandonare la lotta? Per lei, non sitratta affatto di questo: " Una disfattarischierebbe di annullare per unperiodo indefinito tutto ciò che fondaper noi il valore d'una vita umana e

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quindi è chiaro che dobbiamo lottarecon tutti i mezzi che ci paiono avereuna qualsiasi probabilità d'essereefficaci" Non è possibile parlare conmaggior coraggio.

E poi fu pure durante il periodoche essa trascorse con noi che ebbeluogo il suo viaggio in Germania dovei nazisti cominciavano a far parlare disé e dei loro orribili procedimenti. Larivedo mentre cerca di persuadere unodei nostri giovani compagni a volerlaaccompagnare. Per lei, era semplice:c'erano uomini che si battevano perdifendere la loro libertà e quindiavevano diritto all'aiuto di tutti. Larivedo, al suo ritorno, ferita fino infondo all'anima per quel che avevavisto là, lasciarsi cadere su di unasedia, con i nervi spezzati, al ricordodelle crudeltà subite dai tedeschiantinazisti. Con grande lucidità essaanalizzò la situazione tedesca in un

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articolo comparso sulla "revolutionproletarienne" del 25 ottobre 1932 eannunciò la vittoria di Hitler.Purtroppo, aveva avuto ragione.

Frequentare i minatori, vivere conla paga di un disoccupato, riflettere escrivere sul movimento operaio nonpoteva bastarle. Quello che parevaessenziale alla sua intelligenza e a untempo alla sua sensibilità, due forze inlei press'a poco eguali, era dipenetrare intimamente i rapporti fralavoro e lavoratori. Essa pensava dipoter giungere a questa conoscenzasolo se si fosse fatta operaia essastessa; e così decise di diventarlo. Fu,fra noi due, un grave punto di attrito.Pensavo e penso ancora che lacondizione proletaria è uno stato difatto e non di elezione, soprattutto perquanto riguarda la mentalità, cioè ilmodo di intuire la vita. Non ho nessunasimpatia per le esperienze tipo "re del

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carbone", dove il figlio delproprietario va a lavorare in incognitonelle miniere del padre per tornarsenepoi, fatta la propria esperienza, ariprendere la sua vita di padrone.Pensavo e penso ancora che le reazionielementari di un'operaia nonpotrebbero mai essere quelle di unainsegnante di filosofia uscita da unambiente borghese. Queste idee eranoanche quelle di tre o quattro compagniche formavano il piccolo gruppo diamici di Simone a SaintEtienne. Glieleesprimemmo crudamente e forse anchebrutalmente, perché i nostri rapporti,benché affettuosi, erano esenti daformule mondane. C'erano anche altreragioni che ci spingevano adissuaderla dall'attuare quel progetto:la sua mancanza di abilità manuale, e ilsuo stato di salute. Soffriva diemicranie terribili, delle quali ebbe ascrivermi, in seguito, che "non leavevano usata la cortesia di

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andarsene"

Se avevamo ragione in generale, cieravamo sbagliati per quantoriguardava Simone. Anzitutto, essacondusse la sua esperienza a fondo conla massima onestà, isolandosi dallasua famiglia, vivendo nelle medesimecondizioni materiali delle suecompagne d'officina. Le lettere che miscrisse allora e l'articolo che pubblicòdopo gli scioperi del 1936 sulla"revolution proletarienne" provano chela sua possibilità di adattamento e ilsuo potere di "attenzione", per usareun'espressione sua, le hanno permessodi afferrare acutamente il carattereinumano del destino creato ailavoratori, soprattutto ainonqualificati, "tutti quegli esserimaneggiati come rifiuti", dei quali sisentiva sorella; cosa che, in lei, nonera letteratura. "Ho dimenticato diessere una professoressa girovaga fra

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la classe operaia", scriveva. Questaesperienza la segnò fino alla fine dellavita.

Lasciò la Loira nel 1934 e daallora non dovevo più rivederla.Ricevetti da lei una cartolina quandoera miliziana in Spagna, con i rossi.Thévenon la rivide a un congresso nel1938, a Parigi. Poi, fu la guerra. E,alla fine della guerra, l'annuncio dellasua morte.

Forse un giorno un militanteoperaio che sappia farlo e l'abbiaconosciuta bene come noi proverà ilbisogno di trarre l'insegnamentocontenuto nelle sue varie esperienzesociali. Per conto mio ho semprevissuto all'interno del movimentosindacale senza militarci vorrei solotestimoniare del ricordo che SimoneWeil ha lasciato ai pochi compagni coni quali è vissuta in un'intima e calda

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atmosfera d'amicizia. Molti di costorosono stati militanti o lo sono ancora.Tutti si ricordano delle discussioni cheebbero con lei, delle sue esigenze, delrigore spietato con cui essa liobbligava a pensare, e più di una voltail loro pensiero si rivolge ancora aquella Simone sempre insoddisfatta.

Vorrei anche dire quale fortunahanno avuto coloro che la conobbero el'apprezzarono; come si stava beneaccanto a lei, quando si aveva la suafiducia. Uno dei suoi amici miscriveva recentemente che essa "fu piùpoeta nella sua vita che nelle sue opere" E' vero. Era semplice di modi e,benché la sua cultura generale fosse ditanto superiore alla nostra, avevamocon lei lunghe conversazioni fraterne,scherzavamo con lei e lei rideva connoi, ci chiedeva di cantare (e nonsempre canzoni tropporaccomandabili) Lei stessa, seduta in

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fondo a un lettuccio di ferro, in unamisera camera che non aveva altrimobili fuor di quello, ci declamavatalvolta versi greci, dei quali noncapivamo nulla ma che cirallegravamo egualmente per il piacereche essa vi provava. E poi, un sorriso,un occhiata, ci facevano complici incerte buffe situazioni. Questo aspettodel suo carattere che appariva di radoper la serietà con la quale, di solito,essa prendeva ogni cosa eraindimenticabile.

Altrettanto posso dire della suamancanza di conformismo e del soffiodi libertà che portava con sé. Mabisognava saperlo apprezzare. Tuttiquesti aspetti che ce la rendevano carale valsero irriducibili ostilità. Così fuper noi una gioia profonda averlaamata quando era ancora tempo.

Perché, insomma, se è

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relativamente facile ammirarla ecomprendere la sua grandezza quando,nella solitudine della propria stanza,con un libro aperto dinnanzi a sé, piùnulla nasconde il fondo del suopensiero, bisogna pur riconoscere chemolti di coloro che le passaronovicino non hanno nemmeno sospettatola personalità eccezionale che essa fu.Eppure, a coloro che l'hannoconosciuta bene e amata quando nonera credente e che poi l'hanno ritrovatacosì profondamente religiosa, la suavita appare come un'unità perfetta,malgrado il suo apparente mutamento.Il moto che la spingeva a considerarsie a trattarsi come la più diseredata frai diseredati è contrario all'aspirazionenormale d'un essere umano ordinario.Procede a un tempo dal desiderio diconoscere l'infelicità e ciò è gratuito ,di tradurla e ciò può essere efficace edal sentimento della giustizia assoluta;non ho diritto a nulla, se tante persone

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non hanno diritto a nulla. Ora in leiquesta tendenza era assai netta efacilmente distinguibile. E' quella chela faceva vivere con la paga di undisoccupato nel 1933, e che la fecemorire di privazioni e di malattia,sola, in un letto d'ospedale, a Londra,nel 1943. Per quanto ci possasembrare crudele, quella morte è laconseguenza logica della vita cheSimone aveva scelto. Come ha dettoAlbert Camus, è una via solitaria: lavia di Simone Weil.

Quando mi è accaduto di parlare diSimone Weil ai miei amici, leriflessioni che sono state fatte sonosempre state di due tipi: "Era unasanta", oppure: "A che cosa serve unavita come la sua?" In verità, non so sefosse una santa, ma molti rivoluzionari,fra i migliori, hanno quel distacco daibeni materiali e quel desiderio diunione totale con i più infelici. Si

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diventa rivoluzionari, prima di tutto,col cuore. In Simone, questo statod'animo si innalzava al livello d'unprincipio rigoroso. Quanto a sapere "ache cosa sia servita la sua vita", questaè la questione essenziale. Per contomio, sono spesso insorta contro leprivazioni che essa si infliggeva,contro la vita dura che imponeva a sestessa e ancora oggi protesto pensandoche la sua scomparsa prematura èdovuta in gran parte alle sofferenze chesi è volontariamente imposte. Maquella sua straordinaria "facoltà diattenzione", che le ha permesso diritrovare nella polvere della vitaquotidiana il grano di purezza che viera disperso, non la deve forse a tuttequelle sofferenze gratuite? Non sonostate forse quelle sofferenze gratuite afare di lei un testimone la cui purezza ela cui sincerità non possono mai esseremesse in dubbio? Non deve forse aquelle l'ammirevole capacità di

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compassione che la rendevapermeabile a ogni miseria umana? Ilgrande merito di Simone è quello diavere armonizzato completamente ilsuo bisogno di perfezione e la sua vita;e ciò anche prima d'ogni influenzareligiosa. Questo bisogno diperfezione era tale, d'altronde, che leha impedito di entrare nella chiesa;che, opera umana, porta i segnidell'imperfezione, come i movimentirivoluzionari ai quali Simone è rimastacongiunta da tanti visibili legami.

Le ragioni che ce l'avevano fattaapprezzare e amare rimangono integre.Così, anche se noi l'abbandoniamo allasoglia della sua vita mistica, che ci èestranea, le serbiamo un amore intattoe una memoria fedele.

Albertine Thévenon

RochelaMoliere, dicembre 1950.

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NOTE

NOTA 1: "Ponots" e "ponotes",nomi con i quali vengono chiamati gliabitanti del PuyduDome.

NOTA 2: Qualche tempo fa miomarito incontrò un gruppo di nostrivecchi compagni minatori. Mi raccontòche furono "molto abbattuti" dallanotizia della sua morte.

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TRE LETTEREAD ALBERTINE

THEVENON

Cara Albertine,

Approfitto delle vacanze forzatecui mi costringe una leggera malattia(un inizio di otite; non è nulla) perchiacchierare un po con te. Altrimenti,durante le settimane di lavoro, ognisforzo che debba aggiungere a quelliche mi sono imposti mi costa molto.Non è soltanto questo, a trattenermi: èla quantità delle cose da dire el'impossibilità di esprimere

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l'essenziale. Forse, più tardi, miverranno le parole giuste: ora, mi pareche mi ci vorrebbe un'altra lingua perpoter tradurre l'essenziale. Questaesperienza, che per molti aspetticorrisponde a quel che mi aspettavo,ne è separata tuttavia da un abisso; è larealtà, non più l'immaginazione. Hamutato in me non questa o quella dellemie idee (molte sono state anziconfermate); ma infinitamente di più,tutta la mia prospettiva delle cose, ilsenso stesso che ho della vita.Conoscerò ancora la gioia, ma unacerta leggerezza di cuore mi rimarrà,credo, impossibile per sempre. Ma, suquesto argomento, basta:l'inesprimibile, a forza di volerloesprimere, si degrada.

Per quanto riguarda quel che si puòesprimere, ho imparato non pocosull'organizzazione di un'impresa. E'inumano: lavoro parcellare, a cottimo,

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organizzazione affatto burocratica deirapporti fra i diversi elementidell'impresa, fra le diverse operazionidel lavoro. L'attenzione, privata dioggetti degni, è costretta invece aconcentrarsi, un attimo dopo l'altro, suun problema meschino, sempre lostesso, con varianti di questo genere:fare 50 pezzi in 5 minuti invece di 6 osimili. Grazie al cielo, c'è da impararecose che di tanto in tanto rendonointeressante quella ricerca dellavelocità. Ma io mi chiedo come tuttoquesto possa diventare umano: perchése il lavoro parcellare non fosse acottimo svilupperebbe tanta noia daannichilire l'attenzione, provocherebbeuna lentezza notevole e molti errori. Ee il lavoro non fosse parcellare... Manon ho tempo di sviluppare per letteratutto quest'argomento. Soltanto, quandopenso che i grandi bolscevichipretendevano di creare una classeoperaia libera e che di sicuro nessuno

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di loro Trotzky, no di certo, e nemmenoLenin credo aveva messo mai piede inun'officina e quindi non aveva la piùpallida dea delle condizioni reali chedeterminano la servitù o la libertàoperaia, vedo la politica come unalugubre buffonata.

Devo dire che tutto questo riguardail lavoro non qualificato. Sul lavoroqualificato ho ancora quasi tutto daimparare. Verrà, spero.

Questa vita, a dirla francamente, èper me assai dura. Tanto più che i maldi testa non hanno avuto la cortesia dilasciarmi per rendermi più facilequesta esperienza: e lavorare allemacchine col mal di testa, è penoso.Solo il sabato pomeriggio e ladomenica posso respirare, ritrovo mestesa, riacquisto la facoltà diavvolgere nel mio spirito dei lembi diidee. In senso generale, la tentazione

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più difficile da respingere, in una vitasimile, è quella di rinunciarecompletamente a pensare: si sente cosìbene che questo è l'unico mezzo pernon soffrire più. Anzitutto di nonsoffrire più moralmente. Perché lasituazione cancella automaticamente isentimenti di rivolta: fare il propriolavoro con irritazione, vorrebbe direfarlo male e condannarsi a morire difame; non c'è nessuna persona a cuiprendere interesse, non c'è che illavoro. I superiori, non ci si puòpermettere di essere cortesi con loro; ed'altra parte molto spesso non dannonemmeno motivo di esserlo. E cosìverso la propria sorte non rimane,eccetto la tristezza, nessun altrosentimento possibile. Allora si è tentatidi perdere puramente e semplicementecoscienza di tutto quel che non sia iltrantran volgare e quotidiano dellavita. Anche fisicamente, la tentazionemaggiore è quella di lasciarsi andare a

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una semisonnolenza. Ho il massimorispetto per gli operai che giungono afarsi una cultura. Sono quasi sempredei tipi robusti, è vero. Eppure,bisogna proprio che abbiano qualcosain corpo. E diventano sempre più rari,col progredire della razionalizzazione.Mi chiedo se accade qualcosa disimile anche agli specializzati.

Eppure resisto. E non rimpiangomai di essermi lanciata in questaesperienza. Anzi, ogni volta che cipenso, me ne rallegro infinitamente.Ma, cosa curiosa, ci penso di rado. Houna capacità di adattamento quasiillimitata che mi permette didimenticare di essere unaprofessoressa girovaga fra la classeoperaia, di vivere la mia vita attualecome se le fosse stata destinata dasempre (e, in un certo senso, è propriocosì) e come se ciò dovesse duraresempre, come se questa vita mi fosse

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imposta da una necessità ineluttabile enon dalla mia libera scelta.

Ti prometto tuttavia che quandonon ce la farò più, andrò a riposarmida qualche parte; forse da voi. [...]

Mi avvedo di non averti detto nulladei miei compagni di lavoro. Sarà perun'altra volta. Ma anche questo, èdifficile esprimerlo... Sono cortesi,molto cortesi. Ma, di vera fraternità,non ne ho sentita quasi mai.Un'eccezione: il magazziniere delmagazzino attrezzi, operaio qualificato,eccellente operaio, che chiamo in aiutoogni qualvolta sono ridotta alladisperazione da un lavoro che nonriesco a fare bene, perché è cento voltepiù cortese, più intelligente deglioperatori (che sono soltanto deglioperai qualificati) C'è non pocagelosia fra le operaie, che in realtà sifanno concorrenza fra loro per via

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dell'organizzazione della fabbrica.Non ne conosco che tre o quattroveramente simpatiche. In quanto aglioperai, taluni mi sembrano gente moltoin gamba. Ma dove sono io ce n'èpochi, eccettuati gli operatori che nonsono dei veri compagni di lavoro.Spero di cambiare reparto fra nonmolto, per allargare il mio campod'esperienza []

Via, arrivederci. Rispondimipresto.

S. W.

Mia cara Albertine,

Mi pare di capire che haiinterpretato male il mio silenzio. Tucredi, sembra, che sia stata

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imbarazzata a esprimermi francamente.No, affatto, è lo sforzo di scrivere,semplicemente, che mi era troppograve. Quel che la tua gran lettera miha smosso dentro è la voglia di dirtiche sono profondamente con te, chetutto il mio istinto di fedeltàall'amicizia mi porta dalla parte tua.[... ]

Ma, con tutto ciò, io capisco coseche tu forse non capisci perché seitroppo diversa. Vedi, tu vivi a talsegno nell'istante presente e ti vogliobene per questo che forse nonimmagini nemmeno cosa voglia direconcepire tutta la propria vita davantia sé e prendere la risoluzione ferma ecostante di farne qualcosa, diorientarla da cima a fondo, con lavolontà e col lavoro, in un sensodeterminato. Quando si è così e iosono così, e allora so che cosa vuoldire la peggior cosa al mondo che un

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essere umano possa farti è quella diinfliggerti sofferenze che spezzino lavitalità e quindi la capacità di lavoro.[...]

So anche troppo (per via dei mieimal di testa) che cosa significaassaporare così la morte da viva;vedere gli anni stendersi innanzi a sé,avere mille volte di che riempirli, epensare che la debolezza fisicacostringerà a lasciarli vuoti, che saràun compito terribile anche solopercorrerli, un giorno dopo l'altro. [...]

Avrei voluto parlarti un poco dime, non ne ho più tempo. Ho moltosofferto di questi mesi di schiavitù, maper nulla al mondo vorrei non averliattraversati. Mi hanno permesso diprovare me stessa, e di toccare conmano tutto quel che avevo potuto soloimmaginare. Ne sono uscita molto

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diversa da quella che ero quando visono entrata fisicamente sfinita, mamoralmente indurita (comprenderai inche senso dico questo) Scrivimi aParigi. Ho avuto la nomina a Bourges.E' lontano. Non sarà proprio possibilevederci. [... ]

Un bacio.

Simone.

Cara Albertine,

Mi ha fatto bene ricevere un rigoda te. Ci sono cose, mi pare, checomprendiamo solo tu e io. Tu viviancora; ecco, non puoi sapere come nesia felice... Certo, te lo meritavi, diliberarti. La vita li vende cari, iprogressi che fa compiere. Quasi

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sempre a prezzo di dolori intollerabili.

Senti, ho un'idea che mi viene inquesto momento. Vedo noi due, durantele vacanze, con qualche soldo in tasca,in cammino per strade, sentieri ecampi, sacco in spalla. Si potrebbedormire qualche volta nei fienili.Qualche altra volta si potrebbe dareuna mano alla mietitura, in cambio delmangiare... Che ne dici? []

Quel che mi scrivi della fabbricam'è andato dritto al cuore. E' ciò chesentivo, io, fin da quando ero piccola.Per questo ho dovuto finire conl'andarci e mi addolorava, prima, chetu non capissi. Ma, quando si è dentro,com'è diverso! Ora, è così che sento ilproblema sociale: una fabbrica,dev'essere quel che tu hai sentito quelgiorno a SaintChamond, quel che hosentito tanto spesso, un luogo dove cisi urta duramente, dolorosamente, ma

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tuttavia anche gioiosamente, con la vitavera. Non quel luogo tetro dove non sisa fare altro che ubbidire, spezzaresotto la costruzione tutto quel che c'èdi umano in noi, piegarsi, lasciarsiabbassare al di sotto delle macchine.

Una volta ho avvertitointensamente, in fabbrica, quel cheavevo presentito, come te, dal di fuori.Era la mia prima fabbrica. Immaginamidavanti a un gran forno, che sputafiamme e soffi brucianti che miarroventano il viso. Il fuoco esce dacinque o sei fori situati nella parteinferiore del forno. Io mi metto propriodavanti, per infornare una trentina digrosse bobine di rame che un'operaiaitaliana, una faccia coraggiosa eaperta, fabbrica accanto a me; sono peril tram e per il metrò, quelle bobine.Devo fare bene attenzione che nessunadelle bobine cada in uno dei buchi,perché vi si fonderebbe; e, per questo,

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bisogna che mi metta proprio di fronteal fuoco senza che il dolore dei soffiroventi sul viso e del fuoco sullebraccia (ne porto ancora i segni) mifacciano mai fare un movimentosbagliato. Abbasso lo sportello delforno, aspetto qualche minuto, rialzo losportello e a mezzo di tenaglie tolgo lebobine ormai rosse, tirandole verso dime con grande sveltezza (altrimenti leultime comincerebbero a fondere), efacendo anche più attenzione di primaperché un movimento errato non nefaccia cadere mai una dentro uno deifori. E poi si ricomincia. Di fronte ame un saldatore, seduto, con gliocchiali blu e la faccia severa lavoraminuziosamente; ogni volta che ildolore mi contrae il viso mi rivolge unsorriso triste, pieno di simpatiafraterna, che mi fa un bene indicibile.Dall'altra parte, lavora una squadra dibattilastra, intorno a grandi tavoli:lavoro di squadra, compiuto

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fraternamente, con cura e senza fretta.Lavoro molto qualificato, dovebisogna saper calcolare, leggeredisegni complicatissimi, applicarenozioni di geometria descrittiva. Piùlontano, un robusto giovanotto picchiacon un maglio su certe sbarre di ferro,facendo un fracasso da fendere ilcranio. Tutto ciò avviene in uncantuccio in fondo all'officina, dove cisi sente a casa propria, dove ilcaposquadra e il capo officina, si puòdire, non vengono mai. Ho passato là 2o 3 ore a quattro riprese (ci rimediavoda 7 a 8 franchi l'ora: e questo conta,sai!) La prima volta, dopo un'ora emezzo, il caldo, la stanchezza, ildolore, m'hanno fatto perdere ilcontrollo dei movimenti; non riuscivopiù ad abbassare lo sportello delforno. Uno dei battilastra (tutti tipi ingamba) appena se n'è accorto si èprecipitato per farlo in vece mia. Ciritornerei subito in quell'angolo

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d'officina, se potessi (o almeno appenaavessi riacquistato un po’ di forze)Quelle sere, sentivo la gioia dimangiare un pane guadagnato.

Ma questo è stato unico, nella miaesperienza di vita di fabbrica. Per me,personalmente, ecco cosa ha volutodire lavorare in fabbrica: ha volutodire che tutte le ragioni esterne (unavolta avevo creduto trattarsi di ragioniinteriori) sulle quali si fondavano, perme, la coscienza della mia dignità e ilrispetto di me stessa sono stateradicalmente spezzate in due o tresettimane sotto i colpi di unacostrizione brutale e quotidiana. E noncredere che ne sia conseguito in me unqualche moto di rivolta. No; anzi, alcontrario, quel che meno mi aspettavoda me stessa: la docilità. Una docilitàdi rassegnata bestia da soma. Mipareva d'essere nata per aspettare, perricevere, per eseguire ordini di non

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aver mai fatto altro che questo di nondover mai fare altro che questo. Nonsono fiera di confessarlo. E' quelgenere dì sofferenza di cui non parlanessun operaio; fa troppo male solo apensarci. Quando la malattia mi hacostretto a smettere, ho assunto pienacoscienza dell'abbassamento nel qualestavo cadendo, e mi sono giurata disubire questa esistenza fino al giornoin cui fossi giunta, suo malgrado, ariprendermi. Ho mantenuto lapromessa. Lentamente, soffrendo, horiconquistato attraverso la schiavitù ilsenso della mia dignità di essereumano, un senso che questa volta nonsi fondava su nulla di esterno, sempreaccompagnato dalla coscienza di nonavere alcun diritto a nulla, e che ogniistante libero dalle sofferenze e dalleumiliazioni doveva essere ricevutocome una grazia, come il merorisultato di favorevoli circostanzecasuali. Due fattori entrano in questa

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schiavitù: la rapidità e gli ordini. Larapidità: per "farcela" bisogna ripetereun movimento dopo l'altro a unacadenza, che è più rapida del pensieroe quindi vieta non solo la riflessione,ma persino la fantasticheria.Mettendosi dinnanzi alla macchina,bisogna uccidere la propria anima per8 ore al giorno, i propri pensieri, isentimenti, tutto. Irritati, tristi odisgustati che si sia, bisognainghiottire, respingere in fondo a sestessi irritazione, tristezza o disgusto:rallenterebbero la cadenza. Per lagioia, è lo stesso. Gli ordini: dalmomento in cui si timbra all'entratafino a quando si timbra per l'uscita sipuò ricevere qualsiasi ordine inqualunque momento. E bisogna sempretacere e obbedire. L'ordine può esserepenoso o pericoloso da eseguire, oanche ineseguibile; oppure due capipossono dare ordini contraddittori; nonfa nulla: tacere e piegarsi. Rivolgere la

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parola a un capo, anche per una cosaindispensabile, anche se è una bravapersona (le brave persone hanno pureloro momenti di cattivo umore) vuoldire rischiare di farsi strapazzare. Equando capita, bisogna ancora tacere.Per quanto riguarda i propri impulsi dinervi e di malumore, bisogna tenerseli;non possono tradursi né in parole né ingesti, perché i gesti sono, in ognimomento, determinati dal lavoro.Questa situazione fa sì che il pensierosi accartocci, si ritragga, come lacarne si contrae dinnanzi a un bisturi.Non si può essere "coscienti"

Tutto questo, beninteso, riguarda illavoro non qualificato (soprattuttoquello delle donne) E attraverso tuttociò, un sorriso, una parola di bontà, unistante di contatto umano hanno piùvalore delle più devote amicizie fra iprivilegiati grandi o piccoli. Solo là siconosce che cos'è la fraternità umana.

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Ma ce n'è poca, pochissima. Quasisempre, le relazioni, anche fracompagni, riflettono la durezza che, làdentro, domina su tutto.

Basta, ho chiacchierato abbastanza,potrei scrivere dei volumi suquest'argomento.

S. W.

Volevo dirti anche questo: ilpassaggio di quella vita così dura allamia vita attuale, sento che micorrompe. Capisco ora cosa succede aun operaio che diventa funzionariosindacale. Reagisco quanto posso. Semi lasciassi andare, dimentichereitutto, m'installerei nei miei privilegisenza voler pensare che sono privilegi.Sta tranquilla, non mi lascio andare. A

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parte questo, in quella esistenza, ci holasciato la mia allegria; ne serbo incuore un'amarezza incancellabile. Etuttavia, sono felice di averla vissuta.

Conserva questa lettera; te larichiederò forse, se un giorno vorròraccogliere tutti i miei ricordi diquella vita operaia. Non perpubblicare qualcosa sull'argomento(almeno non lo penso), ma perdifendermi dai vuoti della memoria. E'difficile non dimenticare, quando simuta così radicalmente la propriamaniera di vivere.

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LETTERA AUNA ALLIEVA

Cara piccola,

E' molto tempo che ti voglioscrivere, ma il lavoro di fabbrica nonincita affatto alla corrispondenza.Come hai fatto a sapere quel che stavofacendo? Dalle sorelle derieu, disicuro. Poco importa, d'altronde,perché volevo dirtelo. Tu, almeno, nonparlarne, nemmeno a Marinette, se giànon lo hai fatto. E' questo il "contattocon la vita reale" del quale ti parlavo.Ci sono arrivata solo per via di favori;uno dei miei migliori amici conoscel'amministratore delegato della

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Compagnia e gli ha spiegato il miodesiderio; l'altro ha capito, cosa chedimostra una larghezza di veduteeccezionalissima in quel tipo dipersone. Ai nostri tempi, è quasiimpossibile entrare in una fabbricasenza libretto di lavoro; soprattuttoquando, come sono io, si è lenti, pocosvelti e non molto robusti.

Ti dico subito nel caso tu avessil'idea di orientare la tua vita in unasimile direzione che, a parte la gioia diessere arrivata a lavorare in fabbrica,sono altrettanto felice di non essereincatenata a questo lavoro. Ho soltantopreso un anno di permesso "per studipersonali" Un uomo, se è moltocapace, molto intelligente e moltorobusto, può sperare a rigor di termini,nella condizione attuale dell'industriafrancese, di giungere in fabbrica a unposto dove possa lavorare in modointeressante e umano; e nondimeno le

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possibilità di questo generediminuiscono di giorno in giorno con iprogressi della razionalizzazione. Ledonne, loro, sono confinate in unlavoro esclusivamente macchinale, peril quale ci vuole solo la sveltezza.Quando dico macchinale non credereche si possa pensare ad altro,facendolo; o ancor meno riflettere. No,il tragico di questa situazione consistenel fatto che il lavoro è troppomacchinale per offrire materia alpensiero e impedisce tuttavia ognialtro pensiero. Pensare, vuol direandare più piano; ora ci sono dellenorme di velocità, stabilite daburocrati spietati, che bisognamantenere, sia per non essere licenziatisia per guadagnare sufficientemente (ilsalario è a cottimo) Io non riescoancora a raggiungere la norma, pervarie ragioni: mancanza di abitudine,incapacità (che è notevole), una certalentezza naturale nei movimenti, le

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emicranie, e una certa mania dipensare di cui non riesco asbarazzarmi... Tanto che, penso, miavrebbero già cacciata se non avessiuna protezione in alto loco. Quantoalle ore di libertà, teoricamente, ce nesarebbero a sufficienza con la giornatadi otto ore; praticamente sonoassorbite da una stanchezza che spessogiunge all'abbrutimento. Aggiungi, percompletare il quadro, che nell'officinasi vive in una subordinazione perpetuae umiliante, sempre agli ordini deicapi. Beninteso, tutto ciò fa soffrirepiù o meno a seconda del carattere,della forza fisica eccetera.Bisognerebbe precisare le sfumature;ma insomma, all'ingrosso, è così.

Ciò non impedisce che, pursoffrendo di tutto ciò, io sia più feliced'essere qui di quanto mi sia possibileesprimere. Lo desideravo non so piùda quanti anni, ma non mi dispiace di

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esserci arrivata solo ora, perché soloora sono in condizione di trarre daquesta esperienza tutto il profitto cheessa può comportare. Ho, soprattutto,il senso d'essere sfuggita a un mondodi astrazioni e di trovarmi fra uominireali, buoni o cattivi, ma di una bontà ocattiveria autentiche. La bontàsoprattutto, in una fabbrica, è qualcosadi reale, quando esiste; perché ilminimo atto di benevolenza, da unsemplice sorriso fino a un gesto dicortesia esige un trionfo sullastanchezza, sull'ossessione del salario,su tutto quel che abbatte e incita aripiegarsi su se stessi. Perché, infabbrica, non è come all'universitàdove si è pagati per pensare o almenoper far finta; e così il pensiero chiedeuno sforzo quasi miracoloso persollevarsi sulle condizioni di vita. Qui,la tendenza sarebbe piuttosto quella dipagare per non pensare; e quindi,quando si scorge un lampo

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d'intelligenza, si è certi che esso noninganna. A parte tutto ciò, le macchinein sé mi attirano e mi interessanomoltissimo. Aggiungo che sono infabbrica principalmente perinformarmi su un certo numero diproblemi molto precisi, che mipreoccupano e che non possoenumerarti.

Ho parlato abbastanza di me.Parliamo di te. La tua lettera mi hacosternata. Se insisti a porti comeobiettivo principale quello diconoscere tutte le sensazioni possibiliperché, come stato d'animopasseggero, alla tua età, è un obiettivonormale non farai molta strada. Tipreferivo quando mi dicevi di volerprendere contatto con la vita reale.Forse credi che sia la stessa cosa; inrealtà, è proprio il contrario. C'è genteche è vissuta solo di sensazioni e perle sensazioni; André Gide ne è un

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esempio. In realtà, la vita li inganna; esiccome confusamente lo sentono,cadono sempre in una tristezzaprofonda dove non resta loro altrarisorsa che quella di stordirsi,mentendo miserevolmente a se stessi.Perché la realtà della vita non è lasensazione: è l'attività; voglio direattività nel pensiero e nell'azione.Coloro che vivono di sensazioni sono,materialmente e moralmente, solo deiparassiti a confronto degli uominilavoratori e creatori i quali soli sonouomini veri. Aggiungo che questiultimi, quelli che non cercano lesensazioni, ne ricevono tuttavia dimolto più vive, di meno artificiali e dipiù vere di coloro che le ricercano. Epoi la ricerca della sensazione implicaun egoismo che, per quanto miriguarda, mi fa orrore. Non impedisce,evidentemente, di amare, ma spinge aconsiderare gli esseri amati come mereoccasioni di godimento o di sofferenza

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e a dimenticare completamente cheesistono di per se stessi. Si vive inmezzo a fantasmi. Si sogna, invece divivere.

Per quanto riguarda l'amore, nonho consigli da darti, ma qualcheavvertimento almeno. L'amore è unacosa seria, dove si rischia spesso diimpegnare per sempre la propria vita equella di un altro essere umano. Anzi,lo si rischia sempre, a meno che l'unodei due non faccia dell'altro il suooggetto di divertimento; ma inquest'ultimo caso, che èfrequentissimo, l'amore è qualcosa diodioso. Vedi, l'essenziale dell'amore,insomma, consiste in questo: che unessere umano si trova ad avere unbisogno vitale di un altro essere;bisogno reciproco o no, durevole o no,secondo i casi. A questo punto ilproblema è quello di conciliare questoproblema con la libertà, e gli uomini si

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sono dibattuti in tale questione datempi immemorabili. Perciò l'idea diricercare l'amore per vedere che cos'è,per mettere un po di animazione in unavita troppo monotona eccetera mi parepericoloso e soprattutto puerile. Possodirti che quando avevo la tua età, eanche più tardi, e quando mi è venutala tentazione di cercar di conoscerel'amore, l'ho allontanata da me,dicendomi che era meglio nonrischiare di impegnare l'intera mia vitain un senso impossibile a prevedersiprima di avere raggiunto un grado taledi maturità da permettermi di sapereesattamente quel che chiedere, ingenere, alla vita, quel che mi aspettoda essa. Non ti offro questo come unesempio; ogni vita si svolge secondoleggi sue proprie, ma puoi trovarcimateria di riflessione. Aggiungo chel'amore sembra portare con sé unrischio anche più spaventoso di quellodell'impegnare ciecamente la propria

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esistenza; è il rischio di diventarearbitro di un'altra esistenza umana,qualora si sia profondamente amati. Lamia conclusione (che ti offro comeun'indicazione) non è che si debbafuggire l'amore, ma che non bisognacercarlo; e soprattutto quando si èmolto giovani. E' meglio, allora,credo, non incontrarlo.

Mi pare che dovresti poter reagirecontro l'ambiente. Hai il regnoillimitato dei libri; non è tutto, certo,ma è molto, soprattutto comepreparazione a una vita più concreta.Vorrei anche vederti interessata al tuolavoro di scuola, dove puoi impararemolto più di quanto credi. Prima ditutto, a lavorare: finché si è incapaci dilavoro continuato, non si è buoni anulla in nessun campo; e poi a formartilo spirito. Non voglio rifarti l'elogiodella geometria. Per la fisica, ti ho maisuggerito questo esercizio? Fare la

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critica del tuo manuale e delle tuelezioni, cercando di distinguere quelche è ragionato correttamente da quelche non lo è. Troverai così unaquantità straordinaria di ragionamentisbagliati. Mentre ci si diverte a questogioco, estremamente istruttivo, lalezione si fissa spesso nella memoriasenza che ci se ne accorga. Per lastoria e la geografia non vi danno checose false a forza d'essereschematiche; ma se le impari bene, tiprocurerai così una base solida peracquistare poi da sola nozioni realisulla società umana nel tempo e nellospazio, cosa indispensabile perchiunque si preoccupi del problemasociale. Non ti parlo del francese,sono certa che il tuo stile si vaformando.

Ero stata molto contenta quandom'avevi detto che eri decisa apreparare l'ammissione alla Scuola

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Normale; la notizia mi aveva liberatada una preoccupazione angosciosa.Tanto più me ne dolgo ora, in quantoquella decisione pareva ti fosse uscitaproprio dall'anima.

Credo tu abbia un carattere che ticondanna a soffrire molto per tutta lavita. Anzi, ne sono sicura. Hai troppoardore e troppo impeto per poterti maiadattare alla vita sociale della nostraepoca. Non sei la sola. Ma non haimportanza soffrire, tanto più cheproverai anche gioie intense. Quel cheimporta è non mancare la propria vita.Ora, per questo, bisogna disciplinarsi.

Mi dispiace molto che tu non possafare dello sport; è proprio quel che tici vorrebbe. Sforzati ancora dipersuadere i tuoi genitori. Speroalmeno che non ti siano proibiti gliallegri vagabondaggi attraverso imonti. Saluta per me le tue montagne.

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Mi sono accorta, in fabbrica, comeè paralizzante e umiliante mancare diforza, di destrezza, di sicurezza nelcolpo d'occhio. Disgraziatamente perme, nulla può supplire, in questocampo, quel che non si è acquisitoprima dei vent'anni, Non tiraccomanderò abbastanza di esercitarepiù che puoi i tuoi muscoli, le tuemani, gli occhi. Senza un eserciziosimile, ci si sente stranamenteincompleti.

Scrivimi, ma non aspettartirisposta se non a lunghi intervalli.Scrivere mi costa una fatica troppopenosa. Scrivi al numero 228, viaLecourbe, Parigi Quindicesimo. Hopreso una cameretta proprio vicinoalla mia fabbrica.

Godi la primavera, respira aria esole (se c'è), leggi delle belle cose.

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S. Weil.

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LETTERA ABORIS

SOUVARINE

Venerdì

Caro Boris, mi costringo ascriverti qualche riga perché altrimentinon avrei il coraggio di lasciare unatraccia scritta delle prime impressionidella mia nuova esperienza. Lasedicente simpatica fabbrichetta èrisultata essere, alla prova, prima ditutto una fabbrica piuttosto grande, epoi soprattutto una sudicia, moltosudicia fabbrica. In questa sporca

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fabbrica c'è un'officina particolarmentedisgustosa: è la mia. Mi affretto a dirti,per rassicurarti, che alla fine dellamattinata mi hanno levata di lì e mihanno messa in un angolo tranquillodove ho qualche probabilità dirimanere tutta la settimana ventura edove non lavoro a una macchina.

Ieri ho fatto il medesimo lavorotutto il giorno (imbutitura a una pressa)Fino alle 4 ho lavorato al ritmo di 400pezzi all'ora (ero pagata a ore, notabene, con il salario di 3 franchi), conl'impressione di lavorare sodo. Alle 4il caporeparto è venuto a dirmi che senon ne facevo 800 mi avrebbelicenziata: "se da ora in poi ne fa 800,FORSE ACCONSENTIRO' a tenerla"Capisci, ci fanno una graziapermettendoci di ammazzarci sullavoro; e bisogna ringraziare. Ce l'homessa tutta; e sono arrivata a 600all'ora. Nondimeno stamattina mi

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hanno permesso di tornare (mancano dioperaie, la fabbrica è troppo malridotta perché il personale possaessere stabile; e poi ci sono dellecommesse urgenti per gli armamenti)Ho fatto quel lavoro ancora un'ora,sforzandomi anche un po di più e sonoarrivata a un po di più di 650. Mihanno fatto fare diverse altre cose,sempre con la medesima consegna:darci dentro a tutta forza. Per 9 ore algiorno (perché si rientra alle 13 e nonalle 13,15 come ti avevo detto) leoperaie lavorano così, letteralmentesenza un minuto di respiro. Se sicambia lavoro, se si cerca una cassa,eccetera, lo si fa sempre correndo. C'èuna catena (è la prima volta che nevedo una, e mi ha fatto male vederla),dove, mi ha detto un'operaia, hannoRADDOPPIATA LA CADENZA da 4anni; e oggi il caporeparto ha sostituitoun'operaia della catena alla suamacchina e ha lavorato dieci minuti a

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grande velocità (cosa facilissimaquando, dopo, ci si riposi) perprovarle che doveva andare ancora piùpresto. Ieri sera, uscendo, ero in unostato che non puoi nemmenoimmaginarti (per fortuna le emicraniemi davano almeno un po di tregua);allo spogliatoio, ero stupita che leoperaie fossero ancora capaci dichiacchierare e non mostrassero diavere in cuore la rabbia concentratache era penetrata in me. Alcunetuttavia (due o tre) mi hanno espressosentimenti analoghi. Sono le operaiemalate, quelle che non possonoriposarsi. Tu sai che lo sforzo alpedale delle presse è una pessima cosaper le donne; un'operaia mi ha detto diavere avuto una salpingite e di nonavere potuto ottenere d'essere messaaltrove. Ora finalmente non è più allemacchine; ma la sua salute èdefinitivamente rovinata.

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In cambio, un'operaia che lavoraalla catena e con la quale sonoritornata in tram, mi ha detto che dopoqualche anno o anche dopo un anno siarriva a non soffrire più, benché sicontinui a sentirsi abbrutiti. Questo misembra sia il grado ultimodell'avvilimento. Mi ha spiegato comelei e le sue compagne erano arrivate alasciarsi ridurre a quel grado dischiavitù (naturalmente, io lo sapevobenissimo) Cinque o sei anni fa, mi hadetto, si guadagnava 70 franchi algiorno, e "per 70 franchi si sarebbeaccettata qualsiasi cosa, ci si sarebbeammazzate sul lavoro" Ancora oggicerte operaie che non ne hannoassolutamente bisogno sono felici diavere, lavorando alla catena, 4 franchiall'ora, più gli straordinari. E chidunque, nel movimento operaio o nelsedicente movimento operaio, ha avutoil coraggio di pensare e di dire, nelperiodo degli alti salari, che si stava

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avvilendo e corrompendo la classeoperaia? E' certo che gli operai hannomeritato la loro sorte: ma laresponsabilità è collettiva e lasofferenza è individuale. Una personache abbia senso di giustizia devepiangere lacrime di sangue se si trovapresa in questo ingranaggio.

Quanto a me, certo, devi chiedertiche cosa mi permette di resistere allatentazione di fuggire, se nessunanecessità mi obbliga a questasofferenza. Te lo spiegherò: si trattadel fatto che persino nei momenti incui veramente non ne posso più, quasinon provo una tentazione simile.Perché queste sofferenze non le sentocome mie, le sento come sofferenzedegli operai; e che personalmente io lesubisca o no, mi pare un particolarequasi indifferente. Così il desiderio diconoscere e di comprendere non hadifficoltà a prevalere.

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Tuttavia, forse, non ce l'avrei fattase mi avessero lasciata inquell'officina infernale. Nel cantucciodove sono ora, sono in compagnia dioperai che non se la prendono. Nonavrei mai pensato che da un angoloall'altro della medesima baracca cipotessero essere differenze così forti.

Via, basta per oggi. Mi dispiacequasi di averti scritto. Sei abbastanzadisgraziato senza che io ti debbavenire a raccontare cose tristi.

Affettuosamente.

S. W.

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FRAMMENTODI LETTERA A

X

Signore,

Ho tardato a risponderle perché ilnostro appuntamento è un po difficile astabilire. Potrò essere a Moulins solopiuttosto tardi nel pomeriggio di lunedì(verso le 4) e ripartirò alle 9. Se le sueoccupazioni le permettono didedicarmi qualche ora inquell'intervallo, verrò. In questo casolei dovrà solo fissarmi unappuntamento preciso, tenendo conto

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che non conosco Moulins. Spero che lacosa possa andare. Credo che avremoreciproco vantaggio a parlarcipiuttosto che scrivere.

Per questo preferisco riservare alnostro prossimo incontro quel che mi èvenuto in mente leggendo le sue lettere.Voglio solo segnalare un'incertezza chemi aveva già preoccupata quando hoascoltato la sua conferenza.

Lei dice: ogni uomo è operatore diserie E animatore di sequenze.

Prima di tutto sarebbe necessario,mi pare, distinguere diverse specie dirapporti fra l'uomo e le sequenze cheintervengono nella sua esistenza, aseconda della sua funzione più o menoattiva verso di esse. Un uomo puòcreare delle sequenze (inventare...);può ricrearne col pensiero, puòeseguirne senza pensarle, può servire

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di occasione a sequenze passate,eseguite da altri, eccetera. Ma tuttoquesto è evidente.

Ecco quel che mi preoccupa un po.Quando lei dice, per esempio, chel'operaio qualificato, quando sia uscitodalla fabbrica, cessa di essereimprigionato nel regno della serie, haevidentemente ragione. Ma che cosa neconclude? Se ne conclude che ogniuomo, per quanto sia oppresso,conserva ancora quotidianamentel'occasione di compiere un attod'uomo, e che dunque non dimette maitotalmente la sua qualità d'uomo:benissimo; ma se ne conclude che lavita di un operaio qualificato dellaRenault o della Citroen è una vitaaccettabile per un uomo che vogliaconservare la dignità umana, non possoseguirla. D'altronde non credo chequesto sia il suo pensiero sono anzipersuasa del contrario ma vorrei la

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massima precisione su questo punto.

"La quantità si muta in qualità",dicono i marxisti, dopo Hegel. Le seriee le sequenze hanno luogo in ogni vitaumana, d'accordo, ma è un problema diproporzione, e si può dire all'ingrossoche c'è un limite al luogo che la seriepuò occupare in una vita umana senzadegradarla.

Del resto penso che su questopunto siamo d'accordo. [...]

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FRAMMENTI[Pagine scritte durante il

periodo della vita di fabbrica(19341935) e nell'anno

seguente]

NOTA: Nei "Frammenti" originalimolte parole sono abbreviate; quiabbiamo preferito trascriverle peresteso per rendere meno faticosol'ascolto in sintesi vocale.

Organizzazione burocratica dellafabbrica: gli uffici, organi dicoordinazione, sono l'anima dellafabbrica. I processi di fabbricazione

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(compresi i segreti) vi hanno sede. Perquesto vi si diminuisce il personalemeno che nei reparti, dove, eccetto icapireparto, i capisquadra, imagazzinieri, eccetera tutto èintercambiabile. I semplici operaianzitutto, e beninteso; ma anche glioperai qualificati. Un tornitore dellaAlsthom potrebbe essere sostituito dauno della Citroen senza che nessuno sene accorga. (Se un operaio qualificatoè legato all'impresa, ciò avvieneesclusivamente tramite la macchina,soprattutto nel caso dei fresatori)

Nelle operaie (senza qualifica),nessun attaccamento alla fabbrica.

Gli operatori: sono dei camerati,con una sfumatura di fraternitàprotettrice. (Una vecchia operaia trovanaturalissimo di farsi guidare da unoperatore di venticinque anni... Lapartecipazione delle donne alla

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produzione industriale ha sicuramentefacilitato la differenziazione dellecategorie) Ma il loro carattere mutaindubbiamente con quello dellaproduzione. Qui, per esempio, ci sonocontinuamente macchine da montare(soprattutto in questo momento,periodo di minuscole ordinazioni checerto, in un periodo più prospero, lafabbrica rifiuterebbe) Là invece doveci sono poche macchine da montare emolta sorveglianza, essi hannomaggiori caratteristiche di capi.

Concorrenza fra operaie.

Quando si ha occasione discambiare uno sguardo con un operaiosia che lo si incontri passando, che glisi chieda qualcosa, o che lo si guardimentre lavora sulla sua macchina lasua prima reazione è sempre il sorriso.E' una cosa bellissima. Una cosasimile accade solo in fabbrica.

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Il direttore è come il re di Francia.Delega le parti poco gradevoli dellasua autorità ai subordinati e serba persé le parti della grazia e dellabenevolenza.

Senso d'essere preda di una grandemacchina ignota. Non si sa a cosaserva il lavoro che si sta facendo, nonsi sa cosa si farà domani, né se ilsalario sarà diminuito. Né se cisaranno licenziamenti.

Carattere POCO ADATTABILEd'ogni grande fabbrica; formidabilequantità d'utensili; specializzazionedelle macchine. Tutto avviene come seci fossero troppo poche macchine,mentre invece ce ne sono troppe.

Il carattere della tecnica edell'organizzazione delle grandifabbriche moderne non è legatosolamente alla produzione in serie ma

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anche alla PRECISIONE DELLEFORME. Quale peraio potrebbe farepezzi esatti come quelli prodotti da unamacchina? Ora uno strumentoSPECIALIZZATO è molto costoso senon si ha una produzione di serie.

Parte artigiana nel lavorodell'operaio. Da studiare.

Esempio: un montatore dellepresse deve saper serrare la vite inmodo che l'utensile ottenga esattamentela trasformazione desiderata e non dipiù (esempio: i miei 100 pezzisbagliati) Fa ad occhio, provando. Ma,beninteso, bisogna che abbia lanecessaria sensibilità.

Insomma che cosa deve saper fareun operatore delle presse?

Sul foglio, gli viene indicatol'utensile. (Nondimeno, in certi casi,bisogna verificare l'efficacia

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dell'utensile in funzione del disegno:certi angoli eccetera) Il magazzinieregli dà il pezzo richiesto o, senecessario, uno più adatto. Deve: 1.

Sapere a quali tipi di macchinequell'utensile può adattarsi. Un utensilepuò convenire a diverse macchine, manon a tutte. Ciò dipende a) dallastruttura (ma credo che, per lastruttura, la maggior parte siequivalgano fra loro), b) dalla forza.La forza necessaria non è, credo,indicata sulla carta (da verificare)Siccome si fanno sempre pressappocole medesime operazioni, l'esperienzadecide. QUESTO PUNTO VASTUDIATO più' ATTENTAMENTE.2. Sapere adattare l'utensile allamacchina per mezzo di un montaggioappropriato (come? da studiare) 3.Montare il supporto il modo che siasotto l'utensile (ci vuole colpod'occhio) e, in caso di bisogno, in

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modo da consentirgli di prendere unaposizione comoda durante il lavoro. 4.Serrare la vite. Credo sia tutto....

Notare che un operatore dellepresse sarebbe perduto di fronte a untornio o a una fresa, e reciprocamente.Dal punto di vista della sicurezzanell'azienda questo, in un certo senso,è un vantaggio; non sarà possibilesostituirli con gente che viene da fuori.In un altro senso è un inconveniente; sealle presse sono troppi, non se ne potràprendere qualcuno per collocarloaltrove. L'inconveniente è più grave.Perché si può sempre sostituirli conoperai qualificati.

Questione da studiare: GLIUTENSILI. Loro forma ed efficacia.

Studiarli anzitutto sulle macchinealle quali lavoro.

Studiare i compiti di un: operaio

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senza qualifica addetto a una macchina(io...); operaio specializzato; operaioqualificato addetto alla produzione (cene sono?); operaio qualificatodell'attrezzaggio; operatore;caposquadra; magazziniere;caporeparto; disegnatore; ingegnere;vicedirettore; direttore.

Trasposizione e corrispondenza: laforma di un attrezzo e la sua azione.

E' possibile LEGGERE l'azionedell'utensile, vedendolo?

Esercitarmi a questa lettura.

Interrogare il magazziniere.

E poi non ci sono soltanto lepresse.

Da annotare: finora ho visto solodue persone contente del loro lavoro:l'operaio del forno, che canta

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continuamente (informarmi un po su dilui); il magazziniere.

Sapere di dove proviene ilcaposquadra.

Osservarlo più costantemente persapere cosa fa (pensarci, un qualchegiorno) Soprattutto scartoffie, misembra. Non sorveglia quasi mai illavoro (rarissime osservazioni aglioperai, sul lavoro) E' difficilissimovederlo vicino a una macchina.

Sapere di dove proviene ilcaporeparto. Che cosa fa?

Lavoro molto più concreto, mipare; osservare quanto tempo passa nelsuo ufficio.

Notazioni sul genere di attenzionerichiesto dal lavoro manuale [matenendo conto 1) del carattere specialedel lavoro che faccio, 2) del mio

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temperamento]

<Quando sarai in turno di sosta,arrangiati per poter uscire ognitanto...>.

<Hai bisogno d'una disciplinadell'attenzione che ti è affatto nuova:saper passare dall'attenzione legataalla riflessione a quella che è liberadalla riflessione. E inversamente.Altrimenti ti degraderai o farai male illavoro: è una disciplina>

Operai specializzati: tutti uomini(tuttavia il magazziniere m'ha detto chec'erano delle tagliatrici specializzate;ma non ho mai veduto una donna starvicino a una macchina se non perguidarla) Montano le proprie macchine(consigliati, se necessario,dall'operatore) Debbono saper leggerei disegni. Come hanno imparato amontare una macchina? CHIARIRE.

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"Operai non specializzati addettialle macchine" Donne, il loro solocontatto con le macchine consiste,pare, nel conoscere i trucchi di ognuna,cioè i vari pericoli di pezzi sbagliatiche ogni macchina comporta. Arrivanoa percepire che qualcosa non va inquesta o in quella macchina con laquale hanno familiarità. Ciò vale perquelle che hanno anni di fabbrica.

Al caporeparto non piace che leoperaie momentaneamente senzalavoro facciano gruppo perchiacchierare. Certo ha paura che cosìpossa formarsi qualche cattivatendenza... Le operaie non sistupiscono affatto di cose di questogenere e non chiedono il perché. Illoro commento è: "I capi, sono fatti percomandare...".

Oggi (giovedì), dramma inofficina. E' stata licenziata un'operaia

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che aveva sbagliato 400 pezzi.Tubercolotica, con un maritodisoccupato un giorno su due e deifigli (avuti da un altro, credo), educatidalla famiglia del padre. Sentimentidelle altre operaie, mescolanza dipietà e di "le sta bene" da scolarette.Era, sembra, una poco buonacompagna e cattiva operaia.Commenti. Si era scusata col buio(dopo le 6,30, tutte le lampadevengono spente) "E io, l'ho pur fatto,questo e quest'altro, senza luce" "Nonavrebbe dovuto rispondere al capo"(aveva rifiutato di fare il lavoro),"avrebbe dovuto andare dalvicedirettore e dirgli: Ho avuto tortoma eccetera" "Quando ci si deveguadagnare la vita si fa quel che sideve fare" "Quando ci si deveguadagnare la vita, bisogna essere piùcoscienziosi(!)"

Alcune operaie:

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La vecchia che è andata in Russianel 1905 che non si "annoiava maiquando viveva sola, perché, la sera,leggeva" che ha una "Schwarmerei"per Tolstoi (Resurrezione: "sublime","quell'uomo capiva l'amore")

Quella che ha un portamento daregina e che ha il marito alla Citroen.

Quella di trentasei anni, che vivecon i genitori. L'alsaziana. Alcunioperai: Il magazziniere.

L'ex aggiustatore e professore diviolino.

Il biondo dall'aria di conquistatore,operaio specializzato.

Jacquot.

Il capo operatore.

Il giovanotto alto, del nord,

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operatore.

Il tipo con occhiali, tanto simpatico(operatore o caposquadra?) Quello delforno che canta sempre.

L'ignoranza totale circa l'oggettodel proprio lavoro è enormementedemoralizzante. Non si ha il senso chedai nostri sforzi esca un PRODOTTO.Non ci si sente affatto produttori. Nonsi ha neppure coscienza del rapportofra lavoro e salario. L'attività parearbitrariamente imposta earbitrariamente retribuita. Si hal'impressione d'essere un po comeragazzi ai quali la madre, per farlistare tranquilli, dà a infilare perlinepromettendo, per dopo, le caramelle.

Sapere se un operaio qualificato?

PROBLEMA DA PORRE ALMAGAZZINIERE: accade chevengano inventati degli attrezzi?

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Domanda: quali ripercussionihanno avuto sullo sviluppo

dell'industria il "Trattato diMeccanica" del d'Alembert e la"Meccanica analitica" di Lagrange?

Principio delle macchine utensili.Gli utensili sono trasformazioni dimovimenti. E' inutile dunque che ilmovimento da trasformare siacompiuto dalla mano.

Domanda: Si possono creareMACCHINE AUTOMATICHEMULTIPLE? Perché no?

Ideale: 1. Che ci fosse autoritàsolo DELL'UOMO SULLA COSA enon DELL'UOMO SULL'UOMO.

2. Che quanto, nel lavoro, non ètraduzione d'un pensiero in atto siaaffidato alla cosa.

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(Che il lavoro PARCELLARIO siacompiuto dalla macchina...) conun'idea universale delle trasformazionidei movimenti...

Che tutte le nozioni di fisicaesprimano DIRETTAMENTE realtàtecniche (ma SOTTO FORMA DIRAPPORTO); ad esempio: potenza.

La potenza che può essere fornitada una macchina mossa da una cinghiadi trasmissione (calcolata in anticiposulla base della forza della macchina),dipende da:

Velocità lineare della cinghia:

Numero dei giri al secondodell'albero principale che gli fornisceil movimento (n fratto 60)

Raggio della puleggia montata suquesto albero a cui è collegata d fratto2.

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Sforzo tangenziale:

Coefficiente di attrito (tg omega)[che aumenta quando lo scorrimentovaria aumentando?]

Pressione (funzione della tensionedell'albero contro t)

Arco avviluppato sull'una e l'altrapuleggia (alfa) n fratto 60 per pi grecod per t(e alla f alfa 1), "e" essendo labase dei logaritmi neperiani.

Differenza tra filettatura, tornitura,fresatura.

Visita al Conservatorio d'arti emestieri.

Ingranaggi, trasformazioni delmovimento. Ricominciare. Nonlasciare la Renault troppo tardi...

Fresa:

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Ritmo ininterrotto (aver semprefatto 2000 e qualche centinaio di pezzialle 7)

Serrare la morsa.

Mettere da parte i pezzi sciupati.

Far cadere i pezzi nella cassa (uncolpo secco, ma non troppo forte)

Raccogliere bene i pezzi cadutinella limatura. Togliere la limatura tuttii giorni. Contare.

Smettere alle 6,30.

Imparare a tagliare più presto lestrisce metalliche (movimento piùcontinuo)

Fare più presto la piallatura(mettere più presto eccetera) Rendersiconto chiaramente, prima d'ogni lavoro(o, per i lavori completamente nuovi,

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dopo qualche tempo) delle difficoltàpossibili (in particolare come lamacchina può perdere la registrazione)e della lista completa degli errori daevitare. Di tanto in tanto ripeterselamentalmente. Non lasciarsi rallentaredalla preoccupazione di difficoltàimmaginarie.

Assumere un ritmo definitosoprattutto da un MOVIMENTOCONTINUO dal pezzo finito al pezzonuovo, dal pezzo introdotto allapressione del pedale.

Sforzarmi sistematicamente diacquistare l'abilità necessaria permettere e ritirare il pezzo, inparticolare il gesto adatto per infilarlonell'incastro (IMPORTANTISSIMO)[Reggere con la mano e spingere conun dito sull'incastro; non prendere MAIil pezzo con la mano]

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Non dimenticare che il SONNO èla cosa più necessaria al lavoro.

Sciocchezze commesse da evitared'ora in poi (rileggere questa lista 2volte al giorno):

1. RIEMPIRE TROPPO LAMACCHINA ([cartoni] PUO'PROVOCARE GRAVI INCIDENTI)

2. NON GUARDARE TROPPODA VICINO UN PEZZO OGNI... (500pezzi sbagliati)

3. NON CONSERVARECAMPIONI.

4. METTERE I PEZZI ALLAROVESCIA (ribaditura; l'ho fatto duevolte; ho rischiato di farlo diversealtre volte)

5. "Pedalare con tutto il corpo".

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6. "Tenere il piede sempreappoggiato sul pedale".

7. LASCIARE UN PEZZO INMACCHINA (si rischia di rovinarel'utensile è una sciocchezza che hocommesso anche alla piallatura)

8. METTERE MALE IL PEZZO(non nell'incastro).

9. "Non mettere l'olio quando sideve".

10. METTERE DUE PEZZI diSEGUITO.

11. ' 'Non osservare la posizionedelle mani dell'operatore".

12. "Non accorgersi quando stasuccedendo qualcosa alla macchina"(anelli con Biol)

13. METTERE LA STRISCIA

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METALLICA AL di LA'DELL'INCASTRO (rotto l'utensilegiovedì 6 marzo)

14. "Pedalare prima che il pezzosia introdotto".

15. "Voltare una strisciametallica già iniziata".

16. Lasciare dei pezzi nonlavorati. OFFICINE DI R. (Signor B.)

Una volta su due un buon operaiofa un cattivo caposquadra [raccontarglila storia di Morillon]

Genio organizzativo: si chiede di"dove viene" (qualcosa che nontiene...).

Lui e l'ingegnere capo hannopressappoco il medesimo campo diazione professionale.

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1418, adattamento dell'attrezzaggioalla produzione di guerra. Metodocartesiano (divisione delle difficoltà)

Giornata occupata da particolari APROPOSITO DEI QUALI si sollevanoi problemi essenziali diorganizzazione.

Regola i particolari 1) che sonofuori del campo dellaRESPONSABILITA' della persona chegli si rivolge, 2) che sono troppodifficili da chiarire.

<Confronta Detoeuf un subordinatoviene a esporgli una difficoltà e quelche sta facendo 9 volte su 10 approva.La decima volta, dà un suggerimentobrillante. L'altro è contento in tutti icasi... Confronta Tolstoi.>

I diagrammi, eccetera. Un CAPOdeve immaginare tutto ciò senzasforzo; è naturale. Ha delle idee

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guardando le statistiche piuttosto chele cose (notevole...).

<Fa anche lavoro da ingegnere;ricerche di nuovi modelli.>

Formazione spirituale: analisichimiche.

Lavoro principale: concordanzadelle operazioni, ritmo...

9 su 10 dei senza qualifica

Fusione della ghisa in caldaie.

Colata della ghisa in stampi disabbia indurita.

Presse a mano; idrauliche perpressare la sabbia. 4 macchine(inventate nel 1927 da un ingegnereuscito dal Conservatorio d'arti emestieri) La sabbia passaautomaticamente, eccetera poi passa

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sotto i rulli c'è un convogliatore sulquale si cola la ghisa. La prima colataè costata 400000 franchi.

Officina trapani, pulitura, molatura,1 donna su di una pressa.

Alcune donne in piedi, una dellequali a una macchina (?) dove bisognasollevare pesi assai gravi.

Officina montaggio.

Ogni operaio fra due scaffali doveci sono, IN ORDINE, tutti i pezzi.Uomini e donne, taluni pezzi moltopesanti...

Officina di smaltatura.

Officina meccanica (qualchetornitore, fresatore, aggiustatore)Doveva essercene un'altra che non hoveduto.

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M. B.: direttore tecnico, una voltasemplice chimico (non diplomato? E'possibile? Chiedere ancoraparticolari)

Incidenti: su una giornatalavorativa in fabbrica, in media laperdita di un'ora...

Diminuzione verticale, questiultimi tempi.

Fonditori: occhiali in vetro triplex.Spesso non li mettono. Perché B. diceche non è dovuto alla cadenza dellavoro, ma perché scomodi (?)

Smaltatori: casse di vetro conaspiratori, per evitare l'intossicazioneda piombo. Taluni mettono la testanella cassa.

Licenziamenti per infrazione airegolamenti di sicurezza.

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I polacchi hanno bisogno diRICEVERE ORDINI.

Commissione di sicurezza coningegneri, disegnatori, capi del

personale, operai nominati da B. (ipiù intelligenti e le "teste calde")

Deve risolvere tutti i problemiinsolubili, soprattutto nei particolari,molti imprevisti... Vengono acercarlo... Riunisce gli ingegneri unavolta la settimana.

Media dei salari: uomini, unatrentina di franchi (32...); le donne:2021 franchi.

M. giovane, 27 anni uscito dallaCentrale da tre anni cresciuto infabbrica... figlio maggiore.

Matematica superiore: ginnasticaspirituale. Secondo lui, insostituibile.

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II suo atteggiamento conl'automobilista in "panne"; reazione disua madre e dell'orribile borghese ["ilsuo motore non funziona mica colvino", "non parlate al conducente"!!!]

La signora M.

L'orribile borghese...

Bisogna essere DURI perconservare la chiarezza e la precisionedi spirito, la decisione?

Anche le matematiche superiorinon sarebbero (confronta Chartier) unmezzo di "formare l'attenzioneuccidendo la riflessione"?

Che parte ha il denaro, in personecome quelle? Chiedere a D.

Chi determina l'attrezzaggio?L'acquisto delle macchine (sempre D.in persona) eccetera? E secondo quali

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regole?

Al tornitore.

Deve fare dei calcoli?

Guihéneuf. " E' l'esperienza" .Eppure D.?

Ritmo ininterrotto. Ce n'è maibisogno nel lavoro manuale? Lamacchina dispensa il pensierodall'intervenire, anche IN MISURALIMITATISSIMA, anche con lasemplice coscienza delle operazionicompiute: il ritmo glielo vieta.(Guihéneuf e le sue maniglie...).

Visita a G.

Biografia: falegname, 3 anni discuola professionale, dove ha subitol'influenza di un professore socialista.Ha subito anche, da vecchi operai,l'influenza della tradizione delle

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corporazioni di mestiere. Ha il suo"tour de France", andando in ogni cittàalla sede del suo sindacato (è statosubito sindacalista, non socialista), haseguito scuole serali, s'è istruito intutto quello che concerne lalavorazione del legno. Chiamato allearmi a metà del '17 è stato arruolatonell'aviazione e mandato in una scuola.Al momento dell'armistizio, sempresotto le armi, comandato a Parigi in unministero. In congedo nel '20 halavorato in fabbriche per l'aviazione(?) Parte per la Russia ('23) Vi lavoracome operaio in una fabbrica di aerei.Inviato in Siberia come ispettore di ungrosso impianto per la produzione dellegname, passa direttore di fabbrica; viRADDOPPIA la produzione senzamutare attrezzatura. Diventa poidirettore del "trust" (sempre membrodel partito, dov'era entrato in Francianel '21, dietro l'esempio di Monatte)Meditatamente disgustato dal regime,

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chiede di studiare. Riceve una borsa distudio. Digerisce in pochi mesi lamatematica di secondo grado, superal'esame d'ammissione. Studia 3 anni.Ingegnere per 6 mesi in un'officina

d'aviazione (motori) Torna inFrancia nel gennaio '34. Senza lavoro,cerca invano un posto d'ingegnere, dicorrettore, eccetera. Finisce perentrare come tornitore (non avendoMAI lavorato a un tornio) in unapiccola officina della quale conosce ilcaposquadra (uomo vanitoso ebrutale), lavora a cottimo. Tornio nonautomatico, del medesimo tipo diquello dell'attrezzaggio. Dopo duegiorni, raggiunge le norme. E' lì daquasi un anno, non ha mai avuto nessunguaio serio. Ma stanco e avvilito.

Informazioni:

Sulla Russia:

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Specialisti del Gosplan, acquistanola necessaria sensibilità, difficilmentesostituibili ora, saranno insostituibilifra 10 anni.

Sul lavoro operaio:

Non si può pensare ad altro, non sipuò pensare a nulla.

Sulla tecnica:

Funzione della matematica.

Vantaggi di chi l'ha studiata.

Tecnici molto elevati cheLEGGONO la matematica come unlinguaggio attraverso il quale scorgonodirettamente le realtà.

Esempio: comprendono un librotecnico in una lingua stranierasconosciuta meglio che seconoscessero la lingua senza però

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capire le formule (???)

Il "Racine" di Tal. Un'idea: lamorte, sempre presente nelle suetragedie; eroi che, tutti, fin dalprincipio, corrono verso la morte. Lamorte è in loro (Ifigenia...). Il contrarioin Omero, in Sofocle; il drammaconsiste nel fatto d'essere povera gente("deiloisi brotoisi") che vorrebberovivere, che sono, loro, schiacciati daun destino esterno a loro che li spezzafin nel profondo di loro stessi (Aiace,Edipo, Elettra)

Umanità comune. La tragedia diRacine è proprio una tragedia di corte.Solo il potere può creare un similedeserto nelle anime. Poeta INUMANO,perché se tale fosse la "condizioneumana", come dice T., saremmo giàmorti tutti quanti.

Quello che in Racine è sempre

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umiliato: l'orgoglio. (Con qualeinsolenza e crudeltà... Tu piangi,sventurata... D'un rifiuto crudele...). E'la fierezza in Omero, in Sofocle.

Confrontare:

"Andromaque, sans vous,

n'aurait jamais d'un maitreembrassé les genoux"

[Andromaca, senza di voi,

mai avrebbe d'un maestroabbracciato le ginocchia]

(questa è la servitù delCORTIGIANO, la servitù non fisica; èchiaro che l'Andromaca di Racine nontesse la lana, non porta l'acqua. Uncaposquadra ci umilia in modo assaidiverso... ) e: ".tesserai la tela perun'altra donna / e porterai l'acqua dellaMesseide e dell'Ipereo / contro tua

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voglia, premuta da una dura necessità"[N.d. T: in greco nel testo originale,Iliade, 6, 4568]

Il potere. Le sue specie, i suoigradi, la profonda trasformazione cheopera nelle anime. Capitano emarinaio

(Peisson) Caporeparto (Mouquet)e operaio....

Altro argomento: in Omero,Achille sa correre eccetera. Ettore,domatore di cavalli. Ulisse. InSofocle, Filottete eccetera. Agli eroidi Racine non resta che il poterePURO, senza alcuna capacità reale(Ippolito, personaggio tragico proprioperché corre verso la morte).

Nulla di strano sul fatto che Racineabbia avuto una tranquillissima vitaprivata. In conclusione le sue tragediesono fredde, non hanno nulla di

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doloroso. Dolorosa è solo la sortedell'uomo che vuole vivere e non ciriesce (Aiace)

(I personaggi di Racine sono,appunto, astrazioni, nel senso che sonogià morti) [Chi ha detto che Racinequando scrive la parola morte nonpensa alla morte? E' verissimo.Confronta la sua estrema paura dimorire. Invece per i suoi eroi Tal. l'hacapito benissimo la morte è la finedella tensione. Bisogna avere solo 25anni per credere che questo sia unpoeta umano... ]

Domande che debbo pormi:

Importanza dell'abilità manuale nellavoro con la macchina. Carattere piùo meno cosciente di questa abilitàmanuale.

<Confronta magazziniere e, alcontrario, operatori, soprattutto quel

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rozzo bruto che è Leon.>

Idea universale del lavoromeccanico: combinazione dimovimenti, per esempio: fresaggio,mettere in luce l'idea pura in questiesempi bene ordinati....

<Chartier ha solo una concezionesuperficiale ed elementare delmacchinismo.>

Analogia fra lavoro e geometria...

La fisica dovrebbe essere divisa indue parti: 1) i fenomeni naturali chesono oggetto di contemplazione(astronomia); 2) i fenomeni naturaliche sono materia e ostacolo dellavoro.

Bisognerebbe non separaregeometria, fisica e meccanica

(pratica)

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NUOVO MODO DI RAGIONAREche sia assolutamente PURO; al tempostesso intuitivo e concreto.

Descartes è ancora troppo pocoliberato dal SILLOGISMO.

Rimeditare sulla "conoscenza diterzo genere" da collegare al teorema:"più il corpo è capace... più l'animaama Iddio".

Sapere se vi sono nella fabbricaproblemi difficoltà complicazioni ospese evitabili delle quali nessuno sioccupa; perché nessuno ne èresponsabile. Ma, come fare asaperlo? Interrogare Det.? Difficile,perché per definizione ignorerebbequeste cose.

Il lavoro può essere penoso (eanche molto penoso) in due modi. Lasofferenza può essere avvertita comequella d'una lotta vittoriosa sulla

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materia e su di sé (FORNO) o comequella d'una servitù degradante (i 1000pezzi di rame a 0,45% della sesta esettima settimana eccetera) [Ci sono,mi sembra, dei gradi intermedi] In checosa consiste la differenza? Il salario,credo, vi ha la sua parte. Ma il fattoreessenziale è certamente la NATURADELLA SOFFERENZA. Bisognerebbestudiarla da vicino per discriminarenettamente e, se possibile, classificare.

Una CRITICA della matematicasarebbe relativamente facile.Bisognerebbe farla da un punto di vistaassolutamente materialista: gliSTRUMENTI (i segni) hanno traditoquei grandi spiriti che furonoDescartes, Lagrange, Gallois e tantialtri. Descartes, nelle "Regulae", s'èaccorto che la questione dei segni eraessenziale, e non già solo quella dellaloro esattezza e precisione bensìquella delle qualità in apparenza

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secondarie come la maneggiabilità, lafacilità eccetera che sembranocomportare solo differenze di grado;ma in realtà non è affatto così e là piùche altrove "la quantità si muta inqualità" Ma Descartes s'è fermato amezza strada e la sua "Geometrie" èquasi quella d'un matematico volgare(benché di prim'ordine) Una criticaminuziosa dei segni sarebbe facile eutile. Ma un saggio positivo, questo èil difficile.

<Segni e burocrazia.>

Ricercare le condizioniMATERIALI del pensiero chiaro.

Come sarebbe facile (e difficile!)trovare gioia in tutti i contatti con ilmondo!

In che consiste la difficoltàdell'esercizio mentale? Nel fatto che sipuò veramente riflettere solo sul

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particolare, laddove l'oggetto dellariflessione è essenzialmentel'universale. Si ignora come i greciabbiano risolta questa difficoltà. Imoderni l'hanno risolta mediante segniRAPPRESENTANTI QUEL CHE E'COMUNE A più' COSE. Ora, questasoluzione non è buona. La mia è...

(Descartes avrebbe vedutol'enorme squilibrio fra le "Regulae" ela "Geometrie", non avesse commessol'imperdonabile errore di redigerequest'ultima come un qualsiasimatematico)

Dei due modi di comprendere unadimostrazione.

In qualsiasi operazione matematicabisogna distinguere due cose:

1. Dati dei segni, con leggiconvenzionali, che cosa si può saperedei loro reciproci rapporti?

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Bisognerebbe arrivare a unaconcezione assai chiara dellecombinazioni dei segni in modo daformare una teoria universale diTUTTE le combinazioni segnicheprese IN QUANTO TALI (teoria deigruppi?)

2. Rapporto fra combinazioni deisegni e problemi reali posti dallanatura (rapporto che consiste semprein un'ANALOGIA)

Per quanto riguarda lecombinazioni di segni come tali,necessità di un catalogo completodelle difficoltà tenendo conto di quelleche riguardano il tempo e lo spazio.

Per quanto concerne l'applicazioneuno studio accorto lascerebbeindubbiamente scorgere che essa nonriposa affatto sulla proprietà dirappresentare le cose che sarebbero

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contenute nei segni (qualità occulte),bensì su di un'ANALOGIA DELLEOPERAZIONI.

CI VORREBBE UNA LISTADELLE APPLICAZIONI DELLAMATEMATICA.

Non esiste una concezione generaledella scienza....

Movimento ascendente ediscendente perpetuo dalle cose aisimboli (a simboli sempre più astratti)e dai simboli alle cose. Esempio:geometria e teoria dei gruppi(invarianti... ) [continuodiscontinuo...].

Fare un elenco delle difficoltà dellavoro? Difficile.

E una serie dei lavori? Lameccanica come quella che ha ilMAGGIOR NUMERO DI RAPPORTI

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con la matematica.

Anche SERIE DEI SEGNI nellosforzo perpetuo di coloro che li creanoper renderne le combinazioni semprepiù analoghe alle condizioni reali dellavoro umano.

Padrone e servitore. Oggi,servitori ASSOLUTAMENTEservitori, senza l'inversione hegeliana.

A causa del dominio delle forzedella natura....

In tutte le altre forme di schiavitù,la schiavitù è nelle circostanze. Soloqui è trasferita nel lavoro stesso.

Effetti della schiavitù sull'anima.

Quel che conta in una vita umananon sono gli eventi che vi dominano ilcorso degli anni o anche dei mesi enemmeno dei giorni. E' il modo con il

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quale ogni minuto si connette al minutoseguente e quel che a ognuno costa, nelcorpo, nel cuore, nell'anima esoprattutto nell'esercizio della facoltàd'attenzione compiere, minuto perminuto, quella connessione.

Scrivessi un romanzo, fareiqualcosa di completamente nuovo.

Conrad: unione fra il veromarinaio (un capo, evidentemente) e lasua imbarcazione, tale che ogni ordinedeve venire per ispirazione, senzaesitazione né incertezza. Ciò supponeun REGIME DELL'ATTENZIONEmolto diverso tanto dalla riflessionequanto dal lavoro asservito.

Domande:

1. C'è talvolta una simile unionefra l'operaio e la sua macchina?(difficile saperlo)

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2. Quali sono le condizioni diun'unione simile: 1) nella strutturadella macchina; 2) nella cultura tecnicadell'operaio; 3) nella natura dellavoro.

Questa unione è evidentemente lacondizione d'una felicità intera. Soloessa fa del lavoro un equivalentedell'arte.

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LETTERE A UNINGEGNERE

DIRETTORE DIFABBRICA

[NOTA: Questo ingegnere avevafondato una piccola rivista operaia, ilcui titolo era "Entre Nous" (Fra noi)].

Bourges, 13 gennaio 1936.

Signore,

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Non posso dire che la sua rispostami abbia stupita. Ne speravo unadiversa, ma senza contarci troppo.

Non cercherò di difendere il mioscritto (1) che lei ha rifiutato. Se leifosse cattolico non resisterei allatentazione di dimostrarle comel'ispirazione del mio articolo, che l'haurtata, non è altro che il puro esemplice spirito cristiano; non credoche sarebbe difficile. Ma non hopossibilità di impiegare con leiargomenti simili. D'altronde, nonvoglio discutere. Lei è il capo e nondeve rendere conto delle sue decisioni.

Voglio solo dire che la "tendenza"che le è parsa inammissibile era statada me intenzionalmente sviluppata; eper deliberato proposito. Lei m'hadetto, ripeto le sue precise parole, cheè molto difficile educare gli operai. Ilprimo dei principi pedagogici è che,

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per educare qualcuno, fanciullo oadulto, bisogna anzitutto innalzarlo aipropri occhi (2) Ciò è cento volte piùvero quando il principale ostacolo allosviluppo risiede in condizioni di vitaumilianti.

Questo fatto è per me il punto dipartenza d'ogni tentativo efficaced'azione verso le masse popolari esoprattutto verso gli operai difabbrica. E, lo capisco benissimo,quello che lei non ammette è proprioquesto punto di partenza. Nellasperanza di farglielo ammettere epoiché la sorte di ottocento operai ènelle sue mani, m'ero fatta forza perdirle senza riserve quel che la miaesperienza m'aveva lasciato sul cuore.Ho dovuto fare uno sforzo penoso sume stessa per dirle cose che è appenasopportabile confidare ai propri egualie delle quali è intollerabile parlare difronte ad un capo. M'era parso di

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averla commossa. Ma avevo torto disperare che un'ora di conversazionepotesse vincere la pressione delleoccupazioni quotidiane. Comandarenon rende facile porsi dal punto divista di chi ubbidisce.

A parer mio, la ragione essenzialedella mia collaborazione al suogiornale consiste nel fatto che la miaesperienza dell'anno scorso mipermette forse di scrivere in modo daalleviare un po il peso delleumiliazioni che giorno dopo giorno lavita impone agli operai di R. come atutti gli operai delle fabbrichemoderne. Non è questo il solo miofine, ma è, ne sono persuasa, lacondizione essenziale per allargare illoro orizzonte. Non c'è nulla cheparalizzi il pensiero più del senso diinferiorità necessariamente impostodai colpi quotidiani della povertà,della subordinazione, della

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dipendenza. La prima cosa da fare perloro è aiutarli a ritrovare o aconservare, secondo i casi, lacoscienza della loro dignità. So anchetroppo quanto sia difficile, in unasimile situazione, conservare quellacoscienza e come allora può essereprezioso qualsiasi aiuto morale.Speravo di tutto cuore, mediante la miacollaborazione al suo giornale, dipoter portare una piccola parte di taleaiuto agli operai di R.

Credo che lei non si faccia un'ideaesatta di quel che precisamente sia lacoscienza di classe. A parer mio essanon può essere eccitata da sempliciparole pronunciate o scritte. E'determinata dalle effettive condizionidi vita. Le umiliazioni, le sofferenzeimposte, la subordinazione lasuscitano; la pressione inesorabile equotidiana della necessità non cessamai di reprimerla e spesso fino al

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punto di volgerla, nei caratteri piùdeboli, in servilismo. Al di fuori diquei momenti eccezionali che non èpossibile, credo, né provocare néevitare e nemmeno prevedere, lapressione della necessità è semprelargamente sufficiente per mantenerel'ordine; perché il rapporto di forze èfin troppo evidente. Ma, se si pensaalla salute morale degli operai, laperpetua compressione d'una coscienzadi classe che cova sempre sordamente(qualunque sia il grado della suaintensità) è quasi sempre maggiore diquanto sia auspicabile. Dare talvoltaespressione a quella coscienza senzademagogia, beninteso non vorrebbedire eccitarla, ma anzi addolcirnel'amarezza. Per gli sventurati,l'inferiorità sociale è tanto einfinitamente più pesante a portare inquanto ovunque essa viene presentatacome qualcosa di assolutamentenaturale.

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Soprattutto non vedo come articolisimili al mio potrebbero avere uneffetto tanto cattivo qualora venisseropubblicati sul suo giornale. Inqualsiasi altro giornale potrebbero, arigore, dar l'impressione di voleremettere i poveri contro i ricchi, isubordinati contro i capi; ma, stampatoin un giornale controllato da lei, unsimile articolo può dare agli operaisolo l'impressione che si stia facendoun passo verso di loro, che si stiacompiendo uno sforzo percomprenderli. Penso che glienesarebbero riconoscenti. Sono convintache se gli operai di R. potesserotrovare nel suo giornale articoliveramente fatti per loro, nei quali ci siprendesse attenta cura di tutte le lorosuscettibilità perché la suscettibilitàdegli infelici, benché muta, è viva enei quali fosse sviluppato tutto quelche può innalzarli ai loro stessi occhi,ne risulterebbe da qualsiasi punto di

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vista, un bene.

Quel che invece può eccitare lacoscienza di classe sono le frasiinfelici, provocate da un'incoscientecrudeltà, che pongono indirettamentel'accento sull'inferiorità sociale deilettori. Quelle frasi infelici, nellacollezione del suo giornale, sononumerose. Se vorrà, gliele segnaleròalla prossima occasione. Forse èimpossibile avere tatto nei confronti diquella gente quando da troppo tempoci si trova in una situazione troppodiversa dalla loro.

D'altra parte, può essere che leragioni che lei mi presenta per scartarei miei due suggerimenti sianogiustissimi. La questione è tuttaviarelativamente secondaria.

La ringrazio di avermi inviato gliultimi numeri del giornale.

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Mi asterrò dal venirla a cercare aR. per la ragione che le ho detto, se leicontinua a essere disposto adassumermi come operaia. Ma homotivo di ritenere che le suedisposizioni nei miei confronti abbianosubito un mutamento. Un simileprogetto, per riuscire, esige un gradoelevato di fiducia e di mutuacomprensione.

Se lei non è più disposto adassumermi o se il signor M. (3) vi sioppone, verrò certamente a R., comelei ha cortesemente volutopermettermi, non appena troverò iltempo. L'avvertirò in anticipo.

Gradisca i miei distinti saluti.

S. Weil

NOTE

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NOTA 1: Vedi il testo in calce allalettera "Un appello agli operai di R.".

NOTA 2: Gioco di parole sulverbo "élever" che indica sia educareche innalzare.

NOTA 3: M. è il proprietario dellafabbrica.

UN APPELLO AGLI OPERAI DIR.

Cari amici sconosciuti che faticatenelle officine di R. faccio appello avoi. Vi chiedo di collaborare a "EntreNous".

Non c'è proprio bisogno di lavorosupplementare, penserete. Ce n'è asufficienza anche così.

Avete perfettamente ragione.Eppure vengo a chiedervi di volerprendere carta e calamaio e di parlare

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un po del vostro lavoro.

Non prendetevela. Lo so: quandosi sono fatte le proprie otto ore, se neha abbastanza, se ne ha fin qui, perimpiegare espressioni che hanno ilmerito di dire benissimo quel chevogliono dire. Si chiede una cosa sola:di non dover più pensare alla fabbricafino alla mattina dopo. E' uno statod'animo naturalissimo ed è beneseguirlo. Quando si è in quello statod'animo non c'è nulla di meglio da fareche riposarsi; chiacchierare con gliamici, leggere qualcosa che distragga,prendere l'aperitivo, fare una partita acarte, giocare coi propri ragazzi.

Ma non ci sono anche certi giorniin cui vi pesa di non potervi sfogaremai, di dover sempre tenere per voiquel avete sullo stomaco? Io mirivolgo a coloro che conoscono questogenere di sofferenza. Forse taluni fra

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voi non l'hanno mai provata. Ma,quando la si prova, è una vera epropria sofferenza.

In fabbrica, siete lì solo pereseguire ordini, consegnare pezziconformi agli ordini e ricevere, ilgiorno di paga, la quantità di denarodeterminata dal numero dei pezzi edalle tariffe. Oltre a questo, sieteuomini: faticate, soffrite, avete anchemomenti di gioia, forse ore gradevoli;talora potete anche un po lasciarviandare, talaltra siete costretti a faresforzi tremendi su voi stessi; certecose vi interessano, altre vi annoiano.Ma, di tutto questo, non c'è intorno avoi nessuno che si occupi. Voi stessisiete costretti a non occuparvene. Solodei pezzi vi vengono chiesti, solo deidenari vi vengono dati.

Talvolta questa situazione èpesante, non è vero? Si ha talvolta

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l'impressione di essere solo unmacchina per produrre.

Queste sono le condizioni dellavoro industriale. Non è colpa dinessuno. Forse, fra voi, ci sono anchequelli che sopportano senza soffrire. E'questione di temperamento. Ma ci sonocaratteri sensibili a queste cose. Pergli uomini di quei caratteri, un similestato di cose è insomma troppo duro.

Vorrei che "Entre Nous" servisse arimediare un po questa situazione, sevorrete darmi un aiuto.

Ecco cosa vi chiedo. Se una sera ouna domenica, improvvisamente, vi famale dover sempre chiudere in voi siquel che vi pesa sull'anima, prendetecarta e penna. Non cercate frasidifficili. Scrivete le prime parole chevi verranno in mente. E dite che cos'è,per voi, il vostro lavoro.

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Dite se il lavoro vi fa soffrire,raccontate quelle sofferenze, e sianotanto quelle morali quanto quellefisiche. Dite se ci sono momenti chenon ne potete più; se talvolta lamonotonia del lavoro vi disgusta; sesoffrite di essere sempre preoccupatidalla necessità d'andare presto; sesoffrite di essere sempre agli ordini diun capo.

Dite anche se provate talvolta lagioia del lavoro, la fierezza dellosforzo compiuto. Se vi accade diprendere interesse a quel che statefacendo. Se certi giorni vi fa piacereaccorgervi che il lavoro va presto, eche quindi state guadagnando bene. Setalvolta potete passare delle ore alavorare macchinalmente, quasi senzaaccorgervene, pensando ad altro,lasciandovi andare a gradevolifantasticherie. Se siete contenti,qualche volta, di dover solo eseguire

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compiti che altri vi dà senza averebisogno di faticare di cervello.

Dite, in generale, se trovate lungoil tempo trascorso in officina, o breve.Forse dipende dai giorni. Cercateallora di rendervi conto da che cosadipenda esattamente.

Dite se siete pieni di buona volontàquando andate al lavoro oppure se tuttele mattine pensate: "Viva la sirenadell'uscita!" Dite se la sera usciteallegramente oppure se siete sfiniti,svuotati, ammazzati dalla giornata dilavoro.

Dite infine se, in officina, vi sentitesostenuti dal conforto di trovarvi inmezzo ad amici o, invece, se vi sentitesoli.

Soprattutto dite tutto quello che viverrà in mente, tutto ciò che vi pesasull'anima.

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E quando avrete scritto sarà inutilefirmare. E cercherete anche di fare inmodo che non si possa capire chi siete.

Per di più, siccome questaprecauzione rischia di non esseresufficiente, ne prenderete, se vorrete,un'altra. Invece di mandare a "EntreNous" quel che avrete scritto, lomanderete a me. Io ricopierò i vostriarticoli per "Entre Nous", maaggiustandoli in modo che nessunopossa riconoscersi in essi. Dividerò ilmedesimo articolo in varie parti, oqualche volta metterò insieme partidiverse. Le frasi imprudenti, farò inmodo che non si possa nemmenosapere da quale reparto vengono. Se cisaranno frasi che mi parrà pericolosoper voi pubblicare anche con questeprecauzioni, le sopprimerò. Siate certiche farò ben attenzione. So qual è lasituazione d'un operaio in una fabbrica.Per nulla al mondo vorrei che

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capitasse un guaio a qualcuno di voi.

In questo modo vi potreteesprimere liberamente, senza nessunapreoccupazione di prudenza. Voi nonmi conoscete. Ma lo sentite, vero, chevoglio solo esservi utile e che pernulla al mondo vorrei nuocervi? Nonho nessun compito di responsabilitànella fabbricazione delle cucineeconomiche. Quel che mi interessa èsolo il benessere fisico e morale dicoloro che le fabbricano.

Esprimetevi in tutta sincerità. Nonattenuate nulla, non esagerate nulla, néin bene né in male. Penso che vi saràdi qualche sollievo poter dire la veritàsenza riserve.

I vostri compagni vi leggeranno. Sela pensano come voi, saranno bencontenti di vedere stampate cose cheforse si agitavano in fondo al loro

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cuore senza potersi tradurre inparole; o forse cose che avrebberosaputo esprimere ma che forzatamentetacevano. Se la pensano diversamente,prenderanno la penna in mano, a lorovolta, per spiegarsi. In ogni modo vicapirete meglio gli uni con gli altri.Sarà tanto di guadagnato per il vostrocameratismo e sarà già un gran bene.

Anche i vostri capi vi leggeranno.Quel che leggeranno non sarà lorosempre gradito, forse. Non haimportanza. Non farà loro male doverascoltare delle sgradevoli verità.

Vi capiranno molto meglio dopoavervi letti. Assai spesso ci sono deicapi, uomini, in fondo, buoni, che sidimostrano duri solo perché noncapiscono. La natura umana è fattacosì. Gli uomini non sanno maimettersi gli uni nei panni degli altri.

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Forse troveranno il modo dirimediare, almeno in parte, ad alcunesofferenze che avrete segnalate.Dimostrano molta ingegnosità nellafabbricazione delle cucineeconomiche, i vostri capi. Chissà chenon possano dare eguale prova diingegno nell'organizzazione dicondizioni di lavoro più umane? Aloro non manca certo la buona volontà.La miglior prova è il fatto che questepagine compaiono su "Entre Nous"

Purtroppo la loro buona volontànon basta. Le difficoltà sono immense.Anzitutto la spietata legge delrendimento pesa su voi come sui vostricapi; pesa col suo peso inumano sututta la vita industriale. Non si puòignorarla. Bisogna piegarsi, finchéesiste. Tutto quel che si può fare,provvisoriamente, è ingegnarsi a girargli ostacoli; cercare l'organizzazionepiù umana che sia compatibile con un

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dato rendimento.

Però, ecco quel che complica tutto.Voi siete quelli che sopportano la partemaggiore del peso del regimeindustriale; e non siete voi che poteterisolvere e nemmeno porre i problemiorganizzativi. Sono i vostri capi chehanno la responsabilitàdell'organizzazione. Ora, i vostri capi,come tutti gli uomini, giudicano le cosedal loro punto di vista e non dalvostro. Non si rendono ben conto delvostro modo di vivere. Ignorano quelche pensate. Anche quelli che sonostati operai hanno dimenticato moltecose.

La mia proposta vi permetterebbeforse di far loro comprendere quel cheora non comprendono e ciò senzapericolo né umiliazione da partevostra. Da parte loro, può darsi che,per rispondere, si serviranno anch'essi

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di "Entre Nous"

Forse vi faranno conoscere gliostacoli che impongono loro lenecessità dell'organizzazioneindustriale.

La grande industria è quel che è. Ilmeno che si possa dire è che essaimpone dure condizioni di esistenza.Ma non siete né voi né i vostri padroniche potete trasformarla in un prossimoavvenire.

In una situazione simile, ecco, misembra, quel che sarebbe l'ideale.Bisognerebbe che i capicomprendessero qual è esattamente lasorte degli uomini che essi impieganocome manodopera. E bisognerebbe chela loro preoccupazione dominantefosse non già quella di aumentaresempre il rendimento al massimo ma diorganizzare le condizioni del lavoro

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più umane compatibili con ilrendimento indispensabile all'esistenzadella fabbrica.

Sarebbe necessario, d'altra parte,che gli operai conoscessero ecomprendessero le necessità cui èsottoposta la vita della fabbrica.Potrebbero così controllare eapprezzare la buona volontà dei capi.Perderebbero il senso d'esseresottoposti a ordini arbitrari e leinevitabili sofferenze diverrebberoforse meno amare a sopportarsi.

Certo, questo ideale non èrealizzabile. Le preoccupazioniquotidiane pesano troppo sugli uni esugli altri. E poi il rapporto fra capo esubordinato non è di quelli chefacilitano la reciproca comprensione.Non si capiscono mai completamentecoloro cui si danno ordini. E nemmenosi comprendono mai completamente

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coloro dai quali si ricevono ordini.

A questo punto ideale si può forseavvicinarsi. Tentarlo, dipende da voi.Anche se i vostri articoli non avesseroper risultato seri miglioramenti pratici,avrete pur sempre avuto lasoddisfazione di avere espresso unabuona volta il vostro punto di vistapersonale.

Allora siamo intesi, no? Conto diricevere ben presto molti articoli.

Non voglio chiudere senza averringraziato di tutto cuore il signor M.B. per aver consentito la pubblicazionedi questo appello.

Bourges, 31 gennaio 1936.

Signore,

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La sua lettera vanifica tutti i motiviche mi distoglievano dal venire a R.Verrò dunque a farle visita (a meno chenon voglia disporre diversamente)venerdì 14 febbraio dopo pranzo.

Lei trova troppo nera l'immagineche mi faccio delle condizioni moralidi vita degli operai. Che cosa possorisponderle, se non ripeterle perquanto mi sia penosa una simileconfessione che ho incontratoun'incredibile difficoltà, io, aconservare il senso della mia propriadignità? A parlare più francamente,l'ho quasi completamente perduta alprimo urto di un mutamento di vitatanto brutale e ho dovuto ritrovarla conmolta pena. Un giorno mi sono resaconto che poche settimane di quellavita erano quasi state sufficienti atrasformarmi in un docile animale dasoma, e che solamente la domenicariprendevo qualche coscienza di me

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stessa. Mi sono allora chiesta conspavento cosa sarei diventata se i casidella vita avessero dovuto pormi nellasituazione di dover lavorare in quelmodo senza riposo settimanale. Misono giurata di non abbandonare quellacondizione operaia finché non avessiimparato a sopportarla in modo daconservare intatto il senso della miadignità di essere umano. Ho mantenutola mia promessa. Ma ho sperimentatofino all'ultimo giorno che quel sensodoveva sempre essere riconquistatoperché le condizioni di esistenza locancellavano sempre e tendevano ariabbassarmi al livello di un animaleda soma.

Mi sarebbe facile e gradevolementire un poco a me stessa, edimenticare tutto questo. Mi sarebbestato facile non provarlo, solo cheavessi fatto quella esperienza comeuna specie di gioco, simile a un

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esploratore che si reca a vivere inmezzo a lontane popolazioni, senzaperò dimenticare mai che è straniero inmezzo a esse. Anzi, allontanavosistematicamente tutto quel che potevaricordarmi che quella esperienza erasolo una semplice esperienza.

Lei può contestare la legittimitàdella mia generalizzazione. L'ho fattoio stessa. Mi sono detta che, forse, nongià le condizioni di vita erano troppodure, ma che era insufficiente la miaforza di carattere. E tuttavia non mimancava completamente se ho saputoresistere fino alla data che mi eroprefissa in anticipo.

Ero, è vero, molto inferiore comeresistenza fisica alla maggior parte deimiei compagni di lavorofortunatamente per loro e la vita difabbrica opprime in modo ben diversoquando pesa sul corpo ventiquattro ore

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su ventiquattro (che tale era spesso ilcaso mio), di quando pesa solo ottoore, come nel caso dei più robusti. Maaltre circostanze compensavanolargamente quella ineguaglianza.

Del resto varie confidenze osemiconfidenze di operaie hannoconfermato le mie espressioni.

Rimane il problema delladifferenza fra R. e le fabbriche che hoconosciuto. In che cosa può consisterequesta differenza? A parte la vicinanzadella campagna; nelle dimensioniforse? Ma la mia prima fabbrica erauna fabbrica di 300 operai, dove ildirettore credeva di conoscere bene ilsuo personale. Nei servizi sociali?Quale che possa esserne l'utilitàmateriale, essi, temo, non hanno fatto,dal punto di vista morale, cheaccrescere la situazione di dipendenza.Nei frequenti contatti fra superiori e

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inferiori? Faccio fatica a immaginarmiche possano costituire un confortomorale per gli inferiori. C'è ancoraaltro? Chiedo solo di saperlo.

Quel che mi ha raccontato sulsilenzio di tutti quelli che eranopresenti all'ultima assemblea generaledella cooperativa non fa checonfermare anche troppo, mi sembra,le sue supposizioni. Lei non ci èandato temendo di togliere loro ilcoraggio di parlare; eppure nessuno haosato dire nulla. I risultati costantidelle elezioni municipali mi paionoaltrettanto significativi e poi non possodimenticare gli sguardi dei formatori,quando passavo in mezzo a loro afianco del figlio del padrone.

L'argomento suo che ha per memaggior forza, benché siaassolutamente senza rapporto con ilproblema, è la sua impossibilità a

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credermi senza perderesimultaneamente quasi ogni stimolo allavoro. Effettivamente, non mi vedreipunto, io, alla testa di una fabbrica,anche supponendo di possedere lecapacità necessarie. Questaconsiderazione non muta per nulla ilmio punto di vista, ma mi toglielargamente il desiderio di vederlocondiviso da lei. Creda, non mirisolvo a cuor leggero a pronunciarequeste affermazioni demoralizzanti.Ma, su un problema simile, dovreinasconderle quella che penso sia laverità?

Bisogna perdonarmi se pronunciola parola capo con un qualche eccessodi amarezza. E' molto difficile nonfarlo quando si è subita una talesubordinazione; e quando non la sidimentica. Risponde esattamente averità che lei si è curato diparteciparmi tutti i suoi argomenti

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relativi al mio articolo e che nonavevo il diritto di esprimermi, comeho fatto, su quell'argomento.

Lei esagera un po’ supponendo cheio metta a suo carico un enormepassivo, senza scrivere nulla all'attivo.Quel che metto al passivo, lo metto alpassivo della funzione invece chedell'uomo. E so almeno che, all'attivo,bisogna contare le intenzioni. Ammettoben volentieri che ci sono anche dellerealizzazioni; ma sono convinta che cene sono molto meno e di un'importanzamolto minore di quanto non si siaportati a credere quando si vedono lecose dall'alto. Quando si è in alto, si èin una posizione passiva per valutare;e, quando si è in basso, per agire.Penso che sia questa, in genere, unadelle cause essenziali delle sventureumane. Per questo io stessa sonovoluta andare in basso, e forse ciritornerò. Anche per questo

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desidererei tanto poter collaborare dalbasso, in qualche fabbrica, con chi ladirige. Ma questa è certo una chimera.

Penso che dalle nostre relazioninon conserverò nessuna amarezzapersonale; anzi. Per me che ho sceltodeliberatamente e quasi senza speranzadi pormi dal punto di vista di chi è inbasso, è di conforto potermiintrattenere a cuore aperto con unuomo come lei. Ciò aiuta, in mancanzadi istituzioni, a non disperare degliuomini. L'amarezza che provo riguardaunicamente i miei compagnisconosciuti delle officine di R., per iquali debbo rinunciare a qualsiasitentativo. Ma, di questo essermilasciata andare a irragionevolisperanze, devo prendermela solo conme stessa.

Quanto a lei posso soloringraziarla di aver voluto

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cortesemente prestarsi a colloqui chenon so se le abbiano potuto essere diqualche utilità, ma che, per me, sonostati preziosi.

Voglia gradire eccetera.

S. Weil.

Bourges, 3 marzo 1936.

Signore,

Credo sia di vantaggio reciprocoalternare scambi di opinioni scritti eorali; tanto più che ho l'impressione dinon essere stata capace di farmi bencapire in occasione del nostro ultimoincontro.

Non le ho potuto citare nessunesempio concreto di cattivaaccoglienza fatta da un capo a un

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legittimo reclamo di un operaio.

Ma come avrei potuto rischiare difarne l'esperienza? Se avessiincontrato un'accoglienza simile,subirla in silenzio come avreiprobabilmente fatto sarebbe stataun'umiliazione ben più dolorosa diquella che fosse stata all'origine delmio reclamo.

Replicare con un moto di colleraavrebbe probabilmente significatodover cercare subito un altro lavoro.Certo, non si sa in anticipo che si saràmale accolti, ma si sa che è possibile,e questa possibilità è sufficiente. E'possibile, perché un capo (ogni uomo)ha i suoi momenti di malumore. E poisi sente che non è normale, in unafabbrica, pretendere a una qualsiasiconsiderazione. Le ho raccontato comeun capo, obbligandomi a rischiare, perdue ore intere, di farmi accoppare da

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un bilanciere, mi abbia fatto sentireper la prima volta quello cheesattamente contavo: cioè zero. Inseguito, piccoli episodi d'ogni generemi sono ritornati, su questo argomento,alla memoria. Per esempio: in un'altraofficina si poteva entrare solo alsegnale di una campanella dieci minutiprima dell'ora di inizio; ma prima chela campanella suonasse, veniva apertauna porticina praticata nel portone. Icapi che arrivavano in anticipoPassavano da lì: le operaie e anch'iopiù di una volta fra loro aspettavanomolto pazientemente fuori, davanti aquella porta aperta, anche sotto unapioggia scrosciante; eccetera.

Certo si può assumerel'atteggiamento di chi si difendefermamente, rischiando di perdere ilposto; ma, chi assumequell'atteggiamento, ha molteprobabilità di non poterlo mantenere a

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lungo, e allora è meglio cominciarecon il non prenderlo. Attualmente,nell'industria, per chi non abbia unaqualifica di capo officina o di operaiospecializzato, cercare un posto cioègirare di fabbrica in fabbrica, facendocalcoli complicati prima di rischiarel'acquisto di un biglietto del metrò,fare la coda per lunghissimo tempodavanti agli uffici di collocamento,essere mandato via e tornare un giornodopo l'altro è un'esperienza che ledebuona parte della propria fierezza.Almeno è quanto ho osservato attornoa me e anzitutto in me stessa.

Riconosco che da ciò si puòconcludere puramente e semplicementeche manco di coraggio; anzi, più di unavolta, me lo sono detto. Comunquequesti ricordi fanno sì che io trovinormalissima la risposta del suooperaio comunista. Devoconfessarglielo, quel che lei mi ha

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detto a questo proposito, mi pesaancora sul cuore. Che abbia datoprova, lei, in altri momenti, dicoraggio verso i suoi capi, questo nonle dà diritto di giudicare. Non solo ledifficoltà economiche non eranoparagonabili; ma, quel che più conta,la sua situazione morale eracompletamente diversa, se almeno,come mi è parso di capire, leioccupava in quel momento un postoche era comunque di responsabilità.Per conto mio a parità di rischi oanche con un rischio più grande,resisterei, credo, in caso di bisogno, aimiei superiori universitari (se dovessesopravvenire un qualche governoautoritario) con una fermezza bendiversa da quella che avrei in unafabbrica di fronte al caporeparto o aldirettore. Perché? Certo per unaragione analoga a quella che durante laguerra rendeva più facile il coraggio aun graduato piuttosto che al soldato

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fatto ben noto a tutti gli ex combattentie che ho inteso segnalare più di unavolta. All'università ho dei diritti, unadignità e una responsabilità dadifendere. Che cosa ho da difenderecome operaia di fabbrica, quando ognigiorno debbo rinunciare a ogni sorta didiritti nell'istante stesso in cui timbroil cartellino all'orologio di controllo?Devo difendere solo la mia vita. Se sidovesse subire la subordinazione delloschiavo e a un tempo correre i pericolidell'uomo libero, sarebbe troppo.Obbligare un uomo che si trova in unasituazione simile a scegliere fral'esporsi al pericolo e il ritrarsene,come lei dice, vuol dire infliggergliun'umiliazione che sarebbe molto piùumano risparmiargli.

Quel che lei mi ha raccontato aproposito della riunione dellacooperativa, quando mi diceva con unasfumatura di sprezzo, m'era parso che

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nessuno aveva osato prendervi laparola, mi aveva suggerito riflessionianaloghe. Non è una situazionepietosa? Ci si trova, senza scampo,sotto l'impero di una forzacompletamente incommensurabile conquella che si possiede, forza sullaquale non si può nulla, dalla quale sirischia sempre di essere schiacciati equando, con il cuore gonfio diamarezza, ci si rassegna a sottomettersie a piegarsi, ci si fa disprezzare permancanza di coraggio dagli stessi chehanno quella forza nelle mani.

Non posso parlarle di queste cosesenza amarezza; ma, mi creda, nonsono dirette contro di lei; è unasituazione di fatto nella quale, allafine, non sarebbe certo giusto dare alei una parte di responsabilitàmaggiore di quella mia o di quella diqualsiasi altra persona.

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Per tornare alla questione deirapporti con i capi, avevo, per contomio, una regola di condotta assaiprecisa. Concepisco i rapporti umanisolo sul piano dell'uguaglianza; dalmomento in cui taluno comincia atrattarmi da inferiore, nessun rapportoumano è più possibile fra lui e me, e iolo tratto a mia volta come un superiore,vale a dire subisco il suo potere comesubirei il freddo o la pioggia. Uncarattere così insopportabile è forseeccezionale; tuttavia, sia fierezza, siatimidezza, sia un misto di queste duecose, ho sempre visto che il silenzio è,in fabbrica, un fenomeno generale. Neconosco esempi molto impressionanti.

Se le ho proposto di collocare unacassetta per suggerimenti cheriguardassero non già la produzionebensì il benessere degli operai, l'hofatto perché quest'idea mi era venutastando in fabbrica. Un procedimento

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simile eviterebbe ogni rischio diumiliazione lei mi dirà che accogliesempre bene gli operai, ma comepossono sapere se non ha anche leimomenti di malumore o ironie fuoriposto? sarebbe un invito formale daparte della direzione; e poi, solo avedere la cassetta nell'officina, siavrebbe un po meno il senso di noncontare nulla.

In conclusione, ho tratto dueinsegnamenti dalla mia esperienza. Laprima, la più amara e la piùimpreveduta, è che l'oppressione, apartire da un certo grado di intensità,non genera una tendenza alla rivoltabensì una tendenza quasi irresistibilealla più assoluta sottomissione. L'hoconstatato su me stessa, io che tuttavia,lei se ne sarà accorto, non ho caratteredocile; e ciò è una conferma.

Il secondo insegnamento è questo:

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che l'umanità si divide in duecategorie: le persone che contanoqualcosa e le persone che non contanonulla. Quando si appartiene allaseconda categoria si arriva a trovarenaturale di non contare nulla il che nonsignifica che non si soffra. Io, lotrovavo naturale. Esattamente, come,mio malgrado, riesco ora a trovarequasi naturale di contare qualcosa. (Lodico mio malgrado, perché mi sforzodi reagire, tanto ho vergogna di contarequalcosa in un'organizzazione socialeche calpesta l'umanità)

Il problema, in questo momento, èquello di sapere se, nelle condizioniattuali, si può arrivare a far sì chenell'ambiente della fabbrica gli operaicontino qualcosa e abbiano coscienzadi contare qualcosa. Per questo, nonbasta che un capo si sforzi di esserebuono verso di loro; ci vuole ben altro.

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A mio modo di vederebisognerebbe prima di tutto fosse benchiaro fra il capo e gli operai chequesto stato di cose, nel quale essi etanti altri non contano nulla, non puòessere considerato come normale; chele cose non si possono accettare cosìcome stanno.

Certo, in fondo, tutti lo sanno bene;ma da un parte e dall'altra nessuno osafarvi la minima allusione e, lo dirò dipassaggio, quando un articolo viallude, non viene pubblicato nelgiornale... Bisognerebbe fosse ancheben chiaro che questo stato di cose èdovuto a certe necessità obiettive, ecercare di metterle un po’ in luce.L'inchiesta che avevo immaginatadoveva, nella mia intenzione, esserecompletata (non so se l'ha notato nelloscritto che lei ha ricevuto) da duerelazioni circa gli ostacoli aimiglioramenti richiesti

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(organizzazione, rendimento, eccetera)In certi casi, si dovrebbero allegarerelazioni di carattere più generale.

La regola di questi scambi diopinioni dovrebbe essere una totaleeguaglianza fra gli interlocutori, unachiarezza e una franchezza complete dauna parte dall'altra. Se si potessearrivarci, questo sarebbe già, a miomodo di vedere, un risultato. Misembra che qualsiasi sofferenza siameno schiacciante, rischi meno didegradare, quando si comprende ilmeccanismo della necessità che laprovoca e che sia una consolazionesentirla compresa e, in una certamisura, condivisa da coloro che non lasubiscono. E poi, si possono forseottenere dei miglioramenti.

Sono anche convinta che solo daquesto lato sia possibile trovare unostimolo intellettuale per gli operai.

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Bisogna commuovere per interessare.A quale sentimento richiamarsi percommuovere uomini la cui sensibilità ècontinuamente urtata e compressadall'asservimento sociale? E'necessario, credo, passare attraverso ilsentimento medesimo che, diquell'asservimento, essi hanno. Possosbagliarmi, è vero. Ma mi conferma inquesta opinione il fatto che, ingenerale, si trovano solo due tipi dioperai che si istruiscono da soli: ouomini che desiderano salire di gradoo ribelli. Spero che questaconstatazione non le farà paura.

Se, per esempio, nel corso diquesti scambi di opinioni, l'ignoranzadegli operai giungesse a esserericonosciuta, per comune accordo,come uno degli ostacoli aun'organizzazione più umana, nonsarebbe questa la sola introduzionepossibile a una serie di articoli di

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autentica divulgazione? La ricerca diun vero metodo divulgativo cosacompletamente ignorata fino ad oggi èuna delle mie preoccupazionidominanti, e sotto questo punto di vistail tentativo che le propongo mi sarebbeforse infinitamente prezioso.

Certo, tutto ciò comporta unrischio. Retz diceva che il Parlamentodi Parigi aveva provocato la Fronda,togliendo il velo che deve coprire irapporti fra i diritti dei re e quelli deipopoli, "diritti che mai s'accordanotanto bene come nel silenzio" Questaformula può essere estesa a ognispecie di dominio. Se lei, in queltentativo, riuscisse solo a metà, ilrisultato sarebbe che gli operaicontinuerebbero a non contare nulla mache per loro ciò non sarebbe piùnaturale; cosa che sarebbe un male pertutti. Correre questo rischio vorrebbecerto dire, per lei, assumersi una

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grossa responsabilità. Ma rifiutare dicorrerlo sarebbe egualmente assumersiuna grossa responsabilità. Questi sonogli inconvenienti della potenza.

A parer mio, però, lei esageraquesto rischio. Lei sembra temere lamodificazione del rapporto di forzeche sottomette gli operai al vostrodominio. Ma ciò mi pare impossibile.Solo due cose possono modificarlo: oil ritorno di una prosperità economicatanto grande da far mancare lamanodopera o un moto rivoluzionario.L'uno e l'altro sono completamenteimprobabili in un prossimo avvenire.E, se accadesse un movimentorivoluzionario, sarebbe un soffio sortoimprovvisamente dai grandi centri eche spazzerebbe tutto; quel che lei puòfare o non fare a R. non ha nessunainfluenza su fenomeni di tanta portata.Ma, nella misura in cui è possibile fareprevisioni su tali argomenti, non

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accadrà nulla di simile, eccetto forsenel caso di una guerra perduta. Perconto mio, conosco un po dall'internotanto il movimento operaio francesequanto le masse operaie della regioneparigina; e ho acquisito la convinzione,molto triste per me, che non solo lacapacità rivoluzionaria ma, piùgeneralmente, la capacità di azionedella classe operaia francese è quasinulla. Credo che solo i borghesipossono farsi illusioni su questoargomento. Se vorrà, ne riparleremo.

Il tentativo che le propongodovrebbe essere compiuto una tappadopo l'altra; in qualsiasi momento leisarebbe padrone di ritirare tutto e distringere i freni. Agli operai nonrimarrebbe che sottomettersi, solo conuna più grande amarezza in cuore. Chevuole facciano d'altro? Ma riconoscoche questo rischio è ancorasufficientemente serio.

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Tocca a lei sapere se questorischio val la pena di essere corso.Bisognerebbe, tanto per cominciare,sondare ripetutamente il terreno. Nellamia intenzione, l'articolo che lei harifiutato avrebbe dovuto essere uno diquesti colpi di sonda. Sarebbe troppolungo spiegarle per iscritto in chesenso.

A proposito del giornale, hol'impressione di averle spiegatomalissimo quel che c'è di errato neipassaggi che ho fatto oggetto dei mieirimproveri (narrazione di buoni pranzi,eccetera)

Mi servirò di un paragone. I muridi una camera, anche povera e nuda,non sono penosi a guardarsi; ma se lacamera è una cella di prigione, ognisguardo posato sul muro è unasofferenza. Accade esattamente lostesso con la povertà, quando è

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collegata a una subordinazione e a unadipendenza assolute. Siccome laschiavitù e la libertà sono mere idee equel che fa soffrire sono le cose, ogniparticolare della vita quotidiana dovesi rifletta la povertà cui si ècondannati, fa male; non per lapovertà, ma per la schiavitù.Pressappoco, immagino, come ilrumore delle catene per i forzati di untempo. Così fanno anche male tutte leimmagini del benessere del quale si èprivi, quando si presentino in modo daricordarci che ne siamo privi; perchéquesto benessere implica anche lalibertà. L'idea di un buon pasto in unambiente gradevole era per me, l'annoscorso, qualcosa di straziante come,per un prigioniero, l'idea delle pianuree del mare; e per i medesimi motivi.Avevo aspirazioni di lusso che non hoprovate mai né prima né dopo. Lei puòsupporre che ciò accada perché ora, inuna certa misura, le soddisfo. Ebbene

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no; sia detto fra noi, non ho moltomutato, dall'anno scorso, il mio mododi vivere. Mi è parso completamenteinutile perdere abitudini che un giornoo l'altro quasi sicuramente mi troverò adover riprendere, sia volontariamentesia per costrizione, e che senza grandesforzo io posso conservare. L'annopassato, la privazione piùinsignificante in sé mi ricordavasempre un po che io non contavo nulla,che non avevo diritto di cittadinanza inalcun luogo, che ero al mondo solo persottomettermi e obbedire. Ecco perchénon è vero che il rapporto fra il suolivello di vita e quello degli operai siaanalogo al rapporto fra il suo e quellodi un milionario; in questo caso c'èdifferenza di grado, nell'altro c'èdifferenza di natura. Ed ecco perché,quando lei ha occasione di fare unallegro pranzo deve goderne e tacere.

E' vero che quando si è poveri e

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subordinati si ha sempre, come risorsa,qualora si possegga un animo forte, ilcoraggio e l'indifferenza allesofferenze e alle privazioni. Era larisorsa degli schiavi stoici. Ma questarisorsa è vietata agli schiavidell'industria moderna. Perché vivonoin un lavoro al quale, in conseguenzadella successione meccanica deimovimenti e della rapidità dellascadenza, l'unico stimolante è la paurae l'appetito del guadagno. Sopprimerein sé questi due sentimenti a forza distoicismo, vuol dire non essere più incondizioni di lavorare alla cadenzavoluta. La cosa più semplice da fare,per soffrire il meno possibile, è alloraabbassare tutta l'anima propria allivello di quei due sentimenti; e questovuol dire degradarsi. Se si vuolconservare la propria dignità, ci sideve condannare a lotte quotidiane conse stessi, a un perpetuo strazio, a unsentimento perpetuo di umiliazione, a

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sofferenze morali sfibranti; perché cisi deve incessantemente abbassare persoddisfare le esigenze dellaproduzione industriale, rialzarsi pernon perdere la propria stima, e cosìvia.

Ecco cosa c'è di orribile nellamoderna forma di oppressione sociale;che la bontà e la brutalità di un caponon può mutarvi gran cosa. Lei siavvedrà chiaramente, penso, chequanto ho detto si applica a OGNIessere umano, chiunque esso sia,qualora si trovi in quella situazione.

Che cosa fare allora, lei mi dirà?Ancora una volta, credo che far sentirea quegli uomini che noi licomprendiamo sarebbe già, per imigliori di loro, un conforto. Ilproblema è sapere se effettivamente,fra gli operai che lavorano ora a R., cene siano di quelli che abbiano tanta

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elevatezza di cuore e di spirito dapoter essere sollecitati nella direzioneda me pensata. Nel corso delle suerelazioni (relazioni di un capo con isuoi subordinati), lei non ha nessunmezzo per rendersene conto. Credo cheio potrei farlo, con i sondaggi di cui leparlavo. Ma per questo, bisognerebbeche il giornale non mi fosse chiuso....

Le ho detto, penso, tutto quel cheho da dirle. A lei riflettere.

Il potere e la decisione sonointeramente nelle sue mani.Posso mettermi a sua disposizione incaso di bisogno, e voglia notare che mici metto interamente, perché sonopronta a sottomettermi di nuovo, animae corpo, per uno spazio di tempoindeterminato, al mostruosoingranaggio della produzioneindustriale. In conclusione metterò ingioco in questa faccenda la medesima

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posta che ci metterà lei: e questadovrebbe essere per lei una garanziadi serietà.

Ho solo una cosa da aggiungere.Voglia credere che, se lei si rifiutacategoricamente di impegnarsi nellavia che le suggerisco, io lacomprenderò benissimo e rimarròpersuasa della sua assoluta buonavolontà. E le sarò sempre infinitamentegrata di aver voluto conversare con mea cuore aperto, come ha fatto.

Non posso parlare di un nuovoincontro, perché penso di abusaredella sua cortesia; e tuttavia avreiancora delle domande da farle, per miaistruzione (in particolare sui suoi primistudi di chimica, e sui suoi lavori diadattamento dell'attrezzaturaindustriale durante la guerra) E poi,esito di nuovo, per le medesimeragioni di prima, a incontrarmi con lei

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in fabbrica. Faccia come meglio pensa.

Mi creda sua

S. Weil

P. S. Non ho più nessun diritto dichiederle l'invio di "Entre Nous", matuttavia mi farebbe molto piacerericeverlo.

Bourges, 16 marzo 1936.

Signore,

Devo scusarmi se la tormento cosìcon le mie lettere: ho paura che lei mitrovi sempre più asfissiante... Ma lasua fabbrica mi ossessiona, e vorreifarla finita con questa preoccupazione.

Mi dico che forse la mia posizione,tra lei e le organizzazioni operaie, non

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le sembra molto chiara; che se, durantele nostre conversazioni, lei ha fiduciain me (lo sento benissimo) miattribuisce forse, più o meno, aconversazione finita, ogni sorta disecondi fini. Se così fosse, avrebbetorto di non dirmelo brutalmente e dinon interrogarmi. Non esiste veraconfidenza, vera cordialità possibilesenza una franchezza un po brutale.Comunque, le devo chiarire la miaposizione in materia sociale e politica.

Io mi auguro di tutto cuore latrasformazione più radicale possibiledell'attuale regime nel senso di una piùgrande eguaglianza nel rapporto diforze. Non credo affatto che possacondurre a ciò quel che ai giorni nostriviene chiamato "rivoluzione" Tantoprima come dopo una rivoluzionesedicente operaia, gli operai di R.continueranno a obbedirepassivamente, finché la produzione

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sarà fondata sull'obbedienza passiva.Che il direttore di R. sia agli ordinidi un amministratore delegato o agliordini di un "trust di stato" sedicentesocialista, la sola differenza consisteràin questo: che nel primo caso lafabbrica da una parte, la polizia,l'esercito, le prigioni, ecceteradall'altra, saranno in mani diverse, e,nel secondo caso, nelle medesimemani. L'ineguaglianza nei rapporti diforza non sarebbe quindi diminuita,bensì accentuata.

Questa considerazione non miinduce tuttavia a essere CONTRO ipartiti cosiddetti rivoluzionari. Perchéoggi tutti i gruppi politici che contanotendono egualmente tantoall'accentuazione dell'oppressionequanto a porre nelle mani dello statotutti gli strumenti del potere; gli unichiamano questo rivoluzione operaia,gli altri fascismo, e altri ancora

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organizzazione della difesa nazionale.Quale che sia l'etichetta, due fattoriprevalgono su tutti gli altri: da unaparte la subordinazione e ladipendenza conseguente alle formemoderne di tecnica e di organizzazioneeconomica, dall'altra la guerra. Perme, tutti coloro che vogliono unacrescente "razionalizzazione" e quelliche vogliono la preparazione dellaguerra, si equivalgono; ed è il caso ditutti.

Per quanto riguarda le fabbriche, laquestione che mi pongo,completamente indipendente dalregime politico, è quella di unpassaggio progressivo dallasubordinazione totale a una certamescolanza di subordinazione e dicollaborazione, l'ideale essendo lacooperazione pura.

Rinviandomi il mio articolo, lei mi

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rimprovera di eccitare un certo spiritodi classe in opposizione allo spirito dicollaborazione che vuol vedereregnare nella comunità di R.

Per spirito di classe lei intende,credo, spirito di rivolta. Ora io nondesidero eccitare nulla di simile.Intendiamoci bene: quando le vittimedell'opposizione sociale si rivoltano,tutta la mia simpatia è per loro benchénon vi si unisca la speranza; quando unmovimento di rivolta ottiene unsuccesso parziale me ne rallegro. Matuttavia non desidero affatto suscitarelo spirito di rivolta; e ciò non tantonell'interesse dell'ordine quantonell'interesse morale degli oppressi.So troppo bene che quando si è sotto lecatene di una necessità troppo dura, cisi rivolta per un attimo e si cade inginocchio l'attimo seguente.L'accettazione delle sofferenze fisichee morali inevitabili, nella precisa

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misura in cui sono inevitabili, è il solomezzo di conservare la propria dignità.Ma accettazione e sottomissione sonodue cose molto diverse.

Lo spirito che desidero suscitare èprecisamente quello spirito dicollaborazione che lei mi oppone. Mauno spirito di collaborazione supponeuna collaborazione effettiva.Attualmente non vedo nulla di similead R.; ma piuttosto una subordinazionetotale. Per questo avevo redattoquell'articolo che doveva, nella miaintenzione, essere il primo di una seriein modo che poteva dare a leil'impressione di un copertoincoraggiamento alla rivolta; perché,per far passare uomini da unasubordinazione totale a un gradoqualsiasi di collaborazione, è purnecessario, mi sembra, cominciare conil fare loro rialzare la testa.

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Mi chiedo se lei si rende conto delpotere che esercita. E' un potere daDio più che da uomo. Ha mai pensatocosa vuol dire, per uno dei suoioperai, essere licenziato? Il più dellevolte, penso, bisogna che egli lasci ilcomune per cercare lavoro. Sitrasferisce, quindi, in un comune dovenon ha nessun diritto ad alcun aiuto. Sela sfortuna troppo probabile nelleattuali circostanze prolunga la sua vanacorsa da un ufficio di collocamentoall'altro, egli scenderà, gradino dopogradino, abbandonato da Dio e dagliuomini, assolutamente privo diqualsiasi appiglio, una china che, sequalche fabbrica non gli fa finalmentel'elemosina di un posto, lo condurrà, inconclusione, non solo alla morte lentama anzitutto a una degradazioneincommensurabile; e tutto ciò senzache possano preservarlo fierezza,coraggio o intelligenza. Lei sa bene,vero, che non esagero? Questo è il

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prezzo che si rischia di essere costrettia pagare, purché vi si unisca un po disfortuna per la disgrazia di essere statoda lei giudicato, per una ragione o perun'altra, indesiderabile a R.

Quanto a coloro che restano a R.,sono quasi tutti operai non qualificati;in fabbrica essi non devonocollaborare ma soltanto obbedire;obbedire ancora e sempre dalmomento del timbro d'entrata fino aquello del timbro d'uscita. Fuori dallafabbrica, si trovano in mezzo a cosefatte tutte per loro ma tutte fatte da lei.Persino la loro stessa cooperativa,essi, in realtà, non la controllano.

Lungi da me l'idea dirimproverarle questo potere. Esso èstato posto nelle sue mani. Lei loesercita, ne sono persuasa, con la piùgrande generosità possibile almeno perquanto consentito dall'ossessione del

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rendimento e dall'inevitabile grado diincomprensione. Non di meno restavero che, sempre e dovunque, c'è solosubordinazione.

Tutto quello che lei fa per glioperai, lo fa gratuitamente,generosamente; ed essi le debbonoriconoscenza perpetua. Nulla essifanno se non per obbligo o perdesiderio di guadagno. Tutti i lorogesti sono dettati; il solo campo in cuipossono mettere qualche cosa di loro èla quantità, e ai loro sforzi in questocampo corrisponde solo una quantitàsupplementare di quattrini. Mai essihanno diritto a una ricompensa moraleda parte degli altri o di se stessi:ringraziamenti, elogi, o anche lasemplice soddisfazione. E' questo unodei peggiori fattori di depressionemorale, nell'industria moderna; losperimentavo tutti i giorni; e molti, nesono certa, sono come me (anzi

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aggiungerò questo punto al mio piccoloquestionario, se lei vorrà utilizzarlo)

Lei può chiedermi quali formeconcrete di collaborazione io miimmagini. Su questo argomento, hosolo degli abbozzi di idee; ma hofiducia che sarebbe possibile qualcosadi più completo se si studiasseconcretamente il problema.

Non mi resta che lasciarla alle suemeditazioni. Lei ha un tempo, per cosìdire, illimitato, se qualche guerra oqualche dittatura "totalitaria" nonsopraggiunge in uno di questi giorni atogliere a tutti, quasi completamente,qualsiasi potere di decisione in ognicampo...

Non sono senza rimorsi nei suoiriguardi. Nell'ipotesi, dopo tuttoprobabile, che i nostri scambi diopinioni debbano rimanere senza

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effetto, non avrò fatto altro cheprovocare in lei dolorosepreoccupazioni. Questo pensiero miaffligge. Lei è relativamente felice, ela felicità è, per me, qualcosa diprezioso e degno di rispetto. Nondesidero comunicare inutilmenteintorno a me l'incancellabile amarezzache la mia esperienza mi ha lasciata.

Mi creda sua

S. Weil

P. S. C'è un punto che mi duole diaver dimenticato nella nostra ultimaconversazione; lo noto solo pergarantirmi, come può accadere, controuna nuova dimenticanza. Mi è parso dicapire da un episodio che lei mi haraccontato, che in fabbrica è vietatoconversare sotto pena di multa. E'proprio così? Se è così, avrei moltecose da dirle sulla dura costrizione che

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un simile regolamento significa per unoperaio, e, più generalmente, sulprincipio che, in una giornata dilavoro, non si debba sprecare unminuto.

Martedì, 31 marzo.

Signore,

Grazie del suo invito.Disgraziatamente bisogna rimandare ilnostro incontro di tre settimane. Questasettimana, mi è impossibile venire;sono, fisicamente, a terra, e ho appenala forza di fare le mie lezioni. Poi,quindici giorni di vacanze, che nonpasserò a Bourges. Al ritorno, spero diessere relativamente in forma. E'd'accordo, per fissare le idee, e salvoparere contrario di una parte odell'altra, che venga a farle visitalunedì 20 aprile?

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In conclusione mi pare che il soloostacolo serio a che lei mi assumacome operaia sia una certa mancanzadi fiducia. Gli ostacoli materiali di cuilei mi ha parlato sono difficoltàsormontabili. Ecco quel che vogliodire lei sa certo che non considero glioperai di R. come un terreno daesperienze: sarei rattristata quanto leiche un tentativo diretto ad alleviare laloro sorte finisse con l'aggravarla. Sedunque, lavorando a R., vi avvertissi,per impiegare una locuzione sua, unacerta serenità che l'esecuzione dei mieiprogetti potrebbe turbare, sarei laprima a rinunciarvi. Su questo siamod'accordo. Il punto delicato è lavalutazione della situazione moraledegli operai.

Su questo punto, lei non avrebbefiducia in me. E' molto legittimo e locapisco. Mi rendo conto d'altra parteche io stessa sono, in una certa misura,

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la causa di questa mancanza di fiducia,perché le ho scritto con un'estremamancanza di tatto, esprimendo tuttequelle idee nella forma più brutale. Mal'ho fatto coscientemente. Sonoincapace di impiegare troppo garbo,per qualsiasi motivo, con le personealle quali tengo.

Se lei passa da Parigi non manchidi vedere l'ultimo film di Charlot.Ecco finalmente qualcuno che haespresso una parte di quel che hoprovato. Non creda che lepreoccupazioni sociali mi faccianoperdere ogni gioia di vivere. In questotempo dell'anno io non dimentico maiche "Cristo è risuscitato" (parlo insenso metaforico beninteso) Spero chesia così anche per tutti gli abitanti diR.

Molto cordialmente.

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S. Weil.

Siccome non ci vedremo per variotempo, voglio dirle rapidamente chegli aneddoti e le riflessioni sulla vitadi fabbrica contenuti nelle mie letterele hanno procurato, a giudicare dallasua risposta, un'immagine di me stessapeggiore di quel che io mi meriti.Forse il film di Charlot potrebberiuscire a darla meglio di quanto possadire io.

Se io, che sono più o menoconsiderata come una persona che haimparato a esprimersi, non riesco afarmi capire da lei malgrado tutta lasua buona volontà, viene da chiedersiquali procedimenti potrebberocondurre alla comprensione reciprocafra la media degli operai e deipadroni.

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Ancora una parolasull'approvazione che lei accorda alladivisione del lavoro che assegnaall'uno l'incarico di spingere la pialla,all'altro quello di pensare all'incastrodei pezzi. E' questa, credo, laquestione fondamentale, e il solo puntoche essenzialmente ci separi. Honotato, fra gli esseri frusti in mezzo aiquali ho vissuto, che sempre (non homai trovato, credo, nessuna eccezione)l'altezza del pensiero (la facoltà dicapire e di formulare le idee generali)andava di pari passo con la generositàdi cuore. Detto altrimenti, quel cheabbassa l'intelligenza degrada tuttol'uomo.

Altra annotazione, che metto perscritto, perché lei possa meditarla.Come operaia, ero in, una situazionedoppiamente inferiore, esposta asentire la mia dignità ferita non solodai capi, ma anche dagli operai,

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perché sono una donna. (Noti che nonavevo nessuna sciocca suscettibilitàverso il genere di scherzi consuetinelle fabbriche) Ho constatato nontanto in fabbrica quanto durante i mieivagabondaggi di disoccupata, quandom'ero fatta la regola di non rifiutaremai un'occasione di conversare, che,quasi sempre, gli operai capaci diparlare con una donna senza offenderlasono degli specializzati e quelli chehanno tendenza a trattarla come ungiocattolo non lo sono. Tocca a leitrarre le conclusioni. A mio parere illavoro deve tendere, IN TUTTAL'ESTENSIONE DELLE possibilità'MATERIALI, a costituireun'educazione. E che cosa si dovrebbepensare di una scuola dove siprescrivessero esercizi di naturaradicalmente diversa per i cattiviscolari e per i buoni?

Esistono ineguaglianze naturali. A

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parer mio, l'organizzazione socialeponendosi dal punto di vista morale èbuona per quanto tende ad attenuarle(elevando, beninteso, nonabbassando); cattiva per quanto tendead aggravarle; odiosa quando creicompartimenti stagni.

[Lettera senza data. Forse aprile1936].

Signore,

Ho riflettuto ancora su quel che leimi ha detto. Ecco le mie conclusioni.Lei crederà che ho un carattere moltoirresoluto, ma ho solo lo spirito tardo.Mi scuso di non essere arrivataimmediatamente a una decisionedefinitiva, come avrei dovuto.

Date le possibilità immediate emolto larghe di conoscere la sua

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fabbrica, occasioni che lei ha la bontàdi accordarmi, non sarebbe da partemia irragionevole sacrificarle a unprogetto forse irrealizzabile. Perchénon potrei lavorare da lei, incondizioni accettabili, se non qualoravi fosse un posto libero e nessunadomanda di lavoro a R. Cosa pocoverosimile in un prossimo avvenire.Altrimenti, anche se lei mi iscrivessein un elenco e mi facesse aspettare ilmio turno, gli operai troverebberoanormale che fossi assunta io quandoaltre donne di R. chiederebbero diesserlo. Penserebbero che lei miconosca; non potrei fornire nessunachiara spiegazione; e diventerebbestraordinariamente difficile poterstabilire rapporti di fiduciosocameratismo. Così, senza scartarecompletamente il mio primo progetto,che si trova respinto in unindeterminato avvenire, accetto la suaproposta di consacrare una giornata

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alla fabbrica. Le proporròulteriormente una data. In quanto alsignor M., lascio a lei la cura didecidere se è meglio chiedergliimmediatamente di accordare orifiutare un'autorizzazione di principio,pur facendogli notare al tempo stessoche il mio progetto è sottoposto acondizioni che rendono la suaesecuzione poco probabile, in unprossimo avvenire comunque; o se èmeglio non dire nulla fino al giorno incui mi si presenterebbe una possibilitàconcreta di lavorare da lei. Ilvantaggio che riceverei dal saperesubito cosa devo aspettarmi,consisterebbe nel fatto che, se eglidice di no, non sarei trattenuta nellemie ricerche a R. da nessuna riservamentale; in caso contrario, cercherei,per ogni eventualità, di non farmitroppo notare durante le mie visite infabbrica. D'altra parte, di un progettocosì vago non vale la pena che se ne

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parli. Tocca a lei fare quel che piùvorrà. Ancora una volta mi scuso diavere mutato parere come ho fatto.

Mi permetto di ricordarle la miarichiesta di non parlare in ogni caso alsignor M. della mia esperienza nellefabbriche parigine né, d'altra parte, anessuno.

Ho pensato a quanto lei mi ha dettosul modo con il quale si opera la sceltadegli operai da licenziare in caso diriduzione del personale. So bene che ilsuo metodo è il solo ragionevole dalpunto di vista dell'azienda. Ma vogliamettersi un attimo nell'altro punto divista quello di chi sta in basso. Qualepotenza dà ai suoi capi del personalela responsabilità di designare, fra glioperai polacchi, quelli che debbonoessere licenziati come meno utili! Nonli conosco, ignoro come facciano usodi una potenza simile. Ma posso

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immaginarmi la situazione di questioperai polacchi (che, credo, sirendono conto come un giorno o l'altrolei possa essere nuovamente costrettoa licenziare qualcuno di loro), difronte al capo del personale che ungiorno potrebbe essere incaricato dalei di designare questo o quello comemeno utile dei suoi compagni. Quantodevono tremare davanti a lui e temeredi dispiacergli! Vorrà giudicarmi ancheora un'ipersensibile se le dico che tuttociò lo immagino, e se le dico che mi famale? Supponga se stesso in unasituazione simile con moglie e figli acarico, e si chieda in che misura lesarebbe possibile conservare la suadignità.

Non vi sarebbe modo di stabilire(ben inteso rendendolo noto) unqualsiasi altro criterio non sottopostoad arbitrio: carichi familiari, anzianità,estrazione a sorte, o una combinazione

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di questi tre elementi? Ciòcomporterebbe forse graviinconvenienti, non so; ma la scongiurodi considerare quali vantaggi moralirisulterebbero a favore di questisventurati, posti in una tanto dolorosamalsicurezza per colpa del governofrancese.

Veda, non è la subordinazione in séa urtarmi, ma certe forme disubordinazione che comportanoconseguenze moralmente intollerabili.Per esempio, quando le circostanzesono tali che la subordinazione implicanon solo la necessità di ubbidire maanche la costante preoccupazione dinon dispiacere, ciò mi pare duro dasopportare. D'altra parte, non possoaccettare le forme di subordinazionenelle quali l'intelligenza, l'ingegnosità,la volontà, la coscienza professionaledebbono intervenire solonell'elaborazione degli ordini

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compiuta dal capo e nelle qualil'esecuzione esige solo unasottomissione passiva cui nonpartecipano né lo spirito né il cuore, dimodo che il subordinato non vi ha piùparte di una cosa maneggiata dallaaltrui intelligenza. Questa era lasituazione mia quando ero operaia.

Al contrario, quando gli ordiniconferiscono a colui che li esegue unaresponsabilità, esigono da parte sua levirtù di coraggio, di volontà, dicoscienza e di intelligenza chedefiniscono il valore umano, implicanouna certa fiducia reciproca fra il capoe il subordinato e comportano in lievemisura un potere arbitrario nelle manidel capo, la subordinazione è cosabella e onorevole.

Sia detto di passaggio, sarei statariconoscente a un capo che un giornoavesse voluto assegnarmi qualche

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compito, anche se penoso, sporco,pericoloso e mal retribuito, ma che daparte sua avesse implicato una qualchefiducia in me; e, quel giorno, avreiobbedito di tutto cuore. E sono sicurache molti operai siano come me. C'è intutto questo una risorsa morale che nonviene utilizzata.

Ma basta. Le scriverò quantoprima mi è possibile quale sia ilgiorno che intendo trascorre a R. Nonposso dirle quanta è la miariconoscenza per l'aiuto che lei mi dà acomprendere che cosa sia unafabbrica. Molto cordialmente.

S. Weil.

P. S. Potrebbe farmi mandare inumeri del suo giornale comparsi dopoil numero 30? La mia collezionefinisce con quel numero. Ma midispiacerebbe molto se qualcuno

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dovesse prendersi una sgridata percolpa mia...

[Lettera senza data. Forse aprile1936].

Signore,

Avrei voluto risponderle prima.Non ho avuto finora la possibilità difissare una data. Le va che io venga afarle visita giovedì 30 aprile, allasolita ora? Se sì, inutile rispondermi.Nessuna proposta poteva farmimaggior piacere di quella, avanzata dalei, di trascorrere un'intera giornata aR. Per vedere tutto più da vicino;penso però che per fissare ilprogramma sia necessaria unaconversazione preventiva. La ringrazioinfinitamente di volermi così fornire lapossibilità di meglio rendermi conto ditutto. Domando solo di porre in ogni

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campo le mie idee alla prova dellarealtà dei fatti; e creda pure che laprobità intellettuale è sempre, per me,il primo dei doveri.

Vorrei, per abbreviare lespiegazioni verbali, saperla persuasadi aver interpretato male talune dellemie reazioni. L'ostilità sistematicaverso i superiori, l'invidia verso i piùfavoriti, l'odio della disciplina, laperpetua scontentezza, tutti questisentimenti meschini sonoassolutamente estranei al miocarattere. Rispetto al massimo ladisciplina nel lavoro e disprezzochiunque non sappia obbedire. Soanche benissimo che ogniorganizzazione implica ordini dati ericevuti. Ma ci sono ordini e ordini. Ioho subito come operaia unasubordinazione che mi è stataintollerabile benché abbia sempre oquasi sempre obbedito rigorosamente e

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benché sia personalmente giunta a unaspecie di rassegnazione. Non devogiustificarmi (per usare la suaespressione) di aver provato in quellasituazione un'intollerabile sofferenza,devo solo cercare di determinarneesattamente le cause; tutto quel che misi potrebbe rimproverare su questoargomento sarebbe di essermisbagliata in questa determinazione,cosa che può accadere. D'altra parte,mai, in nessun caso, consentirò agiudicare conveniente per uno dei mieisimili, chiunque esso sia, quel chegiudico moralmente per me stessa; perquanto gli uomini siano diversi, il miosentimento della dignità umana restasempre identico, si tratti di me o diqualsiasi altra persona, anche se fra luie me è possibile stabilire, sotto altripunti di vista, dei rapporti disuperiorità o inferiorità. Su questopunto, nulla al mondo mi faràcambiare, almeno lo spero. Per tutto il

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resto chiedo solo di sbarazzarmi ditutte le idee preconcette capaci difalsare il mio giudizio.

Una delle sue frasi mi ha fattomeditare a lungo: quella in cui leiparla di contatti più stretti tra lafabbrica e me che forse un giornopotrebbero essere organizzati. Cosìparlando ha forse in mente qualcosa diconcreto? Se sì, spero che vorràcomunicarmelo. Mi chiedo se lei, perpura generosità verso di me, desiderasolo darmi delle possibilità diistruirmi, di completare, precisare erettificare opinioni troppo sommarie ecerto parzialmente falsesull'organizzazione industriale; oppurese pensa che potrei essereeventualmente capace di rendermi utilein modo diverso da quello che leavevo suggerito. Per conto mio, fino adoggi non ho nessuna ragione di averfiducia nelle mie personali capacità;

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ma se lei ha in mente un modoqualsiasi di metterle alla provanell'interesse della popolazioneoperaia, sulla base di alcune idee,sulle quali, malgrado le divergenze,saremmo arrivati a metterci d'accordoperfettamente, ciò meriterebbe da partemia un'attenta considerazione.

Parleremo di tutto ciò, e di moltealtre cose, giovedì, se lei vorrà. Sevenerdì le va meglio, non ha che daavvertirmi e faro come crede.

Molto cordialmente.

S. Weil.

[Lettera senza data. Forse aprileo maggio 1936].

Signore,

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Non mi è ancora possibile fissarleuna data. Ma, intanto, sono stata cosìcommossa dalla sua generosità neimiei riguardi: col ricevermi, colrispondere alle mie domande, conl'aprirmi la sua fabbrica come ha fatto,che ho deciso di copiarle qualcosa, inmodo da farle riguadagnare almenouna parte del tempo che le costo.

Mi chiedevo tuttavia coninquietudine come sarei giunta aprendere su di me il compito discrivere sottoponendomi a limitiprefissati, perché si trattaevidentemente di fare della prosamolto assennata, per quanto almeno ione sia capace... Fortunatamente m'èvenuto in mente un vecchio progettoche mi sta molto a cuore, quello direndere accessibili alle massepopolari i capolavori della poesiagreca (che amo moltissimo) Ho sentito,l'anno scorso, che la grande poesia

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greca sarebbe cento volte più vicina alpopolo (se potesse conoscerla), dellaletteratura francese classica emoderna.

Ho cominciato con "Antigone" Sesono riuscita nel mio proposito? ciòdovrebbe poter interessare ecommuovere tutti: dal direttore finoall'ultimo operaio senza qualifica; equest'ultimo dovrebbe poter penetrarviquasi naturalmente senza tuttavia averemai l'impressione di unacondiscendenza qualsiasi né di alcunosforzo compiuto per porsi al suolivello. Questo intendo pervolgarizzazione. Ma non so se ci sonoriuscita.

"Antigone" non ha nulla di unastoria morale e per bambini bravi;spero tuttavia che lei non vorrà trovareSofocle sovversivo...

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Se questo articolo piace e se nonpiace, vuol dire che non so scriverepotrei farne ancora tutta una serie, daaltre tragedie di Sofocle e dall'"Iliade"Omero e Sofocle sono pieni di cosecommoventi, profondamente umane,che si tratta solo di esprimere epresentare in modo da renderleaccessibili a tutti.

Penso con una certa soddisfazioneche se faccio questi articoli e sevengono letti dai più ignoranti fra glioperai di R., essi sapranno di letturagreca più del 99% dei diplomati discuola media: per non dire altro!Tuttavia, solo col venir dell'estate avròabbastanza tempo per questo lavoro.

A presto, spero, e moltocordialmente.

Spero possa fare in modo chequell'articolo venga stampato in una

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sola volta.

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FRAMMENTO DI LETTERA

[Senza data. Forse aprile omaggio 1936].

Signore,

Penso di incontrarla, in linea dimassima, entro 15 giorni. Scriverò perconferma.

Lei può mettere come pseudonimoall'articolo su "Antigone", "Cleante" (èil nome di un greco che univa lo studiodella filosofia al mestiere di portatored'acqua) Firmerei con il mio nome senon ci fosse la faccenda dell'eventualeassunzione.

Se pensa che mi sia costatopresentare "Antigone" come ho fatto,ha torto di ringraziarmene; non siringrazia la gente degli obblighi che siimpongono loro. Ma, in realtà, questonon è il caso, o quasi. Trovo più bello

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esporre il dramma nella sua nudità.Forse mi accadrà per altri testi diaccennare in poche parole applicazionipossibili alla vita contemporanea;spero tuttavia che non le parrannoinaccettabili.

Quel che, invece, mi è statopenoso, fu lo scrivere chiedendomi: equesto, potrà passare? Non m'era maiaccaduta una cosa simile e ci sonopoche considerazioni d'opportunitàcapaci di persuadermi a tenerne conto.La penna si rifiuta a questo genere dicostrizione quando si è imparato ausarla come si deve. Ma nondimeno,beninteso, continuerò.

Ho una grande ambizione, allaquale oso appena pensare, tanto èdifficile a realizzarsi; sarebbe quella,dopo questa serie di articoli, di farneun'altra ma comprensibile einteressante per qualsiasi semplice

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operaio sulla creazione della scienzamoderna da parte dei greci; storiameravigliosa e generalmente ignorataanche dalla gente colta.

Lei non mi ha capita, per quantoriguarda i licenziamenti. Non è giàl'arbitrario in sé che vorrei vederelimitato. Quando si tratta di unprovvedimento tanto crudele (questorimprovero non si rivolge a lei) lascelta in sé mi pare, in una certaproporzione, indifferente. Quel chetrovo incompatibile con la dignitàumana è il timore di dispiacereingenerato nei subordinati dal fatto dicredere che la scelta può esserearbitraria. La regola più assurda in sé,purché stabile, sarebbe un progresso,da questo punto di vista; o anchel'organizzazione di qualsiasiprocedimento di controllo chepermetta agli operai di rendersi contoche la scelta non è arbitraria. Certo, lei

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è il solo giudice delle possibilità. Inogni caso, come potrei non considerareoppressi gli uomini posti in questasituazione morale? Il che non implicanecessariamente che lei sia unoppressore.

[Lettera senza data. Forse aprileo maggio 1936].

Signore,

Ho aspettato, un giorno dopol'altro, a scriverle, per poterle fissareuna data. Non ho avuto finora lapossibilità di farlo, perché in questiultimi tempi non sono stata affattobene. Ora, passare tutta una giornata avisitare una fabbrica è faticoso; e puòessere utile solo a condizioni diconservare fino alla sera la proprialucidità e la propria presenza dispirito.

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Verrò, salvo comunicazionecontraria, venerdì 12 giugno, alle 7,40,come d'accordo.

Le porterò un nuovo scritto su diun'altra tragedia di Sofocle. Ma glielolascerò solo se potrà trovare unasistemazione tipografica soddisfacente.Perché per "Antigone", debbo farlequalche rimprovero per quantoriguarda l'impaginazione.

Pensandoci bene, non visiterò leabitazioni operaie. Non posso credereche una visita di questo genere nonrischi di offendere; e ci vorrebberoargomenti molto forti per indurmi aoffendere gente che, quando è offesa,deve tacere e persino sorridere.

D'altronde, quando dico che c'èrischio di offendere, in fondo sonopersuasa che gli operai sonoeffettivamente offesi da cose di questo

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genere, per poco che abbiano potutoconservare qualche fierezza. Suppongache un visitatore particolarmentecurioso desideri conoscere lecondizioni di vita non solo deglioperai, ma anche del direttore e che ilsignor M., per questo, gli permetta divisitare la sua casa. Faccio difficoltà acredere che lei troverebbe la cosanaturalissima. Fra i due casi non vedonessuna differenza.

Ho visto con piacere che sembraesserci stata una collaborazioneoperaia nel suo giornale, a propositodella questione dei ganci. L'articolodell'operaia che ne chiede l'abolizionem'ha particolarmente colpito. Speroche vorrà darmi qualche informazionesu quella operaia.

Molto cordialmente.

S. Weil.

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P. S. Mi ha molto interessata anchela risposta di quella che domandaarticoli concernenti l'organizzazionedella fabbrica.

Mercoledì, 10 giugno 1936.

Signore,

Mi trovo costretta ad andare aParigi domani e dopodomani persalutarvi certi amici miei di passaggio.Bisogna dunque rimandare ancoraquesta visita.

Del resto, meglio così: in questomomento sarei incapace di trovarmi inmezzo ai suoi operai senza rallegrarmicalorosamente con loro.

Lei non dubiterà, credo, del sensodi gioia e di indicibile liberazione chem'è venuto da questo bel movimento di

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scioperi.

Il seguito sarà quel che potràessere. Ma non potrà cancellare ilvalore di quelle belle giornate allegree fraterne né il sollievo provato daglioperai nel vedere coloro che lidominano piegarsi almeno una volta difronte a loro.

Le scrivo così, per non lasciareequivoci fra noi. Se portassi ai suoioperai i miei rallegramenti per la lorovittoria, lei troverebbe certo che ioabuso della sua ospitalità. E' dunquemeglio aspettare che le cose si mettanoa posto. Se tuttavia, dopo questalettera, lei consentirà ancora aricevermi.

Molto cordialmente.

S. Weil

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RISPOSTA DEL SIGNOR B.

13/6/1936.

Signorina,

Se, per ipotesi, gli avvenimenti chetanto la rallegrano si fossero svolti inmodo diverso, non credo, siccome lemie reazioni non sono a senso unico,che avrei provato "sentimenti di gioiae di liberazione indicibili" alla vistadegli operai piegati di fronte aipadroni.

Sono almeno completamente certoche mi sarebbe stato impossibileesprimere a lei quei sentimenti.

La prego, signorina, di crederequanto mi dolga dover chiudere lapresente lettera solo con le formuleabituali della cortesia.

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[Lettera senza data. Giugno1936].

Signore,

Lei mi scrive come se avessimancato di eleganza morale tanto davoler trionfare di vinti e di oppressi.Certo, se lei fosse stato in prigione osul lastrico o in esilio o in qualsiasialtra analoga situazione, mi sareiastenuta dall'esprimere gioia perquesto, e fin dal provarne. Ma, fino anuovo ordine, è lei il direttore di R., ono? Gli operai continuano o no alavorare ai suoi ordini? Anche con inuovi salari, lei continua a guadagnareun po più di un fresatore, credo? Inultima analisi, nulla d'essenziale èmutato. Quanto all'avvenire, nessunosa che cosa porterà, né se la vittoriaoperaia attuale avrà costituito in findei conti una tappa verso un regimecomunista totalitario o verso un regime

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fascista totalitario o (cosa che spero,ahimè, senza crederci) verso un regimenon totalitario.

Mi creda e, soprattutto, non pensiche io parli ironicamente questomovimento di scioperi ha provocato inme una gioia pura (gioia assai prestosostituita, d'altronde, dall'angoscia chenon mi lascia più dall'epoca, giàlontana, in cui ho compreso versoquali catastrofi ci stiamo avviando)non solo nell'interesse degli operai maanche nell'interesse dei padroni. Nonpenso in questo momento all'interessemateriale forse le conseguenze diquesto sciopero saranno in fin deiconti nefaste per l'interesse materialedegli uni e degli altri, non si sa maall'interesse morale, alla salutedell'anima. Penso sia bene, per glioppressi, aver potuto per alcuni giorniaffermare la propria esistenza, rialzareil capo, imporre la loro volontà,

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ottenere vantaggi non dovuti a unagenerosità accondiscendente. E pensoche è egualmente bene per i capi per lasalvezza dell'anima loro aver dovutoanch'essi, una volta nella loro vita,piegare di fronte alla forza e subireun'umiliazione. Ne sono lieta per loro.

Che cosa avrei dovuto fare? Nonprovare questa gioia? Ma la considerolegittima. Non ho avuto in alcunmomento illusione alcuna sullepossibili conseguenze del movimento,non ho fatto nulla né per suscitarlo néper prolungarlo; potevo almenocondividere la gioia pura e profondache anima i miei compagni dischiavitù. Non dovevo esprimerlequella gioia? Ma capisca dunque lenostre rispettive posizioni. Rapporticordiali fra lei e me implicherebberoda parte mia la peggiore ipocrisia se lelasciassi credere anche per un soloistante che essi comportino la più

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piccola sfumatura di benevolenza neiconfronti della forza oppressiva chelei rappresenta e manovra nel suoambiente, come immediato subordinatodel proprietario. Sarebbe per me facilee utile lasciarla, su questo punto,nell'errore. Esprimendomi con unafranchezza brutale che, praticamente,può produrre solo pessimeconseguenze, le offro una prova distima.

In breve, dipende da leiriallacciare o no le relazioni cheesistevano fra noi prima degliavvenimenti attuali. Nell'uno comenell'altro caso, non dimenticherò che ledevo, sul piano intellettuale, un'idea unpo più chiara circa certi problemi chemi stanno a cuore.

S. Weil.

P. S. Devo ancora chiederle un

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favore che, spero, vorrà farmicomunque. Credo che finalmente mideciderò a scrivere qualcosa aproposito del lavoro industriale.Vorrebbe usarmi la cortesia dirimandarmi tutte le lettere nelle qualile ho parlato della condizione operaia?Vi ho annotati fatti, impressioni e idee,alcune delle quali forse non mitornerebbero in mente. Grazieanticipate.

Spero, d'altronde, che nessunmutamento dei suoi sentimenti nei mieiriguardi le farà dimenticare lapromessa d'un segreto assoluto aproposito della mia esperienza difabbrica.

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LA VITA E LOSCIOPERODELLEOPERAIEMETALMECCANICHE

[Articolo comparso, con lopseudonimo di S. GALOIS, nella"revolution proletarienne" del 10giugno 1936 e nei "Cahiers de "TerreLibre"" del 15 luglio 1936]

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Si respira, finalmente! Scioperodei metalmeccanici. Il pubblico, chevede queste cose da lontano, noncapisce. Di che si tratta? Un motorivoluzionario? Ma tutto è calmo. Unmoto di rivendicazioni? Ma perchécosì profondo, così generale, cosìforte, così improvviso?

Quando si hanno certe immaginipiantate nella mente, nel cuore, nellacarne stessa, si capisce. Si capiscesubito. Basta lasciare affluire i ricordi.

Un'officina, in una qualche stradadi periferia, un giorno di primavera,durante quei primi caldi, tanto duri perchi fatica. L'aria è pesante di odori divernici e di olii. E' la mia primagiornata in quell'officina. M'era parsaaccogliente, il giorno prima, alla finedi una giornata consumata a camminareper le vie, a presentare certificatiinutili. Finalmente quell'ufficio

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assunzioni aveva voluto accettarmi.Come difendersi, a tutta prima, da unimpulso di riconoscenza? Eccomi auna macchina. Contare cinquantapezzi... metterli a uno a uno sullamacchina... da una parte, nondall'altra... premere ogni volta unaleva... levare il pezzo... metterne unaltro... contare ancora... Non vadoabbastanza presto. La stanchezza si fasentire. Bisogna andare più forte,impedire che un attimo di sosta separiogni gesto dal gesto seguente. Piùpresto, ancora più presto! Ci siamo, homesso un pezzo dalla parte sbagliata!Chissà se è il primo? Bisogna fareattenzione. Questo pezzo è messo bene.Anche quest'altro. Quanti ne ho fatti inquesti ultimi dieci minuti? Non vadoabbastanza presto. Aumento ancora.Poco a poco, la monotonia del lavoromi spinge a fantasticare. Per qualcheattimo il pensiero va a tante cose.Brusco risveglio: quanti ne sto

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facendo? Non deve essere abbastanza.Non sognare. Aumentare ancora.Sapessi almeno quanti bisogna farne!Mi guardo intorno; nessuno sorride,nessuno leva la testa, mai. Nessunodice una parola! Come si è soli!Faccio 400 pezzi l'ora. Saràabbastanza? Purché mantenga almenoquesto ritmo... Finalmente, lacampanella del mezzogiorno. Tutticorrono all'orologio marcatempi, allospogliatoio, fuori dalla fabbrica.Bisogna andare a mangiare. Ho ancoraun po di denaro per fortuna. Mabisogna fare attenzione. Chissà se miterranno? Se non dovrò rimaneredisoccupata ancora giorni e giorni?Bisogna andare in uno di quei sudiciristoranti che circondano le fabbriche.E che sono cari, d'altronde. Certi piattipaiono abbastanza tentatori, mabisogna scegliere quegli altri, quellipiù economici. Anche mangiare costafatica. Questo pranzo non distende i

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nervi. Che ore sono? Restano pochiminuti per far due passi. Ma nonbisogna allontanarsi troppo; timbrareun minuto più tardi, vuol dire lavorareun'ora senza paga. Il tempo corre.Bisogna rientrare. Ecco la miamacchina. Ecco i miei pezzi. Bisognaricominciare. Fare presto... Mi sentosvenire di stanchezza e di nausea. Cheora è? Ci sono ancora due ore primadell'uscita. Come riuscirò a farcela?Ecco il caposquadra che si avvicina."Quanti ne fa? 400 all'ora? Bisognafarne 800. Altrimenti, non la tengo. Sea partire da questo momento ne fa 800,forse potrò tenerla" Parla senza alzarela voce. Perché dovrebbe alzare lavoce, quando con una sola parola puòprovocare tanta angoscia? Che cosa sipuò rispondere? "Mi proverò" Piùpresto. Ancora più presto. Vincere aogni istante questo disgusto, questanausea che ti paralizzano. Più presto.Bisogna raddoppiare il ritmo. Quanti

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ne ho fatti dopo un'ora? 600. Piùpresto. Quanti dopo quest'ultima ora?650. La campana. Timbrare, vestirsi,uscire dalla fabbrica, con il corposvuotato d'ogni energia vitale, la mentevuota d'ogni pensiero, il cuore gonfiodi disgusto, di rabbia silenziosa, e,soprattutto, un senso di impotenza e disottomissione. Perché la sola speranzaper il domani, è che mi si voglialasciar passare ancora una giornatasimile. Quanto ai giorni che verranno,sono troppo lontani. L'immagine sirifiuta di percorrere un numero tantogrande di tetri minuti.

Il giorno dopo hanno la bontà dilasciarmi tornare alla mia macchina,benché il giorno prima non abbia fattogli 800 pezzi richiesti. Ma stamattinabisognerà farli. Più presto. Ecco ilcaposquadra. Che cosa mi dirà? "Alt".Mi fermo. Che cosa ha contro di me?Vuole licenziarmi? Aspetto un ordine.

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Invece di un ordine, viene unrimprovero secco, sempre sulmedesimo tono asciutto: "Quando leviene detto fermarsi, bisogna alzarsi inpiedi per andare a un'altra macchina.Non si dorme, qui". Che fare? Starzitta. Obbedire immediatamente.Andare immediatamente alla macchinache mi è stata indicata. Eseguiredocilmente i gesti che mi vengonoprescritti. Non un moto d'impazienza;ogni moto d'impazienza si traduce inlentezza e in errori. L'irritazione è unacosa che va bene per chi comanda, maè vietata a chi obbedisce. Un pezzo, unaltro ancora. Ne ho fatti abbastanza?Presto. Ecco che per poco non hosbagliato un pezzo. Attenta! Ecco cherallento. Presto, più presto...

Quali altri ricordi, ancora? Nevengono anche troppi, uno sull'altro.Donne che aspettano davanti a unaporta di fabbrica. Si può entrare solo

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dieci minuti prima dell'ora e quando siabita lontano bisogna pur venire unaventina di minuti prima per nonrischiare un minuto di ritardo. Unapiccola porta è aperta, maufficialmente "non è aperto" Piove adirotto. Le donne sono fuori, sotto lapioggia, davanti a quella porta aperta.Che cosa ci può essere di più naturaledel ripararsi quando piove e quando laporta di una casa è aperta? Ma questomovimento così naturale, non si pensanemmeno di compierlo, davanti aquesta fabbrica, perché è proibito.Nessuna casa ci è estranea comequesta fabbrica dove si consumano lenostre forze, quotidianamente, per ottoore.

Una scena di licenziamento. Milicenziano da una fabbrica dove holavorato un mese, senza che mi sia maistata fatta alcuna osservazione. Eppuresi assume gente tutti i giorni. Che cosa

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c'è contro di me? Non si sono degnatidi dirmelo. Ecco il capo reparto:domando cortesemente unaspiegazione. La risposta che ricevo èquesta: "Non devo renderle conto dinulla", e se ne va. Che cosa devo fare?Uno scandalo? Rischierei di nontrovare posto da nessuna parte. No,andarmene senza fiatare, ricominciarea percorrere strade e strade, a fare lafila davanti agli uffici assunzioni, e,con il trascorrere delle settimane,sentir crescere, in fondo allo stomaco,una sensazione che diventa continua eche non si sa più quanto di essa siaangoscia e quanto sia fame.

Che cosa, ancora? Uno spogliatoiod'officina, in una rigida settimanainvernale. Lo spogliatoio non èriscaldato. Si entra lì dentro, talvolta,proprio dopo aver lavorato davanti aun forno. Istintivamente, si retrocede,come davanti a un bagno freddo. Ma

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bisogna entrare. Bisogna trascorre lìdentro una diecina di minuti. Bisognamettere nell'acqua gelata le manicoperte di tagli, con la carne viva,bisogna fregarle vigorosamente consegatura di legno per togliere un pocol'olio e la polvere nera. Due volte algiorno. Certo si potrebbero sopportaresofferenze anche più dolorose; maqueste sono così inutili! Lamentarsi indirezione? Non passa per la mente anessuno. "Se ne fregano di noi". Vero onon vero, danno comunque questaimpressione. Non si vuol rischiare difarsi espellere. Meglio soffrire ognicosa in silenzio. E' ancora quel che fasoffrire meno.

Conversazioni, in fabbrica. Ungiorno, un'operaia porta nellospogliatoio un ragazzo di nove anni.Scherzi d'ogni genere. "Lo porti alavorare?" Risponde: "Vorrei chepotesse lavorare" Ha due bambini e il

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marito a carico. Guadagna da 3 a 4franchi l'ora. Aspira al momento in cuiquel ragazzo potrà essere rinchiuso perl'intera giornata dentro una fabbricaper portare a casa qualche soldo.Un'altra, buona compagna e affettuosa,interrogata sulla sua famiglia: "Habambini? No, per fortuna.

Cioè, ne avevo uno, ma è morto"Parla d'un marito malato che ha avuto acarico per otto anni. "E' morto, perfortuna". Sono belli i sentimenti, ma lavita è troppo dura...

Scene di paga. Si sfila come ungregge, davanti allo sportello, sottol'occhio dei capisquadra. Non si sa checosa si guadagnerà; si dovrebbero faresempre calcoli tanto complicati chenessuno si raccapezza; e l'arbitrio èfrequente. Impossibile non avere lasensazione che quel po’ di denaro chevi viene dato attraverso uno sportello è

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un'elemosina.

La fame. Quando si guadagnano 3 o4 franchi l'ora, o anche un po di più,basta un incidente, un'interruzione dilavoro, una ferita per dover lavorareuna settimana o più soffrendo la fame.Non la sottoalimentazione, che puòesserci in permanenza, anche senzaincidenti: la fame. La fame, congiunta aun duro lavoro fisico, è una sensazioneangosciosa. Bisogna lavorare allavelocità consueta, altrimenti non simangerà abbastanza nemmeno lasettimana seguente. E, per di più, sirischia di farsi sgridare per produzioneinsufficiente. Fors'anche, licenziare.Non sarà una scusa dire che si ha fame.Si ha fame, ma bisogna soddisfareegualmente le esigenze di quella genteche ti può condannare in un attimo adavere ancora più fame. Quando non sene può più, non c'è altro da fare cheandare più svelti. Sempre più svelti.

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Uscendo dalla fabbrica, tornare subitoa casa propria per evitare la tentazionedi cenare; e aspettare il sonno, che,d'altronde, sarà agitato perché si hafame anche la notte. Il giorno dopo,cercare di andare ancora più rapidi.Tutti questi sforzi avranno la lorocontropartita: i pochi biglietti, lepoche monete che riceveremoattraverso uno sportello. Che si vuolchiedere d'altro? Non si ha diritto anull'altro. Si è là per obbedire etacere. Si è al mondo per obbedire etacere.

Contare un soldo dopo l'altro. Perotto ore di lavoro, si conta un soldodopo l'altro. Quanti soldi renderannoquesti pezzi? Quanto ho guadagnatoquest'ora? E l'ora seguente? Uscendodalla fabbrica, si calcola un soldodopo l'altro, ancora. Si ha un talebisogno di lasciarsi andare che tutte levetrine attirano.

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Posso bere un caffè? Ma costadieci soldi. Ne ho già preso uno ieri.Questi sono i denari che mi rimangonoper la quindicina. E quelle ciliegie?Costano tanto. Si fanno i propri conti:quanto costano, qui, le patate?Duecento metri più in là costano duesoldi in meno. Bisogna imporre queiduecento metri a un corpo che si rifiutadi camminare. I soldi diventanoun'ossessione. Non ci permettono didimenticare mai la costrizione dellafabbrica. Non ci si rilascia mai. Sì, sesi fa una pazzia una pazzia di pochifranchi si dovrà patire la fame.Bisogna che non capiti spesso; sifinirebbe per lavorare meno presto e,per un circolo spietato, la famegenererebbe ancora più fame. Nonbisogna lasciarsi prendere da quelcircolo. Conduce allo sfinimento, allamalattia, alla morte. Perché quandonon si può più produrre abbastanza infretta, non si ha più diritto di vivere.

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Non si vedono forse uomini diquarant'anni rifiutati dovunque, daqualsiasi ufficio, per quanti certificatiabbiano?

A quarant'anni si è consideratiinabili. Guai agli inabili.

La stanchezza. La fatica,opprimente, amara, in certi momentidolorosa al punto da far desiderare lamorte. Tutti, in qualsiasi condizione,sanno cosa significa essere stanchi, maper quella fatica ci vorrebbe un nome aparte. Uomini robusti, nel fioredell'età, si addormentano di stanchezzasulle panche del metrò. Non dopoqualche sforzo eccezionale, ma dopouna normale giornata di lavoronormale. Una giornata come ce se saràuna domani e ancora dopodomani esempre. Scendendo la scala del metrò,quando si esce dalla fabbrica,un'angoscia occupa tutto il pensiero:

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troverò un posto a sedere? Sarebbetroppo duro dover restare in piedi.Fare attenzione allora che l'eccesso distanchezza non impedisca di dormire!Altrimenti il giorno dopo si saràcostretti a sforzarsi un po di più.

La paura. Sono rari i momentidella giornata nei quali il cuore non siacome compresso da una angosciaqualsiasi. La mattina, l'angoscia dellagiornata che si deve attraversare.Nelle diramazioni del metrò cheportano a Billancourt, verso le 6 emezzo del mattino, si vede la maggiorparte dei visi contratti daquell'angoscia. Se non si è in anticipo,è la paura dell'orologio marcatempi.Al lavoro, la paura di non andareabbastanza rapidi, per tutti quelli chehanno difficoltà a tenere il tempo. Lapaura di sbagliare dei pezziaumentando la cadenza, perché lavelocità produce una specie di

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ebbrezza che annulla l'attenzione. Lapaura di tutti i piccoli incidenti chepossono provocare pezzi sbagliati o larottura d'un utensile. E, generalmenteparlando, la paura dei rimproveri. Cisi esporrebbe a molte sofferenze pur dievitare un rimprovero. La più piccolareprimenda è una dura umiliazione,perché non si osa rispondere. E quantecose possono provocare unrimprovero! La macchina è stata malmessa a punto dall'operatore; unutensile è di acciaio scadente; certipezzi non si possono situare bene; e cisi fa rimproverare. Se, per averelavoro, si va in cerca del capoattraverso il reparto, si rischia di farsicacciare. Se lo si fosse aspettato nelsuo ufficio, si avrebbe avutaegualmente una sgridata. Ci si lamentadi un lavoro troppo duro o d'unacadenza impossibile a seguire e ci sisente ricordare brutalmente che si staoccupando un posto ambito da

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centinaia di disoccupati. Ma, per osarelamentarsi, bisogna proprio nonpoterne più. E questa è la peggioreangoscia, l'angoscia di sentire che ci sisfinisce o che si invecchia, che benpresto non se ne potrà più. Chiedere unposto meno duro? Bisognerebbeconfessare che non si può più occuparequello che si ha. Si rischierebbe difarsi mettere alla porta. Bisognaserrare i denti. Resistere. Come unnuotatore in acqua. Ma con laprospettiva di nuotare sempre, finoalla morte. Non c'è nessuna barca chepossa raccoglierci. Se si affondalentamente, se si annega, nessuno almondo se ne accorgerà. Che cosa si è?Un'unità negli effettivi del lavoro. Nonsi conta nulla. E già molto se si esiste.

La costrizione. Non fare mai nulla,nemmeno nei particolari, che possaessere d'iniziativa. Ogni gesto èsemplicemente l'esecuzione di un

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ordine. Lo è comunque, per i semplicioperai. A una macchina, per una seriedi pezzi, sono prescritti cinque o seimovimenti semplici, che bisogna soloripetere a tutta andatura. Fino aquando? Fino a quando non si riceveràl'ordine di fare un'altra cosa. Perquanto tempo si rimarrà a questamacchina? Fino a quando il capo nonavrà dato l'ordine di andare a un'altra.In ogni attimo si è in condizione dipoter ricevere un ordine. Si è unoggetto in preda alla volontà altrui.Siccome non è naturale per un uomodiventare una cosa e siccome non c'ècostrizione tangibile, non c'è frusta,non ci sono catene, bisogna piegarsi dasoli a questa passività. Come sarebbebello poter lasciare l'anima dove simette il cartellino di presenza eriprenderla all'uscita. Ma non si può.L'anima, la si porta con sé in officina.Bisogna farla tacere per tutta lagiornata. All'uscita, non la si sente più,

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spesso, perché si è troppo stanchi. O,se la si ha ancora, che pena, la sera,rendersi conto di quel che si è stati perotto ore quel giorno e di quel che sisarà per otto ore il giorno dopo e ildomani di domani...

E che altro ancora? L'importanzastraordinaria che assume la buonagrazia o l'ostilità dei superioriimmediati, operatori, capisquadra,capireparto, quelli che danno a piacereloro il "buono" o il "cattivo" lavoro,che a piacere loro possono aiutare omaltrattare nei momenti difficili. Laperpetua necessità di non dispiacere.La necessità di rispondere alle parolebrutali senza alcuna sfumatura dimalumore e anzi con deferenza, se sitratta di un caposquadra. Che cosaancora? Il "cattivo lavoro" malcronometrato, sul quale ci si ammazzaper non rimanere sotto il tempo, perchési rischierebbe di farsi rimproverare

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per velocità insufficiente; non è mai ilcronometrista ad avere torto. E, sesuccedesse troppo presto, sarebbe illicenziamento. E che cosa ancora? Matanto basta. Basta per mostrare checosa è una vita simile e che, se ci sisottomette a essa, ciò accade comeOmero dice parlando degli schiavi"proprio malgrado, sotto la pressioned'una dura necessità"

Appena si è avvertito che quellapressione s'indeboliva,immediatamente le sofferenze, leumiliazioni, i rancori, le amarezzesilenziosamente accumulati per anni eanni hanno fornito la forza sufficientead allargare la stretta. E' questa tutta lastoria dello sciopero. Non c'è altro.

Certi borghesi intelligenti hannocreduto che lo sciopero fosse statoprovocato dai comunisti per mettere indifficoltà il nuovo governo. Ho inteso

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io stessa un intelligente operaio direche, all'inizio, lo sciopero era statoprovocato dai padroni per mettere indifficoltà quel medesimo governo.Questo incontro di opinioni è curioso.Ma non era necessaria nessunaprovocazione. Si era piegati sotto ilgiogo. Quando la pressione del giogos'è allentata si è alzata la testa. Questoè tutto.

Come è accaduto? Oh, moltosemplicemente. L'unità sindacale nonha costituito il fattore decisivo. Certo,è una grossa carta, ma che in altrefederazioni ha una importanza assaimaggiore di quella che abbia presso imetalmeccanici della regione parigina,fra i quali, un anno fa, si contavaappena qualche migliaio di iscritti aisindacati. Il fattore decisivo, bisognapur dirlo, è il governo del Frontepopolare. Prima di tutto si può fare,finalmente, uno sciopero senza polizia,

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senza guardie! Ma questo vale per tuttele federazioni. Quel che contasoprattutto è che le officinemeccaniche lavorino quasi tutte per lostato e dipendano da lui per il pareggiodel loro bilancio. Questo, ogni operaiolo sa. Ogni operaio, vedendo arrivareal potere il partito socialista, ha avutoil senso di non essere più, di fronte alpadrone, il più debole. La reazione èstata immediata.

Perché gli operai non hannoaspettato la formazione del nuovogoverno? Non bisogna vedere inquesto, a mio parere, manovremachiavelliche. Non dobbiamonemmeno affrettarci a concludere,noialtri, che la classe operaia diffidadei partiti o del potere dello stato.Avremmo altrimenti, in seguito, seriedisillusioni. Certo è confortanteconstatare che agli operai piace piùcurare personalmente le proprie

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faccende piuttosto che affidarle algoverno. Ma, credo, non è questo lostato d'animo che ha determinato losciopero. No. In primo luogo, non s'èavuta la forza d'aspettare. Tutti quelliche hanno sofferto sanno che quando sicrede d'essere al punto dellaliberazione da una sofferenza troppolunga e troppo dura, gli ultimi giornid'attesa sono intollerabili. Ma il fattoreessenziale è un altro. Il pubblico, ipadroni e lo stesso Leon Blum e tuttiquelli che sono estranei a questa vitadi schiavitù sono incapaci di capirecosa sia stato decisivo in questafaccenda. Il fatto è che in questomovimento si tratta di ben altro chequesta o quella rivendicazioneparticolare, per quanto importante. Seil governo avesse potuto ottenere pienae intera soddisfazione mediantesemplici conversazioni, si sarebbestati molto meno contenti. Si trattadopo avere sempre piegato la schiena,

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tutto subito, tutto inghiottito in silenzioper mesi e annidi osare finalmenterialzarsi. Stare in piedi. Prendereanche noi la parola. Sentirsi uomini,per qualche giorno. Indipendentementedalle rivendicazioni, questo sciopero èin sé una gioia. Una gioia pura; unagioia integra.

Sì, una goccia. Sono stata a farvisita ai compagni in una fabbricadove ho lavorato mesi fa. Ho passatoqualche ora con loro. Gioia di entrarein fabbrica con l'autorizzazionesorridente di un operaio che sorveglial'ingresso. Gioia di trovare tantisorrisi, tante parole di accoglienzafraterna. Come ci si sente fra compagniin questi reparti dove, quando cilavoravo io, ciascuno si sentiva tantosolo con la propria macchina! Gioia dipercorrere liberamente quei repartidove si era legati alla macchina, diformare gruppi, di conversare, di fare

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merenda. Gioia di sentire, invece delfragore spietato delle macchine(simbolo così evidente della duranecessità che ci piegava), canti,musica, risate. Si cammina fra quellemacchine alle quali si è dato per tantee tante ore il meglio della propriasostanza vitale; e ora esse tacciono,non tagliano più dita, non fanno piùmale. Gioia di passare di fronte ai capia testa alta. Si cessa finalmente d'averebisogno di lottare ogni minuto perconservare di fronte a se stessi lapropria dignità, contro la tendenzaquasi invincibile di sottomettersicorpo e anima. Gioia di vedere i capi,costretti a divenire cordiali e atenderci la mano, rinunciarecompletamente a dare ordini. Gioia divederli aspettare docilmente il loroturno per avere quel permesso d'uscitache il comitato di sciopero acconsentedi concedere. Gioia di dire quel che siha sullo stomaco, a tutti, capi e

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compagni, in questi luoghi dove dueoperai potevano lavorare mesi interifianco a fianco senza che nessuno deidue sapesse quel che il vicinopensava. Gioia di vivere, fra questemacchine mute, al ritmo della vitaumana ritmo che corrisponde alrespiro, al battito del cuore, aimovimenti naturali dell'organismoumano e non alla cadenza imposta dalcronometrista... Certo, quella vita cosìdura ricomincerà fra pochi giorni. Manon ci si pensa, si è come i soldati inlicenza durante la guerra. E poi,qualunque cosa debba venire più tardi,questo almeno lo si è avuto.Finalmente, per la prima volta e persempre, intorno a queste macchinepesanti rimarranno nell'aria ricordidiversi da quelli di silenzio, dicostrizione, di sottomissione. Ricordiche daranno al cuore un po di fierezza,che lasceranno su tutto quel metallo unpo di calore umano.

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Ci si rilassa completamente. Nonsi ha quell'energia fieramente tesa,quella risolutezza mista d'angosciatanto spesso osservata durante gliscioperi. Si è risoluti certo, masenz'angoscia. Si è felici. Si canta, manon l'"Internazionale" o La "JeuneGarde": si cantano delle canzoni,semplicemente; ed è bellissimo che siacosì. Ci sono quelli che raccontanostorielle delle quali si ride per ilpiacere di sentirsi ridere. Non si èmalvagi. Certo, si è contenti di farsentire ai capi che non sono loro i piùforti. Tocca a loro. Gli fa bene. Ma nonsi è crudeli. Si è troppo contenti. Si èsicuri che i padroni cederanno. Sicrede che ci sarà un nuovo momentodifficile in capo a qualche mese, ma siè pronti. Ci si dice che, se certipadroni chiudono le fabbriche, lo statole riaprirà. Non ci si domandanemmeno per un attimo se potrà farlefunzionare nelle condizioni desiderate.

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Per ogni francese, lo stato è unasorgente inesauribile di ricchezza.L'idea di negoziare con i padroni, diottenere delle soluzioni dicompromesso, non viene in mente anessuno. Si vuole avere quel che sichiede. Si vuole averlo perché le coseche si chiedono le si desidera, masoprattutto perché, dopo essersi piegatiper tanto tempo, una volta che si èrialzato il capo, non si vuole cedere.Non si vuole essere imbrogliati o farsiprendere per stupidi. Dopo averepassivamente eseguito tanti e tantiordini, è troppo dolce poterne dare,una buona volta, a coloro dai quali siera usi riceverne. Ma la cosa miglioredi tutte le altre è questo sentirsi tantofratelli...

E delle rivendicazioni, che cosadobbiamo pensarne? Bisogna notare,anzitutto, un fatto comprensibilissimo,ma molto grave. Gli operai

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scioperano, ma lasciano ai militanti lacura di studiare i particolari dellerivendicazioni. L'abitudine allapassività contratta quotidianamente peranni e anni non si perde in pochigiorni, nemmeno in questi pochi giornicosì belli. E poi, non è proprio nelmomento in cui si è sfuggiti allaschiavitù per qualche giorno che si puòtrovare in se stessi il coraggio distudiare le condizioni della costrizionesotto la quale si è stati piegati ungiorno dopo l'altro e sotto la quale cisi dovrà piegare ancora. Non si puòcontinuamente pensarci. Le forzeumane hanno dei limiti. Ci si contentadi godere, pienamente, senza riservementali, dell'idea che si contafinalmente qualcosa; che si soffriràmeno; che si avranno le vacanzepagate; di questo se ne parla con gliocchi scintillanti, è una rivendicazioneche non si riuscirà più a strappare dalcuore della classe operaia che si

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avranno salari migliori e qualcosa dadire in officina; e che, tutto questo, nonsarà stato semplicemente ottenutobensì imposto.

Ci si lascia cullare da questi dolcipensieri e non si vuol vedere le cosepiù da vicino.

Ora, questo movimento pone graviproblemi. Il problema centrale, a mioparere, è il rapporto fra lerivendicazioni materiali e quellimorali. Bisogna guardare le cose infaccia. I salari richiesti superano lepossibilità delle imprese nel quadrodell'attuale regime? Se sì, chedobbiamo pensare di questo fatto? Nonsi tratta solamente della metallurgia,poiché, giustamente, il motorivendicativo è diventato generale.Allora? Assisteremo a una progressivanazionalizzazione dell'economia sottola spinta delle rivendicazioni operaie?

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A un'evoluzione verso l'economia distato e il potere totalitario? O a unarecrudescenza della disoccupazione?A una ritirata degli operai, costretti,una volta di più, a piegare il capo difronte alla forza delle necessitàeconomiche? In ognuno di questi casi,questo bel movimento avrebbe un bentriste esito.

Scorgo, per conto mio, un'altrapossibilità. E', a dire il vero, piuttostodelicato parlarne pubblicamente in unmomento come questo. In pienomovimento rivendicativo, si osadifficilmente suggerire di limitarevolontariamente le proprierivendicazioni. Tanto peggio. Ciascunodeve assumersi le proprieresponsabilità. Io penso che ilmomento sarebbe favorevole, se lo sisapesse utilizzare, a costituire unprimo embrione di controllo operaio. Ipadroni non possono accordare

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rivendicazioni illimitate, beninteso; maalmeno non siano più i soli giudici diquel che possono o dicono di potere.Che ovunque i padroni invocano comemotivo della loro resistenza lanecessità del pareggio finanziario, glioperai stabiliscano una commissionedi controllo dei conti, costituita daalcuni di loro, da un rappresentantesindacale e da un tecnico membro diun'organizzazione operaia. Perché, làdove lo scarto fra le lororivendicazioni e le offerte delpadronato è grande, essi nonaccetterebbero di ridurreconsiderevolmente le loro pretesefinché la situazione della fabbrica nonfosse migliorata, sotto condizione d'uncontrollo sindacale permanente?Perché non prevedere nel contrattocollettivo, per le imprese che fosserosull'orlo del fallimento, una derogapossibile alle clausole che riguardanoi salari, sempre sotto la medesima

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condizione? Ci sarebbe finalmente eper la prima volta, in seguito a unmovimento operaio, una durevoletrasformazione dei rapporti di forza.Questo punto vale la pena d'essereseriamente meditato dai militantiresponsabili.

Un altro problema, che riguardaparticolarmente le galere dell'industriameccanica, dev'essere egualmenteconsiderato. E' quello dellaripercussione delle nuove condizionisalariali sulla vita quotidiana infabbrica. Anzitutto l'ineguaglianza frale categorie sarà integralmentemantenuta o diminuita? Sarebbedeplorevole mantenerla. Abolirlasarebbe un sollievo, uno straordinarioprogresso per quanto concerne ilmiglioramento dei rapporti fra operai.Se ci si sente soli in fabbrica (e ci sisente molto soli), ciò è dovuto in granparte all'ostacolo che certe piccole

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disuguaglianze, grandi in rapporto allapovertà dei salari, frappongono allerelazioni amichevoli. Chi guadagna unpo meno è geloso di chi guadagna unpo di più. E' così. Non è certo ancorapossibile stabilire l'eguaglianza, maalmeno si dovrebbe poter ridurrenotevolmente le differenze. Bisognafarlo. Ma ecco quel che mi pare piùgrave: ci sarà, per ogni categoria, unsalario minimo, ma il lavoro a cottimoè mantenuto. Ma che cosa succederàallora nel caso degli ordinativieseguiti oltre il tempo indicato, cioènel caso in cui il salario calcolato infunzione dei pezzi eseguiti è inferioreal salario minimo? Il padrone pagheràla differenza, d'accordo. La fatica, lamancanza di vivacità, la disgrazia dicapitare su di un "lavoro cattivo" olavorare su di una macchinasgangherata non saranno più puniti conun abbassamento quasi illimitato deisalari. Non si vedrà più un'operaia

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guadagnare 12 franchi in una giornataperché avrà dovuto aspettare quattro ocinque ore finché la sua macchinafosse riparata. Benissimo. Ma c'è datemere allora che a questa ingiustapunizione d'un salario ridicolo sisostituisca una punizione più spietata:il licenziamento. Il capo saprà per ilsalario di quali operai ha dovutocontribuire per assolvere le clausolecontrattuali, saprà quali operai sonorimasti più frequentemente sotto ilminimo. Sarà possibile impedirgli dilicenziarli per rendimentoinsufficiente? I poteri del delegato direparto potranno estendersi fino a quelpunto? Ciò mi sembra quasiimpossibile, quali che siano leclausole del contratto collettivo. Eallora è da temersi che almiglioramento dei salari corrispondaun nuovo aggravamento dellecondizioni morali del lavoro, unaumento di terrore nella vita

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quotidiana della fabbrica, unpeggioramento di quel ritmo lavorativoche già spezza corpo, cuore e mente.Una legge spietata, da una ventinad'anni, sembra far servire tuttoall'aggravamento del ritmo.

Mi dispiacerebbe di doverterminare su di una nota triste. Imilitanti hanno, in questi giorni, delletremende responsabilità. Nessuno sacome le cose andranno a finire. Cisono da temere molte catastrofi. Manessun timore cancella la gioia divedere rialzare il capo a coloro cheper definizione lo piegano sempre.Essi non hanno, nonostante quanto sicrede dal di fuori, delle speranzeillimitate. Non sarebbe nemmenoesatto parlare, in termini generali, disperanza. Sanno bene che, malgrado imiglioramenti conquistati, il pesodell'oppressione sociale, rimosso unistante, sta per ricadere su loro. Sanno

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di doversi ritrovare fra poco sotto undominio duro, rigido e senzacomplimenti. Ma illimitata è la felicitàpresente. Si sono finalmente affermati.Hanno finalmente fatto sentire ai loropadroni la propria esistenza.Sottomettersi alla forza è duro; lasciarcredere che ci si sottomette volentieri,è troppo. Oggi, nessuno può ignorareche coloro ai quali, su questa terra, èstato assegnato come unico compitoquello di piegarsi, di sottomettersi e ditacere, si piegano, si sottomettono etacciono solo nella esatta misura in cuinon possono fare diversamente. Cisarà altro ancora? Cominceremofinalmente ad assistere a unmiglioramento effettivo e durevoledelle condizioni del lavoroindustriale? L'avvenire lo dirà; ma,questo avvenire, non bisognaaspettarlo: bisogna farlo.

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LETTERA APERTA A UN

OPERAIO ISCRITTO AI SINDACATI

Compagno, tu sei uno dei quattromilioni di lavoratori iscritti alla nostraorganizzazione sindacale. Il mese digiugno del 1936 è una data nella tuavita. Ti ricordi com'era, prima? E' giàlontano. Fa male, ricordarsene, ma non

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bisogna dimenticare. Ti ricordi? Siaveva un solo diritto: il diritto ditacere. Talvolta, mentre si era sullavoro, sulla propria macchina, ildisgusto, la nausea, la rivolta,gonfiavano il cuore; a un metro da te,un compagno subiva i medesimidolori, provava il medesimo rancore,la medesima amarezza; ma non siosava scambiare le parole cheavrebbero potuto esserci di sollievo,perché si aveva paura.

Ti ricordi bene, ora, come si avevapaura, come si aveva vergogna, comesi soffriva? C'erano di quelli che nonavevano il coraggio di confessare iloro salari, per la vergogna diguadagnare così poco. Quelli che,troppo deboli o troppo vecchi, nonpotevano seguire la cadenza dellavoro, nemmeno loro osavanoconfessarlo. Ti ricordi come si eraossessionati dalla cadenza del lavoro?

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Non si faceva mai abbastanza;bisognava sempre sforzarsi per farequalche pezzo in più, per guadagnareancora qualche soldo in più. Quando,sforzandosi, sfinendosi, si era riuscitiad andare più in fretta, il cronometristaaumentava le norme. Allora ci sisforzava ancora di più, si cercava disuperare i propri compagni, ci siingelosiva a vicenda, ci si ammazzavasempre di più.

Ti ricordi quando si usciva, lasera? I giorni che si era avuto un"lavoro cattivo"? Si veniva fuori conlo sguardo spento, svuotati, disfatti. Siimpiegavano gli ultimi resti delleproprie energie per precipitarsi nelmetrò, per cercare angosciosamente serestava un posto libero. Se ce n'era, sisonnecchiava sulle panche. Se non cen'era ci si irrigidiva per riuscire arimanere in piedi. Non si aveva piùforza per passeggiare, per discorrere,

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per leggere, per giocare con i propriragazzi, per vivere. Si era appenacapaci di andare a letto. Non si eraguadagnato gran che, ammazzandosi sudi un "cattivo lavoro", ci si diceva che,se avesse dovuto continuare così, laquindicina sarebbe stata grama, che cisi doveva ancora sacrificare, contare icentesimi, rifiutare tutto quel cheavrebbe servito a distrarre un po, a fardimenticare.

Ti ricordi i capi? E come quelliche avevano un carattere brutalepotevano permettersi ogni sorta divillanie? Ti ricordi che non si osavarispondere quasi mai, che si arrivavaal punto di trovare quasi naturaled'essere trattati come un gregge dipecore? Quanti dolori un cuore umanodeve inghiottire in silenzio prima diarrivare a quel punto, i ricchi non locapiranno mai. Quando osavi alzare lavoce perché ti veniva imposto un

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lavoro troppo duro o troppe oresupplementari, ti ricordi con qualebrutalità ti si rispondeva "Questo o laporta"? E, il più delle volte, tacevi,incassavi, ti sottomettevi, perchésapevi che era vero, che era quellavoro o la porta. Sapevi bene chenulla poteva impedire loro di mettertisul lastrico come si mette in un cantoun arnese consumato. E per quanto tisottomettessi, spesso ti cacciavano lostesso. Nessuno diceva niente. Eranormale. Non ti rimaneva che soffrirela fame in silenzio, correre di fabbricain fabbrica, aspettare in piedi, nelfreddo, nella pioggia, davanti alleporte degli uffici di collocamento. Tiricordi tutto questo? Ti ricordi tutte lepiccole umiliazioni che impregnavanola tua vita, che facevano freddo alcuore, come l'umidità impregna ilcorpo quando non c'è da scaldarsi?

Se le cose sono un po cambiate,

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non per questo si deve dimenticare ilpassato. Da tutti quei ricordi, da tuttaquell'amarezza tu devi attingere la tuaforza, il tuo ideale, la tua ragione divivere. I ricchi e i potenti trovanosempre la loro ragione di vivere nelloro orgoglio; gli oppressi debbonotrovare la loro ragione di vivere nelleloro vergogne. La loro sorte è ancorala migliore, perché la loro causa èquella della giustizia. Difendendosi,essi difendono la dignità umanacalpestata. Non dimenticarti mai,ricordati ogni giorno che tu hai la tuatessera sindacale in tasca perché infabbrica non eri trattato come un uomodev'essere trattato e perché non ne haipotuto più.

Ricordati soprattutto, durantequesti anni di sofferenze troppo dure,che cos'era che ti faceva soffrire dipiù. Tu forse non te ne rendevi contosicuramente, ma se rifletti un momento,

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t'accorgerai che è vero: soffrivisoprattutto perché, quando ti venivainflitta un'umiliazione, un'ingiustizia,eri solo, disarmato, non avevi nullaper difenderti. Quando un capo tirimproverava o ti sgridavaingiustamente, quando ti veniva dato unlavoro che superava le tue forze,quando ti veniva imposta una cadenzache non era possibile mantenere,quando eri pagato una miseria, quandoti licenziavano, quando rifiutavano diassumerti perché non avevi certificatio perché avevi più di quarant'anni,quando ti cancellavano dal sussidio didisoccupazione, tu non potevinemmeno lamentarti. La cosa noninteressava a nessuno, tutti latrovavano naturalissima. I tuoicompagni non osavano sostenere le tueragioni, avevano paura dicompromettersi, se avesseroprotestato. Quando ti avevano cacciatoda una fabbrica, qualche volta il tuo

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migliore amico era imbarazzato a farsivedere con te davanti alla porta diquella fabbrica. I compagni stavanozitti, ti compiangevano a malapena,erano troppo assorbiti dalle loroproprie preoccupazioni, dalle lorosofferenze.

Come ci si sentiva soli! Ti ricordi?Tanto soli che si aveva freddo alcuore. Soli, disarmati, senza aiuto,abbandonati. Alla mercé dei capi, deipadroni, della gente ricca e potente chepoteva permettersi qualsiasi cosa.Senza diritti; mentre avevano tutti idiritti, loro. L'opinione pubblica eraindifferente. Si trovava naturale che unpadrone fosse il signore assoluto dellasua fabbrica. Signore di macchined'acciaio che non soffrono; padroneanche delle macchine di carne chesoffrivano ma che dovevano tacere leloro sofferenze sotto pena di soffrireancora di più. Tu eri una di quelle

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macchine di carne. Constatavi tutti igiorni che solo chi avesse avutoquattrini in tasca poteva, nella societàcapitalistica, apparire uomo,reclamare per sé dei riguardi. La genteavrebbe riso se tu avessi pretesod'essere trattato con riguardo. Perfinofra i compagni ci si trattava spessoduramente, brutalmente, come si eratrattati dai capi. Cittadino d'una grandecittà, operaio d'una grande fabbrica,eri solo, impotente, senza aiuto, comeun uomo solo nel deserto, abbandonatoalle forze della natura. La società eraindifferente agli uomini senza denarocome sono indifferenti il vento, il sole,la sabbia. Eri più una cosa che unuomo, nella vita sociale. E talvolta,quando era troppo dura a sopportare,tu stesso arrivavi a dimenticarti diessere un uomo.

Tutto questo, dopo giugno, èmutato. Non è stata soppressa né la

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miseria né l'ingiustizia. Ma non sei piùsolo. Non puoi far sempre rispettare ituoi diritti; ma c'è una grandeorganizzazione che li riconosce, liproclama, che può alzare la voce e chesi fa sentire. Da giugno, non un solofrancese ignora che gli operai sonoinsoddisfatti, che si sentono oppressi,che non accettano il loro destino.Taluni ti danno torto, altri ragione; matutti si preoccupano della tua sorte,pensano a te, temono o si augurano latua rivolta. Un'ingiustizia ai tuoi dannipuò, in determinate circostanze,scuotere l'ordine sociale. Haiacquistato importanza. Ma nondimenticare da dove ti viene questaimportanza. Anche se, nella tuafabbrica, il sindacato s'è imposto,anche se ora puoi permetterti moltecose, non immaginarti che ciò "siacapitato" Riprendi la giusta fierezzacui ha diritto ogni uomo, ma noninorgoglirti dei tuoi nuovi diritti. La

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tua forza non è in te. Se la grandeorganizzazione sindacale che tiprotegge dovesse declinare,ricominceresti a subire le stesseumiliazioni di una volta, saresticostretto alla medesima sottomissione,al medesimo silenzio, dovresti ancorauna volta giungere a piegarti sempre, asempre sopportare, a non osare maialzare la voce. Se cominci a esseretrattato come un uomo, lo devi alsindacato. Nell'avvenire, non meriteraid'essere trattato come un uomo se nonsaprai essere un buon membro delsindacato.

Essere un buon membro delsindacato, che cosa significa? Moltopiù, forse, di quel che immagini.Prendere la tessera, pagare le quote, èancora nulla. Eseguire fedelmente ledecisioni del sindacato, lottare quandoc'è lotta, soffrire se è necessario, non èancora abbastanza. Non credere che il

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sindacato sia semplicementeun'associazione d'interessi. I sindacatipadronali sono associazionid'interessi; i sindacati operai sonoun'altra cosa. Il sindacalismo è unideale al quale bisogna pensare tutti igiorni, al quale bisogna sempre averefisso lo sguardo. Essere sindacalista, èun modo di vivere, vuol direconformarsi, in qualsiasi azione,all'ideale sindacalista. L'operaiosindacalista deve comportarsi, in ogniminuto che trascorre in fabbrica, inmodo diverso dall'operaio nonsindacato. Quando non avevi nessundiritto, potevi non riconoscerti nessundovere. Ora sei qualcuno, hai unaforza, hai ricevuto dei vantaggi; ma incambio hai acquistato delleresponsabilità. Queste responsabilità,nulla, nella tua vita di miseria, t'hapreparato ad affrontarle. Tu devi oggilavorare per renderti capace diassumerle; altrimenti i vantaggi da

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poco acquisiti svaniranno un belgiorno come un sogno. Si conservano ipropri diritti solo se si è capaci diesercitarli come è necessario.

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LETTERE AAUGUSTEDETOEUF

Caro signore,

Sono dispiaciuta con me stessa dinon essere riuscita a farmi capireinteramente da lei, perché certo sitratta di colpa mia. Se il mio progetto,un giorno o l'altro deve realizzarsi ilprogetto di tornare da lei come operaiaper una durata indeterminata, percollaborare con lei, da quel posto, aqualche tentativo di riforma ènecessario che si stabilisca in anticipo

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una piena reciproca comprensione.

Sono rimasta colpita da quello chelei m'ha detto l'altro giorno: che ladignità è qualcosa d'intimo che nondipende dai gesti esteriori. E'verissimo che si può sopportare insilenzio e senza reagire molteingiustizie, oltraggi, ordini arbitrarisenza che per questo scompaia ladignità, anzi. Basta avere forzad'animo. In modo che, se io le dico,per esempio, che il primo urto con lavita operaia ha fatto di me per un certotempo una bestia da soma, che horitrovato poco a poco il senso dellamia dignità solo a prezzo di sforziquotidiani e di sofferenze morali chemi sfinivano, lei è in diritto diconcludere che si tratta di mancanza difermezza da parte mia. D'altra parte, setacessi (cosa che certo preferirei) ache servirebbe avere compiutoquell'esperienza?

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Egualmente non potrei farmiintendere finché lei mi attribuirà, comefa evidentemente, una certa ripugnanzatanto verso il lavoro manuale quantoverso la disciplina e l'obbedienza disé. Al contrario, ho sempre avuto unavivace tendenza al lavoro manuale(benché, è vero, non abbia nessunacapacità naturale per quello) eparticolarmente per i lavori piùfaticosi. Molto tempo prima dilavorare in fabbrica avevo imparato aconoscere il lavoro dei campi: fare ilfieno, mietere, battere il grano,strappare patate (dalle 7 della mattinaalle 10 della sera), e, malgrado unastanchezza enorme, vi avevo trovatogioie pure e profonde. Mi creda se ledico che sono capace di sottomettermicon gioia e con il massimo di buonavolontà a ogni disciplina necessariaall'efficacia del lavoro, purché sia unadisciplina umana.

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Chiamo umana ogni disciplina chefaccia appello in larga misura allabuona volontà, all'energia eall'intelligenza di chi obbedisce. Sonoentrata in fabbrica con una ridicolabuona volontà e mi sono accorta benpresto che era la cosa meno opportuna.Mi si chiedeva solo quel che si potevaottenere con la più rozza costrizione.

L'obbedienza, quale l'ho praticata,si definisce con i seguenti caratteri:anzitutto essa riduce il tempo alladimensione di pochi secondi. Quel chein ogni essere umano definisce ilrapporto fra lo spirito e il corpo, cioèche il corpo vive nell'istante presentementre lo spirito domina, percorre eorienta il tempo, è quel che ha definitoin quel periodo il rapporto fra me e icapi. Dovevo limitare costantemente lamia attenzione al gesto che stavofacendo. Non dovevo coordinarlo conaltri gesti ma solo ripeterlo finché

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l'ordine venisse, o il minuto, che me neimponesse uno diverso. E' un fattonotissimo che, quando il senso deltempo si limita a quello di un avveniresul quale non si può nulla, il coraggioscompare. In secondo luogo,l'obbedienza impegna l'uomo intero;nella sua sfera un ordine orienta unaattività, per me un ordine potevasconvolgere interamente corpo e animaperché ero, come molti altri, quasicontinuamente al limite delle mieforze. Un ordine poteva cadereaddosso in un momento di sfinimento ecostringermi a sforzarmi fino alladisperazione. Un capo può imporre siametodi di lavorazione, sia utensilidifettosi, sia una certa cadenza, chetolgono per l'eccesso della stanchezzaogni specie di interesse alle oretrascorse fuori della fabbrica.

Leggere differenze salarialipossono anche, in certe situazioni,

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minare l'esistenza. In queste condizionisi dipende totalmente dai capi che èimpossibile non temerli e, ancora unaconfessione penosa, è necessario unosforzo perpetuo per non cadere nellaservilità. In terzo luogo, questadisciplina fa appello, come moventi,solo all'interesse nella sua forma piùsordida, il denaro, e al timore. Se siaccorda in se stessi un postoimportante a moventi simili ci siavvilisce. Se li sopprimiamo, ci sirende indifferenti al guadagno e airimproveri, ci si rende al tempo stessoincapaci di obbedire con l'assolutapassività richiesta e di ripetere i gestidel lavoro alla cadenza imposta;incapacità immediatamente punitadalla fame. Ho talvolta pensato chesarebbe meglio essere piegati a unasimile obbedienza dall'esterno, peresempio a colpi di frusta, piuttosto didoversi piegare così da se stessi,inibendo la nostra parte migliore.

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In questa situazione, la grandezzad'animo che permetta di sprezzare leingiustizie e le umiliazioni è quasiimpossibile. Anzi, molte cose inapparenza insignificanti timbrare ilcartellino, dover presentare una cartad'identità all'ingresso della fabbrica(alla Renault), il modo con il quale sisvolge la cerimonia della paga, certileggeri rimproveri umilianoprofondamente, perché ricordano erendono sensibile la situazione nellaquale ci si trova. E' lo stesso per leprivazioni e per la fame.

La sola risorsa per non soffrire èquella di sprofondare nell'incoscienza.E' una tentazione alla quale moltisoccombono, sotto una qualsiasiforma, e alla quale io spesso mi sonopiegata. Conservare la lucidità, lacoscienza, la dignità che convengono aun essere umano è possibile, ma ciòsignifica condannarsi a dover

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sormontare quotidianamente ladisperazione. E' quanto, almeno, hosperimentato io.

Il movimento odierno è a base didisperazione. Per questo non puòessere ragionevole. Malgrado le suebuone intenzioni, lei non ha finoratentato nulla per liberare da quelladisperazione i suoi subordinati; cosìnon sta a lei biasimare quel che c'èd'irragionevole in questosommovimento. Per questo, l'altrogiorno, mi sono un poco riscaldatanella discussione cosa che, più tardi,m'è dispiaciuta benché sia interamented'accordo con lei sulla gravità deipericoli che si possono temere. Ancheper me, è disperazione, in fondo,l'origine della gioia pura che provovedendo i miei compagni rialzare unabuona volta il capo, senza nessunaconsiderazione delle possibiliconseguenze.

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Eppure credo che se le cose simettono bene, cioè se gli operairiprendono il lavoro in un termine ditempo assai breve e con la coscienzadi aver riportato una vittoria, fraqualche tempo si determinerà unasituazione favorevole per tentarequalche riforma nella sua fabbrica.Prima di tutto bisognerà lasciar loro iltempo di perdere il senso della loroforza momentanea, di perdere l'ideache si può avere paura di essi, diriprendere l'abitudine dellasottomissione e del silenzio. Quindipotrà stabilire fra loro e lei queirapporti di fiducia indispensabili aogni azione, facendo loro sentire che licomprende; se pur riesco a farglielicapire, il che presupponeevidentemente che io non mi sbaglicredendo di averli capiti io stessa.

Per quanto riguarda la situazioneattuale, se gli operai riprendono il

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lavoro con salari di poco superiori aquelli che avevano prima, ciò puòaccadere solo in due maniere. Oavranno l'impressione di cedere allaforza e si metteranno al lavoro conumiliazione e disperazione; o siaccorderanno loro compensi morali, ece n'è uno solo possibile: la facoltà dicontrollare che i bassi salari sono laconseguenza d'una necessità e non giàd'una cattiva volontà del padrone. E'quasi impossibile, lo so bene. In ognicaso i padroni, se fossero avveduti,dovrebbero far tutto perché lesoddisfazioni che accordano diano aglioperai l'impressione d'una vittoria. Nelloro attuale stato d'animo, nonsopporterebbero l'idea d'una disfatta.

Tornerò certo a Parigi mercoledìsera. Passerò volentieri da lei giovedìo venerdì mattina prima delle 9, setuttavia non la disturbo e se le sembrautile una nostra conversazione. Mi

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conosco: so che passato questoperiodo di effervescenza non oserò piùvenire così da lei, per paurad'importunarla e, da parte sua, saràforse costretto dal corso dellepreoccupazioni quotidiane a rimandarecerti problemi.

Se dovessi disturbarla, anchepochissimo, non ha che farmelo sapereo semplicemente non ricevermi. Sobenissimo che ha ben altro da fare checonversare.

Creda a tutta la mia simpatia.

S. Weil.

P. S. Ha visto "Tempi moderni",(1) penso. La macchina per mangiare,ecco il più bello e il più vero simbolodella situazione degli operai infabbrica.

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NOTA 1: Il film di CharlieChaplin.

Venerdì.

Caro signore,

Stamani sono riuscita a penetrarecon un trucco alla Renault, malgrado laseverità del servizio d'ordine. Hopensato che potesse essere utilecomunicarle le mie impressioni.

1. GLI OPERAI NON SANNONULLA DELLE CONVERSAZIONIIN CORSO. Non vengono informati dinulla.

Credono che Renault rifiuti diaccettare il contratto collettivo.Un'operaia mi ha detto: pare che per i

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salari siamo a posto, ma non voglionoammettere il contratto collettivo. Unoperaio m'ha detto: per quantoriguarda noi credo che sarebbe giàsistemato tutto da 3 giorni, ma siccomegli impiegati d'officina ci hannosostenuti, ora dobbiamo essere noi asostenerli, eccetera. Purtroppo,trovano naturale non saper nulla. Cihanno fatto tanto l'abitudine.

2. Si comincia chiaramente a nonpoterne più. Taluni, anche genteappassionata, lo confessanoapertamente.

3. Regna una straordinariaatmosfera di sfiducia, di sospetto. Unastrana cerimonia: quelli che escono enon tornano, che si allontanano senzaautorizzazione, vengono votatiall'infamia scrivendo il loro nome sudi un cartello, in un reparto (usorusso), impiccandoli in effigie e

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organizzando in loro onore un funeraleburlesco. Quasi certamente, allaripresa del lavoro, si esigerà il lorolicenziamento. A parte ciò, pococameratismo in giro. Silenzio generale.

4. Tre giorni fa (mi pare) unsindacato "professionale" dei tecnici(a partire dagli operatori inclusi) èstato costituito, su iniziativa, sempredelle "Croci di Fuoco" Gli operaidicono che è stato sciolto il giornodopo e che il 97% dei tecnici e delpersonale d'ordine ha aderito alla C.G. T.

Solo la cassa assicurazioni dellaRenault che occupa un locale dellaRenault e fa parte della ditta è insciopero, ma senza bandiera alla portae ha esposto due esemplari di unmanifesto che smentisce loscioglimento del sindacato e annunciache conta 3500 aderenti, che ne sono

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stati costituiti altri simili alla Citroen,alla Fiat eccetera e che si metteràimmediatamente a reclutare aderentifra gli operai. Ciò avviene a qualchemetro dagli edifici dove sventolano lebandiere rosse. Nessuno parepreoccupato di strappare quei fogli enemmeno di smentirli.

Conclusione: è ormai certo che unamanovra è in corso. Ma di chi?Maurice Thorez ha fatto un discorso,invitando chiaramente a porre fino allosciopero.

Arrivo a chiedermi se i quadrisubalterni del partito comunista nonsono sfuggiti al controllo del partitoper cadere nelle mani di chissà chi.Perché è chiarissimo che tutto vienefatto ancora in nome del partitocomunista ("Internazionale", stendardi,falci e martelli eccetera in quantità),benché corra voce d'una cattiva

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accoglienza fatta a Costes.

Io seguito a credere nella mia idea,forse utopistica, ma che è la solaalternativa, mi pare, dello statototalitario. Se la classe operaia imponecosì brutalmente la sua forza, bisognache assuma le responsabilitàequivalenti. E' inammissibile e inultima analisi impossibile che unacategoria sociale imponga i suoidesideri con la forza e che i capi, soliresponsabili, siano costretti a cedere.E' necessaria una certa divisione dellaresponsabilità o un ristabilimentobrutale della gerarchia che certo, inqualsiasi modo venga compiuto, nonpotrebbe accadere senza spargimentodi sangue.

Immagino benissimo il capo diun'azienda dire in sostanza ai suoioperai, quando il lavoro sia ripreso(se le cose si mettono a posto, bene o

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male, provvisoriamente) : per operavostra si entra in una nuova era. Avetevoluto mettere fine alle sofferenze chele necessità della produzioneindustriale vi imponevano da anni eanni. Ma da ciò deriva una situazionesenza precedenti che esige nuoveforme organizzative. Siccome intendetefar pesare la forza delle vostrerivendicazioni sulle impreseindustriali, voi dovete poter affrontarele responsabilità delle condizioninuove che avete suscitato. Siamodesiderosi di facilitare l'adattamentodella fabbrica a questo nuovo rapportodi forze. A questo fine, favoriremol'organizzazione di circoli di studitecnici, economici e sociali infabbrica. Daremo dei locali a questicircoli, li autorizzeremo a rivolgersiper conferenze tanto ai tecnici dellafabbrica, quanto ai tecnici edeconomisti membri delleorganizzazioni sindacali;

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organizzeremo per loro visite dellafabbrica con spiegazioni tecniche,favoriremo la nascita di bollettinidivulgativi; tutto questo per permettereagli operai e più particolarmente aidelegati operai, di comprendere cos'èl'organizzazione e la gestione diun'impresa industriale.

E' un'idea ardita, certo e forsepericolosa. Ma che cosa non èpericoloso in questo momento? Loslancio che anima gli operai larenderebbe forse possibile. In ognicaso le chiedo vivamente di prenderlain considerazione.

Concepisco così il problemadell'autorità, su di un piano di teoriapura: da una parte i capi debbonocomandare, è certo, e i subordinatiobbedire; d'altra parte i subordinatinon debbono sentirsi consegnati animee corpi a un dominio arbitrario e per

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questo debbono, non già collaborare,questo è certo, all'elaborazione degliordini, ma potersi rendere conto dellaproporzione in cui quegli ordinicorrispondono a una necessità.

Ma tutto ciò è avvenire. Lasituazione presente si riassume così:

1. I padroni hanno accordatoconcessioni incontestabilmentesoddisfacenti, tanto più che i suoioperai si sono considerati soddisfattianche con meno.

2. Il partito comunista ha presoufficialmente posizione (pur con delleperifrasi) per la ripresa del lavoro ed'altronde so da fonte sicura che incerti sindacati i militanti comunistihanno effettivamente lavorato aimpedire lo sciopero (servizi pubblici)

3. Gli operai della Renault, ecertamente anche gli altri, ignorano

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tutto delle conversazioni in corso; nonsono dunque essi ad agire per impedirel'accordo.

Ho scritto a Roy (che oggi è fuoriParigi) per dargli queste informazionie le ho ugualmente trasmesse a unmilitante responsabile dell'Unione deisindacati della Senna, un compagnoche è una persona seria e che le haprese nella dovuta considerazione.

Tutto quel che le dico si riferiscealla situazione presente; perché ilrifiuto della convenzione conclusa frapadroni e C. G. T. (dal 15 al 7%)sembra essere stato invececompletamente spontaneo.

Con molta simpatia.

Tornerò certamente a Parigidomani sera a mezzanotte. E'penosissimo e angoscioso doverrestare in provincia durante una simile

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situazione.

a) LETTERA di SIMONE WEIL

[in "Nouveaux Cahiers", 15dicembre 1937. Corrispondenza fra S.Weil e A. Detoeuf].

Caro amico,

In treno ho udito una conversazionefra due proprietari, patronato medio,evidentemente (viaggiavano inseconda, nastrino della legiond'onore); uno, così pareva, diprovincia e l'altro che faceva la spolafra la provincia e la regione parigina.Il primo del ramo tessile, il secondo,metallurgico; capelli bianchi, un pocorpulento, aria molto rispettabile; ilsecondo, con qualche funzione nel

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sindacalismo padronale della regioneparigina. Le loro opinioni mi sonoparse tanto notevoli che le ho trascritteappena arrivata a casa. Glieleriferisco, corredandole di qualchecommento. []

"Ecco che si riparla del controllodelle assunzioni e licenziamenti. Nelleminiere, mettono delle commissioniparitetiche, già, con i rappresentantidegli operai accanto al padrone. Sirende conto? Non si potrà piùassumere o licenziare chi ci pare! Oh,non c'è dubbio, è una violazione dellalibertà. E' la fine di tutto! Sì, lei haragione; come diceva dianzi, sicomportano tanto bene da disgustarecompletamente, DA DISGUSTARE ALPUNTO CHE NON SI ACCETTANOpiù' ORDINAZIONI, ANCHE SEARRIVANO. Giustissimo. Noialtriabbiamo votato all'unanimità unarisoluzione per dire che non vogliamo

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saperne di quel controllo, che piuttostochiudiamo le fabbriche. Se facesserocosì dappertutto, dovrebbero cedereOh, se la legge dovesse passare, non cirimarrebbe che chiudere, tutti quanti.Eh, diamine, non abbiamo più nienteda perdere...".

Parentesi: è strano che gente bennutrita, ben vestita, ben scaldata, cheviaggia comodamente in seconda,creda non aver nulla da perdere. Se laloro tattica, che era quella deiproprietari russi nel 1917, provocasseuno sconvolgimento che li cacciasse,erranti, senza mezzi, senza passaporti,senza permessi di lavoro, in paesistranieri, s'accorgerebbero allora cheavevano molto da perdere. Fin d'ora,potrebbero documentarsi su coloroche, avendo avuto in Russia situazionisociali simili alla loro, sono costrettiancora oggi a faticare miseramentecome semplici operai alla Renault.

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"Eh, già, non abbiamo più nulla daperdere! Nulla. E poi, insomma, sisarebbe come il capitano d'una naveche non ha più nulla da dire, che nonpuò far altro che chiudersi nella suacabina, mentre l'equipaggio è sulponte" []

" Il padrone è l'essere più odiato.Odiato da tutti. Eppure è lui che favivere tutti quanti. Come è stranaquesta ingiustizia! Già, odiato da tutti.Una volta, almeno, si avevano deiriguardi. Mi ricordo, quand'erogiovane... Finito, ormai. Già, anche làdove il personale d'ordine è buono.Ah, quei cialtroni hanno fatto tutto quelche ci voleva per arrivare a questopunto. MA CE LA PAGHERANNO".

Quest'ultima parola, su di un tonod'odio concentrato. Senza voler essereallarmista, conversazioni simili,bisogna riconoscerlo, possono

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avvenire solo in un'atmosfera che nonè quella della pace civile.

" Non ce ne rendiamo affatto conto,ma il fiume della vita sociale sgorgadalla cassa dei proprietari. Sechiudessero tutti contemporaneamente,chi potrebbe più fare nulla? Si arriveràper forza a quel punto, e allora la gentecapirà. I proprietari hanno avuto iltorto d'essersi spaventati. Dovevanosolo dire: siamo noi che abbiamo leleve di comando; e avrebbero impostola loro volontà"

Sarebbero rimasti molto stupiti sesi fosse detto loro che un progettosimile era solo l'equivalente padronaledello sciopero generale, per il quale,certo, non avevano parole capaci diesprimere la loro riprovazione. Se ipadroni possono legittimamente fareuno sciopero simile per avere dirittodi assumere e di licenziare chi pare

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loro meglio, perché gli operai nonpotrebbero fare uno sciopero generaleper avere diritto di non essere rifiutatio assunti a capriccio? Erano loro che,nei tristi anni 193435, non avevanoavuto davvero gran che da perdere.

D'altronde, quei due bravi signorinon hanno nemmeno l'aria diimmaginarsi che, se i proprietarichiudessero tutti insieme, le fabbricheverrebbero riaperte senza stare achiedere loro la chiave e chesarebbero fatte funzionare senza diloro. L'esempio della Russia induce apensare che gli anni seguenti nonsarebbero gradevoli per nessuno; manon lo sarebbero soprattutto per loro.

" Sì, dopotutto, non abbiamo piùnulla da perdere. Oh, no, proprio nulla;meglio crepare. Già, se si devecrepare, in ogni caso, meglio creparein bellezza. Ho proprio l'impressione

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che questa sarà la battaglia dellaMarna del padronato. Siamo con lespalle al muro e ora...".

Qui la fermata del treno hainterrotto la conversazione. Anchel'evocazione della battaglia dellaMarna fa pensare alla guerra civilepiuttosto che a semplici conflittisociali. Questi ricordi militari, questaterminologia di "crepare" e di "nonabbiamo più nulla da perdere",ripetuta a sazietà, avevano un suonopiuttosto comico in bocca a queisignori corretti, panciutelli, ben nutriti,che in ogni particolare mostravanoquell'aspetto confortevole, pacifico etranquillizzante che è proprio delfrancese medio.

Era solo una conversazioneprivata. Ma penso che unaconversazione, in un luogo quasipubblico, fra due persone che tale era

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evidentemente il loro caso la cuiqualità principale non è certol'originalità, non può avere luogo senon è resa possibile da una certaatmosfera generale; di modo che unaconversazione sola può essereconclusiva. Questa è adatta a esseremessa nella rubrica che potrebbeessere aperta dall'articolo di Detoeuf:sabotaggio padronale e sabotaggiooperaio; credo ancora che egli abbiaavuto ragione, ma più per un pericoloormai trascorso che per il momentopresente. O, piuttosto, per nonesagerare, penso che la situazione sistia sviluppando in modo da dargliogni giorno un po meno ragione. Inogni caso, bisogna constatare che certeidee di sabotaggio circolano; che intaluni il disgusto ha provocatol'equivalente padronale d'uno scioperobianco. Almeno è quello che ho sentitoaffermare in quei termini; garantiscol'esattezza delle frasi che riferisco.

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Lei può pubblicare questa letteranei "Nouveaux Cahiers" (anzi è perquesto che gliela scrivo)

S. Weil.

P. S. Ecco quel che la situazionepresente ha di più paradossale. Ipadroni, siccome CREDONO di nonavere più nulla da perdere, assumonoil lessico e l'atteggiamentorivoluzionario. Gli operai, siccomeCREDONO d'avere qualcosa di moltoimportante da perdere, assumono illessico e l'atteggiamento conservatori.

b) RISPOSTA DI A. DETOEUF.

Cara amica,

La conversazione che lei mi riportaè interessantissima; senzageneralizzare così largamente come fa,

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credo che essa rifletta uno statod'animo diffusissimo. Ma non mi ispirale sue medesime riflessioni. Leiragiona con il suo animo che siidentifica, per tenerezza e spirito digiustizia, con l'anima operaia, mentreinvece si tratta di capire deiproprietari che son forse degli exoperai ma che sono certamente, datempo, dei proprietari.

Vuole che lasciamo da parte quelche ci può essere di un po grottesco eanche di un po odioso nel fattod'essere panciutello e ben nutrito? E'una disgrazia che i due industriali chelei ha incontrato, e io stesso,condividiamo con dei rappresentantidella classe operaia e anche con deglioperai, che non per questo pensano chetutto sia meglio nel migliore dei mondipossibili. Se insisto su questo punto,certo per lei secondario, lo faccioperché in verità nell'esposizione

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obiettiva della conversazione che leiha inteso e nei commenti d'una logicaspietata che l'accompagnano, soloquell'elemento pittoresco, fisico, parladell'immaginazione e allontana, cosìmi pare, dalla necessaria serenità.

Dimentichiamo dunque, se vuole,l'aspetto fisico dei due proprietari.Che cosa risulta dalla loroconversazione? Incontestabilmente,che sono esasperati, che credono dinon avere più nulla da perdere, chesono disposti a chiudere le lorofabbriche per resistere a una leggesulle assunzioni che li priverebbe dicerte prerogative giudicateindispensabili alla loro gestione; e cheuno sciopero generale dei proprietariparrebbe loro un'insurrezionepatriottica.

Lei afferma che essi hanno daperdere molto di più di quel che

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credono, che si propongono l'uso d'unostrumento di lotta che riprovanoquando è impiegato dai lorosubordinati, che le fabbrichefunzioneranno anche senza di loro; econclude che la tendenza al sabotaggiopadronale si accresce.

E, in tutto questo, c'è una parte diverità; ma, a parer mio, si tratta dellaparte di verità che non può condurre,nel presente immediato, a nulla dipratico, a nulla di migliore.

Si metta nei panni dei dueproprietari. Questi uomini hannocreduto d'essere onnipotenti nella loroimpresa industriale; vi hanno rischiatoil loro denaro; probabilmente hannofaticato a lungo e duramente, con gravipreoccupazioni; combattuto per anniinteri contro tutti, concorrenti,fornitori, clienti, personale. Sono statiformati in modo da considerare il

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mondo come composto di nemici, danon poter contare su nessuno, se non sualcuni impiegati eccezionali la cuidevozione consideravano, quasisempre, come cosa naturale. Hannol'impressione di non avere mai chiestonulla a nessuno, di avere sempredesiderato una cosa sola, che li silasciasse in pace; che li si lasciassesbrigarsela da soli. Sbrigarsela dasoli, ora imbrogliando questo, oraschiacciando quest'altro, d'accordo.Ma senza rimorsi, senza l'ombra di unapreoccupazione, perché nessuno hainsegnato loro che esiste unasolidarietà sociale; perché nessuno,intorno a loro, la pratica. Sono certi diavere fatto il loro dovere, cercando difare quattrini; e accolgono volentieriquest'idea supplementare che,difendendo la propria pelle, loromovente principale, arricchiscono lacollettività e si rendono utili allanazione. Ne sono tanto più persuasi in

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quanto hanno visto, accanto a loro,certa gente guadagnare più di lorocome commissionari, intermediari,speculatori e spesso sfruttatori delrisparmio, senza essere puniti.

Aggiunga a tutto questo che gliultimi anni di questo regime li hannopersuasi che solo la minaccia e laviolenza riescono; che gridandoabbastanza forte e mostrandosiabbastanza indisciplinati di fronte allostato, affermando che ci si vuolesottrarre alle leggi, si è sicuri (acondizione di essere in molti) non solodell'impunità ma anche del successo. Elei vorrebbe che essi soliconservassero lo scrupolo di noncreare difficoltà al governo, a ungoverno appoggiato da un partito cheauspica la totale confisca dei lorobeni!

Non le dico che le loro ragioni

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siano valide, che le loro idee sianogiuste; le chiedo solo di constatareche, a meno di essere al di sopradell'umanità, non possono pensarediversamente.

Quando parlano di "crepare",quando dicono "che non hanno piùnulla da perdere", sotto un certo puntodi vista esagerano; cercando al tempostesso di trovare nel collegaquell'appoggio che è sempre loromancato e di convincerlo cheposseggono più energia e spiritocollettivo di quel che in realtàabbiano. Ma lo credono veramente. Equi bisogna proprio che lei faccia unosforzo d'immaginazione per rendersiconto come quegli uomini non abbianotutta l'immaginazione che leiattribuisce loro. Non avere più nullada perdere, per essi vuol direabbandonare la loro impresaindustriale, la loro ragione d'essere, il

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loro ambiente sociale, tutto quel che,per essi, è l'esistenza. Non conosconola fame, non possono immaginarla; nonconoscono l'esilio, non possonoimmaginarlo; ma conoscono l'esempiodel fallimento, della rovina, deldeclassamento, dei figli che nonpossono essere sistemati come, da tuttal'eternità, era stabilito che sarebberostati sistemati. E la distruzione dellecondizioni abituali della loroesistenza, è, per loro, la distruzionedell'esistenza stessa. Supponga che levenga detto: lei continuerà a mangiarebene, ad avere caldo, ci si occuperà dilei, ma lei sarà come un'idiota econsiderata da tutti come un relitto.Non direbbe anche lei: "Non ho piùnulla da perdere?" Perché quel che èper lei l'attività del suo spirito; quelleche per lei sono le emozioni sociali,morali, estetiche, è per costoro legatoalla loro fabbrica che ha semprefunzionato in un certo modo e che non

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immaginano possa funzionarediversamente. Tralasciovolontariamente tutto quel che vi puòessere in loro di bello, di nobile, didisinteressato. Perché c'è anche tuttociò; ma per scoprirlo, occorrerebbeavere esercitata da tempo la propriasimpatia verso di loro.

Mi conceda dunque che quei dueproprietari non possono pensarediversamente da quel che fanno, epassiamo a un secondo punto. Sonoessi inutili e, come lei dice, si potràfare a meno di loro? Non credo nél'una né l'altra cosa. Se è relativamentefacile sostituire un dirigente d'unagrande impresa con un funzionario, ilpiccolo proprietario può esseresostituito solo da un proprietario.Riducendolo allo stato di funzionario,la sua fabbrica si fermerebbeprestissimo. Tutta la sua attività, tuttala sua capacità di arrangiarsi, tutta la

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sua adattabilità quotidiana a unasituazione incessantemente mutevole,tutta questa azione che esige decisioni,rischi, responsabilità ininterrotte èproprio il contrario del lavoro delsalariato, soprattutto del salariatod'una collettività. Di tutte le difficoltàincontrate dall'economia comunistarussa, quelle che provengono dallasoppressione del piccolo commercio,della piccola industria,dell'artigianato, sono le più gravi,quelle che essa non ha superato e chenon supererà. Qualunque sial'economia nuova che si auspica, ilpadronato piccolo e medio rimarrà.Lei ritiene che esso comprende male lasituazione; non la capirà certodall'oggi al domani, ma può imparare acapirla. Da diciotto mesi in qua ha giàcapito più di quel che si creda.

Non commetta dunque il lorostesso errore. Vogliono fare cose che

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lei giudica assurde e lei ha bisogno diloro. Se vuole che non le facciano,bisogna cercare di calmarli. Certeprecauzioni sono necessarie per leassunzioni e per i licenziamenti;bisogna prenderle, ma riducendole allostretto minimo indispensabile; e, inparticolare è proprio sui piccoliindustriali che deve esercitarsi losforzo di regolamentazione per laprotezione della massa operaia? Nonlo credo. Se le assunzioni sono fattecorrettamente nella grande industrianon crede che il gioco naturale delladomanda e dell'offerta condurrà adassunzioni corrette anche nella piccolaindustria? Se lei vuole regolamentareun troppo elevato numero di impreseindustriali, creerà un eccesso diburocrazia, un controllo impossibilead attuarsi, e continui attriti.L'educazione dei piccoli e mediindustriali non può arrivare a farla conun'azione diretta ma con una indiretta.

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Essi hanno l'abitudine di adattarsi aquella che è la forza delle cose: seprotestano oggi, lo fanno perché hannodinnanzi a sé la forza degli uomini, diuomini che non hanno scelti, di uominiche ritengono tirannici.

Non si cerchi di imporre la vostravolontà con regolamenti che noncapiscono; non ci arrivereste. Da unlato, non potreste sostituirli, non soloperché lo stato fallirebbe pietosamentein questo tentativo ma perché nonoserà mai intraprenderlo. Le masseoperaie sono concentrate, è vero, marappresentano appena un quarto delpaese; non possono imporgli la propriavolontà. Per avere mancato di misura,per inesperienza nelle lororivendicazioni salariali, ecco che unagran parte del paese li sconfessa, senon a parole almeno in cuor suo. Unagestione di stato delle piccole impresenon sarà mai prevista, in Francia. E

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d'altronde, rinunciando alla gestionediretta, sia certa che tutti i vostriregolamenti vari e necessariamenteinumani, saranno rapidamente aggiratie scherniti e cadranno in desuetudine. Ivostri industriali sono esasperati; manon al punto, sia certa, da dimenticareil loro rendiconto personale che, inparte, si confonde con l'interessegenerale. Uno sciopero generale controminacce di una rigorosa legislazionedelle assunzioni, non credo sia daescludere; perché si tratta di misureche colpiscono direttamente ciascunodi loro in quello che ritengono siaessenziale alla loro esistenza. Maquesta è solo una manifestazione. Quelche bisogna temere, non è questo; è lostato d'animo con cui sarà applicatauna legislazione forse burocratica,forse pedante, forse antieconomica,forse anche antisociale; unalegislazione che non sarà compresa dauna parte di coloro ai quali sarà

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applicata. Ci vuole una legislazioneche sia compresa e che quindi nontrasformi di punto in bianco tuttal'attuale struttura; che impedisca gliabusi senza pretendere di regolarel'esercizio corrente dell'autoritàpadronale. Ed è possibile. Ma bisognavederla e non lasciarsi trascinare aprovocare il disordine, con il pretestodi voler stabilire un po d'ordine; aesasperare una parte, e forse la piùattiva, dell'economia, con il pretesto distabilire la pace sociale; a promulgare,con un governo debole come quelloche abbiamo, leggi che quel governosarà, sin dal principio, incapace diapplicare.

Bisogna accettare che ci sianouomini con un po di pancia e che nonragionano sempre molto bene perchéinvece di pochi disoccupati più omeno sussidiati non ci sia un'interapopolazione morente di fame ed

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esposta a tutte le avventure.

A. Detoeuf.

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OSSERVAZIONISUGLI

INSEGNAMENTIDA TRARRE

DAICONFLITTINEL NORD.

[Rapporto alla C. G. T., ritornandoda una inchiesta (1936-37)].

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PROBLEMA DELLADISCIPLINA, DELLA QUALITA’,DEL RENDIMENTO.

L'interesse a un esame serio diquesto problema è tanto maggiore, inquanto esso si pone più o meno pertutta l'industria francese. Nel Nord,esso è divenuto rapidamente l'obiettivoessenziale dei conflitti. Gli industrialihanno lottato per le sanzioni con lacoscienza di difendere la causadell'autorità in tutta la Francia; glioperai, con la coscienza di difenderele conquiste morali di giugno per tuttala classe operaia francese. Sarebbeassurdo considerare, come è stato fattofinora nelle dichiarazioni ufficiali, chele lamentele dei padroni sonointeramente menzognere; perché non losono. Sono certo esagerate, macontengono un'incontestabile parte diverità.

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E' facile comprendere i dati delproblema. Prima di giugno, le officinevivevano nel regime del terrore.Questo terrore portava fatalmente iproprietari, anche i migliori, allesoluzioni di facilità. La scelta dei capiera divenuta quasi indifferente; nonavevano bisogno di farsi rispettareperché avevano il potere di far piegaretutto dinanzi a sé; non avevanonemmeno bisogno, il più delle volte, dicompetenza tecnica, perché siperseguiva l'abbassamento dei costimediante l'aumento dell'intensitàlavorativa e la riduzione del salario.Tutta l'organizzazione del lavoro eraconcepita in modo da fare appello,negli operai, ai moventi più bassi,come la paura, il desiderio di farsibenvolere, l'ossessione del denaro, lagelosia verso i compagni di lavoro. Ilmese di giugno ha dato alla classeoperaia una trasformazione morale cheha soppresso tutte le condizioni sulle

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quali si fondava l'organizzazione dellefabbriche. Si sarebbe dovutoprocedere a una riorganizzazione. Gliindustriali non l'hanno fatta.

Il movimento di giugno è statoanzitutto una distensione e questadistensione dura tuttora. Il timore, lagelosia, la corsa ai i premi diproduzione sono scomparsi in misuraassai larga, mentre la coscienzaprofessionale e l'amore del lavoroerano stati considerevolmenteindeboliti negli operai, nel corsodegli anni che hanno preceduto gliavvenimenti del giugno, a causa dellaprogressiva squalificazione del lavoroe dell'oppressione inumana cheradicava nel cuore degli operai l'odioper la fabbrica. Di fronte a questagenerale distensione, gli industriali sisono sentiti paralizzati perché nonhanno capito. Hanno continuato a farfunzionare le fabbriche profittando

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delle abitudini acquisite; la loro solainnovazione è stata puramente negativae provocata dalla paura, ed è consistitanel sopprimere praticamente lesanzioni, in una più o meno grandemisura, secondo i casi; e, spesso,totalmente. A questo puntodiventava inevitabile che ci fosserodegli ingranaggi capaci difunzionare negli strumenti dell'autoritàpadronale e si verificava quindiuna certa oscillazione nellaproduzione.

Si è così prodotta, da giugno inpoi, una trasformazione psicologica siada parte degli operai che da parte deipadroni. E' questo un fattod'importanza capitale. La lotta diclasse non è semplicemente funzioned'interessi, il modo in cui essa si volgedipende in gran parte dallo statod'animo che regna in questo o inquell'altro ambiente sociale.

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Da parte operaia, la natura stessadel lavoro pare essere mutata, in unamisura più o meno vasta, secondo lefabbriche. Sulla carta il lavoro acottimo è mantenuto ma, in una certamisura, le cose vanno come se nonesistesse più; in ogni caso il ritmo dilavoro ha perduto il suo carattereossessivo, gli operai hanno tendenza atornare al ritmo naturale del lavoro.Dal punto di vista sindacalista, che è ilnostro, c'è in questo,incontestabilmente, un progressomorale, tanto più che l'accresciutocameratismo ha contribuito a questomutamento sopprimendo, negli operai,il desiderio di sorpassarsi a vicenda.Ma, al tempo stesso, a causa delrilasciamento della disciplina, hapotuto svilupparsi in taluni la mentalitàdell'operaio che ha trovato unasistemazione tranquilla. E cosa che dalpunto di vista sindacalista è più gravedella diminuzione della cadenza si è

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avuto incontestabilmente, in talunefabbriche, uno scadimento dellaqualità del lavoro perché controllori everificatori, non subendo più nelmedesimo grado la pressionepadronale e divenuti sensibili a quelladei loro compagni di lavoro, sonodiventati di manica larga per i pezzisbagliati. Quanto alla disciplina, glioperai si sono sentiti capaci didisobbedire e ogni tanto ne hannoapprofittato. Hanno tendenza, inparticolare, a rifiutare l'obbedienza aicapisquadra non aderenti alla C. G. T.In certi posti, particolarmente aMaubeuge, certi capisquadra hannoquasi perduto il potere di spostare glioperai. Ci sono stati diversi casi dirifiuto d'obbedienza dinanzi ai quali icapi hanno dovuto inchinarsi; ci sonostati anche dei casi frequenti diriunioni durante le ore di lavoro, disingoli o di squadre o di reparti; e diinterruzioni del lavoro per motivi

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insignificanti.

I capisquadra, abituati acomandare brutalmente e che prima digiugno non avevano avuto quasi mai ilbisogno di persuadere, si sono trovaticompletamente disorientati; posti fragli operai e la direzione di fronte allaquale erano responsabili ma che non liappoggiava, la situazione loro èdivenuta moralmente difficilissima.Così, quasi tutti, sono passati a poco apoco, soprattutto a Lille, nel campoantioperaio; e ciò anche quandoconservavano la tessera della C. G. T.A Lille si è notato che verso il mese diottobre, cominciavano a tornare ai loromodi autoritari d'una volta. Quanto aidirigenti e ai proprietari essi hannolasciato fare, hanno sopportatopassivamente e senza dire nulla quasitutto; ma gli argomenti e i rancori sisono accumulati nel loro spirito equando, per coronare tutto il resto, è

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scoppiato uno sciopero senzaapparente obiettivo, si sono trovatidecisi a spezzare il sindacato al prezzodi qualsiasi sacrificio. Da allora ilconflitto ha avuto per obiettivo leconquiste stesse del giugno che sitrattava da una parte di conservare edall'altra di distruggere, mentre finoallora quelle conquiste non erano stateneppure poste in discussione. E ipadroni, vedendo poco a poco lamiseria gravare sugli scioperanti,hanno potuto rendersi conto del loropotere, del quale, da giugno in poi,avevano perduto coscienza.

La perdita di simpatia dei tecniciverso il movimento operaio èd'altronde una delle principali causeche hanno condotto il padronato ariprendere fiducia nella propria forza.Questa progressiva perdita disimpatia, prevedibile fin dal mese digiugno e che era impossibile evitare

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interamente, ha preso proporzionidisastrose per il movimento sindacale.I padroni non hanno più paura, come ingiugno, che la fabbrica funzioni senzaloro. L'esperienza è stata fatta a Lille.In una fabbrica di 450 operai, ilproprietario, avendo deciso la serrataperché gli operai non volevanopermettere il licenziamento deldelegato principale, ha abbandonato lafabbrica; i tecnici e gli impiegati,iscritti alla C. G. T. l'hanno seguitotutti, e gli operai, dopo aver cercatoper due giorni di far andare avanti lafabbrica da soli, hanno dovutorinunciare. Un'esperienza simile mutain modo decisivo il rapporto di forze.

COMPITO DEI DELEGATIOPERAI.

In questa evoluzione i delegati

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operai hanno avuto una parte di primopiano. Eletti per sorvegliarel'applicazione delle leggi sociali, sonodivenuti rapidamente, nelle fabbriche,una potenza, e si sono notevolmenteallontanati dalla loro missione teorica.Bisogna ricercarne la causa da unaparte nel panico che dopo giugnoaveva colto gli industriali, e li avevacondotti, talvolta, a una attitudineprossima all'abdicazione e dall'altraparte nel cumulo di funzioni propriedei delegati e di funzioni sindacali chenon sono mai state previste da alcuntesto. I delegati sono apparsi poco apoco agli occhi degli operai comeun'emanazione dell'autorità sindacale egli operai, abituati da anniall'obbedienza passiva, poco avvezzialla pratica della democraziasindacale, si sono adattati a ricevere iloro ordini.

L'assemblea dei delegati d'una

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fabbrica o di una località sostituiscecosì in realtà, in una certa misura,l'assemblea generale o gli organismipropriamente sindacali. Così aMaubeuge i delegati d'una fabbrica,riuniti per esaminare i mezzi destinatia imporre ai proprietari la conclusionedel contratto collettivo, hannoconsiderato l'opportunità di proporreall'assemblea dei delegati diMaubeuge un rallentamento generaledella produzione; e il giorno dopo unodei delegati di quella fabbrica haassunto l'iniziativa di ordinare alla suasquadra di diminuire la cadenza dilavoro. A Lille, quando l'ufficio delsindacato ha deciso di generalizzareuno sciopero, ha convocato i delegatiper trasmettere loro la parola d'ordine.Un delegato che ordina un arresto dilavoro nel settore che rappresenta èimmediatamente obbedito. Così idelegati hanno un doppio potere: unpotere di fronte agli industriali perché

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possono appoggiare tutti i reclamianche i più infimi, o i più assurdi, conla minaccia dell'interruzione dellavoro; e di fronte agli operai perchépossono di propria scelta appoggiare ono la richiesta di questo o diquell'operaio, vietare o no che glivenga imposta una sanzione, talorapersino richiedere il suolicenziamento.

Taluni fatti precisi accaduti aMaubeuge possono dare un'idea delleassurdità alle quali si giunge. Inun'officina i delegati fanno uscire unoperaio iscritto a un sindacatocristiano; il direttore lo fa tornare alsuo posto di lavoro e i delegati, pervendicarsi del direttore, vietano aquesta o a quella squadra l'esecuzionedi un lavoro urgente. Nessuna sanzioneè stata applicata. In altra località,siccome una squadra aveva cantatol'"Internazionale" al passaggio di

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alcuni visitatori, il delegato chiamatoin ufficio per dare delle spiegazioni, fainterrompere il lavoro prima di andarea rispondere. Nessuna sanzione. In unaterza località, i delegati ordinano unosciopero bianco senza consultare ilsindacato. In un'altra ancora, i delegatifanno interrompere il lavoro perottenere il licenziamento degli iscrittiai sindacati cristiani. Altrove, varidelegati conducono gli operai adassediare una officina, durante le oredi lavoro, per fare uscire dallafabbrica un altro delegato, iscritto allaC. G. T., accusandolo di essersivenduto alla direzione. I delegatidecidono anche della cadenza dellavoro, ora facendola scendere al disotto di quello che è un lavoronormale, ora facendola salire a unpunto che gli operai non riescono amantenere.

Anche là dove gli abusi non si

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spingono tanto oltre, i delegati hannospesso la tendenza ad accrescerel'importanza del loro compito al di làdell'utile. Accolgono quasiindistintamente i reclami legittimi equelli assurdi, importanti otrascurabili, tormentano gli impiegati ela direzione, spesso con la minacciadell'arresto del lavoro sempre prontasulle labbra e creano nei capi, suiquali pesano già gravi preoccupazionid'ordine puramente tecnico,un'intollerabile stato di nervosismo. Epoi è opportuno chiedersi se si trattasolo di mancanza di capacità o seinvece non si tratta d'una tatticacosciente, come parrebbe indicare unafrase pronunciata un giorno da undelegato operaio di un'altra regione,che si vantava di tormentare il suocapo officina tutti i giorni senza tregua,senza mai dargli possibilità di"riprendere una posizione divantaggio" D'altronde, il potere

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posseduto dai delegati crea fin d'orauna certa separazione fra loro e glioperai di base; da parte di quelli ilcameratismo è venato da una sfumaturaassai chiara di condiscendenza espesso gli operai li trattano un pocome dei superiori gerarchici. Questaseparazione è tanto più accentuata inquanto i delegati operai spessotrascurano di rendere conto delle loroazioni. E finalmente, siccome sonopraticamente irresponsabili, perchéeletti per un anno, e usurpano di fattole funzioni proprie del sindacato,arrivano con la massima naturalezza adominarli. Hanno la possibilità diesercitare sugli operai, iscritti o no aisindacati, una pressione notevole esono loro a determinare in realtàl'azione sindacale, perché possonoprovocare a volontà urti, conflitti,sospensioni del lavoro e quasiscioperi.

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CONCLUSIONE.

Tutti questi rilievi riguardano ilNord, ma certamente è questo uno statodi cose più o meno generale che siproduce in misure diverse un po in tuttigli angoli della Francia. E' necessariodunque trarne alcune conclusionipratiche per l'azione sindacale.

1. Lo stato di esasperazionecontenuta e silenziosa nella quale sitrovano un po dovunque un certonumero di capi, di dirigenti e diindustriali, RENDE OGNI SCIOPERONEL PERIODO ATTUALEESTREMAMENTE PERICOLOSO.Là dove capi e industriali sono ancoradecisi a sopportare molte cose perevitare lo sciopero, potrebbe accadereche lo sciopero, una volta deciso, liconduca bruscamente alla risoluzione

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disperata di piegare il sindacato anchea rischio di mandare a picco la propriafabbrica. Ora, quando un proprietarioè arrivato a questo punto, ha sempre lapossibilità di piegare il sindacatoinfliggendo agli operai le sofferenzedella fame. Può essere trattenuto solodal timore dell'espropriazione; maquesto timore, che provava nel giugno,non esiste più, perché si sa che ilgoverno non requisisce le fabbriche eperché gli industriali riescono sempremeglio a separare i tecnici daglioperai. Anche uno sciopero inapparenza vittorioso, se è lungo, puòessere funesto al sindacato, come si èvisto alla SautterHarlé e come sirischia di vedere nel Nord; perché ilproprietario, dopo la ripresa dellavoro, può sempre procedere alicenziamenti in massa senza che glioperai, sfiniti dallo sciopero, abbianola forza per reagire.

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Tutti questi pericoli sono anchemaggiori quando si tratta di scioperisenza obiettivo preciso, come èaccaduto a Lille, a Pompey, aMaubeuge, scioperi che danno agliindustriali e al pubblico l'impressionedi un'agitazione cieca dalla quale sipuò temere di tutto e che bisognaspezzare a qualsiasi costo.

La legge dell'arbitrato obbligatorioè dunque, nelle condizioni attuali, unarisorsa preziosa per la classe operaiae l'azione sindacale in questo momentodeve tendere essenzialmente autilizzarla.

2. RISTABILIRE LASUBORDINAZIONE NORMALE DEIDELEGATI DI FRONTE ALSINDACATO E' QUASI DIVENTATAUNA QUESTIONE DI VITA O DIMORTE PER IL NOSTROMOVIMENTO SINDACALE. Vari

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mezzi possono essere preconizzati aquesto fine; sembra necessarioimpiegarli tutti, compresi i piùenergici.

Il più efficace sarebbe quello diistituire sanzioni sindacali. La C. G. T.potrebbe decretare pubblicamente chequando un delegato chiederà illicenziamento di un operaio e daràordini relativi al lavoro o ordinerà unarresto del lavoro o uno scioperobianco senza decisionepreventivamente e regolarmente presadal sindacato, essa richiederàautomaticamente le dimissioni deldelegato in oggetto. Si potrebbe ancheobbligare tutti i delegati a fare unrapporto mensile al sindacato cheenumeri brevemente tutti i passi daessi compiuti verso la direzione e darea tutti gli iscritti al sindacato lapossibilità di leggere quella relazione.Si potrebbe da un lato diffondere

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larghissimamente fra i delegati e fratutti gli operai dei testi che indichinonettamente ed energicamente i limitidella funzione e del potere deidelegati; dall'altro portare aconoscenza dei proprietari che idelegati sono subordinati alla C. G. T.e che per questo l'organizzazionesindacale, nelle sue diverse istanze, èl'arbitro naturale di tutti i conflitti fraindustriali e delegati operai.Finalmente la separazione morale chetende a crearsi fra delegati e operai dibase sembra indicare la necessitàimperiosa di decidere LA NONRIELEGGIBILITA' DEI DELEGATIALLO SCADERE DELL'ANNO.

3. La C. G. T. non può ignorare ilproblema della disciplina di lavoro edel rendimento. Non c'è nessunaragione di esitare a riconoscere che ilproblema si pone; non si puòrimproverare a noi il fatto che esso si

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ponga. La classe operaia, nel corsodegli anni passati, non è stata formatadal movimento sindacale, la cuiinfluenza era ostacolata con tutti imezzi; essa ha ricevuto l'impronta chele è stata conferita dal padronatomediante il regime e le abitudinistabilite nelle fabbriche. Se agliindustriali è piaciuto istituire nellefabbriche un regime di lavoro tale cheogni progresso morale della classeoperaia avrebbe dovutoinevitabilmente turbare la produzione,essi ne portano intera laresponsabilità; ed è anzi questo ilsegno più chiaro del male che hannofatto quando i padroni erano loro.

Tuttavia la C. G. T. se non èresponsabile del passato èresponsabile dell'avvenire in ragionedella potenza che ha acquistata. Sipone dinanzi all'industria francese unproblema che non è particolare a un

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dipartimento, a una corporazione, mache si ritrova ovunque a gradi diversi.Questo problema, gli industriali sonoincapaci a risolverlo perché non sononemmeno arrivati a comprenderne idati. La C. G. T. ha in questoun'occasione unica di dimostrare la suacapacità affrontando tale problema nelsuo insieme, su scala nazionale; c'èanzi, probabilmente, necessità vitaleper il nostro movimento operaio diarrivare a una soluzione.

Prima di giugno nelle fabbrichec'era un certo ordine, una certadisciplina che erano fondati sullaschiavitù. La schiavitù, in una largaproporzione, è scomparsa;simultaneamente è scomparso anchel'ordine che a quella schiavitù eraconnesso. Dobbiamo essere lieti. Mal'industria non può vivere senzaordine. Si pone dunque il problema diun ordine nuovo, compatibile con le

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libertà acquisite ultimamente, con lacoscienza rinnovata della dignitàoperaia e del cameratismo. Lasituazione attuale, che riproduceesattamente la vecchia organizzazionedel lavoro con in meno le sanzioni, èinstabile e quindi gravida di conflittipossibili.

Da una parte gli industrialisentendosi privi di azione sulle lorofabbriche, per il fatto che non osanopiù prendere

provvedimenti punitivi, cercanocon tutti i mezzi di riprendereframmenti d'autorità perduta e siesasperano se non ci riescono;dall'altra, gli operai sono mantenuti daquesti tentativi in un continuo allarme ein una sorda effervescenza. D'altrondel'assenza di sanzioni non puòperpetuarsi senza pericolo grave ereale per la produzione; e non è

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nemmeno nell'interesse morale dellaclasse operaia che gli operai sisentano irresponsabili nel compimentodel loro lavoro. Occorre dunqueottenere una disciplina, un ordine,delle sanzioni che non ristabiliscanol'arbitrio padronale che esisteva primadel giugno. La C. G. T. puòappoggiarsi da un lato sull'autoritàmorale che possiede fra gli operai,dall'altro sul fatto che nelle circostanzeattuali c'è in una certa proporzione unacoincidenza fra l'interesse padronale equello del movimento operaio. Ilconsolidamento delle conquiste digiugno è un male minore per gliindustriali preoccupati dell'interesseimmediato della loro fabbrica, seposto in relazione al disordine e alleminacce vaghe che sentono pesare sudi sé; per noi, questo consolidamentoè, nel periodo attuale, una vitalenecessità.

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In queste condizioni, ritengo che laC. G. T. avrebbe interesse capitale aprendere le misure seguenti:

1. Porre allo studio nei sindacati,nelle federazioni e all'Ufficioconfederale la questione d'un ordinenuovo, d'una nuova disciplina nelleimprese industriali.

2. Invitare tutte le sezionisindacali e tutti gli industriali atrasmettere all'Ufficio confederaledelle relazioni su tutte le difficoltàrelative a problemi d'ordine, didisciplina, di rendimento, di qualità dilavoro, essendo tali relazioni destinatesia a fornire gli elementi d'uno studiod'insieme, che a dare all'Ufficioconfederale la possibilità dipronunciare, in caso di bisogno, unparere motivato.

3. Invitare la Confederazione

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generale della produzione francese astudiare in comune con la C. G. T.,sempre nel medesimo ambito, sia ilproblema nel suo insieme sia tutti icasi particolari che presentino un certocarattere di gravità.

PRINCIPI DI UN PROGETTOPER UN NUOVO REGIME INTERNONELLE IMPRESE INDUSTRIALI.

Ci troviamo in questo momento inun equilibrio sociale instabile cheabbiamo l'opportunità di trasformare,se possibile, in un equilibrio stabile.Malgrado l'opposizione che esiste fragli obiettivi e le aspirazioni delle dueclassi in presenza, questatrasformazione è, in questo momento,conforme all'interesse delle due parti.La classe operaia ha un interesse vitalead assimilare le sue conquiste recenti,

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a fortificarle, a impiantarlesolidamente nella consuetudine. Solopochi fanatici irresponsabili,d'altronde senza influenza, possonodesiderare, nel periodo presente, diprecipitare la sua marcia in avanti. Gliindustriali preoccupati del prossimoavvenire delle loro fabbriche hannoanch'essi interesse a questoconsolidamento. Non potrebberotornare allo stato di cose di un anno fase non a prezzo d'una lotta accanita cheprovocherebbe gravi danni, cherovinerebbe molte aziende, che forsepotrebbe sboccare in guerra civile eche avrebbe un 50% di probabilità dirisolversi in una confisca definitivadella proprietà industriale. D'altraparte un nuovo ordine, anche secomporta da parte loro alcuneconcessioni importanti, sarebbe moltopreferibile per i proprietari aldisordine che, SE DOBBIAMOCREDERE ALLE LORO

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AFFERMAZIONI, regnerebbeattualmente in un certo numero diaziende, e all'incertezza che liesaspera. In questi limiti precisi e suquesta base si può concepire per uncerto periodo una collaborazionecostruttiva fra gli elementi seri eresponsabili della classe operaia e delpadronato.

L'elaborazione d'un nuovo regimeinterno delle fabbriche pone unproblema i cui dati sono determinati inparte dall'attuale regime ma che, nellasua essenza, è collegato all'esistenzadella grande industria,indipendentemente dal regime sociale.Consiste nello stabilire un certoequilibrio, nel quadro d'ogni fabbrica,fra i diritti che i lavoratori possonolegittimamente rivendicare e l'interessemateriale della produzione. Un taleequilibrio non si stabilirebbeautomaticamente se non quando

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potesse esserci perfetta coincidenzafra le misure necessarie alraggiungimento di questi due obiettivi;coincidenza che non è concepibile innessuna ipotesi. In realtà, questoequilibrio non può essere fondato chesu di un compromesso. L'esistenzaattuale del regime capitalisticointerviene nei dati del problema soloper conferire un senso determinato allanozione di interesse produttivo; questointeresse, nell'attuale regime, simisura, in ogni azienda, in base aldenaro e si definisce secondo le leggidell'economia capitalistica. Gliindustriali, in ragione dei vantaggipersonali che sono loro meta, maanche e più in ragione della lorofunzione, rappresentanonecessariamente l'interesse produttivonel senso or ora definito. Tendononaturalmente a fare di questo interessela regola unica dell'organizzazionedelle imprese. Durante gli anni passati,

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favoriti dalla crisi, ci sono quasicompletamente riusciti. I lavoratori,invece, tendono naturalmente a farentrare nel conto i loro diritti e la lorodignità d'uomini. Nel giugno scorsohanno compiuto, in questa direzione,seri progressi.

Si tratta ora di cristallizzare queiprogressi in un regime nuovo che servala produzione in tutta la misuracompatibile con l'attuale stato d'animodegli operai, con la rinnovatacoscienza della dignità e dellafraternità operaia, con i vantaggimorali acquisiti. Il senso nel qualedev'essere compiuto questo tentativo èindicato dalla natura stessa delproblema. Gli industriali, nellamissione di difendere la produzioneaziendale, hanno visto indebolirsinelle proprie mani le armi delle qualidisponevano nei confronti deglioperai: il terrore, l'eccitamento delle

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piccole gelosie, il richiamo al piùsordido interesse personale. Quel che,da questo lato, è stato perduto, bisognacercare di riguadagnarlo dalla partedei moventi elevati, cui gli industrialisi rivolgevano tanto di rado: l'amorproprio professionale, l'amore dellavoro, l'interesse a un lavoro beneseguito, il sentimento dellaresponsabilità.

E' necessario in secondo luogo chegli operai si sentano legati allaproduzione da qualcosa di diversodalla preoccupazione ossessiva diguadagnare qualche soldo di piùguadagnando qualche minuto sui tempifissati. Bisogna che possano mettere inazione le facoltà che nessun essereumano normale può lasciare soffocarein se stesso senza soffrire e senzadegradarsi, l'iniziativa, la ricerca, lascelta dei procedimenti più efficaci, laresponsabilità, la comprensione

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dell'opera da compiere e dei metodiche debbono essere impiegati. Ciòsarà possibile solo se la primacondizione sarà realizzata. Ilsentimento di inferiorità non èfavorevole allo sviluppo delleattitudini umane.

A questa doppia preoccupazionerispondono le indicazioni seguenti.

DISCIPLINA DEL LAVORO.

La disciplina del lavoro nondev'essere unilaterale ma fondarsisulla nozione degli obblighi reciproci.Solo a questa condizione può essereaccettata e non semplicemente subita.La direzione di un'azienda ha laresponsabilità del materiale e dellaproduzione; a questo titolo la suaautorità deve potersi esercitare senzanessun ostacolo, in certi limiti ben

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definiti. Ma la responsabilità dellaparte viva dell'azienda non dev'essereaffidata alla direzione; questaresponsabilità dev'essere affidata allasezione sindacale che deve possedereun'autorità, egualmente entro limiti bendefiniti, per la salvaguardia degliesseri umani impegnati nellaproduzione. La disciplina di un'aziendadeve riposare sulla coesistenza diquesti due poteri.

La sezione sindacale deve imporreil rispetto della vita e della salutedegli operai. Ogni operaio deve poterricorrere a essa se riceve un ordineche mette in pericolo la sua salute o lasua vita; sia che gli venga imposto unlavoro insalubre o troppo duro per lesue forze o un ritmo che implichirischio di gravi disgrazie o un metododi lavoro pericoloso; la sezione, insimili circostanze, deve poter coprireun rifiuto d'obbedienza seriamente

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motivato; deve finalmente poter fareapplicare i dispositivi di sicurezza e lemisure d'igiene che giudica necessariee impedire in generale che il ritmo dellavoro possa raggiungere una velocitàpericolosa o sfibrante. Nel caso in cuila direzione contestasse l'esattezzadelle sue decisioni, la sezionedev'essere obbligata a produrre ilparere motivato di persone qualificatee scelte secondo le circostanze (medicio tecnici)

La direzione deve avere pienaautorità, nei limiti determinati daidiritti della sezione sindacale, disorvegliare la salvaguardia deimateriali, la qualità e la quantità dellavoro, l'esecuzione degli ordini. Deveavere il potere assoluto di spostare glioperai all'interno dell'azienda, con lasola riserva che le sarebbe vietato,quando l'operaio così spostato venissea subire una diminuzione di categoria,

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di mettere al posto di quello un altrooperaio nuovo assunto o preso da unacategoria inferiore.

Queste due autorità debbono, l'unae l'altra, potersi servire, in caso dibisogno, di adeguate sanzioni. Ladirezione può prendere sanzioni pernegligenza, colpa professionale,lavoro mal eseguito o rifiutod'obbedienza. La sezione sindacale asua volta deve poter prendere sanzionisia contro la direzione, sia contro ilpersonale tecnico nel caso in cui le suedecisioni, prese nell'ambito sopraindicato e regolarmente motivate, nonsiano state eseguite e nel caso in cuisia risultato un danno effettivo o unserio pericolo.

Il modo di applicazione dellesanzioni potrebbe essere determinatocome segue. La persona minacciata disanzioni potrebbe sempre rivolgersi a

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una commissione tripartita (operai,tecnici, rappresentanti degliindustriali) che funzionasse per gruppidi aziende; e, qualora questacommissione non fosse unanime, fareappello nuovamente a un espertonominato in modo permanente dallefederazioni operaia e padronale, o inloro assenza, dal governo. Ognisanzione confermata sarebbeautomaticamente aggravata in modoconsiderevole, una sanzione nonconfermata provocherebbeun'ammenda alla parte che l'avesseproposta...

Le sanzioni dovrebbero essere, perquanto riguarda il personale salariato,il regresso di categoria temporanea odefinitivo, la sospensione, illicenziamento; per quanto riguarda ladirezione e i tecnici, il biasimo,ammende e, in caso di colpagravissima, particolarmente di colpa

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gravissima che abbia avuto comeconseguenza un esito letale,l'interdizione definitiva dall'eserciziodi un potere industriale.

In nessun caso atti commessi nelcorso d'uno sciopero potrebberoessere oggetto di sanzioni, come anchelo sciopero in sé. Se durante losciopero si fossero verificate violenze,esse dovrebbero riguardare lamagistratura ordinaria, ma le condanneordinarie non debbono rompere ilcontratto di lavoro, salvo il caso dilunghe pene detentive senzacondizionale.

LICENZIAMENTI.

Le condizioni attuali delfunzionamento delle aziende nonconsentono di togliere ai proprietari lapossibilità di licenziare operai sia per

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riorganizzazione tecnica dell'azienda,sia per mancanza di lavoro. Mabisogna anche ammettere che ilrispetto della vita umana deve limitareil potere di prendere una misura tantograve, che rischia di spezzareun'esistenza.

Si può ammettere il seguentecompromesso. Il padrone che licenziaun operaio ha l'obbligo di cercargli inprecedenza un posto in un'altraazienda. Potrà prendere misure dilicenziamento senza dover renderneconto a nessuno meno che nei seguentitre casi:

1. Se l'operaio licenziato è unresponsabile sindacale.

2. Se il padrone che lo licenziagli fornisce un posto inaccettabile pergravi motivi.

3. Se il padrone lo licenzia senza

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potergli indicare un altro posto.

In ognuno di questi tre casi,l'operaio licenziato potrà obbligare ilpadrone a sottoporre la misura dilicenziamento al controllo di espertinominati dal governo e dalla C. G. T.Costoro esamineranno in particolare seil licenziamento non poteva essereevitato con una ripartizione delle oredi lavoro. Se si trovano d'accordo nelgiudicare che il licenziamento non ègiustificato, il padrone dovrà, dopoaver ricevuto la loro opinionemotivata, riassumere il o gli operai inoggetto.

Quando un padrone avrà licenziatoun operaio non potrà assumere nessunosia nella medesima qualifica sia comeoperaio senza qualifica, senza essersirivolto anzitutto a quello già licenziato.La sezione sindacale deve avere ipoteri necessari per controllare

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l'applicazione di questa regola.

FORMAZIONEPROFESSIONALE.

La formazione professionale deglioperai è stata completamente neglettada parte degli industriali durante gliscorsi anni. Ne è risultata la situazionenella quale ci troviamo attualmente. Ilvalore professionale della classeoperaia francese è stato diminuito daquesta negligenza. La C. G. T. è prontaa studiare con la C. G. P. F. e con ilgoverno il problema della formazioneprofessionale dei giovani e degli adultie la rieducazione professionale deidisoccupati.

REGIME DEL LAVORO.

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Parallelamente all'organizzazionegenerale della formazioneprofessionale, occorre prendereprogressivamente, nelle aziende, lemisure adatte a interessare gli operaial loro lavoro senza che questo sirisolva solo nel desiderio di guadagno.

Gli operai non devono più ignorarequello che fabbricano, lavorare unpezzo senza sapere dove andrà;occorre dar loro il senso dicollaborare ad un'opera, dare lanozione del coordinamento dei lavori.Il mezzo migliore sarebbe forse quellodi organizzare al sabato visitedell'azienda, a squadre (conl'autorizzazione, per gli operai, diportare le loro famiglie), cheavverrebbero sotto la guida di untecnico qualificato capace di fornireuna spiegazione semplice einteressante. Sarebbe ugualmente beneinformare gli operai di tutte le

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innovazioni, mutamenti di metodi,nuove fabbricazioni, perfezionamentitecnici. Bisogna dar loro il senso chel'azienda vive e che essi partecipanodi quella vita. La direzione e lasezione sindacale debbono collaborarea questo fine in modo permanente.

Occorre anche cercare altri mezzi,che non siano i classici premi, perstimolare i suggerimenti. Dasuggerimenti che comportano unpermanente vantaggio all'azienda ègiusto che gli operai traggano unvantaggio permanente. Si possonoimmaginare ogni sorta di modalità. Peresempio, diminuzione della cadenzaproduttiva o miglioramenti dellecondizioni igieniche nei reparti cheabbiano fornito suggerimentiinteressanti; soppressione totale dellavoro a cottimo, sostituito con lavoroa pagamento orario al tasso orariomedio, per i reparti che in questo

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campo dessero prova d'una costanteattività intellettuale eccetera. Nellaricerca dei modi di lavorazione e delleretribuzioni adatte a stimolare neglioperai i moventi più elevati senzanuocere al rendimento globale e a darloro il massimo di libertà senzanuocere all'ordine, la direzione e lasezione sindacale devono egualmentecollaborare in modo permanente. Suquesto terreno solo l'esperienza puòdecidere e le iniziative più ardite sonole migliori. La sezione sindacale diun'azienda deve poter semprereclamare la prova d'ogni metodo chein una analoga azienda abbia fattobuona prova.

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LARAZIONALIZZAZIONE

DEL LAVORO

[Simone Weil fece il 23 febbraio1937, a un pubblico operaio, unaconferenza della quale non possediamoil manoscritto originale, ma soloquesto testo parziale raccolto da unascoltatore]

Il significato del termine

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"razionalizzazione" è assai impreciso.Designa certi modi di organizzazioneindustriale, più o meno razionali, chesotto forme diverse vengono adottatinelle fabbriche. Ci sono infattiparecchi metodi di razionalizzazioneche ogni industriale applica a suomodo. Ma tutti hanno punti in comune etutti si rifanno alla scienza, nel sensoche i metodi di razionalizzazione sonopresentati come metodi diorganizzazione scientifica del lavoro.

Dapprima la scienza è stata solo lostudio delle leggi della natura. E'intervenuta quindi nella produzionemediante l'invenzione e la costruzionedelle macchine e con la scoperta diprocedimenti che permettessero diutilizzare le forze naturali. Finalmente,nel nostro tempo, verso la fine delsecolo scorso, si è pensato diapplicare la scienza non più soloall'utilizzazione delle forze di natura

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ma all'utilizzazione della forza umanadi lavoro. E' qualcosa di assolutamentenuovo di cui cominciamo a scorgeregli effetti.

Si parla spesso della rivoluzioneindustriale per designare appunto latrasformazione che si è prodottanell'industria quando la scienza è stataapplicata alla produzione ed è apparsala grande industria. Ma si può dire chec'è stata anche una seconda rivoluzioneindustriale. La prima si definisce comeimpiego scientifico della materiainerte e delle forze naturali. Laseconda come impiego scientificodella materia vivente, cioè degliuomini.

La razionalizzazione appare comeun perfezionamento della produzione.Ma se si considera larazionalizzazione solo dal punto divista della produzione, essa si situa fra

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le innovazioni successive delle qualisi compone il progresso industriale;mentre invece se ci si pone dal puntodi vista operaio, lo studio dellarazionalizzazione fa parte d'unproblema grandissimo, il problemad'un regime accettabile nelle impreseindustriali. Accettabile per ilavoratori, ben inteso; ed è soprattuttosotto questo ultimo aspetto che noidobbiamo considerare larazionalizzazione, perché se lo spiritosindacalista si differenzia dallo spiritoche anima i ceti dirigenti della nostrasocietà ciò accade soprattutto perché ilsindacalismo s'interessa più alproduttore che alla produzione,contrariamente alla società borgheseche si interessa più alla produzioneche al produttore.

Il problema di quale regime sia ilpiù auspicabile nelle impreseindustriali è uno dei più importanti,

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forse anche il più importante, per ilmovimento operaio. E' perciò tanto piùsorprendente che non sia stato posto.Per quanto sappia, non è stato studiatodai teorici del movimento socialista,né Marx né i suoi discepoli gli hannomai consacrato nessuna opera e inProudhon si trovano, sotto questopunto di vista, appena pocheindicazioni. Forse i teorici erano inuna situazione sfavorevole per studiarequesto argomento, perché non eranostati personalmente trattati comeingranaggi della macchina industriale.

Lo stesso movimento operaio (sitratti del sindacalismo o delleorganizzazioni operaie che hannopreceduto i sindacati) non ha pensato atrattare largamente i differenti aspettidi questo problema. Molte ragionipossono spiegare il fatto, inparticolare le preoccupazioniimmediate, urgenti, quotidiane che

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spesso si impongono in modo troppoimperioso ai lavoratori per dar lorol'agio di riflettere ai grandi problemi.D'altra parte, quelli che, fra i militantioperai, rimangono sottoposti alladisciplina industriale non hanno népossibilità né attitudine ad analizzareteoricamente la costrizione che ognigiorno subiscono; hanno bisogno dievadere; e coloro che sono investiti difunzioni permanenti hanno spessotendenza a dimenticare, in mezzo allaloro attività quotidiana, quanto urgentee doloroso sia quel problema.

E poi, bisogna pur dirlo, noi tuttisubiamo una certa deformazione che civiene dal fatto di vivere nell'atmosferadella società borghese; e anche lenostre aspirazioni verso una societàmigliore ne risentono. La societàborghese è colpita da una monomania:la monomania della contabilità. Peressa, ha valore solo quello che si può

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calcolare in franchi e centesimi. Nonesita mai a sacrificare vite umane allecifre che fanno un bel vedere sullacarta, cifre di bilanci nazionali oindustriali. Noi subiamo tutti un po ilcontagio di quella idea fissa, e cilasciamo egualmente ipnotizzare dallecifre. Per questo, nei rimproveri cherivolgiamo al regime economico,l'idea di sfruttamento, di denaro estortoper ingrossare i profitti è quasi la solache sia espressa nettamente. E' unadeformazione mentale tanto piùcomprensibile in quanto le cifre sonoqualcosa di chiaro, che si afferrasubito, mentre le cose che non sipossono tradurre in cifre chiedono unpiù grande sforzo di attenzione. E' piùfacile reclamare per una cifra scritta suuna busta paga che analizzare lesofferenze subite nel corso d'unagiornata di lavoro. Per questo, laquestione salari fa spesso dimenticarealtre rivendicazioni vitali. E si arriva

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fino a considerare la trasformazionedel regime come definita dallasoppressione della societàcapitalistica e del profitto capitalisticoquasi ciò equivalesse all'instaurazionedel socialismo.

Ecco, si tratta d'una lacunagravissima per il movimento operaio,perché c'è ben altro che i problemi delprofitto e della proprietà in tutte lesofferenze subite dalla classe operaiaa causa dell'esistenza della societàcapitalistica.

L'operaio non soffre solamente perl'insufficienza della paga. Soffreperché è relegato dalla società attualea un rango inferiore, perché è ridotto auna sorta di servitù. L'insufficienza delsalario è solo una conseguenza diquesta inferiorità e di questa servitù.La classe operaia soffre d'esseresottomessa alla volontà arbitraria dei

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quadri dirigenti della società che leimpongono, fuori della fabbrica, il suolivello di esistenza e, in fabbrica, lesue condizioni di lavoro. Le sofferenzesubite nella fabbrica a causadell'arbitrio padronale pesano sullavita di un operaio quanto le sofferenzesubite fuori della fabbrica perinsufficienza dei salari.

I diritti che i lavoratori possonoguadagnarsi sul posto di lavoro nondipendono direttamente dalla proprietào dal profitto, ma dai rapporti fral'operaio e la macchina, fra l'operaioed i capi, e dalla più o meno grandepotenza della direzione. Gli operaipossono obbligare la direzione di unafabbrica a riconoscere loro dei dirittisenza privare i proprietari dellafabbrica né del loro titolo di proprietàné dei loro profitti; e, reciprocamente,essi potrebbero essere completamenteprivati di questi diritti in una fabbrica

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che fosse di proprietà collettiva. Leaspirazioni degli operai ad averediritti nella fabbrica li conducono aurti non con il proprietario ma con ildirettore. E' talora la stessa persona;ma poco importa.

Ci sono dunque due problemi dadistinguere: lo sfruttamento dellaclasse operaia, che si definisce comeprofitto capitalistico e l'oppressionedella classe operaia sul luogo dilavoro che si traduce in sofferenzeprolungate per 48 o 40 ore settimanali,ma che possono prolungarsi anche aldi là della fabbrica, sulle 24 ore dellagiornata.

Il problema del regime delleaziende, considerato dal punto di vistadei lavoratori, si pone con dati chesono relativi alla struttura medesimadella grande industria. Una fabbrica èessenzialmente fatta per produrre. Gli

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uomini sono là per aiutare le macchinee far nascere ogni giorno il più grannumero possibile di prodotti ben fatti ea buon mercato. Ma d'altra parte,quegli uomini sono uomini; hannobisogni, aspirazioni da soddisfare chenon coincidono necessariamente con lenecessità della produzione e anzi, inrealtà, quasi sempre non vi coincidonoaffatto. E' questa una contraddizioneche il mutamento di regime noneliminerebbe. Ma noi non possiamoammettere che la vita degli uomini siasacrificata alla fabbricazione deiprodotti.

Se domani i padroni sarannocacciati, se si collettivizzeranno lefabbriche, ciò non muterà in nullaquesto problema fondamentale, per ilquale ciò che è necessario per faruscire il più gran numero possibile diprodotti non è necessariamente quelloche può soddisfare gli uomini che

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lavorano nella fabbrica.

Conciliare le esigenze dellafabbricazione e le aspirazioni degliuomini che fabbricano è un problemache i capitalisti risolvono facilmente,sopprimendo uno dei termini; fannocome se quegli uomini non esistessero.Al contrario, certe concezionianarchiche sopprimono l'altro termine:le necessità della produzione. Masiccome si possono dimenticare sullacarta ma non eliminarle nella realtà, ilproblema rimane. La soluzione ideale,sarebbe un'organizzazione del lavorotale che ogni sera uscissero dallefabbriche il maggior numero possibiledi prodotti ben fatti e di lavoratorifelici. Se, per un caso provvidenziale,si potessero trovare un metodo similedi produzione, abbastanza perfetto perrendere lieto il lavoro, il problema nonsi porrebbe più. Ma questo metodo nonesiste e anzi accade proprio tutto il

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contrario. E se una tale soluzione non èpraticamente realizzabile, accadeproprio perché i bisogni dellaproduzione e quelli dei produttori noncoincidono necessariamente. Sarebbetroppo bello se i procedimenti piùproduttivi fossero al tempo stessoanche i più gradevoli. Ma ci si puòalmeno avvicinare a una similesoluzione cercando metodi checoncilino il più possibile l'interessedell'azienda e i diritti dei lavoratori.Si può porre come principio che laloro contraddizione può risolversi conun compromesso, trovando un terminemedio in modo che non sianointeramente sacrificati né gli uni né glialtri; né gli interessi della produzionené quelli dei produttori. Una fabbricadev'essere organizzata in modo che lamateria prima da essa impiegata escain prodotti che non siano né tropporari, né troppo costosi, né difettosi eche al tempo stesso gli uomini che un

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mattino vi sono entrati non ne escanodiminuiti moralmente o fisicamentedopo un giorno, un anno o vent'anni.

Questo è il vero problema, ilproblema più grave che si pone allaclasse operaia: trovare un metodo diorganizzazione del lavoro che siaaccettabile simultaneamente dallaproduzione, dal lavoro e dalconsumatore.

Questo problema non si è nemmenoincominciato a risolverlo, perché non èstato posto; di modo che, se domani ciimpadroniremo delle fabbriche, nonsapremo che cosa farcene e saremocostretti a organizzarle come sonoattualmente, dopo un tempo, più omeno lungo, di incertezze.

Non ho una soluzione da proporvi.Non si tratta di qualcosa che siapossibile improvvisare di sana pianta

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sulla carta. Solo nelle fabbriche si puòarrivare a poco a poco a immaginareun sistema di questo genere e metterloalla prova, esattamente come iproprietari e i capi delle aziende, itecnici, sono giunti a concepire e amettere a punto il sistema attuale. Percapire come si pone il problema,bisogna avere studiato il sistemaesistente, averlo analizzato, avernefatta la critica, aver valutato quel chevi è di buono e di cattivo e perché.Bisogna partire dal sistema attuale perconcepirne uno migliore.

Cercherò dunque di analizzarequesto regime (che voi conoscetemeglio di chiunque) riferendomiinsieme alla sua storia, alle opere dicoloro che hanno contribuito aelaborarlo e alla vita quotidiana nellafabbrica prima del giugno 1936.

Per caratterizzare il periodo attuale

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nell'industria e i mutamenti introdottinell'organizzazione del lavoro si parlaquasi indifferentemente dirazionalizzazione o di taylorismo. Laparola "razionalizzazione" ha maggiorprestigio fra il pubblico perché sembraindicare che l'attuale organizzazionedel lavoro è quella che soddisfa tuttele esigenze della ragione, seun'organizzazione razionale del lavoro,deve necessariamente rispondereall'interesse dell'operaio, del padronee del consumatore. Pare proprio chenessuno possa avere nulla dareplicare. Grandissimo è il poteredelle parole e ce ne si è serviti molto;come anche dell'espressione"organizzazione scientifica del lavoro"perché la parola "scientifico" ha anchemaggior prestigio della parola"razionale"

Quando si parla di taylorismo, siindica l'origine del sistema; perché è

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stato Taylor a scoprire l'essenziale, adare l'impulso e indicarel'orientamento di questo metodo dilavoro. Di modo che per conoscerne lospirito, bisogna necessariamenteriferirsi a Taylor. E' facile, perché hascritto lui stesso un certo numero diopere su questo argomento, facendo lapropria biografia.

La storia delle ricerche di Taylor ècuriosissima e molto istruttiva.Permette di vedere in quale maniera siè orientato, agli inizi, questo sistema.Permette anche, meglio d'ogni altracosa, di capire che cos'è, in fondo, larazionalizzazione.

Benché Taylor abbia battezzato ilsuo sistema "organizzazione scientificadel lavoro", non era uno studioso.Forse aveva preso la licenza liceale,ma non si sa per certo. Non aveva maifatto studi di ingegneria. In senso

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proprio non era nemmeno un operaio,benché avesse lavorato in fabbrica.Come definirlo dunque? Era uncaposquadra, ma non della specie diquelli che sono venuti su dalla classeoperaia e ne hanno conservato ilricordo. Era un caposquadra del tipodi quelli di cui se ne trovano degliesemplari, attualmente, nei sindacaliprofessionali dei tecnici, che sicredono nati per fare i cani da guardiaai padroni. Le sue ricerche, non leiniziò né per curiosità né per bisognodi logica. E' stata la sua esperienza dicaposquadra e di cane da guardia chelo ha orientato in tutti i suoi studi e chegli è servita da bussola durantetrentacinque anni di pazienti ricerche.Così egli ha dato all'industria, oltrealla sua idea fondamentale d'una nuovaorganizzazione del lavoro, unmagnifico studio sul lavoro dei torni.

Taylor era nato in una famiglia

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relativamente ricca e avrebbe potutovivere senza lavorare, senza i principipuritani della sua famiglia e suoi chenon gli permettevano di rimanereozioso. Fece i suoi studi in un liceo mauna malattia della vista lo costrinse ainterromperli a 18 anni. Una singolarevocazione lo spinse allora a entrare inuna fabbrica dove fece il suo periododi apprendista operaio meccanico. Mail contatto quotidiano con la classeoperaia non gli dette mai lo spiritooperaio. Anzi, pare che abbia presocoscienza acutissima dell'opposizionedi classe che esisteva fra lui e i suoicompagni di lavoro, piccolo borgheseche non lavorava per vivere, che nonviveva del suo salario e che,conosciuto dalla direzione, era trattatoin conseguenza.

Dopo il suo apprendistato, in età di22 anni, si fece assumere cometornitore in una piccola officina

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meccanica e fin dal primo giorno entròsubito in conflitto con i suoi compagnidi lavoro. Costoro gli fecero capireche gli avrebbero rotto il muso se nonsi fosse adattato alla cadenza generaledel lavoro; perché in quell'epocaesisteva un lavoro a cottimoorganizzato in modo tale che se lacadenza aumentava, la tariffadiminuiva. Gli operai avevano capitoche per non far diminuire le tariffe,bisognava che la cadenza del lavoronon aumentasse e così, ogni volta cheentrava un nuovo operaio, loavvertivano di rallentare la suacadenza ché altrimenti gli avrebberoresa difficile l'esistenza.

Dopo due mesi, Taylor eradivenuto caposquadra. Raccontandoquesta storia, egli spiega che ilproprietario aveva fiducia in luiperché apparteneva a una famigliaborghese. Non dice come il

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proprietario avesse fatto a distinguerlocosì rapidamente, dato che i suoicompagni gli impedivano di andare piùpresto degli altri e ci si può chiederese non aveva guadagnato la fiducia delproprietario, raccontandogli quel cheveniva detto fra gli operai.

Quando fu divenuto caposquadragli operai gli dissero: "Siamo contentidi averti come caposquadra perchéormai ci conosci e sai che se cerchi didiminuire le tariffe ti si renderà la vitaimpossibile" Al che Taylor rispose, insostanza: "Io ora sono dall'altra partedella barricata, farò quel che devofare" E infatti quel caposquadra detteprova di un'attitudine eccezionale a faraumentare la cadenza produttiva elicenziare i più indocili.

Questa particolare attitudine lofece salire di grado fino a farlodirettore della fabbrica. Aveva allora

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ventiquattro anni.

Una volta direttore, continuò aessere ossessionato da quella suaunica preoccupazione, di spingeresempre oltre la cadenza degli operai.Evidentemente, costoro si difendevanoe il risultato fu l'aggravarsi deiconflitti con gli operai. Non potevasfruttare come voleva gli operai,perché costoro conoscevano meglio dilui i metodi migliori di lavoro.S'avvide allora d'essere imbarazzatoda due ostacoli: da una parte ignoravaquanto tempo fosse indispensabile perrealizzare ogni operazione e qualiprocedimenti fossero capaci di dare itempi migliori; e dall'altral'organizzazione della fabbrica non glidava modo di combattereefficacemente la resistenza passivadegli operai. Egli chiese alloraall'amministrazione dell'aziendal'autorizzazione a installare un piccolo

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laboratorio per fare delle esperienzesui metodi di lavorazione. Fu questal'origine d'un lavoro che durò ventiseianni e condusse Taylor alla scopertadegli acciai rapidi, dellalubrificazione continua dell'utensile, dinuove forme di utensili per lasgrossatura e soprattutto alla scoperta(aiutato da una squadra di ingegneri) diformule matematiche capaci di fornirei rapporti più economici fra laprofondità del passo, l'avanzamento ela velocità dei torni; e, perl'applicazione di queste formule nellefabbriche, egli ha stabilito le regole dicalcolo che permettono di trovare queirapporti in tutti i casi particolari.

Queste scoperte erano le piùimportanti, a suo avviso, perchéavevano un'eco immediatanell'organizzazione delle fabbriche.Erano tutte ispirate dal suo desideriodi aumentare la cadenza degli operai e

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dal suo malumore di fronte alla lororesistenza. La sua preoccupazionemaggiore era d'evitare ogni perdita ditempo nel lavoro. Ciò fa capire subitoquale fosse lo spirito del sistema. Eper ventisei anni ha lavorato conquesta unica preoccupazione. Haconcepito e organizzatoprogressivamente l'ufficio metodi conle schede di fabbricazione, l'ufficiotempi per stabilire i tempi necessari aogni operazione, la divisione dellavoro fra i dirigenti tecnici e unsistema particolare di lavoro a cottimocon premi.

Questo riassunto permette dicomprendere in che cosa è consistital'originalità di Taylor e quali sono ifondamenti della razionalizzazione.Fino a lui, non si erano mai fattericerche di laboratorio se non perscoprire nuovi dispositivi meccanici,per trovare nuove macchine, mentre

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egli ha avuto l'idea di studiarescientificamente i procedimentimigliori per utilizzare le macchineesistenti. Non ha fatto, rigorosamenteparlando, nessuna scoperta, salvoquella degli acciai rapidi. Ha cercatosolo i procedimenti più scientifici perutilizzare meglio le macchine cheesistevano già; e non solo le macchinema anche gli uomini. Era la suaossessione. Egli ha creato il suolaboratorio per poter dire agli operai:avete torto a impiegare un'ora per farequel lavoro, bisognava farlo inmezz'ora. Il suo scopo era quello ditogliere ai lavoratori la possibilità dideterminare da soli i procedimenti e ilritmo del lavoro e rimettere nelle manidella direzione la scelta dei movimentida compiere nel corso d'ogni singolaoperazione. Questo era lo spirito dellericerche. Non si trattava, per Taylor, disottomettere i metodi di produzione aun esame razionale, o, almeno, questa

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preoccupazione veniva solo insecondo ordine; la sua preoccupazioneoriginaria era quella di trovare i mezziper obbligare gli operai a dare ilmassimo delle loro capacità di lavoro.Il laboratorio era per lui uno strumentodi ricerca, ma, anzitutto, uno strumentodi costrizione.

Ciò risulta esplicitamente dalle sueopere.

Il metodo di Taylor consisteessenzialmente in questo: dapprima, sistudiano scientificamente i miglioriprocedimenti per qualsiasi lavoro,anche il lavoro dei manovali (nonparlo di operai con qualifica, ma diquelli senza qualifica), anche lamanutenzione o lavori in genere; poi sistudiano i tempi, mediante lascomposizione d'ogni lavoro inmovimenti elementari che si ritrovanoin lavori assai diversi fra loro,

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secondo varie combinazioni; e unavolta misurato il tempo necessario aogni movimento elementare, si ottienefacilmente il tempo necessario aoperazioni assai complesse. Voi sapeteche il metodo per la misurazione deitempi consiste nel cronometraggio. E'inutile che insista su questo punto. Poiinterviene la divisione del lavoro fra icapi tecnici. Prima di Taylor, uncaposquadra faceva tutto, s'occupavadi tutto. Attualmente, nelle fabbriche,ci sono diversi capi per un medesimoreparto: c'è il controllore, c'è ilcaposquadra, eccetera.

Il sistema particolare di lavoro acottimo con premio consisteva nelmisurare i tempi per unità basandosisul massimo di lavoro che il miglioreoperaio poteva produrre in un'ora, adesempio. E allora per tutti coloro cheprodurranno quel massimo, ogni pezzosarà pagato al tale prezzo, mentre sarà

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pagato a un prezzo più basso percoloro che produrranno meno; coloroche produrranno nettamente meno diquel massimo prenderanno meno delsalario vitale. In altri termini, si trattadi un metodo per l'eliminazione di tutticoloro che non sono operai diprim'ordine capaci di raggiungere quelmassimo di produzione.

In conclusione, questo sistemacontiene l'essenziale di quel che oggi èchiamato la "razionalizzazione" Icapisquadra egiziani avevano dellefruste per spingere gli operai aprodurre. Taylor ha sostituito la frustacon gli uffici e i laboratori, sottol'apparenza scientifica.

L'idea di Taylor era che ogni uomofosse capace di un massimo di lavorodeterminato. Ma ciò è assolutamentearbitrario e inapplicabile a un grannumero di fabbriche. In una sola

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fabbrica, questo metodo ottiene ilrisultato che gli operai robusti, i piùresistenti, resteranno nella fabbrica,mentre gli altri se ne andranno; èimpossibile avere un numerosufficiente di operai robusti per tutte lemacchine di tutta la città e giungere auna simile selezione su grande scala.Supponete che ci sia una certapercentuale di lavori che richiedanouna grande forza fisica; non è provatoche ci sarà la medesima percentualed'uomini che si trovino in quellacondizione.

Le ricerche di Taylor sonocominciate nel 1880. La meccanicacominciava solo allora a diventareun'industria. Per tutta la prima metà delsecolo diciannovesimo, la grandeindustria era stata quasi limitata allatessitura. Solo verso il 1850 si ècominciato a costruire dei torni astruttura metallica. Quando Taylor era

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ragazzo la maggior parte dei meccanicierano ancora artigiani che lavoravanoin officine proprie. Nel momentostesso in cui Taylor cominciava ipropri lavori nasceva la AmericanFederation of Labour formata da alcunisindacati di recente formazione e inparticolare dal Sindacato metallurgici.Uno dei metodi dell'azione sindacaleconsisteva, verso quell'epoca, nellimitare la produzione per evitare ladisoccupazione e la riduzione delletariffe dei cottimi. Nell'idea di Taylor,come in quella degli industriali aiquali comunicava progressivamente irisultati dei suoi studi, il primovantaggio della nuova organizzazionedel lavoro doveva essere quello dispezzare l'influenza dei sindacati. Findalla sua origine, la razionalizzazioneè stata essenzialmente un metodo perfar lavorare di più invece di un metodoper lavorare meglio.

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Dopo Taylor, non ci sono stateinnovazioni sensazionalinell'organizzazione razionale dellavoro.

C'è stato anzitutto il lavoro acatena, inventato da Ford, che hasoppresso in una certa proporzione illavoro a cottimo e i premi, anche nellesue fabbriche. La catena,originariamente, era solo un sistema dimanutenzione meccanica. Praticamenteè diventata un metodo perfezionato perestorcere ai lavoratori il massimo dilavoro in un tempo determinato.

Il sistema del montaggio a catenaha permesso di sostituire operaispecializzati con semplici operai neilavori in serie, dove invece dicompiere un lavoro qualificato, c'èsolo da eseguire un certo numero digesti meccanici che si ripetonocostantemente. E' un perfezionamento

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del sistema di Taylor che finisce con iltogliere all'operaio la scelta del suometodo e l'intelligenza del lavoro perconsegnarla all'Ufficio studi. Questosistema di montaggio fa anche sparirel'abilità manuale necessaria all'operaioqualificato.

Lo spirito che anima tale sistemaappare a sufficienza dal modo in cui èstato elaborato e si può vedere subitoche l'epiteto di "razionale" gli è statoapplicato impropriamente.

Taylor non cercava un sistema perrendere più razionale il lavoro, bensìun controllo sugli operai; e se, nelmedesimo tempo, ha trovato anchemezzi di semplificazione del lavoro, siè trattato di cose completamentediverse. Per mostrare la differenza fralavoro razionale e mezzi di controllo,prenderò un esempio di autenticarazionalità, cioè di progresso tecnico

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che non pesa sugli operai e noncostituisce un maggiore sfruttamentodella loro forza lavorativa.

Supponete un tornitore che lavorisu torni automatici. Ne devesorvegliare quattro. Se un giorno siscopre un acciaio rapido capace diraddoppiare la produzione di queiquattro torni e si assume un altrotornitore in modo che ognuno di loroabbia solo due torni, ciascuno di loroavrà da fare il medesimo lavoro enondimeno la produzione sarà piùeconomica.

Ci possono dunque essereperfezionamenti tecnici che miglioranola produzione senza pesare affatto suilavoratori.

Ma la razionalizzazione di Fordconsiste non nel far lavorare megliobensì nel far lavorare di più. In

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conclusione, il padronato ha fattoquesta scoperta: che per sfruttaremeglio la forza operaia c'è un sistemamigliore di quello di allungare lagiornata di lavoro.

In realtà, c'è un limite alla giornatadi lavoro, non solo perché la giornatapropriamente detta è solo diventiquattr'ore, nelle quali bisognaanche trovare il tempo di mangiare edormire, ma anche perché al termined'un certo numero di ore di lavoro, laproduzione non progredisce più. Peresempio un operaio non produce indiciassette ore più che in quindiciperché il suo organismo è stanco equindi va meno svelto.

C'è dunque un limite allaproduzione che si raggiunge facilmentecon l'aumento della giornata di lavoromentre, aumentandone l'intensità, nonlo si raggiunge.

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E' questa una sensazionale scopertadegli industriali. Gli operai forse nonl'hanno ancora ben capito, i proprietarinon ne hanno forse completacoscienza, ma si comportano come sel'avessero.

E' una cosa che non vieneimmediatamente alla coscienza perchél'intensità del lavoro non è misurabilecome la sua durata.

Nel mese di giugno, i contadinihanno pensato che gli operai erano deipigri perché volevano lavorare soloquaranta ore per settimana; perché siha l'abitudine di misurare il lavorosecondo la quantità delle ore e quellaquantità si esprime in cifre mentre ilresto non può essere espresso in cifre.

Ma l'intensità del lavoro puòvariare. Pensate, per esempio allacorsa podistica e ricordatevi il

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corridore di Maratona caduto mortonell'attimo di raggiungere la meta peravere corso troppo veloce. Si puòconsiderare questa comeun'intensitàlimite dello sforzo. Avvienelo stesso con il lavoro. La morte,evidentemente, è l'estremo limite chenon dev'essere raggiunto; ma, dato chenon si è morti dopo un'ora di lavoro,ciò significa, per i padroni, che sipoteva lavorare anche di più. Allostesso modo, ogni giorno vengonobattuti nuovi record senza che nessunopensi che il limite estremo sia giàraggiunto. Si aspetta sempre ilcorridore che batterà l'ultimo record.Ma se si inventasse un metodo dilavoro che facesse morire gli operai,per esempio, dopo cinque anni, gliindustriali mancherebbero prestissimodi mano d'opera e ciò sarebbecontrario ai loro interessi. Non se neaccorgerebbero subito, perché nonesiste nessun mezzo scientifico per

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misurare l'usura dell'organismo umanonel lavoro; ma forse, alla generazioneseguente, se ne accorgerebbero erivedrebbero i loro metodi,esattamente come ci si è resi contodelle migliaia di morti prematureprovocate dal lavoro dei ragazzi nellefabbriche.

Può accadere la medesima cosaper gli adulti con l'intensità del lavoro.Solo un anno fa, nelle fabbriche dellaregione parigina, un uomo diquarant'anni non poteva più trovarelavoro perché era già consideratocome consumato, svuotato e inadatto aprodurre con la cadenza attuale.

Non c'è dunque nessun limiteall'aumento della produzione nel sensodell'intensità. Taylor racconta conorgoglio d'essere giunto a raddoppiaree persino a triplicare la produzione incerte fabbriche solo con il sistema dei

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premi, la sorveglianza degli operai e illicenziamento spietato di coloro chenon volevano o non potevano seguirela cadenza. Egli spiega che è arrivato atrovare il mezzo ideale per sopprimerela lotta di classe perché il suo sistemariposa sull'interesse comunedell'operaio e del padrone, perché tuttie due, con quel sistema, guadagnano dipiù e per di più il consumatore èsoddisfatto perché i prodotti sono piùa buon mercato. Si vantava dirisolvere così tutti i conflitti sociali edi avere creato l'armonia sociale.

Ma prendiamo l'esempio d'unafabbrica nella quale Taylor abbiaraddoppiato la produzione senzamutare i metodi di fabbricazione, soloorganizzando quella polizia deireparti. Immaginiamo d'altra parte unafabbrica, dove si lavorasse sette ore algiorno per 30 franchi e dove ilproprietario decidesse un bel giorno di

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far lavorare quattordici ore al giornoper 40 franchi. Gli operai nonpenserebbero affatto di farci unguadagno e scenderebberoimmediatamente in sciopero. Eppureavviene così con il sistema Taylor.Lavorando 14 ore al giorno invece disette, ci si stancherebbe almeno duevolte di più. Sono persino convinta chea partire da un certo limite è molto piùgrave per l'organismo umanoaumentare la cadenza alla Taylorpiuttosto che aumentare la durata dellavoro.

Quando Taylor ha instaurato il suosistema, ci sono state, da parteoperaia, talune reazioni. In Francia isindacati hanno vivacemente reagitoquando si è cominciato a introdurrequesti sistemi nelle fabbriche francesi.Ci sono stati articoli di Pouget, diMerrheim, che paragonavano larazionalizzazione a una nuova

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schiavitù. In America ci sono statiscioperi. Alla fine, questo sistema hatrionfato egualmente e ha partecipatonotevolmente allo sviluppo delleindustrie di guerra; il che fa pensareche la guerra abbia avuto molta partein questo trionfo dellarazionalizzazione.

Il grande argomento di Taylor è chequesto sistema serve l'interesse delpubblico cioè dei consumatori.Evidentemente l'aumento dellaproduzione può essere favorevole aloro quando si tratti di derratealimentari, pane, latte, carne, burro,vino, olio, eccetera. Ma, con il sistemaTaylor, non è questa la produzione cheaumenta; in senso generale, non quelloche serve a soddisfare i principalibisogni dell'esistenza. Si sonorazionalizzati la meccanica, il caucciù,i tessili, cioè essenzialmente quel chemeno produce beni di consumo. La

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razionalizzazione è servita soprattuttoalla fabbricazione degli oggetti dilusso e a quell'industria doppiamentedi lusso che è industria di guerra, chenon solo non costruisce ma distrugge.Ed è servita a accrescereconsiderevolmente il peso deilavoratori inutili, di quelli chefabbricano cose inutili o di quelli chenon fabbricano nulla e che sonoimpiegati nei servizi di pubblicità ealtre imprese del genere, più o menoparassitarie. Ha accresciutoformidabilmente il peso delle industriedi guerra che, da sole, sorpassano tuttele altre per la loro importanza e i loroinconvenienti. La taylorizzazione èservita essenzialmente ad aumentaretutto questo peso e a far pesare, inconclusione, l'aumento dellaproduzione globale su un numerosempre più ridotto di lavoratori.

Dal punto di vista dell'effetto

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morale sui lavoratori, lataylorizzazione ha indubbiamenteprovocato la dequalificazione deglioperai. Questo è stato contestato dagliapologisti della razionalizzazione, inparticolare da Dubreuilh in Standards.Ma Taylor è stato il primo avantarsene, arrivando a fare entrarenella produzione solo il 75% di operaiqualificati contro il 125% di operainon qualificati nella finitura. Da Fordnon c'è che l'i% degli operai che abbiabisogno d'un apprendistato di più d'unagiornata. Questo sistema ha ridotto glioperai allo stato molecolare, per cosìdire, trasformandoli in una specie distruttura atomica delle fabbriche. Hacondotto all'isolamento dei lavoratori.E' una delle formule essenziali diTaylor, che ci si debba indirizzareall'operaio individualmente;considerare in lui l'individuo. Eglivuole dire con ciò che bisognadistruggere la solidarietà operaia per

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mezzo dei premi e della concorrenza.Ciò produce quella solitudine che èforse il più evidente carattere dellefabbriche organizzate secondo ilsistema attuale, solitudine morale che èstata certamente diminuita dagliavvenimenti di giugno. Ford diceingenuamente che è bene che gli operaivadano d'accordo, ma che nondebbono andare troppo d'accordoperché ciò diminuisce lo spirito diconcorrenza e di emulazioneindispensabile alla produzione.

La divisione della classe operaiasta dunque alla base di questo metodo.Lo sviluppo della concorrenza fra glioperai ne fa parte integrante; comeanche il richiamo ai sentimenti piùbassi. Il salario ne è l'unico movente.Quando il salario non basta, è illicenziamento brutale. A ogni istantedel lavoro, il salario è determinato daun "premio" In ogni istante bisogna che

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l'operaio calcoli per sapere che cosaha guadagnato. Quel che dico è tantopiù vero se si tratta di lavoro nonqualificato.

Questo sistema ha prodotto lamonotonia del lavoro. Dubreuilh eFord dicono che il lavoro monotononon è penoso per la classe operaia.Ford dice proprio che egli nonpotrebbe passare una giornata intera inofficina facendo un solo lavoro ma chebisogna ritenere che i suoi operai sonofatti diversamente da lui, perchérifiutano un lavoro più vario. E' lui chelo dice.

Se veramente accade che con unsistema simile la monotonia siasopportabile da parte degli operai, ciòè forse quel che si può dire di peggiodi un simile sistema perché è certo chela monotonia del lavoro cominciasempre con essere una sofferenza; se si

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giunge ad abituarsi ad essa, ciò accadea prezzo d'una diminuzione morale.

In realtà, non vi si fa l'abitudine, ameno che non si possa lavorarepensando ad altro. Ma allora a unritmo che non richieda troppa assiduitànell'attenzione resa necessaria dallacadenza del lavoro. Ma se si fa unlavoro al quale si debba pensarecontinuamente, non si può pensare adaltro; ed è falso dire che l'operaiopossa assuefarsi alla monotonia dellavoro. Gli operai di Ford nonavevano il diritto di parlare. Noncercavano di avere un lavoro variatoperché, dopo un certo tempo di lavoromonotono, erano incapaci di fare altro.

La disciplina in fabbrica, lacostrizione, ecco un'altra caratteristicadel sistema. E' anzi il suo carattereessenziale; ed è lo scopo per il qualeè stato inventato, perché Taylor ha

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compiuto le sue ricerche unicamenteper spezzare la resistenza degli operai.Imponendo agli operai questi o queimovimenti in un dato numero disecondi, o questi altri in un datonumero di minuti, è evidente che nonrimane all'operaio nessun potere diresistenza. Di ciò Taylor era fierissimoed era questo il punto che egli chiarivapiù volentieri, aggiungendo che questosistema avrebbe permesso di spezzarela potenza dei sindacati nellefabbriche.

Durante un'inchiesta fatta inAmerica sul sistema Taylor, un operaiointerrogato da Henri de Man disse: "Ipadroni non capiscono perché non civogliamo lasciare cronometrare;eppure, che cosa direbbero i nostripadroni se chiedessimo di farci vederei loro libri contabili e dicessimo: "Suquesta cifra di reddito, riteniamo chequesta parte debba rimanere a voi e

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quest'altra tocchi a noi sotto forma disalario?" La conoscenza dei tempi dilavoro è per noi esattamentel'equivalente di quello che per loro è ilsegreto industriale e commerciale"

Quell'operaio avevamagnificamente capito la faccenda. Ilpadrone ha non solo la proprietà dellafabbrica, delle macchine, il monopolio dei procedimenti difabbricazione e delle nozionifinanziarie e commerciali riguardantila sua fabbrica; pretende anche diavere il monopolio del lavoro e deitempi di lavoro. Che cosa rimane aglioperai? Rimane l'energia che permettedi compiere un movimento,l'equivalente della forzaelettrica; energia che viene utilizzataesattamente come viene utilizzatal'elettricità.

Con i sistemi più grossolani,

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impiegando come stimolo lacostrizione e l'appetito del guadagno,insomma mediante un metodo diallenamento che non fa appello a nulladi quello che è propriamente umano, siammaestra un operaio come siammaestra un cane, combinando lafrusta con la zolletta di zucchero. Perfortuna non si arriva proprio a questopunto, perché la razionalizzazione nonè mai perfetta e, grazie al cielo, ilcaporeparto non conosce mai tutto. C'èsempre il modo di arrangiarsi, ancheper un operaio non qualificato. Ma, seil sistema fosse strettamente applicato,a questo si arriverebbe.

C'è ancora un certo numero divantaggi per la direzione e diinconvenienti per gli operai. Mentre ladirezione ha il monopolio di tutte leconoscenze concernenti il lavoro, nonha responsabilità degli incidentiprovocati dal lavoro a cottimo e a

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premi. Prima di giugno si era arrivati aquesto miracolo: tutto quello che eraben fatto era considerato come dovutoai padroni, ma tutti gli incidenti eranodegli operai, i quali perdevano il lorosalario se una macchina era malmontata, dovevano arrangiarsi sequalcosa non andava, se un ordine erainapplicabile o se due ordini eranocontraddittori (perché teoricamentetutto va bene, l'acciaio degli utensili èsempre buono e se l'utensile si rompela colpa è degli operai eccetera) Esiccome il lavoro è a cottimo, i capi tifanno anche un piacere se spingono laloro bontà fino a voler porre riparoagli incidenti. Così il sistema èveramente ideale per i padroni, perchécomporta per loro tutti i vantaggi,mentre riduce gli operai allo stato dischiavi e accolla loro l'iniziativa ognivolta che le cose non vanno. E' unraffinamento da cui risulta sofferenzain tutti i casi perché in tutti i casi è

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l'operaio ad avere torto.

Non si può chiamare scientifico unsistema di questo tipo, se non partendodal principio che gli uomini non sonouomini e facendo della scienza unostrumento di costrizione. Ma il verocompito della scienza in materia diorganizzazione del lavoro è quello ditrovare tecniche migliori. In generale,il fatto che è stato facile sfruttaresempre più la forza operaia crea unaspecie di pigrizia nei capi, e si èveduta in molte fabbriche unanegligenza incredibile da parte loro difronte ai problemi tecnici e aiproblemi organizzativi perchésapevano di poter sempre far riparare iloro errori dagli operai aumentando unpo più la cadenza del lavoro.

Taylor ha sempre sostenuto che ilsistema era ottimo perché si potevanotrovare scientificamente non solo i

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procedimenti migliori di lavoro e itempi necessari per ogni operazione,ma anche il limite della stanchezza aldi là del quale non bisognava farandare un lavoratore.

Da Taylor in poi, un ramo specialedella scienza si è sviluppato in questadirezione: si tratta della cosiddettapsicotecnica, che permette di definirele migliori condizioni psicologichepossibili per questo o quel lavoro, dimisurare la fatica eccetera.

Allora gli industriali, grazie allapsicotecnica, possono dire di avere laprova che non fanno soffrire i lorooperai. Basta loro invocare l'autoritàdegli scienziati.

Ma la psicotecnica è ancoraimperfetta. E' stata creatarecentemente. E, quand'anche fosseperfetta, non potrebbe mai giungere ai

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fattori morali; perché, in fabbrica, lasofferenza consiste soprattutto neltrovare il tempo lungo; ma non si fermaqui. E d'altra parte mai nessunopsicotecnico arriverà a precisare inquale misura un operaio trovi lungo iltempo. Solo l'operaio stesso può dirlo.

E questo è ancora più grave:bisogna diffidare degli scienziati,

perché non sono quasi mai sinceri.A un industriale è facilissimocomprare uno scienziato; e quando ilpadrone è lo stato nulla gli è più facileche imporre questa o quella regolascientifica. Compare in questomomento in Germania l'improvvisascoperta che i grassi non sono tantonecessari come si credevanell'alimentazione umana. Così sipotrebbe scoprire domani che è piùfacile a un operaio fare duemila pezziinvece di mille. I lavoratori non

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devono dunque avere fiducia negliscienziati, negli intellettuali e neitecnici per regolarsi in quel che, perloro, è di importanza vitale. Possono,beninteso, ascoltare i loro consigli, madevono contare solo su se stessi; e, sesi aiuteranno con la scienza, ciò dovràavvenire assimilandola essi stessi.

[Qui termina il testo che è statopossibile raccogliere]

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LACONDIZIONE

OPERAIA

Gli studi comparsiprecedentemente sulla condizioneoperaia nei diversi paesi indicano asufficienza, quando siano paragonatifra loro, quanta distanza separi uominiche tuttavia portano tutti il medesimonome di operai. E tuttavia peccanogravemente di astrazione; perché, dauna professione all'altra, da una cittàall'altra e anche da un angolo all'altrodella medesima fabbrica, quante

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differenze! A più forte ragione, da unpaese all'altro. Tutti gli operailavorano sottoposti a ordini, soggetti asalario; eppure che cosa c'è, oltre ilnome, di comune fra un operaiogiapponese o indocinese e un operaiosvedese o francese dopo il giugno1936? Dico dopo il giugno 1936perché durante i tre anni che hannopreceduto quella data, la condizionemateriale e morale degli operaifrancesi tendeva dolorosamente adavvicinarsi alle peggiori forme delsalariato.

L'esame di queste differenzesuggerisce che potrebbero certamenteessere spinte anche oltre. Gli uominipotrebbero andare anche oltre, nellamiseria e nella schiavitù, e più oltrenel benessere e nell'indipendenza diquanto vadano il più sventurato e ilmeno sventurato degli operai, e perportare ancora il nome di operai, il

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nome di salariati. E' questa una cosaalla quale si dovrebbe prestare, daogni parte, una maggiore attenzione.Gli uni, che spregiano le riforme comeuna forma d'azione vile e pocoefficace, rifletterebbero che è megliomutare le cose che le parole, e che igrandi rivolgimenti cambianosoprattutto le parole. Gli altri cheodiano le riforme come utopiche epericolose, s'avvedrebbero checredono a fatalità illusorie e chelacrime, sfinimento, disperazione nonsono così necessari all'ordine socialecome essi ritengono.

E' tuttavia vero che, nelle formepiù elevate della condizione operaia,c'è qualcosa di singolarmenteinstabile; esse comportano una scarsasicurezza. Intorno a esse i flutti dellamiseria generale operano come unmare che corrode banchi di sabbia. Ipaesi nei quali i lavoratori sono

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miserabili esercitano con la loro solaesistenza una pressione perpetua suipaesi del progresso sociale perattenuarne, appunto, i progressi, esenza dubbio si verifica anche lapressione contraria, maapparentemente molto più deboleperché la prima pressione ha permeccanismo il gioco degli scambieconomici e la seconda il contagiosociale. Del resto, quando il progressosociale ha assunto la forma d'unrovesciamento rivoluzionario, le cosevanno ancora allo stesso modo; opiuttosto il popolo di uno statorivoluzionario pare essere, neiconfronti di questo fenomeno, piùvulnerabile e disarmato di qualsiasialtro. Questo fatto costituisce unostacolo considerevole almiglioramento delle sorti deilavoratori. Molti, ingannati dainebrianti speranze, hanno il torto didimenticarlo. Altri, mossi da speranze

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meno generose, hanno il torto diconfondere questo ostacolo con quelliche sono propri alla natura delle cose.

Questo ultimo errore è mantenutoin vita da una certa confusione dilinguaggio. Si parla continuamente,oggi, di produzione. Per consumare,bisogna anzitutto produrre e perprodurre bisogna lavorare. Ecco quelche dal giugno 1936 si sente ripeteredovunque, da "Temps" fino agli organidella C. G. T. e che, beninteso, non sisente contestare da nessuno, se non dacoloro che le forme moderne del mitodel moto perpetuo lasciano dubbiosi.E' questo, realmente, un ostacolo allosviluppo generale del benessere edella ricreazione, e fa parte dellanatura delle cose. Ma in sé non è tantograve come di solito s'immagina.Perché dev'essere necessariamenteprodotto solo quel che è necessarioconsumare; aggiungiamo anche l'utile e

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il dilettevole, a condizione che si trattidi vera utilità e di diletti puri. A dirvero, la giustizia non è tropporispettata quando si vedono migliaiad'uomini soffrire per procuraregodimenti delicati a pochi privilegiati;ma che dire allora dei lavori cheaggravano una folla di sventurati senzanemmeno procurare ai privilegiatigrandi e piccoli autentichesoddisfazioni? E, nella nostraproduzione totale, quale luogo nonoccupano forse lavori di questogenere, se osiamo fare i conti?

Eppure lavori simili sono,anch'essi, necessari, d'una necessitàche non è propria della natura dellecose, bensì dei rapporti umani; inutili atutti, sono necessari in ogni luogoperché in qualsiasi altro vengonocompiuti. La discriminazione fra duetipi di necessità, la vera e la falsa, nonè sempre facile; ma esiste per essa un

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criterio sicuro. Ci sono prodotti la cuicarenza in un paese è tanto più grave inquanto si estende anche al resto delglobo; per altri invece, la carenzapresenta tanto meno inconvenientiquanto più è generale. E' possibilecosì distinguere all'ingrosso duecategorie di prodotti.

Se il raccolto del grano, inFrancia, diminuisse della metà, inseguito a qualche calamità pubblica, ifrancesi dovrebbero porre tutte le lorosperanze in un sovrabbondanteraccolto granario nel Canada o altrove;la loro carestia diventerebbeirrimediabile solo se il raccolto fossesimultaneamente diminuito della metàin tutto il mondo. Invece, se un belgiorno il rendimento delle fabbrichebelliche francesi diminuisse dellametà, non perciò ne verrebbe allaFrancia nessun danno, a condizioneche una diminuzione simile avvenisse

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in tutte le fabbriche militari del mondo.Il grano da una parte e la produzione diguerra dall'altra, ecco esempi perfettidell'antitesi che si tratta di chiarire.Ma la maggior parte dei prodottipartecipano, in gradi differenti,dell'una o dell'altra categoria. Servonoin parte al consumo e in parte sia allaguerra sia a quella lotta analoga allaguerra che si chiama concorrenza. Sesi potesse tracciare uno schema cheraffigurasse la produzione attuale e cheillustrasse questa divisione, simisurerebbe esattamente, ogni giorno,quanto sudore e lacrime gli uominiaggiungano alla maledizioneoriginaria.

Prendiamo l'esempiodell'automobile. Nell'attualecondizione degli scambi, l'automobileè uno strumento di trasporto chepotrebbe essere soppresso solo aprezzo di gravi disordini; ma la

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quantità di automobili che ogni giornoesce dalle officine supera di moltoquella al di sotto della quale siprodurrebbero inconvenienti. Tuttaviauna diminuzione considerevole delrendimento di lavoro in queste officineavrebbe effetti disastrosi, perché leautomobili inglesi, italiane, americane,più abbondanti e meno care,invaderebbero il mercato eprovocherebbero fallimenti edisoccupazione. E ciò perchéun'automobile non serve solo a correresu una strada, è anche un'arma dellalotta che combattono fra di loro laproduzione francese e quella degli altripaesi. Le barriere doganali, lo si sabenissimo, sono mezzi di difesa pocoefficaci e pericolosi.

Immaginiamoci ora la settimana di30 ore stabilita in tutte le fabbricheautomobilistiche del mondo, insieme auna meno rapida cadenza di lavoro.

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Quali catastrofi ne risulterebbero?Nessun bambino avrà perciò menolatte, nessuna famiglia avrà più freddoe anche, verosimilmente, nessunproprietario di fabbriche d'automobilise la spasserà meno bene per questo.Le città diventerebbero menorumorose, le strade ritroverebberoqualche volta i benefici del silenzio. Adire la verità, in condizioni simili,molte persone sarebbero private delpiacere di vedere sfilare i paesaggi acento chilometri l'ora; in compensomigliaia e migliaia di operaipotrebbero finalmente respirare,godere del sole, muoversi con il ritmodel respiro, fare gesti diversi da quelliche gli ordini impongono loro; tuttiquegli uomini, che dovranno morire,conosceranno della vita, prima dimorire, qualcosa di diverso dalla frettavertiginosa e monotona delle ore dellavoro, dal peso dei riposi troppobrevi, dalla miseria infinita dei giorni

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di disoccupazione e degli anni divecchiaia. E' vero che gli specialisti distatistica, contando le auto, riterrannoche si sia regrediti sulla via delprogresso.

La rivalità militare ed economicaè, oggi, e rimarrà verosimilmente, unfatto che può essere eliminato solo sesi compongono idilli. Non si parlanemmeno di sopprimerla in questopaese, figuriamoci nel mondo. Quelche soprattutto pare desiderabilesarebbe aggiungere qualche regola algioco della concorrenza. La resistenzadella lamiera al taglio e all'imbutituraè suppergiù la medesima in tutte leofficine meccaniche del mondo; se sipotesse dire altrettanto della resistenzaoperaia all'oppressione, nonsparirebbe nessuno degli effettibenefici della concorrenza e quantedifficoltà invece sarebbero destinate adissolversi!

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Nel movimento operaio, questanecessità di estendere al mondo interole conquiste operaie d'ogni paesesocialmente avanzato è divenuta datempo un luogo comune. Dopo laguerra, la lotta delle tendenzes'impegnava soprattutto sul problemase bisognasse cercare di ottenerequesta estensione a mezzo dellarivoluzione mondiale o a mezzodell'Ufficio internazionale del lavoro.Non sappiamo che risultati avrebbedato la rivoluzione mondiale, mal'Ufficio internazionale del lavoro,bisogna dirlo, non se l'è cavata bene.

A prima vista si potrebbe supporreche quando un paese ha realizzato deiprogressi sociali che locompromettono nella lotta economica,tutte le classi sociali di questo paesedevono, non fosse che per interesse,unire i loro sforzi per dare alle riformecompiute la più grande estensione

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possibile oltre le frontiere. Eppure nonè così. I fogli più rispettabili di casanostra, generalmente considerati comeil portavoce della nostra altaborghesia, ripetono a sazietà che lariforma di quaranta ore sarà splendidase sarà internazionale, rovinosa sedovesse rimanere solo francese; il chenon ha impedito, salvo errore, a talunidei nostri rappresentanti padronali aGinevra di votare contro le quarantaore.

Cose simili non avverrebbero segli uomini fossero mossi solodall'interesse; ma, accantoall'interesse, c'è l'orgoglio. E' dolcecosa avere degli inferiori; è penosovedere degli inferiori acquistare deidiritti, anche limitati, che stabilisconofra loro e i loro superiori, sotto certiriguardi, una certa eguaglianza. Sipreferirebbe accordare loro imedesimi vantaggi ma con un gesto

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gratuito; si preferirebbe, soprattutto,parlare di accordarli. Se finalmentehanno acquisito diritti, si preferisceche la pressione economica dell'esteroli mini, non senza guai d'ogni sorta,piuttosto che ottenerne l'estensioneoltre le frontiere. La più urgentepreoccupazione di molti uomini situatipiù o meno in alto nella scala sociale èdi mantenere i loro inferiori "al loroposto" Non senza ragione, dopotutto;perché, se lasciano una buona volta "illoro posto", chissà fin dove andranno?

L'internazionalismo operaiodovrebbe essere più efficace;disgraziatamente non si sbaglierebbechi lo paragonasse alla giumenta diOrlando che aveva tutte le qualitàeccetto quella di esistere. Anchel'Internazionale socialista di primadella guerra era soprattutto unafacciata; e l'ha ben dimostrato laguerra. A più forte ragione non c'è mai

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stata nell'internazionale sindacale, cosìcrudelmente mutilata ora a causa deglistati dittatoriali, né azione concertata enemmeno contatto permanente fra idiversi movimenti nazionali. Certo, neimomenti gravi, l'entusiasmo travalicale frontiere; lo si è potuto constatarenell'epico mese di giugno del 1936 e siè visto tentare l'occupazione dellefabbriche non solo nel Belgio mapersino superare l'oceano edestendersi inaspettatamente negli StatiUniti. Certo si è anche vista talora unagrande lotta operaia parzialmentealimentata da sottoscrizioni venutedall'estero. Eppure non c'è strategiaconcertata, gli stati maggiori nonuniscono le loro armi e non mettonospirito d'unità nelle lororivendicazione; si constata spessopersino una sorprendente ignoranza suquanto avviene fuori del territorionazionale. L'internazionalismo operaioè, fino ad oggi, più verbale che

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pratico.

Quanto al governo, in questamateria la sua azione sarebbe decisiva,se agisse. Perché un certo livellamentonelle condizioni di esistenza deglioperai dei diversi paesi livellamentoverso l'alto, se così può dirsi non puòessere affatto concepito se non comeelemento in quella famosaregolamentazione generale deiproblemi economici mondiali checiascuno riconosce comeindispensabile alla pace e allaprosperità, ma che nessuno affrontamai. Reciprocamente, l'azione operaiasarà, per un triste paradosso emalgrado le dottrine internazionali, unostacolo alla distensione dei rapportiinternazionali, fintanto che ci si lasceràvivere nella deplorevole incuriaattuale.

Così gli operai francesi avranno

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sempre timore di vedere penetrare inFrancia i lavoratori dei paesisovrappopolati, fintantoché glistranieri vi saranno abbassati allacondizione di paria, privi d'ogni sortadi diritti, impotenti a partecipare allaminima azione sindacale senzarischiare la morte lenta per miseria,passibili di espulsione in ognimomento. Il progresso sociale in unpaese ha come conseguenzaparadossale la tendenza a chiudere lefrontiere ai prodotti e agli uomini. Se ipaesi di dittatura si ripiegano su sestessi per ossessione guerriera e se ipaesi più democratici li limitano nonsolo perché sono contaminati daquell'ossessione ma anche a causa deipropri progressi, che cosa possiamosperare?

Tutte le considerazioni d'ordinenazionale e internazionale, economicoe politico, tecnico e umanitario, si

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uniscono per consigliarci di cercare diagire. Tanto più che le riformecompiute nel giugno del 1936 che, sedobbiamo credere a taluno, porrebberoin pericolo la nostra economia sonoappena una piccola parte delle riformeimmediatamente augurabili. Perché laFrancia non è solo una nazione; è unimpero; e una moltitudine di miseri,nati per loro disgrazia con la pelle d'uncolore diverso dalla nostra, avevanoposto tali speranze nel governo delmaggio 1936 che una attesa così lunga,se dovesse essere delusa, rischierebbedi crearci, uno dei giorni avvenire,difficoltà gravi e sanguinose.

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ESPERIENZEDELLA VITA DI

FABBRICA

[Articolo scritto a Marsiglia nel1941, pubblicato parzialmente piùtardi, con lo pseudonimo di EmileNovis, su "Economie et Humanisme"]

Le pagine seguenti si riferiscono aun'esperienza della vita di fabbricaantecedente il 1936. Esse possono

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sorprendere chi ha avuto contattodiretto con gli operai solo in seguito alFronte popolare. La condizioneoperaia muta continuamente; spesso èdiversa da un anno all'altro. Gli anniprecedenti il 1936, durissimi e brutalia causa della crisi economica, meglioriflettono tuttavia la condizioneproletaria di quanto non faccia ilperiodo, simile a un sogno, che èvenuto dopo.

Dichiarazioni ufficiali ci hannoinformati che ormai lo stato francesecercherà di por fine alla condizioneproletaria, vale a dire a quanto c'è didegradante nella vita operaia, tantodentro quanto fuori della fabbrica. Laprima difficoltà da vincere èl'ignoranza. Nel corso degli ultimi annis'è avvertito chiaramente che glioperai sono in realtà come deglisradicati, in esilio sulla terra dellaloro stessa patria. Ma non si sa il

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perché. Passeggiare alla periferia,vedere le stanze tristi e cupe, le case,le vie, non aiuta molto a comprenderequale vita vi sia vissuta. L'infelicitàdell'operaio in fabbrica è ancora piùmisteriosa. Gli operai moltodifficilmente possono scrivere, parlareo persino riflettere su questoargomento, perché il primo effettodella sventura è quello di spingere ilpensiero all'evasione; esso non vuoleconsiderare la disgrazia da cui ècolpito. Così gli operai, quandoparlano della propria sorte, ripetonoquasi sempre le frasi di propagandaconiate da gente che non è operaia. Perun ex operaio, la difficoltà è almenoaltrettanto grande; gli è facile parlaredella sua condizione originaria, ma èdifficilissimo che egli ci pensirealmente, perché nulla è così prestocoperto dall'oblio quanto una sventurapassata. Un uomo d'ingegno può,aiutandosi con le narrazioni e con la

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pratica dell'immaginazione, indovinaree descrivere, in una certa misura,dall'esterno; così Jules Romains haconsacrato alla vita di fabbrica uncapitolo del suo libro "Les hommes debonne volonté" [Gli uomini di buonavolontà] Ma non si va molto lontano.

Come abolire un male senza avervisto chiaramente in che cosa consista?Le pagine seguenti possono forse un poaiutare a porre almeno il problema,perché sono frutto del contatto direttocon la vita di fabbrica.

La fabbrica potrebbe riempirel'anima con il potente senso della vitacollettiva si potrebbe dire: unanimeche è data dalla partecipazione allavoro di un grande organismo. Tutti irumori vi hanno un significato, tuttisono ritmati, e si fondono in una speciedi grande respirazione del lavorocomune cui inebria partecipare. Ciò è

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tanto più inebriante in quanto ilsentimento della solitudine èinalterato. Ci sono solo rumorimetallici, ruote che girano, morsi nelmetallo; rumori che non parlano dellanatura né della vita bensì dell'attivitàseria, continua, ininterrotta dell'uomosulle cose. Si è perduti in quel grandefragore, ma, contemporaneamente, lo sidomina, perché su quel basso continuo,permanente e sempre mutevole, quelche risalta, pur fondendosi al resto, è ilrumore della macchina che noi stessistiamo impiegando. Non ci si sentepiccoli come in una folla: ci si senteindispensabili. Le cinghie ditrasmissione, dove ce ne sono,consentono di bere con gli occhiquesta unità ritmica che l'intero corpoavverte nei rumori e nella vibrazioneleggera di tutte le cose. Nelle ore buiedelle mattine e delle sere d'inverno,quando splende solo la luce elettrica,tutti i sensi partecipano di un universo

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dove nulla rammenta la natura, dovenulla è gratuito, dove tutto è urto, urtoduro e al tempo stesso conquistatore,fra l'uomo e la materia. Le lampade, lecinghie, i rumori, la ferraglia dura efredda, tutto concorre a trasformarel'uomo in operaio.

Se fosse questo, la vita di fabbrica,sarebbe troppo bello. Ma non è questo.Quelle gioie sono gioie di uominiliberi; coloro che popolano le officinenon l'avvertono se non in brevi e rariistanti, perché non sono uomini liberi.Possono sentirle solo quandodimenticano di non essere liberi; mapossono dimenticarlo di raro, perchéla loro condizione subordinata è resasensibile attraverso i sensi, il corpo, imille particolari che riempiono iminuti di cui è fatta una vita.

Il primo particolare che, nellagiornata, rende sensibile la schiavitù, è

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l'orologio marcatempi. La strada cheva da casa propria alla fabbrica èdominata dalla necessità d'essere làprima di un dato secondomeccanicamente determinato. E' inutileessere cinque o dieci minuti inanticipo: lo scorrere del tempo appareper questo come qualcosa di spietatoche non lascia alcun margine al caso.E', nella giornata operaia, il primocolpo di una regola la cui brutalitàdomina tutta quella parte dell'esistenzache viene trascorsa fra le macchine; ilcaso non ha diritto di cittadinanza infabbrica. Esiste, beninteso, comedovunque; ma non è riconosciuto. Quelche è ammesso, spesso con grandetrimento della produzione, è ilprincipio della caserma: "Non vogliosaperlo" Le finzioni, in fabbrica, sonopotentissime. Ci sono regole che nonsono mai osservate ma che sonoperpetuamente in vigore. Gli ordini insé contraddittori non lo sono però

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secondo la logica della fabbrica.Attraverso tutto ciò, il lavorodev'essere compiuto. Tocca all'operaioarrangiarsi, sotto pena dilicenziamento. E si arrangia.

Le grandi e piccole miseriecontinuamente imposte in fabbricaall'organismo umano, o, come diceJules Romains, "quell'assorbimento diminute pene fisiche che il lavoro nonrichiede e che non vanno a suobeneficio" contribuiscono in egualparte a rendere sensibile la schiavitù.Non le sofferenze congiunte allenecessità del lavoro; quelle, si puòessere fieri di sopportarle; bensìquelle che sono inutili. Ferisconol'anima perché generalmente non passaper la mente di andare a lamentarsene;e si sa che non passa per la mente. Sisa in anticipo che si sarebberimproverati e che si incasserebbe ilrimprovero senza fiatare. Parlare

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vorrebbe dire andare in cerca diun'umiliazione. Spesso, se c'è qualcosache un operaio non possa sopportare,preferirà tacere e andarsene.Sofferenze simili sono spesso, in sé,assai leggere; se sono amare, ciòaccade perché ogni volta che le siprova (e le si prova sempre), il fattoche si vorrebbe dimenticare, il fattoche in fabbrica non ci si sente a casa,che non vi si ha diritto di cittadinanza,che vi si è uno straniero ammessocome semplice intermediario fra lemacchine e i pezzi forgiati, questo fattocolpisce anima e corpo; sotto questooltraggio, carne e pensiero sicontraggono. Come se qualcunoripetesse all'orecchio, di minuto inminuto, senza che fosse possibile darenessuna risposta: "Tu, qui, non seinulla. Tu non conti. Tu sei qui perpiegarti, subire tutto e tacere" E' quasiimpossibile resistere alla ripetizionedi questa frase. Si finisce per

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ammettere, nel più profondo di sestessi, di non contare nulla. Tutti glioperai di fabbrica, o quasi, e anchequelli che hanno il piglio piùindipendente, hanno qualcosa di quasiimpercettibile nei movimenti, nellosguardo, e soprattutto nella piega dellelabbra, che esprime il fatto d'esserestati costretti a considerarsi nulla.

Quello che ve li costringe è,soprattutto, il loro modo di subire gliordini. Si nega spesso che gli operaisoffrano della monotonia del lavoro,perché si è notato che spesso unmutamento di fabbricazione è, perloro, una contrarietà. Eppure ildisgusto invade l'anima, durante unlungo periodo di lavoro monotono. Ilmutamento dà sollievo e pena insieme;pena spesso assai viva nel caso dellavoro a cottimo, perché il guadagnodiminuisce e perché è una abitudine equasi una convenzione attribuire più

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importanza al denaro, cosa evidente emisurabile, che ai sentimenti oscuri,inafferrabili, inesprimibili, che duranteil lavoro si rendono padronidell'anima. Ma, anche se il lavoro èpagato a tariffa oraria, c'è contrarietà,irritazione per il modo con cui ilmutamento viene ordinato. Il nuovolavoro è imposto improvvisamente,senza preparazione, nella forma di unordine al quale si deve obbedireimmediatamente e senza replica. Chicosì obbedisce, avverte allorabrutalmente che il suo tempo è semprea disposizione di altri. Il piccoloartigiano che possiede una officinameccanica e che sa di dover fornire,entro una quindicina di giorni, tantitrapani, tanti rubinetti, tante bielle,nemmeno lui dispone arbitrariamentedel suo tempo; ma almeno, una voltaaccettata l'ordinazione, sarà lui adeterminare in anticipo comeimpiegare le sue ore o le sue giornate.

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Se anche il capo dicesse all'operaiouna settimana o due prima: per duegiorni mi farai delle bielle, e poi deitrapani e così via, bisognerebbeobbedire, ma sarebbe possibileabbracciare con il pensiero ilprossimo avvenire, disegnarlo inanticipo, possederlo. Non è così infabbrica. Dal momento che si timbraper entrare fino al momento che sitimbra per uscire, si è, in ogni istante,nella condizione di poter subire unordine. Come un oggetto inerte cheognuno può, quando voglia, mutare diluogo. Se si lavora su di una serie dipezzi che deve durare ancora due ore,non è possibile pensare a quello che sifarà fra tre ore senza che il pensierodebba compiere un passaggioobbligato attraverso il superiore, senzaessere costretti a ripetere a se stessiche si è sottoposti a ordini; se si fannodieci pezzi al minuto, ciò accade giàper i cinque minuti seguenti. Se si

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suppone che forse non verrà nessunordine, ed essendo gli ordini il soloelemento di varietà, eliminarli con ilpensiero vuol dire condannarsi aimmaginare una ripetizione ininterrottadi pezzi sempre identici, di regionitristi e desertiche che il pensiero nonpuò percorrere. In realtà, è vero, milleminimi incidenti popoleranno queldeserto; ma, se contano nell'ora chepassa, non possono essere calcolatiquando ci si rappresenta l'avvenire. Seil pensiero vuole evitare questamonotonia, immaginare qualchemutamento, e dunque un ordineimprovviso, non può viaggiare dalmomento presente all'avvenire senzapassare attraverso un'umiliazione. Cosìil pensiero si rattrappisce. Questoripiegamento sul presente produce unaspecie di stupore. Il solo avveniresopportabile per il pensiero, al di làdel quale non ha la forza di estendersi,è quello che, quando si è in pieno

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lavoro, separa l'istante nel quale citroviamo dal compimento del pezzo incorso, se si ha la fortuna che esso siadi lavorazione un po lunga. In certimomenti il lavoro è assorbente quantobasta perché il pensiero si mantengaautomaticamente in quei limiti. Alloranon si soffre. Ma, la sera, quando si èusciti; e soprattutto al mattino, quandoci si dirige verso il luogo di lavoro el'orologio marcatempi, è duro pensarealla giornata che bisognerà percorrere.E la domenica sera, quando quel che sipresenta alla mente non è una giornatabensì tutta la settimana, l'avvenire èqualcosa di troppo tetro, di troppopesante, che fa piegare il pensiero.

La monotonia d'una giornata infabbrica, anche se nessun mutamento dilavoro viene a interromperla, èscreziata da mille piccoli incidenti chepopolano ogni giornata e ne fanno unastoria nuova; ma, come avviene con il

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mutamento del lavoro, quegli incidentiferiscono più di quanto confortino.Corrispondono sempre a unadiminuzione del salario, nel caso dellavoro a cottimo; di modo che non èpossibile augurarseli. Ma spessoferiscono anche in sé e per sé.L'angoscia diffusa in ogni attimo dellavoro in cui ci si concentra, l'angosciadi non andare abbastanza presto equando, come spesso accade, si habisogno di un'altra persona per potercontinuare, d'un caposquadra, d'unmagazziniere, di un operatore, ilsentimento di dipendenza, d'impotenza,di non contare nulla agli occhi deisuperiori, può diventare doloroso finoal punto da strappare lacrime agliuomini come alle donne. La possibilitàcontinua di questi incidenti, lamacchina che si ferma, la cassa chenon si trova e così via, invece didiminuire il peso della monotonia,toglie quel rimedio che in generale

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essa porta in se stessa, il potere diassopire e di cullare i pensieri inmodo da cessare, in una certa misura,d'essere sensibile; una leggeraangoscia impedisce questo effetto diassopimento e obbliga ad averecoscienza della monotonia, benchéaverne coscienza sia intollerabile. Nonc'è nulla di peggio dell'unione dellamonotonia e del caso; si aggravano l'unl'altro, almeno quando il caso èangoscioso. E' angoscioso nellafabbrica perché non è riconosciuto;teoricamente, benché tutti sappiano chenon è affatto così, le casse dovemettere i pezzi non mancano mai, glioperatori non si fanno mai aspettare eogni rallentamento nella produzione ècolpa dell'operaio. Il pensiero devecostantemente essere pronto, tanto aseguire il corso monotono dei gestiindefinitamente ripetuti quanto atrovare in se stesso le risorsenecessarie per rimediare

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all'imprevisto. Obbligocontraddittorio, impossibile, sfibrante.Il corpo è talvolta sfinito, la seraquando esce dalla fabbrica; ma ilpensiero lo è sempre e lo è di più.Chiunque abbia provato quellosfinimento e non l'abbia dimenticatopuò leggerlo negli occhi di quasi tuttigli operai che la sera escono da unafabbrica. Come si vorrebbe poterdeporre la propria anima, entrando,insieme al proprio cartellino eriprenderla intatta all'uscita! E inveceaccade il contrario. La si porta con séin fabbrica, dove patisce; e la sera,quello sfinimento l'ha come annientatae le ore di libertà sono vane.

Certi incidenti, durante il lavoro,procurano, è vero, gioia, anche sediminuiscono il salario. Anzitutto ilcaso, che è raro, in cui si riceva daun'altra persona una preziosa prova dicameratismo; poi tutte quelle situazioni

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nelle quali riusciamo a cavarcela dasoli. Mentre ci si ingegna, ci si sforza,si gioca d'astuzia con l'ostacolo,l'anima è occupata da un avvenire chedipende solo da noi.

Più un lavoro è suscettibile dicomportare simili difficoltà, piùspesso solleva l'animo. Ma questagioia è incompleta per mancanzad'uomini, di compagni o di capi chegiudichino o apprezzino il valore diquel che è riuscito. Quasi sempre tantoi capi come i compagni incaricatid'altre operazioni sui medesimi pezzisi preoccupano esclusivamente deipezzi e non delle difficoltà vinte.Questa indifferenza priva del caloreumano di cui si ha sempre un pobisogno. Anche l'uomo che menodesidera soddisfazioni di amor propriosi sente troppo solo in un luogo dove siè convenuto di interessarsiesclusivamente a quel che ha fatto, mai

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al modo seguito per farlo; per questole gioie del lavoro si trovano relegateal rango delle impressioni nonformulate, fuggitive, scomparse nonappena nate; il cameratismo deilavoratori non riuscendo a prenderecorpo, rimane una velleità informe; e icapi non sono uomini che guidano esorvegliano altri uomini bensì gliorgani d'una subordinazioneimpersonale, rozza e fredda come ilferro. E' vero, in questo rapporto disubordinazione, la persona del capointerviene, ma capricciosamente: larozzezza impersonale e il capriccio,invece di temperarsi, si aggravanoreciprocamente, come la monotonia eil caso.

Ai nostri giorni, non succede solonei magazzini, nei mercati, negliscambi, che contino solo i prodotti dellavoro, e non il lavoro che li hagenerati. Nelle fabbriche moderne

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accade la stessa cosa, almeno allivello dell'operaio. La cooperazione,la comprensione, la reciprocavalutazione nel lavoro vi sonomonopolizzate dalle sfere superiori. Allivello dell'operaio i rapporti stabilitifra i diversi posti, le diverse funzioni,sono rapporti fra cose e non frauomini. I pezzi circolano con i lorocartellini, l'indicazione del nome, dellaforma, della materia prima; si potrebbequasi credere che essi sono le persone,e gli operai pezzi intercambiabili. Ipezzi hanno uno stato civile; e quando,come succede in alcune grandifabbriche, bisogna mostrareall'ingresso un documento d'identitàdove si è fotografati con un numero sulpetto come tanti ergastolani, ilcontrasto diventa un simboloimpressionante e doloroso.

Le cose fanno la parte degliuomini, e gli uomini quella delle cose:

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questa è la radice del male. Ci sonomolte situazioni differenti in unafabbrica: l'aggiustatore che inun'officina attrezzaggio fabbrica, adesempio, delle matrici di pressa,meraviglie di ingegnosità, lunghe alavorarsi, sempre diverse, costui nonperde nulla entrando in una fabbrica;ma questo caso è raro. Molti invecenelle grandi fabbriche e anche in moltedelle piccole sono quelli o quelle cheeseguono a gran velocità,ordinatamente, cinque o sei gestisemplici indefinitamente ripetuti, unocirca al secondo, senz'altra possibilitàdi riprendere fiato eccetto in qualchecorsa ansiosa per cercare una cassa, unoperatore, o altri pezzi fino all'istantepreciso in cui un capo viene aprelevarli, come se fossero oggetti, permetterli davanti a un'altra macchina;dove resteranno finché non sarannomessi altrove. Costoro sono cosequanto può esserlo un essere umano,

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ma cose che non sono autorizzate aperdere coscienza, perché bisognasempre poter far fronte all'imprevisto.La successione dei loro gesti non èchiamata, nel linguaggio di fabbrica,con il nome di ritmo, ma con quello dicadenza; ed è esatto, perché questasuccessione è il contrario di un ritmo.Tutte le serie di movimenti chepartecipano della bellezza e chevengono compiuti senza degradare chili compie racchiudono attimi di sostabrevi come i lampi, che fondano ilsegreto del ritmo e danno allospettatore, anche attraverso l'estremarapidità, l'impressione della lentezza.Il podista, nel momento in cui batte unrecord mondiale, sembra scivolarelentamente, mentre si vedono icorridori mediocri affannarsi alle suespalle. Più un contadino falcia presto ebene, più coloro che lo guardanosentono che, come si dice cosìgiustamente, egli "prende il tempo che

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ci vuole" Lo spettacolo, invece, deglioperai alle macchine è quasi semprequello di una misera fretta dalla qualeè assente ogni grazia e ogni dignità. E'naturale per l'uomo, e gli si addice,fermarsi quando ha fatto qualcosa,foss'anche lo spazio d'un attimo, perprenderne coscienza, come Dio nellaGenesi; questo lampo di pensiero, diimmobilità e di equilibrio, è quel chebisogna proprio imparare asopprimere completamente, quando silavora in una fabbrica. Gli operai allemacchine raggiungono la cadenzavoluta solo se i gesti di un secondo sisuccedono in modo ininterrotto quasicome il tictac di un orologio senza chemai nulla indichi che qualcosa è finitoe che qualcos'altro comincia. Queltictac del quale non è possibilesopportare a lungo la tetra monotonia,essi devono quasi riprodurlo con ipropri corpi. Questo ininterrottoconcatenamento tende a far discendere

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in una sorta di sonno, ma bisognasopportarlo senza dormire. Non è soloun supplizio; se ne venisse solosofferenza, il male sarebbe minore diquel che è. Ogni azione umana esige unmovente che fornisca l'energianecessaria per compierla ed essa èbuona o cattiva a seconda che ilmovente sia elevato o basso. Perpiegarsi alla sfibrante passività chel'officina pretende, bisogna cercare inse stessi dei moventi, perché non cisono fruste né catene; fruste o catenerenderebbero forse più facile latrasformazione. Le condizioni stessedel lavoro impediscono la possibilitàd'intervento di altri moventi che nonsiano la paura dei rimproveri e dellicenziamento, l'avido desiderio diguadagnare quattrini, e, in una certamisura, il piacere dei record divelocità. Tutto concorre a richiamareal pensiero questi moventi e atrasformarli in ossessione; non si fa

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mai appello a qualcosa di più elevato;e poi, per essere sufficientementeefficaci, devono diventare ossessivi.Mentre questi moventi occupanol'anima, il pensiero si contrae su unpunto del tempo per evitare lasofferenza e la coscienza si spegne,per quanto almeno lo consentono lenecessità del lavoro. Una forza quasiirresistibile, paragonabile allapesantezza, impedisce allora diavvertire la presenza d'altri esseriumani che soffrono, anch'essi, accantoa te; è quasi impossibile non diventareindifferente e brutale come il sistemanel quale si è invischiati, e,reciprocamente, la brutalità delsistema è riflessa e resa sensibile daigesti, dagli sguardi, dalle parole di chici sta intorno. Dopo una giornatapassata così, un operaio si lamenta diuna sola cosa, lamento che non giungealle orecchie degli uomini estranei aquella condizione e che non direbbe

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loro nulla anche se vi giungesse: hotrovato lungo il tempo.

Il tempo gli è stato lungo ed èvissuto in esilio. Ha trascorso la suagiornata in un luogo nel quale era unestraneo. Le macchine e i pezzi dafabbricare non lo sono, ed egli vi èammesso solo per avvicinare i pezzialle macchine. Ci si occupa solo dellemacchine, non di lui; altre volte ci sioccupa troppo di lui e non abbastanzadi quelle, perché non è raro vedereun'officina dove i capi sono occupati astimolare operai e operaie, badandoche non alzino la testa nemmeno perscambiarsi uno sguardo, mentre in uncortile ci sono mucchi di ferragliaabbandonati alla ruggine. E' la piùgrande amarezza. Ma, che la fabbricasi difenda bene o male contro latendenza a rimanere al di sotto deitempi previsti, in ogni caso l'operaiosente di essere un estraneo. Non c'è

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nulla nell'uomo che sia tanto potentequanto il bisogno di appropriarsi, nongiuridicamente, ma con il pensiero, iluoghi e gli oggetti fra i quali passa lavita e spende la vita che ha in sé. Unadonna di casa dice "la mia cucina", ungiardiniere dice "il mio prato" ed èbene che sia così. La proprietàgiuridica è solo uno dei mezzi cheprocurano un tale sentimento el'organizzazione sociale perfettasarebbe quella che con l'uso di quelmezzo e di altri desse quel sentimentoa tutti gli esseri umani. Un operaio,eccetto pochi rarissimi casi, non puòappropriarsi di nulla, in fabbrica, conil pensiero; le macchine non sono sue,ne serve l'una o l'altra a seconda degliordini. Le serve, non se ne serve; nonsono per lui il mezzo per far prendereuna certa forma a un pezzo di metallo,egli è per le macchine un mezzo perportar loro dei pezzi, un'operazione ilcui rapporto con le operazioni

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precedenti e seguenti egli ignora.

I pezzi hanno la loro storia;passano da una fase della lavorazionea un'altra; egli non entra per nulla inquesta storia, non vi lascia il suosegno, non ne sa nulla. Se fossecurioso, la sua curiosità non sarebbeincoraggiata, e d'altronde quelmedesimo dolore sordo e continuo cheimpedisce al pensiero di viaggiare neltempo impedisce anche di viaggiareattraverso la fabbrica e lo inchioda inun punto dello spazio come all'attimopresente. L'operaio non sa quel cheproduce e quindi non ha la coscienzadi avere prodotto, ma di essersi sfinitoa vuoto. Egli consuma nella fabbricatalora fino al limite estremo quel cheha di meglio in sé, la sua capacità dipensare, sentire, muoversi; le consuma,perché quando esce ne è svuotato;eppure non ha messo nulla di sé nellavoro, né pensiero, né sentimento, e

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nemmeno, se non in una debole misura,movimenti determinati da lui, ordinatida lui in vista di un fine. La sua vitastessa esce da lui senza lasciargliintorno alcun segno. La fabbrica creaoggetti utili, non è lui a crearli, e lapaga che ogni quindicina viene attesafacendo la coda, come un gregge (pagaimpossibile a calcolare in anticipo, nelcaso del lavoro a cottimo, in seguitoall'arbitrarietà e alla complicatezza deiconti), pare più un'elemosina che ilprezzo di uno sforzo. L'operaio,benché indispensabile allafabbricazione non vi ha parte alcuna equesta è la ragione per cui ognisofferenza fisica inutilmente imposta,ogni mancanza di riguardo, ognibrutalità, ogni umiliazione ancheleggera paiono ricordare che non siconta nulla e che si è estranei. Sipossono vedere donne aspettare dieciminuti davanti a una fabbrica sotto lapioggia battente, di fronte a una porta

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aperta, dove passano i capi, finché nonè suonata l'ora: sono operaie; quellaporta è più straniera per loro di quelladi qualsiasi casa sconosciuta dove conla massima naturalezza entrerebberoper ripararsi. Nessuna intimità lega glioperai ai luoghi e agli oggetti fra iquali si consuma la loro vita el'officina fa di loro, nella loro stessapatria, degli stranieri, degli esiliati,degli sradicati. Le rivendicazioni,nell'occupazione delle fabbriche hannoavuto meno importanza del bisogno disentirsi almeno una volta a casapropria nell'officina. Bisogna che lavita sociale sia proprio corrotta fino almidollo se gli operai si sentono in casaproprio nella fabbrica quandoscioperano, ed estranei quando vilavorano. Dovrebbe essere vero ilcontrario. Gli operai non si sentirannoveramente a casa nella loro patria,membri responsabili del paese se nonquando si sentiranno a casa propria

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nella fabbrica e mentre vi lavorano.

E' difficile essere creduti quandosi descrivono solo le proprieimpressioni. Eppure non si puòdescrivere diversamente l'infelicità diuna condizione umana. L'infelicità èfatta solo d'impressioni. Le circostanzemateriali della vita, fintantoché èalmeno possibile vivere, non bastanoda sole a dar ragione dell'infelicità,perché circostanze equivalenti, unitead altri sentimenti, renderebbero felici.Quel che rende felice o infelice èl'insieme dei sentimenti connessi allecircostanze di una vita, ma queisentimenti non sono arbitrari, non sonoimposti o cancellati per suggestione,possono essere mutati solo dallaradicale trasformazione dellecircostanze stesse. Per mutarle bisognaanzitutto conoscerle. L'infelicità è lacosa più difficile a conoscersi. E'sempre un mistero. E' muta, come

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diceva un proverbio greco. Bisognaessere particolarmente preparatiall'analisi interiore per afferrare levere sfumature e le loro cause e questonon accade, in genere, agli infelici.Anche se si è preparati, l'infelicitàstessa impedisce quell'attività delpensiero; e ogni illuminazione hasempre per effetto la creazione di zonevietate dove il pensiero non siavventura e restano coperte o dalsilenzio o dalla menzogna. Quando glisventurati si lamentano, si lamentanoquasi sempre in un modo sbagliatosenza evocare la loro vera infelicità, ed'altra parte, nel caso di un'infelicitàprofonda e permanente, un fortissimopudore impedisce le lamentele. Cosìogni condizione infelice fra uominicrea una zona di silenzio nella qualegli esseri umani si trovano chiusi comein un'isola. Chi esce dall'isola nonvolge il capo. Le eccezioni, quasisempre, sono solo apparenti. Per

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esempio, la medesima distanza, quasisempre, malgrado l'apparenzacontraria, separa dagli operai l'operaiodivenuto padrone e l'operaio divenuto,nei sindacati, militante professionale.

Se taluno venuto dal di fuoripenetra in una di quelle isole e sisottomette volontariamenteall'infelicità, per un tempo limitato malungo quanto basti a esserne penetratoe se racconta le sue esperienze, sipotrà facilmente contestare il valoredella sua testimonianza. Si dirà che haprovato qualcosa di diverso da quelliche sono là permanentemente. Si avràragione se colui si sarà dato soloall'introspezione; o anche se avrà soloosservato. Ma se, giunto a dimenticaredi venire da altra terra, di dovercitornare e di trovarsi là solo per unviaggio, paragona continuamente quelche prova in se stesso con quel chelegge sui volti, negli occhi, nei gesti,

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negli atteggiamenti, nelle parole, negliavvenimenti piccoli e grandi, si crea inlui un sentimento di certezza,disgraziatamente difficile acomunicare. I volti contrattidall'angoscia della giornata che deveessere attraversata e gli sguardidolorosi nel metrò mattutino; lastanchezza profonda, essenziale, lastanchezza che è più dell'anima che delcorpo, che segna gli atteggiamenti, glisguardi e la piega delle labbra, la seraquando si esce; gli sguardi e gliatteggiamenti di belve in gabbia,quando una fabbrica, dopo l'annualechiusura di dieci giorni, si riapre perun interminabile anno; la diffusarozzezza, che s'incontra quasi ovunque;l'importanza che quasi tutticonferiscono a particolari in sépiccoli, ma dolorosi per il lorosignificato simbolico, come l'obbligodi presentare all'ingresso undocumento d'identità; le vanterie

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pietose, che si sentono ripetere, fra legreggi ammassate alla porta degliUffici assunzione, e che, per contrastoevocano tante umiliazioni reali; leparole incredibilmente dolorose chetalora sfuggono, quasiinavvertitamente, dalle labbra d'uominie donne simili a tutti gli altri; l'odio eil disgusto della fabbrica, del luogo dilavoro, quali compaiono tanto spessonelle parole e negli atti, che gettano lapropria ombra sul cameratismo espingono operai e operaie, non appenaescono, ad affrettarsi ognuno versocasa propria quasi senza scambiareparola; la gioia, durante l'occupazionedelle fabbriche, di possederle con ilpensiero, di percorrerne le parti, lafierezza affatto nuova di mostrarle aipropri familiari e di spiegare lorodove si lavora, gioia e fierezzafuggevoli che esprimono per contrasto,in modo tanto commovente, i doloriperpetui del pensiero fisso; tutti i moti

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della classe operaia, così misteriosiper gli spettatori, in realtà tanto facili acapirsi; come non fidarsi di tutti questisegni quando, mentre si leggonointorno a sé, si provano tutti isentimenti corrispondenti?

La fabbrica dovrebbe essere unluogo di gioia, dove, anche se èinevitabile che il corpo e l'animasoffrano, tuttavia l'anima possa anchegustare la gioia, nutrirsi di gioia. Perquesto bisognerebbe mutare, in uncerto senso, poche cose, e, nell'altro,molte. Tutti i sistemi di riforma o ditransizione sociale sono inefficaci; sefossero realizzati lascerebbero intattoil male; mirano a mutare troppo etroppo poco; troppo poco quella che èla causa del male, troppo lecircostanze che sono a essa estranee.Taluni annunciano una diminuzione,tuttavia esagerata in modo ridicolo,della durata del lavoro; ma fare del

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popolo una massa di oziosi chesarebbe schiava due ore al giorno nonè né desiderabile, quand'anche fossepossibile, né possibile moralmentequalora materialmente lo fosse.Nessuno accetterebbe di essereschiavo per due ore, la schiavitù peressere accettata deve durare ognigiorno quanto basta per spezzare,dentro l'uomo, qualcosa. Se c'è unrimedio possibile, esso è d'altroordine, è più difficile a concepirsi.Esige uno sforzo d'invenzione. Occorremutare la natura degli stimoli allavoro, diminuire o abolire le causedel disgusto, trasformare il rapportoche intercorre fra ogni operaio e ilfunzionamento complessivo dellafabbrica, il rapporto dell'operaio conla macchina, e il modo con il qualescorre il tempo durante il lavoro.

Non è bene né che ladisoccupazione sia come uno spettro

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senza via d'uscita né che il lavoro siaricompensato da un'onda di falso lussoa buon mercato che eccita i desiderisenza soddisfare i bisogni. Questi duepunti nessuno li contesta. Ma neconsegue che la paura di licenziamentoe l'avidità del denaro debbono cessaredi essere gli stimoli essenziali cheoccupano permanentemente il primoposto nell'anima degli operai, peragire ormai nel loro luogo naturalecome stimoli secondari. In primo pianoci devono essere altri stimoli.

Uno dei più potenti, in ogni lavoro,è la coscienza che c'è qualcosa da faree che uno sforzo dev'essere compiuto.Questo stimolo, in una fabbrica, esoprattutto per l'operaio nonqualificato che lavora alle macchine,spesso manca totalmente. Quandomette mille volte di seguito un pezzo incontatto con l'utensile di una macchina,egli si trova (con la fatica in più) nella

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situazione di un bambino cui si èordinato, per farlo stare buono, diinfilare delle perline. Il bimboubbidisce perché teme una punizione espera una caramella, ma la sua azionenon ha per lui altro senso fuor diquello d'essere conforme all'ordinedato da chi ha autorità su di lui. Lecose sarebbero diverse se l'operaiosapesse chiaramente, ogni giorno, ogniistante, quale luogo occupi, nellaproduzione della fabbrica, quel che stafacendo e quale posto occupi nella vitasociale la fabbrica nella quale lavora.Se un operaio fa cadere l'utensile diuna pressa su un pezzo di lamiera chedebba far parte di un dispositivodestinato al metrò, bisognerebbe che losapesse e che inoltre si rappresentassequali saranno il luogo e la funzione diquel pezzo di lamiera in una vetturadel metrò, quali operazioni ha giàsubito o deve ancora subire primad'essere montato al suo posto. Non si

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tratta, beninteso, di fare, prima di ognilavoro, una conferenza a ogni operaio;ma è possibile far sì che a turno, ditanto in tanto, ogni squadra di operaipossa percorrere la fabbrica, durantealcune ore che dovrebbero esserepagate alla tariffa ordinaria; e che lavisita fosse accompagnata daspiegazioni tecniche. Permettere aglioperai, durante queste visite, di farvenire le loro famiglie sarebbe anchemeglio; è naturale forse che una donnanon possa mai vedere il luogo dovesuo marito, tutti i giorni e per tutta lagiornata, consuma il meglio di sé?

Ogni operaio sarebbe felice e fierodi mostrare alla propria moglie e aipropri figli il luogo dove lavora.Sarebbe anche bene che ogni operaio,di tanto in tanto, veda finito l'oggettoalla cui fabbricazione ha avuto unaparte, foss'anche minima; e che gli sifacesse capire quale esattamente è

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stata la sua parte di lavoro. Beninteso,il problema si pone diversamente perogni fabbrica e per ogni lavorazione e,secondo i vari casi, è possibile trovaremetodi infinitamente variati perstimolare e soddisfare la curiosità deilavoratori verso il lavoro. Non civuole un grande sforzod'immaginazione, a condizione diconcepire chiaramente lo scopo: cheè quello di lacerare il velo interpostodal denaro fra il lavoratore e illavoro. Gli operai credono, con unasorta d'inesprimibile convinzione (secosì fosse espressa sarebbe assurda,ma impregna nondimeno tutti i lorosentimenti), che la loro pena sitrasformi in denaro del quale unapiccola parte tocca a loro e una partemaggiore al padrone. Bisogna far lorocapire, non con quella partesuperficiale dell'intelligenza che noiapplichiamo alle verità evidentiperché in questo modo lo capiscono

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già ma con tutta l'anima e per così direcon il corpo stesso, in tutti gli attimidella loro fatica, che stannofabbricando oggetti richiesti daibisogni sociali e che hanno un dirittolimitato ma reale a esserne fieri.

E' vero che fino a quando silimiteranno a ripetere unacombinazione di cinque o sei gestisemplici, sempre identica, essi nonfabbricheranno realmente degliOGGETTI. Ciò non deve piùaccadere. Finché sarà così, qualsiasicosa si faccia, ci sarà sempre nelcuore della vita sociale un proletariatoavvilito e pieno di odio. E' vero checerti esseri umani, mentalmentearretrati, sono naturalmente atti aquesto tipo di lavoro; ma non è veroche il loro numero sia eguale a quellodegli esseri umani che in realtàlavorano così; e, anzi, ce ne corre. Laprova è fornita dal fatto che su cento

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figli di famiglie borghesi laproporzione di coloro che da grandieseguiranno solo compiti macchinali èassai minore di quella che si ha sucento figli di operai, benché ladistribuzione delle attitudini sia inmedia verosimilmente la stessa. Ilrimedio non è difficile a trovarsialmeno in un periodo normale, quandonon mancano le materie prime. Ognivolta che una lavorazione esige che siripeta la combinazione di un piccolonumero di movimenti semplici, questimovimenti possono essere eseguiti,senza eccezione, da una macchinaautomatica. Si preferisce impiegare unuomo perché l'uomo è una macchinache obbedisce alla voce e perché a unuomo basta ricevere un ordine persostituire in un attimo unacombinazione di movimenti conun'altra. Ma ci sono macchineautomatiche a usi multipli che èpossibile far passare egualmente da

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una a un'altra lavorazione, sostituendouna camma con un'altra. Questa speciedi macchine è ancora recente e pocosviluppata; nessuno può prevedere findove sarà possibile svilupparla, se losi vorrà fare. Potrebbero alloraapparire cose che si chiamerebberomacchine, ma che, dal punto di vistadell'uomo che lavora, sarebberoesattamente l'opposto della maggiorparte delle macchine attualmente inuso; non è raro che la medesima parolasignifichi realtà opposte. Un operaionon deve far altro che ripetereautomaticamente i movimenti mentre lamacchina che gli serve contiene,impressa e cristallizzata nel metallo,tutta quella parte di combinazioni ed'intelligenza che è richiesta dallalavorazione in corso. Un talerovesciamento è contro natura, è undelitto. Ma se un uomo ha comecompito quello di regolare unamacchina automatica e di fabbricare le

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camme corrispondenti ogni volta aipezzi che debbono essere lavorati, egliassume una parte dello sforzo diriflessione e di combinazione e compieanche uno sforzo manuale che, comequello degli artigiani, richiede unavera e propria abilità. Un tale rapportofra macchina e uomo è pienamentesoddisfacente.

Il tempo e il ritmo sono il fattorepiù importante del problema operaio.Certo, il lavoro non è il gioco; èinevitabile e insieme opportuno chenel lavoro ci siano la monotonia e lanoia, e poi non c'è nulla di grande aquesto mondo, in nessun campo, senzauna parte di monotonia e di noia. C'èpiù monotonia in una messa ingregoriano o in un concerto di Bachche in un'operetta. Questo mondo, nelquale siamo caduti, esiste realmente;noi siamo realmente carne; siamo statigettati fuori dall'eternità; e dobbiamo

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realmente attraversare il tempo,penosamente, un minuto dopo l'altro.Questa pena è la nostra eredità e lamonotonia del lavoro ne è solamenteuna forma. Ma non è vero che il nostropensiero è fatto per dominare il tempoe che questa vocazione deve esserepreservata intatta in ogni essereumano. La successione assolutamenteuniforme e insieme variata econtinuamente sorprendente dei giorni,dei mesi, delle stagioni e degli anniconviene esattamente alla nostrasofferenza e alla nostra grandezza. Frale cose umane, tutto quel che è, inqualche misura, bello e buonoriproduce in qualche misura questaunione d'uniformità e di varietà; tuttoquel che ne differisce è cattivo edegradante. Il lavoro del contadinoobbedisce per necessità a questo ritmodel mondo; il lavoro dell'operaio, persua stessa natura, ne è largamenteindipendente, ma potrebbe imitarlo.

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Nelle fabbriche accade il contrario.Anche nelle fabbriche si mescolanol'uniformità e la varietà. Ma questamescolanza è l'opposto di quella cheprocurano il sole e gli astri; il sole egli astri occupano le sedi del tempocon una varietà limitata e ordinata inregolari ritorni, sedi destinate aun'infinita varietà di eventiassolutamente imprevedibili eparzialmente privi di ordine; alcontrario l'avvenire di chi lavora inuna fabbrica è vuoto perl'impossibilità di prevedere, ed è piùmorto del passato per l'identità degliistanti che si succedono come il tictacdi un orologio. Un'uniformità che imitii movimenti degli orologi e non quellidelle costellazioni, una varietà cheesclude ogni regola e quindi ogniprevisione; ecco quel che produce untempo inabitabile all'uomo,irrespirabile.

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Solo la trasformazione dellemacchine può impedire che il tempodegli operai somigli a quello degliorologi. Ma non basta; bisogna chel'avvenire si apra di fronte all'operaiocon una certa possibilità di previsione,perché abbia il senso di avanzare neltempo, di andare, a ogni sforzo, versoun qualche compimento. Attualmente losforzo che sta compiendo non loconduce in nessun posto, se non all'oradella fine del lavoro. Ma siccome ungiorno di lavoro segue l'altro, ilcompimento di cui si parla non è altroche la morte; non può rappresentarseneuno diverso se non sottoforma disalario, nel caso di lavoro a cottimo; eciò lo obbliga all'ossessione deldenaro. Aprire agli operai un avvenirenella rappresentazione del lavorofuturo, è un problema che si ponediversamente per ogni casoparticolare. In senso generale lasoluzione di questo problema implica,

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oltre la concessione a ogni operaio diuna certa conoscenza delfunzionamento d'insieme dellafabbrica, un'organizzazione dellafabbrica che consenta una certaautonomia dei reparti rispettoall'insieme e di ogni operaio rispettoal suo reparto. Per quanto riguarda ilfuturo, ogni operaio dovrebbe sapere,per quanto possibile, quel chepressappoco gli toccherà fare negliotto o quindici giorni seguenti e avereanche una certa scelta per l'ordine disuccessione dei diversi compiti. Inrelazione all'avvenire lontano,dovrebbe essere in condizioni diprogettare qualche lotto di lavori, inmodo certo meno esteso e menopreciso del proprietario e deldirettore, ma tuttavia in un certo senso,analogo. In questo modo senza chesiano stati minimamente accresciuti isuoi diritti effettivi, egli proverà quelsentimento di proprietà del quale ha

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sete il cuore dell'uomo, e che, senzadiminuire la pena, abolisce il disgusto.

Tali riforme sono difficili, e talunecircostanze del presente periodo neaumentano la difficoltà. In compenso,l'infelicità era necessaria perché sisentisse che qualcosa mutava. Gliostacoli principali sono nelle anime. E'difficile vincere la paura e ildisprezzo. Gli operai, o almeno moltifra loro, hanno acquisito dopo molteferite un'amarezza quasi inguaribile,per cui cominciano a considerare comeun inganno tutto quel che viene lorodall'alto, soprattutto dai padroni;questa diffidenza morbosa, cherenderebbe sterile qualsiasi sforzo dimiglioramento, non può essere vintasenza pazienza e senza perseveranza.Molti padroni temono che un tentativodi riforma, qualunque esso sia, perquanto inoffensivo, porti nuove risorseagli agitatori, ai quali senza eccezione

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attribuiscono la colpa di tutti i mali inmateria sociale, e che si rappresentanoall'incirca come mitologici mostri.Hanno difficoltà anche ad ammettereche ci siano negli operai certe partisuperiori dell'anima che, qualorafossero applicati stimoli adatti,agirebbero nel senso dell'ordinesociale. E quand'anche fosseroconvinti dell'utilità delle riformeindicate, sarebbero trattenuti daun'esagerata preoccupazione delsegreto industriale; tuttavial'esperienza avrebbe dovuto insegnareche l'amarezza e la sorda ostilitàradicata nel cuore degli operairacchiude pericoli molto più grandidella curiosità dei concorrenti. E poilo sforzo da compiere non incombesolo ai padroni e agli operai bensì atutta la società, e in particolare lascuola dovrebbe essere concepita inmodo completamente nuovo, performare uomini capaci di comprendere

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l'insieme del lavoro al qualepartecipano; non si tratta di abbassareil livello degli studi teorici; anzi. Sidovrebbe fare molto di più perprovocare il risveglio dell'intelligenza;ma al tempo stesso l'insegnamentodovrebbe diventare molto piùconcreto.

Il male che si tratta di guarireinteressa anche tutta la società.Nessuna società può essere stabilequando tutta una categoria di lavoratorilavora tutti i giorni, tutta la giornata,con disgusto. Questo disgusto nellavoro altera negli operai tutta laconcezione della vita, tutta la vita.L'umiliazione degradante cheaccompagna ogni loro sforzo cerca uncompenso in una specie diimperialismo operaio, favorito dallepropagande di origine marxista; se unuomo che fabbrica bulloni provasse, afabbricare bulloni, una fierezza

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legittima e limitata, non provocherebbeartificialmente in sé un orgoglioillimitato al pensiero che la sua classeè destinata a fare la storia e adominare tutto. Avviene lo stesso conla concezione della vita privata, e inparticolare della famiglia e deirapporti fra i sessi; il cupo sfinimentodel lavoro di fabbrica lascia un vuotoche esige di essere colmato e che puòesserlo solo mediante rapidi e brutaligodimenti e la corruzione che nerisulta è contagiosa per tutte le classidella società. La correlazione non èevidente a prima vista, eppure unacorrelazione c'è; la famiglia non saràveramente rispettata dal popolo diquesto paese finché una parte di questopopolo continuerà a lavorare condisgusto.

Molto male è venuto dallefabbriche, e nelle fabbriche bisognacorreggerlo. E' difficile, forse non è

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impossibile. Bisognerebbe anzituttoche gli specialisti, gli ingegneri e glialtri, fossero sufficientementepreoccupati non solo di costruireoggetti, ma di non distruggere uomini.Non di renderli docili, e nemmenofelici; ma solo di non costringerenessuno di loro ad avvilirsi.

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PRIMACONDIZIONE

DI UN LAVORONON SERVILE

[Scritto a Marsiglia nel 1941,comparve parzialmente nel numero 4di "Cheval de Troie" (Cavallo diTroia) nel 1947]

Nel lavoro manuale e in genere nellavoro di esecuzione (che è il lavoro

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propriamente detto) c'è un elementoirriducibile di servitù che nemmenoun'equità sociale perfetta potrebbegiungere a cancellare. Perché ègovernato dalla necessità, non dallafinalità. Lo si esegue per un bisogno,non in vista di un bene: "perchébisogna guadagnarsi la vita", comedicono quelli che in quel genere dilavoro consumano la propria esistenza.Si fornisce uno sforzo alla fine delquale, sotto ogni punto di vista, non siavrà nulla di più di quello che siaveva. Senza quello sforzo, siperderebbe quel che si ha.

Ma nella natura umana l'unicasorgente d'energia per fornire unosforzo è il desiderio. E l'essere chepuò desiderare quello che ha, non èl'uomo. Il desiderio è un orientamento,l'inizio di un moto verso qualcosa. Ilmoto è verso un punto nel quale non siè. Se il moto appena iniziato si ripiega

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sul punto di partenza, si gira come unoscoiattolo nella gabbia, come uncondannato nella sua cella. Giraresempre, genera ben presto ladesolazione.

La desolazione, la stanchezza, ildisgusto, sono la grande tentazione dichi lavora, soprattutto se lavora incondizioni inumane: e anche se lavorain altre condizioni. Talora questatentazione morde, più degli altri, imigliori.

Esistere non è un fine per l'uomo, èsolo il supporto di tutti i beni, veri ofalsi. I beni si aggiungono all'esistenza.Quando scompaiono, quandol'esistenza non è più ornata da alcunbene, quando è nuda, essa non ha piùnessun rapporto con il bene, è persinoun male. Ed è questo il momento nelquale il male si sostituisce a tutti i beniassenti, e diventa in se stesso l'unico

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fine, l'unico oggetto del desiderio. Ildesiderio dell'anima si trova legato aun male nudo e senza velo. Allora,l'anima vive nell'orrore.

Questo orrore è quello dell'attimoin cui una violenza imminente sta perinfliggere la morte. Questo momento diorrore si prolungava una volta per tuttala vita in chi, disarmato sotto la spadadel vincitore, era risparmiato. Incambio della vita che gli era lasciata,egli doveva consumare da schiavo lasua energia nelle fatiche, per tutto ilgiorno, tutti i giorni, senza potersperare nulla, se non di non essereucciso o frustato. Non potevaperseguire altro bene che quello diesistere. Gli antichi dicevano che,quando era stato fatto schiavo, gli erastata tolta la metà dell'anima.

Ma ogni condizione nella qualeall'ultimo giorno di un periodo di un

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mese, di un anno, di vent'anni di sforzici si trovi necessariamente nellamedesima situazione del primo giorno,assomiglia alla schiavitù. Lasomiglianza è nell'impossibilità didesiderare qualcosa di diverso da quelche già si possiede, di orientare losforzo verso l'acquisizione di un bene.Ci si sforza solo per vivere.

L'unità di tempo è allora lagiornata. In questo spazio si gira intondo. Si oscilla tra lavoro e riposocome una palla che venga respinta dauna parete all'altra. Si lavora soloperché si ha bisogno di mangiare. Masi mangia per poter continuare alavorare. E di nuovo si lavora permangiare.

N. B. In questa esistenza tutto èintermedio, tutto è mezzo, in nessunluogo penetra la finalità. La cosafabbricata è un mezzo; sarà venduta.

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Chi può porre in essa il suo bene? Lamateria, l'utensile, il corpo dellavoratore, la sua anima stessa, sonomezzi per la fabbricazione. Lanecessità è ovunque, il bene in nessunluogo.

Non bisogna cercare cause allademoralizzazione del popolo, la causaè qui; è permanente; è congenita allecondizioni del lavoro. Bisogna cercarele cause che nei periodi anteriorihanno impedito alla demoralizzazionedi manifestarsi.

Una grande inerzia morale, unagrande forza fisica che rendano losforzo quasi insensibile permettono disopportare questo vuoto. Altrimenti civogliono dei compensi. Uno di questi èl'ambizione di una condizione socialediversa per sé o per i propri figli. Unaltro sono i piaceri facili e violenti,che hanno la medesima natura: il sogno

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al posto dell'ambizione. La domenica èil giorno nel quale si vuoledimenticare che esiste una necessitàdel lavoro. Per questo bisognaspendere. Bisogna essere vestiti comese non si lavorasse. Ci voglionosoddisfazioni di vanità e illusioni dipotenza che la sfrenatezza procuramolto facilmente. La licenza haesattamente la medesima funzione diuno stupefacente e l'uso deglistupefacenti è sempre una tentazioneper chi soffre. E infine anche larivoluzione è un compenso dello stessogenere: è l'ambizione trasferita nellacollettività, la folle ambizione diun'ascesa di tutti i lavoratori fuoridella condizione di lavoratori.

Il sentimento rivoluzionario èdapprima, per i più, una rivolta control'ingiustizia, ma diventa rapidamenteper molti, come è divenutostoricamente, un imperialismo operaio

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affatto analogo all'imperialismonazionale. Ha per oggetto il dominioillimitato d'una certa collettivitàsull'umanità intera e su tutti gli aspettidella vita umana. L'assurdo di questosogno consiste nel fatto che il dominiosarebbe nelle mani di coloro cheeseguono e che quindi non possonodominare.

In quanto rivolta control'ingiustizia sociale l'idearivoluzionaria è buona e sana. Inquanto rivolta contro l'infelicitàessenziale inerente alla condizionepropria dei lavoratori, è unamenzogna. Perché nessuna rivoluzionepotrà abolire quell'infelicità. Ma unatale menzogna è quella che ha lamassima presa perché quell'infelicitàessenziale è avvertita più vivamente,più profondamente, più dolorosamentedell'ingiustizia stessa. D'altronde, disolito, si confonde l'una con l'altra. Il

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nome di oppio del popolo che Marxdava alla religione ha potuto essereconveniente quando la religionetradiva se stessa, ma si adattaessenzialmente alla rivoluzione. Lasperanza della rivoluzione è sempreuno stupefacente.

Al tempo stesso la rivoluzionesoddisfa quel bisogno di avventura(come la cosa più opposta allanecessità) che è ancora una reazionecontro l'infelicità stessa. La passioneper i romanzi e per i film polizieschi,la tendenza alla criminalità checompare fra gli adolescenticorrispondono egualmente a questobisogno.

I borghesi sono stati molto ingenuiquando hanno creduto che la buonaricetta consistesse nel proporre alpopolo quel medesimo fine chegoverna la loro vita, cioè

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l'acquisizione del denaro. Sono giuntinel limite del possibile con il lavoro acottimo e l'estensione degli scambi frala città e la campagna. Ma in questomodo non hanno fatto che spingerel'insoddisfazione a un gradod'esasperazione pericolosa. La causa èsemplice. Il denaro come scopo deidesideri e degli sforzi non può avere,nel suo terreno proprio, condizioniall'interno delle quali sia impossibilearricchirsi. Un piccolo industriale, unpiccolo commerciante, possonoarricchirsi e diventare un grandeindustriale, un grande commerciante.Un professore, uno scrittore, unministro, sono indifferentemente ricchio poveri. Ma un operaio che diventamolto ricco cessa di essere un operaioe quasi sempre la medesima cosacapita anche a un contadino. Unoperaio non può essere morso daldesiderio del denaro senza provare ildesiderio di uscire, solo o con tutti i

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suoi compagni, dalla condizioneoperaia.

L'universo nel quale vivono ilavoratori rifiuta la finalità. E'impossibile che i fini vi entrino se nonper periodi brevissimi checorrispondono a situazioni eccezionali.La rapida industrializzazione di paesinuovi, come lo sono stati l'America ela Russia, produce mutamenti sumutamenti a un ritmo tanto intenso daproporre a tutti, quasi di giorno ingiorno, nuovi motivi di attesa, didesiderio, di speranza; questa febbredi costruzione è stata il grandestrumento di seduzione del comunismorusso per effetto di una coincidenza,perché era in rapporto con lo statoeconomico del paese e non con larivoluzione né con la dottrina marxista.Quando si elaborano delle metafisichesu queste situazioni eccezionali, fugacie brevi, come hanno fatto gli americani

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e i russi, quelle metafisiche sonomenzogne. La famiglia procaccia finisotto forma di figli da educare. Ma ameno che non si speri per loro unacondizione diversa (e per la naturadelle cose simili ascese sociali sononecessariamente eccezionali) lospettacolo dei figli condannati acondurre la medesima esistenza nonimpedisce di sentirne dolorosamente ilvuoto e il peso.

Questo vuoto pesante fa moltosoffrire. E' sensibile anche a molti dicoloro che sono senza cultura e didebole intelligenza. Quelli che, per laloro condizione, non sanno di che sitratta non possono giudicare equamentele azioni di chi lo sopporta tutta lavita. Non fa morire, ma è forsedoloroso quanto la fame. Forse anchepiù, forse sarebbe letteralmente verodire che il pane è meno necessario diquanto lo sia un rimedio a questo

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dolore.

Non c'è scelta nei rimedi. Non cen'è che uno solo. Una sola cosa rendesopportabile la monotonia: una luced'eternità. La bellezza.

C'è un solo caso in cui la naturaumana sopporta che il desideriodell'anima si volga non verso quel chepotrebbe essere o quel che sarà, maverso quel che esiste. Questo caso è labellezza. Tutto quel che è bello èoggetto di desiderio, ma non sidesidera che sia diverso, non sidesidera mutarvi nulla, si desideraquel che è. Si guarda con desiderio ilcielo stellato di una notte limpida e sidesidera unicamente lo spettacolo chegià si possiede.

Poiché il popolo è costretto aportare tutto il suo desiderio su quelche già possiede, la bellezza è fatta per

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lui ed esso è fatto per la bellezza. Lapoesia è un lusso per altre condizionisociali; il popolo ha bisogno di poesiacome di pane. Non già la poesiaracchiusa nelle parole; quella, in sé,non può essergli di alcun uso. Habisogno che sia poesia la sostanzaquotidiana della sua stessa vita.

Una poesia simile può avere solouna sorgente. Questa sorgente è Dio.Questa poesia può essere soloreligione. Nessuna astuzia, nessunprocedimento, nessuna riforma,nessuno sconvolgimento possono farpenetrare la finalità nell'universo dovela loro stessa condizione colloca ilavoratori. Ma questo universo puòessere tutto sospeso alla sola finalitàche sia vera. Può essere congiunto aDio. La condizione dei lavoratori èquella nella quale la fame di finalitàche sostituisce l'essere stesso di ogniuomo non può essere saziata se non da

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Dio.

Questo è il loro privilegio. Sono isoli a possederlo. In tutte le altrecondizioni, nessuna eccettuata, sipropongono all'attività dei finiparticolari. Ogni fine particolare,foss'anche la salvezza di un'anima o dimolte anime, può divenire uno schermoe nascondere Dio. Con distaccobisogna trapassare lo schermo. Per ilavoratori non c'è schermo. Nulla lisepara da Dio. Devono solo alzare latesta.

Per loro la difficoltà è alzare latesta. Essi non hanno, come tutti glialtri uomini, qualcosa di troppo di cuidebbano sbarazzarsi a fatica. Hannoqualcosa di troppo poco. Mancano diun intermediario. Quando si siaconsigliato loro di pensare a Dio e difargli offerta delle loro pene e delleloro sofferenze, non si è ancora fatto

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nulla per essi.

Gli uomini vanno in chiesa al finedi pregare; eppure si sa che nonpotranno farlo se non vengono fornitialla loro attenzione degli intermediariatti ad aiutare il loro orientamentoverso Dio. L'architettura stessa dellachiesa, le immagini di cui è piena, leparole della liturgia e delle preghiere,i gesti rituali del prete sono questiintermediari. Fissando in essil'attenzione, essa si trova orientataverso Dio. Come è ancora più grandela necessità di simili intermediari sulluogo di lavoro, dove si va solo perguadagnarsi da vivere! Là, tutto lega ilpensiero alla terra.

Ora, non è possibile collocarviimmagini religiose e proporne lacontemplazione ai lavoratori. Enemmeno si può suggerire loro direcitare preghiere mentre lavorano. I

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soli oggetti sensibili sui quali possanoportare la loro attenzione, sono lamateria, gli strumenti, i gesti del lorolavoro. Se questi oggetti non sitrasformano in specchi della luce, èimpossibile che durante il lavorol'attenzione sia orientata verso lasorgente di quella luce. Una similetrasformazione è la necessità piùurgente.

Essa è possibile solo se nellamateria, quale si offre al lavoro degliuomini, ci sia una qualità riflettente;perché si tratta di fabbricare finzioni osimboli arbitrari. La finzione,l'immaginazione, la fantasticheria nonstonano mai tanto come nelle cose checoncernono la verità. Ma, per nostrafortuna, c'è nella materia una qualitàriflettente. Essa è uno specchiooffuscato dal nostro respiro. Bisognasolo pulire lo specchio e leggere isimboli che fin dall'eternità sono

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iscritti nella materia.

L'Evangelo ne contiene alcuni. Inuna camera, per pensare alla necessitàdella morte morale in vista di unanuova e vera nascita, c'è bisogno dileggere o di ripetere le parole sulchicco di grano che solo la morterende fecondo; ma chi sta seminandopuò, se vuole, portare la sua attenzionesopra questa verità senza bisogno dinessuna parola attraverso il propriogesto e lo spettacolo del seme che sicela.

Se non ragiona intorno a esso, sesolo lo guarda, l'attenzione che porta alcompimento del suo lavoro non èostacolata, bensì portata al massimogrado d'intensità. Non a caso si chiamaattenzione religiosa il grado piùelevato dell'attenzione. La pienezzadell'attenzione non è altro che lapreghiera.

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Avviene lo stesso per quantoconcerne la separazione dell'anima edel Cristo, che dissecca l'anima comesi dissecca la fronda recisa dal tronco.La potatura della vigna dura per giornie giorni, nelle grandi proprietà. Ma c'èin quell'operazione una verità che èpossibile osservare per giorni e giorni,senza esaurirla. Sarebbe facilescoprire, iscritti dall'eternità nellanatura delle cose, molti altri simbolicapaci di trasfigurare non solo illavoro in genere, ma ogni compitonella sua individualità.

Il Cristo è il serpente di bronzo chebasta guardare per sfuggire alla morte.Ma bisogna poterlo guardare in modoassolutamente ininterrotto. Per questooccorre che le cose sulle quali ibisogni e gli obblighi della vitacostringono a portare lo sguardoriflettano quello che esse ci vietano diguardare direttamente. Sarebbe molto

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strano che una chiesa costruita damano d'uomo fosse piena di simboli eche l'universo non ne fosseinfinitamente colmo. Ne è infinitamentecolmo. Bisogna leggerli.

L'immagine del Cristo, paragonataa una bilancia, nell'inno del VenerdìSanto, potrebbe essere un'inesauribileispirazione per coloro che portanopesi, maneggiano leve e sono, la sera,stanchi per la pesantezza delle cose. Inuna bilancia un peso considerevole eprossimo al punto d'appoggio puòessere sollevato da un pesopiccolissimo posto a una distanzamolto grande. Il corpo del Cristo eraun peso ben lieve, ma per la distanzafra la terra e il cielo ha fatto dacontrappeso all'universo. In modoinfinitamente differente, masufficientemente analogo per poterservire da immagine, chiunque lavori,sollevi pesi, maneggi leve, deve

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egualmente, con il suo debole corpo,fare da contrappeso all'universo. E ciòè troppo pesante e spesso l'universopiega con la stanchezza corpo e anima.Ma chi si tiene al cielo farà facilmentecontrappeso. Chi ha intuito questa ideauna volta non può esserne distratto perquanta sia la stanchezza, la fatica e ildisgusto. Tutto ciò non può far altroche ricondurlo a quell'idea.

Il sole e la linfa vegetale parlanocontinuamente, nei campi, di quel chec'è di più grande al mondo. Viviamosolo di energia solare, ci nutriamo diessa ed è quella energia a tenerci inpiedi, a farci muovere i muscoli, aoperare corporalmente in noi tutti isuoi atti. Essa è forse, sotto formediverse, la sola cosa nell'universo checostituisca una forza antagonista allapesantezza; sale negli alberi, solleva ipesi con le nostre braccia, muove inostri motori. Essa procede da una

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sorgente inaccessibile e alla quale nonpossiamo avvicinarci nemmeno di unpasso. Essa discende continuamente sudi noi. Ma benché continuamente cibagni, non possiamo captarla. Solo ilprincipio vegetale della clorofilla puòcaptarla per noi e trasformarla nelnostro cibo. E' solo necessario che laterra sia convenientemente preparatadai nostri sforzi; allora, mediante laclorofilla, l'energia solare divienecosa solida ed entra in noi come pane,vino, olio, frutta. Tutto il lavoro delcontadino consiste nel curare e nelservire quella virtù vegetale che èun'immagine perfetta del Cristo.

Le leggi della macchina, chederivano dalla geometria e comandanole nostre macchine contengono veritàsovrannaturali.

L'oscillazione del movimentoalternante è l'immagine della

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condizione terrestre. Tutto quel cheappartiene alle creature è limitato,eccetto il desiderio che è il segnodella nostra origine: e i nostri appetiti,che ci fanno cercare quaggiù,l'illimitato sono così per noi l'unicasorgente di errore e di delitto. I beniche le cose contengono sono finiti, ealtrettanto finiti i mali; e, in sensogenerale, una causa produce un effettodeterminato solo fino a un certo punto,al di là del quale, se continua ad agire,l'effetto si rovescia. E' Dio a imporreun limite a tutte le cose, è lui aincatenare il mare. In Dio c'è solo unatto eterno e senza mutamento che sirichiude su se stesso e non ha altrooggetto che se medesimo. Nellecreature ci sono solo miti diretti versol'esterno ma che il limite costringeall'oscillazione; questa oscillazione èun riflesso degradato dell'orientamentoverso se stessi, che è esclusivamentedivino. Questa congiunzione ha per

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immagine, nelle nostre macchine, lacongiunzione del moto circolare e delmoto alternante. Il cerchio è anche illuogo delle medie proporzionali; pertrovare in modo perfettamente rigorosola media proporzionale fra l'unità e unnumero che non è un quadrato, non c'èaltro modo che quello di tracciare uncerchio. I numeri per i quali non esistenessuna mediazione che li colleghidirettamente all'unità sono immaginidella nostra miseria; e il cerchio che,in modo trascendente relativamente alregno dei numeri, viene dall'esterno arecare una mediazione è l'immaginedell'unico rimedio a quella miseria.Queste verità e molte altre sonoiscritte nella semplice contemplazioned'una puleggia che determina unmovimento oscillante; possono esservilette mediante conoscenze geometricheelementarissime; il ritmo stesso dellavoro, che corrispondeall'oscillazione, le rende sensibili al

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corpo; una vita umana è uno spazio ditempo fin troppo corto per poterlecontemplare.

Si potrebbero trovare ancora altrisimboli, alcuni dei quali piùintimamente uniti al comportamentostesso di chi lavora. Talvolta sarebbesufficiente che il lavoratore estendessea ogni cosa, senza eccezione,l'atteggiamento che ha verso il lavoro,per possedere la pienezza della virtù.Altri simboli devono essere trovati perchi ha compiti esecutivi diversi daquelli che richiedono il lavoro fisico.E' possibile trovarne nelle operazioniaritmetiche per i contabili, nell'istitutodella moneta per i cassieri e così via.La riserva è inesauribile.

Partendo da questo punto sipotrebbe fare molto. Trasmettere agliadolescenti queste grandi immagini,collegate a nozioni scientifiche

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elementari e di cultura generale,mediante gruppi di studio. Proporlicome temi per le loro feste, per i lorotentativi teatrali. Istituire intorno a essefeste nuove, per esempio la vigilia delgran giorno in cui il piccolo contadinodi quattordici anni ara da solo per laprima volta. Fare per mezzo loro chegli uomini e le donne del popolovivano perpetuamente immersi in unaatmosfera di poesia sovrannaturale;come nel medioevo; più che nelmedioevo; perché, infatti, limitarsinell'ambizione del bene?

Sarebbe così evitato loro ilsentimento dell'inferiorità intellettualecosì frequente e spesso così doloroso;e anche la sicurezza orgogliosa chespesso vi si sostituisce dopo unleggero contatto con le cose dellospirito. Gli intellettuali, per parte loro,potrebbero evitare a un tempol'ingiusto disprezzo e quella specie di

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deferenza non meno ingiusta che lademagogia aveva reso di moda,qualche anno fa, in certi ambienti. Gliuni e gli altri si incontrerebbero, senzaalcuna diseguaglianza, nel punto piùalto, quello della plenitudinedell'attenzione, che è la plenitudinedella preghiera. Almeno quelli che lopotrebbero. Gli altri saprebberoalmeno che quel punto esiste e sirappresenterebbero la diversità deisentieri ascendenti, la quale, purproducendo una separazione nei livelliinferiori, come fa lo spessore d'unamontagna, non impedisce peròl'eguaglianza.

Gli esercizi scolastici non hannoaltra destinazione seria eccetto quelladi formare l'attenzione. L'attenzione èla sola facoltà dell'anima che diaaccesso a Dio. La ginnastica scolasticaesercita un'attenzione inferiorediscorsiva, quella che ragiona; ma,

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condotta con un metodo conveniente,può preparare nell'anima la comparsadi un'altra attenzione, quella più alta,l'attenzione intuitiva. L'attenzioneintuitiva nella sua purezza è l'unicasorgente di un'arte perfettamente bella,di scoperte scientifiche veramenteluminose e nuove, della filosofia cheva veramente verso la saggezza,dell'amore del prossimo veramentecaritatevole; rivolta direttamente versoDio, essa è la vera preghiera.

Come una simbolica permetterebbedi zappare e di falciare pensando aDio, così un metodo che trasformassegli esercizi scolastici in preparazioneper questo tipo superiore di attenzionesarebbe il solo che permetterebbe a unadolescente di pensare a Dio mentre siapplica a un problema di geometria o auna versione latina. Senza di che illavoro intellettuale, sotto maschera dilibertà, è anch'esso un lavoro servile.

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Coloro che hanno del tempo liberohanno bisogno, per giungereall'attenzione intuitiva, di esercitarefino al limite delle loro capacità lefacoltà dell'intelligenza discorsiva;altrimenti esse fanno ostacolo.Soprattutto per coloro le cui funzionisociali obbligano a mettere in giocoquelle facoltà, altra strada non c'è. Mal'ostacolo è debole, e può ridursi apoca cosa, per coloro nei quali lastanchezza di un lungo lavoroquotidiano paralizza quasi interamentequeste facoltà. Per costoro ilmedesimo lavoro che produce quellaparalisi, purché venga trasformato inpoesia, è il cammino che conduceall'attenzione intuitiva.

Nella nostra società la differenzadi istruzione produce, più ancora delladifferenza di ricchezza, l'illusionedell'ineguaglianza sociale. Marx, che èquasi sempre molto forte quando

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descrive semplicemente il male, hagiustamente bollato come unadegradazione la separazione dellavoro manuale e del lavorointellettuale. Ma non sapeva che, inogni settore, i contrari hanno la lorounità su di un piano trascendente gliuni e gli altri. Il punto di incontrounitario del lavoro intellettuale e dellavoro manuale è la contemplazione,che non è un lavoro. In nessuna societàcolui che guida una macchina puòesercitare il medesimo tipo diattenzione di colui che risolve unproblema. Ma l'uno e l'altro possonoegualmente, se lo desiderano e sehanno un metodo, esercitando ciascunoquel tipo di attenzione che nellasocietà è suo proprio, favorirel'apparizione e lo sviluppo di un'altraattenzione situata al di sopra d'ogniobbligo sociale e che costituisce unlegame diretto con Dio.

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Se gli studenti, i giovani contadini,i giovani operai si rappresentassero inmodo affatto preciso, in modo precisocome per i congegni d'un meccanismochiaramente compreso, le diversefunzioni sociali come preparazioniegualmente efficaci a far comparirenell'anima quella certa facoltàtrascendente che sola ha valore,l'eguaglianza diverrebbe una cosaconcreta. Sarebbe allora un principiodi giustizia e insieme di ordine.

Solo la rappresentazionecompletamente esatta delladestinazione sovrannaturale d'ognifunzione sociale può fornire una normaalla volontà rifornitrice. Solo essapermette di definire l'ingiustizia.Altrimenti è inevitabile che ci sisbagli, sia considerando come giustiziacerte sofferenze iscritte nella naturadelle cose, sia attribuendo allacondizione umana sofferenze che sono

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effetto dei nostri delitti e che ricadonosu chi non le merita.

Una certa subordinazione e unacerta uniformità sono sofferenzeconnesse con l'essenza stessa dellavoro e inseparabili dalla vocazionesovrannaturale che vi corrisponde.Esse non degradano. Tutto quel cheimpedisce alla poesia di cristallizzarsiintorno a quelle sofferenze è un delitto.Perché non è sufficiente ritrovare laperduta sorgente d'una simile poesia,bisogna anche che le circostanze stessedel lavoro le permettano di esistere.Se sono sfavorevoli, la uccidono.

Quanto è indissolubilmentecollegato al desiderio o al timore di unmutamento, all'orientamento delpensiero verso l'avvenire, dovrebbeessere escluso da un'esistenza che siaessenzialmente uniforme e chedev'essere accettata come tale. In

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primo luogo la sofferenza fisica,eccetto quella che è resamanifestamente inevitabile dallenecessità lavorative. Perché èimpossibile soffrire senza pensare alsollievo. Le privazioni sarebbero piùopportune in qualsiasi altra condizionesociale che non in quella. Ilnutrimento, la casa, il riposo e losvago debbono essere tali che unagiornata di lavoro presa in sé sianormalmente priva di sofferenza fisica.D'altra parte nemmeno il superfluo stabene in questo genere di vita; perché ildesiderio del superfluo è in se stessoillimitato e implica quello di unmutamento di condizione. Tutta lapubblicità e la propaganda, tantovariata nelle sue forme, che cerca dieccitare il desiderio del superfluonelle campagne e fra gli operaidev'essere considerata come un delitto.Un individuo può sempre uscire dallacondizione operaia o contadina sia per

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mancanza radicale di attitudineprofessionale, sia perché possiedeattitudini diverse; ma per coloro che visono non si dovrebbe poter darenessun possibile mutamento se non daun benessere strettamente limitato a unlargo benessere; non ci dovrebbeessere, per loro, nessuna occasione didover temere una diminuzione, osperare un aumento, nella lorocondizione sociale. La sicurezzadovrebbe essere più grande in quellacondizione sociale che in qualsiasialtra. Le variazioni casuali delladomanda e dell'offerta non debbonoquindi esserne signore dispotiche.

L'arbitrario umano costringel'anima, senza che essa possadifendersene, a temere e a sperare. E'dunque necessario escluderlo, quantopiù possibile, dal lavoro. L'autoritàdev'essere presente solo dove ècompletamente impossibile la sua

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assenza. Così la piccola proprietàcontadina è migliore della grande.Quindi, dovunque la piccola èpossibile, la grande è un male.

Egualmente, la lavorazionemeccanica eseguita in una piccolafabbrica artigianale vale più di quellache viene compiuta agli ordini di uncaposquadra. Giobbe loda la morteperché nella morte lo schiavo non odepiù la voce del suo padrone. Ognivolta che la voce del comando si fasentire, quando una sistemazionepratica vi potrebbe sostituire ilsilenzio, è male.

Ma il peggiore attentato, quello cheforse meriterebbe d'essere assimilatoal delitto contro lo spirito, che è senzaperdono, se probabilmente non fossecommesso da incoscienti, è l'attentatocontro l'attenzione dei lavoratori. Essouccide nell'animo quella facoltà che vi

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fonda la radice medesima d'ognivocazione sovrannaturale. La bassaspecie di attenzione richiesta dallavoro taylorizzato non è compatibilecon nessun'altra, perché vuota l'animadi tutto quel che non sia lapreoccupazione della velocità. Quelgenere di lavoro non può esseretrasfigurato; è necessario sopprimerlo.

Tutti i problemi della tecnica edell'economia debbono essereformulati in funzione di una concezionegenerale circa le migliori condizionipossibili del lavoro. Una taleconcezione è la prima norma; tutta lasocietà dev'essere anzitutto costituitain modo che il lavoro non tenda adegradare coloro che lo compiono.

Non basta voler evitare le lorosofferenze, bisognerebbe volere laloro gioia. Non già piaceri che sipagano ma gioie gratuite che non

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ledano lo spirito di povertà. La poesiasovrannaturale che dovrebbeilluminare tutta la loro vita dovrebbeanche essere concentrata allo statopuro, ogni tanto, in feste splendide. Lefeste sono indispensabili aquell'esistenza come le pietre miliari achi marcia. Viaggi gratuiti e laboriosi,simili al Tour de France d'una volta,dovrebbero, nel tempo della lorogioventù, saziare la fame di vedere edi imparare. Tutto dovrebbe esseredisposto perché non manchi loro nulladi essenziale. I migliori debbono poterpossedere nella propria vita quellaplenitudine che gli artisti cercanoindirettamente con la mediazionedell'arte. Se la vocazione dell'uomo èquella di raggiungere la gioia puraattraverso la sofferenza, essi si trovanoin una situazione più favorevole dichiunque altro per adempierla nellaforma più vera.