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LA COMPOSIZIONE DELLA MATERIA; Elemento: è una sostanza che non può essere scissa in altre sostanze più semplici mediante una reazione chimica. Composto: è una sostanza originata dalla combinazione di due o più elementi. Atomo: è la particella fondamentale di cui è composta la materia. Tutti gli atomi di uno stesso elemento sono uguali. Gli atomi di un elemento sono diversi da quelli di un altro elemento. Gli atomi di due o più elementi si combinano in rapporti definiti per formare i composti. Nelle reazioni chimiche gli atomi rimangono inalterati. Sostanza: ogni sostanza può essere un elemento od un composto. Ogni sostanza possiede un insieme di proprietà che la distinguono da tutte le altre, alcune di queste sono proprietà fisiche (che sono le proprietà osservabili studiando la sostanza da sola) come il punto di congelamento, il punto di fusione, la conducibilità elettrica etc. Ogni sostanza possiede poi delle proprietà chimiche caratteristiche: nelle stesse condizioni questa sostanza reagirà con altre sostanze e si modificherà sempre nello stesso modo. Un’altra proprietà molto importante di una sostanza è che ha una composizione costante (ad es. l’H 2 O avrà sempre questa composizione indipendentemente da dove provenga). Miscele omogenee; Una miscela che presenta proprietà uniformi in ogni sua parte è detta omogenea o soluzione. Una soluzione può essere liquida o anche gassosa (ad es. l’aria). Differenza tra miscela omogenea e sostanza pura; Le proprietà di una miscela omogenea di una data composizione non variano da un punto all’altro della miscela, ma le miscele non debbono avere una composizione fissa e neppure proprietà costanti (ad es. una soluzione di zucchero in acqua può avere una concentrazione diversa di zucchero). I composti hanno invece sempre la stessa composizione e le stesse proprietà (ad es. l’acqua). Miscele eterogenee; Sono miscele nelle quali le proprietà e la composizione del materiale non sono uniformi (ad es. il terreno). I componenti di una miscela eterogenea possono essere separati attraverso dei cambiamenti fisici, che sono quella modificazioni nella quali non vengono variate la quantità e la natura delle sostanze che costituiscono la miscela (ad es. il congelamento).

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LA COMPOSIZIONE DELLA MATERIA; Elemento: è una sostanza che non può essere scissa in altre sostanze più semplici mediante una reazione chimica. Composto: è una sostanza originata dalla combinazione di due o più elementi. Atomo: è la particella fondamentale di cui è composta la materia. Tutti gli atomi di uno stesso elemento sono uguali. Gli atomi di un elemento sono diversi da quelli di un altro elemento. Gli atomi di due o più elementi si combinano in rapporti definiti per formare i composti. Nelle reazioni chimiche gli atomi rimangono inalterati. Sostanza: ogni sostanza può essere un elemento od un composto. Ogni sostanza possiede un insieme di proprietà che la distinguono da tutte le altre, alcune di queste sono proprietà fisiche (che sono le proprietà osservabili studiando la sostanza da sola) come il punto di congelamento, il punto di fusione, la conducibilità elettrica etc. Ogni sostanza possiede poi delle proprietà chimiche caratteristiche: nelle stesse condizioni questa sostanza reagirà con altre sostanze e si modificherà sempre nello stesso modo. Un’altra proprietà molto importante di una sostanza è che ha una composizione costante (ad es. l’H2O avrà sempre questa composizione indipendentemente da dove provenga). Miscele omogenee; Una miscela che presenta proprietà uniformi in ogni sua parte è detta omogenea o soluzione. Una soluzione può essere liquida o anche gassosa (ad es. l’aria). Differenza tra miscela omogenea e sostanza pura; Le proprietà di una miscela omogenea di una data composizione non variano da un punto all’altro della miscela, ma le miscele non debbono avere una composizione fissa e neppure proprietà costanti (ad es. una soluzione di zucchero in acqua può avere una concentrazione diversa di zucchero). I composti hanno invece sempre la stessa composizione e le stesse proprietà (ad es. l’acqua). Miscele eterogenee; Sono miscele nelle quali le proprietà e la composizione del materiale non sono uniformi (ad es. il terreno). I componenti di una miscela eterogenea possono essere separati attraverso dei cambiamenti fisici, che sono quella modificazioni nella quali non vengono variate la quantità e la natura delle sostanze che costituiscono la miscela (ad es. il congelamento).

Le molecole; Un composto non ha solo una composizione costante, ma gli atomi che lo costituiscono hanno anche una disposizione spaziale ben precisa chiamata struttura. Ad esempio il diamante e la grafite sono costituiti entrambi solamente da atomi di carbonio ma possiedono delle caratteristiche e delle proprietà ben diverse, tale diversità è dovuta solo alla diversa disposizione degli atomi. In molte sostanze gli atomi sono combinati in piccoli gruppi detti molecole. L’acqua è costituita ad esempio da molecole nelle quali due atomi di idrogeno sono uniti ad un atomo di ossigeno, la molecola d’acqua ha formula H2O. Questa è quella che si definisce formula molecolare che mostra il numero di atomi di ciascun tipo presenti in ciascuna molecola. Alcuni elementi sono costituiti da molecole: O2, N2, H2, P4, S8 ... Le molecole costituite da due atomi sono chiamate biatomiche, l’H2O e la CO2 sono dette molecole triatomiche, più in generale le molecole con più di due atomi sono chiamate poliatomiche. Formula empirica e formula molecolare; La formula molecolare di una sostanza non sempre coincide con la formula più semplice. Poiché un elemento è costituito da un solo tipo di atomi, la formula più semplice per un elemento è semplicemente il suo simbolo ad esempio O per l’ossigeno e N per l’azoto mentre le formule molecolari di queste sostanze sono O2 ed N2. La composizione dell’etano (un gas naturale) è CH3 mentre invece la sua formula molecolare è C2H6. - Formula minima o empirica: è la formula più semplice che esprime correttamente la composizione di una sostanza in termini di rapporti di numeri interi di atomi. - Formula molecolare o vera: dice quanti atomi di ciascun tipo sono presenti in una molecola della sostanza. Per alcune sostanze la formula empirica e quella molecolare sono uguali come per l’H2O, per altre come per l’etano la formula molecolare C2H6 è un multiplo intero della formula empirica CH3. MASSA, MOLE E NUMERO ATOMICO; I numeri atomici; La costituzione del nucleo di un atomo viene indicata da due numeri: 1. Il numero atomico Z: ovvero il numero di protoni 2. Il numero di massa A: ovvero il numero totale di protoni e neutroni che determina la massa del

nucleo. Il numero atomico viene scritto per convenzione in basso a sinistra del simbolo dell’atomo: 3Li, 6C; mentre il numero di massa in altro a sinistra: 7Li, 12C.

E’ la carica nucleare cioè il numero Z a distinguere gli atomi di un elemento da quelli di un altro, di conseguenza un elemento è definibile come una sostanza i cui atomi hanno tutti lo stesso numero atomico Z. Gli isotopi; Tutti gli atomi di uno stesso elemento hanno nuclei costituiti dallo stesso numero di protoni ed hanno quindi tutti la stessa carica; i nuclei degli atomi di uno stesso elemento non contengono però necessariamente lo stesso numero di neutroni. Ad esempio tutti gli atomi di ossigeno hanno Z = 8, contengono quindi 8 protoni ed hanno 8 elettroni attorno al nucleo, esistono però in natura tre tipi diversi di ossigeno: atomi 16

8O con 8 protoni ed 8 elettroni, atomi 17

8O con 8 protoni e 9 neutroni e atomi 188O con 8 protoni

e 10 neutroni. - Isotopi: sono gli atomi di un elemento con masse diverse (ma con la stessa carica !). Gli isotopi vengono indicati con il numero di massa accanto al simbolo dell’elemento, unica eccezione è l’idrogeno che possiede due isotopi con nomi specifici: trizio e deuterio. Il difetto di massa; La massa di un atomo determinata sperimentalmente è sempre leggermente inferiore alla somma degli elettroni, protoni e neutroni che lo costituiscono. Questa differenza è chiamata difetto di massa. Il difetto di massa è dovuto alla grande quantità di energia che viene emessa quando protoni e neutroni si uniscono a formare il nucleo; l’energia ceduta è talmente alta da diventare significativa la sua massa equivalente data dall’equazione:

E = mc2

dove E è l’energia, m la massa e c la velocità della luce. Legge della conservazione della massa e della conservazione dell’energia; “La massa non può essere creata ne’ distrutta”, che applicata ad una reazione chimica diventa: “In una reazione chimica gli atomi non vengono ne’ creati ne’ distrutti, essi cambiano solo posizione”. Alle reazioni chimiche è applicabile anche un’altra legge fondamentale: la legge della conservazione dell’energia che dice “l’energia non può essere creata ne’ distrutta, ma solo cambiata da una forma all’altra. La massa di una formula e la massa molare; La massa di una molecola è detta massa molare ed è la somma delle masse degli atomi nella formula molecolare. Molte sostanze non sono però costituite da molecole e quindi non se ne può calcolare la massa molare; in questo caso si può calcolare la massa della formula che è la somma delle masse degli atomi nella formula empirica (o minima).

La costante di Avogadro e la mole; Il numero 6,022 x 10 23 viene chiamato numero di Avogadro ed è indicato con il simbolo N. La quantità di sostanza che contiene questo numero viene chiamata mole. Per definizione, nel S.I., la mole è: La quantità di sostanza che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 Kg. (12 gr.) esatti di carbonio-12. Quando si usa la mole bisogna indicare il tipo di entità elementari che possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni o altro. La massa molare; La massa di una mole di sostanza viene detta massa molare. LE RELAZIONI PONDERALI NELLE REAZIONI CHIMICHE; Un equazione chimica non offre solo indicazioni qualitative sull’andamento di una reazione, cioè sui prodotti che si ottengono a partire dai reagenti, ma consente di determinare anche i rapporti ponderali della reazione stessa, cioè di caratterizzarla anche sotto l’aspetto quantitativo. Consideriamo ad esempio l’acido solforico H2SO4, la formula di questo composto indica il rapporto tra gli atomi combinati: ogni molecola di questo acido è costituita da due atomi di idrogeno, da un atomo di zolfo e da quattro di ossigeno. Per ogni composto chimico i diversi atomi che compongono la molecola stanno tra loro in rapporti numerici definiti e costanti, quindi anche in rapporti ponderali definiti e costanti. L’ATOMO; E’ costituito da un nucleo formato da protoni e neutroni e dagli elettroni che ruotano intorno al nucleo. I modelli atomici; 1897 Thomson 1911 Rutherford 1900 Planck 1913 Bohr Modello di Rutherford; Per studiare la struttura atomica bombardò con nuclei d’elio (He 2+) cioè con particelle alfa, delle sottili lamine d’oro. Alcune delle particelle inviate furono respinte, altre risultarono deviate mentre altre ancora attraversarono la lamina senza variazioni di traiettoria. Da questo fenomeno Rutherford dedusse che l’atomo era costituito da un nucleo compatto (di carica positiva) che deviava le radiazioni e che, tra il nucleo e gli elettroni dovesse esserci (in rapporto con le dimensioni dell’atomo) parecchio spazio, cosicché le onde che incontravano gli elettroni venivano deviate mentre altre passavano indenni.

Il limite di tale modello era che però non riusciva a spiegare perché gli atomi, in seguito a eccitazione (riscaldamento o irraggiamento), emettessero radiazioni, i cosiddetti spettri atomici, in grado di impressionare lastre fotografiche. Modello di Bohr; Bohr estese i concetti illustrati da Planck per l’idrogeno e definì i quanti: c ε = h x v = h x ----- λ dove: c = velocità della luce λ = lunghezza d’onda della radiazione h = costante di Planck = 6,457 x 10 -27 erg sec. v = frequenza della radiazione Definì poi gli stati stazionari dove r = raggio dell’orbita elettronica: m x v x r = momento angolare dell’elettrone n x h m x v x r = ------- 2 E2 - E1 = h x v Più vicino al nucleo ruota l’elettrone più è stabile. Gli spettri atomici sono dovuti al fatto che, in seguito a eccitazione, un elettrone può saltare da un’orbita verso quella più esterna e, una volta cessato la causa eccitante, torna nella sua orbita originaria restituendo energia. Tuttavia questo modello una volta esteso ad altri atomi più complessi non andava bene in quanto erano errate le stesse basi scientifiche su cui poggiava Modello di De Broglie / Heinsemberg (1924);

All’elettrone in movimento venne associata una lunghezza d’onda: h λ = ------------- m x v Ci si accorse infatti che un fascio di elettroni si comporta come un fascio di luce cioè, è in grado di provocare se proiettato su un cristallo fenomeni di interferenza per diffrazione. Vista la doppia natura della luce (corpuscolare ed elettromagnetica) essa la si poté associare al fascio di elettroni e si definì che l’elettrone si muove di moto ondulatorio. L’errore che compì Bohr nella formulazione del suo modello fu che applicò al moto di un elettrone microscopico le leggi del mondo macroscopico; ed è per questo che non si parla di “posizione” di un elettrone bensì della “probabilità” di individuarlo.

Seguendo questo principio si ha l’Equazione di Schzodinger (o d’onda); δ 2 ψ δ 2 ψ δ 2 ψ 4 π 2 -------- + -------- + -------- + -------- = 0 δ x2 δ y2 δ z2 λ2 dalla quale si ottiengono: n, l, ml dove n, m, ml sono i numeri quantici: n = numero quantico principale = cioè lo stato energetico dell’elettrone l = numero quantico secondario = assume tutti i valori da 1 a (n-1) ml = numero quantico magnetico = assume valori da -l a +l compreso lo 0 Attribuendo dei precisi valori ai numeri quantici si ottiene l’orbitale, il quadrato del quale rappresenta la probabilità di trovare l’elettrone attorno al nucleo; esteso a tutto il “perimetro” del nucleo deve dare la certezza di trovare l’elettrone (condizioni di normalizzazione). 1° livello energetico; 2° livello energetico; n = 1 n = 2 l = 0 (si indica con s) l = 0 ml = 0 ml = 0 l = 1 (p) ml = -1; 0; +1 Quindi orbitale 1s Quindi orbitale 2s 2px 2py 2pz La forma dell’orbitale s è sferica, la forma dell’orbitale p è a forma di otto. 3° livello energetico; 4° livello energetico n = 3 n = 4 l = 0 (s) ml = 0 l = 0 (s) ml = 0 l = 1 (p) ml = -1; 0; +1 l = 1 (p) ml = -1; 0; +1 l = 2 (d) ml = -2; -1; 0; +1; +2 l = 2 (d) ml = -2; -1; 0; +1; +2 l = 3 (f) ml = -3; -2; -1; 0; +1; +2; +3 Quindi 3s 3px 3py 3pz e 5 orbitali 3d Quindi 4s 4p6 , 5 orbitali 4d e 7 orbitali 4f L’energia degli orbitali aumenta con più ci si allontana dal nucleo. Per n =1 1s n = 2 2p 2s n = 3 3d 3p 3s n = 4 4f 4d 4p 4s Quest’ultimo orbitale 4s ha energia minore del 3d per n = 4. Gli orbitali in ordine crescente di energia sono:

1s => 2s => 2p => 3s => 3p => 4s => 3d => 4p => 5s => 4d => 5p => 6f => 4f => 5d => 6d Principio di Pauli; Oltre ai tre numeri quantici (n, l, ml) ne esiste un quarto definito mS = numero quantico di spin che indica il senso di rotazione su se stesso dell’elettrone.

I valori che può assumere sono due: + ½ (rotazione oraria) e - ½ (rotazione antioraria). In un atomo non possono esistere due elettroni con tutti e quattro i numeri quantici uguali. Inoltre in un orbitale possono starci al massimo due elettroni purché siano antiparalleli (cioè con spin opposto). Regola di Hund; Quando gli elettroni dispongono di due orbitali degeneri (con la stessa energia) si distribuiscono in modo da occuparne il maggior numero possibile e con spin paralleli. Esempi di orbitali; 1H 1s1 (1 e- nell’orb 1s) 2He 1s2 3Li 1s2 2s1 4Be 1s2 2s2 5B 1s2 2s2 2px

1 6C 1s2 2s2 2px

1 2py1

7N 1s2 2s2 2px1 2py

1 2pz1

8O 1s2 2s2 2px2 2py

1 2pz1

9F 1s2 2s2 2px2 2py

2 2pz1

10Ne 1s2 2s2 2px2 2py

2 2pz2

11Na 1s2 2s2 2p6 3s2 17Cl 1s2 2s2 2p6 3s2 3px

2 3py2 3pz

1 19K 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s1 20Ca 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 21Sc 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d1 I gruppi della tavola numerica; VIII gruppo (gas nobili); 2He 1s2 10Ne 1s2 2s2 2p6 18Ar 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 36Kr 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 54Xe 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 4d10 5s2 5p6 86Rn 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 4d10 5s2 5p6 4f14 5d10 6s2 6p6 Gli elementi dell’ottavo gruppo hanno tutti 8 elettroni (ottetto) nello strato più esterno; per questo hanno struttura molto stabile e sono gli unici disponibile in natura in forma monoatomica. I gruppo; 3Li 1s2 2s1 15Na 1s2 2s2 2p6 3s1 19K 1s1 2s2 2p6 3s2 3p6 4s1 Sono tutti elementi che hanno un elettrone in più del gas nobile che li precede. VII gruppo; 9Fl 1s2 2s2 2p5

17Cl 1s2 2s2 2p6 3s2 3p5 Hanno tutti un elettrone in meno del gas nobile che segue dopo di loro. Esercizio; Individuare qual è l’elemento che presenta z = 56. 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d10 4p6 5s2 4d10 5p6 6s2 Bisogna considerare l’ultimo strato di elettroni (in grassetto) e, da qui vediamo che si tratta di un elemento del 6° periodo e che presenta 2 elettroni in questo ultimo strato quindi, 2° gruppo; si tratta quindi del Bario (Ba). IL SISTEMA PERIODICO DEGLI ELEMENTI; La tavola periodica è costituita da 8 colonne verticali chiamate gruppi e da 7 righe orizzontali dette periodi. I gruppi sono numerati da I a VIII da sinistra verso destra ed i periodi da 1 a 7 dall’alto verso il basso. Gli elementi che si trovano tra i gruppi II e III sono noi come elementi di transizione. Metalli e non metalli; Una linea diagonale che attraversa la tavola da sinistra verso destra segna una classificazione molto ampia tra i metalli ed i non metalli. I metalli hanno le seguenti caratteristiche: 1. sono ottimi conduttori di calore 2. hanno alta conducibilità elettrica che aumenta con l’abbassarsi della temperatura 3. hanno alto potere riflettente e lucentezza metallica 4. sono malleabili e duttili 5. sono solidi a temperatura ambiente (escluso il mercurio che ha il punto di fusione a - 39 °C) 6. emettono elettroni se vengono esposti a radiazioni con energia sufficiente o quando sono

riscaldati, sono effetti noti con i termini di effetto fotoelettrico e effetto termico. I non metalli possiedono generalmente queste caratteristiche: 1. sono cattivi conduttori di calore 2. sono isolanti cioè non conducono la corrente elettrica o la conducono debolmente 3. non riflettono la luce e non hanno aspetto metallico 4. possono essere gas, liquidi o solidi a temperatura ambiente 5. allo stato solido sono in genere fragili 6. non mostrano effetti termici o fotoelettrici Gli elementi che si trovano vicini alla linea di separazione fra queste due classi presentano caratteristiche intermedie come ad esempio il germanio, l’antimonio ed il tellurio che, per questo motivo, vengono chiamati semimetalli o metalloidi. Famiglie di elementi; • I gruppo o gruppo dei metalli alcalini: sono metalli abbastanza teneri con punti di fusione

relativamente bassi.

• II gruppo o dei metalli alcalino-terrosi: sono più duri dei precedenti, fondono a temperature più alte e sono meno reattivi.

• VI gruppo o gruppo dei calcogeni: ad eccezione dell’ossigeno sono tutti solidi, l’ossigeno e lo zolfo sono dei tipici non metalli, mentre il tellurio è classificato come semimetallo.

• VII gruppo o degli alogeni: sono dei tipici non metalli, sono tutti formati da molecole biatomiche. Gli alogeni reagiscono con l’idrogeno per formare composti gassosi molto solubili in acqua e reagiscono inoltre con i metalli dando gli alogenuri.

• VIII gruppo o gruppo dei gas nobili: sono tutti gas a temperatura ambiente e sono dei tipici non metalli; sono gas monoatomici costituiti da singoli atomi non legati a formare molecole, sono molto inerti.

La valenza; Una proprietà molto importante di ogni elemento che dipende dalla sua posizione nella tavola periodica, è la capacità di combinarsi con altri elementi detta valenza. Ad esempio l’atomo di idrogeno si combina, tranne in pochissime eccezioni, con un atomo di ogni altro elemento, si dice perciò che l’idrogeno ha valenza 1. Tutti gli elementi appartenenti ad uno stesso gruppo hanno la stessa valenza. LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI IN UN ATOMO; Il modello a strati; Un modello che spiega chiaramente la variazione periodica delle proprietà degli elementi, è il cosiddetto modello a strati o a gusci. Secondo questo modello gli elettroni che circondano il nucleo di un atomo sono sistemati in strati sferici successivi chiamati appunto strati o gusci. Lo strato più esterno è chiamato strato di valenza perché è proprio il numero di elettroni presenti in questo strato a determinare la valenza dell’atomo. Gli elementi appartenenti ad uno stesso gruppo della tavola periodica hanno lo stesso numero di elettroni nel loro strato di valenza. Energia di ionizzazione; L’energia di ionizzazione di un elemento è l’energia necessaria per allontanare un elettrone da un atomo di un elemento allo stato di gas. Quando uno o più elettroni vengono rimossi da un atomo neutro si ha uno ione positivo; alcuni atomi possono invece sommare elettroni diventando ioni negativi. Affinità elettronica;

Abbiamo visto che un elettrone può sommarsi ad alcuni atomi con la conseguente formazione di ioni negativi; per la maggior parte degli elementi questo processo comporta una cessione di energia che viene chiamata affinità elettronica. Per alcuni elementi la somma di un elettrone richiede la somministrazione di energia il processo è cioè endotermico e non esotermico, in questi casi l’affinità elettronica assume valori negativi. L’affinità elettronica aumenta procedendo da sinistra verso destra in ogni periodo anche se non in modo graduale. IL LEGAME CHIMICO; La valenza; Con il termine valenza si intende sia il numero di atomi di idrogeno che può combinarsi con un certo elemento, sia il numero di cariche elettriche presenti su un atomo libero (ione monoatomico) o facente parte di un composto. Valenza fissa e valenza variabile; Per alcuni elementi la valenza è un numero fisso, in molto casi però uno stesso elemento può presentare valenze diverse a seconda del composto considerato. Il legame ionico (o eterovalente); Nel legame ionico si considerano gli atomi come ioni sferici carichi positivamente o negativamente; l’attrazione elettrostatica presente tra due ioni con cariche opposte è detta legame ionico. Un tipico esempio di “composto ionico” è il cloruro di sodio NaCl formato da ioni Na + e da ioni Cl -. Il potenziale di ionizzazione; E’ il lavoro richiesto per allontanare da un atomo allo stato fondamentale, un elettrone del livello più esterno. Si misura in Kcal/mole oppure in elettronvolt (eV) e si ricava con molta precisione per via spettroscopica. L’energia reticolare; E’ l’energia liberata quando N ioni positivi ed N ioni negativi (N = numero di Avogadro) formano un composto ionico allo stato cristallino; ovvero è l’energia di attrazione coulombiana in un reticolo cristallino. Legame covalente od omeopolare; E’ un legame nel quale gli atomi pongono in compartecipazione un doppietto elettronico. Strutture di Lewis; Per visualizzare le strutture di Lewis si indicano i due elettroni che risultano in compartecipazione tra i simboli degli atomi:

H2 => H : H

Inoltre si indicano anche gli elettroni presenti nello strato di valenza. Il legame doppio corrisponde, nelle strutture di Lewis, alla compartecipazione di quattro elettroni, quello triplo alla compartecipazione di sei elettroni:

N2 => : N : : : N Elettronegatività; La definizione di “doppietto elettronico in compartecipazione” diventa più chiara se si intende che i due elettroni costituiscono una nuvola elettronica con il massimo della densità di carica tra i nuclei dei due atomi. Se questi atomi sono identici la nuvola si dispone simmetricamente rispetto ad essi; se i due atomi sono diversi la nuvola risulterà attratta in modo diverso dai due atomi cioè si sposta verso l’atomo che per sua natura è più elettronegativo. L’elettronegatività è quindi la misura del potere di attrazione di un atomo verso gli elettroni di legame. Considerando il legame esistente tra H e Cl, se il cloro è l’elemento più elettronegativo, sempre su quest’ultimo avremo una frazione di carica negativa mentre, sull’idrogeno vi sarà una frazione di carica positiva, in questo caso abbiamo un legame covalente polare o eteropolare. I valori delle frazioni di carica possono variare da 0 (se non vi è separazione di carica) e 1 (e si ha quindi un legame ionico). Il legame dativo; La coppia di elettroni che forma un legame covalente può essere stata originariamente presente tutta su uno solo dei due atomi che partecipano al legame, in questo caso si parla di legame dativo o semipolare. Il legame coordinativo, composti di coordinazione; Le molecole ad esempio di acqua ed ammoniaca sono in grado di coordinare un protone, cioè di legarlo agendo come donatore di elettroni. Tutte le molecole (come acqua e ammoniaca) che posseggono doppietti solitari di elettroni, possono formare legami coordinativi con altri accettori formando i composti di coordinazione. Il legame a idrogeno; Molte sostanze contenenti idrogeno mostrano un comportamento particolare nel senso che hanno temperature di fusione e di ebollizione più elevate rispetto a quelle che ci si aspetterebbe. Questa situazione avviene quando, oltre all’idrogeno, è presente anche un altro elemento molto elettronegativo come il fluoro, l’ossigeno e l’azoto, per questo si attribuisce tale comportamento alla presenza di attrazione elettrostatica tra l’atomo di idrogeno di una molecola e il costituente elettronegativo di una seconda molecola e, si parla di legame a idrogeno. Il legame a idrogeno è di per se molto debole tuttavia è molto importante dal punto di vista biologico. Alla presenza del legame idrogeno si devono alcune caratteristiche come la relativa bassa volatilità di alcune sostanze come l’acido fluoridrico (HF), l’acqua (H2O) e l’ammoniaca (NH3) e l’elevata costante dielettrica dell’acqua che deve appunto considerarsi provocata dalla formazione di molecole orientate per effetto del legame idrogeno.

IL LEGAME CHIMICO SOTTO IL PUNTO DI VISTA ENERGETICO; Quando due atomi neutri si avvicinano nascono delle interazioni attrattive e repulsive. A distanze elevate le prime sono molto forti mentre le seconde sono debolissime, queste ultime, ovvero le forze repulsive, crescono più fortemente delle prime con il diminuire della distanza finché si raggiunge una situazione di equilibrio. Questa energia è chiamata energia di legame e, la distanza alla quale si raggiunge l’equilibrio è detta distanza di legame. L’intensità dell’energia di legame cresce con il numero degli elettroni in esso impegnati e la distanza di legame decresce con l’aumentare della forza del legame. ORBITALI IBRIDI; Si è detto che un legame covalente tra due atomi può essere considerato come formato dalla compartecipazione di due elettroni, la nuvola elettronica costituita dalla coppia di elettroni occupa la zona posta tra i nuclei dei due atomi e viene da essi attratta; gli elettroni si dispongono con spin antiparalleli. La formazione di un legame covalente può anche avvenire tra un atomo che presenti una disponibilità di un doppietto elettronico ed un altro con un orbitale vuoto (legame dativo); anche in questo caso la nuvola elettronica si trova tra i nuclei dei due atomi e nell’intorno immediato di essi. Queste spiegazioni valgono per chiarire la costituzione della molecola di idrogeno, ma nella maggior parte dei casi la situazione è ben più complessa. Infatti quando in un atomo sono presenti orbitali diversi come forma, ma di energia molto vicina (come s e p dello stesso strato), non forma dei legami attraverso gli orbitali originari presenti, bensì con dei nuovi orbitali chiamati orbitali ibridi che si formano per rimescolamento degli orbitali p ed s. Orbitali ibridi sp3; Il caso più importante di ibridazione è quella del carbonio. Nel carbonio che costituisce il metano (CH4), l’ibridazione avviene tra un orbitale 2s e tre orbitali 2p ed è chiamata ibridazione sp3. Nel metano i quattro orbitali ibridi sp3 singolarmente occupati si sovrappongono all’orbitale 1s dell’idrogeno. La somma delle energie dei tre orbitali sp3 è uguale alla somma delle energie dei tre orbitali s e dei tre orbitali p impiegati nella ibridizzazione. Orbitali ibridi sp2, legami sigma e pi-greca; Si ottiene l’ibridizzazione sp2 quando si mescolano un orbitale s e due orbitali p. I tre orbitali corrispondenti hanno i loro assi su un piano (xy) e sono posti a 120° tra loro. Alcuni esempi sono BF3, NO3

- e CO3- -.

Il legame formato per sovrapposizione di due orbitali ibridi sp2 è chiamato legame sigma; il legame formato per sovrapposizione di due orbitali p il cui asse è perpendicolare alla direzione del legame stesso è chiamato legame pi-greca. Orbitali ibridi sp; Mescolando un orbitale s ed un orbitale p si ottiene un orbitale ibrido sp. In questo tipo di ibridazione ne’ l’orbitale py, ne’ l’orbitale pz vengono coinvolti ed essi conservano le caratteristiche nell’atomo separato. Orbitali ibridi sp3d, dsp3, sp3d2 e d2sp3; Nelle molecole aventi simmetria bipiramidale trigonale come PCl5, è necessario considerare anche gli orbitali d per considerare il fenomeno di ibridizzazione. In particolare l’atomo deve utilizzare l’orbitale dz

2 che ha la densità elettronica concentrata verso i due vertici della bipiramide dando un tipo di ibridazione chiamato sp3d. Questo tipo di ibridazione si trova anche nei composti dei metalli di transizione d e, in questo caso il metallo mescola gli orbitali d del periodo precedente con gli orbitali s e p originando degli ibridi dsp3. Nelle molecole e negli ioni aventi simmetria ottaedrica (ad es. SF6) occorre utilizzare due orbitali d nell’ibridazione ottenendo così un ibrido sp3d2 che diventa d2sp3 nei metalli di transizione, cui corrispondono sei orbitali diretti verso i vertici di un ottaedro. LEGAME LOCALIZZATO E DELOCALIZZATO - MESOMERIA E RISONANZA; La rappresentazione del legame covalente come dovuto ad una coppia di elettroni in compartecipazione si definisce legame localizzato. Sono però frequenti i casi in cui i legami non sono strettamente localizzati tra i due atomi e non sono quindi rappresentabili con la notazione di Lewis e sono chiamati legami delocalizzati. Per poter comunque ricorrere all’utile sistema di Lewis per rappresentare il legame covalente delocalizzato, si è quindi ricorsi ad un artificio chiamato mesomeria o risonanza. Ad esempio, per indicare la formula di struttura dello ione carbonato (CO3

- -) ci si è proposto di rappresentarlo con tre “forme” chiamate formule limite. Ciò che si vuole mettere in evidenza con queste formule è solo che il doppio legame tra carbonio e ossigeno è delocalizzato tra le tre posizioni possibili e questo comporta, in questo caso, che vi sia un’uguaglianza di distanze e di angoli ed il fatto che le cariche negative non sono localizzate su due atomi di ossigeno ma egualmente distribuite su tutte e tre. Energia di risonanza; Le reali strutture mesomere sono sempre energicamente più stabili delle formule limite. La differenza tra l’energia della forma limite più stabile e l’energia della forma reale è detta energia di risonanza. GLI ORBITALI MOLECOLARI; Nella teoria degli orbitali molecolari si considerano i nuclei degli atomi di una molecola nelle loro posizioni di equilibrio stabile, e si cerca di ottenere le funzioni d’onda molecolari (orbitali molecolari) associate a questi nuclei.

Dalla sovrapposizione di due orbitali atomici si ottengono sempre due orbitali molecolari; il primo Ψ+ rappresenta una condizione di bassa energia con un’alta densità elettronica tra i due nuclei cioè uno stato di legame ed è chiamato orbitali legante. Il secondo orbitale molecolare Ψ- rappresenta invece uno stato di alta energia con una densità elettronica minima (tra i nuclei) e si chiama orbitale antilegante. Regole di combinazione degli orbitali molecolari; Per combinarsi gli orbitali atomici devono: 1. avere energie dello stesso ordine di grandezza 2. potersi sovraporre nel modo maggiore possibile 3. presentare la stessa simmetria rispetto all’asse molecolare A-B Le forme degli orbitali molecolari non possono essere generalizzate sopratutto nel caso di molecole poliatomiche o di molecole eteronucleari. Gli orbitali molecolari che si formano per sovrapposizione degli orbitali atomici s si dicono di tipo σσ; questi orbitali sono simmetrici rispetto all’asse internucleare. Nella sovrapposizione di orbitali atomici di tipo p bisogna tenere conto che essi sono ad angolo retto tra loro e che possiedono un lobo positivo ed uno negativo; sciegliendo arbitrariamente l’asse x come direzione dell’asse molecolare A-B, risulta che i due orbitali atomici px danno luogo a orbitali molecolari della stessa simmetria degli orbitali s rispetto all’asse A-B. Per gli orbitali atomici py la situazione è diversa in quanto si ha la sovrapposizione sia dei lobi positivi che di quelli negativi, in questo modo gli orbitali molecolari che ne derivano non sono più simmetrici rispetto all’asse A-B; questi orbitali sono detti di tipo ΠΠ. IL PARAMAGNETISMO (DELL’OSSIGENO MOLECOLARE); Gli elettroni con il loro moto su se stessi e con quello contemporaneo attorno al nucleo, danno luogo a campi magnetici formando dei magneti elementari. Tuttavia questi campi magnetici si annullano quando gli orbitali di un certo livello sono completi di elettroni ovvero quando il numero di elettroni è il doppio di quello degli orbitali. Il paramagnetismo degli elettroni può quindi apparire solo quando gli orbitali sono incompleti di elettroni, difatti se gli elettroni hanno diversi orbitali a disposizione, si sistemano uno per orbitale rendendo l’atomo paramagnetico. Pertanto se una molecola contiene un numero dispari di elettroni essa risulta essere paramagnetica. Comunemente il paramagnetismo si osserva nei composti contenenti ioni dei metalli di transizione (Cr, V, Mn, Fe, Co, Ni...), ma anche la molecola di ossigeno è paramagnetica ! Nel caso dell’ossigeno i primi cinque orbitali molecolari si riempiono, ma arrivati a questo punto vi sono due anziché quattro elettroni che occupano con spin paralleli i due orbitali molecolari antileganti di uguale energia seguendo la regola di Hund. Questi orbitali antileganti occupati per metà, nel conto energetico valgono come un solo orbitale molecolare antilegante occupato per intero. In questo modo risulta che l’ossigeno è come se avesse due legami, uno sigma ed uno pi-greca. Si spiega così il paramagnetismo dell’ossigeno dovuto alla presenza di due elettroni spaiati.

LE REAZIONI DI OSSIDO - RIDUZIONE; Sono un tipo di reazioni chimiche molto importanti. Originariamente erano state chiamate reazioni di ossidazione quelle di unione diretta tra un elemento o di un composto con l’ossigeno; in seguito si vide che reazioni che danno gli stessi risultati di una reazione di ossidazione erano ottenibili senza la partecipazione dell’ossigeno. Sono dette ossidazioni tutte quelle reazioni nelle quali un elemento od uno ione subisce una perdita di elettroni (de-elettronizzazione). Sono dette riduzioni tutte quelle reazioni nelle quali un atomo od uno ione acquista uno o più elettroni. Una sostanza per ossidarsi (cioè per cedere elettroni) richiede un reagente detto ossidante in grado di assorbire elettroni (cioè in grado di ridursi). Quindi durante ogni reazione di ossidazione avviene contemporaneamente una reazione di riduzione, ed è per questo motivo che si deve parlare di reazione di ossidoriduzione. Ogni sostanza (o ione) ossidante si trasforma in una sostanza (o ione) riducente; ossidante e riducente, costituiscono una coppia coniugata di ossidoriduzione. I numeri di ossidazione; Il numero di ossidazione di un atomo in un composto rappresenta la carica elettrica che l’atomo assumerebbe se gli elettroni di legame fossero assegnati all’atomo più elettronegativo. In base a questo principio possiamo definire le reazioni di ossidoriduzione come: le reazioni in cui un atomo di un composto o di uno ione aumenta il proprio numero di ossidazione e contemporaneamente un altro atomo di un altro composto diminuisce il proprio numero di ossidazione. Soluzioni normali, ossidanti e riducenti; Una soluzione è detta molare quando essa contiene, sciolta in un litro, una mole di una sostanza qualsiasi. Una soluzione è detta normale quando un litro di tale soluzione dà luogo allo scambio di una mole di elettroni. Se una mole della sostanza dà luogo allo scambio di una mole di elettroni, la soluzione molare è anche normale; se invece una mole di soluzione dà luogo allo scambio di n moli di elettroni (n = 2, 3, 4, ...) la soluzione normale contiene 1/n di mole per litro della sostanza. Questa quantità viene chiamata equivalente. Una soluzione normale ossidante o riducente contiene quindi un equivalente per litro della sostanza e dà luogo allo scambio di una mole di elettroni. Le titolazioni ossidimetriche; L’uso delle soluzioni titolate cioè a normalità nota, ossidanti e riducenti, è un comodo metodo di analisi quantitativa.

La titolazione si attua con una buretta graduata con la quale si fa’ scendere lentamente la soluzione titolante nella soluzione da titolare fintantoché vi è il viraggio della colorazione della soluzione. LA MATERIA ALLO STATO GASSOSO; Le proprietà della materia allo stato gassoso sono completamente diverse da quelle della materia allo stato liquido e solido. La densità dei gas a temperatura ambiente è sempre molto minore di quella delle sostanze solide e liquide; il volume dipende dalla pressione e dalla temperatura. Legge di Boyle; Tale legge si riferisce alle relazioni che intervengono tra pressione e volume di una massa di gas a temperatura costante e può così esprimersi: per una certa massa di gas a temperatura costante, il prodotto del volume del gas V per la pressione P è costante, cioè:

PV = cost. Gas perfetti e gas reali; La legge di Boyle vale in certe condizioni ma mai in modo assoluto. Un gas che segue perfettamente la legge di Boyle non esiste, ma è possibile immaginarlo ed è stato chiamato gas perfetto. Le variazioni del comportamento dei gas reali dai gas perfetti diventano evidenti per un gas che si trovi vicino alla temperatura di liquefazione o a pressioni molto elevate. Leggi di Charles - Gay-Lussac; Sono leggi che si riferiscono alle relazioni esistenti tra temperatura e volume di un gas perfetto, a pressione costante. Tali leggi sono così enunciabili: la variazione di volume che subisce un gas per la variazione di temperatura di un grado centigrado è pari a 1/273 del volume che il gas occupa a 0° centigradi:

Vt = Vt0 (1 + αt) Dove Vt è il volume alla temperatura generica t, α = 1/273 e Vt0 è il volume a 0° centigradi. Riscaldamento di un gas a volume costante; L’unione tra le due relazioni precedenti permette di ricavarne una terza:

le variazioni percentuali di pressione che subiscono gas diversi, mantenuti a volume costante, per una identica variazione di temperatura, sono uguali e ammontano, per ogni grado centigrado, a 1/273 della pressione che il gas ha a 0° centigradi:

Pt = Pt0 (1 + βt) La temperatura assoluta; La temperatura assoluta T è definita come la somma algebrica della temperatura espressa in centigradi e del numero 273 che si misura in gradi kelvin (K). Il volume di un gas perfetto a pressione costante e la pressione di un gas perfetto a volume costante sono direttamente proporzionali alla temperatura assoluta. Legge di Avogadro; Secondo questa legge: volumi uguali di gas nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione contengono lo stesso numero di molecole. Mole, numero di Avogadro e volume molare; La mole nel S.I. è definita come la quantità di sostanza di un sistema composto di tante unità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 gr. di carbonio-12. Il numero di Avogadro (N) ha un valore pari a 6,023 x 10 23. Il volume molare è il volume occupato da un gas qualsiasi che contenente N molecole che per la legge di Avogadro è pari a 22,412 litri. Equazione generale dei gas perfetti; Per una certa massa di gas il prodotto del volume per la pressione diviso per la temperatura assoluta è una costante:

PV/T = P1V1/T1 = cost. Utilizzando la legge di Avogadro è possibile determinare una costante universale (indipendente cioè dalla natura del gas considerato) chiamata costante dei gas (R). La legge dei gas si esprime a questo punto con la cosiddetta equazione generale dei gas perfetti:

PV = RT che, se si considerano n moli diventa => PV = nRT Pressioni e volumi parziali; Un’altra proprietà importante dei gas è quella enunciata dalla Legge di Dalton secondo la quale: due o più gas in miscela esercitano complessivamente una pressione che è uguale alla somma delle pressioni che ciascun gas eserciterebbe se occupasse da solo lo stesso volume:

P = P1 + P2 + P3 ... + Pn Dalla legge di Dalton e dalla legge di Boyle si deduce la Legge di Amagat secondo la quale: in una miscela di due o più gas, il volume da essi occupato ad una pressione P è uguale alla somma dei volumi che ciascuno di essi occuperebbe da solo alla stessa pressione P:

V = V1 + V2 + V3 ... + Vn LA MATERIA ALLO STATO LIQUIDO; Nei liquidi le molecole hanno la stessa energia cinetica che hanno le molecole gassose alla stessa temperatura, tuttavia nei liquidi sono presenti fortissime attrazioni interne superiori all’energia cinetica media delle stesse molecole. Quando però una molecola prossima alla superficie assume casualmente un’energia cinetica superiore alle forze attrattive, sfugge dallo stato liquido passando allo stato gassoso con un processo chiamato evaporazione. Poiché l’evaporazione tende ad abbassare l’energia cinetica media delle molecole rimaste allo stato liquido, l’evaporazione induce un abbassamento della temperatura del liquido. Se il processo di evaporazione avviene in un contenitore ermeticamente chiuso si arriva ben presto ad una situazione di equilibrio fra la pressione esercitata dalle molecole passate allo stato gassoso e quelle allo stato liquido. Questa pressione di equilibrio è chiamata tensione di vapore del liquido. Anche le sostanze solide possono passare direttamente allo stato gassoso ed in questo caso si parla di sublimazione. Il passaggio inverso da vapore a solido è chiamato brinamento. L’ebollizione; Quando un liquido in un recipiente aperto ha una tensione di vapore superiore a quella del gas inerte, esso sposta il gas ed evapora liberamente. In queste condizioni il liquido entra in ebollizione ovvero l’evaporazione non ha più luogo solamente sulla superficie libera del liquido, ma si formano delle bolle anche all’interno della massa. Visto che di solito si opera alla pressione atmosferica (760 torr) viene chiamato punto di ebollizione di un liquido: la temperatura alla quale esso raggiunge la tensione di vapore di 760 torr. Proprietà fisiche dei liquidi; La densità; Le sostanze allo stato liquido sono sempre più dense delle stesse sostanze allo stato gassoso alla stessa temperatura e, generalmente meno dense rispetto alle stesse sostanze allo stato solido. Le eccezioni principali riguardano: l’acqua che a 0 °C è più densa del ghiaccio di circa il 7 % ed i semimetalli bismuto e gallio. La tensione superficiale;

Una particolare caratteristica dei liquidi è la presenza della tensione superficiale ovvero di una forza presente sulla superficie del liquido che tende a impedirne l’espansione. Questa forza è dovuta alle forze di attrazione intermolecolari; queste forze agiscono egualmente in tutte le direzioni ma tendono ad attirare verso l’interno le molecole in superficie e di conseguenza fanno sì che il liquido occupi il minor spazio possibile (compatibilmente con le altre forze in gioco). E’ per questo motivo che i liquidi in caduta libera assumono la forma di goccia, infatti a parità di volume la sfera è il solido che presenta la minor superficie. Le soluzioni; Si dicono soluzioni le miscele omogenee liquide. I solidi o i gas disciolti nel liquido sono detti soluti mentre il liquido stesso (che può essere una miscela) è chiamato solvente. Quando vi sono soluzioni di liquidi in liquidi generalmente si considera solvente quello presente in quantità maggiore. Modo di esprimere la concentrazione; La composizione di una soluzione di solito si esprime con la concentrazione del soluto. Questo può però avvenire in diversi modi: 1 ) si può dare il peso di soluto in grammi per 100 ml. o per 1 l. di soluzione 2 ) oppure si può dare il peso del soluto per 100 gr. o per 1 Kg. di soluzione 3 ) oppure per 100 gr. o 1 Kg. di solvente 4 ) oppure si possono usare le moli di soluto per litro di soluzione 5 ) si può inoltre indicare utilizzando le frazioni molari che sono il rapporto tra i numero di moli del soluto o del solvente, e il numero di moli totali. Una soluzione che contenga una mole di soluto in 1 l. di soluzione è detta soluzione molare; nel caso di acidi, basi, sostanze ossidanti, riducenti si parla di soluzione normale (N) quando la soluzione contiene un equivalente in 1 litro. Soluzioni sature, solubilità; Una soluzione che contiene la massima quantità di soluto in grado di disciogliersi in un volume fisso di solvente e detta soluzione satura. La tensione di vapore e la Legge di Raoult; Consideriamo la miscela di due liquidi A e B aventi allo stato puro un valore di tensione di vapore rispettivamente PA e PB costante. La tensione di vapore totale P della miscela sarà la media tra le tensioni di vapore dei componenti o meglio, sarà proporzionale alla tensione di vapore dei componenti puri PA e PB e alla frazione delle loro molecole ovvero alle frazioni molari dei componenti xA e xB:

P = xAPA + xBPB => xA = nA / (nA + nB) xB = nB / (nA + nB) Questa formula non è altro che la rappresentazione della Legge di Raoult: in una miscela ideale di due liquidi la tensione di vapore totale è uguale alla somma dei prodotti delle tensioni di vapore dei due componenti per le rispettive frazioni molari. Per le soluzioni diluite delle sostanze saline e per la maggior parte delle sostanze solide di natura organica o inorganica vale la relazione:

P = xAPA e visto che xA + xB = 1 => P = (1 - xB)PA = Pa - xBPA =>

=> PA - P = ∆P = xBPA e ∆P / PA = xB = nB / (nA + nB) Questa relazione afferma che: l’abbassamento relativo della tensione di vapore in una soluzione diluita a soluto non volatile è uguale alla frazione molare del soluto. Temperatura di ebollizione e di congelamento delle soluzioni diluite; Una soluzione bolle ad una temperatura di ebollizione più alta rispetto a quella del solvente puro, in quanto il soluto non presenta tensione di vapore. La temperatura di congelamento è più bassa in una soluzione in quanto la tensione di vapore della soluzione è inferiore a quella del solvente puro. Le soluzioni diluite di soluti diversi, contenenti lo stesso numero di moli di soluto in una quantità determinata dello stesso solvente, avendo la stessa frazione molare (XB), hanno lo stesso abbassamento di tensione di vapore ∆P e quindi lo stesso innalzamento del punto di ebollizione e lo stesso abbassamento del punto di congelamento; tutto questo per la Legge di Raoul:

∆P = XBPA Se considerassimo come unità di concentrazione la molalità ovvero il numero di moli di soluto in 1000 gr. di solvente si può affermare che: soluzioni di soluti diversi, in uno stesso solvente e della stessa molalità, hanno uguale frazione molare e quindi uguale variazione dei punti di fusione e di ebollizione. Costante crioscopica ed ebullioscopica; L’abbassamento del punto di fusione che presenta ogni solvente quando la sua molalità è uguale ad 1 (cioè 1 mole per Kg. di solvente) è chiamata costante crioscopica molale (KCR), analogamente per l’innalzamento del punto di fusione si ha la costante ebullioscopica molale (KEB). La pressione osmotica; Le particelle del soluto presenti in una soluzione diffondono anche contro la gravità, come le molecole di un gas, ed esse debbono esercitare una pressione come per un gas. Tale pressione può essere avvertita e misurata qualora si interponga al passaggio delle molecole una membrana semipermeabile (ovvero permeabile solo alle particelle del solvente e non a quelle del soluto). Questa pressione prende il nome di pressione osmotica (π). La pressione osmotica di una soluzione di n moli di soluto in un volume V obbedisce ad una legge uguale a quella dei gas perfetti:

πV = nRT Due soluzioni si dicono isotoniche quando hanno uguale concentrazione molare (m = n/V) e quindi stessa pressione osmotica.

VELOCITA’ DI REAZIONE; Le diverse reazioni chimiche richiedono per il loro compimento un certo periodo di tempo; questo tempo a seconda della variazione di diversi parametri può durare da qualche milionesimo di secondo, a giorni, a millenni. Quando tutti i reagenti di una reazione chimica costituiscono un’unica fase la reazione si dice omogenea; alcuni esempi di reazioni omogenee sono quelle fra gas, quelle che avvengono in soluzione acquosa e le reazioni che avvengono fra liquidi miscibili. Lo studio delle velocità delle reazioni omogenee non è facile; innanzitutto la temperatura deve essere costante, non devono esserci catalizzatori anche casuali (come la parete del recipiente) e si deve disporre di strumenti in grado di analizzare i reagenti o i prodotti in modo molto rapido rispetto allo svolgersi della reazione. Una reazione si dice eterogenea quando i reagenti appartengono a fasi diverse. Alcuni esempi di questo tipo di soluzioni sono quelle di dissoluzione dei metalli negli acidi e la combustione di solidi o liquidi. Si considerano inoltre eterogenee anche le reazioni fra reagenti omogenei che però avvengono per mezzo di un catalizzatore eterogeneo. Ordine di una reazione; Sperimentalmente si è dimostrato che la velocità di una reazione generica omogenea diminuisce con il procedere delle reazione stessa, e che essa è funzione in ogni istante della concentrazione dei reagenti. Nel caso più semplice si osserva la proporzionalità tra velocità e concentrazione istantanea di uno solo dei reagenti e, in questo caso si hanno reazioni del primo ordine. Più spesso la velocità è proporzionale al prodotto delle concentrazioni istantanee di due dei reagenti, in questo caso si hanno reazioni del secondo ordine. Reazioni del primo ordine e periodo di semitrasformazione; L’equazione che esprime la velocità di reazione in funzione della concentrazione [A] è:

- d[A]/dt = k[A] dalla quale separando le variabili si ha:

d[A]/[A] = - kdt e ln [A] = -kt + cost. ponendo il tempo iniziale t = 0 e [A] =[A0] si ottiene ln [A0] = cost. cioè:

A / A0 = e - kt

Questa formula indica che la frazione di sostanza decomposta in uguali intervalli di tempo è costante. Il tempo richiesto affinché si trasformi la metà della sostanza inizialmente presente è chiamato periodo di semitrasformazione (t1/2 = 0,693 /k). Reazioni del secondo ordine ed energia di attivazione; La velocità di reazione dipende dal numero di urti fra le molecole. Solo le molecole che all’atto dell’urto posseggono un’energia cinetica Ea maggiore dell’energia cinetica media delle molecole a quella temperatura, hanno la possibilità di reagire. Questa energia in eccesso è chiamata energia di attivazione. La velocità di questo tipo di reazioni si calcola utilizzando l’equazione di Arrhenius: P Z e - Ea / RT V = K[A][B] = P Z e - Ea / RT => K = ----------------- => cost. e - Ea / RT [A][B] dove: P = probabilità che l’urto tra le molecole sia efficace Z = numero di urti tra le molecole Ea = energia di attivazione R = costante dei gas T = temperatura L’EQUILIBRIO CHIMICO; Una reazione è in equilibrio chimico quando sia a destra che a sinistra della reazione vi sono le stesse quantità molecolari. Immaginando una reazione di equilibrio:

A + B = C + D che avvenga con un processo bimolecolare sia da destra verso sinistra con la costante k1, sia da sinistra verso destra con la costante k -1. All’inizio si hanno solo i reagenti A e B e la velocità di reazione sarà uguale al prodotto della costante k1 per la concentrazione dei reagenti:

v = k1[A][B] se fosse possibile allontanare dal recipiente le molecole C e D man mano che si formano l’andamento sarebbe quello previsto, cioè l’esaurimento di A e B; ma C e D non possono essere allontanati per cui reagiscono (secondo la reazione iniziale) per ridare A e B. La velocità di questa reazione inversa all’inizio è nulla (quando le concentrazioni di C e D sono 0) ed aumenta con l’aumentare della concentrazione di C e D. Ad un certo punto si giungerà ad una situazione di equilibrio tra le concentrazioni di A, B, C e D; in questa situazione: v1 = v-1 si è nello stato chiamato di equilibrio chimico.

Visto quello detto fino ad ora, nella situazione di equilibrio chimico si giungerà a questa situazione: k1 [C][D] ------- = ---------- = K k -1 [A][B] dove K è chiamata costante di equilibrio della soluzione. Il valore della costante di equilibrio è uguale al rapporto tra le due costanti di velocità della stessa reazione considerata una volta da sinistra verso destra ed una volta da destra verso sinistra. La costante di equilibrio di un sistema chimico omogeneo a temperatura costante si ottiene facendo il prodotto tra le concentrazioni delle sostanze che si formano (ciascuna elevata per il suo coefficiente nella reazione) e dividendolo per il prodotto delle concentrazioni dei reagenti (ciascuno elevato ad un esponente pari al coefficiente di reazione):

aA × bB <=> cC × dD [C]c[D]d K = ----------- [A]a[B]b La costante di equilibrio K può assumere valori diversi a seconda che nell’esprimerla si utilizzino i valori delle concentrazioni in moli /litro (Kc), delle frazioni molari (Kx) o, per i gas, delle pressioni parziali (Kp). ACIDI E BASI; La dissociazione elettrolitica dell’acqua; L’acqua comune conduce debolmente la corrente elettrica. In un primo tempo si pensava che questo fenomeno fosse dovuto ai sali minerali disciolti in soluzione, tuttavia anche l’acqua purissima conserva una piccola conducibilità elettrica costante che viene attribuita ad una dissociazione dell’acqua secondo la reazione:

H2O <=> H + + OH -

Il valore della costante d’equilibrio per la reazione di dissociazione dell’acqua a 22 °C è 1,8 x 10 -16 Dalla seguente relazione:

K[H2O] = [H +][OH -] = Kw = 10 -14 si ricava Kw che è chiamato prodotto ionico dell’acqua che a temperatura costante si mantiene costante in tutte le soluzioni acquose diluite di sali, acidi e basi. Gli acidi: definizione di Arrhenius;

Secondo Arrhenius sono definiti acidi tutte le sostanze contenenti idrogeno dissociabile, ovvero tutte quelle sostanze che si dissociano in soluzione acquosa formando soluzioni che presentano una concentrazione di ioni idrogeno maggiore a quella che si ha nell’acqua pura, alla medesima temperatura. Il grado di dissociazione degli acidi in soluzione acquosa viene utilizzato come misura della forza dell’acido. La costante di dissociazione KA degli acidi è: [A -][H3O +] [A -][H +] --------------- = ------------ = KA [AH] [AH] Metodi generali per la preparazione degli acidi; I metodi più comuni per preparare gli acidi sono: • Sintesi dagli elementi e l’idrogeno => H2 + Cl2 = 2 HCl • Reazione dell’acqua su certi ossidi => SO3 + H2O = H2SO4 • Ossidazione in soluzione acquosa di elementi in grado di formare ossiacidi => S + 2 HNO3 = H2SO4 + 2 NO • Idrolisi di particolari composti binari => Al2S3 + 6 H2O = 2 Al(OH)3 + 3 H2S • Reazione di spostamento (doppio scambio) tra acidi e sali => 2 NaCl + H2SO4 = Na2SO4 + 2 HCl • Trattamento di una soluzione di un sale con uno scambiatore di cationi acido. Le basi; Sono dette basi tutte quelle sostanze che in soluzione acquosa formano ioni idrossido. Quando la dissociazione è diretta si ha la definizione di base di Arrhenius; quando (come per NH3) lo ione idrossonio si forma per sottrazione dei protoni dall’acqua si ha la definizione di Broensted di accettore di protoni. Metodi generali per la preparazione di basi; I metodi più comuni attraverso i quali si preparano delle basi sono: • Gli ossidi di natura basica reagiscono con l’acqua per formare gli idrossidi. • Alcuni metalli (alcalini, alcalini-terrosi, Mg e Al) vengono trasformati negli idrossidi

corrispondenti per ossidazione con acqua, o con ossigeno in presenza di acqua. • Gli idrossidi dei metalli elettropositivi si formano al catodo per elettrolisi in soluzione acquosa dei

loro sali. • Per spostamento o doppia scomposizione tra basi e sali. I sali e la sostanze saline; Nelle reazioni tra un acido ed una base presi in quantità tale che gli atomi di idrogeno acidi dell’acido siano in numero eguale agli ioni idrossonio della base, si ottiene un sale neutro. Se l’acido è poliprotico e viene usato in eccesso si forma un sale acido o idrogenosale. Se la base è poliidrossica e viene usata in eccesso si forma un sale basico. I sali si possono preparare in molti modi, ad esempio:

• Per reazione di un ossido di natura acida con un ossido di natura basica. • Per sintesi dagli elementi. • Per spostamento da un sale di un acido volatile da parte di un acido meno volatile. • Per doppio scambio. Qualunque sostanza che possa formarsi dall’unione di un acido con una base può essere definita come sale anche se non presenta struttura ionica. D’altra parte esistono dei composti (KOH, NaOH...) che pur presentando una struttura ionica non sono dei sali, bensì delle sostanze saline. Acidità, alcalinità, pH; Basandosi sulla formula che definisce il “prodotto ionico dell’acqua”:

Kw = [H +][OH -] = 10 - 14 (a 22 °C) ed eliminando per comodità l’espressione esponenziale sostituendola con una logaritmica, si è arrivati a definire la concentrazione dello ione idrogeno attraverso una grandezza chiamata pH così definita:

pH = - log [H +] Con pH di una soluzione si intende quindi il logaritmo decimale della sua concentrazione idrogenionica cambiato di segno. Analogamente si definisce il pOH: pOH = - log [OH -] che permette quindi di dire che: pH + pOH = 14 Calcolo del pH di un acido o di una base debole; Consideriamo un generico acido debole HA che si dissocia in H + e A -, dalla costante KA = [H +][A -] / [HA] si ottiene la concentrazione idrogenionica:

[H +] = √ KA CA dove CA rappresenta la concentrazione totale dell’acido. Analogamente per una base debole:

[OH -] = √ KB CB

Calcolo del pH di un acido debole o di una base debole in presenza del sale;

[H +] = KA CA / CS

[OH -] = KB CB / CS dove CS è la concentrazione molare del sale.

Le soluzioni tampone; Le soluzioni contenenti una miscela di un acido o di una base debole con il proprio sale godono di una particolare proprietà: per moderate diluizioni, o per piccole aggiunte di acidi o basi, non presentano significative variazioni di pH. Per questo motivo sono dette soluzioni tampone. Tutti i liquidi fisiologici animali sono soluzioni tampone (siero, plasma, urina etc.), come anche la linfa delle piante ed i succhi di frutta. L’idrolisi; I sali di acidi forti e di basi forti sono, in soluzione acquosa, completamente dissociati; i loro ioni non tendono a legarsi ne’ con ioni idrogeno, ne’ con ioni idrossido; queste soluzioni sono quindi completamente neutre come l’acqua. Diversa è la situazione pe i sali derivati da un componente forte ed uno debole. Difatti i sali costituiti da un acido forte e da una base debole o, da una base forte e da un acido debole danno, rispettivamente, soluzioni acide o soluzioni basiche. I sali di acidi deboli e basi forti danno luogo a soluzioni tanto più alcaline quanto minore è la KA dell’acido. I sali di acidi forti e basi deboli danno luogo a soluzioni tanto più acide quanto minore è la KB della base. Questo fenomeno è detto di idrolisi. Sali di acidi deboli e basi forti; La costante di idrolisi di un sale di un acido debole è uguale al rapporto tra il prodotto ionico dell’acqua e la costante dell’acido:

Ki = KW / KA Da questa relazione possiamo ricavare la concentrazione degli ioni OH - :

[OH -] = √ (KW / KA) CS

che ci permette di ricavare approssimativamente il pH della soluzione ed il suo grado di idrolisi. Per “grado di idrolisi” si intende la frazione del sale che ha subito idrolisi generando l’acido o la base. Sali i basi deboli e acidi forti; Analogamente come per il caso precedente ricaviamo la relazione:

[H +] = √ (KW / KB) CS Acidi e basi secondo Broensted e Lewis;

Definizione di Broensted; Secondo Broensted sono acidi o donatori di protoni tutte le sostanze neutre, anioniche o cationiche, capaci di trasferire ioni idrogeno (protoni). Sono basi o accettori di protoni tutte le sostanze neutre, anioniche o cationiche capaci di legare ioni idrogeno provenienti da un acido. Quando un acido di Broensted cede un protone si trasforma nella sua base coniugata; quando una base si lega ad un protone si trasforma nell’acido coniugato. Definizione di Lewis; Lewis definisce acida qualunque sostanza capace di accettare un doppietto elettronico e basica qualunque sostanza capace di porre in compartecipazione un proprio doppietto elettronico. Gli indicatori; L’acidità di una soluzione per la maggior parte delle volte non viene calcolata (come si è visto fino ad ora), bensì viene misurata; difatti spesso non si conosce qual è la concentrazione della soluzione considerata. Per compiere queste misurazioni si utilizzano degli apparecchi complessi chiamati piaccametri che basano le loro misurazioni sulla determinazione potenziometrica dello ione idrogeno. Un metodo molto più semplice è basato invece sull’utilizzo dei cosiddetti indicatori. Sono chiamati indicatori quelle sostanze il cui colore varia per effetto degli acidi o degli alcali; in generale gli indicatori sono dei coloranti organici che si comportano come acidi deboli o come basi deboli e che hanno un diverso colore a seconda che siano dissociati o indissociati. Le titolazioni acidimetriche; Si chiamano titolazioni acidimetriche le determinazioni quantitative volumetriche degli acidi e delle basi. Nella titolazione di un acido la quantità di acido libero in soluzione si determina aggiungendo a un volume noto della soluzione acida una soluzione di una base forte a titolo noto sino a quando non si raggiunge il punto d’equivalenza ovvero fino ad ottenere il sale corrispondente. Questo punto di equivalenza si riconosce grazie all’utilizzo (ed al viraggio) di un opportuno indicatore. Analogamente per una soluzione basica, si procede con una soluzione di acido forte a titolo noto. L’aggiunta della soluzione titolante si attua mediante una buretta graduata in 0,1 ml. e fornita di rubinetto. I prodotti di solubilità; La costante Ps è chiamata prodotto di solubilità e rappresenta il valore massimo che può avere il prodotto delle concentrazioni degli ioni del sale poco solubile in soluzione.

Un aumento nella concentrazione di uno dei due ioni provocato dall’esterno dà luogo alla precipitazione di un ulteriore parte del sale poco solubile in modo che il valore di Ps rimanga costante. Questa costante permette quindi di calcolare la variazione di solubilità del sale stesso in presenza di un eccesso di uno dei suoi ioni. Coefficienti di attività; La concentrazione attiva o attività di ogni specie ionica è minore della concentrazione effettiva; si può passare dalla concentrazione effettiva a quella attiva moltiplicando la prima per il coefficiente di attività ƒƒ della specie considerata. I valori dei coefficienti di attività si possono ottenere sperimentalmente da varie misure (crioscopiche, di forza elettromotrice...) mentre per le soluzioni abbastanza diluite è possibile calcolarle in modo approssimato attraverso l’espressione di Debye e Huckel: 0,5 (Z + Z -) √µ log ƒ ± = ----------------------- 1 + √µ dove Z + e Z - sono rispettivamente le cariche del catione e dell’anione e µ la forza ionica. CONDUCIBILITA’ DELLE SOLUZIONI ELETTROLITICHE; Esistono delle sostanze che in soluzione acquosa si dissociano solo parzialmente e sono chiamate elettroliti deboli ed altre che si dissociano completamente e sono dette elettroliti forti. Il metodo utilizzato per riconoscere se una sostanza è più o meno dissociata consiste nell’utilizzare il grado di dissociazione. Definizione e misura della conducibilità; I conduttori elettrici si distinguono in: - Conduttori di prima classe: nei quali l’elettricità è trasportata dagli elettroni, senza spostamento di materia. - Conduttori di seconda classe I conduttori obbediscono alla legge di Ohm secondo la quale l’intensità di corrente (Ampère) è direttamente proporzionale alla tensione applicata (Volt) ed inversamente proporzionale alla resistenza (Ohm). I metalli sono dei tipici conduttori di prima classe, mentre quelli di seconda classe sono generalmente sostanze ioniche allo stato fuso o in soluzione: in essi l’elettricità è trasportata da ioni. Conducibilità e concentrazione;

Nel caso di soluzioni diluite di elettroliti forti la conducibilità varia in modo proporzionale alla concentrazione. Nel caso di elettroliti deboli cioè solo parzialmente dissociati la variazione della conducibilità con la concentrazione segue un andamento diverso. In questo caso si dovranno infatti considerare due fenomeni; infatti diluendo la soluzione di un elettrolita debole si ha una diminuzione del numero di ioni nell’unità di volume che viene però in parte compensata dal fatto che un elettrolita debole aumenta la propria dissociazione per effetto della diluizione (seguendo la legge di massa). La conducibilità molare; Per evidenziare l’effetto della diluizione sulla conducibilità (indicata con χ) e per avere una grandezza dipendente solo da α si è introdotta una nuova grandezza chiamata conducibilità molare indicata con ΛΛ Elettroliti forti; Se la conducibilità molare è costante a varie concentrazioni significa che a quelle stesse concentrazioni l’elettrolita è completamente dissociato e si tratta di un elettrolita forte. Elettroliti deboli; Se la conducibilità molare cresce fortemente con la diluizione, significa che alla diluizione maggiore, l’elettrolita è più dissociato che alla diluizione minore e si tratta quindi di un elettrolita debole. Il grado di dissociazione; La conoscenza della conducibilità molare a diluizione infinita (Λ∞), che è il valore limite che raggiunge la conducibilità molare quando la dissociazione è completa, è utile perché il rapporto fra la conducibilità molare alle varie diluizioni (ΛV) e la conducibilità molare a diluizione infinita rappresenta la frazione di molecole dissociate ovvero il grado di dissociazione αα di quell’elettrolita alla diluizione considerata. Elementi galvanici o pile; Consideriamo due elettrodi, per esempio una sbarretta di rame ed una di zinco, immerse rispettivamente in una soluzione di solfato di rame ed in una di solfato di zinco. Si immagini che le due soluzioni siano poste in due recipienti comunicanti fra loro attraverso un setto poroso che consenta la continuità della soluzione pur impedendo o rendendo minimo il mescolamento. Essendo a contatto le due soluzioni possiedono lo stesso potenziale, però i due metalli possiedono due potenziali diversi sia dalla soluzione nei quali sono immersi che tra loro. Se perciò colleghiamo con due conduttori di prima classe i due elettrodi ad un apparecchio adatto a misurare la differenza di potenziale, possiamo misurare quella che viene definita la tensione o forza elettromotrice (f.e.m.) presente tra i due elettrodi. L’elettrolisi; Consideriamo ancora una pila costituita da un elettrodo di argento posto in una soluzione di perclorato d’argento e, da un elettrodo di rame immerso in una soluzione di perclorato di rame. Supponiamo ora di collegare agli elettrodi della pila un potenziometro che ci indichi una tensione di + 0,46 V.

In questa situazione non scorre alcuna corrente tra i due elettrodi. Aumentiamo ora la tensione esterna rendendola superiore a quella della pila stessa: la corrente passerà in senso opposto a quello originario così come in senso opposto avverranno le rea zioni chimiche agli elettrodi. In questo caso avviene quello che viene definito come processo di elettrolisi nel quale: mediante il passaggio di corrente elettrica attraverso un conduttore di seconda classe, si compiono delle reazioni chimiche di ossidoriduzione. Le reazioni di elettrolisi sono esattamente l’opposto di ciò che avviene nelle celle elettrolitiche nelle quali si sfrutta la reazione chimica per ottenere corrente elettrica. Leggi dell’elettrolisi; La relazione tra la quantità di prodotto ottenuto con l’elettrolisi e la quantità di elettricità esatta è stata scoperta da Faraday ed è così enunciabile: la quantità di elettricità che interagisce con un equivalente di sostanza è uguale a 96.500 Coulomb ed è chiamata faraday. I COMPOSTI DI COORDINAZIONE; Esiste un’estesa classe di composti ottenibili attraverso reazioni di addizione tra due o più sostanze o ioni semplici: i composti di coordinazione. Definizione di composto di coordinazione; La presenza di legami coordinativi non è un criterio sufficiente per definire se un composto è di coordinazione, ne’ il fatto che possa essere ottenuto da due composti più semplici capaci di esistere in modo indipendente. Le definizioni dei composti di coordinazione sono sempre soggetti a critiche in quanto il limite che separa questi ultimi dai restanti composti è posto in modo del tutto arbitrario. La definizione migliore adottata è quella di Chatt: il termine composto di coordinazione indica una molecola o uno ione in cui vi è un atomo A al quale sono legati altri atomi B, o gruppi C, in numero superiore al numero di ossidazione di A. L’atomo che nella definizione è chiamato A è detto atomo centrale (o nucleare), tutti gli atomi legati ad A in modo diretto sono chiamati atomi coordinati, gli atomi B e i gruppi C si chiamano leganti. Dato che il numero di atomi o gruppi di atomi legati direttamente all’atomo centrale definiscono il numero di coordinazione dell’atomo centrale, la definizione si può così sintetizzare: nei composti di coordinazione il numero di coordinazione dell’atomo centrale deve essere superiore al suo numero di ossidazione. I chelati; Esistono molti leganti che contengono due o più atomi datori e si chiamano leganti polidentati. Quando un legante bidentato si lega con i suoi atomi datori ad uno atomo centrale (e quindi si chiude ad anello), esso forma un composto chiamato chelato (deriva da chela dei granchi).

I composti chelati, se l’anello si può formare senza tensioni interne, sono molto più stabili di quanto lo sarebbero i composti simili non chelati. Ad esempio per questo moivo l’ammoniaca si coordina ai metalli in modo più stabile rispetto alle ammine organiche. I complessi interni; Quando un composto di coordinazione chelato è elettricamente neutro è chiamato complesso chelato. La maggioranza dei complessi interni possiede il legante di tipo organico. I complessi interni non essendo salini ed essendo formati da leganti organici possiedono delle caratteristiche particolari. Sono generalmente insolubili in acqua e solubili invece in molti solventi organici (benzene, cloroformio, alcool); le loro soluzioni non conducono corrente elettrica ed anche in questo assomigliano nel loro comportamento generale più alle sostanze organiche che a quelle inorganiche. Alcuni metalli presenti in piccole quantità negli organismi viventi lo sono soto forma di complessi interni, come ad esempio l’emoglobina (che contiene ferro), la clorofilla (con magnesio) e la vitamina B12 (contenente cobalto). LA RADIOATTIVITA’; La radioattività naturale; La maggior parte degli elementi naturali sono stabili. ovvero i loro atomi restano inalterati con il passare del tempo. Esistono però in natura alcune specie atomiche che si “disintegrano” con l’andar del tempo dando luogo ad emissione di radiazioni. A queste emissioni è dovuta la radioattività naturale. La disintegrazione radioattiva è alla base del fenomeno della radioattività, e si manifesta quando un nucleo di atomo instabile esplode emettendo una particella elementare. Queste reazioni nucleari sono, dal punto di vista cinetico, reazioni del primo ordine monomolecolari, cioè la loro velocità è proporzionale, per mezzo di una costante di disintegrazione λλ, alla quantità di sostanza radioattiva ancora presente. Quesa costante possiede un valore fisso per ciascuna specie radioattiva ed è indipendente da temperatura e pressione. Il periodo di semitrasformazione; Invece di caratterizzare ciascuna specie radioattiva con la sua cosatane di disintegrazione si preferisce utilizzare il suo periodo di semitrasformazione che rappresenta il tempo necessario perchè una quantità qualunque di sostanza radioattiva si riduca della metà. Il reciproco di λ rappresenta quella che viene chiamata la vita media ϑϑ che ha le dimensioni di un tempo ed indica la media dei periodi che intercorrono dal momento considerato sino a quello in cui avviene la disintergrazione. Radiazioni α,β e γ ; Le particelle alfa (o elioni) hanno una velocità che raggiunge il 5 - 7% di quella della luce. Possiedono un’alta energia cinetica dovuta alla loro massa elevata ed interagiscono profondamente con la materia creando un’intensa ionizzazione e quindi procedendo nell’aria solo per dei brevi tratti: da 4 a 11 cm.

Le particelle beta possiedono una massa piccolissima ed una velocità vicina a quella della luce; possiedono un potere penetrante decisamente superiore rispetto alle particelle alfa e dunque il loro potere ionizzante è decisamente inferiore. Quelle di media energia passano facilmente attraverso un foglio di alluminio di 0,1 mm. di spessore. Le particelle gamma hanno un forte potere penetrante e sono in grado di attraversare notevoli spessori di materiale come il piombo. L’interazione dei raggi gamma con la materia ed il potere specifico sono quindi inferiori rispetto a quelli delle particelle alfa e beta. La radioattività artificiale; Rutherford scoprì che anche da nuclei di atomi stabili era possibile, per mezzo di reazioni nucleari provocate artificialmente, ottenere dei nuclei instabili in grado di emettere radiazioni. La radioattività dovuta a queste specie radioattive ottenute artificialmente è chiamata radioattività artificiale. Le reazioni nucleari vengono provocate per azione di particelle elementari, eventualmente accellerate, o di fotoni (quanti di radiazione elettromagnetica) sui nuclei degli atomi stabili. TERMODINAMICA; L’energia interna; L’energia interna di un sistema è la somma delle energie di tutti i componenti del sistema. Non può essere determinata in assoluto e perciò ci si deve limitare a definire quantitativamente le variazioni di energia interna in un sistema, in relazione agli scambi di energia con l’esterno. La variazione di energia interna di un sistema ∆E in seguito ad una trasformazione, è uguale al calore assorbito dal sistema Q meno il lavoro compiuto dal sistema W:

E = Q - W L’entalpia; L’unico modo per cui un sistema può compiere lavoro con una reazione in condizioni ordinarie, è per mezzo di una variazione di volume ∆V contro la pressione esterna P, in questo caso il lavoro è P∆V. Se la reazione produce calore è detta esotermica ed in questo caso il calore viene ceduto dal sistema ed acquista per convenzione segno negativo; se la reazione invece assorbe calore è detta endotermica, il calore viene assorbito dal sistema ed il segno diventa positivo. Tutto questo a volume costante !!! Comunemente però le reazioni chimiche non avvengono a volume costante ma a pressione costante, per questo è comodo utilizzare una nuova funzione termodinamica detta entalpia H:

H = E + PV = Q - W + PV ∆H = Q - P∆V + P∆V (P = costante)

∆H = ∆QP

La variazione di entalpia ∆H in una reazione chimica è uguale al calore ceduto (esotermica) o acquistato (endotermica) quando la reazione avviene a pressione costante.

LE CURVE DI TITOLAZIONE; Titolazione di un acido forte con una base forte; Si titoleranno ad esempio 25 ml. di una soluzione di HCl 0,1 M con una soluzione di NaOH 0,1 M, la reazione è: HCl + NaOH => NaCl + H2O 9 7 5 3 1 0,00 12,5 25 37,5 50,00 Hcl (ml) NaOH (ml) volume tot. pH 25,0 0,0 25,0 1,00 10,0 35,0 1,37 20,0 45,0 1,95 24,5 49,5 3,00 24,9 49,9 3,70 25,0 50,0 7,00 Titolazione di un acido debole con una base forte; In questo caso titoliamo un acido debole come l’acido acetico con una base forte come l’idrossido di sodio. Si danno 25 ml. di una soluzione di acido acetico 0,1 M e li si titolano con una soluzione di NaOH 0,1 M. CH3CO2H NaOH mmoli di sale mmoli di acido pH 25,0 0,00 0,00 2,50 2,87 5,0 0,5 2,00 4,14 10,0 1,00 1,50 4,57 12,5 1,25 1,35 4,74 15,0 1,50 1,00 4,92 20,0 2,00 0,50 5,35 22,0 2,20 0,30 5,61 23,0 2,30 0,20 5,81 24,0 2,40 0,10 6,12 25,0 25,0 0,00 8,72 Titolazione di una base debole con un acido forte; La variazione di pH durante la titolazione di una base debole come NH3 con un acido forte come HCl è uguale alla precedente. Al punto di equivalenza si ha una soluzione di NH4Cl ed il pH è minore di 7.

CHIMICA INORGANICA; Il fosforo bianco e nero (rosso); Nonostante il fosforo abbia lo stesso numero di elettroni di valenza dell’atomo di azoto (5), a causa della scarsa tendenza degli elementi che non siano del secondo periodo a formare legami multipli, esso da’ luogo a molecole tetraatomiche P4 nelle quali ogni atomo è legato agli altri tre in una molecola con simmetria tetraedrica. La molecola P4 che corrisponde alla forma allotropica del fosforo detta fosforo bianco è però instabile a temperatura ambiente rispetto alle forme allotropiche dette fosforo rosso e nero. Il fosforo nero è cristallino e se ne conosce la struttura: ogni atomo è legato ad altri tre atomi adiacenti a formare degli strati ondulati che estendono per tutto il cristallo. La struttura del fosforo rosso non è nota ma la si può considerare come costituito da una struttura disordinata simile a quella del fosforo nero, ovvero una struttura intermedia tra uno stato polimero amorfo e la forma nera. Lo zolfo; Esistono due allotropi dello zolfo: quello rombico e quello monoclino. Entrambi i cristalli contengono molecole S8 che consistono in un anello a zig-zag di otto atomi di zolfo. Un’altra forma dello zolfo è ottenuta per rapido raffreddamento dello zolfo fuso in acqua fredda; in questo modo si ottiene una sostanza gommosa chiamata zolfo plastico che è però instabile e che lentamente si trasforma in cristalli di zolfo ortorombico. Dallo zolfo si ottiene industrialmente l’acido solforico attraverso questi processi:

S + O2 => SO2 2SO2 + O2 => 2SO3

SO3 + H2O => H2SO4 L’azoto; Nonostante l’azoto costituisca la maggior parte dell’atmosfera non è un elemento molto abbondante sulla terra perchè i suoi composti solidi presenti sulla litosfera sono molto pochi. L’azoto è un gas inodore, incolore, insapore costituito da molecole N2 ed è ottenibile come l’ossigeno attraverso la liquefazione e successiva distillazione dei componenti dell’aria. L’azoto è un elemento poco reattivo, da’ luogo a pochissime reazioni a temperatura ambiente ed aumenta la sua reattività solo a temperature più elevate. A caldo reagisce con l’idrogeno formando ammoniaca:

N2 + 3H3 => 2NH3 con l’ossigeno dando ossido di azoto:

N2 + O2 => 2NO e con alcuni metalli con formazione di nitruri, come il nitruro di magnesio:

3Mg + N2 => Mg3N2 La fissazione dell’azoto è la conversione dell’azoto dell’aria in composti utili come i fertilizzanti azotati; inoltre alcuni batteri che si trovano nel terreno e nelle radici di alcune leguminacee sono in

grado di convertire l’azoto a temperatura ambiente in composti azotati che le piante sono in grado di utilizzare. L’idrogeno; E’ l’elemento più abbondante dell’universo; nella crosta terrestre invece l’idrogeno non è presente allo stato elementare ma i suoi composti sono molto comuni. E’ un gas incolore, inodore ed insapore costituito da molecole H2; si combina facilmente con altri elementi. Bolle a - 252,8 °C e fonde a - 259,1 °C. I composti che l’idrogeno forma con i metalli sono detti idruri come l’idruro di sodio NaH, l’idruro di calcio CaH2 e l’idruro di alluminio AlH3. I composti principali sono: l’acqua H2O, l’ammoniaca NH3 ed il metano CH4. L’acqua è ottenuta da una reazione molto esotermica che libera 256 Kj per mole di acqua formata, la combustione di idrogeno ed ossigeno viene usata anche per la propulsione dei razzi; le miscele di H2 ed O2 sono esplosive specialmente se il loro rapporto è di circa 2 : 1. L’ammoniaca è ottenuta da una reazione tra idrogeno ad azoto che risulta essere molto più lenta rispetto a quella con l’ossigeno.L’ammoniaca è ottenuta da una reazione ad alta temperatura e ad alta pressione (processo Haber) secondo la seguente reazione:

N2 + 3 H2 => 2 NH3 L’ammoniaca è un gas incolore con un caratteristico odore pungente ed è molto solubile in acqua. Uno dei principali utilizzi dell’ammoniaca è per la produzione di fertilizzanti; in questo caso si può somministrare al terreno direttamente l’ammoniaca liquida a bassa temperatura, ma più spesso si utilizzano dei composti azotati come il solfato di ammonio (NH4)2SO4 e l’urea (NH2)2CO. Il metano è ottenibile per reazione diretta tra carbonio ed idrogeno, ma questa reazione non ha grande importanza pratica in quanto questo gas è disponibile in grandi quantità nel sottosuolo. Il metano è anche presente con una piccola percentuale (0,0002 %) anche nell’atmosfera e deriva dalla decomposizione batterica di vegetali in acqua e dai processi digestivi di alcuni animali come i bovini. E’ un gas incolore che brucia rapidamente all’aria con una reazione esotermica:

CH4 + 2 O2 => CO2 + 2 H2O Il carbonio; Gli allotropi principali del carbonio sono: diamante e grafite. Esistono poi diverse altre forme di carbonio elementare come: il nero fumo, il carbone di legna ed il carbon coke. Il nero fumo è una forma di fuliggine che si deposita quando gli idrocarburi vengono bruciati in difetto d’aria, ad esempio:

2 C2H2 + O2 => 4 C + 2 H2O Il nero fumo ha un colore molto intenso e viene utilizzato come pigmento per vernici, inchiostro da stampa. Il carbone di legna si ottiene attraverso il riscaldamento di legna o di altro materiale organico ad alta temperatura ed in assenza d’aria. Possiede una densità molto bassa in quando è pieno di pori troppo piccoli per essere visibili ad occhio nudo. Il carbone di legna che è stato attentamente ripulito mediante riscaldamento con vapore è chiamato carbone attivo e viene utilizzato per assorbire odori e per purificare l’acqua.

Il carbon coke si ottiene riscaldando il carbon fossile in assenza d’aria; da questo processo si ottengono dei gas di carbon fossile, il catrame di carbon fossile ed il carbon coke. Il carbon coke viene utilizzato come agente riducente nella produzione di metalli, fosforo ed altre sostanze. L’ossigeno; L’ossigeno è un gas incolore che condensa in un liquido blu a - 183 °C e solidifica con un solido blu pallido a - 218 °C; è costituito da molecole biatomiche O2. Viene ottenuto su larga scala per liquefazione dell’aria e successiva distillazione dei componenti; è possibile ottenere ossigeno purissimo in piccole quantità per riscaldamento del clorato di potassio in presenza di biossido di manganese che funge da catalizzatore:

2 KClO3 => 2 KCl + 3 O2 Molti composti reagendo con l’ossigeno vengono trasformati negli ossidi degli elementi che li costituiscono, ad esempio i composti dell’idrogeno e del carbonio, gli idrocarburi, bruciano in ossigeno dando CO2 ed acqua; ad esempio:

C3H8 + 5 O2 => 3 CO2 + 4 H2O Gli alogeni; Sono gli elementi del VII gruppo: fluoro, cloro, bromo, iodio e astato. Sono tutti costituiti da molecole biatomiche nelle quali i due atomi sono uniti da un singolo legame covalente. Procedendo dall’alto verso il basso nella tavola degli elementi gli atomi tendono a diventare più grandi e di conseguenza aumenta anche la dimensione delle molecole. I composti che questi elementi formano con altri sono chiamati alogenuri ovvero: floruri, cloruri, ioduri e bromuri; a temperatura ambiente il il fluoro ed il cloro sono dei gas, il bromo è un liquido rosso-bruno e lo iodio è un solido scuro. Il cloro forma dei composti presenti in natura che sono: i cloruri dei metalli alcalini (cloruro di sodio) ed i cloruri dei metalli alcalino-terrosi (cloruro di magnesio e di calcio). Per l’industria il cloro è importante perchè viene utilizzato per sbiancare la polpa del legno per la carta, viene usato negli insetticidi e nella produzione del bromo. Inoltre il cloro viene usato anche per uccidere i batteri nell’acqua ed i composti contenenti lo ione ipoclorito OCl - vengono usati per purificare l’acqua delle piscine. Il bromo sotto forma di bromuri metallici è presente in piccole quantità nell’acqua del mare e nei depositi di sale. Una grande quantità di bromo è ottenuta nelgi Stati Uniti da acque salmastre sotterranee. Uno degli usi principali del bromo è la produzione di derivati come additivi delle benzine, i composti del bromo si usano anche come pesticidi e per il trattamento antifiamma delle materie plastiche. Il bromuro d’argento è usato in grosse quantità per produrre le pellicole fotografiche. Lo iodio era un tempo ricavato dalla combustione delle alghe marine dalle quanli si ricavava fino all’1% di iodio, successivamente la più importante sorgente industriale di iodio divenne lo iodato di sodio NaIO3 che si trova nei depositi di nitrato di sodio. Lo ioduro d’argento è usato nella produzione di pellicole fotografiche, una soluzione di iodio in alcool (tintura di iodio) è un buon disinfettante anche se ormai sorpassato. Lo iodio è un elemento essenziale nella dieta in quanto è uno dei costituenti della tirossina, un ormone prodotto dalla ghiandola tiroide che risulta fondamentale nell’accrescimento.

Il fluoro è meno abbondante del cloro ma è abbondantemente distribuito in minerali come il fluospato CaF2, la criolite Na3AlF6 e la fluoro apatite Ca5(PO4)3F. Il fluoro è importante neklla protezione dei denti dall’attacco delle carie ed è per questo motivo che in alcune città si aggiunge floruro di sodio all’acqua potabile. I metalli alcalini; Sono gli elementi del primo gruppo: litio, sodio, potassio, rubidio, cesio e francio. Questi elementi possiedono delle tipiche caratteristiche dei metalli, sono buoni conduttori di calore e di elettricità, quest’ultima caratteristica migliora con l’abbassarsi della temperatura; inoltre appena tagliati risplendono di lucentezza metallica. Sono tutti elementi piuttosto teneri che reagiscono con l’aria. I metalli alcalini possiedono delle caratteristiche particolari: hanno basse densità e bassi punti di fusione; infatti il litio è il metallo più leggero e, litio sodio e potassio hanno una densità inferiore a quella dell’acqua. Il cesio ha un punto di fusione così basso (29 °C) che diventa liquido in una giornata calda, l’unico metallo che ha un punto di fusione inferiore è il mercurio (- 30 °C). I metalli liquidi sono molto efficaci come refrigenranti in quanto possiedono un’alta conducibilità termica, un’alta capacità termica e dei punti di ebollizione alti (refrigeranti per razzi). I metalli alcalini possiedono solo un elettrone nello strato di valenza.