la competenza ordinamentale sugli enti locali tra stato e

107
Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno XXV Corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di Viceprefetto Tesi di: Maria Rosaria Attanasio Raffaella Attianese Cinzia Carrieri Maria Teresa Cattarin Franzero Cristina Ciciriello Anna Pavone Eufemia Tarsia Relatore: Prof. Antonio D’ATENA La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e Regioni

Upload: others

Post on 25-Oct-2021

4 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno XXV Corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di Viceprefetto

Tesi di: Maria Rosaria Attanasio Raffaella Attianese Cinzia Carrieri Maria Teresa Cattarin Franzero Cristina Ciciriello Anna Pavone Eufemia Tarsia Relatore: Prof. Antonio D’ATENA

La competenza ordinamentale

sugli enti locali tra Stato e Regioni

Page 2: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

2

Sommario

CAPITOLO I Il quadro costituzionale ........................................................................................... 3 1.1 Riforma del tit. V e nuovo art. 114 .................................................................................................... 3 1.1.1: La Competenza ordinamentale sugli Enti Locali ............................................................................... 5 1.1.2: La diversa posizione delle Regioni speciali e delle regioni ordinarie ............................................... 7 1.1.3: Distinzione tra funzioni fondamentali e non fondamentali ......................................................... ... 11 1.1.4: Scopo del lavoro .............................................................................................................................. 15

CAPITOLO II. Il ruolo dello Stato. Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117, comma 2, lett. P): itinerari e contenuti. La Carta delle autonomie. L’ordinamento di Roma, capitale delle Repubblica ……………………………………………….. 16

2.1 Il ruolo dello Stato ............................................................................................................................. 16 2.2 Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117, comma 2, lett. P): Itinerari e contenuti ............................ 18 2.2.1 Itinerari ............................................................................................................................................ 18 2.2.2 Contenuti ......................................................................................................................................... 20 2.2.3 La Carta delle Autonomie ................................................................................................................. 28 2.3 Ordinamento di Roma, capitale della Repubblica ............................................................................. 29 CAPITOLO III. Le Regioni ad autonomia speciale ........................................................................ 32 3.1: Le autonomie speciali e la clausola di equiparazione

di cui all’art. 10 della lg. cost. 3/2001 ............................................................................................... 32 3.2: La legge cost. n. 2 del 1993 e gli statuti delle regioni speciali .......................................................... 35 3.3 La legislazione regionale organica nelle regioni Friuli Venezia Giulia e Sardegna. ........................ 41 CAPITOLO IV Le Regioni ad autonomia ordinaria ...................................................................... 47 4.1 Gli statuti delle regioni ordinarie con particolare .................................................................................. riferimento alla disciplina dell’ordinamento degli enti locali. ........................................................... 47 4.1.1 I nuovi statuti delle regioni ordinarie dopo la riforma del Titolo V della Cost. ................................ 47 4.1.2:I principi fondamentali dei rapporti tra regioni ed enti locali: ........................................................... 53 a) costanti ..................................................................................................................................... 53 b) variabili .................................................................................................................................... 55 4.2 Le leggi regionali .............................................................................................................................. 57 4.2.1 Il caso della regione Emilia Romagna .............................................................................................. 57 4.2.2: Il caso della regione Umbria ............................................................................................................. 72 4.2.3: Il caso della regione Puglia .............................................................................................................. 78 4.3 Un nuovo organo costituzionalmente necessario: il consiglio delle autonomie locali .................... 81 4.3.1 Cenni generali .................................................................................................................................. 81 4.3.2 La cooperazione fra regioni ed enti locali prima della riforma del titolo V .................................... 83 4.3.3 Organizzazione e funzioni ............................................................................................................... 86

CAPITOLO V Conclusioni ...................................................................................................................... 96

ALLEGATO Tabella leggi istitutive CAL ............................................................................................ 102

Page 3: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

3

CAPITOLO I Il quadro costituzionale

1.1 Riforma del titolo V e nuovo art.114

La riforma del Titolo V della Costituzione Italiana, introdotta dalla legge costituzionale

del 18 ottobre 2001, n. 3, ha profondamente modificato l’ordinamento della Repubblica,

creando una nuova struttura istituzionale e cambiando, tra l’altro, l’assetto distributivo

delle competenze, legislative e amministrative, fra Stato, Regioni ed Enti Locali.

Così, la Costituzione del 1948 si è adeguata alla nuova realtà dell'ordinamento

regionale, alla riforma degli enti locali realizzata nel decennio 1990-2000 ed al

decentramento amministrativo.

È cambiata la visione politica della Repubblica, la sua organizzazione istituzionale, che

in base al nuovo testo dell’articolo 114 (il primo del Titolo V) è costituita da livelli di

governo posti sullo stesso piano, aventi pari dignità istituzionale e senza distinzioni

gerarchiche: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.

Il nuovo articolo 114 prevede, inoltre, il riconoscimento costituzionale della funzione di

capitale della Repubblica per la città di Roma. In considerazione della nuova forma di

Stato decentrato, i nuovi importanti compiti costituzionali della capitale saranno

disciplinati con legge dello Stato.

Data l’ampiezza e la complessità della riforma in esame, in questa sede si sceglierà una

prospettiva di analisi ben precisa: la potestà ordinamentale delle Regioni sugli Enti

Locali, così come risulta dai nuovi articoli costituzionali.

A tal fine, appare opportuno in primo luogo effettuare una breve panoramica del riparto

delle competenze legislative tra Stato e Regioni, prevista dal nuovo testo dell’articolo

117.

Il nuovo orientamento manifesta tutta la propria rilevanza, in particolare, nella

inversione della enumerazione delle materie, in quanto vengono espressamente elencate

quelle di competenza esclusiva statale. Il secondo comma di tale articolo, infatti,

definisce l’ambito di materie in cui deve essere esercitata la potestà legislativa esclusiva

Page 4: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

4

da parte dello Stato; nel vecchio testo erano, invece, stabilite in modo esplicito le

materie di competenza regionale.

Il comma successivo indica le materie “concorrenti”, sulle quali, tuttavia, la potestà

legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi

fondamentali, riservata alla normativa dello Stato. Il quarto comma, infine, attribuisce

alle Regioni la potestà legislativa residuale, cioè relativamente a ogni materia non

espressamente riservata allo Stato ma neppure alle Regioni in via concorrente.

La riforma intende consentire l’affermazione di un’organizzazione pubblica nella quale

allo Stato spettano solamente i compiti essenziali che non possono essere

soddisfacentemente svolti dalle Regioni e dagli Enti Locali.

Tale finalità viene sostanzialmente perseguita attraverso l’esatta individuazione delle

materie soggette alla disciplina della legge dello Stato, il riconoscimento della potestà

legislativa regionale in tutte le altre nonché mediante la soppressione dei tradizionali

controlli sull’operato delle Regioni e di Comuni e Province.

La potestà legislativa statale risulta così circoscritta alle materie di cui all’art. 117,

secondo comma, nonché, come già detto, alla determinazione dei principi fondamentali

nelle materie ex art. 117, comma terzo. Solamente lo Stato può adottare leggi nelle

materie di legislazione esclusiva quali la politica estera, i rapporti internazionali dello

Stato, l’immigrazione, i rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose, la difesa e

le Forze armate, la sicurezza dello Stato, le leggi elettorali, l’ordine pubblico e la

sicurezza, la cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi, la giurisdizione e le norme

processuali.

In particolare, l’art 117, comma 2, lettera p, riserva allo Stato la competenza in materia

di: legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,

Province e Citta' metropolitane.

Nelle materie di legislazione concorrente, invece, allo Stato compete la determinazione

dei principi fondamentali mentre la disciplina di dettaglio spetta alle leggi regionali.

Page 5: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

5

Rappresentano materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al

commercio con l’estero, alla tutela ed alla sicurezza del lavoro, alle professioni, al

governo del territorio, alle grandi reti di trasporto e di navigazione, alla valorizzazione

dei beni culturali ed ambientali ed alla promozione ed organizzazione delle attività

culturali.

In base all’inversione del criterio di riparto, l’ambito regionale è divenuto più rilevante.

Ciò è confermato dall’evidenziazione della presenza degli stessi limiti per l’esercizio

della potestà legislativa, e cioè il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti

dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (articolo 117, comma 1).

Il concetto di equiparazione tra i livelli, statale e regionale, di potestà legislativa viene

ribadito anche dal nuovo testo dell’articolo 127, in cui si dispone che sia il Governo sia

la Regione possono promuovere la questione di legittimità (rispetto alle competenze

costituzionalmente loro assegnate) dinanzi alla Corte Costituzionale, dopo l’entrata in

vigore della legge. Nel vecchio testo, invece, il Governo poteva proporre l’impugnativa

in via preventiva, prima della pubblicazione della legge, tramite la figura del

Commissario governativo.

1.1.1 La competenza ordinamentale sugli enti locali.

La questione della ripartizione delle competenze tra diversi livelli di governo, sia sul

piano delle potestà legislative sia su quello delle funzioni gestionali e amministrative,

costituisce uno degli elementi centrali – per alcuni versi forse il più qualificante – della

transizione verso un assetto istituzionale maggiormente improntato ai principi del

federalismo. Affidare un numero consistente e rilevante di materie alla sfera delle

decisioni autonome dei livelli decentrati significa, infatti, applicare quel principio di

vicinanza tra cittadini - elettori e organi di governo locali che fa parte dei motivi capaci

di giustificare una forma di intervento pubblico meno centralista e prossimo alle

caratteristiche di uno Stato federale.

Il riconoscimento a tutti gli enti costitutivi della Repubblica della possibilità di darsi

ordinamenti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni secondo principi stabiliti

Page 6: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

6

dalla Costituzione appare, insieme all’abrogazione dei controlli esterni, lo strumento di

garanzia costituzionale della conquistata autonomia di tutti i livelli di governo. Il

riconoscimento dell’autonomia statutaria, definito dall’art. 114, comma 2, ha importanti

conseguenze sul piano della interpretazione costituzionale.

Nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato si riflettono funzioni che

sottendono l’esistenza di un interesse nazionale unificante, la cui tutela non può essere

facilmente frazionata tra diversi livelli di governo ovvero assegnata in via di principio ai

Comuni.

In considerazione della natura degli interessi tutelati, infatti, l’art. 120 ha previsto

l’intervento statale in via sostitutiva, quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o

dell’unità economica ed in particolare al fine di garantire un livello uniforme di

prestazioni sul territorio nazionale, sempre secondo procedure che rispettino i principi di

sussidiarietà e leale collaborazione, e comporta, sostanzialmente, una generale

competenza al livello centrale delle funzioni poste a tutela degli interessi nazionali.

Una deroga alla attribuzione in via di principio di tutte le funzioni ai Comuni è

rappresentata anche dalla competenza delle Regioni nelle funzioni che richiedono

l’unitario esercizio a livello regionale; le Regioni svolgono funzioni di

programmazione, indirizzo, e coordinamento, esercitano funzioni amministrative

relative a competenze legislative quali il commercio con l’estero, la ratifica di intese con

altre Regioni e con Stati e enti esteri, e pertanto, in queste materie, è da escludere il

permanere di una titolarità di funzioni degli Enti Locali.

L’articolo 118 della Costituzione distingue tra funzioni amministrative proprie1 di

Comuni, Province, Città metropolitane e funzioni conferite o attribuite con legge dallo

Stato o della Regione, secondo le rispettive competenze2.

Secondo il principio di sussidiarietà, le funzioni amministrative vengono conferite alle

autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati, con

1 Cfr. infra, paragrafo 1.1.3 2 Cfr. infra, paragrafo 1.1.3

Page 7: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

7

esclusione di quelle incompatibili con le dimensioni dell’ente. La differenziazione della

allocazione delle funzioni in considerazione delle caratteristiche demografiche,

territoriali e strutturali degli enti riceventi e la loro idoneità organizzativa (adeguatezza)

a garantire l’esercizio delle competenze sono gli altri principi da seguire per individuare

il nuovo grado di autonomia amministrativa dei diversi livelli di governo sub statale,

sulla base dell’art. 118 Cost.

Allo Stato, divenuto, secondo l’articolo 114 della Costituzione, uno degli enti costitutivi

della Repubblica insieme a Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni e ad essi

equiparato e posto al medesimo livello costituzionale, permane la uniforme disciplina su

tutto il territorio nazionale della propria organizzazione, di quella degli enti pubblici

nazionali e la competenza legislativa esclusiva relativa alla individuazione delle

funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

Inoltre, secondo l’art.118, comma 2, i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono

titolari di funzioni amministrative proprie e di funzioni conferite con legge statale o

regionale in base alle rispettive competenze legislative ai sensi dell’articolo 117 della

Costituzione.

La diversa tipologia di funzioni amministrative indicate nel nuovo testo costituzionale

rappresenta uno dei nodi interpretativi della riforma; la soluzione più condivisa restringe

il campo alle funzioni “fondamentali,” attribuite dallo Stato agli enti locali e ricavate

dalle materie di competenza legislativa sia statale che regionale, e alle funzioni

“conferite,” attribuite dallo Stato e dalle Regioni agli enti locali in base alle materie di

rispettiva competenza legislativa esclusiva.

1.1.2 La diversa posizione delle Regioni speciali e delle Regioni ordinarie

In un contesto di chiara “gerarchia” istituzionale tra lo Stato, da un lato e le autonomie

locali, dall’altro, la Costituzione del 1948, sul piano delle potestà legislative, assegnava

alle Regioni il potere di emanare per alcune specifiche materie “norme legislative nei

limiti dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano

Page 8: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

8

in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni” (art. 117 vecchio

testo Costituzione).

Tale versione del Titolo V, pertanto, si serviva della “legislazione concorrente” tra Stato

e Regioni per disciplinare materie rilevanti, quali l’istruzione artigiana e professionale,

l’urbanistica, il turismo, la viabilità, gli acquedotti e i lavori pubblici di interesse

regionale, l’artigianato, l’agricoltura. Al tempo stesso, al successivo art. 118, la Carta

Costituzionale sanciva che “spettano alla Regione le funzioni amministrative per le

materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale,

che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad

altri enti locali.”.

La Costituzione ha previsto Regioni ad autonomia speciale e Regioni ad autonomia

ordinaria. Alle cinque Regioni speciali (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia,

Trentino-Alto Adige e Valle D'Aosta) sono attribuite particolari forme e condizioni di

autonomia che vengono disciplinate da appositi Statuti adottati con legge costituzionale

(art. 116 Cost., comma 1). Per conoscere le competenze delle Regioni speciali occorre

dunque far riferimento ai singoli Statuti da ciascuna adottati.

La Costituzione del 1948 riconosceva, pertanto, alle Regioni un diverso grado di

autonomia, misurabile nella maggiore o minore presenza di limiti, imposti dal

legislatore statale, alla loro potestà legislativa. Nella sua versione originaria, la

Costituzione stabiliva per le Regioni due livelli di potestà legislativa: piena, solo per le

cinque Regioni a Statuto Speciale; concorrente o ripartita (ovvero subordinata alla

conformità dei principi generali stabiliti dallo Stato in una legge definita “quadro”) per

le Regioni a Statuto ordinario. Inoltre, per tutte le Regioni era prevista anche una

competenza legislativa di attuazione o integrativa attraverso la quale le Regioni si

limitavano ad adattare la normativa statale già esistente alle necessità e ai bisogni

particolari del territorio. Pertanto le Regioni a Statuto speciale, in alcune materie

costituzionalmente definite, avevano competenza a legiferare in modo autonomo

rispetto allo Stato. Tale potere legislativo era limitato dal vincolo del rispetto dei

Page 9: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

9

principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale (anche se deducibili in via

interpretativa), degli obblighi internazionali, delle leggi di riforma economica e sociale,

dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni.

Un’ulteriore differenza nella potestà legislativa delle due tipologie di Regioni

interessava la normativa di attuazione ad esse deferita da legge dello Stato. Mentre, per

dettato costituzionale, era possibile in sede di norma statale affidare alle Regioni a

Statuto ordinario la competenza e il mandato ad emanare norme applicative che

rendessero operativa la disciplina statale sul territorio regionale – con modalità che

rispettassero le differenze tra le diverse aeree geografiche – per le Regioni a Statuto

speciale lo Stato poteva effettuare questa delega solo ove lo Statuto lo consentiva.

Assai diverso è il criterio con cui è stato costruito il nuovo art. 117 della Costituzione.

Esso, infatti, elenca una serie di materie di competenza esclusiva dello Stato, un gruppo

di materie di competenza concorrente Stato-Regioni ed infine, con una norma a

carattere residuale, attribuisce tutte le altre materie non menzionate alla piena potestà

regionale.

In continuità con il vecchio testo della Costituzione, rimane la potestà legislativa

regionale “concorrente”, che interessa le materie incluse in un elenco predefinito. Per

tali materie, la determinazione dei principi fondamentali rimane riservata alla

legislazione dello Stato mentre alle Regioni è affidata la rimanente disciplina.

Con la riforma costituzionale, inoltre, la legge regionale è soggetta agli stessi limiti di

quella statale. In particolare, oltre al rispetto della Costituzione, vengono inseriti i

vincoli derivanti dall’Ordinamento Comunitario e dagli obblighi internazionali.

Precedentemente, il testo costituzionale non limitava espressamente la potestà

legislativa statale (che chiaramente doveva essere esercitata nel rispetto e nell’ambito

della Costituzione); prevedeva invece limiti alla potestà legislativa delle Regioni

attraverso i vincoli dei “principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e del

“contrasto con l’interesse nazionale e con quello delle altre Regioni”.

Page 10: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

10

Al riguardo, si ritiene utile citare l’orientamento della Corte Costituzionale, espresso

con le sentenze nn. 238 e 286 del 2007 con cui la Consulta risolve – con decisioni in

parte di inammissibilità, in parte di infondatezza – un cospicuo gruppo di censure di

costituzionalità mosse dal Governo a due leggi regionali del Friuli Venezia Giulia: la l.r.

9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione-autonomie

locali nel Friuli Venezia Giulia) e la l.r. 13 dicembre 2005, n. 30 (Norme in materia di

piano territoriale regionale).

Infatti, le due impugnazioni hanno dato l'occasione alla Corte di pronunciarsi in termini

generali sull'estensione della competenza primaria in tema di potestà ordinamentale

delle Regioni speciali e di farlo sotto l'angolo visuale in certo senso più delicato: quello

del potenziale conflitto tra la nuova posizione che la riforma del Titolo V attribuisce agli

enti locali infraregionali da un lato, ed il carattere primario della potestà ordinamentale

sugli enti locali riconosciuta dallo Statuto di autonomia differenziata dall'altro.

È da rilevare da un lato che la Corte privilegia il richiamo ai principi generali

dell'ordinamento (tendenza del resto consolidata nella giurisprudenza in materia di

potestà ordinamentale). D'altro lato che – nella individuazione dei principi che fungono

da limite alla potestà ordinamentale – la riforma del 2001 non sembra avere alcun peso

significativo, ed in particolare non sembra averlo la “carica paritaria” tra livelli

territoriali di governo introdotta dalla riforma dell'art. 114 Cost.: ad essa infatti la Corte

non mostra di voler ricondurre alcuna alterazione in ordine ai rapporti tra Province e

Regioni speciali. I percorsi argomentativi seguiti dalla Corte, in particolare quando essa

opera un richiamo al principio di tutela e promozione dell'autonomia locale, sono infatti

esattamente ricalcati su quelli anteriori alla revisione del Titolo V, parte II, Cost.,

quando la posizione costituzionale degli enti locali era certamente di minor garanzia,

essendo affidata alla legge generale di cui all'art. 128 Cost., e sono ancorati al principio

di tutela e promozione dell'autonomia locale previsto dall'art. 5 Cost.

Page 11: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

11

In definitiva, dunque, la potestà legislativa regionale in materia di ordinamento degli

enti locali non sembra incontrare – secondo queste decisioni – limiti maggiori di quanti

fossero già desumibili dall'art. 5 Cost. prima della riforma.

Infine, è da notare che la Corte, in questa sentenza, prende posizione – sia pure

incidentalmente – su una delle prime questioni interpretative sorte sulla l.cost. n. 3/2001

con riguardo alle funzioni degli enti locali: quella relativa ai rapporti tra le funzioni

“fondamentali” previste dall'art. 117, comma 2, lett. p), da un lato, e quelle “proprie”

(previste dall'art. 118 Cost. accanto a quelle “conferite” o “attribuite”).

Le parole che la Corte spende in proposito nella sentenza in esame (pure senza

diffondersi in modo particolarmente approfondito sul tema) sono orientate verso una

svalutazione delle differenze tra le due locuzioni linguistiche, attraverso una loro lettura

non formalistica: secondo la Corte, infatti, le due formule possono essere fatte

coincidere tra loro, ed in entrambi i casi sembrerebbero essere riferite “a quel nucleo di

funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti

locali sancito dall'art. 5 Cost.” che sfuggirebbe alle possibilità di conformazione da

parte della Regione titolare del potere ordinamentale sugli enti locali. Se questo

orientamento interpretativo dovesse confermarsi, esso non sarebbe privo di peso anche

con riguardo alla definizione della competenza statale esclusiva in materia di

definizione delle funzioni “fondamentali” degli enti locali. Una lettura di questo tipo

della nozione di funzioni fondamentali porterebbe infatti ad escludere che lo Stato, in

sede di riscrittura del T.U.E.L. nell'esercizio della competenza di cui all'art. 117, comma

2, lett. p), possa estendere il proprio intervento all'individuazione di specifiche funzioni

amministrative settoriali di spettanza degli enti locali; ed anzi dovrebbe condurre ad

escludere che la disciplina delle funzioni fondamentali possa assumere un'ampiezza

confrontabile con quella dell'attuale testo unico. Ne deriverebbe dunque che largo

spazio nel conformare le funzioni degli enti locali dovrebbe essere lasciato – nelle

materie di competenza regionale – alla legislazione delle Regioni a statuto ordinario, le

Page 12: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

12

quali a loro volta beneficerebbero di un consolidamento e di un accrescimento dei loro

poteri conformativi delle funzioni dei livelli di governo infraregionali3.

1.1.3 Distinzione tra funzioni fondamentali e non fondamentali

Per individuare quali funzioni possano ancora permanere allo Stato e quali siano invece

da considerare esercitabili dalle Regioni e dagli enti locali occorre, prima di tutto, fare

riferimento ai nuovi ambiti di potestà legislativa e alla loro capacità di allocare, con

legge, le funzioni amministrative. Successivamente si deve differenziare all’interno dei

livelli di governo la titolarità delle competenze allo scopo di ottimizzarne l’efficacia,

secondo i noti principi di sussidiarietà-adeguatezza-differenziazione.

La legge costituzionale n. 3/01 segue il decentramento amministrativo attuato con la

riforma “Bassanini”; pertanto, l’attribuzione delle funzioni amministrative ai diversi

livelli di governo comporta integrazioni e cambiamenti nell’assegnazione delle materie

decentrate con la legislazione delegata d’attuazione della legge n. 59/97.

Successivamente, la legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia), recante

“Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge

costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, ha delegato il Governo ad “adottare, su proposta

del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per gli affari regionali, per le

riforme istituzionali e la devoluzione e dell’economia e delle finanze, uno o più decreti

legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo

117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di

Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni

primari delle comunità di riferimento.”.

Al riguardo, va chiarito preliminarmente che tutte le funzioni spettano ai Comuni, ad

eccezione delle funzioni amministrative che vengono conferite dallo Stato e dalle

Regioni, secondo le rispettive competenze legislative e nel rispetto dei noti principi di

sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, a Province, Città metropolitane, Regioni,

3 Sulla sentenza Corte Costituzionale n. 238 del 2007 vedi anche L.CASTELLI e M. DI FOLCO, Regioni e Autonomie Locali, in rivista Astrid on line

Page 13: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

13

Stato, qualora occorra assicurare l’unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento,

efficienza o efficacia dell’azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o

economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale. Per altro

verso, lo Stato e le Regioni devono favorire lo svolgimento di attività amministrative di

interesse generale da parte di associazioni o singoli cittadini sulla base del principio di

sussidiarietà orizzontale (art. 118, quarto comma).

La distinzione tra funzioni comunali proprie e conferite pare contraddire il principio

della attribuzione di tutte le competenze, in via di principio, al Comune stesso; funzioni

definite proprie vengono menzionate anche dall’articolo 114 della Costituzione che ne

attribuisce la titolarità anche alle Regioni. Inoltre tra le materie di potestà esclusiva dello

Stato, articolo 117, comma secondo, lettera p), è menzionata la competenza relativa alla

individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

Una prima soluzione interpretativa ritiene che l’espressione funzioni fondamentali

“vada intesa come sinonimo di funzioni indefettibili o più importanti (ovvero – il che è

lo stesso – indefettibili, in quanto più importanti)4.

Una seconda ipotesi prevede la equivalenza tra funzioni proprie (articolo 118) e

funzioni fondamentali (articolo 117) dei Comuni, delle Province, delle Città

metropolitane: l’articolo 118 indicherebbe, quindi come:

- funzioni proprie o fondamentali quelle identiche per tutti gli enti di pari livello e

quindi rappresentative della base delle competenze dell’ente, che sarebbero attribuite

dallo Stato ai sensi della lettera p) del secondo comma dell’articolo 117;

- funzioni conferite o attribuite tutte quelle che vengono riconosciute di

competenza degli Enti Locali con leggi statali nelle altre materie, diverse da quella

indicata alla lettera p), di potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Tale distinzione non viene riscontrata in altre parti del riformato Titolo V, anzi,

l’articolo 118 fa riferimento alla legge statale per attribuire le funzioni secondo le

4 A.D’ATENA, Diritto regionale, Giuppichelli, Torino, 2010, p. 180.

Page 14: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

14

competenze legislative dello Stato, inclusa chiaramente la materia indicata dall’articolo

117, secondo comma, lettera p) (Follieri).

Un’altra ipotesi individua nelle funzioni proprie quelle attualmente previste dalla

normativa vigente (Mangiameli) all’entrata in vigore della riforma costituzionale, cioè

la legge 267/ 2000; le funzioni conferite sarebbero quelle attribuite da nuove leggi

statali e regionali. In questo quadro diminuirebbe la potestà del legislatore statale di

attribuire le cosiddette funzioni fondamentali in considerazione della vasta opera di

devoluzione già attuata dalla legislazione delegata della riforma “Bassanini”.

In ogni modo, in tutte le tesi fin qui riportate, la nuova potestà legislativa dello Stato e

delle Regioni diviene elemento essenziale della ripartizione delle funzioni

amministrative, in quanto è lo Stato o la Regione, secondo le proprie competenze

legislative, a conferire le funzioni amministrative.

A parere della Corte costituzionale: “Quale che debba ritenersi il rapporto fra le

“funzioni fondamentali” degli Enti Locali di cui all’articolo 117, secondo comma,

lettera p, e le “funzioni proprie” di cui a detto articolo 118, secondo comma, sta di fatto

che sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze

legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformità alla generale

attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di “esercizio

unitario”, a livello sovracomunale, delle funzioni medesime”. (sent. 43/2004).

Nell’articolo 118 della Costituzione sono solo indicati i principi da utilizzare per

l’individuazione e l’attribuzione delle funzioni amministrative; è con le leggi dello Stato

e con le leggi regionali che si deve provvedere alla vera e propria attribuzione delle

competenze degli Enti Locali.

In via di principio, la legge regionale conferisce le funzioni agli Enti Locali, secondo i

noti principi e nei limiti delle esigenze unitarie, in tutte le materie che l’articolo 117

della Costituzione attribuisce alla competenza concorrente o ripartita Stato-Regioni e

nelle materie di propria esclusiva competenza legislativa; lo Stato attribuisce le funzioni

nelle materie di competenza legislativa esclusiva, tra le quali, come detto, è presente la

Page 15: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

15

competenza generale in materia di “funzioni fondamentali di Comuni, Province, Città

metropolitane”.

La riforma del Titolo V della Costituzione, pertanto, esige di rivedere l’allocazione delle

funzioni amministrative prevista dal d. lgs. 112/1998.

Sembra possibile affermare che molte delle funzioni attribuite in via di principio al

livello comunale dall’articolo 118 della Costituzione saranno effettivamente allocate

con legge regionale e statale a livelli territoriali superiori; tale scelta non potrà però

essere il frutto di una decisione insindacabile del legislatore ma dovrebbe consistere nel

risultato di una procedura che prevede consultazioni preventive, accordi e intese con gli

Enti Locali.

Ancora una volta è il principio di leale collaborazione che dovrebbe ispirare l’intesa tra

lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali, secondo una procedura che rispetti le attribuzioni

costituzionali relative alle competenze amministrative e legislative.

A livello regionale la sede di consultazione fra Regioni e Enti Locali sarà il Consiglio

delle Autonomie Locali, previsto dall’articolo 123 della Costituzione e definito come

organo che svolge soltanto funzioni consultive, destinato a rappresentare gli Enti Locali

in un processo decisionale che si prospetta diverso da quelli finora svolti, a seguito delle

innovazioni introdotte dagli articoli 114 e 118 della Costituzione.

1.1.4 Scopo del lavoro

L’obiettivo del presente lavoro è quello di evidenziare, attraverso l’analisi degli statuti e

di alcune leggi delle Regioni ad autonomia speciale e delle Regioni ad autonomia

ordinaria, come il legislatore regionale abbia interpretato il proprio ruolo nella materia

dell’ordinamento degli Enti Locali, se e come sia intervenuto e con quali modalità.

In pratica, si è voluta esplorare, in una prospettiva concreta, l’attuazione di questa

potestà da parte delle Regioni speciali, che ne erano titolari già anteriormente alla

riforma del Titolo V della Costituzione, confrontandola con gli interventi delle Regioni

ordinarie.

Page 16: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

16

Inoltre, è stato effettuato un confronto tra questi interventi e quelli attuati dalle Regioni

ordinarie, verificando se queste ultime si siano avvalse delle opportunità offerte dalla

riforma.

Page 17: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

17

CAPITOLO II Il ruolo dello Stato. Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117,

comma 2, lett. P): itinerari e contenuti. La Carta delle

autonomie. L’ordinamento di Roma, capitale della

Repubblica

2.1: Il ruolo dello Stato

Nel previgente assetto costituzionale del 1948 il ruolo dello Stato era quello di essere il

perno del sistema costituzionale, mentre le autonomie locali erano ristrette nella limitata

formulazione del precedente art. 114 che sanciva: “La Repubblica si riparte in Regioni,

Province e Comuni.”. Tuttavia va evidenziato che già nel 1948 l’articolo 5 della

Costituzione enunciava “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le

autonomie locali” e “adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze

dell’autonomia e del decentramento”. Dunque già dal 1948 il costituente ha operato una

scelta di sussidiarietà decidendo di “adeguare i principi e i metodi della sua legislazione

alle esigenze dell’autodeterminazione, dell’autonomia e del decentramento”. Tuttavia la

predominanza dello Stato impediva di parlare di un sistema costituzionale delle

autonomie locali. Esse erano più un fatto puramente declamatorio, utile ad evidenziare il

loro carattere territoriale e organizzativo, che una realtà costituzionale espressione di

autonomia amministrativa.

Nel nuovo assetto dell' art. 114 della Costituzione, la Repubblica è costituita dai

Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato, secondo

una prospettiva policentrica, rovesciata rispetto al passato, che pone tutti i diversi livelli

di governo territoriale sul medesimo piano. Dunque lo Stato ha una posizione paritaria e

autonoma rispetto agli altri livelli di governo e il suo ruolo permane nelle materie dove

esercita in via esclusiva la potestà legislativa che attrae il potere regolamentare (art. 117,

comma 6, Cost.). Vanno segnalati, inoltre, i casi di competenze dovute all’attrazione in

sussidiarietà di potestà legislative spettanti alle Regioni, conseguenti al recupero della

logica del parallelismo tra potestà legislativa e funzioni amministrative, superato dalla

novella costituzionale del 2001 e successivamente legittimato dalla Corte Costituzionale

Page 18: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

18

con sentenza n. 303 del 13.9.20035. Lo Stato, così, non ha più una posizione

strutturalmente e gerarchicamente sovraordinata agli altri enti territoriali e addirittura

tutoria6, ma è alla pari con loro.

Dunque la Repubblica voluta dal legislatore di revisione del 2001, pur restando

saldamente una ed indivisibile grazie al disposto del già richiamato art. 5, che oggi più

che mai è il pilastro fondamentale del sistema costituzionale, ha un ordinamento

policentrico con articolati governi territoriali, espressione di comunità che si

autogovernano e vivono in condizioni di autonomia secondo il principio del

decentramento territoriale autonomistico implicito nella Costituzione già dal 1948.

E così il novellato art. 118 comma 1, superando il principio del parallelismo tra potestà

legislativa e funzioni amministrative, delinea il ruolo dello Stato enunciando che “Le

funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio

unitario siano conferire a Provincie, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei

principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.”. Dunque nella prospettazione

policentrica della Repubblica lo Stato è uno degli elementi costitutivi dell’ordinamento

repubblicano al pari di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Va detto, però,

che anche se l’art.118 novellato attribuisce ai Comuni la competenza generale e

residuale delle funzioni amministrative, tuttavia fa salva l’ipotesi in cui lo Stato, al pari

degli altri enti sovracomunali, ha la competenza di funzioni amministrative solo se ciò

si renda necessario per assicurare il loro esercizio unitario7 (art. 118, comma 1, Cost.).

Definito l’attuale ruolo dello Stato in ordine all’esercizio delle funzioni amministrative,

va però detto che su tale questione la novella costituzionale del 2001, introdotta ormai

da più di dieci anni, non ha ancora oggi trovato concreta attuazione. In particolare l’art.

117, comma 2, lett. p), della Costituzione, che prevede la competenza legislativa

esclusiva dello Stato a dettare norme sull’ordinamento degli enti locali, non è ancora

attuato ed è divenuto ormai improcrastinabile affrontare la questione del riordino del

5 A.D’ATENA “opera cit.,” p.153,154,155. 6 A.D’ATENA “opera cit.” p.78. 7 A.D’ATENA “opera cit.” p.181.

Page 19: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

19

governo locale, già fortemente in ritardo. Pertanto i progetti di riforma in essere

debbono farsi concreti e diventare rapidamente legge.

2.2: Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117, comma 2, lettera p): itinerari e

contenuti

2.2.1: Itinerari

La legge 18 ottobre 2001 n.3 ha segnato la data di avvio di vari tentativi di attuazione

del riordino degli enti locali nello spirito della novella costituzionale. Ve ne sono stati

sia sul versante statale che su quello regionale. In particolare l’art. 117, comma 2, lettera

p) della Costituzione attribuisce la potestà legislativa esclusiva allo Stato in materia di

legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e

Città metropolitane. La norma costituzionale in esame assume un rilievo importante in

quanto è la fonte primaria dell’ordinamento degli enti locali. Essa disciplina l’assetto

ordinamentale statale degli enti locali composto dai tre specifici settori enunciati.

Ad oggi, purtroppo, “il cantiere costituzionale italiano è ancora aperto”8 in quanto i tre

ambiti non hanno ancora trovato una organica e compiuta disciplina. Sul piano statale si

segnala la legge 131/2003 (disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della

Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3) e la legge 42/2009 (delega al

Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’art. 119 della Costituzione).

Sul piano regionale, alcune Regioni non hanno adottato ancora né i nuovi Statuti, né le

leggi elettorali regionali, né i regolamenti interni dei Consigli regionali, né hanno

attivato i Consigli per le Autonomie.

Perché vi sia la piena attuazione della novella costituzionale, con riferimento all’art.

117, comma 2, lett. p), occorre individuare e allocare le funzioni fondamentali degli enti

locali che è il presupposto costituzionale per giungere all’autonomia finanziaria degli

enti locali di cui all’art.119, comma 1, della Costituzione. A tal proposito va richiamata

la legge 5 maggio 2009, n. 42, attuativa del citato art. 119, sul federalismo fiscale e

8 A.D’ATENA “opera cit” p.82.

Page 20: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

20

contenimento della spesa pubblica che, oltre a contenere svariate deleghe al Governo, di

cui 8 già attuate, prevede un’importante disciplina transitoria per gli enti locali (art. 21)

per le Città metropolitane (art. 23) e per Roma, capitale della Repubblica (art. 24) che

consente di dare un provvisorio avvio alla disciplina ordinamentale statale degli enti

locali, in attesa della approvazione e promulgazione di una legge ordinaria statale

organica e completa, oggi inesistente, che giunga a dettare principi e criteri di

individuazione delle disposizioni, statali e regionali, concernenti l’ordinamento degli

enti locali, da raccogliere nella c.d. “ Carta delle autonomie”.

Infine va detto che un grande contributo interpretativo è stato offerto dalla Corte

Costituzionale che, in assenza di precise norme, ha intensificato la sua attività

diventando il maggior attuatore della riforma costituzionale. Essa ha dato vita ad una

giurisprudenza fortemente “creativa” che ha colmato incertezze e zone d’ombra del

nuovo sistema costituzionale9.

Oltre alla già citata legge 131/2003, emanata durante la XIV legislatura, anche l’attività

parlamentare ha visto sforzi che, però, non sono giunti a termine per le vicende politiche

della XV e XVI legislatura parlamentare.

E così durante la XV legislatura viene presentato il DDL AS 1464, intitolato “Delega al

Governo per l’attuazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e

per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale n.

3 del 2001”, proposto al Consiglio dei Ministri il 19/1/2007, su proposta del Ministro

per gli affari regionali, del Ministro dell’interno e altri, che decade per fine legislatura

lasciando, però, un corposo e organico lavoro ordinamentale di sicuro riferimento e

interesse giuridico.

Nella successiva legislatura, la XVI, ha iniziato il suo cammino parlamentare il DDL

AC 3118, presentato alla Camera dei Deputati il 13/1/2010 e intitolato “Individuazione

delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell’ordinamento

9 A.D’ATENA “opera cit,” p.80.

Page 21: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

21

regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di

funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province

e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati”.

L’esame del provvedimento è iniziato presso la Commissione Affari costituzionali l’11

marzo 2010 e si è concluso il successivo 10 giugno. L’Assemblea della Camera ha poi

approvato il 30 giugno 2010 il disegno di legge che dal 2/7/2010 è passato all’esame

del Senato della Repubblica dove è stato classificato AS n. 2259. Allo stato è

calendarizzato in Commissione Referente Affari Costituzionali per il prossimo 6 aprile

2012, ma potrebbero esservi ulteriori modifiche dell’atto parlamentare, anche in ragione

della mutata situazione di governo alla data della presente scrittura.

E già alcuni schieramenti politici hanno annunciato interventi da agganciare all’AS

2259 sul Codice delle autonomie, con particolare attenzione alle nuove funzioni

provinciali di indirizzo e gestione di servizi di area vasta ex art. 23 L.214/2011 e alle

città metropolitane. (AC 1242 di modifica dell’art. 133 Cost.).

2.2.2: Contenuti

Andando, ora, ad approfondire lo specifico tema della individuazione e allocazione

delle funzioni fondamentali ai sensi del già citato art. 117 secondo comma, lettera p), va

immediatamente messo in evidenza che il primo tentativo di attuazione della riforma si

è avuto durante la XIV legislatura, ricompresa tra il 30 maggio 2001 e il 27 aprile 2006,

ed è stato portato a termine con la legge 5 giugno 2003, n. 131, c.d. legge La Loggia.

La maggioranza del tempo, centro-destra, ha ereditato l’attuazione della riforma

costituzionale del 2001 la cui paternità è però del precedente governo di centro-sinistra.

La legge 131/2003, però, non ha dato piena attuazione alla riforma. Essa, pur dettando

disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge

costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, non recepisce in pieno i nuovi indirizzi

costituzionali. E così, più che dare diretta attuazione al testo costituzionale e garantire il

rispetto del principio di autodeterminazione dell’autonomia locale, contiene un

Page 22: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

22

programma di norme attuative. E infatti all’art. 2 conferisce la delega al Governo ad

adottare uno o più decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni

fondamentali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione,

essenziali per il funzionamento dei Comuni, Province e Città metropolitane, nonché per

il soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento. Stabilisce inoltre

che con i predetti decreti legislativi si provvede, nell’ambito della competenza

legislativa esclusiva dello Stato, alla revisione delle disposizioni in materia di enti

locali, per adeguarle alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3.

Ciò posto la prima osservazione da fare è che la legge non reca traccia dei nuovi

indirizzi costituzionali e, anzi, ripropone il modello di una amministrazione retta, nelle

sue varie articolazioni centrali e periferiche, da regole unitarie10. Tale contrasto ha dato

vita a molteplici ricorsi alla Corte Costituzionale. La legge detta una serie di norme che,

in apparenza, si limitano ad apportare modeste integrazioni al testo costituzionale ma

che in realtà ampliano i limiti apposti dalla Costituzione stessa all’autonomia regionale

e locale non conformi al nuovo dettato costituzionale a cui vogliono dare attuazione11. Il

rimettere ogni scelta al governo in sede di delega ne è prova. L’indirizzo centrista è

evidente e si rileva in particolare dall’art. 7, comma 1, sul conferimento delle funzioni

amministrative. La legge va ad incidere sostanzialmente sugli enti locali in quanto

amplia i criteri che consentono di derogare al principio della loro competenza residuale

dei Comuni di cui all’art. 118, comma1. La norma costituzionale prevede infatti che ciò

può accadere solo per assicurare l’esercizio unitario delle funzioni amministrative,

mentre la legge 131/2003 aggiunge a tale criterio anche i principi di buon andamento,

efficienza o efficacia, i motivi funzionali ed economici e le esigenze di programmazione

o di omogeneità territoriale. Il tentativo di ridurre gli spazi di azione amministrativa dei

Comuni è palese.

10 G.C.DE MARTIN,” Il sistema amministrativo dopo la riforma del titolo V della Costituzione”, Roma 2002; 11 M. CAMMELLI,” Federalismi virtuali, e tiepide autonomie”, in “Le istituzioni del federalismo”, 2003;

Page 23: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

23

Circa l’allocazione delle funzioni, vanno richiamati i già citati art. 2 e 7 della legge

131/2003, che però, come già osservato, si limitano a riprodurre il testo dell’art. 118

della Costituzione e non hanno pertanto autonomo valore precettivo.

Infine la citata legge non detta alcuna disposizione in ordine ai procedimenti

amministrativi, salvo quanto disposto dall’art. 1, comma 6, lett. b) che include tra i

criteri cui il governo si deve attenere nella ricognizione dei principi fondamentali,

quello del “rispetto dei principi generali in materia di procedimenti amministrativi e di

atti concessori o autorizzatori.

Altra attrazione di compiti verso il centro è data dal procedimento di allocazione delle

risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire ai sensi dell’art.2,

comma 6 e 7. A tal fine l’art. 2, comma 5, delinea un complesso procedimento di

presentazione dei relativi disegni di legge che restituisce al Parlamento la funzione di

allocazione delle risorse necessarie all’esercizio delle funzioni fondamentali, dopo che

tale disciplina era stata superata da quella dettata dalla legge n. 59/1997, c.d. Bassanini

1, la quale rimetteva la determinazione delle risorse da trasferire ad un decreto del

Presidente del Consiglio dei Ministri. Inoltre pone il dubbio giuridico se gli accordi

raggiunti in sede di conferenza unificata che precedono la proposta di governo, debbano

essere vincolanti per il Parlamento e se quest’ultimo, chiamato ad approvare la norma

primaria, possa non approvarla con altra norma primaria di pari rango.

Dunque la legge 131/2003 ha fornito un’attuazione parziale della riforma costituzionale

e non ha neanche prodotto i decreti legislativi annunciati in attuazione dell’art. 117,

comma 2, lett.p) per decadenza del termine di esercizio della delega, più volte

prorogato. Ciò forse per l’incertezza sulla sorte della riforma costituzionale dovuta a

tentativi di revisione costituzionale (legge Bossi-La Loggia e referendum 2006) o, forse,

per gli indirizzi del governo in materia, mutevoli nel tempo e contradittori tra loro.

Nella successiva XV legislatura di centro-sinistra, portata avanti dal 28 aprile 2006 al 28

aprile 2008, vi è stata un importante attività parlamentare che ha proseguito l’attività

nello spirito della riforma costituzionale varata nel 2001 ma non è stata portata a

Page 24: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

24

conclusione per fine legislatura. Il DDL n. 1464 di iniziativa governativa, presentato

alla Commissione Affari costituzionali del Senato il 5/4/2007 in attuazione dell’art.

117, secondo comma, lettera p), all’art. 2, comma 1, dello schema prevedeva di

conferire delega al Governo per l’individuazione e l’allocazione delle funzioni

fondamentali degli enti locali, per l’individuazione e l’allocazione delle funzioni proprie

degli enti locali, per la disciplina degli organi di governo, del sistema elettorale e degli

altri settori relativi all’organizzazione degli enti locali, di competenza esclusiva dello

Stato, per l’individuazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza

concorrente che interessano le funzioni, le organizzazioni ed i servizi degli enti locali,

per l’istituzione delle città metropolitane, l’individuazione di funzioni amministrative

statali ulteriori, rispetto a quelle fondamentali e proprie, da allocare a livello territoriale,

per l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica, per disciplinare il potere

sostitutivo dello Stato da esercitarsi nei confronti delle Regioni in caso di inerzia delle

stesse nell’adeguare le proprie disposizioni al nuovo ordinamento degli enti locali, la

revisione delle circoscrizioni delle province, per l’adozione della Carta delle autonomie

quale metodo di individuazione delle funzioni fondamentali da attribuire ai Comuni e

costituenti il nuovo ordinamento degli enti locali.

Lo schema del provvedimento, all’art. 1, comma 4, prevedeva di istituire una cabina di

regia quale sede di coordinamento per la predisposizione degli atti istruttori relativi ai

provvedimenti attuativi dei decreti delegati. In verità la proposta iniziale assegnava ad

essa il compito di definire il contenuto degli schemi dei decreti legislativi e dei

provvedimenti attuativi elaborando da subito, ai sensi dell’art. 1 del DDL approvato, i

principi e gli indirizzi generali a cui ricondurre il riordino degli enti locali.

Tale scelta strategica caratterizza l’intero schema del provvedimento che più che essere

un passaggio di compiti è un passaggio di funzioni con principi e indirizzi e criteri

direttivi. Circa le funzioni amministrative da individuare e allocare lo schema prevede

che, ferma restando la competenza generale dei Comuni ex art. 118, comma 1, Cost.,

l’allocazione sovracomunale può avvenire solo per esigenze di esercizio unitario. Va

osservato che lo schema riconduce i criteri di deroga alla competenza generale dei

Page 25: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

25

Comuni negli spazi costituzionali, eliminando i principi di buon andamento, efficienza o

efficacia o per motivi funzionali ed economici ovvero per esigenze di programmazione

o di omogeneità territoriale previsti dall’art.7, comma 1, della legge 131/2003, c.d. La

Loggia, segno questo di valorizzare l’autonomia locale. Lo schema del provvedimento

dunque non elenca materie ma, alla luce degli indirizzi generali tracciati dal già citato

art.1, ripartisce le funzioni amministrative dei Comuni in funzioni fondamentali proprie

(art. 2, comma 3, lett. b) e ulteriori (art. 2, comma 3, lett. f), quest’ultime da acquisire

solo sussistendo i requisiti contabili, di qualità, di dimensione organizzativa ottimale

(art.2, comma 1, lett. m).

Lo schema approvato recava anche la disciplina di principio sulle forme associative tra

enti locali e per il pulviscolo comunale, sulla partecipazione popolare in forma singola e

associata ai processi decisionali amministrativi e di governo degli enti locali, la c.d.

autonomia funzionale di cui all’art. 118, comma 4, Cost., richiamando i principi della

trasparenza, imparzialità e buon andamento in attuazione del principio di democrazia e

prevedendo strumenti di autocorrezione, conciliazione e garanzia dei singoli ((art. 2,

comma 3, lett. p) e sulla partecipazione degli enti locali a società di capitali (art. 2, c.3,

lett. n, o e r). Infine all’art. 3, comma 1 e 2, dettava principi e forme procedimentali per

l’istituzione delle aree metropolitane, richiamando espressamente l’obbligo di fissare la

perimetrazione dell’area nel rapporto territoriale e funzionale con una o più province,

ove necessario. Infine conferiva delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento di

Roma capitale, offrendo sempre principi e criteri direttivi (art. 5, comma 1).

Lo schema inoltre, all’art.7 dava delega per la razionalizzazione ed armonizzazione

degli assetti territoriali conseguenti alla definizione e attribuzione delle funzioni

territoriali e amministrative degli enti locali, all’istituzione delle città metropolitane e

all’ordinamento di Roma capitale, ponendo principi e criteri direttivi per la revisione

delle circoscrizioni provinciali finalizzata all’ottimale servizio delle funzioni previste

per il governo di area vasta, per la revisione degli ambiti territoriali degli uffici

decentrati dello Stato.

Page 26: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

26

Infine l’art. 8 attribuiva al Governo la delega per l’adozione della Carta delle

autonomie. Sul punto però lo schema non scioglie l’incertezza, che da sempre

accompagna la materia, su chi debba individuare ed allocare presso i Comuni le

funzioni fondamentali rientranti nella competenza legislativa concorrente e residuale

delle Regioni a statuto ordinario. Se è pacifico che sia lo Stato ad avere la competenza

per le funzioni esercitate nell’ambito della propria competenza esclusiva di cui all’art.

117, comma 2, Cost., non è altrettanto pacifico che sia la Regione ad individuare e

allocare le funzioni fondamentali ricomprese nella propria competenza concorrente e

residuale. Lo schema non scioglie il dubbio e sembra far rientrare nella competenza

esclusiva statale solo le funzioni fondamentali esercitate dallo Stato. Sul punto si

potrebbe trovare una soluzione mediata che attribuisca allo Stato il potere di

individuazione delle funzioni e alle regioni ordinarie quello di allocarle presso i

Comuni. La scelta manterrebbe in capo allo Stato la competenza esclusiva alla

codificazione delle norme, e a dare organicità all’ordinamento degli enti locali. Questo

rappresenta un nodo cruciale come hanno dimostrato le vicende relative all’attuazione

regionale del d.lgs 112/1998 conseguente alla delega attribuita dalla legge 127/1997,

c.d. Bassanini 212.

Tale disegno di legge era volto prioritariamente ad allocare le funzioni amministrative

nei diversi livelli di governo, secondo canoni di sussidiarietà, differenziazione e

adeguatezza di cui all’art. 118 Cost e in piena coerenza con i principi legislativi già

vigenti in materia. Si voleva attuare, cioè, il nuovo ordinamento degli enti locali,

sistema delle Autonomie organico e coerente con i principi costituzionali, prevedendo

principi, criteri ed indirizzi per l’istituire le città metropolitane e disporre la disciplina

dell’ordinamento di Roma capitale della Repubblica. Ma la fine anticipata della XV

legislatura ha fatto decadere il DDL AS 1464.

Durante la XVI legislatura, iniziata il 29 aprile 2008 ed ancora in corso, il Parlamento,

spinto dall’esigenza di contenimento della spesa pubblica, ha emanato la legge 5

12 In tal senso Anci, ” Nota su DDL AS n.1464”, Seminario Napoli, 7 maggio 2007

Page 27: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

27

maggio 2009, n. 42, di delega al governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione

dell’art.119 della Costituzione. Essa avrebbe dovuto essere emanata solo dopo

l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, dovendo assegnare risorse

finanziarie solo a queste e non a quelle ulteriori che il Comune deve finanziare con

risorse proprie ai sensi dell’art. 119, comma 1, Cost.. Ma la mancata approvazione della

legge sulle funzioni fondamentali, c.d. Carta delle Autonomie e l’urgente, pressante e

preoccupante situazione dei conti pubblici ha indotto il legislatore a dettare una

disciplina transitoria che, all’art. 21, comma 2, individua provvisoriamente sei ambiti

funzionali ai fini del finanziamento integrale da parte dello Stato, calcolato in base al

fabbisogno standard e non alla spesa storica. Tali funzioni, riprese dal DPR 194/1996

sull’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, sono quelle generali di

amministrazione, di gestione e di controllo, quelle di polizia locale, quelle di istruzione

pubblica, asili nido, assistenza scolastica e refezione nonché l’edilizia scolastica, quelle

sulla viabilità e trasporti, quelle riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente,

con esclusione del sevizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia,

nonché per il servizio idrico integrato ed infine e quelle del settore sociale. Tali funzioni

non vengono espressamente definite dal legislatore come “fondamentali” ma il rilievo e

l’interesse che ad esse viene riservato fa dedurre che lo siano.

Ma tornando all’attività parlamentare in itinere, la XVI legislatura ha continuato,

comunque, a perseguire l’ambizioso traguardo dell’ordinamento sistemico degli enti

locali, con la presentazione, il 13.1.2006, alla Camera dei Deputati dell’AC 3118,

approvato il 30 giugno 2010 e passato al Senato il 2/7/2010, AS 2259, in discussione in

Commissione Referente Affari Costituzionali il prossimo 6.4.2012.

Lo schema di provvedimento si compone di dieci capi dei quali i primi tre riguardano

principi generali, le funzioni fondamentali e le funzioni amministrative degli enti locali.

E’ prevista la razionalizzazione degli uffici decentrati dello Stato, la soppressione delle

comunità montane, isolane e di arcipelago, l’individuazione degli organi degli enti

locali e la previsione, per i piccoli comuni, dei direttori generali e dei controlli.

Page 28: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

28

In particolare, l’assetto che riguarda i principi e le funzioni fondamentali appare più

come una elencazione di compiti che un percorso che definisce un sistema

ordinamentale. In più vi sono molteplici punti confusi e impropri. Va subito osservato

che l’art. 6, comma 1, dello schema attribuisce anche alla legge regionale la competenza

a disciplinare le funzioni fondamentali, mentre, come noto, essa spetta allo Stato. Inoltre

l’art. 8 detta modalità di esercizio delle funzioni fondamentali elencandole con una

sequenza numerica stringente e poco chiara. In più va detto che la legge 122/2010, di

manovra di finanza pubblica, ha riformulato quanto previsto nell’art. 8 introducendo

norme di difficile interpretazione e applicazione.

Altro aspetto da segnalare è l’assenza di ogni previsione sull’ente Provincia. Lo schema

non dice nulla sull’esigenza della sua razionalizzazione o di una sua eventuale

soppressione. Pertanto restano incerte le scelte strategiche da adottare per un più stretto

collegamento con le realtà comunali o per una sua trasformazione legata all’istituzione

della città metropolitana come ente di area vasta e quelle in ordine alla revisione delle

circoscrizioni provinciali.

Analoga osservazione è fatta per le città metropolitane che all’art. 4 dello schema

ricevono solo una sommaria elencazioni di compiti, il che appare più grave anche in

considerazione del loro rapporto con le province e della circostanza che ancora non

sono state istituite e non è delineato in che modo ciò avverrà.

Anche la semplificazione amministrativo-burocratica appare incompleta, non offrendo

un quadro di competenze e funzioni coerente e capace di farne la base

dell’amministrazione pubblica ai sensi dell’art. 118 della Costituzione. Analoga

osservazione va fatta per le città metropolitane, ad oggi inesistenti, e di cui non vi è

alcuna programmazione attuativa.

Ma la questione più preoccupante è il riaffacciarsi del principio del parallelismo delle

funzioni amministrative con quella legislativa, ormai superato dall’art. 118 co.1 della

riforma costituzionale del 2001. E agli art. 9,10,11 e 12 del testo sul decentramento

Page 29: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

29

delle funzioni non si rilevano sufficienti garanzie per il loro effettivo conferimento ai

Comuni13.

Lo schema fin qui analizzato è, in questi giorni, oggetto di profonde trasformazioni

dovute anche al mutamento del quadro di Governo. L’AC n. 1242 di modifica degli

articoli 114 e 133 della Costituzione in materia di Province potrà emendare lo schema

del DDL 2259 agganciandosi ad esso prima della seduta prevista in Senato in sede

referente per il 6/4/2012. Tale finestra potrebbe finalmente portare all’approvazione

definitiva della Carta delle Autonomie quale metodo di attuazione dell’ordinamento

degli enti locali finalizzato a garantire sistematicità, organicità al sistema e ad eliminare

sovrapposizioni e duplicazioni di competenze così da rendere al cittadino, ultimo

fruitore, servizi locali più efficienti e fruibili.

2.2.3: La Carta delle Autonomie

Già più volte precedentemente citata, ci si limiterà, in questa sede, ad offrire una

sintetica definizione del concetto di “Carta delle Autonomie”. Sul punto vi sono diverse

posizioni. Per alcuni esse sono una mera codificazione di competenze da attribuire ai

Comuni, per altri uno strumento legislativo che detta principi e criteri generali di

individuazione e allocazione di funzioni fondamentali.

La prima soluzione, più pragmatica, si limita ad essere un passaggio di compiti

attraverso un elenco di competenze, individuate a prescindere dalla realtà locale e dalla

libera determinazione dei Comuni.

La seconda, invece, più generale e di indirizzo, è un passaggio di funzioni ricercate

trasversalmente nei vari livelli di governo mediante principi, indirizzi e criteri direttivi.

In verità la Carta delle autonomie non dovrebbe essere un mero elenco di materie da

allocare ma uno strumento per agevolare il processo autonomistico dei Comuni, da

attuare in armonia con i principi della Repubblica.

13 In tal senso: ANCI, AS 2259, “Considerazioni generali e proposte di emendamenti”, 28/3/2011 in Commissione Referente Affari Costituzionali;

Page 30: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

30

Essa dovrebbe offrire indirizzi generali di ricerca di funzioni amministrative ritenute

indefettibili per l’attività del Comune e non essere un rigido codice.

Dunque, non una pragmatica codificazione di leggi e norme che regolano gli enti locali,

ma un punto di riferimento legislativo di raccolta di indirizzi e criteri di individuazione

di funzioni fondamentali, da cui far partire la azione amministrativa locale, nel rispetto

del principio di garanzia dell’autonomia riconosciuta agli enti territoriali.

Purtroppo ad oggi, nonostante le diverse posizioni, non è stata ancora adottata nessuna

legge di individuazione delle funzioni fondamentali e la Carta delle autonomie è ancora

molto lontana dall’essere varata.

Al momento l’ordinamento degli enti locali è disciplinato ancora da leggi previgenti alla

novella del 2001, potenzialmente incostituzionali, e da norme transitorie

provvisoriamente adottate.

Dunque, è ormai ineludibile che il legislatore adegui la normativa al nuovo dettato

costituzionale.

2.3: Ordinamento di Roma, capitale delle Repubblica

L’art. 114, comma 2, della Costituzione reca “Roma è la capitale della Repubblica. La

legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”. Dunque per la Capitale d’Italia, Roma,

la Costituzione prevede una riserva di legge ordinaria dello Stato in ragione dell’unicità

della funzione esercitata e le riserva una specifica disciplina. L’art. 24, comma 2, della

legge 5 maggio 2009, n. 42 disegna il suo peculiare ruolo di sede degli organi

costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti

presso la Repubblica italiana, presso lo Stato Città del Vaticano e presso le istituzioni

internazionali.

Per tali funzioni peculiari il comma 1 attribuisce a Roma capitale la speciale autonomia

statutaria amministrativa e finanziaria nei limiti stabiliti dalla costituzione. Essa però

come comunità locale mantiene le caratteristiche delle altre città metropolitane e il suo

ordinamento definivo dipende dall’attuazione di quello delle città metropolitane.

Page 31: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

31

L’urgenza di dare attuazioni a tali importanti funzioni ha spinto l’attuazione della delega

contenuta nelle legge 42/2009 e il d.lgs 17 settembre 2010, n.156 ha dettato disposizioni

in materia di ordinamento transitorio di Roma capitale. Ma va precisato che le norme

sono transitorie in sede di prima applicazione e fino all’attuazione della disciplina delle

città metropolitane di cui si attende ancora l’ordinamento.

Ad ogni modo occorre precisare che il d.lgs. 156/2010 riguarda esclusivamente l’assetto

istituzionale di Roma capitale e non contiene norme sull’attuazione delle sue funzioni

speciali e fondamentali. Attribuisce però al Sindaco speciali potestà, quali quella di

esser udito nelle riunioni del Consiglio dei Ministri su questioni di Roma capitale.

Inoltre l’art.3 del citato d.lgs 156/2010 detta norme per l’attuazione del nuovo stato di

Roma capitale. Va però ribadito che il d.lgs 156/2010 riguarda la sola parte

ordinamentale di Roma capitale.

Attualmente è in itinere l’ atto di Governo n. 425, su delega dell’art. 24, commi 3 e

5,lettera a) della legge 42/2009, sottoposto al parere del Parlamento dal 21 novembre

2011. Esso reca lo schema di decreto legislativo per le ulteriori disposizioni in materia

di ordinamento di Roma capitale e disciplina i raccordi istituzionali, il coordinamento e

la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la Regione Lazio e la Provincia di

Roma nell’esercizio delle funzioni speciali ad essa conferite. Detta inoltre disposizioni

sul trasferimento delle risorse umane e finanziarie, necessarie all’esercizio delle

funzioni amministrative conferite.

Nello specifico stabilisce quali sono le funzioni amministrative attribuite dallo Stato a

Roma, in funzione del suo ruolo di capitale della Repubblica. Prevede che esse vengano

disciplinate con regolamenti adottati dall’Assemblea capitolina, nel rispetto della

Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali della legislazione statale e

regionale e del principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma

capitale, da esercitare in aggiunta a quelle spettanti a Roma come comunità locale.

Vengono così individuate svariate e specifiche funzioni amministrative, alcune

tipicamente di competenza statale, come il concorso nella valorizzazione dei beni storici

Page 32: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

32

artistici ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività

culturali, lo sviluppo economico e sociale di Roma capitale, con particolare riferimento

al settore produttivo e turistico, ed infine la protezione civile, in collaborazione con la

presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Lazio, a cui si aggiungono le ulteriori

funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione Lazio, ai sensi dell’art. 118, comma 2,

della Costituzione.

Il trasferimento delle necessarie risorse umane e finanziarie è rimesso ad un successivo

DPCM. Lo schema prevede, inoltre, la riduzione delle dotazioni organiche e delle

risorse finanziarie delle amministrazioni interessate dal trasferimento, prevedendo

presso la Presidenza del consiglio dei Ministri un tavolo tra Stato, Regione Lazio,

Provincia di Roma e Roma Capitale14.

Dunque l’ordinamento transitorio di Roma capitale, urgente e improrogabile per la

specialità delle funzioni, riceve prioritaria tutela normativa statale diretta, in virtù della

specialità e unicità delle funzioni esercitate come Capitale d’Italia e attende, però, come

comunità locale, insieme alle altre città metropolitane, l’attuazione dell’ordinamento,

anche transitorio, di cui all’art. 23 della legge 42/2009.

Ma prima e più di tutto attende, con gli altri enti locali, l’emanazione della Carta delle

Autonomie che le consentirà di completare il processo di decentramento municipale con

l’approvazione del nuovo Statuto ai sensi dell’art. 24, comma 4, della citata legge

42/2009.

14 Atto n. 425 del 21/11/201, “Relazione illustrativa” del Governo al Parlamento

Page 33: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

33

CAPITOLO III Le Regioni ad autonomia speciale

3.1 Le autonomie speciali e la clausola di equiparazione di cui all'art.10 della lg.

Cost. 3/2001

L'art.116 della Cost.. ha riconosciuto alle Regioni della Sicilia, Sardegna, Trentino Alto

Adige, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta "forme e condizioni particolari di

autonomia secondo statuti speciali adottati con legge costituzionale".

Le Regioni speciali, la cui diversità da quelle ordinarie affonda le sue radici nelle

diverse condizioni geografiche, economiche e linguistiche, hanno ulteriori attribuzioni

legislative in altre materie sempre indicate negli statuti, nel rispetto dei principi stabiliti

nelle leggi ordinarie dello Stato.

Gli statuti delle cinque Regioni speciali prevedono diversi tipi di potestà legislativa:

potestà esclusiva, tenuta al rispetto dei principi generali dell'ordinamento e delle cd.

grandi riforme o per meglio dire delle norme fondamentali delle riforme economico-

sociali dello Stato, potestà legislativa concorrente, che incontra gli stessi limiti delle

competenze delle Regioni ordinarie ma differisce da queste per le materie elencate,

potestà integrativa ed attuativa che permette alle Regioni di creare norme su determinate

materie, che possano adeguare la legislazione statale alle esigenze regionali evitando,

dunque, la competenza delle Regioni e riservando le materie residuali allo Stato.

Con la riforma del titolo V della Costituzione si è superato, per le Regioni a statuto

ordinario, "il principio del parallelismo delle funzioni" con la conseguenza che

l'attribuzione della generalità delle funzioni amministrative viene riservata ai Comuni

sulla base dei principi di sussidiarietà (l'ente di livello superiore interviene solo quando

l'amministrazione più vicina ai cittadini non possa da solo assolvere al compito),

differenziazione (enti dello stesso livello possono avere competenze diverse) ed

adeguatezza (le funzioni devono essere affidate ad enti che abbiano requisiti sufficienti

di efficienza).

Page 34: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

34

Giova quindi precisare che, mentre nelle Regioni a statuto ordinario vige la regola della

dissociazione in quanto l'ente titolare di competenza amministrativa generale è il

Comune, laddove l'ente titolare di competenza legislativa è la Regione, nelle Regioni

speciali vige il succitato principio del parallelismo in forza del quale la titolarità delle

funzioni legislative ed amministrative si cumulano nella Regione relativamente alle

materie contemplate dagli statuti. Va inoltre sottolineato che il sistema messo a punto

dalla nuova disciplina costituzionale si basa sulla competenza generale del Comune,

laddove negli statuti speciali vige il principio dell'amministrazione indiretta necessaria,

in base al quale la Regione è titolare delle funzioni amministrative che deve

normalmente esercitare avvalendosi degli enti locali attraverso l'istituto della delega.

Al fine di evitare che, a seguito della riforma del titolo V della Cost. le Regioni speciali

corressero il rischio di venirsi a trovare in una condizione nettamente deteriore , in

termini di competenze, rispetto alle Regioni ordinarie, il legislatore costituzionale del

2001 ha fatto uso di una clausola di equiparazione (comunemente denominata clausola

di maggior favore) finalizzata a rendere anche le Regioni speciali beneficiarie dei

maggiori poteri riconosciuti alle Regioni a statuto ordinario. Tale clausola è contenuta

nell'art.10 della legge costituzionale che recita "sino all'adeguamento dei rispettivi

statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle

Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano per le parti in

cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite".

La clausola in questione si propone di accrescere gli spazi di autonomia delle Regioni

speciali (e delle province autonome) sotto il profilo delle prerogative e delle

competenze. Con riferimento all'aspetto delle prerogative, grazie all'applicazione del

succitato art. 10, anche le regioni ad autonomia speciale, con la sola eccezione della

Regione Sicilia per quanto riguarda i controlli sulla legislazione , sono sottratte, come le

Regioni di diritto comune, ai controlli preventivi di legittimità e di merito sulle leggi e

sugli atti amministrativi originariamente previsti dalla Costituzione. Quanto invece alle

competenze, la clausola comporta l'attrazione, nella sfera di autonomia delle Regioni

speciali, di maggiori poteri attribuiti alle Regioni ordinarie dal nuovo titolo V della

Page 35: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

35

Cost. Il che significa che, laddove le competenze dell’ente ad autonomia differenziata

siano più ampie di quelle delle Regioni ordinarie, lo statuto seguita a derogare allo ius

comune dettato dalla Costituzione. Un esempio al riguardo è costituito dalla

competenza esclusiva dello Stato in materia di legislazione elettorale , organi di governo

e funzioni fondamentali degli enti locali (art.117 comma 2 lett.p), la quale è derogata

dalla competenza ordinamentale sugli enti locali riconosciuta alle Regioni speciali dalla

legge costituzionale n.2 del 1993.

Alla luce di quanto suesposto, si può quindi sostenere che, per effetto della clausola di

equiparazione, negli ordinamenti regionali speciali vengono a coesistere due regimi

nettamente distinti: il regime speciale ispirato al principio del parallelismo delle

funzioni e connesso alle materie elencate nello statuto, ed il regime comune in

relazione a quanto previsto dall'art.10 della legge del 2001. La clausola di equiparazione

espleta effetti accrescitivi sia sull'oggetto dell'attribuzione, in quanto attrae nella sfera

delle attribuzioni regionali speciali la potestà legislativa in materie non contemplate

dagli statuti differenziati, ma assegnate alle Regioni di diritto comune dall'art.117

commi 3 e 4 (ad esempio attribuzione di competenze legislative in materia di

ordinamento della comunicazione e dell'energia ), che sull'innalzamento del titolo

competenziale dell'ente ad autonomia differenziata nelle materie statutarie, sulle quali le

Regioni ordinarie godono di una competenza più ampia. Tali accrescimenti si

giustificano solo in funzione perequativa cioè al fine di evitare che gli enti speciali

siano tagliati fuori dai nuovi spazi di autonomia riconosciuti dalla riforma del titolo V;

ciò sicuramente comporta che la clausola di cui all'art.10, non può giustificare

incrementi delle competenze regionali speciali che vadano al di là di quanto il titolo V

abbia riconosciuto alle regioni ordinarie. All' indomani dell'entrata in vigore della

riforma suddetta ci si è chiesti se la clausola di equiparazione fosse da intendersi come

clausola salva-specialità o come anche clausola salva- autonomie, se cioè essa fosse

applicabile solo alle Regioni speciali e province autonome o anche al complesso degli

enti territoriali localizzate nel loro territorio. Da una interpretazione condivisa dai più,

emerge chiaramente che le forme di autonomia più ampie rispetto a quelle attribuite si

Page 36: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

36

applichino alle Regioni speciali e non nelle Regioni speciali; in tal senso si espressa

anche la Corte Cost. che , con sent. n.370 del 2006 ha, tra l'altro, chiarito che, "qualora

si ritenesse che il citato art. 10 postuli, ai fini della sua applicazione, una valutazione del

complessivo sistema delle autonomia sia regionale che locale, si potrebbe verificare il

caso in cui, ad un'ipotetica maggiore autonomia dell'ente locale, corrisponda una minore

autonomia dell'ente regionale". Ciò non significa che gli enti locali ubicati nei territori

regionali speciali siano esclusi dai benefici di cui hanno fruito, per effetto della riforma,

gli omologhi enti ubicati nelle Regioni ad autonomia ordinaria: basti pensare al regime

dei controlli sugli atti in quanto, nonostante l'abrogazione della norma del titolo V su cui

si fondavano i controlli delle Regioni ordinarie sugli enti locali, non fosse destinata a

produrre effetti nei confronti delle omologhe disposizioni contente negli statuti speciali ,

tali controlli, di fatto, sono venuti meno anche nelle regioni speciali che li hanno

eliminati attraverso leggi, circolari e delibere 15 e ciò in violazione alla legittima

procedura di revisione di norme statutarie speciali di cui all'art.138 della Cost.

3.2 La legge cost .n. 2 del 1993 e gli statuti delle Regioni speciali

Il testo della legge cost. del 23 settembre del 1993 , pubblicato sulla Gazzetta ufficiale

n. 226 del 25/9/93 è stato trasmesso alla Camera dei deputati il 24/9/92.

Con documento n. 773 del 18/5/1992 è stata presentata l'iniziativa parlamentare e con

atto n.773-A è stata presentata la relazione della Commissione; nella proposta di legge

costituzionale, presentata d'iniziativa dei deputati Caveri e Acciari, veniva evidenziato

che la proposta di modifiche agli Statuti speciali della Valle d'Aosta e della Sardegna

mirava ad accrescere le competenze delle due Regioni autonome in materia di enti

locali, sul presupposto necessario di rilanciare il regionalismo e che, tale proposta, si

inserisse nel quadro di una grande riforma dei rapporti Stato-Regioni, ispirata a principi

federalisti e di una riscrittura, in senso migliorativo, degli Statuti speciali delle due

Regioni Valle d'Aosta e Sardegna.

15 A. D'ATENA " opera cit." Legge regionale del Friuli Venezia Giulia n.3/2002 e n. 21/2003. Legge reg. della Sardegna n.7/2002 . Legge regionale della Valle d'Aosta n2/2003

Page 37: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

37

Sempre d’iniziativa dei deputati Caveri e Acciari, veniva presentato il documento

n.773-B avente ad oggetto “Modifiche ed integrazioni agli Statuti speciali per la Valle

d’Aosta , per la Sardegna, per il Friuli Venezia Giulia e per il Trentino Alto Adige. Gli

artt. 5 e 6 del suindicato documento prevedono rispettivamente la competenza della

Regione Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige in materia di ordinamento

degli enti locali e delle relative circoscrizioni.

La legge costituzionale n. 2 del 23 settembre del 1993, frutto di detto processo

preparatorio, ha quindi modificato gli statuti speciali, per dotare le rispettive Regioni ,

ad eccezione della Sicilia che ne godeva già in forza dello statuto, di una competenza di

cui erano (e sono) prive le Regioni ad autonomia ordinaria: la competenza

ordinamentale in materia di enti locali (denominata dalla legge costituzionale:

"ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni"). La potestà a legiferare in

via esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni,

incontra i limiti costituzionali, internazionali e comunitari delle norme fondamentali

delle grandi riforme economico-sociali, dei principi generali dell'ordinamento e

dell'interesse nazionale. Detta competenza ha fornito alle Regioni speciali gli strumenti

per realizzare un compiuto sistema di autonomie locali in relazione ai vari aspetti

dell'ordinamento locale: la materia elettorale, l'assetto del territorio, il riordino delle

circoscrizioni, le forme associative, gli organi di governo, l'organizzazione ed il

personale, il conferimento delle funzioni, i controlli. Ciò significa che, in questi casi, la

legge regionale, adottata nell'esercizio della potestà primaria, è destinata a svolgere, nei

confronti della potestà statutaria locale, lo stesso ruolo delle leggi generali della

Repubblica.

E' opportuno al riguardo evidenziare che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 48 del

2003 ha precisato che la competenza attribuite alle Regioni speciali in materia di enti

locali, non è intaccata dalla riforma del Titolo V parte II della Cost. ma sopravvive,

quanto meno, nello stesso ambito e negli stessi limiti definiti dagli statuti. La Corte ha

in pratica affermato la non applicabilità alle Regioni a statuto speciale dell'art.117

secondo comma lett. p), nella parte in cui prevede la competenza esclusiva dello Stato

Page 38: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

38

nelle materie della legislazione elettorale, degli organi di governo e delle funzioni

fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane, poiché, tale competenza

esclusiva attribuita alla Stato, non potrebbe in alcun modo applicarsi anche nei confronti

delle Regioni speciali senza ridurne e ridimensionarne l'autonomia legislativa conferita

dallo statuto. Al riguardo, giova evidenziare che riguardo le modalità di elezione degli

organi rappresentativi degli enti locali la Corte Costituzionale è intervenuta con

sentenza n.173/2005 nella quale si evidenzia che la legislazione elettorale non è di per

se estranea alla materia dell'ordinamento degli enti locali, e che anche le modalità di

elezione degli organi rappresentativi costituiscono aspetti di questa materia riservata alle

Regioni a statuto differenziato. Sotto questo profilo, quindi, nel caso in esame, non può

essere contestata la competenza della Regione Friuli-Venezia Giulia a disciplinare il

computo degli elettori ai fini del quorum partecipativo alle elezioni per il rinnovo degli

organi comunali.

E' stato tuttavia osservato come le previsioni normative delle Regioni speciali in materia

di ordinamento degli enti locali non consentissero di enucleare un modello bilaterale

dei rapporti tra enti, che fosse uniforme alle varie esperienze regionali differenziate.

Tale aspetto è apparso alquanto problematico al punto che si è ritenuto che solo una

disciplina unitaria dettata da una legge dello Stato, potesse assicurare l'attuazione del

principio autonomistico, e, in modo particolare, nelle Regioni speciali dove

maggiormente si avverte il pericolo di ripetere, in ambito regionale, il processo

centralistico che aveva caratterizzato la questione in ambito nazionale.

L'art.4 comma 1-bis) dello Statuto della Regione Friuli Venezia Giulia prevede

espressamente che, in armonia con la Costituzione e con i principi generali

dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme

economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli

interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni, la Regione ha potestà legislativa

relativamente all'ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni. Lo statuto

del Friuli Venezia Giulia statuisce chiaramente che il Comune è titolare delle funzioni

ad esso appositamente conferite con legge regionale e con legge statale (a seconda della

Page 39: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

39

rispettiva competenza), secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e

differenziazione. A ciò aggiungasi che quello del Friuli Venezia Giulia, è l'unico statuto

che richiede la previa intesa con il Consiglio delle autonomie locali ( che è strumento

più forte del "parere” richiesto al CAL dalla maggior parte degli statuti che può, spesso,

essere superato con votazione a maggioranza semplice del consiglio regionale) così

introducendo la necessità di un vero e proprio incontro di volontà tra le autonomie nel

riparto di competenze amministrative tra i vari livelli di governo della medesima

Regione.

Una menzione a parte merita lo statuto della Regione Sicilia che esercita la propria

competenza in questo ambito sin dalla legge costituzionale n.2 del 1948. A differenza di

tutti gli altri statuti speciali, che vennero elaborati dall'assemblea costituente, lo statuto

siciliano è stato adottato mediante una norma di rinvio allo statuto preesistente: quello

approvato con decreto legislativo nel 1946. La materia dell'ordinamento degli enti

locali è regolata in Sicilia dall'art.15 che prescrive la soppressione delle circoscrizioni

provinciali e la creazione di liberi Consorzi tra Comuni " dotati della più ampia

autonomia amministrativa e finanziaria” che, godendo di ampie competenze, avrebbero

potuto consorziarsi liberamente per lo svolgimento di funzioni.

Il Comune veniva dunque identificato come livello di base dell’amministrazione locale.

Tuttavia, la natura e l'entità delle competenze devolute ai liberi consorzi comunali

risultavano di difficile determinazione. Tali enti, infatti, che avrebbero dovuto realizzare

un modello di realtà locali intermedie con funzioni di coordinamento, di indirizzo e di

programmazione, non apparivano adeguatamente sorretti da previsioni normative volte

a specificarne il rapporto con i Comuni consorziati. La facoltatività delle associazioni

dei Comuni in liberi consorzi, lasciava sostanzialmente la costituzione di questi ultimi

alla libera scelta delle amministrazioni comunali che, proprio per ragioni di natura

politica, non dimostrarono particolare interesse a consorziarsi. Senonché , sin dai primi

provvedimenti normativi della Regione siciliana in materia di ordinamento degli Enti

locali, si manifestò l'intento di aggirare la previsione statutaria di cui all'art.15,

istituendo, al posto dei liberi consorzi, altri enti, denominati "amministrazioni

Page 40: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

40

straordinarie" le cui funzioni ricalcavano, in realtà, quelle delle vecchie Province.

Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi, risultò evidente come tutte le potenzialità di tipo

organizzativo e promozionale in senso autonomistico insite nella previsione dell'art.15,

non fossero colte appieno dalle classi politiche locali dei primi anni successivi

all'entrata in vigore dello statuto e della Costituzione. Alla mancanza della creatività

della classe politica dominante nello sperimentare soluzioni normative sul piano della

creazione di un sistema locale più strutturalmente vicino alle esigenze provenienti dal

"basso", si accompagnava il particolarismo delle amministrazioni comunali che, dietro il

paravento dell'autonomia speciale, manifestavano un atteggiamento di chiusura verso

l'introduzione di nuove articolazioni territoriali con funzione di raccordo tra i diversi

livelli territoriali di governo.

Lo statuto della Regione Sardegna prevede all'art.3 che, sempre in armonia e nel rispetto

dei limiti suindicati, la Regione abbia, tra l'altro, potestà legislativa in materia di

ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, di polizia locale urbana e

rurale. In applicazione dell'art.15 dello statuto speciale, la Sardegna potrà conferire e

modificare la forma di governo e la legge elettorale mediante una semplice legge

regionale approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

L'art.43 del titolo V prevede, al secondo comma, che, con legge regionale, possano

essere modificate le circoscrizioni e le funzioni delle Province, in conformità alla

volontà delle popolazioni di ciascuna delle Province interessate espressa con

referendum. Mentre l'art.44 contempla che la Regione eserciti normalmente le sue

funzioni amministrative delegandole agli enti locali e valendosi dei loro uffici, il

successivo art.45 stabilisce che la Regione, sentite le popolazioni interessate, possa, con

legge , istituire, nel proprio territorio, nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni

e denominazioni. Interessanti riflessioni possono essere tratte dalla legge statutaria

della Sardegna approvata dal Consiglio regionale il 7 marzo del 2007. Infatti, benché la

Corte Costituzionale abbia notevolmente ridimensionato l'attitudine di tale tipologia di

fonti ad incidere sul rapporto tra Regioni ed enti locali, sottolineando l'insussistenza, per

esse, dell'obbligo di prevedere il consiglio delle autonomie locali viceversa gravante

Page 41: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

41

sugli statuti delle Regioni ordinarie,16 il legislatore sardo ha ritenuto comunque

opportuno inserire una disposizione avente ad oggetto proprio il CAL. Si tratta, più

precisamente, di una disciplina che configura quest'ultimo alla stregua di organo di

rappresentanza istituzionale degli enti locali con funzioni consultive e di proposta,

dotato del potere di sollecitare la giunta regionale a promuovere giudizio dinanzi alla

Corte Costituzionale su atti ritenuti lesivi dell'autonomia dei Comuni e delle Province

della Sardegna .

Le disposizioni richiamate, se da un lato costituiscono un interessante esempio della

disponibilità ad affrontare il nodo dei rapporti con gli enti locali sul terreno della

normazione statutaria, anche in un ordinamento differenziato come quello sardo,

dall'altro non possono certo dirsi soddisfacenti in quanto carenti di una puntuale

articolazione delle funzioni consultive e di proposta del CAL ma, soprattutto, perché

carenti di una previsione di conseguenze derivanti dalla mancata conformazione del

consiglio regionale ai pareri espressi dal predetto organo. Tutto ciò induce ad inevitabili

riflessioni circa l'eccessiva capacità di penetrazione delle fonti regionali negli spazi di

pertinenza della normazione locale. La legge cost. n. 2/2001, ha introdotto alcune

modifiche nel procedimento di revisione dello statuto della Sardegna e delle altre

Regioni speciali prevedendo che tale iniziativa spetti anche al Consiglio regionale.

Detta legge, in deroga a quanto previsto dall'art.138 della Cost., ha modificato il

procedimento di revisione statutaria da un lato, prevedendo l'obbligatoria consultazione

del Consiglio regionale, qualora il progetto di modificazione dello Statuto sia

governativo o parlamentare e così assicurando il coinvolgimento della Regione nel

procedimento e dall'altro, sottraendo al referendum confermativo le modifiche dello

statuto speciale, ponendo così lo statuto speciale al riparo da decisioni che non risultino

conciliabili con l'esigenza di garantire le comunità regionali nei confronti della

comunità nazionale.

16 VIOLINI " Il Consiglio delle Autonomie locali, organo di rappresentanza permanente degli Enti locali presso la Regione". In "Le Regioni",2002, n. 5 pp. 98 ss

Page 42: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

42

Il massimo di specialità in termini di organizzazione si registra nello statuto del

Trentino Alto Adige che affianca alla Regione, con pari qualità istituzionale, le Province

autonome di Trento e Bolzano, alle quali sono state riconosciute funzioni legislative ed

amministrative. Al riguardo è significativo ricordare che, mentre originariamente i

consigli provinciali erano derivati dal Consiglio regionale, oggi l'art. 25 dello Statuto

prevede che il Consiglio Regionale sia composto dai membri dei consigli provinciali di

Trento e Bolzano.17 La competenza della Regione sull’ordinamento degli enti locali e

delle relative circoscrizioni è prevista dall’art.4 capo II del suddetto statuto speciale.

Analoga competenza è prevista e disciplinata nello statuto speciale della Valle d’Aosta

che, all’art.2 del titolo II, prevede che “ in armonia con la Costituzione ed i principi

dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali

e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-

sociali della Repubblica , la Regione ha potestà legislativa in materia di ordinamento

degli enti locali e delle relative circoscrizioni”.

3.3 La legislazione regionale organica nelle regioni Friuli Venezia Giulia e

Sardegna

La Regione Friuli Venezia Giulia dispone di potestà legislativa primaria in materia di

enti locali in base allo statuto di autonomia ( art. 4 , primo comma , n.-1bis) ed alle

relative norme di attuazione (decreto legislativo 2 gennaio 1997, n.9). Ciononostante,

non avendo ancora la Regione esercitato compiutamente tale potestà, la disciplina

dell'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali del Friuli Venezia Giulia,

continua ad essere quella contenuta nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, salvo

per le parti disciplinate direttamente dal legislatore regionale.

La Regione Friuli Venezia Giulia ha, in materia, adottato le seguenti leggi regionali:

1. la legge regionale 11 /12/2003, n. 21, "Norme urgenti in materia di enti locali ,

nonché di uffici di segreteria degli assessori regionali", agli articoli 10 e 11

17vedi Corte cost. sent.232/2006.

Page 43: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

43

disciplina le conseguenze della mancata approvazione nei termini di bilancio di

previsione; In particolare l’art. 1 comma 11 della legge regionale su citata prevede

che nel procedimento di approvazione del bilancio di previsione, trascorso il

termine entro il quale il bilancio deve essere approvato, senza che sia stato

predisposto il relativi schema da parte della Giunta , l’Assessore regionale per le

autonomie locali nomina un commissario ad acta affinchè lo predisponga d’ufficio

per sottoporlo al Consiglio; qualora sia il Consiglio a non approvare lo schema di

bilancio predisposto dalla Giunta, l’Assessore assegna al consiglio un termine di

venti giorni, decorso il quale nomina un commissario ad acta al posto

dell’Amministrazione inadempiente .Dalla data del provvedimento sostitutivo di

nomina del Commissario, inizia la procedura per lo scioglimento del Consiglio ai

sensi dell’art.23 della legge regionale n.23 del 1997 il quale dispone che per lo

scioglimento e la sospensione dei consigli continuano a trovare applicazione la

legge 142/90 ed il decreto legislativo 77/95 18 Il provvedimento di scioglimento

viene adottato dal Presidente della Regione, su conforme deliberazione della

Giunta stessa e su proposta dell’Assessore regionale competente in materia di

autonomie locali che è anche competente ad adottare i provvedimenti di

sospensione dei consigli comunali e provinciali. La mancata approvazione del

documento in argomento entro il termine fissato dalla legge, comporta la

sospensione del versamento della seconda rata dei trasferimenti ordinari fino

all'avvenuta approvazione del documento (art.11, comma 70 della legge regionale

17/2008) La legge n.21/2003, nel definire le conseguenze per la mancata

approvazione dei documenti contabili , si riferisce espressamente al bilancio di

previsione senza menzionare la salvaguardia degli equilibri di bilancio; tuttavia, per

effetto del rinvio operato dall'art.23 della legge regionale 23/1997 al decreto

18 L. 142/90 art. 37" mozione di sfiducia " art.37 bis "dimissioni, impedimento, rimozione, decadenza, sospensione o decesso del Sindaco o del Presidente della Provincia " art.39 "scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali" art. 40 "rimozione e sospensione di amministratori di enti locali" D.lg.77/95 art.36 "salvaguardia degli equilibri di bilancio" art.80 "omissione della deliberazione di dissesto" art.93 "inosservanza degli obblighi relativi all'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato".

Page 44: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

44

legislativo 77/1995, la mancata adozione di deliberazione consiliare entro i termini

di legge , con la quale viene verificata la salvaguardia degli equilibri di bilancio

degli enti locali, è equiparata alla mancata approvazione del bilancio di previsione

con le medesime conseguenze e provvedimenti (quindi avvio di procedura per

eventuale nomina commissario ad acta e commissariamento dell'ente).

2. la legge 9/1/2006 “ Principi e norme fondamentali del sistema Regione autonomie

locali nel Friuli Venezia Giulia” al titolo IV , agli articoli da 42 a 45, disciplina

l’autonomia finanziaria degli enti locali e definisce i principi generali in materia di

contabilità degli enti predetti.

3. le leggi regionali 30 dicembre 2008, n.17 ( Disposizioni per la formazione del

bilancio pluriennale ed annuale della Regione (legge finanziaria 2009) e 30

dicembre 2009 n. 24, " Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed

annuale della Regione (legge finanziaria 2010), definiscono, rispettivamente agli

articoli 11 e 10, le conseguenze, sull'erogazione dei finanziamenti ,del ritardo

nell'approvazione dei documenti contabili.

4. La legge regionale 24/2009, all'art.10 prevede, altresì, il riparto della quota

residuata dopo l'assegnazione dei trasferimenti ordinari, per il 70% a favore di tutti

i Comuni e per il 30% a favore dei soli comuni che abbiano approvato il rendiconto

di gestione entro il termine di legge. Pertanto la mancata approvazione, entro il

termine di legge, del rendiconto di gestione determina, in aggiunta alla sospensione

dell'erogazione dei trasferimenti ordinari, anche la non assegnazione di una parte di

trasferimenti previsti dalla legge regionale finanziaria. La suddetta legge regionale

n.24/2009, nel disciplinare l'erogazione dei trasferimenti ordinari agli enti locali,

dispone che l'assegnazione delle rate degli stessi sia subordinata all'avvenuta

approvazione della deliberazione consiliare di salvaguardia degli equilibri di

bilancio.

La legge regionale del 9 gennaio del 2006 n.1 costituisce il primo vero provvedimento

legislativo organico di riordino del sistema delle autonomie locali il quale è intervenuto

Page 45: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

45

a distanza di dodici anni dall'entrata in vigore della legge costituzionale 2/93 che ha

attribuito alla Regione Friuli Venezia Giulia una potestà legislativa esclusiva . in

materia di ordinamento di enti locali. L'obiettivo principale della legge è gettare le basi

del sistema Regione--autonomie locali con l'individuazione dei principi fondamentali

che devono regolare l'attività degli enti locali e, altresì dettare tutta una serie di norme

regolatrici dei rapporti intercorrenti tra i diversi livelli di governo. In tale ottica sono

stati individuati tre livelli istituzionali fondamentali: la Regione, la Provincia, i Comuni.

In particolare i Comuni sono destinati ad essere il principale livello ordinamentale, al

quale vanno attribuite tutte le funzioni amministrative ed a divenire promotori reali

dello sviluppo economico , sociale, civile e culturale delle comunità e dei cittadini.

L'art. 5 del titolo II espressamente prevede al comma I che nella Regione Friuli-

Venezia Giulia le funzioni amministrative siano conferite a Comuni e Province secondo

i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, al fine di favorirne

l'assolvimento da parte dell'Ente territorialmente e funzionalmente più vicino ai

cittadini interessati.

Tra gli aspetti maggiormente innovativi della legge si evidenzia quello volto a

valorizzare l'esercizio coordinato delle funzioni in forma associata, quello diretto al

potenziamento od alla previsione ex novo di istituti di garanzia quello sull'istituzione

del Consiglio delle autonomie . La valorizzazione delle forme associative ha avuto la

sua massima espressione con la costituzione, su quasi tutto il territorio regionale, delle

associazioni intercomunali: si tratta di convenzioni particolarmente caratterizzate per il

cui tramite i comuni gestiscono, in forma associata, una pluralità di funzioni e servizi.

Ad un livello ulteriore di sviluppo associativo si pongono gli ASTER (Ambiti per lo

sviluppo territoriale): essi rappresentano una nuova dimensione territoriale d'area vasta

sovra comunale, che li rende adeguati sia ad interloquire in forma associata con la

Regione e la Provincia sia alla programmazione di interventi territoriali integrati e dello

sviluppo del territorio, anche attraverso il nuovo strumento del Piano di valorizzazione

territoriale che effettua la ricognizione delle forme associative, individuando le

associazioni intercomunali, le unioni di comuni, le unioni montane e le fusioni; inoltre

Page 46: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

46

specifica i criteri e le modalità per la concessione di incentivi annuali e straordinari a

sostegno delle associazioni intercomunali, delle unioni dei comuni e delle fusioni,

nonchè di incentivi annuali alle Unioni montane.

Quanto agli istituti di garanzia la legge ha previsto la figura del garante degli

amministratori, che esprime pareri in merito a segnalazioni effettuate dai componenti

degli organi degli enti locali, sentito l'ente locale, in relazione all'attività degli enti

stessi e promuove la conciliazione tra le parti interessate, previo incontro tra esse , a

seguito di segnalazioni effettuate dai componenti degli organi degli enti locali, in

relazione a presunte violazioni delle prerogative da garantire a ciascun amministratore

locale. Quello del garante è quindi lo strumento per il cui tramite gli amministratori

locali possono trovare supporto nell'esercizio della loro attività istituzionale.

In un'ottica di valorizzazione del principio di leale collaborazione, la legge regionale

1/2006 ha istituito il Consiglio delle autonomie locali che subentra all'Assemblea: si

tratta di un organo di consultazione e di raccordo tra la Regione e gli Enti locali, dei

quali esprime l'orientamento riguardo i più importanti atti regionali (normativi e di

programmazione) che li riguardano.

Un’esperienza di autonomia regionale differenziata che si caratterizza per alcuni tratti di

peculiarità è quella della Regione Sardegna. In questo ordinamento regionale l’avvio

della devoluzione di funzioni è passato attraverso l’adozione di un decreto legislativo di

attuazione dello Statuto speciale: si tratta del d.lgs del 17 aprile del 2001 n.234 (Norme

di attuazione dello Statuto speciale della Regione Sardegna per il conferimento di

funzioni amministrative in attuazione del capo I della legge n.59 del 1997) con il quale

si è sostanzialmente stabilito che siano conferiti alla Regione ed agli Enti locali della

Sardegna , senza pregiudizio dei conferimenti già disposti , le funzioni ed i compiti che,

il decreto legislativo 31/3/1998 n. 112, ha conferito alle Regioni a statuto ordinario e ai

loro Enti locali.

In ambito di conferimento di funzioni e compiti agli enti locali, la legge regionale 12

giugno del 2006 n.9 ha disposto che detti conferimenti avvenissero nel rispetto dei

Page 47: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

47

principi di sussidiarietà, di idoneità dell’amministrazione destinataria a garantire

l’effettivo esercizio delle funzioni, di ricomposizione unitaria delle funzioni tra loro

omogenee e di concentrazione organizzativa, gestionale e finanziaria in capo ad un

medesimo livello istituzionale, di differenziazione rispetto alle caratteristiche

demografiche, territoriali e strutturali degli enti destinatari, di attribuzione al comune, in

base al principio di completezza, della generalità delle funzioni e dei compiti

amministrativi non riservati alla Regione e non conferiti espressamente agli altri Enti

locali, del trasferimento delle risorse finanziarie, patrimoniali e umane per l’esercizio

delle funzioni amministrative e della responsabilità degli Enti locali nell’esercizio delle

funzioni e dei compiti ad essi attribuiti.

L’art.5 individua, poi, le funzioni delle Province, di raccolta e coordinamento delle

proposte avanzate dai Comuni ai fini della programmazione economica , territoriale ed

ambientale della Regione, di concorso alla determinazione degli atti della

programmazione regionale, di formulazione ed adozione, con riferimento alle previsioni

ed agli obiettivi degli atti della programmazione regionale, di propri programmi

pluriennali, sia di carattere generale che settoriale, e di promozione del coordinamento

dell’attività programmatoria dei Comuni. L’art. 8 della legge del 2006 prevede la

cooperazione tra Regioni ed enti locali, in virtù della quale , i predetti enti si attengono

al principio della leale collaborazione, ponendo a fondamento della loro azione gli

interessi delle comunità locali, l’efficacia e la trasparenza dell’attività amministrativa.

L’art.9, invece, disciplina il potere sostitutivo regionale e stabilisce che, in caso di

ritardo od omissione da parte degli enti locali di atti obbligatori per legge nell’esercizio

delle funzioni conferite , l’assessore regionale competente per materia, sentito l’ente

inadempiente , assegna all’ente stesso un termine temporale e comunque non superiore

a sessanta giorni, per provvedere. Decorso inutilmente tale termine, il Presidente della

Regione, previa deliberazione della giunta regionale adottata su proposta del medesimo

assessore, nomina uno o più commissari che provvedono in via sostitutiva.

Alla luce di quanto suesposto, si può osservare come, nelle autonomie differenziate, la

devoluzione di funzioni e competenze sia collegata, da un lato , ai decreti di

Page 48: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

48

trasferimenti di funzioni dallo Stato alle Regioni, dall’altro all’esercizio della potestà

ordinamentale in materia di definizione generale delle competenze dei livelli di

governo. L’unica eccezione riguarda proprio la regione Sardegna che non ha, ad oggi

ancora approvato la legge sull’ordinamento degli Enti locali ed ha sostanzialmente

recepito, per il tramite dei decreti di attuazione, tutti i trasferimenti disposti con il d.lgs.

112 del 1998, in tal modo seguendo uno schema devolutivo che, nei fatti, non si è

rivelato distante da quello praticato nelle autonomie regionali ordinarie.

Page 49: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

49

CAPITOLO IV Le Regioni ad autonomia ordinaria

4.1 Gli Statuti delle Regioni ordinarie con particolare riferimento alla disciplina

degli ordinamenti degli enti locali

4.1.1 I nuovi Statuti delle Regioni ordinarie dopo la riforma del Titolo V della

Costituzione

Con la legge costituzionale n.1 del 22 novembre 1999 è stata rivista l’autonomia

statutaria delle Regioni ad autonomia ordinaria, modificando procedimento, contenuto

e limiti dello Statuto regionale, che è così diventato atto interamente inserito in un

procedimento tutto regionale, che esclude il controllo successivo del Parlamento.

L’articolo 123 Cost., nella dizione novellata dalla citata legge costituzionale, ha

previsto, infatti, che gli Statuti ordinari siano approvati (e modificati) dal Consiglio

regionale “con legge approvata ad intervallo non minore di due mesi, con due

deliberazioni successive adottate a maggioranza assoluta dei suoi componenti” e “che

per tale legge non sia richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario di

Governo”, conferendo ad essi formalmente la natura giuridica di “leggi regionali”,

soluzione non molto convincente ed assai dibattuta dalla dottrina, a motivo della

diversità del procedimento delineato dal succitato articolo rispetto a quello previsto per

la formazione delle leggi ordinarie regionali.

Sull’argomento la Corte Costituzionale19, dopo aver negato l’assimilabilità tra legge

regionale e Statuto regionale, in ragione dei diversi procedimenti di formazione e di

controllo, ha evidenziato come le istanze autonomistiche siano state appagate “con

l’attribuzione allo Statuto di un valore giuridico che lo colloca al vertice delle fonti

regionali”.

Dopo due anni, a seguito della legge costituzionale n.3 del 2001, che ha modificato

l’intera portata dell’originario titolo V della Costituzione, viene completata la nuova

disciplina dell’autonomia statutaria delle Regioni; fonte deputata a disegnare

19 Sent. Corte Cost. N. 304/2002

Page 50: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

50

l'ordinamento amministrativo delle Regioni è lo Statuto regionale, che è espressamente

preposto a fissare oltre la forma di governo, i principi fondamentali di organizzazione e

funzionamento, a regolare l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su atti

legislativi ed amministrativi della Regione e a disciplinare il Consiglio delle autonomie

locali. La strada indicata dalla Costituzione è, dunque, la previsione statutaria “di un

sistema amministrativo integrato Regioni – enti locali” (Carli).

E’ il caso di rilevare come, nonostante le suggestioni di matrice federale avessero fatto

da sfondo alle nuove norme varate, ciò non fu sufficiente a trasformare gli Statuti20 in

costituzioni ed a mutuare uno degli istituti tipici dei sistemi federali.

Le novelle costituzionali circoscrivono gli spazi di regolazione statutaria, ai principi

fondamentali di “organizzazione e funzionamento” della Regione.

Mentre prima della riforma lo Statuto doveva restare nell'ambito dei principi fissati

dalla legislazione statale, ora l’unico limite è quello derivante “dall’Armonia” con la

Costituzione, intesa come puntuale rispetto di ogni disposizione costituzionale (sent.

304/2002) e del suo spirito (sent. 2/2004 ); la legge dello Stato non può incidere nella

materia “riservata agli Statuti”.

Al legislatore statutario è richiesto non più un approccio settoriale e riferito alla persona

giuridica della Regione, ma la costruzione di un coerente ordinamento amministrativo

regionale.

La nuova prospettiva istituzionale, fondata su un forte potenziamento delle autonomie e

su una nuova configurazione dell'unità (che comunque non è uniformità), sposta il

baricentro del sistema amministrativo sull'amministrazione locale in virtù del principio

della sussidiarietà: la p.a. è ora essenzialmente locale ed autonoma, pur a fronte di

imprescindibili ragioni unitarie e quindi di una serie di riserve di poteri legislativi

esclusivi allo Stato.

20 Nella sent. N. 372/2004 della Corte Costituzionale si legge che “non siamo in presenza di Carte Costituzionali, ma solo di fonti regionali a competenza riservata e specializzata, cioè di Statuti di autonomia”.

Page 51: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

51

D'altra parte, si deve aggiungere che questa riforma è l'esito di un processo lento e

tortuoso di attuazione delle potenzialità già contenute nel principio fondamentale

dell'art.5 Cost., e si fonda proprio sulla valorizzazione dei principi in esso contenuti, di

autonomia ma anche di unità ed indivisibilità della Repubblica.

Tale nuova articolazione ordinamentale vede, comunque, un ordinamento repubblicano

in cui la volontà dell'ente Stato non s'impone autoritariamente in maniera unilaterale,

bensì si coordina in modo dinamico e cooperativo sulla base della sussidiarietà e della

leale collaborazione, per tutelare gli interessi nazionali.

Ma soffermiamoci, ora, sulle concrete possibilità, da parte del legislatore statutario

regionale, di incidere sulla disciplina degli enti locali; al riguardo, sia l'art.114 Cost.

che l'art.123 Cost. sembrerebbero ostacolare la possibilità che lo Statuto regionale

possa disciplinare un qualsiasi aspetto delle autonomie locali.

La novellata formulazione dell'art.114 della Costituzione, pone su un livello di pari

dignità istituzionale,21 i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo

Stato quali elementi costitutivi di un sistema policentrico e reticolare, che non sembra

conciliabile con l’eventuale ingerenza delle Regioni nella disciplina delle autonomie

locali, ciò comporta che l’eventuale politica di riparto dell’azione amministrativa debba

essere quantomeno oggetto di partecipazione e coinvolgimento di tutti i soggetti

interessati.

Mentre, alla luce del nuovo art.123 della Cost., lo Statuto regionale pur in una posizione

di “primazia logica” nel sistema delle fonti, in quanto vincolato al solo limite

“dell’armonia” con la Costituzione22, rimane una fonte tipica a competenza

21 La Corte Costituzionale con Sent. N.274/2003 ha affermato che “lo stesso articolo 114 della Costituzione non comporta affatto una totale equiparazione fra gli Enti in esso indicati , che dispongono di poteri profondamenti diversi tra loro: basti pensare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città Metropolitane e le Province (diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa”. 22 La Corte Costituzionale con Sent. N.304/2002 ha osservato che “il riferimento all’armonia rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione costituzionale, poiché mira soltanto ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche scongiurare il pericolo che lo Statuto pur rispettoso della Costituzione, ne eluda lo spirito”.

Page 52: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

52

specializzata, il cui fondamento giuridico si individua sempre nella Costituzione, idoneo

a disciplinare quelle materie indicate nella disposizione costituzionale.

Al riguardo si è osservato che, innanzi tutto, nell'interpretazione dell'art 123 Cost.

conseguente al nuovo assetto costituzionale, lo Statuto regionale è stato autorevolmente

riconosciuto quale fonte normativa primaria in cui “si trova organizzata l'intera

comunità regionale”23.

La Regione ha, infatti, conquistato, con il tempo, il ruolo di Ente a competenza

tendenzialmente generale24. Ha acquisito capacità di governo, pienezza di

rappresentanza politica, titolarità generalizzata di funzioni legislative, il compito di

conferire, secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, le funzioni

amministrative agli enti territoriali minori, per cui si pone oggi come “centro propulsore

e di coordinamento dell’intero sistema delle autonomie locali”25 e come titolare della

cura degli interessi generali della collettività sottostante.

Dunque le nuove competenze statutarie riguarderebbero non solo l'indicazione dei

principi fondamentali di funzionamento e di organizzazione del sistema burocratico

regionale, ma dell'intero sistema regionale, rimanendo “indistinta l'organizzazione

costituzionale da quella puramente amministrativa dell'ente”26 e riconoscendo allo

Statuto regionale la competenza a dettare la disciplina “dell'intera organizzazione della

Regione”27.

Peraltro, il nuovo Statuto, non solo ha visto aumentare il proprio contenuto (dalla mera

organizzazione interna della Regione alla forma di governo, ai principi fondamentali di

organizzazione e funzionamento e al consiglio delle autonomie locali), ma a seguito

23 L’art.123 Cost. per come modificato prevede l’esistenza nell’ordinamento regionale ordinario di alcune riserve normative a favore della fonte statutaria rispetto alle competenze del legislatore regionale. Fra i contenuti necessari indica “i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento”, mentre il previgente si riferiva “all’organizzazione interna della Regione”. ( Corte Cost. 14-6-2007, n.188). 24 A. D'ATENA, i nuovi statuti regionali e i loro contenuti programmatici, in “Le Regioni” 25 L. VIOLINI, Il consiglio delle autonomie locali, organo di rappresentanza permanente degli enti locali presso la Rregione, in “Le Regioni”. 26 G. D'ALESSANDRO, Statuti regionali, in S. Cassese Dizionario di Diritto Pubblico. 27 G. D'ALESSANDRO, Statuti regionali, in S. Cassese Dizionario di Diritto Pubblico

Page 53: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

53

delle novità costituzionali, è diventato solo soggetto all'armonia con la Costituzione 28,

rafforzando così il proprio valore e la propria forza giuridica.

Costituisce quasi una sorta di “patto” tra Regione e le autonomie locali, in cui la prima

si pone come centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema, nonchè

parametro di riferimento delle altre fonti normative locali.

Da ciò ne deriva che se si deve guardare al sistema regionale in termini di

“governance”, la Regione medesima non si deve porre come un’organizzazione che

agisce unilateralmente ed in maniera invasiva, ma come un centro di governo che si

colloca all’interno di una rete e che riconosce agli Enti locali il ruolo di componenti

interne della medesima, titolari di prerogative di partecipazione ai processi di decisione

regionale.

Senza dubbio, la Costituzione, nel prevedere quale contenuto degli Statuti i principi

fondamentali di organizzazione e di funzionamento e la disciplina del consiglio delle

autonomie locali, ha inteso dare alle Regioni una straordinaria opportunità di valorizzare

l’autonomia degli enti locali e di gestire in modo innovativo il rapporto con questi

stessi.

Come si è detto sopra, al legislatore statutario è stata riconosciuta la competenza a

dettare i criteri generali, ai quali poi il legislatore regionale dovrà attenersi

nell’attribuire – nelle materie di propria competenza – le funzioni amministrative ai

diversi enti locali, oltre alla possibilità di incidere sull’allocazione delle funzioni

attraverso l’imposizione di forme di partecipazione e consultazione degli enti locali

medesimi da svolgersi nell’ambito del consiglio delle autonomie locali.

Ovviamente tanto più il sistema regionale potrà dirsi funzionante, quanto le funzioni

amministrative saranno allocate il più vicino possibile alle collettività, presso gli enti

rappresentativi dei loro interessi, attraverso una legge che non individui dall’alto, le

28 Con sent. n.304/2002 la Corte Costituzionale ha stabilito che “il limite dell'armonia con la Costituzione deve intendersi in maniera pregnante come puntuale rispetto dello spirito della Costituzione”.

Page 54: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

54

funzioni amministrative da conferire agli enti locali, ma che sia il frutto di forme di

concertazione, collaborazione e condivisione con gli enti coinvolti29, per poter stabilire

se, come, quando e quali funzioni possano essere trasferite da un soggetto ad un altro,

secondo i principi di sussidiarietà (il livello di governo superiore interviene solo quando

l'amministrazione più vicina ai cittadini non possa da sola assolvere al compito ),

differenziazione ( enti dello stesso livello possono avere competenze diverse) e

adeguatezza (le funzioni devono esser affidate ad enti che abbiano requisiti sufficienti di

efficienza).

Enti di piccole dimensioni, certamente, non possono esser capaci di governare funzioni

amministrative che non hanno mai gestito, pertanto in tali casi è necessaria una

codecisione dei diversi livelli di governo sul trasferimento da un soggetto ad un altro;

l'adeguatezza non può esser verificata in astratto, ma deve essere accertata in concreto ,

in relazione alla idoneità delle strutture amministrative30. Sicuramente la consultazione

e partecipazione degli enti locali in sede di consiglio delle autonomie locali rappresenta

una delle modalità attraverso cui attuare quanto sopra.

Alla luce di quanto precede, è evidente che i nuovi Statuti regionali hanno innovato

profondamente i principi e gli strumenti di raccordo relativi agli enti locali finora

presenti nei precedenti testi, ma questo è avvenuto soltanto per il semplice effetto del

recepimento dei principi attinenti al nuovo ruolo degli enti locali introdotti dalla riforma

del titolo V della Costituzione (principio di sussidiarietà, attribuzione delle funzioni e

potestà regolamentare, istituzione del consiglio delle autonomie locali).

Infatti più che gli Statuti, è stata la riforma costituzionale che ha introdotto le novità sul

ruolo degli enti locali nell’ordinamento, che gli Statuti medesimi si sono poi limitati a

recepire, senza uno sviluppo significativo dei contenuti, né un effettivo

approfondimento degli stessi; probabilmente perché si tratta di elementi troppo recenti

e non pienamente maturi o assestati nella realtà dell’ordinamento.

29 M. CARLI, Le funzioni di Comuni e Province negli Statuti regionali in “Amministrare”. 30 S. AMOROSINO, Il “Governo del territorio” tra Stato, Regioni ed Enti Locali, in “Rivista giuridica sull'edilizia”.

Page 55: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

55

Peraltro, non risultano neanche particolarmente sviluppati, negli Statuti medesimi, le

forme di garanzia delle competenze riconosciute formalmente agli enti locali, perché di

fatto la Regione, si riserva la possibilità di stabilire il livello degli interessi unitari

regionali, che giustificano il mantenimento delle funzioni in capo a sé, oltre ai criteri e

le modalità di ripartizione delle risorse.

Dunque possiamo dire che l’esperienza statutaria regionale “di seconda generazione”, è

da ritenersi alquanto deludente, atteso che non è stata colta un’occasione nella sua piena

potenzialità, anzi è emersa una effettiva incapacità ed inadeguatezza delle Regioni

relativamente al ruolo di governo dell’azione amministrativa, o forse solo disinteresse e

superficialità, o forse ancora mancanza di programmazione politica da parte della stessa.

A fronte di un riconosciuto ruolo di centralità delle Regioni nel nostro ordinamento, in

realtà, gli Statuti, al di là della formale valorizzazione delle autonomie locali, non

hanno dettato una disciplina capace di incidere concretamente, i principi posti sono

deboli e non sono rigidamente vincolanti per il legislatore regionale.

Numerose sono le criticità e si spera che presto possano essere superate e che gli Enti

Locali possano essere messi in condizione di poter esser titolari effettivi delle loro

funzioni amministrative e non meri portatori di astratte competenze .

Si attende ad oggi l’intervento del legislatore statale sulle materie delle funzioni degli

Enti Locali al fine di adeguarle alla riforma del titolo V della Costituzione nonché la

riforma del codice delle autonomie locali, per ricostruire lo “Stato introvabile” (di cui

parla Cassese) come “Stato sussidiario”.

4.1.2 I principi fondamentali dei rapporti tra Regione ed enti locali

a) Costanti

Da un’analisi degli Statuti Ordinari finora approvati, in materia di rapporti con gli Enti

Locali, ritroviamo certamente un ampio nucleo di disposizioni comuni del nuovo assetto

istituzionale del sistema regionale delle autonomie, che hanno nella maggior parte dei

casi, semplicemente recepito i principi costituzionali introdotti con la riforma del titolo

Page 56: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

56

V, indipendentemente dalle diverse collocazioni geografiche e dalle diverse

composizioni politiche delle maggioranze che li hanno approvato.

Nello specifico è stato rilevato che, in casi piuttosto ricorrenti, gli articoli di apertura

degli statuti, finora approvati, che contengono l’indicazione dei principi e delle finalità

generali che dovrebbero orientare l’azione delle Regioni, si sono risolti nella mera

riproduzione o parafrasi delle disposizioni costituzionali o addirittura in trapianti di

pezzi del Titolo V, (cloni statutari di norme costituzionali).

Molte di queste disposizioni sostanzialmente le ritroviamo invariate in quasi tutti i testi

degli Statuti o nella loro maggioranza.

Il primo elemento ricorrente è sicuramente costituito da un ampio riconoscimento di

principio del ruolo degli enti locali nell’ordinamento regionale e del loro concorso alle

scelte politiche, programmatiche e legislative della Regione (tranne Marche ed Umbria).

Mentre, nella maggior parte dei casi, le disposizioni statutarie non sembrano

intenzionati a garantire una effettiva ripartizione delle funzioni amministrative.

Sono poi richiamati in tutti gli Statuti (tranne l’Abbruzzo) i principi generali che

regolano i rapporti tra Regioni ed enti locali, univoci nel riaffermare che sussidiarietà,

adeguatezza e differenziazione sono alla base dell’ordinamento regionale, anche se

nessuno di essi ha tentato ogni ulteriore approfondimento o specificazione sui contenuti.

Conseguentemente, tutti (ad eccezione della Puglia) valorizzano il conferimento delle

funzioni agli enti locali, la promozione ed il sostegno delle loro forme associative per la

gestione delle suddette funzioni ed il rispetto della loro potestà regolamentare in ordine

all’organizzazione ed allo svolgimento delle stesse, fatta salvo la riserva alla Regione

delle sole funzioni che richiedono un livello unitario di carattere regionale.

Relativamente all’aspetto finanziario, gli Statuti (tranne Marche, Piemonte e Puglia) si

limitano a garantire una generica corrispondenza tra gli oneri derivanti dalle funzioni

conferite agli enti locali e le risorse che la Regione deve trasferire ai medesimi,

rinviando alla legge l’individuazione dei criteri e delle modalità di riparto.

Page 57: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

57

C’è da evidenziare, in conclusione, che quasi tutti gli Statuti, ad eccezione di quelli di

Lazio, Piemonte e Puglia, riservano un apposito titolo al tema dei rapporti con gli enti

locali, sebbene nei lavori preparatori degli stessi, in generale, non si sia registrata da

parte delle Regioni una sorta di propensione a favorire una partecipazione attiva degli

enti interessati al dibattito statutario, se non nelle forme di consultazione effettuate per

lo più nella fase iniziale dei lavori.

b) Variabili

Poniamo ora la nostra attenzione sugli elementi differenziati che ritroviamo

particolarmente in quegli Statuti regionali che hanno maggiormente approfondito ed

arricchito le parti riguardanti il rapporto con gli enti locali.

Prima di tutto appare interessante richiamare alcune proclamazioni statutarie dalle quali

emerge un approccio al sistema Regione quale ente a competenza tendenzialmente

generale, deputato alla cura degli interessi dell’intera collettività sottostante; tali

riferimenti li ritroviamo soprattutto nello statuto abruzzese, delle Marche, della

Lombardia, della Liguria, della Calabria.

Tuttavia, in tali casi, pur avendo la Regione acquisito il ruolo di “ente di riferimento

delle relative comunità, espressione degli interessi del proprio territorio, coordinatore di

un articolato sistema di ordinamenti”, non ha saputo sfruttare a pieno, in sede di

approvazione degli Statuti stessi, l’occasione di disciplinare l’intero assetto del sistema

regionale e di governare il riparto delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di

governo. Sono pochi, infatti, gli Statuti che individuano l’elencazione delle funzioni

regionali e di quelle successivamente da conferire agli enti comunali, secondo il

principio di sussidiarietà.

La maggior parte prevedono il semplice conferimento delle funzioni ai Comuni, facendo

salva la competenza regionale in caso di esigenze unitarie, come ad esempio il Molise,

la Campania, il Piemonte, la Toscana.

Page 58: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

58

Lo Statuto Veneto si distingue per la fortunata previsione che richiede da un lato che il

conferimento delle funzioni avvenga sulla base di “puntuali intese della Regione con i

Comuni, le Province, etc.” riconoscendo anche il primato ai Comuni, dall’altro riserva

tale conferimento alle sole “competenze amministrative necessarie all’autogoverno

locale” ponendosi, apparentemente, contro lo spirito del principio di sussidiarietà.

Analogamente lo Statuto della Lombardia, dopo aver affermato che “la Regione esercita

esclusivamente le funzioni amministrative che richiedono un esercizio unitario”, precisa

che con legge regionale è conferita ai comuni e alle province non ogni funzione

amministrativa, ma “solo ogni funzione di interesse locale” , quasi lasciando intendere

che in mancanza di interesse locale il comune potrebbe essere privato di talune funzioni,

che invece gli potrebbero essere sottratte solo per motivi di adeguatezza e

differenziazione, secondo i principi costituzionali.

I testi statutari delle Regioni dell’Abruzzo, Lazio e Liguria nel trattare il riparto delle

competenze agli enti locali, fanno riferimento al concetto di “delega” di funzioni, un

istituto ritenuto ormai superato dopo la nuova previsione costituzionale del Comune,

quale Ente originariamente titolare della generalità delle funzioni amministrative, anche

se la Regione Lazio è stata molto innovativa nel disciplinare la ripartizione delle

funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo elencando i criteri che vi

presiedono e nel riempire di contenuti concreti il costituzionalizzato principio di

sussidiarietà.

La Regione Liguria poi affronta con particolare attenzione la materia del riparto delle

competenze amministrative, sia pure con un’ingerenza forse lesiva della piena

autonomia degli enti locali, dove avoca alla legge regionale “la determinazione degli

standard e dei requisiti quantitativi e qualitativi” che l'attività amministrativa di detti

enti deve rispettare.

Peculiare è sicuramente lo Statuto della Regione Emilia-Romagna per la previsione di

una verifica degli esiti concreti del conferimento delle funzioni agli enti locali e di una

Page 59: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

59

“durata” del conferimento medesimo, inoltre riempie di contenuto i principi enunciati

di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione.

Negli Statuti delle Regioni dell’Abruzzo, Calabria, Emilia–Romagna, Marche e Liguria

ritroviamo la formulazione esplicita del principio che gli enti locali e la Regione

costituiscono un sistema unitario ed una unitaria comunità politico-istituzionale.

Mentre soltanto Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Toscana riconoscono e valorizzano

espressamente nello Statuto il principio di autonomia degli enti locali.

Uno specifico riferimento alla concertazione, o comunque a forme di confronto o

raccordo di tipo istituzionale tra regione ed enti locali nella determinazione delle

politiche regionali lo fanno, invece, gli Statuti di Calabria, Emilia-Romagna, Toscana e

Umbria.

Solo quattro Regioni (Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Toscana), riproducendo le

disposizioni costituzionali, richiamano le potestà regolamentari degli enti locali

sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni ad essi attribuite.

Infine, il potere sostitutivo regionale nei confronti degli enti locali che risultassero

inadempienti nell’attuazione delle funzioni ad essi conferiti, viene previsto unicamente

dagli Statuti di Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria ed Umbria.

4.2 Le leggi regionali

Alcune fra le regioni in esame – nel dare attuazione nei rispettivi ordinamenti al nuovo

titolo V - hanno manifestato la loro propensione a dettare norme sull’autonomia locale

non solo negli statuti ma anche in leggi ordinarie. La regione che ha inaugurato questa

“stagione” è l’Emilia-Romagna, poi seguita da Umbria e Puglia . Queste leggi – come

si vedrà nell’analisi che segue- appaiono discutibili quando,ad esempio, recano

disposizioni di dettaglio in ordine alle funzioni locali o quando rimettono parte della

disciplina di queste ultime ad atti di natura regolamentare o pararegolamentare.

Page 60: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

60

4.2.1 Il caso della Regione Emilia Romagna

Nel quadro descritto, appare di interesse il caso della Regione Emilia Romagna, ove la

legislazione regionale è intervenuta sul tema dei rapporti con gli enti locali, anticipando

in qualche caso le stesse norme statutarie.

Mentre, infatti, in molte Regioni, in assenza di leggi regionali di esercizio delle nuove

competenze, le disposizioni statutarie possono essere considerate come l’apertura di uno

scenario futuro, nel caso dell’Emilia Romagna esistono leggi che avevano aperto la

strada alle norme statutarie, che si sono spesso manifestate quale consolidamento di

quanto sancito nella legislazione.

Nello specifico, la legge regionale 24 marzo 2004 n. 6 e successive modificazioni,

recante “Riforma del sistema amministrativo regionale e locale, Unione europea e

relazioni internazionali, innovazione e semplificazione, rapporti con l’Università”, viene

emanata quando il nuovo statuto della Regione è ancora in fase di elaborazione:

quest’ultimo verrà promulgato con legge regionale 31 marzo 2005 n. 13 (tale statuto

ha recentemente subito una modifica, con esclusivo riferimento alla riduzione del

numero dei componenti dell’assemblea legislativa, con la legge regionale 27 luglio

2009 n. 12 ).

Nel definire le proprie finalità ed obiettivi, la legge n. 6/2004 afferma di perseguire il

grado più elevato di valorizzazione delle autonomie e, al tempo stesso, di raccordo ed

armonia del sistema (art. 1). Più precisamente, in tema di rapporti tra Regione ed enti

locali, tra gli obiettivi della legge figurano: la valorizzazione dell’autonomia degli enti

locali, con particolare riferimento a quella normativa chiarendone i rapporti con le fonti

regionali (art. 1, punto 2, lettera b); l’adeguamento della disciplina della Conferenza

Regione – Autonomie locali alla prospettiva della creazione del Consiglio previsto

dall’art. 123, comma 4 della Costituzione (art. 1, punto 2, lettera c); il rafforzamento

degli strumenti di integrazione e concertazione tra diverse istituzioni e diverse politiche,

al fine di offrire ai cittadini prestazioni ed interventi organicamente coordinati (art. 1,

punto 2, lettera d); l’attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà,

Page 61: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

61

differenziazione ed adeguatezza, valorizzando particolarmente le forme associative tra

Comuni, tenendo conto delle specificità delle realtà montane, nonché considerando la

peculiarietà dell’Area metropolitana bolognese e del Circondario di Imola (art. 1, punto

2, lettera e); il superamento dei controlli preventivi di legittimità e l’introduzione di

forme di comunicazione, supporto e monitoraggio condiviso tra Regione ed enti locali

(art. 1, punto 2, lettera g).

Quindi l’attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione ed

adeguatezza viene elencato tra gli obiettivi della legge (art. 1, punto 2, lettera e).

Sotto il profilo della distribuzione delle funzioni, esplicito è il richiamo di tali principi

anche nello statuto, il quale all’art. 26, comma 2 afferma che “la disciplina dei rapporti

con gli enti locali si ispira ai principi di autonomia, sussidiarietà, differenziazione ed

adeguatezza”. In particolare, nel citato comma la sussidiarietà viene evocata anche per

limitare le funzioni da attribuire alla Regione, allorchè si afferma che quest’ultima

“esercita, ai sensi dell’art. 118 della Costituzione, le funzioni amministrative che

richiedano un esercizio unitario a livello regionale, riguardando obiettivi che non

possono essere realizzati dagli Enti locali o che per le loro dimensioni organizzative e

per gli effetti sui cittadini debbano essere perseguiti a livello regionale” (art. 26, comma

2, lettera a). I principi della differenziazione ed adeguatezza sono posti in stretta

correlazione con la valorizzazione delle forme associative degli enti locali (art. 26,

comma 2, lettera b).

Per quanto concerne la tipologia di funzioni, si ritiene opportuno segnalare i dubbi

interpretativi derivanti dall’art. 24, comma 4 dello statuto regionale, il quale,

nell’affermare che la Regione nell’ambito delle proprie competenze “disciplina le

modalità di conferimento agli Enti locali di quanto previsto dall’art. 118 della

Costituzione”, prevede poi “finalità e durata dell’affidamento” nonché il collegamento a

“forme di consultazione, ai rapporti finanziari ed agli obblighi reciproci”. Pare qui di

interesse riportare la tesi secondo la quale, considerata la distinzione tra attribuzione e

delega di funzioni, il termine “conferimento” è da impiegarsi solo quando si intenda

Page 62: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

62

fare indistinto riferimento ad entrambi i tipi di assegnazione delle funzioni, come aveva

fatto la legge n. 59/1997, antecedente immediato del nuovo testo costituzionale31;ciò

premesso, il nuovo titolo V della Costituzione, in diverse occasioni, parla in modo

qualificato di funzioni “attribuite”, correlando alle stesse importanti conseguenze

giuridiche, tra le quali l’autonomia normativa (regolamentare) di cui all’art. 117, comma

sesto, Cost., in relazione all’organizzazione ed allo svolgimento delle funzioni stesse da

parte degli enti locali; tale autonomia non avrebbe senso invece per le funzioni delegate

agli enti locali dallo Stato o dalla Regione, i quali conservano per tali funzioni ,

essendone titolari, non solo il potere legislativo, ma anche quello regolamentare. Così,

con riferimento al profilo finanziario, il principio di integrale copertura con risorse

autonome è affermato per finanziare le “funzioni pubbliche loro attribuite” (art. 119

Cost.), mentre non vale per le funzioni delegate; ugualmente, in tema di controlli, se

quelli esterni sono da ritenersi soppressi per le funzioni attribuite, coerentemente con la

piena autonomia degli enti locali riguardo al loro esercizio, ciò non è valido per le

funzioni delegate, in relazione alle quali il titolare conserva più penetranti poteri di

verifica sull’esercizio, secondo le regole legislative o regolamentari da esso fissate.

La genericità letterale del comma 4 dell’art. 24 dello statuto sembrerebbe da una parte

riferirsi ad un generico “conferimento” comprensivo di attribuzione e delega, dall’altra

ad un conferimento quasi coincidente con la delega, in ragione delle previsioni di “

finalità e durata dell’affidamento” e degli “obblighi reciproci”, elementi che non

troverebbero coerenza con l’attribuzione piena delle funzioni (a tempo indeterminato,

con integrale copertura finanziaria e senza obblighi reciproci). Accogliendo la seconda

interpretazione, sorge il dubbio che lo statuto interpreti l’art. 118 Cost. nel senso di una

netta distinzione tra le funzioni proprie, ossia le funzioni fondamentali attribuite dalla

legge statale in sede di determinazione delle funzioni fondamentali, ed il conferimento,

inteso come delega; ciò comporterebbe, nella lettera dell’art. 24, comma 4, che la

legislazione regionale potrebbe solo “conferire”, nel senso di “delegare” funzioni. Tale

31 F. MERLONI “ I rapporti tra Regione ed enti locali nel nuovo statuto della Regione Emilia Romagna”, in “Istituzioni del federalismo”, n. 1, 2005, pag. 102.

Page 63: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

63

conclusione sarebbe però troppo limitativa, poiché la legislazione regionale, con

l’ampliamento dei propri ambiti di competenza, deve poter attribuire funzioni a pieno

titolo.

Qualora invece si ritenesse valido il significato di conferimento inteso come

comprensivo di attribuzione e delega, l’art. 24, comma 4 dello statuto si rivelerebbe

troppo espansivo dei poteri regionali; se infatti il conferimento comprende anche

l’attribuzione, per tutte le funzioni “conferite” si aprirebbe uno spazio di negoziazione

con l’ente locale che, per le funzioni attribuite, la Costituzione non prevede; negoziare

un “conferimento/delega” rappresenta uno strumento di protezione dell’ente locale

dall’assegnazione di una funzione non gradita, ad esempio perché non assistita da

adeguate risorse finanziarie, mentre negoziare un’attribuzione di funzioni potrebbe

significare una diminuzione dell’autonomia normativa, finanziaria e di esercizio che la

Costituzione ha previsto.

Al riguardo si è ritenuto che l’art. 24, comma 4 dello statuto sia stato posto solo per

disciplinare i casi di conferimento di funzioni coincidenti con la delega e che esso si

applica ai soli casi in cui, una volta effettuata l’attribuzione delle funzioni in

applicazione della sussidiarietà, l’ente che risulta titolare(nel caso specifico la Regione)

decida di delegarne l’esercizio32. La norma in esame non riguarderebbe quindi il diverso

potere regionale di attribuire funzioni agli enti locali, che la Costituzione ha

riconosciuto alla Regione.

Nella suddetta direzione sembra muoversi la sentenza n. 379 del 2004 della Corte

Costituzionale, la quale, nel ricorso proposto dal Governo avverso lo statuto della

Regione Emilia Romagna, fa salvo l’art. 24, comma 4 dall’eccezione di illegittimità di

un conferimento a termine di funzioni agli enti locali, proprio sostenendo la netta

distinzione tra funzioni “proprie” e funzioni “conferite”, queste ultime da assimilarsi

alle funzioni delegate, che possono essere conferite a termine e sottoposte a controlli

non ammissibili per le funzioni proprie.

32 F. MERLONI, opera cit., pag. 104;

Page 64: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

64

La confusione terminologica, peraltro, si ripete nella legge n. 6/2004, che all’art. 12 “da

un lato parla, correttamente, di attribuzione di funzioni ai Comuni (comma 1) e

dall’altro impiega il termine conferimento come perfettamente equivalente ad

attribuzione (commi 2 e 3)”33.

Il titolo II della legge n. 6/2004, denominato “sistema delle autonomie locali”, disciplina

al Capo I i poteri normativi degli enti locali ed il loro rapporto con la legge regionale,

nonché gli strumenti di cooperazione per il governo locale. Sotto il primo profilo, la

norma di riferimento è l’art. 8, il quale al comma 1 stabilisce che “nelle materie di

competenza legislativa regionale, gli Enti locali esercitano la potestà regolamentare ai

sensi dell’art. 117, comma sesto della Costituzione, in ordine all’organizzazione ed allo

svolgimento delle funzioni dell’ente locale, nel rispetto dei limiti fissati dalla legge

regionale al fine di assicurare i requisiti minimi di uniformità, con particolare

riferimento ai diritti civili e sociali”.

Il comma 2 dell’art. 8 afferma poi che “ le disposizioni contenute in regolamenti della

Regione cessano di avere efficacia, nell’ordinamento degli Enti locali interessati, con

l’entrata in vigore del regolamento locale”.

La competenza legislativa regionale nell’organizzazione e nello svolgimento delle

funzioni attribuite agli enti locali trova un limite nella potestà regolamentare degli enti

locali stessi ex art. 117, comma sesto Cost.; il potere regolamentare locale deve

disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni dell’ente, le quali

necessitano, per la loro concreta individuazione, dell’intermediazione di un atto

legislativo. Nell’art. 8 della legge n. 6/2004 l’autonomia normativa degli enti locali

viene riconosciuta, ma la stessa è circoscritta al rispetto dei limiti fissati dalla legge

regionale “al fine di assicurare i requisiti minimi di uniformità, con particolare

riferimento ai diritti civili e sociali”. Significativo appare quest’ultimo richiamo ai diritti

33 F. MERLONI, opera cit., pag. 105.

Page 65: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

65

civili e sociali, la cui garanzia unitaria è stato ritenuto il compito principale della

legge34.

Quanto al rapporto tra legge regionale, regolamenti regionali e regolamenti locali

occorre tener presente la posizione assunta al riguardo dalla Corte Costituzionale;

quest’ultima ha infatti individuato una riserva di competenza regolamentare degli enti

locali nei confronti dei regolamenti regionali, ma non della legge regionale, la quale

può, in presenza di specifiche esigenze unitarie, intervenire per garantire uniformità

nello svolgimento delle funzioni locali35. Il regolamento regionale non può invece

invadere l’ambito normativo locale, nemmeno in via suppletoria e cedevole36. A tal

proposito, il legislatore della Regione Emilia Romagna, con la norma di cui all’art. 8,

comma 2, della legge n. 6/2004, pare discostarsi dalla predetta posizione, quando

prevede la cessazione dell’efficacia dei regolamenti regionali solo con l’entrata in

vigore dei regolamenti locali; si può forse supporre, nella fattispecie, come si vedrà

anche per la Regione Umbria, che il legislatore regionale abbia voluto evitare, in

assenza dei regolamenti locali, vuoti normativi nella disciplina di importanti funzioni.

Quanto al governo locale, si deve osservare come il perseguimento della realizzazione

di un sistema di raccordo delle autonomie locali sia espressione della consapevolezza

della Regione della necessità di “fare sistema” con gli enti locali, nel principio della

leale collaborazione, ai fine dell’attuazione delle politiche regionali.. In tale ottica, la

legge n. 6/2004 riserva grande attenzione alle forme di cooperazione tra i diversi livelli

di governo nell’attuazione delle politiche e degli interventi, con particolare riferimento

agli strumenti di integrazione e concertazione fra diverse istituzioni e diverse politiche,

finalizzati ad offrire ai cittadini prestazioni coordinate. Il principio di integrazione e

quello di concertazione sono menzionati negli artt. 9 e 10 della legge. L’art. 9 pone il

principio di integrazione a fondamento dell’intervento legislativo della Regione e della

disciplina sul conferimento delle funzioni amministrative a livello locale, con

34 F. MERLONI, opera cit., pag. 107. 35 Corte Cost., sentenza n. 372/2004. 36 Corte Cost., sentenza n. 246/2006.

Page 66: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

66

particolare riferimento all’integrazione tra le politiche sociali, territoriali ed

economiche. L’art. 10, comma 1 connota la concertazione con Comuni, Comunità

montane, Unioni di Comuni ed Associazioni intercomunali quale strumento attraverso il

quale le Province adottano gli atti di pianificazione e di indirizzo previsti da leggi

regionali. Con tale disposizione, la Regione dà impulso all’attività di raccordo tra

Province ed autonomie locali ubicate negli ambiti territoriali della Province stesse,

prevedendo altresì al comma 2 che lo statuto delle Province disciplini le modalità di

svolgimento della concertazione di cui al comma 1. Il principio di concertazione ex art.

10 assume rilevanza anche sotto il profilo delle risorse finanziarie degli enti locali, in

quanto il comma 3 del citato articolo prevede che la Regione fissi forme di preferenza e

incrementi per trasferimenti di risorse finanziarie alle Province, destinati all’erogazione

di contributi a favore degli enti locali, nei casi in cui per l’individuazione dei criteri e

delle modalità per l’erogazione di tali contributi sia stata effettuata la concertazione ai

sensi del comma 1.

Sul tema del governo locale e della collaborazione tra Regione ed enti locali, di spessore

appare anche la previsione dell’art. 11 della legge n. 6/2004: essa stabilisce che le

funzioni di più conferenze o altri organismi collegiali, istituiti in ambito provinciale o

sub provinciale in base a legge regionale, in particolare nelle materie del trasporto

pubblico locale, della sanità, dei servizi sociali, della gestione dei rifiuti, della tutela

dell’ambiente, e composti da rappresentanti degli enti locali, possano essere unificate in

capo ad un unico organismo collegiale “composto nei modi e nelle forme definiti da

accordi tra la Regione e gli enti locali rappresentati”. Gli accordi disciplinano, nello

specifico, la composizione, le modalità di esercizio delle competenze e quelle di

funzionamento, l’organizzazione e le competenze stesse. Sono anche previsti eventuali,

successivi accordi tra gli enti rappresentati per la disciplina degli aspetti patrimoniali e

finanziari.

Particolare attenzione viene posta poi dalla legge regionale n. 6/2004 e successive

modificazioni alla valorizzazione delle forme associative degli enti locali, le quali

Page 67: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

67

assumono un ruolo decisivo ai fini dell’attuazione dei principi di differenziazione ed

adeguatezza ex art. 118 Cost..

In merito occorre premettere che la Regione Emilia Romagna , a pochi mesi dall’entrata

in vigore della legge costituzionale n.3/2001, ha emanato la legge 26 aprile 2001 n. 11,

con la quale è stata adottata una compiuta disciplina dell’associazionismo locale;

l’elemento maggiormente caratterizzante della legge n. 11/2001 (art. 8) è dato

dall’introduzione della fattispecie delle Associazioni intercomunali, finalizzate alla

gestione associata di una pluralità di funzioni e servizi propri dei Comuni. Tali

Associazioni non hanno personalità giuridica ed operano tramite convenzioni dotate di

uffici comuni, ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali).

Esse sono costituite con conformi deliberazioni dei consigli comunali, con le quali sono

approvati l’atto costitutivo ed il regolamento dell’Associazione; quest’ultimo disciplina

sia gli organi dell’Associazione medesima che le funzioni. L’istituzione

dell’Associazione è dichiarata con decreto del Presidente della Regione.

La norma di riferimento per le forme associative locali nella legge n. 6/2004 è data

dall’art. 12 il quale, dopo aver richiamato al comma 1 i principi di differenziazione ed

adeguatezza nell’attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni “tenendo conto

della loro dimensione associativa”, stabilisce al comma 2 che la legge regionale possa “

prevedere specifici conferimenti ai Comuni capoluogo, ai Comuni ed alle Unioni di

Comuni, con popolazione superiore ai 50.000 abitanti e al Circondario di Imola, in

ragione delle loro specifiche caratteristiche territoriali ed organizzative”; il comma 3

detta poi la disposizione secondo la quale “le funzioni amministrative conferite ai

Comuni, quando la legge regionale fissa requisiti demografici, organizzativi o di

estensione territoriale per il loro esercizio, sono esercitate, per i Comuni che non li

raggiungono, dalle Unioni e dalle Comunità montane, nonché dalle Associazioni

intercomunali che rispettino tali requisiti e che espressamente deliberino di accettare”.

Nell’ipotesi del comma 2 la Regione si riserva la possibilità di conferire specifiche

funzioni ad enti locali individuati in base alle loro caratteristiche territoriali e

demografiche, mentre nell’ipotesi di cui al comma 3 il conferimento delle funzioni

Page 68: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

68

amministrative ai Comuni nella loro generalità, qualora la legge regionale fissi requisiti

demografici, organizzativi o territoriali, viene condizionato esplicitamente al

soddisfacimento di tali requisiti, in mancanza dei quali è reso obbligatorio il ricorso alle

forme associative; ciò si ricava, per differenza, anche dall’art. 13, che prevede il ricorso

facoltativo alle forme associative quando la legge non stabilisce questi requisiti37.

Incisiva appare anche la previsione del comma 2 dell’art. 13, in forza della quale, con

riferimento ai Comuni ricompresi in Associazioni intercomunali, la legge regionale può

condizionare l’esercizio delle funzioni ad una durata minima dell’accordo associativo. Il

conferimento delle funzioni ai Comuni con il vincolo dell’esercizio da parte della forma

associativa diventa operativo a seguito dell’accettazione da parte della forma associativa

stessa.

Anche per le forme associative, sono previsti criteri preferenziali da parte della Regione

circa l’erogazione di contributi ai Comuni, per gli interventi posti in essere dalle Unioni

di Comuni, dalle Comunità montane e dalle Associazioni intercomunali “tenendo conto

della densità demografica dei territori”, in particolari settori (art. 14).

Una peculiare forma associativa locale è poi il Nuovo Circondario Imolese (art. 23);

l’articolo prevede che i Comuni già facenti parte del Circondario di Imola istituito ai

sensi dell’art. 6 dello statuto della Provincia di Bologna possono istituire una forma

speciale di cooperazione, finalizzata all’esercizio associato di funzioni comunali ed al

decentramento di funzioni provinciali, denominato, per l’appunto, Nuovo Circondario

Imolese. La forma associativa in questione è ente pubblico con personalità giuridica,

dotato di autonomia organizzativa e funzionale, di autonomia normativa in relazione

alle funzioni ad esso conferite, di autonomia contabile e di bilancio nell’ambito delle

risorse ad esso attribuite dai Comuni, dalla Provincia e dalla Regione. L’art. 23 afferma

infine che a tal ente si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di enti

locali. Le funzioni esercitate dal Nuovo Circondario Imolese, ai sensi dell’art. 24 della

legge n. 6/2004, sono quelle ad esso conferite da tutti i Comuni del Circondario, quelle

37 F. MERLONI, opera cit., pag. 111;

Page 69: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

69

conferite dalla Provincia, a qualsiasi titolo esercitate, e quelle eventualmente conferite

dalla Regione. Il Nuovo Circondario Imolese concorre poi, nelle materie conferitegli

dalla Provincia, alla formazione di atti di programmazione e pianificazione provinciale

in rappresentanza degli interessi del proprio livello territoriale. Il Nuovo Circondario

Imolese è dotato di uno statuto, che disciplina gli organi dell’ente, ne individua le

funzioni, disciplina i rapporti con gli altri enti operanti nel territorio.

Gli artt. 17 – 21 della legge n. 6/2004 sono dedicati alle Comunità montane, per le quali

qui si ricorda che la loro disciplina è stata modificata dalla legge regionale 30 giugno

2008 n. 10, ai fini dell’attuazione dei principi statali contenuti nella legge finanziaria

2008, diretti ad una razionalizzazione di tali enti locali.

La tendenza regionale ad intervenire in materia di forme associative è correlata alle

pronunce con cui la Corte Costituzionale ha inquadrato, dopo la novella del 2001, la

posizione delle Comunità montane. Secondo il giudice delle leggi, l’estromissione dagli

elenchi tassativi delle istituzioni locali costituzionalmente rilevanti comporta che gli

enti montani ricadano nella potestà residuale delle Regioni, anche per gli aspetti che

l’art. 117, comma 2, lettera p, Cost. riserva allo Stato nei confronti di Comuni, Province

e Città Metropolitane e che non godano delle stesse garanzie previste per i soggetti

costitutivi della Repubblica. In relazione a tale orientamento potrebbe osservarsi che le

forme associative non rappresentano livelli di governo a sé stanti, ma proiezioni dei

soggetti che vi confluiscono per l’esercizio di funzioni “ab origine” locali; esse quindi,

condividendone la natura, dovrebbero godere delle medesime garanzie che la

Costituzione appresta agli enti locali “uti singuli”, a maggior ragione nelle ipotesi di

associazionismo obbligatorio: come è stato osservato “diversamente opinando, infatti, la

sottrazione alla libera volontà locale della scelta di associarsi si risolverebbe in una

deminutio dei poteri che comuni, province e città metropolitane si vedono attribuiti dal

nuovo titolo V”38.

38 L: CASTELLI – M. DI FOLCO “opera cit.

Page 70: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

70

Uno degli aspetti sui quali la legge regionale n. 6/2004 assume un ruolo capofila è

quello dei controlli sull’attività degli enti locali.

In ordine a tale argomento occorre premettere che la riforma costituzionale pare aprire

la strada ad una valorizzazione del ruolo regionale di verifica nei confronti dei predetti

enti, per cui sembrerebbe ragionevole ritenere di competenza regionale l’eventuale

disciplina di tale verifica. Con ciò non si intende che la Regione possa reintrodurre le

tradizionali forme di controllo soppresse dalla riforma, per cui non sarebbe più

ipotizzabile un controllo basato sull’autorità di un ente superiore nei riguardi degli enti

locali, con la previsione di meccanismi sanzionatori, di annullamento di atti non

conformi alla legge. La soppressione di tali controlli, derivante anche dal passaggio da

un’amministrazione “per atti” ad una “di risultati”, impone la necessità di considerare

nuove forme di verifica da parte della Regione la quale da un lato riveste un importante

ruolo nel processo di distribuzione di funzioni tra gli enti, dall’altro dovrebbe disporre

di strumenti di monitoraggio sull’esercizio della funzione attribuita ad un determinato

ente, allo scopo di garantire un adeguato grado di uniformità a livello regionale e

verificare, a posteriori, l’effettivo esercizio della funzione attribuita, secondo i principi

di economicità, efficacia ed efficienza. Si afferma a tal proposito che “le verifiche

dovrebbero pertanto riguardare due aspetti dell’esercizio della funzione attribuita: la

corretta gestione delle risorse per esercitarla ed il raggiungimento di risultati prestabiliti

attraverso tale esercizio”39; ciò comporta come conseguenza una maggiore

responsabilità da parte degli enti che esercitano la funzione amministrativa, anche in

considerazione dei sempre più stringenti vincoli di finanza pubblica.

La previsione di un sistema conoscitivo e di nuove forme di verifica dell’esercizio delle

funzioni conferite agli enti locali sembrerebbe quindi conforme al dettato costituzionale;

d’altra parte, tale verifica, finalizzata a considerare l’adeguatezza delle funzioni

esercitate, è legata alla successiva possibilità della Regione di riallocare le funzioni

39 G. MARCHETTI “Il governo sul territorio attraverso il principio di collaborazione tra Regione ed enti locali”, in Centro Studi sul Federalismo – Research Paper – giugno 2010, pag. 27.

Page 71: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

71

stesse ad un altro ente, dotato delle adeguate risorse finanziarie, umane ed

organizzative.

Per quel che riguarda la legge n. 6/2004, si rileva in primo luogo che l’art. 29 ha

soppresso sia il controllo sugli atti degli enti locali, a seguito dell’abrogazione dell’art.

130 Cost. che tali controlli prevedeva, sia il Comitato Regionale di controllo.

Ma la disposizione di maggior portata innovativa, in relazione a quanto sopra illustrato,

è quella dell’art. 27, inserito nel Capo V della legge, intitolato “forme di conoscenza,

monitoraggio e supporto al sistema delle autonomie locali”. Come annunciato dal citato

titolo, il Capo in argomento persegue l’obiettivo di predisporre strumenti di conoscenza

e di circolazione delle informazioni dirette a consentire alla Regione ed a tutto il sistema

delle autonomie locali di esercitare le proprie funzioni. A tal fine, è prevista una

procedura a mezzo della quale la Regione raccoglie ed elabora dati ed informazioni di

carattere generale che riguardano l’attività delle autonomie locali. Alla definizione della

procedura volta al monitoraggio dei dati è garantita la partecipazione degli enti locali: il

comma 2 dell’art. 27, infatti, attribuisce alla Conferenza Regione – Autonomie locali

(l’antecedente di quello che poi sarà il Consiglio delle Autonomie Locali ex art. 123

Cost.) il compito di individuare indicatori, criteri di rilevazione e metodologie al fine di

analizzare gli effetti delle politiche regionali sul sistema delle autonomie territoriali; tali

elementi (indicatori, criteri e metodologie) si riferiscono in particolare all’analisi dei

dati relativi alla finanza regionale e locale ed alle indagini volte alla valutazione

dell’impatto organizzativo, economico e finanziario delle funzioni conferite. In base a

tali indicazioni, la Regione raccoglie ed elabora i dati e le informazioni che riguardano

l’attività delle autonomie locali, anche tramite protocolli d’intesa con le associazioni di

queste ultime (commi 3 e 7). Gli enti locali devono trasmettere alla Regione copia del

bilancio di previsione e del conto consuntivo entro trenta giorni dall’approvazione dei

competenti organi, nonché ogni altra documentazione richiesta ai fini del monitoraggio

(comma 4), sulle cui risultanze la Giunta Regionale presenta una relazione periodica

alla Conferenza Regione- Autonomie locali. Sulla base dei risultati del monitoraggio,

inoltre, la giunta Regionale elabora proposte per l’adeguamento della normativa, il

Page 72: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

72

riordino dell’apparato amministrativo e la revisione delle procedure amministrative

della Regione “verificando che i conferimenti di funzioni agli enti locali siano sorretti

da adeguate risorse finanziarie, strumentali ed umane” (art. 27, comma 6).

In ordine alla Conferenza Regione-Autonomie locali l’art. 31 della legge n. 6/2004 ne

prevede la soppressione alla data di insediamento del Consiglio delle Autonomie Locali,

il nuovo organo previsto dall’art. 123 della Costituzione quale luogo di confronto tra la

Regione e le autonomie locali. Tale organo è stato istituito dalla Regione Emilia

Romagna con legge regionale 9 ottobre 2009 n. 13.

Le suddette norme concernenti forme di verifica dell’attività degli enti locali si pongono

a garanzia dei cittadini, ma anche degli stessi enti locali, indotti da una analisi costante,

basata su indicatori che, come si è visto, non sono imposti, ma condivisi, a rimediare

alle più rilevanti disfunzioni evidenziate dalle attività di conoscenza e monitoraggio.

D’altro canto, la previsione di strumenti di verifica sull’esercizio delle funzioni

conferite dovrebbe rappresentare il presupposto per una trasformazione delle Regioni da

enti di gestione ad enti di governo: in assenza di tali strumenti, infatti, le Regioni

appaiono restie a rinunciare all’amministrazione diretta delle funzioni medesime. In tale

ottica, la Regione Emilia Romagna si colloca, con la disciplina dettata dalla legge n.

6/2004, in posizione di capofila.

Una traccia di questa nuova visione dei controlli si ritrova anche nello statuto, il quale

all’art. 60, comma 4 prevede che” nelle forme stabilite dalla legge, la Regione verifica

la realizzazione dei programmi la cui attuazione è demandata agli enti locali, nel rispetto

dell’autonomia degli stessi”. Nell’assunto emerge la consapevolezza che le politiche

regionali vengono attuate con il pieno concorso degli enti locali, che sono escluse forme

di sovra ordinazione gerarchica o, peggio, poteri di controllo o di sanzione, mentre

pienamente legittimi sono i poteri di verifica, destinati a correggere politiche e strumenti

attuativi, ma sempre nel rispetto dell’autonomia degli enti locali, e, ove possibile, con il

loro consenso.

Page 73: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

73

La soppressione dei controlli esterni è collegata alla nuova posizione di autonomia,

anche normativa, degli enti locali in rapporto alle funzioni loro attribuite; diverse

valutazioni si pongono però con riferimento a quelle delegate, in cui il soggetto

delegante, conservando poteri regolamentari e di indirizzo sull’esercizio delle funzioni,

manterrebbe anche strumenti di controllo.

Per quanto concerne le funzioni delegate, occorre tornare al dettato del comma 4

dell’art. 24 dello statuto, che prevede per le funzioni “conferite” la possibilità di

disciplinare “le modalità di verifica dell’esercizio delle funzioni e di utilizzazione delle

risorse assegnate”. La verifica ivi prevista sembrerebbe uno strumento più penetrante

delle attività di conoscenza e monitoraggio, per cui apparirebbe confortata

l’interpretazione secondo cui la norma si riferisce alle funzioni delegate e non a quelle

attribuite. Per queste ultime valgono solo le forme di trasparenza previste dalla legge n.

6/2004, mentre per le funzioni delegate possono esservi forme di verifica che

contengano conseguenti provvedimenti, pur senza portare alla reintroduzione di

meccanismi di controllo.

Al tema dei controlli da parte della Regione sull’esercizio delle funzioni conferite agli

enti locali, al fine di valutarne l’adeguatezza, si collega un altro aspetto toccato dalla

legge n. 6/2004: quello del potere sostitutivo da parte della Regione nei confronti degli

enti locali “nel rispetto del principio della leale collaborazione”.

Alla verifica dell’esercizio delle predette funzioni è infatti legata, come si è detto, la

possibilità per la Regione di riallocare le funzioni stesse ad un altro ente o, per

l’appunto, di intervenire in via sostitutiva.

La legittimità dei poteri sostitutivi regionali nei confronti degli enti locali è stata

riconosciuta dalla Corte Costituzionale a partire dalle sentenze n. 313/2003 e n. 43/2004

e con la successiva costante giurisprudenza, con l’evidenziazione, tuttavia, della

necessità di adottare adeguate garanzie procedurali, in conformità al principio di leale

collaborazione tra Regione ed enti locali, e con l’individuazione di una serie di limiti e

condizioni per l’esercizio di tale potere. In particolare, il giudice delle leggi ha sancito

Page 74: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

74

che l’eventuale previsione di “eccezionali sostituzioni” di un livello di governo ad un

altro può essere fatto rientrare nello schema dell’art. 118 Cost., che consente uno

spostamento di funzioni per assicurarne l’esercizio unitario. Altrimenti secondo la Corte

si avrebbe “l’assurda conseguenza che, per evitare la compromissione di interessi unitari

che richiedono il compimento di determinati atti o attività, derivanti dall’inerzia anche

di uno solo degli enti competenti, il legislatore (statale o regionale) non avrebbe altro

mezzo se non collocare la funzione ad un livello di governo più comprensivo”, ai sensi

dell’art. 118, comma 1, Cost.

La legge regionale dovrebbe perciò prevedere un potere surrogatorio nei confronti degli

enti locali nei casi in cui, nel rispetto del principio di sussidiarietà, sarebbe da

considerare sproporzionato allo scopo un intervento volto a collocare la funzione al

livello di governo di maggiore dimensione.

Come sopra accennato, la giurisprudenza costituzionale ha fissato una serie di limiti e

condizioni per l’esercizio di tale potere, precisando in particolare quanto segue: a) le

ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi devono essere previste e disciplinate dalla legge,

che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali; b) la sostituzione può

prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attività “privi di discrezionalità

nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo) la cui obbligatorietà sia

il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l’intervento sostitutivo;

c) il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo della Regione o

sulla base di una decisione di questo; d) la legge deve definire le garanzie

procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in conformità al principio di leale

collaborazione, con la previsione di un procedimento nel quale l’ente sostituito venga

comunque posto in grado di interloquire, anche al fine di evitare la sostituzione

attraverso l’autonomo adempimento.

Al dettato costituzionale sembra conformarsi la legge regionale n. 6/2004, la quale

all’art. 30, punto 1 stabilisce che “nelle materie di propria competenza legislativa la

Regione, nel rispetto del principio di leale collaborazione, esercita il potere sostitutivo

Page 75: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

75

sugli enti locali nei casi in cui vi sia una accertata e persistente inattività nell’esercizio

obbligatorio di funzioni amministrative e ciò sia lesivo di rilevanti interessi del sistema

regionale e locale”. Il punto 2 dell’articolo pone in evidenza come gli enti locali,

nell’ottica del principio di leale collaborazione, siano chiamati a concorrere alla

procedura finalizzata all’adozione dell’atto posto in essere in via sostitutiva dalla

Regione: la Giunta Regionale, infatti, chiama ad esprimersi sulla sussistenza dei

presupposti per l’esercizio dei poteri sostitutivi una commissione di esperti designati

dalla Conferenza Regione – Autonomie locali ed assegna all’ente inadempiente un

termine per provvedere, decorso il quale “e sentito l’ente interessato” la Regione, anche

attraverso la nomina di un commissario, pone in essere gli atti in via sostitutiva. Di tali

atti la Regione medesima dà comunicazione alla stessa conferenza Regione –

Autonomie locali.

4.2.2 Il caso della Regione Umbria

Anche nel caso dell’Umbria si assiste all’approvazione di un organica riforma del

sistema amministrativo regionale e locale sul modello inaugurato già nel 2004 dalla

Regione Emilia-Romagna. La legge regionale 23/2007 della Regione Umbria si collega

esplicitamente alla volontà di realizzare “il massimo livello di valorizzazione delle

autonomie locali, di cooperazione e di leale collaborazione tra le stesse” 40.

Il Titolo II – che qui interessa- si articola in tre Capi : i primi due dedicati all’assetto

delle funzioni amministrative e ai rapporti tra amministrazione regionale e locale,

oggetto del nostro esame; il terzo al cruciale tema delle forme associative tra enti locali,

affrontato soprattutto in una prospettiva di semplificazione istituzionale.

40 Così, testualmente, l’art. 1, comma 1 della l.r. Umbria 23/2007. L’obiettivo enunciato in via generale nel comma 1 viene più compiutamente sviluppato nel comma 2, nel quale il legislatore regionale dichiara di ispirarsi, tra l’altro, alla necessità di attuare i principi di sussidiarietà verticale e orizzontale, cittadinanza sociale, efficienza, economicità, responsabilità, adeguatezza, differenziazione, integrazione; di sviluppare gli organismi di raccordo e coordinamento tra regione e istituzioni locali, a partire dal consiglio delle autonomie locali; di rafforzare gli strumenti di integrazione e concertazione tra diverse istituzioni e diverse politiche (cfr. l’art. 1, comma 2, lett. a), b) e c)).

Page 76: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

76

Quanto al primo tema, la legge umbra introduce disposizioni più stringenti rispetto a

quelle contenute nello Statuto, attraverso la previsione secondo cui le funzioni

amministrative sono attribuite al livello istituzionale più vicino al cittadino tenendo

altresì conto del principio di adeguatezza 41. Vi si trova infatti una precisa delineazione

del ruolo da riconoscere ai comuni, alle province e alla regione. Per la precisione i

comuni, singoli o associati, sono chiamati ad esercitare le funzioni amministrative

proprie, quelle non riservate allo stato, alla regione o conferite alla provincia 42 e anche

quelle relative alla cura degli interessi della comunita’ locale, ampliando cosi’ la

previsione dello statuto che all’art.26, fra le funzioni comunali, non aveva previsto

anche queste ultime.

La dotazione funzionale degli enti di base è pertanto di tipo completo e non limitata ai

compiti afferenti agli interessi delle comunità di riferimento; essa si estende anche a

quelli comunque localizzabili in base al principio di adeguatezza e dunque non riservati

agli enti territoriali di più ampia circoscrizione.

Per quanto riguarda le province, a differenza di quanto previsto dal nuovo art. 118,

queste esercitano le funzioni amministrative proprie e quelle conferite con legge statale

e regionale mentre non vi è traccia dei compiti relativi alla cura degli interessi delle

comunità di riferimento, come diversamente accade per i comuni.

Per quanto riguarda la Regione, al di là dei compiti di programmazione e di

coordinamento43, essa si riserva, con una previsione di carattere eccezionale, anche le

funzioni di amministrazione attiva che richiedono l’esercizio unitario a livello

regionale44.

41 Art. 8, comma 1, l.r. Umbria 23/2007. E’ utile precisare che l’art. 26 dello statuto umbro, il quale disciplina i conferimenti di funzioni amministrative nel quadro delle disposizioni dedicate al rapporto tra regioni ed enti locali, non è altrettanto esplicito nel rimarcare la necessità che beneficiarie dei processi allocativi siano soprattutto le amministrazioni locali. 42 Art. 2, comma 1, l.r. Umbria 23/2007. Si tenga presente che l’art. 26, comma 1 dello statuto umbro non contempla, tra le funzioni comunali, quelle di esclusivo interesse della comunità locale. 43 Art. 5 della l.r. Umbria 23/2007. 44 Art. 6, comma 1, l.r. Umbria 23/2007.

Page 77: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

77

Ancora nel Capo II è previsto in capo alla regione un potere sostitutivo (art.16) nonché

di indirizzo e di coordinamento nei confronti degli enti locali (art.15).

A tale proposito è da osservare che, in relazione ai poteri sostitutivi, il legislatore

umbro, sviluppando quanto già contenuto nell’art. 27 dello statuto, si è scrupolosamente

attenuto ai requisiti che la giurisprudenza costituzionale ha a suo tempo considerato

dirimenti ai fini della conformità a Costituzione dell’Istituto . Il potere è infatti previsto

in caso di inerzia dei Comuni e delle Province nell’esercizio delle funzioni

amministrative loro conferite e l’esercizio del potere è affidato alla Giunta Regionale

che adotta gli atti necessari, previa diffida di congruo termine e sentito il CAL.

Diversamente, la disciplina relativa ai poteri regionali di indirizzo e coordinamento

rappresenta un lancio in avanti non trovando essi alcun aggancio nello Statuto umbro;

Vi è tuttavia un tentativo di contenere l’indirizzo e il coordinamento da parte della

Regione nel prevedere che esso sia finalizzato ad assicurare livelli minimi ed uniformi

nell’esercizio delle funzioni conferite agli enti locali.

Si viene ora al rapporto tra legge e regolamenti regionali da un lato e regolamenti locali

sulle funzioni attribuite, dall’altro. Come già richiamato, secondo la corte costituzionale,

i regolamenti locali beneficiano di una riserva di competenza nei confronti dei

regolamenti regionali, ma non della legge regionale; pertanto, mentre la legge regionale

può - ove ricorrano specifiche esigenze unitarie – intervenire ad assicurare requisiti

essenziali di uniformità in ordine allo svolgimento delle funzioni locali, al regolamento

regionale è preclusa la possibilità di penetrare negli spazi rimessi al normatore locale.

Quindi si può anche affermare che i regolamenti locali intrattengono con la legge

regionale un rapporto di concorrenza e con i regolamenti regionali, invece, un rapporto

di separazione. Le regioni possono dunque dettare disposizioni relative

all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni locali con legge ma non con

regolamento, ferma restando l’esigenza che comunque la legge regionale non assuma

contenuti di dettaglio riducendo il regolamento locale al rango di fonte secondaria e di

mera esecuzione delle previsioni legislative.

Page 78: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

78

Se tutto ciò è vero e condivisibile, la disciplina teste’ esaminata e dettata dal legislatore

umbro porta ad alcune riflessioni critiche. Infatti, in primo luogo con l’art.13 si

stabilisce genericamente che il potere regolamentare locale fondato nell’art. 117,

comma 6 cost., è esercitato nel rispetto dei limiti fissati dalla legge regionale; emerge

pertanto la volontà di riconoscere al legislatore regionale una capacità conformativa

pressoché indiscriminata nei confronti dei regolamenti locali, la quale, oltre ad essere

scarsamente in linea con l’impostazione dei giudici costituzionali, risulta finanche

peggiorativa rispetto a quanto statuito dalla L. 131/2003 e dal d.lgs. 267/2000. Infatti la

legge 131/2003 tenta di contenere la portata espansiva della legge (statale e regionale)

nei confronti dei regolamenti locali, limitando la prima all’apposizione delle sole norme

atte ad assicurare requisiti minimi di uniformità in ordine alla disciplina delle funzioni

locali; mentre il d.lgs. 267/2000 richiama i regolamenti locali al rispetto dei principi

legislativi.

In secondo luogo si afferma che i regolamenti regionali disciplinanti le funzioni locali al

momento dell’entrata in vigore della legge, cessano di avere efficacia nell’ordinamento

del singolo ente solo nel momento in cui lo stesso emana proprie norme regolamentari

(art.13). Di nuovo emerge la tendenza ad espandere il ruolo della Regione rispetto agli

spazi dell’ente locale, in conflitto con la posizione della Corte Costituzionale che

ritiene che già dall’entrata in vigore del nuovo Titolo V si produca l’effetto di escludere

che da norme secondarie regionali possano - anche solo temporaneamente – essere

occupati ambiti di competenza normativa di Comuni, Province e Città metropolitane. 45

In difesa del legislatore umbro potrebbe però accorrere l’ipotesi che esso abbia voluto

scongiurare un vuoto di regolamentazione di funzioni così importanti nel caso di ritardi

da parte dell’ente locale nell’esercitare il potere a suo favore previsto dall’art.117,sesto

comma della costituzione.

Nel capo III si affronta la cruciale questione delle forme associative. Cruciale perchè le

inadeguatezze dimensionali e organizzative di molti comuni italiani vanificano, o

45 Cfr. art. 13,comma 2 , l.r .Umbria 23/2007

Page 79: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

79

potrebbero, l’esercizio delle funzioni ad essi riservati, anche in via sussidiaria ,fino a

diventare, in alcuni casi, quello associativo uno strumento vitale per l’attuazione del

nuovo art. 118 cost.

La legge umbra affronta il problema in modo deciso : ben sei articoli (artt.17-22) - che

dettano una disciplina ampia e dettagliata - sono dedicati all’ “Ambito territoriale

Integrato”, lo strumento individuato in una prospettiva di semplificazione istituzionale

(è questo infatti il titolo del Capo III) e finalizzato ad unificare in capo ad un solo,

nuovo soggetto le “funzioni di più enti, consorzi, associazioni, conferenze e/o organismi

comunque denominati composti dai comuni … istituiti in ambito provinciale o sub-

provinciale sulla base di leggi regionali in particolare in materia di sanità, politiche

sociali, gestione di rifiuti, ciclo idrico integrato, turismo…”46.

Il nuovo soggetto, definito “forma speciale di cooperazione tra gli enti locali”, da

istituire con decreto del presidente della giunta regionale, è dotato di potestà statutaria,

personalità giuridica, autonomia regolamentare, organizzativa e di bilancio; esercita le

funzioni conferite dai comuni che ne fanno parte ai fini della gestione associata e le

funzioni dei singoli comuni, mediante convenzione, per una più efficace gestione delle

stesse. Ma non solo. L’ATI esercita anche le funzioni ad esso conferite con legge

regionale nonchè le funzioni attribuite o delegate dalla provincia fra quelle che

quest’ultima esercita a qualsiasi titolo. Se ne ricava, pertanto, che l’ATI agisce non

sempre soltanto quale ente di secondo grado per l’esercizio associato di funzioni e

compiti originariamente comunali, come pur dovrebbe essere se si restasse nella

cornice del dettato costituzionale in tema di organi costitutivi dello Stato,

tassativamente elencati dall’art. 114,co. 1, Cost.

La legge umbra ha invece dato vita ad un soggetto non solo di natura e carattere

associativo ma anche di governo; ciò infatti accade, ad esempio, quando prevede che la

Provincia possa delegare, e anche attribuire, all’ATI funzioni a qualsiasi titolo

46 Cfr. art. 17,comma 1, l.r. Umbria 23/2007

Page 80: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

80

esercitate oppure quando prevede che il singolo comune possa conferirgli sue

competenze per una più efficace gestione.

Tali previsioni sembrano essere meritevoli di una osservazione critica: a ben guardare

proprio non sembra che il legislatore di revisione nel prevedere e favorire le “forme

associative” avesse voluto introdurre e frapporre un nuovo livello di governo, anzi

riservando attenzione a prevedere una netta distinzione fra il ruolo degli Enti di

governo e il ruolo delle eventuali forme associative e di collaborazione fra Enti,

lasciando a queste ultime, così come alle strutture di decentramento, unicamente una

funzione di facilitazione dell’esercizio e della gestione dei compiti di ciascun ente

locale nella ricerca di maggiore efficacia. Con la legge in esame si procede invece

all’attribuzione di competenze così rilevanti ad un soggetto nel quale è assente il

requisito della diretta rappresentatività delle comunità territoriali, da far pensare ad una

tendenza del legislatore umbro verso una deminutio della sussidiarietà.

In conclusione, l’analisi del caso della regione Umbria ha evidenziato – pur in presenza

dell’ affermazione di un impegno alla valorizzazione e alla promozione delle

autonomie - la sua tendenza ad espandere la propria potestà regolamentare oltre i limiti

costituzionalmente consentiti in quanto, come si è visto, i regolamenti locali sono

chiamati al rispetto tout court dei limiti da essi previsti . Tuttavia può affermarsi che

anche questa legge in definitiva si uniforma alla tendenza generale, riscontrata in gran

parte delle regioni, di non conferire funzioni, limitandosi invece a definire le coordinate

entro cui devono muoversi i conferimenti stessi.47

Diversi sono infatti i richiami a successivi processi attuativi. In particolare:

- la regione emana, entro un anno dall’entrata in vigore della disciplina che qui si

commenta, atti legislativi organici di conferimento delle funzioni amministrative

agli enti locali (art. 7,co. 2);

47 Cosi’ L.CASTELLI - M. DI FOLCO “ opera cit.”.

Page 81: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

81

- il presidente della giunta regionale, sulla base dei criteri definiti dalla giunta

regionale e previo parere del CAL, provvede con decreto al trasferimento o

all’assegnazione agli enti locali dei beni di proprietà della regione in misura

corrispondente alle esigenze di esercizio delle funzioni conferite (art.24,co.1 e

4);

- la giunta regionale, sentito il CAL, determina le strutture organizzative ed il

contingente organico di personale da trasferire o assegnare funzionalmente agli

enti locali per lo svolgimento delle funzioni conferite, previo confronto con le

organizzazioni sindacali (art. 25,co.1);

- la regione, fino all’attuazione dell’art. 119 Cost., garantisce le risorse finanziarie

necessarie per l’esercizio delle funzioni conferite.

Infine si tenga presente che l’esercizio delle funzioni conferite è condizionato

dall’effettivo trasferimento delle risorse finanziarie, umane, patrimoniali e strumentali

necessarie .

Pertanto può ragionevolmente affermarsi che anche la legge umbra si risolve in una

legge di rinvio e di riproposizione di principi costituzionali che potrebbe determinare un

pericoloso rinvio, sine die , dell’effettiva attuazione della Riforma, pur se la legge

umbra è l’unica a prevedere il termine di un anno dalla propria entrata in vigore per la

realizzazione dei conferimenti organici di funzioni amministrative agli enti locali.

Il termine risulta tuttavia meramente ordinatorio.

4.2.3 Il caso della Regione Puglia

Anche la regione Puglia si è dotata ,sulla scia dell’Emilia –Romagna e dell’Umbria , di

una legge organica di attuazione del nuovo modello di amministrazione introdotto dalla

riforma in esame rivolta al conferimento di funzioni e compiti amministrativi al sistema

delle autonomie locali.

La legge n.36/2008 detta le norme per garantire agli enti locali l’effettivo esercizio

delle funzioni e dei compiti amministrativi al fine di favorire, in ossequio al principio di

Page 82: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

82

sussidiarietà, l’assolvimento da parte dell’ente territorialmente e funzionalmente più

vicino ai cittadini.

I principi richiamati, a tal fine, sono anche la leale collaborazione, differenziazione,

unicità, adeguatezza, autonomia regolamentare e organizzativa.

Vi è anche un non comune esplicito richiamo al principio di sussidiarietà orizzontale:

l’art. 5 prevede infatti che gli enti locali, ivi comprese le Comunità montane e la

Regione, esercitano le funzioni amministrative sia direttamente sia con ricorso a forme

di autonoma iniziativa da parte dei cittadini, delle formazioni sociali e delle

organizzazioni di volontariato.

Le funzioni e i compiti amministrativi sono quindi svolti dai Comuni ,secondo l’art.

118, ma la regione, anche in questo caso come per le altre Regioni esaminate, se ne

riserva l’esercizio per quelle che , per la loro rilevanza, richiedano un esercizio unitario.

Anche la Puglia non individua quali siano le funzioni con tale caratteristica, lasciandosi

pertanto ampio spazio di intervento; prevede però la sottoscrizione di accordi di

collaborazione con le amministrazioni interessate dai procedimenti amministrativi in tali

materie.

Ancora la Regione, sempre al fine di garantire uno sviluppo unitario del nuovo sistema

delle autonomie locali, per le funzioni conferite , esercita l’attività non solo di

coordinamento e programmazione ma anche di indirizzo e controllo. Come per la

legge regionale Umbra, anche in questo caso la previsione dell’attività di controllo non

sembra avere riferimenti nello statuto pugliese e la relativa disciplina - dettata dall’art. 9

- sembra essere piuttosto incisiva e corposa. Si prevede infatti che la Regione adotti

misure basate su indicatori definiti per la verifica del corretto esercizio delle funzioni

attribuite agli enti locali. Nel processo di definizione degli indicatori viene quanto meno

prevista l’intesa delle autonomie locali. La disciplina prevede un meccanismo di

intervento e sospensione dell’esercizio della funzione conferita , nel caso di

significativo , persistente esercizio inefficace da parte dell’ente attributario. In tale casi

la regione può quindi sospendere con l’affidamento temporaneo ad altro ente

Page 83: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

83

territoriale, secondo il principio di sussidiarietà. Tutto ciò, nell’intento del legislatore ,

e’ finalizzato a realizzare un coordinamento dell’azione complessiva del sistema

amministrativo regionale e locale.

Passando ad esaminare più da vicino il sistema di decentramento delle funzioni e dei

compiti amministrativi - disegnato dall’art. 7- si assiste ad una riproposizione esatta

della norma prevista dall’esaminata legge dell’Emilia-Romagna . Gli enti locali, infatti,

nell’esercizio della potestà regolamentare loro attribuita dall’art. 117,comma 6 , cost.,

(in ordine quindi all’organizzazione e allo svolgimento delle sue funzioni , nelle

materie di competenza legislativa regionale ) devono attenersi al rispetto dei limiti

fissati dalla legge regionale . Come per l’Emilia-Romagna, però, anche in questo caso il

potere conformativo di cui si è voluta dotare la Regione trova un pur flebile confine nel

riferimento particolare ai requisiti minimi di uniformità in materia di diritti civili e

sociali. In ciò quindi le due leggi testè citate si differenziano dalla legge Umbra la

quale, come visto, non pone limiti al suo potere conformativo nei confronti del potere

regolamentare degli enti locali. A tale proposito valgono, naturalmente, le riflessioni già

esposte.

In questo quadro si inserisce l’istituzione di una “Cabina di regia”48 per il

decentramento, previsione originale che non trova altri esempi similari nella normativa

regionale sin qui esaminata. Si tratta di un organo di concertazione, cooperazione e

coordinamento tra Regione e Comuni, Province, Città metropolitana e Comunità’

montane con il compito di raggiungere, sul processo di decentramento amministrativo,

intese di livello interistituzionale attraverso la concertazione e il confronto. Ampi sono

i poteri attribuiti a questo organismo con riguardo al cruciale tema del conferimento di

funzioni e compiti amministrativi agli enti locali : dai pareri obbligatori alle proposte,

in via preventiva, sulle iniziative legislative e sui provvedimenti relativi al

conferimento, all’esame dell’andamento del processo di attuazione del nuovo titolo V,

48 Cfr. art. 8 lg. 36/2008 regione Puglia

Page 84: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

84

fino alla definizione dei livelli territoriali ottimali di cui all’art.33 del Testo Unico delle

Autonomie Locali.

Alla luce dell’esame sin qui svolto sembra di potersi affermare che anche la legge della

Puglia si limiti all’enunciazione di criteri e principi ma rispetto alle altre due regioni

esaminate sembra spingersi più in avanti in materia di previsioni relative alla

ripartizione delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessari all’esercizio delle

funzioni ,che si sostanziano in previsione di dettaglio e non di mera enunciazione, pur

comunque riservandone la decorrenza all’emanazione di appositi decreti del Presidente

della Giunta.

Nelle norme finali e transitorie49, infatti , si conferma la maggiore concretezza della

legge pugliese quando si fissa un termine di centottanta giorni dall’entrata in vigore per

l’adozione dei provvedimenti necessari per il trasferimento delle risorse finanziarie,

strumentali e umane relative all’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi già

conferiti con leggi regionali in materia di agricoltura; tutela ambientale; boschi e

foreste, protezione civile e lotta agli incendi boschivi; energia, miniere e risorse

geotermiche; opere pubbliche, viabilità, trasporti; salute umana e sanità veterinaria.

La propensione a una maggiore concretezza pare confermata anche da una norma

finanziaria50 che si spinge ad istituire un fondo per le spese di funzionamento connesse

all’esercizio delle funzioni conferite in attuazione della legge 59/97,delle leggi Cost.

3/2001 e 131/03 e un ulteriore fondo per l’esercizio delle funzioni trasferite dagli artt.

117 e 118 della Costituzione; il primo e’ alimentato con le risorse trasferite dallo Stato

alle Regioni , il secondo con risorse regionali.

4.3 Un nuovo organo costituzionalmente necessario: il Consiglio delle Autonomie

locali.

4.3.1 Cenni generali

49 Cfr. art. 14 ,comma 3 lg.cit. 50 Cfr. art. 14,comma 1 lg.cit.

Page 85: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

85

Il Consiglio delle autonomie locali è stato previsto dalla legge costituzionale n. 3 del

2001 che ha aggiunto un ultimo comma, il quarto, all'art.123 della Costituzione: “ In

ogni Regione, lo Statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di

consultazione fra la Regione e gli enti locali ”.

La disposizione rappresenta un punto di contatto tra i due tasselli attraverso i quali è

stata realizzata la riforma del titolo V della Costituzione: la legge costituzionale n. 1 del

1999, che ha modificato le disposizioni relative all'autonomia statutaria ed alla forma di

governo regionale, e la l. cost. n. 3 del 2001, che ha inciso in tema di funzioni regionali

e locali.

Quest'ultima non ha apportato modifiche alle norme già oggetto del precedente

intervento, con l'unica eccezione dell'art.7, che, con l'aggiunta del suddetto comma, ha,

nella sostanza, inciso sulla “autonomia statutaria e sulla forma di governo della

Regione”, individuando un nuovo contenuto dello Statuto regionale ed un nuovo organo

che si inserisce nella forma di governo della Regione 51.

La previsione di tale nuovo organismo era già presente nella cd. “bozza Amato”,

presentata al Parlamento nel marzo 1999, ma fu successivamente soppressa nel testo

unificato licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera.

La successiva reintroduzione fu determinata da un fattivo intervento del mondo delle

autonomie locali: la conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome

e le associazioni degli enti locali elaborarono in tal senso un documento, contenente

proposte ed emendamenti al testo unificato, che ha determinato, successivamente,

l'accoglimento, nel testo costituzionale, del nuovo organo52.

Se nel nuovo assetto costituzionale i Consigli delle autonomie locali costituiscono una

novità, nella realtà essi discendono da quegli organi di raccordo tra Regione ed enti

51 T. GROPPI “Un nuovo organo regionale costituzionalmente necessario. Il consiglio delle autonomie localI” in Le Istituzioni del Federalismo, 6.2011, p.1058 ss. 52 A. CHELLINI “ Il Consiglio delle autonomie locali nel dibattito nazionale e nell'esperienza della regione Toscana” in Le Regioni, 2001, pp. 587 ss.

Page 86: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

86

locali che, con varie denominazioni e diverse composizioni e funzioni, erano già stati

costituiti da alcune Regioni.

L'ultimo comma dell'art. 123 della Costituzione è, pertanto, una disposizione che

recepisce, a livello costituzionale, una riforma già realizzata in via legislativa.

Per comprendere l'impatto della nuova disposizione è necessario esaminare,

sinteticamente, il quadro dei rapporti tra Regioni ed enti locali precedente e successivo

alla riforma costituzionale .

4.3.2 La cooperazione fra regioni ed enti locali prima della riforma del titolo V

La Costituzione sancisce fra i suoi principi fondamentali il riconoscimento delle

autonomie locali (art. 5), cui si accompagna la previsione del “più ampio decentramento

amministrativo” per i servizi di competenza statale.

Lo stesso art. 5 pone, inoltre, l'attuazione dell'autonomia e del decentramento fra gli

obiettivi cui deve tendere la legislazione ordinaria, che deve adeguarvi i propri “principi

e metodi”.

Pur se improntato al massimo rispetto per le autonomie locali - qualificate come “enti

autonomi nell'ambito dei principi dettati da leggi dello Stato che ne determinano le

funzioni” (art.128 Cost.) -, il modello delineato dalla Costituzione era quello di uno

Stato “centralistico”, fondato sul principio di separazione delle sfere di competenza tra i

diversi livelli di governo territoriale.

Nel tempo si sono sviluppate, tra le Regioni e gli altri enti locali, peculiari forme di

cooperazione, improntate al principio di “leale collaborazione” elaborato dalla

giurisprudenza della Corte Costituzionale, ed anche sulla spinta della legislazione

statale che, già con l'art 3 della legge n. 142 del 1990, demandava alla legge regionale la

disciplina” della cooperazione dei comuni e delle province tra loro e con le regioni, al

fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo

economico, sociale, civile”.

Page 87: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

87

In tale fase fondamentale erano il ruolo e le iniziative assunte, nel senso di un fattivo

coinvolgimento degli enti locali, da parte della Regione che difatti, come precisato

dalla Corte Costituzionale nella già richiamata sentenza n. 343 del 1991, “costituisce il

centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle autonomie locali”53.

Successivamente, e in modo ancora più incisivo nel senso di un sempre maggiore

rilievo riconosciuto alle autonomie locali, la legge Bassanini, n. 59/97, prevedeva la

possibilità che la Regione, nel processo di conferimento di funzioni alle Province,

Comuni ed altri enti locali, ascoltasse il parere di organi rappresentativi delle autonomie

locali, ove costituiti.

Con il decreto legislativo n.112/1998, il legislatore ha iniziato a definire più

compiutamente i contorni della cooperazione tra enti locali e Regione, imponendo a

quest'ultima di individuare strumenti e “procedure di raccordo e di concertazione,

anche permanenti, al fine di dar luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali,

per consentire la collaborazione e l'azione coordinata tra Regioni ed enti locali,

nell'ambito delle rispettive competenze” 54.

In seguito, il TU degli enti locali ha fortemente attenuato la portata del modello

centralistico di cui all'art 128 della Costituzione - per il quale l'ordinamento e le

funzioni degli enti locali erano riservati allo legge dello Stato - prevedendo ampio

margine di intervento per il legislatore regionale se non in tema di ordinamento, sempre

riservato alla legge statale, quanto meno in tema di attribuzione delle funzioni agli enti

locali55.

53 Cfr. A. PIZZORUSSO ( a cura di) Commentario alla Costituzione. Art.128- Supplemento-Bologna- Roma,1996 in C .BEVILACQUA “ La partecipazione degli enti locali ai processi decisionali delle Regioni: il Consiglio delle Autonomie locaIl” in atti del Seminario SSPAL “I raccordi istituzionali e le garanzie delle autonomie locali. Nodi e prospettive.” Roma, 2009. 54 Art.3,5 co. Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112. 55 L'ar.t 4 d.lgs. 267/2000 stabilisce che le Regioni, “ ferme restando le funzioni che attengono ad esigenze di carattere unitario dei rispettivi territori, organizzano l' esercizio delle funzioni a livello locale amministrative attraverso i comuni e le province”.

Page 88: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

88

Veniva a far parte dell'ordinamento il principio di sussidiarietà che, insieme a quelli di

adeguatezza, autonomia organizzativa e leale collaborazione costituiranno il

fondamento della successiva riforma costituzionale del Titolo V.

Sulla base di tali disposizioni, alcune Regioni si sono dotate di sedi di raccordo

istituzionale, permanenti e non più occasionali, a competenza tendenzialmente generale,

creando56, in linea di massima, tre diverse tipologie di organi:

• una Conferenza Regione-enti locali, a carattere “misto”, composta da

rappresentanti sia della Regione, sia degli enti locali (Sindaci e Presidenti delle

Province, di solito nominati dalle associazioni degli enti locali o individuati

direttamente dalla legge regionale istitutiva), incardinata presso la Giunta e

presieduta dal Presidente della stessa, quale organo di consultazione

dell’esecutivo regionale57;

• una Conferenza di soli enti locali, presso la Giunta regionale, con funzioni

consultive, dotata del potere di eleggere un proprio Presidente 58;

• un Consiglio composto da soli rappresentanti di enti locali, con potere di eleggere

il Presidente e di intervenire nel procedimento legislativo, istituita presso il

Consiglio regionale (Toscana).

Le funzioni svolte da questi organi erano, nel complesso, simili e prevalentemente

consultive, concernenti gli atti di conferimento delle funzioni amministrative agli enti

locali; i piani di sviluppo e gli atti di programmazione regionale; il riparto di risorse,

56 Le leggi regionali che, prima della più recente riforma costituzionale hanno disciplinato questi organismi sono: Abruzzo ll.rr .21/96, 72/98,11/98 e 11/99; Basilicata: ll.rr. 17/96 e 7/99; Campania l.r.26/96; Emilia-Romagna l.r.3/99; Lazio l.r. 15/99; Liguria l.r.16/97; ; Marche l.r. 46/1992, Molise l.r. 34/99; Piemonte l.r. 34/1998; Toscana l.r. 22/98 ; Umbria l.r. 34/1998; Veneto l.r. 20/1997. Calabria e Puglia non hanno emanato leggi in materia. Regioni a statuto speciale: Sardegna decr. Pres. 331/1993; Sicilia l.r. 6/1997; Valle d'Aosta l.r.54/98; Prov. Trento l.p. 36/93; Prov. Bolzano l.p. 16/92. 57 E’ il caso di Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Veneto, Sardegna, Sicilia. 58 Nelle Regioni Lombardia, Umbria, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta.

Page 89: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

89

l'individuazione dell'ambito ottimale di esercizio delle funzioni, lo svolgimento delle

funzioni regionali di coordinamento e di indirizzo.

Nella sostanza, i Consigli/Conferenze apparivano tuttavia (e appaiono, in quanto in

alcune Regioni tuttora operanti) organismi sostanzialmente privi di funzioni incisive:

erano difatti stati previsti, per essi, un numero limitato di interventi “a volte pareri, ma

non proposte, più spesso pareri e proposte, ma non intese”59, ma soprattutto non erano

stati definiti vincoli pregnanti per la Regione, così da rendere i pareri o le proposte, di

fatto, poco rilevanti 60.

Tali consessi sono apparsi, in quegli anni, come “organi complessi, formati da alchimie

complicatissime in cui non tutti si sentono rappresentati....(omissis) non il luogo in cui si

rappresentano gli enti locali come interlocutori della Regione, ma il luogo in cui la

Regione mette gli enti locali a discutere tra di loro perché si stemperino a vicenda”61.

Si soggiunge che tali organismi erano costituiti, nella maggior parte dei casi, come già

precisato, presso la Giunta regionale e presieduti dal Presidente di questa, aspetto

sintomatico della scarsa autonomia e del forte collegamento con l'esecutivo regionale62.

4.3.3 Organizzazione e funzioni dopo la riforma costituzionale.

La legge costituzionale n. 3/2001, come già precisato, ha inteso cambiare i rapporti tra

Stato, Regioni ed enti locali, mutando il modello tradizionale piramidale che poneva lo

Stato al vertice, e potenziando il ruolo delle autonomie locali attraverso una

rimodulazione dei poteri pubblici che parte dai livelli territoriali più prossimi ai

cittadini.

59 F. GALILEI “ Proposte per la disciplina del consiglio delle autonomie locali negli statuti regionali ai sensi dell'art 123 della Costituzione, in La Rassegna, 2002 ,p. 753. 60 La legge toscana n.22/98 prevedeva la maggioranza assoluta per approvare un atto immodificato dopo il parere negativo del CAL, ma la norma doveva entrare in vigore dopo l'approvazione di una modifica statutaria. Il nuovo statuto, invece, non prevede più tale maggioranza. 61 R. BIN “ L'amministrazione coordinata ed integrata” in Le Regioni,2000,5,1009. 62 A. CHELLINI “opera cit.” p.591.

Page 90: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

90

Un sistema improntato al principio del pluralismo istituzionale paritario implica il

riconoscimento della possibilità, per gli enti locali di contribuire alla definizione delle

decisioni regionali di loro interesse.

Ciò anche perchè, con la nuova formulazione dell' art. 118 che costituzionalizza il

principio di sussidiarietà, è venuto meno il cosiddetto parallelismo delle funzioni (che

comportava la titolarità della funzione amministrativa al titolare della funzione

legislativa), pertanto, oggi, le funzioni amministrative sono, in via di principio, di

competenza dei Comuni, salvo che non debbano essere attribuite ad altri enti per

assicurarne l'esercizio unitario.

Partendo da tali presupposti, diventa fondamentale il raccordo e la concertazione degli

enti locali, titolari di funzioni amministrative, con la Regione, titolare della funzione

legislativa ed in tale ottica assume particolare rilevanza il ruolo del Consiglio delle

autonomie locali.

Peraltro, nell'intenzione dei primi proponenti del Consiglio delle Autonomie locali, tale

organismo doveva costituire lo strumento per arrivare, nel tempo, a parlamenti regionali

costituiti da due “Camere”: una rappresentativa del corpo elettorale, l'altra degli enti

locali, simmetricamente a quanto proposto a livello nazionale con l'istituzione di una

Camera eletta dal corpo elettorale ed un Senato rappresentativo delle Regioni (o delle

autonomie)63.

In base all'art 123 Cost., nelle Regioni ordinarie il legislatore statutario ha un vero e

proprio obbligo di istituire il CAL, la cui disciplina è uno degli elementi costitutivi del

contenuto necessario della Statuto regionale che, in mancanza dell’ espressa previsione

dell’organo, sarebbe impugnabile dal Governo innanzi alla Corte Costituzionale.

Non v’è dubbio che il Consiglio delle Autonomie Locali sia un organo a rilevanza

statutaria64, il quale trova però, a differenza di altri, anche copertura costituzionale.

63 R. BIN “opera cit.”. 64 Sul punto, il solo Statuto pugliese inserisce il CAL tra i propri “Organi a rilevanza statutaria”.

Page 91: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

91

Va evidenziato che la disposizione, peraltro estremamente “scarna”, sembra imporre,

secondo parte dei commentatori, non la semplice previsione quanto, piuttosto, una vera

e propria disciplina dell’organo da parte della fonte statutaria, in quanto un rinvio

troppo ampio dello statuto alla legge regionale sarebbe sintomo di un minor rilievo

dell’organo all’interno della Regione, potendo essere lo stesso oggetto di più “facili”

riforme, anche nel senso di una modifica che ne riduca i margini di operatività.

Tutti i nuovi Statuti regionali hanno istituito il CAL ed a tale atto sono seguite le leggi

regionali di attuazione, ma solo in otto Regioni risulta effettivamente insediato, mentre,

nelle restanti, sono tuttora operanti i “vecchi” strumenti di raccordo65.

Analogamente, le Regioni che non hanno ancora approvato il nuovo Statuto hanno

comunque previsto l’istituzione di detto organo.

Le Regioni speciali, che sono dotate di competenza legislativa in materia di

ordinamento egli enti locali, non sono obbligate, invece, ad istituire il CAL poichè,

come affermato dalla Corte Costituzionale ( sent. n.370 del 2006) ad esse non si applica

la disposizione dell’art. 123, 4 co. Cost.66

Si sottolinea che, comunque, ad eccezione della Regione Sicilia, il cui nuovo statuto è

ancora in discussione67, le Regioni ad autonomia speciale e le Province di Trento e di

Bolzano (in quest'ultima denominato Consiglio dei Comuni) hanno tutte istituito il

CAL, con leggi ordinarie.

Peraltro, l’istituzione dei Consigli delle autonomie locali in ottemperanza all’obbligo di

cui all’art. 123, comma 4 Cost., non ha determinato la contestuale cancellazione delle

preesistenti sedi di raccordo; difatti, se la maggior parte delle Regioni ha previsto che il

65Le normative regionali in tema di Cal sono indicate nelle allegate tabelle n.1 e 2. Si precisa che, alla data del presente lavoro, solo in Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria, il CAL risulta effettivamente insediato. In Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Veneto sono ancora attive le Conferenze Regioni-Autonomie locali istituite anteriormente alla riforma del 2001. 66 Ciò in quanto, secondo la Consulta, “ l'art 123 , ultimo comma, Cost. è (…..) una disposizione che, per il suo contenuto precettivo, si può applicare soltanto alle Regioni a statuto ordinario, attesa la non comparabilità fra le forme di potestà statutaria delle autonomie regionali ordinarie e speciali”. 67 Nella Regione Sicilia è operante una conferenza regione-enti locali.

Page 92: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

92

nuovo organo si sostituisca alla precedente Conferenza/Consiglio, non mancano altri

casi in cui i due organismi permangono entrambi (Piemonte), oppure è prevista una

Conferenza Regione – Consiglio AL per il raggiungimento di intese previste da leggi

regionali (Umbria) o per svolgere funzioni consultive sui processi di conferimento delle

funzioni amministrative ( Puglia) 68.

Venendo allora ad analizzare i diversi testi, si osserva che il legislatore statutario, nelle

varie Regioni, ha disciplinato il nuovo organo in modo sensibilmente diversificato.

In alcune realtà è stata creato un organismo con caratteristiche più aderenti al testo della

norma costituzionale, sottolineandone il ruolo consultivo, con una possibilità di influire

sull'attività legislativa regionale limitata ad una “pressione” politica (Piemonte,

Toscana)69, in altri casi 70, sin dalla lettura dello Statuto emerge l'intendimento di

coinvolgere formalmente il CAL nell'iter legislativo regionale.

Ed ancora, si va dallo Statuto pugliese, il quale demanda alla legge regionale la

disciplina delle funzioni del CAL (art. 45, co.3), a quello ligure che, al contrario,

circoscrive l’intervento del legislatore unicamente alla disciplina della composizione,

dell’organizzazione e del funzionamento dello stesso organo (art. 65, co. 3).

Gli aspetti principali su cui si possono riscontrare convergenze o diversificazioni tra le

diverse normative regionali sul CAL sono, principalmente: la qualificazione giuridica,

la sede, la composizione, le funzioni e l’efficacia delle pronunce.

Per quanto riguarda la qualificazione giuridica del Consiglio, gli Statuti scelgono

formulazioni più o meno articolate; prevale tuttavia la configurazione del CAL quale

organo di raccordo e consultazione permanente degli enti locali (Piemonte, Puglia,

Abruzzo, Marche, Veneto); Calabria, Liguria, Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna ne

sottolineano il ruolo di organo di “rappresentanza” del sistema delle autonomie locali, lo

Statuto lombardo lo definisce come “organo in rappresentanza degli enti locali e delle

68 L. CASTELLI e M. DI FOLCO “opera cit.”: 69 Ciò in considerazione dello scarso peso attribuito al parere del Cal, che può essere facilmente disatteso. 70 Puglia, Calabria, Lazio, Emilia-Romagna, Umbria, Marche , Liguria.

Page 93: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

93

organizzazioni maggiormente rappresentative secondo i principi della rappresentatività

territoriale e della consistenza demografica”.

Rispetto alla sede di insediamento dei Consigli delle autonomie locali, tutte le Regioni

hanno scelto il Consiglio regionale71, che si pone così come l’interlocutore privilegiato

del nuovo organismo: tale scelta, secondo alcuni commentatori, potrebbe anche influire

sui rapporti tra la Giunta e l'Assemblea legislativa che, in caso di contrasto con il

potere esecutivo, potrebbe trovare appoggio negli enti locali rappresentati dal CAL72.

Ad ulteriore riprova dello specifico legame creato fra CAL ed organo legislativo

regionale è da menzionare la previsione, in alcune leggi regionali, della “seduta

congiunta”, convocata una volta l’anno per un “esame dello stato delle autonomie”73.

Per quanto concerne la composizione dell'organo 74, poco omogenee appaiono le scelte

regionali, solo lo Statuto marchigiano fissa direttamente il numero esatto dei membri,

gli altri testi invece definiscono il numero massimo dei componenti, in alcuni casi

parificandolo al numero dei consiglieri regionali 75, per delegare poi la scelta definitiva

al legislatore regionale ordinario. Alcuni Statuti, inoltre, hanno scelto di demandare

completamente la composizione del CAL alla legge attuativa: è il caso di Toscana,

Liguria ed Umbria.

La composizione del Consiglio risulta, nella maggior parte dei casi, costituita da

rappresentanti degli esecutivi degli enti locali, con una suddivisione tra componenti di

diritto, generalmente Presidenti di Provincia e Sindaci dei Comuni capoluogo, e membri

elettivi. Per quanto riguarda questi ultimi, pur in presenza di soluzioni differenziate, si

può tuttavia rilevare che tutte le Regioni hanno scelto di comprendere nel consesso

71 Alcune lo hanno istituito direttamente presso il Consiglio regionale (Calabria, Lazio ,Liguria ,Marche, Puglia, Toscana), altre hanno rimesso la questione alla successive norme attuative ( Abruzzo, Campania, Emilia, Piemonte, Umbria). 72 G. FERRAIUOLO “Il Consiglio delle autonomie locali nelle previsioni dei nuovi statuti delle regioni ordinarie” in federalismi.it 73 Calabria art. 13, Lazio art. 13, Piemonte art. 13, Puglia art. 4, co. 6, Umbria art. 9. 74 V.tab.n. 3 75 (statuto Liguria art. 65, co. 4, statuto Piemonte art. 88, co. 3, statuto Toscana art. 66, co. 2, statuto Umbria art. 28, co. 2)

Page 94: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

94

Sindaci dei Comuni non capoluogo, altre, a seconda delle peculiarità territoriali, hanno

inserito anche i Presidenti di Comunità montane (Calabria, Lazio, Marche, Piemonte,

Puglia, Toscana, Umbria), di Arcipelago (Lazio) e di Comunità collinari (Piemonte).

È altresì spesso prevista la rappresentanza degli organi consiliari (Calabria, Umbria,

Toscana, Liguria) ed inoltre le leggi regionali del Lazio, Piemonte e Lombardia hanno

stabilito che le autonomie funzionali, ossia soggetti distinti dagli enti locali territoriali76,

partecipino a sedute integrate per l'analisi e la valutazione delle politiche regionali.

Sotto il profilo delle attribuzioni 77, tutte le disposizioni regionali sui Consigli delle

autonomie locali dispongono che l’organismo partecipi ai processi decisionali della

Regione riguardanti il sistema delle autonomie locali, anche in riferimento a

provvedimenti di ordine economico e finanziario.

Lo Statuto dell’Emilia-Romagna, ad esempio, all’art. 23, co. 2, dispone: “Il CAL

esercita le proprie funzioni e partecipa ai processi decisionali della Regione

riguardanti il sistema delle autonomie regionali, mediante proposte e pareri nei modi e

nelle forme previsti dallo Statuto e dalla legge regionale”.

L' individuazione degli ambiti di attività non è sempre operata dallo Statuto regionale:

ad esempio lo Statuto della Regione Abruzzo dispone che sia la legge ad indicare

“quando” – ossia su quali materie ed in quali casi – e “come” interviene il parere del

CAL, anche se nelle sue disposizioni ritroviamo specificati alcuni ambiti di competenza

(art. 72, commi 1 e 2).

I testi delle Regioni Calabria (art. 48, co. 5), Lazio (art. 67, co. 2), Piemonte (art. 88, co.

2, lett. D), con una norma “di chiusura”, prevedono l’intervento del CAL su ogni altra

questione ad esso demandata dal proprio rispettivo Statuto e dalla legge regionale.

76 Nella Regione Lombardia integrano il consesso, nelle sedute per l’analisi e la valutazione delle politiche regionali, rappresentanti del mondo universitario, delle istituzioni scolastiche, presidenti delle Camere di Commercio ed altri. 77 V.tab.n.5

Page 95: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

95

Gli Statuti delle Regioni Marche (art. 38, co. 4) ed Umbria (art. 29, co. 1) ampliano

questo aspetto affermando che la legge regionale possa attribuire al CAL altre

competenze.

Le funzioni del Consiglio non sono limitate al solo esercizio di attività consultiva: in

alcuni casi viene riconosciuta la facoltà di esercitare l’iniziativa legislativa, nonché di

proporre l’impugnativa di leggi dello Stato e di altre Regioni, ai sensi dell'art. 127,

comma 2, della Costituzione78.

In Emilia-Romagna, Liguria e in Piemonte, il Consiglio delle autonomie locali designa

un componente ad integrazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei

Conti, in Puglia verifica l’attuazione del principio di sussidiarietà nell’esercizio delle

funzioni regionali, in Abruzzo e Toscana sono rimesse al Consiglio le nomine e le

designazioni di rappresentanti del sistema degli enti locali previste da leggi regionali.

Nella Regione Marche il Consiglio delle autonomie può essere coinvolto dal Consiglio

regionale nella valutazione degli effetti delle politiche regionali di interesse degli enti

locali. Gli Statuti di Emilia-Romagna, Calabria, Lazio e Liguria prevedono inoltre il

parere obbligatorio del CAL per quanto concerne le modifiche della stessa carta

statutaria.

Quasi tutte le Regioni riconoscono inoltre al CAL autonomia organizzativa e

funzionale, prevedendo, inoltre, che il Consiglio elegga tra i suoi componenti il proprio

Presidente. E’ invece generalmente rimesso alla legge regionale la determinazione dei

mezzi e del personale necessari per il funzionamento dell’organo.

Quanto all’efficacia delle pronunce, si tratta di una questione molto dibattuta in dottrina:

la possibilità che il parere del Consiglio delle autonomie sia vincolante per il Consiglio

regionale sembra trovare ostacoli negli articoli 121, comma 2 e 123 della Costituzione,

il primo perché attribuisce al Consiglio regionale l'esercizio delle potestà legislative,

l'altro perché definisce il Consiglio delle autonomie locali come semplice organo di

consultazione.

Page 96: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

96

Sul punto, alcuni scelgono di parlare di «paletti» costituzionali, altri argomentano circa

un'interpretazione più ampia del termine "consultazione" che permetterebbe di

configurare anche ipotesi di pareri vincolanti.

Guardando alle disposizioni degli Statuti e delle leggi, la scelta prevalente che le

Regioni hanno effettuato per salvaguardare l’efficacia delle deliberazioni è stata quella

di prevedere un vincolo procedurale in caso in cui il Consiglio regionale non intenda

accogliere i rilievi espressi dal Consiglio delle autonomie locali 79.

In questa eventualità quasi tutte le disposizioni sull'argomento richiedono un quorum

per l'approvazione delle leggi regionali più alto della maggioranza semplice

(solitamente maggioranza assoluta). In taluni casi quest'obbligo scatta per tutti i pareri

negativi, in altri è limitato a quelli espressi in determinate materie (Marche, Liguria,

Umbria). Nel Lazio, per far scattare il quorum aggravato, il parere negativo deve essere

stato deliberato dal Consiglio delle autonomie a maggioranza dei due terzi. Sul punto il

solo Statuto toscano limita tale vincolo all'obbligo della sola motivazione espressa,

mentre Emilia-Romagna ed Umbria distinguono tra vincolo della maggioranza

qualificata o della motivazione espressa, secondo il tipo di atto in esame.

Più complessa è l'individuazione, in concreto, degli effetti del parere negativo del

Consiglio.

Esaminando più da vicino l'attività del consesso toscano, uno dei più “ antichi”

nell'ordinamento regionale, si osserva che, nei primi 2 anni del suo funzionamento

(1998/2000), su un totale di 72 pareri espressi, sono stati formulati 200 rilievi, sotto

forma di osservazioni, richieste di modifiche e raccomandazioni. Dai dati risultanti nel

Bilancio di legislatura, l'attività del CAL dalla sua istituzione al termine della VI

78 Statuto Lazio art. 49, co. 3, Statuto Marche art. 28, co. 2, Statuto Umbria art. 27, co. 2 79 Sugli aggravi procedurali in caso di parere negativo del CAL, cfr.: art. 14, c. 2,Legge reg. Toscana n. 36/2000; art. 23, c. 4 e 5, Statuto Emilia-Romagna; artt. 11 e 12, Legge reg. Piemonte n. 30/2006; artt. 14 ss., Legge reg. Calabria n. 1/2007; art. 11, Legge reg. Lazio n. 1/2007; artt. 11 e 12, Legge reg. Marche n. 4/2007; art. 12, c. 6, Legge reg. Abruzzo n. 41/2007; art. 3, c. 5, Legge reg. Umbria n. 20/2008; art. 7, c. 3, Legge reg. Liguria n. 1/2011; nonché: art. 23, c. 2, Statuto Campania; art. 54, c. 4 e 8, Statuto Lombardia. Al contrario, nel caso pugliese, benché gli artt. 5 e 7, Legge reg. n. 29/2006, prevedano l’ipotesi di pareri obbligatori, nulla si prevede per superare la valutazione contraria del CAL.

Page 97: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

97

legislatura regionale, si rileva che il grado di accoglimento di tali rilievi da parte del

Consiglio regionale è stata circa del 50%.

Più recentemente, dalla relazione sull'attività svolta dal CAL toscano nel 2009, si evince

che l'organo ha espresso, in quell'anno, 68 pareri, di cui solo 4 contrari e 3 favorevoli,

ma sottoposti a condizioni. Delle 4 proposte di legge sulle quali il CAL si è espresso

negativamente, solo 1 ha concluso l'iter di approvazione.

Analogamente, nel 2010, degli 8 pareri con raccomandazioni, solo 2 non hanno avuto

esito nelle deliberazioni degli organi regionali, mentre gli altri sono stati accolti

totalmente o parzialmente.

Per quanto concerne invece le Regioni a statuto speciale, non si riscontrano differenze

di rilievo rispetto alle scelte effettuate dalle Regioni ordinarie.

Ripercorrendo alcuni profili già esaminati, come quello della qualificazione giuridica

dell’organo, è possibile rilevare che in alcuni casi il consesso viene definito organo di

consultazione o di raccordo (Prov. Bolzano, Friuli- Venezia Giulia), in altri organo di

rappresentanza istituzionale (Sardegna) oppure organo che assicura la partecipazione

degli enti locali alle scelte di carattere istituzionale della Provincia (Trento)80.

Per quanto concerne la composizione, ne fanno parte i Presidenti delle Province, i

Sindaci dei Comuni capoluogo, nonché un numero variabile di altri Sindaci in

rappresentanza dei Comuni di minori dimensioni.

In analogia a quanto previsto dalle Regioni ordinarie, viene riconosciuto ai Consigli

autonomia di organizzazione, nonché una generalizzata competenza a formulare pareri

sui disegni di legge che interessino le autonomie locali.

Per quanto concerne, invece, le differenze rispetto a quando disposto dal legislatore

regionale “ordinario”, si può rilevare come la sola legge trentina disciplini il caso di

parere negativo o condizionato all’accoglimento di modifiche, rimettendo al

80 L.CASTELLI “ La leale collaborazione fra Regione ed enti locali: il Consiglio delle autonomie locali” in giornale di diritto amministrativo n.12/2006, 1297.

Page 98: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

98

regolamento interno del Consiglio provinciale le modalità per l’esame del

provvedimento. Le altre norme nulla dispongono sul regime di efficacia del parere, ne

consegue che nelle Regioni speciali le pronunce del Consiglio non sono assistite da

garanzie procedurali che le rendano realmente incisive.

Il solo Friuli-Venezia Giulia prevede una forma di partecipazione del sistema delle

autonomie locali più incisiva, prevedendo -oltre alla formulazione di pareri- che il CAL

esprima l’intesa relativamente a schemi di disegni di legge in tema di riparto delle

funzioni amministrative e di ordinamento delle autonomie locali81.

In conclusione, dalla sommaria illustrazione delle disposizioni regionali, si può

desumere come tutte le Regioni abbiano preso atto dell'importanza di disporre di un

organo di consultazione degli enti locali, da cui possono derivare indubbie vantaggi in

sede di programmazione territoriale. Nello stesso tempo non appaiono del tutto

sviluppate le potenzialità che il Cal può esprimere, e che sarà presto chiamato a

svolgere, nei complessi rapporti Regione-Enti locali.

Si pensi, in prospettiva, alle riforme avviate, alla cosiddetta Carta delle Autonomie e

quindi alla nuova legge sugli enti locali successiva alla riforma del Titolo V, al

“federalismo fiscale”.

Se ciò è quanto emerge dalla legislazione regionale, non mancano segni di una diversa

considerazione del ruolo dell'organo da parte del legislatore nazionale: a tal riguardo è

possibile richiamare la recente disposizione di cui all'art 20 del D.L. 6 luglio 2011, n.98,

la quale dispone che in sede di Consiglio delle autonomie locali possano essere

concordate, previo accordo tra Stato e Regione, le modalità di raggiungimento degli

obiettivi di finanza pubblica ( ad eccezione della componente sanitaria), per l'anno in

corso.

81 Art.24 l.r. 9 gennaio 2006, n.1. Qualora l’intesa non venga raggiunta, la Giunta può prescinderne motivatamente a maggioranza assoluta, trasmettendo al Consiglio Regionale gli atti che esprimono l’orientamento del CAL.

Page 99: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

99

CAPITOLO V Conclusioni

Da tutto quanto sopra esposto emerge che l’effettiva attuazione della riforma

costituzionale del 2001 in materia di ordinamento degli enti locali resta subordinata ad

un intervento del legislatore statale per la determinazione delle funzioni fondamentali di

cui all’art. 117, co. 2, lett. p) della Costituzione, che avrà ricadute significative sui

rapporti tra Regioni ed enti locali.

Sul punto, la mancata conclusione delle iniziative legislative avviate, pur non

rappresentando di per sé un impedimento giuridico per i conferimenti regionali, ha di

fatto privato le Regioni del quadro di riferimento all’interno del quale operare. Ciò ha

portato ad interventi di natura frammentaria tradottisi in una legislazione a carattere

settoriale che nei casi più rilevanti ha disciplinato funzioni locali (come il turismo, la

tutela della salute ed i servizi alla persona, l’istruzione ed il diritto allo studio, il

governo del territorio) sotto il profilo sostanziale e procedurale, senza tener conto delle

garanzie che il nuovo quadro costituzionale attribuisce all’autonomia regolamentare

degli enti locali.

D’altronde sembra pacifico escludere che la legislazione regionale possa intervenire

nella disciplina dei processi di produzione normativa facenti capo a Comuni, Province e

Città Metropolitane, in quanto direttamente discendenti dalla Costituzione. Pertanto, un

riconoscimento di tale potere alle Regioni non potrebbe che risolversi in una mera ed

inutile duplicazione di previsioni costituzionali o, addirittura, in una normazione a

rischio di incostituzionalità, nel caso di riduzioni degli spazi di autonomia dei singoli

enti locali.

Diversamente, come già esaminato nel corso di questo lavoro, le Regioni Emilia-

Romagna, Umbria e Puglia hanno invece attuato una riforma organica dei sistemi

amministrativi regionali e locali.

Le leggi regionali emanate non si limitano ad intervenire in campi tradizionali, ma

pongono anche norme di carattere ordinamentale in materia di assetti organizzativi

dell’associazionismo degli enti locali, determinando con questa disciplina un

Page 100: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

100

ampliamento dello spazio a loro disposizione. Si pensi all’introduzione degli esaminati

Ambiti Territoriali Integrati (ATI), nonché ai casi di riordino delle Comunità montane,

che ha dato l’occasione per ulteriori interventi in tema di associazionismo locale.

Tuttavia esse non hanno realizzato conferimenti di funzioni. In realtà esse danno vita ad

un tentativo di dar seguito alla riforma pur limitandosi ad una mera riproduzione di

principi costituzionali. Pertanto, se è vero che tali Regioni hanno esercitato una

competenza legislativa che allo stato non parrebbe sussistere, è altresì vero che la loro

azione non ha nei fatti leso il principio di ripartizione costituzionale delle competenze in

materia di ordinamento degli enti locali. Ad ogni buon conto una reale e definitiva

valutazione su questo aspetto deve rinviarsi alla prossima definizione ed individuazione

delle funzioni fondamentali.

A differenza delle Regioni ordinarie, alle Regioni a Statuto speciale è riconosciuta

potestà normativa primaria in tema di ordinamento degli enti locali. Infatti gli Statuti di

tali Regioni riproducono tutto l’impianto del vecchio titolo V prevedendo la delega

delle funzioni amministrative agli enti locali in luogo della loro titolarità in capo a

questi ultimi, il principio del parallelismo in luogo della sussidiarietà; una finanza locale

essenzialmente derivata invece che fondata su tributi propri; la mancata copertura

costituzionale della potestà normativa locale82.

Senza qui soffermarsi nuovamente sulla problematica della interpretazione della

“clausola di maggior favore” di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001, ben

può affermarsi che, nel declinare la propria potestà ordinamentale, le Regioni “speciali”

hanno concepito il loro ruolo in chiave di sovraordinazione gerarchica rispetto agli enti

locali, evidenziando una propensione all’accentramento e ad una riproduzione della

disciplina dettata dal legislatore statale, rinunciando alla possibilità, offerta dal loro

speciale regime, di sperimentare istituti ed assetti nuovi.

Sono comunque presenti timidi accenni in tal senso quali, ad esempio, con riferimento

alle Regioni esaminate nel presente lavoro, la previsione degli Ambiti per lo Sviluppo

82 L.CASTELLI e M DI FOLCO “opera cit.”.

Page 101: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

101

Territoriale come nuova dimensione territoriale d’area vasta sovracomunale (ASTER) e

la previsione della figura degli Istituti di garanzia da parte del Friuli Venezia Giulia;

l’articolazione dell’ordinamento degli enti locali su Comuni e liberi Consorzi comunali

in Sicilia.

La diversificata disciplina di tali Regioni in materia di ordinamento degli enti locali ha

configurato una situazione di disparità con le Regioni ordinarie, sotto il profilo del

rispetto del principio generale di valorizzazione delle autonomie locali di cui all’art.5

della Costituzione, che imporrebbe una tendenziale uniformità di disciplina per la

determinazione dell’autonomia degli enti territoriali.

Va detto però che anche gli enti locali “ordinari” attendono l’intervento del legislatore

statale e la emanazione della Carta delle autonomie locali per il loro organico riassetto.

L’auspicio è che essa sia uno strumento per agevolare il processo autonomistico dei

Comuni e non un mero elenco di materie da allocare. Sul punto vi sono diverse

posizioni tese a privilegiare ora l’una ora l’altra scelta. Nonostante il lungo dibattito

parlamentare, ad oggi la Carta delle autonomie non è stata ancora emanata e l’attuale

disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati e in discussione al Senato

contiene una elencazione di competenze da attribuire ai Comuni ma non sembra

rispettare il principio costituzionale di garanzia dell’autonomia locale ribadito e

ridisegnato dal legislatore di revisione.

É auspicabile invece che tale discussione porti, possibilmente in un clima di leale

collaborazione, nel quadro di una nuova governance fondata su organismi di

codecisione, ad un’attuazione concreta e incisiva di tale nuovo disegno. Ciò al fine di

chiudere il lungo “cantiere costituzionale”, in modo che gli enti locali possano essere

effettivi e consapevoli titolari dell’esercizio delle funzioni amministrative e non meri

portatori formali di competenze astratte.

Page 102: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

102

TAB 1

Regioni a statuto ordinario Disposizioni statutarie e leggi istitutive dei CAL

Regione Disposizioni statutarie Legge istitutiva CAL ABRUZZO

artt. 71 e 72, Statuto 28 dicembre 2006

L.R 11 dicembre 2007, n. 41 ((Istituzione disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)

BASILICATA non approvato il nuovo statuto -

CALABRIA

art. 48, L.R 19 ottobre 2004, n. 25 (successive modifiche allo statuto L.R. 20 aprile 2005 n. 11 e L.R. 3/2010).

L.R 5 gennaio 2007, n. 1 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)

CAMPANIA artt. 22 e 23, L.R. 28 maggio 2009, n. 6 L.R. 15 marzo 2011, n. 4, art. 1, commi 51-74 EMILIA-ROMAGNA

art. 23, L.R. 13 marzo 2005, n. 13

L.R 9 ottobre 2009, n. 13 (Istituzione del Consiglio Autonomie Locali)

LAZIO art. 66 e 67, L. stat. 11 novembre 2004, n. 1

L.R 26 febbraio 2007, n. 1 (Disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)

LIGURIA

artt. 13, 65, 66 e 67. L. stat. 3 maggio 2005, n. 1 art. 4, L. stat. 5 ottobre 2007, n. 1

L.R 1/2011(Disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)

LOMBARDIA

art. 54, L. stat. 30 agosto 2008, n. 1

L.R 23 ottobre 2009, n. 22 (Disciplina delConsiglio delle A u t o n o m i e l o c a l i d e l l a Lombardia, ai sensi dell’art. 54 dello Statuto d’autonomia)

MARCHE

artt. 37 e 38, L. stat. 8 marzo 2005 n. 1 art. 6, c. 1, L.stat. 22 gennaio 2008, n. 2.

L.R 10 aprile 2007 n. 4 (Disciplina delConsiglio delle Autonomie locali)

MOLISE

art. 66, Deliberazione Consiglio regionale 22 febbraio 2011 (iter promulgazione sospeso, Ricorso per legittimità costituzionale 5/4/2011 n. 30 (artt. 30, c. 4, 53, c. 4, 67 c. 1)

-

PIEMONTE

artt. 88 e 89, L. stat. 4 marzo 2005, n. 1

L.R 7 agosto2006, n. 30 (Istituzione del Consiglio delle Autonomie locali (CAL) e modifiche alla legge regionale 20 novembre 1998, n.34 (Riordino delle funzioni e deicompiti amministrativi della Regione e degli Enti locali)L.R.14/2011

Page 103: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

103

Regione Disposizioni statutarie Legge istitutiva CAL

PUGLIA artt. 45, L.R. 12 maggio 2004 n.7. Lr 26 ottobre 2006, n. 29 (Disciplina del Consiglio delle autonomie locali)

TOSCANA artt. 66 e 67, statuto 11 febbraio 2005

(successive modifiche L.R. 8 gennaio 2010, n. 1).

Legge regionale 21 marzo 2000, n. 36 (Nuova disciplina del Consiglio delle autonomie locali

UMBRIA Artt. 28 e 29, L.R. 16 aprile 2005, n. 21

(successive modifiche allo statuto L.R 1/2010)

L.R 16 dicembre 2008, n. 20 (Disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)

VENETO Art. 16, Deliberazione Consiglio regionale 12 gennaio 2012 --

Page 104: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

104

TAB 2

Regioni e province autonome a statuto speciale

Leggi istitutive

Regione Legge istitutiva Consiglio

Friuli V. G. artt. 31-37, L. R. 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi fondamentali del sistema della Regione – autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia) –

Sardegna L. R. 17 gennaio 2005, n. 1 (Istituzione del Consiglio delle autonomie locali e della Conferenza permanente Regione-enti locali.)

Sicilia L. R 7 marzo 1997, n. 6 - art. 43 Conferenza Regione - Autonomie locali. Prov. aut. Bolzano

L. P 8 febbraio 2010, n. 10 (Istituzione e disciplina del Consiglio dei comuni)

L.R. Trentino AA 23 febbraio 2011, n. 1 (Partecipazione dei Consigli delle Autonomie Locali all'attività legislativa e amministrativa della Regione).

Prov. aut. Trento

L. P. 15 giugno 2005, n. 7 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle autonomie locali) L.R. Trentino AA 23 febbraio 2011, n. 1 (Partecipazione dei Consigli delle Autonomie Locali all'attività legislativa e amministrativa della Regione).

Valle d’Aosta

L. R 7 dicembre 1998, n. 54 (Sistema delle autonomie in Valle d’Aosta) –artt. 60 – 68 testo coordinato;

L. R 31 marzo 2003, n. 8 (art. 31-35, il Consiglio Permanente degli Enti Locali assume l’assetto e le competenze del CAL ai sensi dell’art. 123 Cost. , L. R. 20 luglio 2004, n. 13, art. 4

Page 105: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

105

TAB 3 La composizione del Consiglio delle Autonomie locali nelle Regioni a statuto ordinario

Comuni

Province Comunità montane e

altro

Assoc. Enti

locali

Totale Sindaci di Comuni

capoluogo di

provincia

Sindaci di Comuni non capoluogo di Provincia

Presidenti del

Consiglio comunale

Consiglie ri

comunali

Presidenti di Province

Presidenti

del Consiglio provincial

e

Consiglie

ri provincia li

Presidenti

Presidenti pop. <

5.000 ab. pop. >

5.000 ab. pop. > 15.000

ab

altro

ABRUZZO Membri di diritto (4)

Rappresentanti degli enti locali eletti tra i Sindaci di Comuni non capoluogo (12)

Membri di diritto (4)

20

CALABRIA Membri di

diritto (5) 3 Sindaci

eletti

9 Sindaci eletti 8 Sindaci eletti 1

2 Presidenti

eletti Membri di

diritto (5) 3 Presidenti

eletti

35

CAMPANIA Membri di diritto (5)

Rappresentanti degli enti locali eletti tra Sindaci e Consiglieri di Comuni con pop. < 5.000 (17), > di 5.000

(12) Membri di

diritto (5)

1 40

EMILIA -

ROMAGNA

Membri di diritto (9)

i Sindaci dei Comuni > 50.000 ab. (4 di diritto); e n. 22 Sindaci elettivi di Comuni fino a 50.000 ab., di cui la

metà appartenenti a Comuni montani

Membri di diritto (9)

(44) attualmente, ma variabile2

LAZIO

Membri di diritto (5) 3

7 Sindaci eletti

5 Sindaci eletti

5 Sindaci eletti

Membri di diritto (5)

5 eletti

3 C.M. e di arcipelago

eletti

Membri di diritto (5)

40

LIGURIA

Membri di diritto (4)

12 Sindaci eletti,di cui almeno 4 Sind. Comune

< 3.000 ab. per ogni Prov.

Dei comuni capoluoghi membri di

diritto (4)+4

Membri di diritto (4)

Membri di diritto (4)

Membri di diritto (3)

(35) attualmente, ma variabile

LOMBARDIA Membri di

diritto (12) n.12 Sindaci Comuni > 3.000 ab; n.3

Sindaci Com. pari o < a 3.000 ab. (eletti)

Membri di diritto (12)

1CM;1Union Com. eletti

Membri di diritto (4)

45 (/60) 4

MARCHE Membri di

diritto (5)

n. 17 Sindaci eletti Membri di diritto (5)

3 Presidenti eletti

30

PIEMONTE

Membri di diritto (8)

n. 20 rappr. eletti di Comuni con pop. inferiore o uguale a 5.000 ab., di cui almeno n. 11 rapp. di comuni montani e n. 9 rapp. di comuni non montani; n. 13 rappresentanti eletti

di5

Membri di diritto (8)

opp. 5

n.5 C.M.; n. 2 Comunità

collinari eletti Membri di diritto (5),

se 6

56/61

PUGLIA

Rapp.elet to per

prov.(6)

44 eletti Rapp.elet

to per prov.(6)

1 rappres. C.M.eletto

57 7

Page 106: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

106

Comuni

Province Comunità montane e

altro

Assoc. Enti

locali

Totale Sindaci di Comuni

capoluogo di

provincia

Sindaci di Comuni non capoluogo di Provincia

Presidenti del

Consiglio comunale

Consiglie ri

comunali

Presidenti di Province

Presidenti

del Consiglio provincial

e

Consiglie

ri provincia li

Presidenti

Presidenti pop. <

5.000 ab. pop. >

5.000 ab. pop. > 15.000

ab

altro

TOSCANA 8 Membri di diritto (10)

n. 23 Sindaci eletti dei Comuni non capoluogo

n. 2 eletti Membri di

diritto (10)

n. 2 eletti 3 Presidenti C.M.eletti

50

UMBRIA n. 6 rapp. eletti< 15.000

ab e >5.000 ab (3 Sind e 3 Cons); n. 8 rapp.

eletti<= 5.000 ab (5 Sind e 3 Cons)

Membri di diritto (15)

n. 10 eletti di

Comuni = > 15.000

ab.

Membri di diritto (2)

n. 5 eletti (n. 3 PG e

n. 2 Terni)

2 Presidenti C.M.eletti

(48) attualmente, ma variabile

NOTE 1 Di cui n. 2 Sindaci il cui Comune fa parte di una Unione di Comuni; n. 3 Sindaci di Comuni montani; n. 3 Sindaci di comuni di minoranza linguistica 2 Attualmente il CAL risulta composto da n. 22 membri di diritto e n. 22 membri elettivi 3 Il Sindaco di Roma è membro di diritto 4 La composizione del CAL è integrata, in caso di riunione per l'analisi e la valutazione delle politiche regionali, da: n. 2 rappresentanti del mondo delle università; un rappresentante del centro di ricerca o comunità tecnico-scientifica e professionale; n. 2 rappresentanti delle istituzioni scolastiche e formative; il presidente di Unioncamere Lombardia; n. 5 presidenti di Camere di Commercio (CCIAA); n. 2 rappresentanti espressi dal tavolo permanente Ter zo settore; n. 2 rappresentanti delle organizzazioni sindacali. 5 N. 13 rappresentanti eletti di Comuni > 5.000 ab., di cui almeno n. 3 rapp. di Comuni montani, o rapp. di consigli provinciali. 6 Qualora non ricoprano già una carica nel CAL 7 Tutti elettivi 8 La legge regionale 21 marzo 2000, n. 36 è, tuttavia, anteriore alla riforma costituzionale

Page 107: La competenza ordinamentale sugli enti locali tra Stato e

107

Funzioni legislative

Funzioni consultive

Funzioni di concertazione

Funzioni di garanzia

Altre Funzioni

Iniziativa legislativa

Pareri obbligatori

Osservazioni/Pareri facoltativi

Intese con GR

Seduta congiuta con CR-Assemblea

Proposta di ricorso alla Corte Costituzionale

Richiesta di intervento degli Organi di Garanzia statutaria

Designazioni, nomine, potere sostitutivo

ABRUZZO

a carattere generale

in materia di enti locali/bilancio

per modifica statutaria;oss. a richista GR e CR

si (contro L. Stato e L. altre Regioni)

si

nomine

CALABRIA

a carattere generale su mod. statutarie;in materia di enti locali/bilancio; su CAL

su altre proposte depositate in CR; oss. a richiesta GR

si

si

si (contro L. Stato e L. altre Regioni)

CAMPANIA In materia di enti locali e

revisione statutaria in materia di enti

locali/bilancio su altre proposte del Consiglio regionale o della Giunta pareri

richiesti dagli enti locali

EMILIA - ROMAGNA

su mod. statutarie;in materia di enti locali/bilancio; su CAL

si (contro L. Stato e L. altre Regioni)

si

nomine organo garanzia statutaria

LAZIO

in materia di enti locali;e per la revisione dello Statuto

su mod. statutarie;in materia di enti locali/bilancio

su altre questioni interesse auton. locali; oss. a richista GR e CR

si

si

si (contro L. Stato e L. altre Regioni), anche CGCE

si

parere pot. sostitutivo della Regione

LIGURIA

in materia di enti locali

su mod. statutarie (in materia auton. Locali); in materia di enti locali/bilancio;program. gen

su altre questioni interesse auton. locali; oss. a richista GR e CR

si

si (contro L. Stato e L. altre Regioni)

LOMBARDIA in materia di enti locali

in materia di enti locali/bilancio; su CAL

su altre questioni interesse auton. Locali

si (contro L. Stato)

si

MARCHE

a carattere generale

in materia di enti locali/bilancio

su altre questioni interesse auton. locali; oss. a richista GR e CR

si (contro L. Stato)

parere pot. sostitutivo della Regione

PIEMONTE

in materia di enti locali/bilancio

su altre proposte depositate in CR; oss. a richiesta

si

si (contro L. Stato)

si

parere pot. sostitutivo della Regione

PUGLIA

su mod. statutarie (in materia auton. Locali); in materia di enti locali/bilancio

si

si

TOSCANA

iniziativa popolare in materia di enti locali/bilancio (anche su regolam.)

su altre proposte depositate in CR

si

si (contro L. Stato)

si

nomine

UMBRIA

a carattere generale

in materia di enti locali/bilancio

parere pot. sostitutivo della Regione

TAB 4

Le funzioni del Consiglio delle Autonomie locali nelle Regioni a statuto ordinario