la competenza ordinamentale sugli enti locali tra stato e
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Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno XXV Corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di Viceprefetto
Tesi di: Maria Rosaria Attanasio Raffaella Attianese Cinzia Carrieri Maria Teresa Cattarin Franzero Cristina Ciciriello Anna Pavone Eufemia Tarsia Relatore: Prof. Antonio D’ATENA
La competenza ordinamentale
sugli enti locali tra Stato e Regioni
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Sommario
CAPITOLO I Il quadro costituzionale ........................................................................................... 3 1.1 Riforma del tit. V e nuovo art. 114 .................................................................................................... 3 1.1.1: La Competenza ordinamentale sugli Enti Locali ............................................................................... 5 1.1.2: La diversa posizione delle Regioni speciali e delle regioni ordinarie ............................................... 7 1.1.3: Distinzione tra funzioni fondamentali e non fondamentali ......................................................... ... 11 1.1.4: Scopo del lavoro .............................................................................................................................. 15
CAPITOLO II. Il ruolo dello Stato. Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117, comma 2, lett. P): itinerari e contenuti. La Carta delle autonomie. L’ordinamento di Roma, capitale delle Repubblica ……………………………………………….. 16
2.1 Il ruolo dello Stato ............................................................................................................................. 16 2.2 Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117, comma 2, lett. P): Itinerari e contenuti ............................ 18 2.2.1 Itinerari ............................................................................................................................................ 18 2.2.2 Contenuti ......................................................................................................................................... 20 2.2.3 La Carta delle Autonomie ................................................................................................................. 28 2.3 Ordinamento di Roma, capitale della Repubblica ............................................................................. 29 CAPITOLO III. Le Regioni ad autonomia speciale ........................................................................ 32 3.1: Le autonomie speciali e la clausola di equiparazione
di cui all’art. 10 della lg. cost. 3/2001 ............................................................................................... 32 3.2: La legge cost. n. 2 del 1993 e gli statuti delle regioni speciali .......................................................... 35 3.3 La legislazione regionale organica nelle regioni Friuli Venezia Giulia e Sardegna. ........................ 41 CAPITOLO IV Le Regioni ad autonomia ordinaria ...................................................................... 47 4.1 Gli statuti delle regioni ordinarie con particolare .................................................................................. riferimento alla disciplina dell’ordinamento degli enti locali. ........................................................... 47 4.1.1 I nuovi statuti delle regioni ordinarie dopo la riforma del Titolo V della Cost. ................................ 47 4.1.2:I principi fondamentali dei rapporti tra regioni ed enti locali: ........................................................... 53 a) costanti ..................................................................................................................................... 53 b) variabili .................................................................................................................................... 55 4.2 Le leggi regionali .............................................................................................................................. 57 4.2.1 Il caso della regione Emilia Romagna .............................................................................................. 57 4.2.2: Il caso della regione Umbria ............................................................................................................. 72 4.2.3: Il caso della regione Puglia .............................................................................................................. 78 4.3 Un nuovo organo costituzionalmente necessario: il consiglio delle autonomie locali .................... 81 4.3.1 Cenni generali .................................................................................................................................. 81 4.3.2 La cooperazione fra regioni ed enti locali prima della riforma del titolo V .................................... 83 4.3.3 Organizzazione e funzioni ............................................................................................................... 86
CAPITOLO V Conclusioni ...................................................................................................................... 96
ALLEGATO Tabella leggi istitutive CAL ............................................................................................ 102
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CAPITOLO I Il quadro costituzionale
1.1 Riforma del titolo V e nuovo art.114
La riforma del Titolo V della Costituzione Italiana, introdotta dalla legge costituzionale
del 18 ottobre 2001, n. 3, ha profondamente modificato l’ordinamento della Repubblica,
creando una nuova struttura istituzionale e cambiando, tra l’altro, l’assetto distributivo
delle competenze, legislative e amministrative, fra Stato, Regioni ed Enti Locali.
Così, la Costituzione del 1948 si è adeguata alla nuova realtà dell'ordinamento
regionale, alla riforma degli enti locali realizzata nel decennio 1990-2000 ed al
decentramento amministrativo.
È cambiata la visione politica della Repubblica, la sua organizzazione istituzionale, che
in base al nuovo testo dell’articolo 114 (il primo del Titolo V) è costituita da livelli di
governo posti sullo stesso piano, aventi pari dignità istituzionale e senza distinzioni
gerarchiche: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.
Il nuovo articolo 114 prevede, inoltre, il riconoscimento costituzionale della funzione di
capitale della Repubblica per la città di Roma. In considerazione della nuova forma di
Stato decentrato, i nuovi importanti compiti costituzionali della capitale saranno
disciplinati con legge dello Stato.
Data l’ampiezza e la complessità della riforma in esame, in questa sede si sceglierà una
prospettiva di analisi ben precisa: la potestà ordinamentale delle Regioni sugli Enti
Locali, così come risulta dai nuovi articoli costituzionali.
A tal fine, appare opportuno in primo luogo effettuare una breve panoramica del riparto
delle competenze legislative tra Stato e Regioni, prevista dal nuovo testo dell’articolo
117.
Il nuovo orientamento manifesta tutta la propria rilevanza, in particolare, nella
inversione della enumerazione delle materie, in quanto vengono espressamente elencate
quelle di competenza esclusiva statale. Il secondo comma di tale articolo, infatti,
definisce l’ambito di materie in cui deve essere esercitata la potestà legislativa esclusiva
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da parte dello Stato; nel vecchio testo erano, invece, stabilite in modo esplicito le
materie di competenza regionale.
Il comma successivo indica le materie “concorrenti”, sulle quali, tuttavia, la potestà
legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla normativa dello Stato. Il quarto comma, infine, attribuisce
alle Regioni la potestà legislativa residuale, cioè relativamente a ogni materia non
espressamente riservata allo Stato ma neppure alle Regioni in via concorrente.
La riforma intende consentire l’affermazione di un’organizzazione pubblica nella quale
allo Stato spettano solamente i compiti essenziali che non possono essere
soddisfacentemente svolti dalle Regioni e dagli Enti Locali.
Tale finalità viene sostanzialmente perseguita attraverso l’esatta individuazione delle
materie soggette alla disciplina della legge dello Stato, il riconoscimento della potestà
legislativa regionale in tutte le altre nonché mediante la soppressione dei tradizionali
controlli sull’operato delle Regioni e di Comuni e Province.
La potestà legislativa statale risulta così circoscritta alle materie di cui all’art. 117,
secondo comma, nonché, come già detto, alla determinazione dei principi fondamentali
nelle materie ex art. 117, comma terzo. Solamente lo Stato può adottare leggi nelle
materie di legislazione esclusiva quali la politica estera, i rapporti internazionali dello
Stato, l’immigrazione, i rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose, la difesa e
le Forze armate, la sicurezza dello Stato, le leggi elettorali, l’ordine pubblico e la
sicurezza, la cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi, la giurisdizione e le norme
processuali.
In particolare, l’art 117, comma 2, lettera p, riserva allo Stato la competenza in materia
di: legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,
Province e Citta' metropolitane.
Nelle materie di legislazione concorrente, invece, allo Stato compete la determinazione
dei principi fondamentali mentre la disciplina di dettaglio spetta alle leggi regionali.
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Rappresentano materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al
commercio con l’estero, alla tutela ed alla sicurezza del lavoro, alle professioni, al
governo del territorio, alle grandi reti di trasporto e di navigazione, alla valorizzazione
dei beni culturali ed ambientali ed alla promozione ed organizzazione delle attività
culturali.
In base all’inversione del criterio di riparto, l’ambito regionale è divenuto più rilevante.
Ciò è confermato dall’evidenziazione della presenza degli stessi limiti per l’esercizio
della potestà legislativa, e cioè il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (articolo 117, comma 1).
Il concetto di equiparazione tra i livelli, statale e regionale, di potestà legislativa viene
ribadito anche dal nuovo testo dell’articolo 127, in cui si dispone che sia il Governo sia
la Regione possono promuovere la questione di legittimità (rispetto alle competenze
costituzionalmente loro assegnate) dinanzi alla Corte Costituzionale, dopo l’entrata in
vigore della legge. Nel vecchio testo, invece, il Governo poteva proporre l’impugnativa
in via preventiva, prima della pubblicazione della legge, tramite la figura del
Commissario governativo.
1.1.1 La competenza ordinamentale sugli enti locali.
La questione della ripartizione delle competenze tra diversi livelli di governo, sia sul
piano delle potestà legislative sia su quello delle funzioni gestionali e amministrative,
costituisce uno degli elementi centrali – per alcuni versi forse il più qualificante – della
transizione verso un assetto istituzionale maggiormente improntato ai principi del
federalismo. Affidare un numero consistente e rilevante di materie alla sfera delle
decisioni autonome dei livelli decentrati significa, infatti, applicare quel principio di
vicinanza tra cittadini - elettori e organi di governo locali che fa parte dei motivi capaci
di giustificare una forma di intervento pubblico meno centralista e prossimo alle
caratteristiche di uno Stato federale.
Il riconoscimento a tutti gli enti costitutivi della Repubblica della possibilità di darsi
ordinamenti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni secondo principi stabiliti
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dalla Costituzione appare, insieme all’abrogazione dei controlli esterni, lo strumento di
garanzia costituzionale della conquistata autonomia di tutti i livelli di governo. Il
riconoscimento dell’autonomia statutaria, definito dall’art. 114, comma 2, ha importanti
conseguenze sul piano della interpretazione costituzionale.
Nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato si riflettono funzioni che
sottendono l’esistenza di un interesse nazionale unificante, la cui tutela non può essere
facilmente frazionata tra diversi livelli di governo ovvero assegnata in via di principio ai
Comuni.
In considerazione della natura degli interessi tutelati, infatti, l’art. 120 ha previsto
l’intervento statale in via sostitutiva, quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o
dell’unità economica ed in particolare al fine di garantire un livello uniforme di
prestazioni sul territorio nazionale, sempre secondo procedure che rispettino i principi di
sussidiarietà e leale collaborazione, e comporta, sostanzialmente, una generale
competenza al livello centrale delle funzioni poste a tutela degli interessi nazionali.
Una deroga alla attribuzione in via di principio di tutte le funzioni ai Comuni è
rappresentata anche dalla competenza delle Regioni nelle funzioni che richiedono
l’unitario esercizio a livello regionale; le Regioni svolgono funzioni di
programmazione, indirizzo, e coordinamento, esercitano funzioni amministrative
relative a competenze legislative quali il commercio con l’estero, la ratifica di intese con
altre Regioni e con Stati e enti esteri, e pertanto, in queste materie, è da escludere il
permanere di una titolarità di funzioni degli Enti Locali.
L’articolo 118 della Costituzione distingue tra funzioni amministrative proprie1 di
Comuni, Province, Città metropolitane e funzioni conferite o attribuite con legge dallo
Stato o della Regione, secondo le rispettive competenze2.
Secondo il principio di sussidiarietà, le funzioni amministrative vengono conferite alle
autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati, con
1 Cfr. infra, paragrafo 1.1.3 2 Cfr. infra, paragrafo 1.1.3
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esclusione di quelle incompatibili con le dimensioni dell’ente. La differenziazione della
allocazione delle funzioni in considerazione delle caratteristiche demografiche,
territoriali e strutturali degli enti riceventi e la loro idoneità organizzativa (adeguatezza)
a garantire l’esercizio delle competenze sono gli altri principi da seguire per individuare
il nuovo grado di autonomia amministrativa dei diversi livelli di governo sub statale,
sulla base dell’art. 118 Cost.
Allo Stato, divenuto, secondo l’articolo 114 della Costituzione, uno degli enti costitutivi
della Repubblica insieme a Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni e ad essi
equiparato e posto al medesimo livello costituzionale, permane la uniforme disciplina su
tutto il territorio nazionale della propria organizzazione, di quella degli enti pubblici
nazionali e la competenza legislativa esclusiva relativa alla individuazione delle
funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
Inoltre, secondo l’art.118, comma 2, i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono
titolari di funzioni amministrative proprie e di funzioni conferite con legge statale o
regionale in base alle rispettive competenze legislative ai sensi dell’articolo 117 della
Costituzione.
La diversa tipologia di funzioni amministrative indicate nel nuovo testo costituzionale
rappresenta uno dei nodi interpretativi della riforma; la soluzione più condivisa restringe
il campo alle funzioni “fondamentali,” attribuite dallo Stato agli enti locali e ricavate
dalle materie di competenza legislativa sia statale che regionale, e alle funzioni
“conferite,” attribuite dallo Stato e dalle Regioni agli enti locali in base alle materie di
rispettiva competenza legislativa esclusiva.
1.1.2 La diversa posizione delle Regioni speciali e delle Regioni ordinarie
In un contesto di chiara “gerarchia” istituzionale tra lo Stato, da un lato e le autonomie
locali, dall’altro, la Costituzione del 1948, sul piano delle potestà legislative, assegnava
alle Regioni il potere di emanare per alcune specifiche materie “norme legislative nei
limiti dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano
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in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni” (art. 117 vecchio
testo Costituzione).
Tale versione del Titolo V, pertanto, si serviva della “legislazione concorrente” tra Stato
e Regioni per disciplinare materie rilevanti, quali l’istruzione artigiana e professionale,
l’urbanistica, il turismo, la viabilità, gli acquedotti e i lavori pubblici di interesse
regionale, l’artigianato, l’agricoltura. Al tempo stesso, al successivo art. 118, la Carta
Costituzionale sanciva che “spettano alla Regione le funzioni amministrative per le
materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale,
che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad
altri enti locali.”.
La Costituzione ha previsto Regioni ad autonomia speciale e Regioni ad autonomia
ordinaria. Alle cinque Regioni speciali (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia,
Trentino-Alto Adige e Valle D'Aosta) sono attribuite particolari forme e condizioni di
autonomia che vengono disciplinate da appositi Statuti adottati con legge costituzionale
(art. 116 Cost., comma 1). Per conoscere le competenze delle Regioni speciali occorre
dunque far riferimento ai singoli Statuti da ciascuna adottati.
La Costituzione del 1948 riconosceva, pertanto, alle Regioni un diverso grado di
autonomia, misurabile nella maggiore o minore presenza di limiti, imposti dal
legislatore statale, alla loro potestà legislativa. Nella sua versione originaria, la
Costituzione stabiliva per le Regioni due livelli di potestà legislativa: piena, solo per le
cinque Regioni a Statuto Speciale; concorrente o ripartita (ovvero subordinata alla
conformità dei principi generali stabiliti dallo Stato in una legge definita “quadro”) per
le Regioni a Statuto ordinario. Inoltre, per tutte le Regioni era prevista anche una
competenza legislativa di attuazione o integrativa attraverso la quale le Regioni si
limitavano ad adattare la normativa statale già esistente alle necessità e ai bisogni
particolari del territorio. Pertanto le Regioni a Statuto speciale, in alcune materie
costituzionalmente definite, avevano competenza a legiferare in modo autonomo
rispetto allo Stato. Tale potere legislativo era limitato dal vincolo del rispetto dei
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principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale (anche se deducibili in via
interpretativa), degli obblighi internazionali, delle leggi di riforma economica e sociale,
dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni.
Un’ulteriore differenza nella potestà legislativa delle due tipologie di Regioni
interessava la normativa di attuazione ad esse deferita da legge dello Stato. Mentre, per
dettato costituzionale, era possibile in sede di norma statale affidare alle Regioni a
Statuto ordinario la competenza e il mandato ad emanare norme applicative che
rendessero operativa la disciplina statale sul territorio regionale – con modalità che
rispettassero le differenze tra le diverse aeree geografiche – per le Regioni a Statuto
speciale lo Stato poteva effettuare questa delega solo ove lo Statuto lo consentiva.
Assai diverso è il criterio con cui è stato costruito il nuovo art. 117 della Costituzione.
Esso, infatti, elenca una serie di materie di competenza esclusiva dello Stato, un gruppo
di materie di competenza concorrente Stato-Regioni ed infine, con una norma a
carattere residuale, attribuisce tutte le altre materie non menzionate alla piena potestà
regionale.
In continuità con il vecchio testo della Costituzione, rimane la potestà legislativa
regionale “concorrente”, che interessa le materie incluse in un elenco predefinito. Per
tali materie, la determinazione dei principi fondamentali rimane riservata alla
legislazione dello Stato mentre alle Regioni è affidata la rimanente disciplina.
Con la riforma costituzionale, inoltre, la legge regionale è soggetta agli stessi limiti di
quella statale. In particolare, oltre al rispetto della Costituzione, vengono inseriti i
vincoli derivanti dall’Ordinamento Comunitario e dagli obblighi internazionali.
Precedentemente, il testo costituzionale non limitava espressamente la potestà
legislativa statale (che chiaramente doveva essere esercitata nel rispetto e nell’ambito
della Costituzione); prevedeva invece limiti alla potestà legislativa delle Regioni
attraverso i vincoli dei “principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e del
“contrasto con l’interesse nazionale e con quello delle altre Regioni”.
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Al riguardo, si ritiene utile citare l’orientamento della Corte Costituzionale, espresso
con le sentenze nn. 238 e 286 del 2007 con cui la Consulta risolve – con decisioni in
parte di inammissibilità, in parte di infondatezza – un cospicuo gruppo di censure di
costituzionalità mosse dal Governo a due leggi regionali del Friuli Venezia Giulia: la l.r.
9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione-autonomie
locali nel Friuli Venezia Giulia) e la l.r. 13 dicembre 2005, n. 30 (Norme in materia di
piano territoriale regionale).
Infatti, le due impugnazioni hanno dato l'occasione alla Corte di pronunciarsi in termini
generali sull'estensione della competenza primaria in tema di potestà ordinamentale
delle Regioni speciali e di farlo sotto l'angolo visuale in certo senso più delicato: quello
del potenziale conflitto tra la nuova posizione che la riforma del Titolo V attribuisce agli
enti locali infraregionali da un lato, ed il carattere primario della potestà ordinamentale
sugli enti locali riconosciuta dallo Statuto di autonomia differenziata dall'altro.
È da rilevare da un lato che la Corte privilegia il richiamo ai principi generali
dell'ordinamento (tendenza del resto consolidata nella giurisprudenza in materia di
potestà ordinamentale). D'altro lato che – nella individuazione dei principi che fungono
da limite alla potestà ordinamentale – la riforma del 2001 non sembra avere alcun peso
significativo, ed in particolare non sembra averlo la “carica paritaria” tra livelli
territoriali di governo introdotta dalla riforma dell'art. 114 Cost.: ad essa infatti la Corte
non mostra di voler ricondurre alcuna alterazione in ordine ai rapporti tra Province e
Regioni speciali. I percorsi argomentativi seguiti dalla Corte, in particolare quando essa
opera un richiamo al principio di tutela e promozione dell'autonomia locale, sono infatti
esattamente ricalcati su quelli anteriori alla revisione del Titolo V, parte II, Cost.,
quando la posizione costituzionale degli enti locali era certamente di minor garanzia,
essendo affidata alla legge generale di cui all'art. 128 Cost., e sono ancorati al principio
di tutela e promozione dell'autonomia locale previsto dall'art. 5 Cost.
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In definitiva, dunque, la potestà legislativa regionale in materia di ordinamento degli
enti locali non sembra incontrare – secondo queste decisioni – limiti maggiori di quanti
fossero già desumibili dall'art. 5 Cost. prima della riforma.
Infine, è da notare che la Corte, in questa sentenza, prende posizione – sia pure
incidentalmente – su una delle prime questioni interpretative sorte sulla l.cost. n. 3/2001
con riguardo alle funzioni degli enti locali: quella relativa ai rapporti tra le funzioni
“fondamentali” previste dall'art. 117, comma 2, lett. p), da un lato, e quelle “proprie”
(previste dall'art. 118 Cost. accanto a quelle “conferite” o “attribuite”).
Le parole che la Corte spende in proposito nella sentenza in esame (pure senza
diffondersi in modo particolarmente approfondito sul tema) sono orientate verso una
svalutazione delle differenze tra le due locuzioni linguistiche, attraverso una loro lettura
non formalistica: secondo la Corte, infatti, le due formule possono essere fatte
coincidere tra loro, ed in entrambi i casi sembrerebbero essere riferite “a quel nucleo di
funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti
locali sancito dall'art. 5 Cost.” che sfuggirebbe alle possibilità di conformazione da
parte della Regione titolare del potere ordinamentale sugli enti locali. Se questo
orientamento interpretativo dovesse confermarsi, esso non sarebbe privo di peso anche
con riguardo alla definizione della competenza statale esclusiva in materia di
definizione delle funzioni “fondamentali” degli enti locali. Una lettura di questo tipo
della nozione di funzioni fondamentali porterebbe infatti ad escludere che lo Stato, in
sede di riscrittura del T.U.E.L. nell'esercizio della competenza di cui all'art. 117, comma
2, lett. p), possa estendere il proprio intervento all'individuazione di specifiche funzioni
amministrative settoriali di spettanza degli enti locali; ed anzi dovrebbe condurre ad
escludere che la disciplina delle funzioni fondamentali possa assumere un'ampiezza
confrontabile con quella dell'attuale testo unico. Ne deriverebbe dunque che largo
spazio nel conformare le funzioni degli enti locali dovrebbe essere lasciato – nelle
materie di competenza regionale – alla legislazione delle Regioni a statuto ordinario, le
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quali a loro volta beneficerebbero di un consolidamento e di un accrescimento dei loro
poteri conformativi delle funzioni dei livelli di governo infraregionali3.
1.1.3 Distinzione tra funzioni fondamentali e non fondamentali
Per individuare quali funzioni possano ancora permanere allo Stato e quali siano invece
da considerare esercitabili dalle Regioni e dagli enti locali occorre, prima di tutto, fare
riferimento ai nuovi ambiti di potestà legislativa e alla loro capacità di allocare, con
legge, le funzioni amministrative. Successivamente si deve differenziare all’interno dei
livelli di governo la titolarità delle competenze allo scopo di ottimizzarne l’efficacia,
secondo i noti principi di sussidiarietà-adeguatezza-differenziazione.
La legge costituzionale n. 3/01 segue il decentramento amministrativo attuato con la
riforma “Bassanini”; pertanto, l’attribuzione delle funzioni amministrative ai diversi
livelli di governo comporta integrazioni e cambiamenti nell’assegnazione delle materie
decentrate con la legislazione delegata d’attuazione della legge n. 59/97.
Successivamente, la legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia), recante
“Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, ha delegato il Governo ad “adottare, su proposta
del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per gli affari regionali, per le
riforme istituzionali e la devoluzione e dell’economia e delle finanze, uno o più decreti
legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo
117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di
Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni
primari delle comunità di riferimento.”.
Al riguardo, va chiarito preliminarmente che tutte le funzioni spettano ai Comuni, ad
eccezione delle funzioni amministrative che vengono conferite dallo Stato e dalle
Regioni, secondo le rispettive competenze legislative e nel rispetto dei noti principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, a Province, Città metropolitane, Regioni,
3 Sulla sentenza Corte Costituzionale n. 238 del 2007 vedi anche L.CASTELLI e M. DI FOLCO, Regioni e Autonomie Locali, in rivista Astrid on line
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Stato, qualora occorra assicurare l’unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento,
efficienza o efficacia dell’azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o
economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale. Per altro
verso, lo Stato e le Regioni devono favorire lo svolgimento di attività amministrative di
interesse generale da parte di associazioni o singoli cittadini sulla base del principio di
sussidiarietà orizzontale (art. 118, quarto comma).
La distinzione tra funzioni comunali proprie e conferite pare contraddire il principio
della attribuzione di tutte le competenze, in via di principio, al Comune stesso; funzioni
definite proprie vengono menzionate anche dall’articolo 114 della Costituzione che ne
attribuisce la titolarità anche alle Regioni. Inoltre tra le materie di potestà esclusiva dello
Stato, articolo 117, comma secondo, lettera p), è menzionata la competenza relativa alla
individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
Una prima soluzione interpretativa ritiene che l’espressione funzioni fondamentali
“vada intesa come sinonimo di funzioni indefettibili o più importanti (ovvero – il che è
lo stesso – indefettibili, in quanto più importanti)4.
Una seconda ipotesi prevede la equivalenza tra funzioni proprie (articolo 118) e
funzioni fondamentali (articolo 117) dei Comuni, delle Province, delle Città
metropolitane: l’articolo 118 indicherebbe, quindi come:
- funzioni proprie o fondamentali quelle identiche per tutti gli enti di pari livello e
quindi rappresentative della base delle competenze dell’ente, che sarebbero attribuite
dallo Stato ai sensi della lettera p) del secondo comma dell’articolo 117;
- funzioni conferite o attribuite tutte quelle che vengono riconosciute di
competenza degli Enti Locali con leggi statali nelle altre materie, diverse da quella
indicata alla lettera p), di potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Tale distinzione non viene riscontrata in altre parti del riformato Titolo V, anzi,
l’articolo 118 fa riferimento alla legge statale per attribuire le funzioni secondo le
4 A.D’ATENA, Diritto regionale, Giuppichelli, Torino, 2010, p. 180.
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competenze legislative dello Stato, inclusa chiaramente la materia indicata dall’articolo
117, secondo comma, lettera p) (Follieri).
Un’altra ipotesi individua nelle funzioni proprie quelle attualmente previste dalla
normativa vigente (Mangiameli) all’entrata in vigore della riforma costituzionale, cioè
la legge 267/ 2000; le funzioni conferite sarebbero quelle attribuite da nuove leggi
statali e regionali. In questo quadro diminuirebbe la potestà del legislatore statale di
attribuire le cosiddette funzioni fondamentali in considerazione della vasta opera di
devoluzione già attuata dalla legislazione delegata della riforma “Bassanini”.
In ogni modo, in tutte le tesi fin qui riportate, la nuova potestà legislativa dello Stato e
delle Regioni diviene elemento essenziale della ripartizione delle funzioni
amministrative, in quanto è lo Stato o la Regione, secondo le proprie competenze
legislative, a conferire le funzioni amministrative.
A parere della Corte costituzionale: “Quale che debba ritenersi il rapporto fra le
“funzioni fondamentali” degli Enti Locali di cui all’articolo 117, secondo comma,
lettera p, e le “funzioni proprie” di cui a detto articolo 118, secondo comma, sta di fatto
che sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze
legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformità alla generale
attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di “esercizio
unitario”, a livello sovracomunale, delle funzioni medesime”. (sent. 43/2004).
Nell’articolo 118 della Costituzione sono solo indicati i principi da utilizzare per
l’individuazione e l’attribuzione delle funzioni amministrative; è con le leggi dello Stato
e con le leggi regionali che si deve provvedere alla vera e propria attribuzione delle
competenze degli Enti Locali.
In via di principio, la legge regionale conferisce le funzioni agli Enti Locali, secondo i
noti principi e nei limiti delle esigenze unitarie, in tutte le materie che l’articolo 117
della Costituzione attribuisce alla competenza concorrente o ripartita Stato-Regioni e
nelle materie di propria esclusiva competenza legislativa; lo Stato attribuisce le funzioni
nelle materie di competenza legislativa esclusiva, tra le quali, come detto, è presente la
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competenza generale in materia di “funzioni fondamentali di Comuni, Province, Città
metropolitane”.
La riforma del Titolo V della Costituzione, pertanto, esige di rivedere l’allocazione delle
funzioni amministrative prevista dal d. lgs. 112/1998.
Sembra possibile affermare che molte delle funzioni attribuite in via di principio al
livello comunale dall’articolo 118 della Costituzione saranno effettivamente allocate
con legge regionale e statale a livelli territoriali superiori; tale scelta non potrà però
essere il frutto di una decisione insindacabile del legislatore ma dovrebbe consistere nel
risultato di una procedura che prevede consultazioni preventive, accordi e intese con gli
Enti Locali.
Ancora una volta è il principio di leale collaborazione che dovrebbe ispirare l’intesa tra
lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali, secondo una procedura che rispetti le attribuzioni
costituzionali relative alle competenze amministrative e legislative.
A livello regionale la sede di consultazione fra Regioni e Enti Locali sarà il Consiglio
delle Autonomie Locali, previsto dall’articolo 123 della Costituzione e definito come
organo che svolge soltanto funzioni consultive, destinato a rappresentare gli Enti Locali
in un processo decisionale che si prospetta diverso da quelli finora svolti, a seguito delle
innovazioni introdotte dagli articoli 114 e 118 della Costituzione.
1.1.4 Scopo del lavoro
L’obiettivo del presente lavoro è quello di evidenziare, attraverso l’analisi degli statuti e
di alcune leggi delle Regioni ad autonomia speciale e delle Regioni ad autonomia
ordinaria, come il legislatore regionale abbia interpretato il proprio ruolo nella materia
dell’ordinamento degli Enti Locali, se e come sia intervenuto e con quali modalità.
In pratica, si è voluta esplorare, in una prospettiva concreta, l’attuazione di questa
potestà da parte delle Regioni speciali, che ne erano titolari già anteriormente alla
riforma del Titolo V della Costituzione, confrontandola con gli interventi delle Regioni
ordinarie.
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Inoltre, è stato effettuato un confronto tra questi interventi e quelli attuati dalle Regioni
ordinarie, verificando se queste ultime si siano avvalse delle opportunità offerte dalla
riforma.
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CAPITOLO II Il ruolo dello Stato. Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117,
comma 2, lett. P): itinerari e contenuti. La Carta delle
autonomie. L’ordinamento di Roma, capitale della
Repubblica
2.1: Il ruolo dello Stato
Nel previgente assetto costituzionale del 1948 il ruolo dello Stato era quello di essere il
perno del sistema costituzionale, mentre le autonomie locali erano ristrette nella limitata
formulazione del precedente art. 114 che sanciva: “La Repubblica si riparte in Regioni,
Province e Comuni.”. Tuttavia va evidenziato che già nel 1948 l’articolo 5 della
Costituzione enunciava “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali” e “adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze
dell’autonomia e del decentramento”. Dunque già dal 1948 il costituente ha operato una
scelta di sussidiarietà decidendo di “adeguare i principi e i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell’autodeterminazione, dell’autonomia e del decentramento”. Tuttavia la
predominanza dello Stato impediva di parlare di un sistema costituzionale delle
autonomie locali. Esse erano più un fatto puramente declamatorio, utile ad evidenziare il
loro carattere territoriale e organizzativo, che una realtà costituzionale espressione di
autonomia amministrativa.
Nel nuovo assetto dell' art. 114 della Costituzione, la Repubblica è costituita dai
Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato, secondo
una prospettiva policentrica, rovesciata rispetto al passato, che pone tutti i diversi livelli
di governo territoriale sul medesimo piano. Dunque lo Stato ha una posizione paritaria e
autonoma rispetto agli altri livelli di governo e il suo ruolo permane nelle materie dove
esercita in via esclusiva la potestà legislativa che attrae il potere regolamentare (art. 117,
comma 6, Cost.). Vanno segnalati, inoltre, i casi di competenze dovute all’attrazione in
sussidiarietà di potestà legislative spettanti alle Regioni, conseguenti al recupero della
logica del parallelismo tra potestà legislativa e funzioni amministrative, superato dalla
novella costituzionale del 2001 e successivamente legittimato dalla Corte Costituzionale
18
con sentenza n. 303 del 13.9.20035. Lo Stato, così, non ha più una posizione
strutturalmente e gerarchicamente sovraordinata agli altri enti territoriali e addirittura
tutoria6, ma è alla pari con loro.
Dunque la Repubblica voluta dal legislatore di revisione del 2001, pur restando
saldamente una ed indivisibile grazie al disposto del già richiamato art. 5, che oggi più
che mai è il pilastro fondamentale del sistema costituzionale, ha un ordinamento
policentrico con articolati governi territoriali, espressione di comunità che si
autogovernano e vivono in condizioni di autonomia secondo il principio del
decentramento territoriale autonomistico implicito nella Costituzione già dal 1948.
E così il novellato art. 118 comma 1, superando il principio del parallelismo tra potestà
legislativa e funzioni amministrative, delinea il ruolo dello Stato enunciando che “Le
funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio
unitario siano conferire a Provincie, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.”. Dunque nella prospettazione
policentrica della Repubblica lo Stato è uno degli elementi costitutivi dell’ordinamento
repubblicano al pari di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Va detto, però,
che anche se l’art.118 novellato attribuisce ai Comuni la competenza generale e
residuale delle funzioni amministrative, tuttavia fa salva l’ipotesi in cui lo Stato, al pari
degli altri enti sovracomunali, ha la competenza di funzioni amministrative solo se ciò
si renda necessario per assicurare il loro esercizio unitario7 (art. 118, comma 1, Cost.).
Definito l’attuale ruolo dello Stato in ordine all’esercizio delle funzioni amministrative,
va però detto che su tale questione la novella costituzionale del 2001, introdotta ormai
da più di dieci anni, non ha ancora oggi trovato concreta attuazione. In particolare l’art.
117, comma 2, lett. p), della Costituzione, che prevede la competenza legislativa
esclusiva dello Stato a dettare norme sull’ordinamento degli enti locali, non è ancora
attuato ed è divenuto ormai improcrastinabile affrontare la questione del riordino del
5 A.D’ATENA “opera cit.,” p.153,154,155. 6 A.D’ATENA “opera cit.” p.78. 7 A.D’ATENA “opera cit.” p.181.
19
governo locale, già fortemente in ritardo. Pertanto i progetti di riforma in essere
debbono farsi concreti e diventare rapidamente legge.
2.2: Tentativi dello Stato di attuare l’art. 117, comma 2, lettera p): itinerari e
contenuti
2.2.1: Itinerari
La legge 18 ottobre 2001 n.3 ha segnato la data di avvio di vari tentativi di attuazione
del riordino degli enti locali nello spirito della novella costituzionale. Ve ne sono stati
sia sul versante statale che su quello regionale. In particolare l’art. 117, comma 2, lettera
p) della Costituzione attribuisce la potestà legislativa esclusiva allo Stato in materia di
legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e
Città metropolitane. La norma costituzionale in esame assume un rilievo importante in
quanto è la fonte primaria dell’ordinamento degli enti locali. Essa disciplina l’assetto
ordinamentale statale degli enti locali composto dai tre specifici settori enunciati.
Ad oggi, purtroppo, “il cantiere costituzionale italiano è ancora aperto”8 in quanto i tre
ambiti non hanno ancora trovato una organica e compiuta disciplina. Sul piano statale si
segnala la legge 131/2003 (disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3) e la legge 42/2009 (delega al
Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’art. 119 della Costituzione).
Sul piano regionale, alcune Regioni non hanno adottato ancora né i nuovi Statuti, né le
leggi elettorali regionali, né i regolamenti interni dei Consigli regionali, né hanno
attivato i Consigli per le Autonomie.
Perché vi sia la piena attuazione della novella costituzionale, con riferimento all’art.
117, comma 2, lett. p), occorre individuare e allocare le funzioni fondamentali degli enti
locali che è il presupposto costituzionale per giungere all’autonomia finanziaria degli
enti locali di cui all’art.119, comma 1, della Costituzione. A tal proposito va richiamata
la legge 5 maggio 2009, n. 42, attuativa del citato art. 119, sul federalismo fiscale e
8 A.D’ATENA “opera cit” p.82.
20
contenimento della spesa pubblica che, oltre a contenere svariate deleghe al Governo, di
cui 8 già attuate, prevede un’importante disciplina transitoria per gli enti locali (art. 21)
per le Città metropolitane (art. 23) e per Roma, capitale della Repubblica (art. 24) che
consente di dare un provvisorio avvio alla disciplina ordinamentale statale degli enti
locali, in attesa della approvazione e promulgazione di una legge ordinaria statale
organica e completa, oggi inesistente, che giunga a dettare principi e criteri di
individuazione delle disposizioni, statali e regionali, concernenti l’ordinamento degli
enti locali, da raccogliere nella c.d. “ Carta delle autonomie”.
Infine va detto che un grande contributo interpretativo è stato offerto dalla Corte
Costituzionale che, in assenza di precise norme, ha intensificato la sua attività
diventando il maggior attuatore della riforma costituzionale. Essa ha dato vita ad una
giurisprudenza fortemente “creativa” che ha colmato incertezze e zone d’ombra del
nuovo sistema costituzionale9.
Oltre alla già citata legge 131/2003, emanata durante la XIV legislatura, anche l’attività
parlamentare ha visto sforzi che, però, non sono giunti a termine per le vicende politiche
della XV e XVI legislatura parlamentare.
E così durante la XV legislatura viene presentato il DDL AS 1464, intitolato “Delega al
Governo per l’attuazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e
per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale n.
3 del 2001”, proposto al Consiglio dei Ministri il 19/1/2007, su proposta del Ministro
per gli affari regionali, del Ministro dell’interno e altri, che decade per fine legislatura
lasciando, però, un corposo e organico lavoro ordinamentale di sicuro riferimento e
interesse giuridico.
Nella successiva legislatura, la XVI, ha iniziato il suo cammino parlamentare il DDL
AC 3118, presentato alla Camera dei Deputati il 13/1/2010 e intitolato “Individuazione
delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell’ordinamento
9 A.D’ATENA “opera cit,” p.80.
21
regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di
funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province
e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati”.
L’esame del provvedimento è iniziato presso la Commissione Affari costituzionali l’11
marzo 2010 e si è concluso il successivo 10 giugno. L’Assemblea della Camera ha poi
approvato il 30 giugno 2010 il disegno di legge che dal 2/7/2010 è passato all’esame
del Senato della Repubblica dove è stato classificato AS n. 2259. Allo stato è
calendarizzato in Commissione Referente Affari Costituzionali per il prossimo 6 aprile
2012, ma potrebbero esservi ulteriori modifiche dell’atto parlamentare, anche in ragione
della mutata situazione di governo alla data della presente scrittura.
E già alcuni schieramenti politici hanno annunciato interventi da agganciare all’AS
2259 sul Codice delle autonomie, con particolare attenzione alle nuove funzioni
provinciali di indirizzo e gestione di servizi di area vasta ex art. 23 L.214/2011 e alle
città metropolitane. (AC 1242 di modifica dell’art. 133 Cost.).
2.2.2: Contenuti
Andando, ora, ad approfondire lo specifico tema della individuazione e allocazione
delle funzioni fondamentali ai sensi del già citato art. 117 secondo comma, lettera p), va
immediatamente messo in evidenza che il primo tentativo di attuazione della riforma si
è avuto durante la XIV legislatura, ricompresa tra il 30 maggio 2001 e il 27 aprile 2006,
ed è stato portato a termine con la legge 5 giugno 2003, n. 131, c.d. legge La Loggia.
La maggioranza del tempo, centro-destra, ha ereditato l’attuazione della riforma
costituzionale del 2001 la cui paternità è però del precedente governo di centro-sinistra.
La legge 131/2003, però, non ha dato piena attuazione alla riforma. Essa, pur dettando
disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, non recepisce in pieno i nuovi indirizzi
costituzionali. E così, più che dare diretta attuazione al testo costituzionale e garantire il
rispetto del principio di autodeterminazione dell’autonomia locale, contiene un
22
programma di norme attuative. E infatti all’art. 2 conferisce la delega al Governo ad
adottare uno o più decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni
fondamentali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione,
essenziali per il funzionamento dei Comuni, Province e Città metropolitane, nonché per
il soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento. Stabilisce inoltre
che con i predetti decreti legislativi si provvede, nell’ambito della competenza
legislativa esclusiva dello Stato, alla revisione delle disposizioni in materia di enti
locali, per adeguarle alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3.
Ciò posto la prima osservazione da fare è che la legge non reca traccia dei nuovi
indirizzi costituzionali e, anzi, ripropone il modello di una amministrazione retta, nelle
sue varie articolazioni centrali e periferiche, da regole unitarie10. Tale contrasto ha dato
vita a molteplici ricorsi alla Corte Costituzionale. La legge detta una serie di norme che,
in apparenza, si limitano ad apportare modeste integrazioni al testo costituzionale ma
che in realtà ampliano i limiti apposti dalla Costituzione stessa all’autonomia regionale
e locale non conformi al nuovo dettato costituzionale a cui vogliono dare attuazione11. Il
rimettere ogni scelta al governo in sede di delega ne è prova. L’indirizzo centrista è
evidente e si rileva in particolare dall’art. 7, comma 1, sul conferimento delle funzioni
amministrative. La legge va ad incidere sostanzialmente sugli enti locali in quanto
amplia i criteri che consentono di derogare al principio della loro competenza residuale
dei Comuni di cui all’art. 118, comma1. La norma costituzionale prevede infatti che ciò
può accadere solo per assicurare l’esercizio unitario delle funzioni amministrative,
mentre la legge 131/2003 aggiunge a tale criterio anche i principi di buon andamento,
efficienza o efficacia, i motivi funzionali ed economici e le esigenze di programmazione
o di omogeneità territoriale. Il tentativo di ridurre gli spazi di azione amministrativa dei
Comuni è palese.
10 G.C.DE MARTIN,” Il sistema amministrativo dopo la riforma del titolo V della Costituzione”, Roma 2002; 11 M. CAMMELLI,” Federalismi virtuali, e tiepide autonomie”, in “Le istituzioni del federalismo”, 2003;
23
Circa l’allocazione delle funzioni, vanno richiamati i già citati art. 2 e 7 della legge
131/2003, che però, come già osservato, si limitano a riprodurre il testo dell’art. 118
della Costituzione e non hanno pertanto autonomo valore precettivo.
Infine la citata legge non detta alcuna disposizione in ordine ai procedimenti
amministrativi, salvo quanto disposto dall’art. 1, comma 6, lett. b) che include tra i
criteri cui il governo si deve attenere nella ricognizione dei principi fondamentali,
quello del “rispetto dei principi generali in materia di procedimenti amministrativi e di
atti concessori o autorizzatori.
Altra attrazione di compiti verso il centro è data dal procedimento di allocazione delle
risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire ai sensi dell’art.2,
comma 6 e 7. A tal fine l’art. 2, comma 5, delinea un complesso procedimento di
presentazione dei relativi disegni di legge che restituisce al Parlamento la funzione di
allocazione delle risorse necessarie all’esercizio delle funzioni fondamentali, dopo che
tale disciplina era stata superata da quella dettata dalla legge n. 59/1997, c.d. Bassanini
1, la quale rimetteva la determinazione delle risorse da trasferire ad un decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri. Inoltre pone il dubbio giuridico se gli accordi
raggiunti in sede di conferenza unificata che precedono la proposta di governo, debbano
essere vincolanti per il Parlamento e se quest’ultimo, chiamato ad approvare la norma
primaria, possa non approvarla con altra norma primaria di pari rango.
Dunque la legge 131/2003 ha fornito un’attuazione parziale della riforma costituzionale
e non ha neanche prodotto i decreti legislativi annunciati in attuazione dell’art. 117,
comma 2, lett.p) per decadenza del termine di esercizio della delega, più volte
prorogato. Ciò forse per l’incertezza sulla sorte della riforma costituzionale dovuta a
tentativi di revisione costituzionale (legge Bossi-La Loggia e referendum 2006) o, forse,
per gli indirizzi del governo in materia, mutevoli nel tempo e contradittori tra loro.
Nella successiva XV legislatura di centro-sinistra, portata avanti dal 28 aprile 2006 al 28
aprile 2008, vi è stata un importante attività parlamentare che ha proseguito l’attività
nello spirito della riforma costituzionale varata nel 2001 ma non è stata portata a
24
conclusione per fine legislatura. Il DDL n. 1464 di iniziativa governativa, presentato
alla Commissione Affari costituzionali del Senato il 5/4/2007 in attuazione dell’art.
117, secondo comma, lettera p), all’art. 2, comma 1, dello schema prevedeva di
conferire delega al Governo per l’individuazione e l’allocazione delle funzioni
fondamentali degli enti locali, per l’individuazione e l’allocazione delle funzioni proprie
degli enti locali, per la disciplina degli organi di governo, del sistema elettorale e degli
altri settori relativi all’organizzazione degli enti locali, di competenza esclusiva dello
Stato, per l’individuazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza
concorrente che interessano le funzioni, le organizzazioni ed i servizi degli enti locali,
per l’istituzione delle città metropolitane, l’individuazione di funzioni amministrative
statali ulteriori, rispetto a quelle fondamentali e proprie, da allocare a livello territoriale,
per l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica, per disciplinare il potere
sostitutivo dello Stato da esercitarsi nei confronti delle Regioni in caso di inerzia delle
stesse nell’adeguare le proprie disposizioni al nuovo ordinamento degli enti locali, la
revisione delle circoscrizioni delle province, per l’adozione della Carta delle autonomie
quale metodo di individuazione delle funzioni fondamentali da attribuire ai Comuni e
costituenti il nuovo ordinamento degli enti locali.
Lo schema del provvedimento, all’art. 1, comma 4, prevedeva di istituire una cabina di
regia quale sede di coordinamento per la predisposizione degli atti istruttori relativi ai
provvedimenti attuativi dei decreti delegati. In verità la proposta iniziale assegnava ad
essa il compito di definire il contenuto degli schemi dei decreti legislativi e dei
provvedimenti attuativi elaborando da subito, ai sensi dell’art. 1 del DDL approvato, i
principi e gli indirizzi generali a cui ricondurre il riordino degli enti locali.
Tale scelta strategica caratterizza l’intero schema del provvedimento che più che essere
un passaggio di compiti è un passaggio di funzioni con principi e indirizzi e criteri
direttivi. Circa le funzioni amministrative da individuare e allocare lo schema prevede
che, ferma restando la competenza generale dei Comuni ex art. 118, comma 1, Cost.,
l’allocazione sovracomunale può avvenire solo per esigenze di esercizio unitario. Va
osservato che lo schema riconduce i criteri di deroga alla competenza generale dei
25
Comuni negli spazi costituzionali, eliminando i principi di buon andamento, efficienza o
efficacia o per motivi funzionali ed economici ovvero per esigenze di programmazione
o di omogeneità territoriale previsti dall’art.7, comma 1, della legge 131/2003, c.d. La
Loggia, segno questo di valorizzare l’autonomia locale. Lo schema del provvedimento
dunque non elenca materie ma, alla luce degli indirizzi generali tracciati dal già citato
art.1, ripartisce le funzioni amministrative dei Comuni in funzioni fondamentali proprie
(art. 2, comma 3, lett. b) e ulteriori (art. 2, comma 3, lett. f), quest’ultime da acquisire
solo sussistendo i requisiti contabili, di qualità, di dimensione organizzativa ottimale
(art.2, comma 1, lett. m).
Lo schema approvato recava anche la disciplina di principio sulle forme associative tra
enti locali e per il pulviscolo comunale, sulla partecipazione popolare in forma singola e
associata ai processi decisionali amministrativi e di governo degli enti locali, la c.d.
autonomia funzionale di cui all’art. 118, comma 4, Cost., richiamando i principi della
trasparenza, imparzialità e buon andamento in attuazione del principio di democrazia e
prevedendo strumenti di autocorrezione, conciliazione e garanzia dei singoli ((art. 2,
comma 3, lett. p) e sulla partecipazione degli enti locali a società di capitali (art. 2, c.3,
lett. n, o e r). Infine all’art. 3, comma 1 e 2, dettava principi e forme procedimentali per
l’istituzione delle aree metropolitane, richiamando espressamente l’obbligo di fissare la
perimetrazione dell’area nel rapporto territoriale e funzionale con una o più province,
ove necessario. Infine conferiva delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento di
Roma capitale, offrendo sempre principi e criteri direttivi (art. 5, comma 1).
Lo schema inoltre, all’art.7 dava delega per la razionalizzazione ed armonizzazione
degli assetti territoriali conseguenti alla definizione e attribuzione delle funzioni
territoriali e amministrative degli enti locali, all’istituzione delle città metropolitane e
all’ordinamento di Roma capitale, ponendo principi e criteri direttivi per la revisione
delle circoscrizioni provinciali finalizzata all’ottimale servizio delle funzioni previste
per il governo di area vasta, per la revisione degli ambiti territoriali degli uffici
decentrati dello Stato.
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Infine l’art. 8 attribuiva al Governo la delega per l’adozione della Carta delle
autonomie. Sul punto però lo schema non scioglie l’incertezza, che da sempre
accompagna la materia, su chi debba individuare ed allocare presso i Comuni le
funzioni fondamentali rientranti nella competenza legislativa concorrente e residuale
delle Regioni a statuto ordinario. Se è pacifico che sia lo Stato ad avere la competenza
per le funzioni esercitate nell’ambito della propria competenza esclusiva di cui all’art.
117, comma 2, Cost., non è altrettanto pacifico che sia la Regione ad individuare e
allocare le funzioni fondamentali ricomprese nella propria competenza concorrente e
residuale. Lo schema non scioglie il dubbio e sembra far rientrare nella competenza
esclusiva statale solo le funzioni fondamentali esercitate dallo Stato. Sul punto si
potrebbe trovare una soluzione mediata che attribuisca allo Stato il potere di
individuazione delle funzioni e alle regioni ordinarie quello di allocarle presso i
Comuni. La scelta manterrebbe in capo allo Stato la competenza esclusiva alla
codificazione delle norme, e a dare organicità all’ordinamento degli enti locali. Questo
rappresenta un nodo cruciale come hanno dimostrato le vicende relative all’attuazione
regionale del d.lgs 112/1998 conseguente alla delega attribuita dalla legge 127/1997,
c.d. Bassanini 212.
Tale disegno di legge era volto prioritariamente ad allocare le funzioni amministrative
nei diversi livelli di governo, secondo canoni di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza di cui all’art. 118 Cost e in piena coerenza con i principi legislativi già
vigenti in materia. Si voleva attuare, cioè, il nuovo ordinamento degli enti locali,
sistema delle Autonomie organico e coerente con i principi costituzionali, prevedendo
principi, criteri ed indirizzi per l’istituire le città metropolitane e disporre la disciplina
dell’ordinamento di Roma capitale della Repubblica. Ma la fine anticipata della XV
legislatura ha fatto decadere il DDL AS 1464.
Durante la XVI legislatura, iniziata il 29 aprile 2008 ed ancora in corso, il Parlamento,
spinto dall’esigenza di contenimento della spesa pubblica, ha emanato la legge 5
12 In tal senso Anci, ” Nota su DDL AS n.1464”, Seminario Napoli, 7 maggio 2007
27
maggio 2009, n. 42, di delega al governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’art.119 della Costituzione. Essa avrebbe dovuto essere emanata solo dopo
l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, dovendo assegnare risorse
finanziarie solo a queste e non a quelle ulteriori che il Comune deve finanziare con
risorse proprie ai sensi dell’art. 119, comma 1, Cost.. Ma la mancata approvazione della
legge sulle funzioni fondamentali, c.d. Carta delle Autonomie e l’urgente, pressante e
preoccupante situazione dei conti pubblici ha indotto il legislatore a dettare una
disciplina transitoria che, all’art. 21, comma 2, individua provvisoriamente sei ambiti
funzionali ai fini del finanziamento integrale da parte dello Stato, calcolato in base al
fabbisogno standard e non alla spesa storica. Tali funzioni, riprese dal DPR 194/1996
sull’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, sono quelle generali di
amministrazione, di gestione e di controllo, quelle di polizia locale, quelle di istruzione
pubblica, asili nido, assistenza scolastica e refezione nonché l’edilizia scolastica, quelle
sulla viabilità e trasporti, quelle riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente,
con esclusione del sevizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia,
nonché per il servizio idrico integrato ed infine e quelle del settore sociale. Tali funzioni
non vengono espressamente definite dal legislatore come “fondamentali” ma il rilievo e
l’interesse che ad esse viene riservato fa dedurre che lo siano.
Ma tornando all’attività parlamentare in itinere, la XVI legislatura ha continuato,
comunque, a perseguire l’ambizioso traguardo dell’ordinamento sistemico degli enti
locali, con la presentazione, il 13.1.2006, alla Camera dei Deputati dell’AC 3118,
approvato il 30 giugno 2010 e passato al Senato il 2/7/2010, AS 2259, in discussione in
Commissione Referente Affari Costituzionali il prossimo 6.4.2012.
Lo schema di provvedimento si compone di dieci capi dei quali i primi tre riguardano
principi generali, le funzioni fondamentali e le funzioni amministrative degli enti locali.
E’ prevista la razionalizzazione degli uffici decentrati dello Stato, la soppressione delle
comunità montane, isolane e di arcipelago, l’individuazione degli organi degli enti
locali e la previsione, per i piccoli comuni, dei direttori generali e dei controlli.
28
In particolare, l’assetto che riguarda i principi e le funzioni fondamentali appare più
come una elencazione di compiti che un percorso che definisce un sistema
ordinamentale. In più vi sono molteplici punti confusi e impropri. Va subito osservato
che l’art. 6, comma 1, dello schema attribuisce anche alla legge regionale la competenza
a disciplinare le funzioni fondamentali, mentre, come noto, essa spetta allo Stato. Inoltre
l’art. 8 detta modalità di esercizio delle funzioni fondamentali elencandole con una
sequenza numerica stringente e poco chiara. In più va detto che la legge 122/2010, di
manovra di finanza pubblica, ha riformulato quanto previsto nell’art. 8 introducendo
norme di difficile interpretazione e applicazione.
Altro aspetto da segnalare è l’assenza di ogni previsione sull’ente Provincia. Lo schema
non dice nulla sull’esigenza della sua razionalizzazione o di una sua eventuale
soppressione. Pertanto restano incerte le scelte strategiche da adottare per un più stretto
collegamento con le realtà comunali o per una sua trasformazione legata all’istituzione
della città metropolitana come ente di area vasta e quelle in ordine alla revisione delle
circoscrizioni provinciali.
Analoga osservazione è fatta per le città metropolitane che all’art. 4 dello schema
ricevono solo una sommaria elencazioni di compiti, il che appare più grave anche in
considerazione del loro rapporto con le province e della circostanza che ancora non
sono state istituite e non è delineato in che modo ciò avverrà.
Anche la semplificazione amministrativo-burocratica appare incompleta, non offrendo
un quadro di competenze e funzioni coerente e capace di farne la base
dell’amministrazione pubblica ai sensi dell’art. 118 della Costituzione. Analoga
osservazione va fatta per le città metropolitane, ad oggi inesistenti, e di cui non vi è
alcuna programmazione attuativa.
Ma la questione più preoccupante è il riaffacciarsi del principio del parallelismo delle
funzioni amministrative con quella legislativa, ormai superato dall’art. 118 co.1 della
riforma costituzionale del 2001. E agli art. 9,10,11 e 12 del testo sul decentramento
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delle funzioni non si rilevano sufficienti garanzie per il loro effettivo conferimento ai
Comuni13.
Lo schema fin qui analizzato è, in questi giorni, oggetto di profonde trasformazioni
dovute anche al mutamento del quadro di Governo. L’AC n. 1242 di modifica degli
articoli 114 e 133 della Costituzione in materia di Province potrà emendare lo schema
del DDL 2259 agganciandosi ad esso prima della seduta prevista in Senato in sede
referente per il 6/4/2012. Tale finestra potrebbe finalmente portare all’approvazione
definitiva della Carta delle Autonomie quale metodo di attuazione dell’ordinamento
degli enti locali finalizzato a garantire sistematicità, organicità al sistema e ad eliminare
sovrapposizioni e duplicazioni di competenze così da rendere al cittadino, ultimo
fruitore, servizi locali più efficienti e fruibili.
2.2.3: La Carta delle Autonomie
Già più volte precedentemente citata, ci si limiterà, in questa sede, ad offrire una
sintetica definizione del concetto di “Carta delle Autonomie”. Sul punto vi sono diverse
posizioni. Per alcuni esse sono una mera codificazione di competenze da attribuire ai
Comuni, per altri uno strumento legislativo che detta principi e criteri generali di
individuazione e allocazione di funzioni fondamentali.
La prima soluzione, più pragmatica, si limita ad essere un passaggio di compiti
attraverso un elenco di competenze, individuate a prescindere dalla realtà locale e dalla
libera determinazione dei Comuni.
La seconda, invece, più generale e di indirizzo, è un passaggio di funzioni ricercate
trasversalmente nei vari livelli di governo mediante principi, indirizzi e criteri direttivi.
In verità la Carta delle autonomie non dovrebbe essere un mero elenco di materie da
allocare ma uno strumento per agevolare il processo autonomistico dei Comuni, da
attuare in armonia con i principi della Repubblica.
13 In tal senso: ANCI, AS 2259, “Considerazioni generali e proposte di emendamenti”, 28/3/2011 in Commissione Referente Affari Costituzionali;
30
Essa dovrebbe offrire indirizzi generali di ricerca di funzioni amministrative ritenute
indefettibili per l’attività del Comune e non essere un rigido codice.
Dunque, non una pragmatica codificazione di leggi e norme che regolano gli enti locali,
ma un punto di riferimento legislativo di raccolta di indirizzi e criteri di individuazione
di funzioni fondamentali, da cui far partire la azione amministrativa locale, nel rispetto
del principio di garanzia dell’autonomia riconosciuta agli enti territoriali.
Purtroppo ad oggi, nonostante le diverse posizioni, non è stata ancora adottata nessuna
legge di individuazione delle funzioni fondamentali e la Carta delle autonomie è ancora
molto lontana dall’essere varata.
Al momento l’ordinamento degli enti locali è disciplinato ancora da leggi previgenti alla
novella del 2001, potenzialmente incostituzionali, e da norme transitorie
provvisoriamente adottate.
Dunque, è ormai ineludibile che il legislatore adegui la normativa al nuovo dettato
costituzionale.
2.3: Ordinamento di Roma, capitale delle Repubblica
L’art. 114, comma 2, della Costituzione reca “Roma è la capitale della Repubblica. La
legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”. Dunque per la Capitale d’Italia, Roma,
la Costituzione prevede una riserva di legge ordinaria dello Stato in ragione dell’unicità
della funzione esercitata e le riserva una specifica disciplina. L’art. 24, comma 2, della
legge 5 maggio 2009, n. 42 disegna il suo peculiare ruolo di sede degli organi
costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti
presso la Repubblica italiana, presso lo Stato Città del Vaticano e presso le istituzioni
internazionali.
Per tali funzioni peculiari il comma 1 attribuisce a Roma capitale la speciale autonomia
statutaria amministrativa e finanziaria nei limiti stabiliti dalla costituzione. Essa però
come comunità locale mantiene le caratteristiche delle altre città metropolitane e il suo
ordinamento definivo dipende dall’attuazione di quello delle città metropolitane.
31
L’urgenza di dare attuazioni a tali importanti funzioni ha spinto l’attuazione della delega
contenuta nelle legge 42/2009 e il d.lgs 17 settembre 2010, n.156 ha dettato disposizioni
in materia di ordinamento transitorio di Roma capitale. Ma va precisato che le norme
sono transitorie in sede di prima applicazione e fino all’attuazione della disciplina delle
città metropolitane di cui si attende ancora l’ordinamento.
Ad ogni modo occorre precisare che il d.lgs. 156/2010 riguarda esclusivamente l’assetto
istituzionale di Roma capitale e non contiene norme sull’attuazione delle sue funzioni
speciali e fondamentali. Attribuisce però al Sindaco speciali potestà, quali quella di
esser udito nelle riunioni del Consiglio dei Ministri su questioni di Roma capitale.
Inoltre l’art.3 del citato d.lgs 156/2010 detta norme per l’attuazione del nuovo stato di
Roma capitale. Va però ribadito che il d.lgs 156/2010 riguarda la sola parte
ordinamentale di Roma capitale.
Attualmente è in itinere l’ atto di Governo n. 425, su delega dell’art. 24, commi 3 e
5,lettera a) della legge 42/2009, sottoposto al parere del Parlamento dal 21 novembre
2011. Esso reca lo schema di decreto legislativo per le ulteriori disposizioni in materia
di ordinamento di Roma capitale e disciplina i raccordi istituzionali, il coordinamento e
la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la Regione Lazio e la Provincia di
Roma nell’esercizio delle funzioni speciali ad essa conferite. Detta inoltre disposizioni
sul trasferimento delle risorse umane e finanziarie, necessarie all’esercizio delle
funzioni amministrative conferite.
Nello specifico stabilisce quali sono le funzioni amministrative attribuite dallo Stato a
Roma, in funzione del suo ruolo di capitale della Repubblica. Prevede che esse vengano
disciplinate con regolamenti adottati dall’Assemblea capitolina, nel rispetto della
Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali della legislazione statale e
regionale e del principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma
capitale, da esercitare in aggiunta a quelle spettanti a Roma come comunità locale.
Vengono così individuate svariate e specifiche funzioni amministrative, alcune
tipicamente di competenza statale, come il concorso nella valorizzazione dei beni storici
32
artistici ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività
culturali, lo sviluppo economico e sociale di Roma capitale, con particolare riferimento
al settore produttivo e turistico, ed infine la protezione civile, in collaborazione con la
presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Lazio, a cui si aggiungono le ulteriori
funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione Lazio, ai sensi dell’art. 118, comma 2,
della Costituzione.
Il trasferimento delle necessarie risorse umane e finanziarie è rimesso ad un successivo
DPCM. Lo schema prevede, inoltre, la riduzione delle dotazioni organiche e delle
risorse finanziarie delle amministrazioni interessate dal trasferimento, prevedendo
presso la Presidenza del consiglio dei Ministri un tavolo tra Stato, Regione Lazio,
Provincia di Roma e Roma Capitale14.
Dunque l’ordinamento transitorio di Roma capitale, urgente e improrogabile per la
specialità delle funzioni, riceve prioritaria tutela normativa statale diretta, in virtù della
specialità e unicità delle funzioni esercitate come Capitale d’Italia e attende, però, come
comunità locale, insieme alle altre città metropolitane, l’attuazione dell’ordinamento,
anche transitorio, di cui all’art. 23 della legge 42/2009.
Ma prima e più di tutto attende, con gli altri enti locali, l’emanazione della Carta delle
Autonomie che le consentirà di completare il processo di decentramento municipale con
l’approvazione del nuovo Statuto ai sensi dell’art. 24, comma 4, della citata legge
42/2009.
14 Atto n. 425 del 21/11/201, “Relazione illustrativa” del Governo al Parlamento
33
CAPITOLO III Le Regioni ad autonomia speciale
3.1 Le autonomie speciali e la clausola di equiparazione di cui all'art.10 della lg.
Cost. 3/2001
L'art.116 della Cost.. ha riconosciuto alle Regioni della Sicilia, Sardegna, Trentino Alto
Adige, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta "forme e condizioni particolari di
autonomia secondo statuti speciali adottati con legge costituzionale".
Le Regioni speciali, la cui diversità da quelle ordinarie affonda le sue radici nelle
diverse condizioni geografiche, economiche e linguistiche, hanno ulteriori attribuzioni
legislative in altre materie sempre indicate negli statuti, nel rispetto dei principi stabiliti
nelle leggi ordinarie dello Stato.
Gli statuti delle cinque Regioni speciali prevedono diversi tipi di potestà legislativa:
potestà esclusiva, tenuta al rispetto dei principi generali dell'ordinamento e delle cd.
grandi riforme o per meglio dire delle norme fondamentali delle riforme economico-
sociali dello Stato, potestà legislativa concorrente, che incontra gli stessi limiti delle
competenze delle Regioni ordinarie ma differisce da queste per le materie elencate,
potestà integrativa ed attuativa che permette alle Regioni di creare norme su determinate
materie, che possano adeguare la legislazione statale alle esigenze regionali evitando,
dunque, la competenza delle Regioni e riservando le materie residuali allo Stato.
Con la riforma del titolo V della Costituzione si è superato, per le Regioni a statuto
ordinario, "il principio del parallelismo delle funzioni" con la conseguenza che
l'attribuzione della generalità delle funzioni amministrative viene riservata ai Comuni
sulla base dei principi di sussidiarietà (l'ente di livello superiore interviene solo quando
l'amministrazione più vicina ai cittadini non possa da solo assolvere al compito),
differenziazione (enti dello stesso livello possono avere competenze diverse) ed
adeguatezza (le funzioni devono essere affidate ad enti che abbiano requisiti sufficienti
di efficienza).
34
Giova quindi precisare che, mentre nelle Regioni a statuto ordinario vige la regola della
dissociazione in quanto l'ente titolare di competenza amministrativa generale è il
Comune, laddove l'ente titolare di competenza legislativa è la Regione, nelle Regioni
speciali vige il succitato principio del parallelismo in forza del quale la titolarità delle
funzioni legislative ed amministrative si cumulano nella Regione relativamente alle
materie contemplate dagli statuti. Va inoltre sottolineato che il sistema messo a punto
dalla nuova disciplina costituzionale si basa sulla competenza generale del Comune,
laddove negli statuti speciali vige il principio dell'amministrazione indiretta necessaria,
in base al quale la Regione è titolare delle funzioni amministrative che deve
normalmente esercitare avvalendosi degli enti locali attraverso l'istituto della delega.
Al fine di evitare che, a seguito della riforma del titolo V della Cost. le Regioni speciali
corressero il rischio di venirsi a trovare in una condizione nettamente deteriore , in
termini di competenze, rispetto alle Regioni ordinarie, il legislatore costituzionale del
2001 ha fatto uso di una clausola di equiparazione (comunemente denominata clausola
di maggior favore) finalizzata a rendere anche le Regioni speciali beneficiarie dei
maggiori poteri riconosciuti alle Regioni a statuto ordinario. Tale clausola è contenuta
nell'art.10 della legge costituzionale che recita "sino all'adeguamento dei rispettivi
statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle
Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano per le parti in
cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite".
La clausola in questione si propone di accrescere gli spazi di autonomia delle Regioni
speciali (e delle province autonome) sotto il profilo delle prerogative e delle
competenze. Con riferimento all'aspetto delle prerogative, grazie all'applicazione del
succitato art. 10, anche le regioni ad autonomia speciale, con la sola eccezione della
Regione Sicilia per quanto riguarda i controlli sulla legislazione , sono sottratte, come le
Regioni di diritto comune, ai controlli preventivi di legittimità e di merito sulle leggi e
sugli atti amministrativi originariamente previsti dalla Costituzione. Quanto invece alle
competenze, la clausola comporta l'attrazione, nella sfera di autonomia delle Regioni
speciali, di maggiori poteri attribuiti alle Regioni ordinarie dal nuovo titolo V della
35
Cost. Il che significa che, laddove le competenze dell’ente ad autonomia differenziata
siano più ampie di quelle delle Regioni ordinarie, lo statuto seguita a derogare allo ius
comune dettato dalla Costituzione. Un esempio al riguardo è costituito dalla
competenza esclusiva dello Stato in materia di legislazione elettorale , organi di governo
e funzioni fondamentali degli enti locali (art.117 comma 2 lett.p), la quale è derogata
dalla competenza ordinamentale sugli enti locali riconosciuta alle Regioni speciali dalla
legge costituzionale n.2 del 1993.
Alla luce di quanto suesposto, si può quindi sostenere che, per effetto della clausola di
equiparazione, negli ordinamenti regionali speciali vengono a coesistere due regimi
nettamente distinti: il regime speciale ispirato al principio del parallelismo delle
funzioni e connesso alle materie elencate nello statuto, ed il regime comune in
relazione a quanto previsto dall'art.10 della legge del 2001. La clausola di equiparazione
espleta effetti accrescitivi sia sull'oggetto dell'attribuzione, in quanto attrae nella sfera
delle attribuzioni regionali speciali la potestà legislativa in materie non contemplate
dagli statuti differenziati, ma assegnate alle Regioni di diritto comune dall'art.117
commi 3 e 4 (ad esempio attribuzione di competenze legislative in materia di
ordinamento della comunicazione e dell'energia ), che sull'innalzamento del titolo
competenziale dell'ente ad autonomia differenziata nelle materie statutarie, sulle quali le
Regioni ordinarie godono di una competenza più ampia. Tali accrescimenti si
giustificano solo in funzione perequativa cioè al fine di evitare che gli enti speciali
siano tagliati fuori dai nuovi spazi di autonomia riconosciuti dalla riforma del titolo V;
ciò sicuramente comporta che la clausola di cui all'art.10, non può giustificare
incrementi delle competenze regionali speciali che vadano al di là di quanto il titolo V
abbia riconosciuto alle regioni ordinarie. All' indomani dell'entrata in vigore della
riforma suddetta ci si è chiesti se la clausola di equiparazione fosse da intendersi come
clausola salva-specialità o come anche clausola salva- autonomie, se cioè essa fosse
applicabile solo alle Regioni speciali e province autonome o anche al complesso degli
enti territoriali localizzate nel loro territorio. Da una interpretazione condivisa dai più,
emerge chiaramente che le forme di autonomia più ampie rispetto a quelle attribuite si
36
applichino alle Regioni speciali e non nelle Regioni speciali; in tal senso si espressa
anche la Corte Cost. che , con sent. n.370 del 2006 ha, tra l'altro, chiarito che, "qualora
si ritenesse che il citato art. 10 postuli, ai fini della sua applicazione, una valutazione del
complessivo sistema delle autonomia sia regionale che locale, si potrebbe verificare il
caso in cui, ad un'ipotetica maggiore autonomia dell'ente locale, corrisponda una minore
autonomia dell'ente regionale". Ciò non significa che gli enti locali ubicati nei territori
regionali speciali siano esclusi dai benefici di cui hanno fruito, per effetto della riforma,
gli omologhi enti ubicati nelle Regioni ad autonomia ordinaria: basti pensare al regime
dei controlli sugli atti in quanto, nonostante l'abrogazione della norma del titolo V su cui
si fondavano i controlli delle Regioni ordinarie sugli enti locali, non fosse destinata a
produrre effetti nei confronti delle omologhe disposizioni contente negli statuti speciali ,
tali controlli, di fatto, sono venuti meno anche nelle regioni speciali che li hanno
eliminati attraverso leggi, circolari e delibere 15 e ciò in violazione alla legittima
procedura di revisione di norme statutarie speciali di cui all'art.138 della Cost.
3.2 La legge cost .n. 2 del 1993 e gli statuti delle Regioni speciali
Il testo della legge cost. del 23 settembre del 1993 , pubblicato sulla Gazzetta ufficiale
n. 226 del 25/9/93 è stato trasmesso alla Camera dei deputati il 24/9/92.
Con documento n. 773 del 18/5/1992 è stata presentata l'iniziativa parlamentare e con
atto n.773-A è stata presentata la relazione della Commissione; nella proposta di legge
costituzionale, presentata d'iniziativa dei deputati Caveri e Acciari, veniva evidenziato
che la proposta di modifiche agli Statuti speciali della Valle d'Aosta e della Sardegna
mirava ad accrescere le competenze delle due Regioni autonome in materia di enti
locali, sul presupposto necessario di rilanciare il regionalismo e che, tale proposta, si
inserisse nel quadro di una grande riforma dei rapporti Stato-Regioni, ispirata a principi
federalisti e di una riscrittura, in senso migliorativo, degli Statuti speciali delle due
Regioni Valle d'Aosta e Sardegna.
15 A. D'ATENA " opera cit." Legge regionale del Friuli Venezia Giulia n.3/2002 e n. 21/2003. Legge reg. della Sardegna n.7/2002 . Legge regionale della Valle d'Aosta n2/2003
37
Sempre d’iniziativa dei deputati Caveri e Acciari, veniva presentato il documento
n.773-B avente ad oggetto “Modifiche ed integrazioni agli Statuti speciali per la Valle
d’Aosta , per la Sardegna, per il Friuli Venezia Giulia e per il Trentino Alto Adige. Gli
artt. 5 e 6 del suindicato documento prevedono rispettivamente la competenza della
Regione Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige in materia di ordinamento
degli enti locali e delle relative circoscrizioni.
La legge costituzionale n. 2 del 23 settembre del 1993, frutto di detto processo
preparatorio, ha quindi modificato gli statuti speciali, per dotare le rispettive Regioni ,
ad eccezione della Sicilia che ne godeva già in forza dello statuto, di una competenza di
cui erano (e sono) prive le Regioni ad autonomia ordinaria: la competenza
ordinamentale in materia di enti locali (denominata dalla legge costituzionale:
"ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni"). La potestà a legiferare in
via esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni,
incontra i limiti costituzionali, internazionali e comunitari delle norme fondamentali
delle grandi riforme economico-sociali, dei principi generali dell'ordinamento e
dell'interesse nazionale. Detta competenza ha fornito alle Regioni speciali gli strumenti
per realizzare un compiuto sistema di autonomie locali in relazione ai vari aspetti
dell'ordinamento locale: la materia elettorale, l'assetto del territorio, il riordino delle
circoscrizioni, le forme associative, gli organi di governo, l'organizzazione ed il
personale, il conferimento delle funzioni, i controlli. Ciò significa che, in questi casi, la
legge regionale, adottata nell'esercizio della potestà primaria, è destinata a svolgere, nei
confronti della potestà statutaria locale, lo stesso ruolo delle leggi generali della
Repubblica.
E' opportuno al riguardo evidenziare che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 48 del
2003 ha precisato che la competenza attribuite alle Regioni speciali in materia di enti
locali, non è intaccata dalla riforma del Titolo V parte II della Cost. ma sopravvive,
quanto meno, nello stesso ambito e negli stessi limiti definiti dagli statuti. La Corte ha
in pratica affermato la non applicabilità alle Regioni a statuto speciale dell'art.117
secondo comma lett. p), nella parte in cui prevede la competenza esclusiva dello Stato
38
nelle materie della legislazione elettorale, degli organi di governo e delle funzioni
fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane, poiché, tale competenza
esclusiva attribuita alla Stato, non potrebbe in alcun modo applicarsi anche nei confronti
delle Regioni speciali senza ridurne e ridimensionarne l'autonomia legislativa conferita
dallo statuto. Al riguardo, giova evidenziare che riguardo le modalità di elezione degli
organi rappresentativi degli enti locali la Corte Costituzionale è intervenuta con
sentenza n.173/2005 nella quale si evidenzia che la legislazione elettorale non è di per
se estranea alla materia dell'ordinamento degli enti locali, e che anche le modalità di
elezione degli organi rappresentativi costituiscono aspetti di questa materia riservata alle
Regioni a statuto differenziato. Sotto questo profilo, quindi, nel caso in esame, non può
essere contestata la competenza della Regione Friuli-Venezia Giulia a disciplinare il
computo degli elettori ai fini del quorum partecipativo alle elezioni per il rinnovo degli
organi comunali.
E' stato tuttavia osservato come le previsioni normative delle Regioni speciali in materia
di ordinamento degli enti locali non consentissero di enucleare un modello bilaterale
dei rapporti tra enti, che fosse uniforme alle varie esperienze regionali differenziate.
Tale aspetto è apparso alquanto problematico al punto che si è ritenuto che solo una
disciplina unitaria dettata da una legge dello Stato, potesse assicurare l'attuazione del
principio autonomistico, e, in modo particolare, nelle Regioni speciali dove
maggiormente si avverte il pericolo di ripetere, in ambito regionale, il processo
centralistico che aveva caratterizzato la questione in ambito nazionale.
L'art.4 comma 1-bis) dello Statuto della Regione Friuli Venezia Giulia prevede
espressamente che, in armonia con la Costituzione e con i principi generali
dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme
economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli
interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni, la Regione ha potestà legislativa
relativamente all'ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni. Lo statuto
del Friuli Venezia Giulia statuisce chiaramente che il Comune è titolare delle funzioni
ad esso appositamente conferite con legge regionale e con legge statale (a seconda della
39
rispettiva competenza), secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione. A ciò aggiungasi che quello del Friuli Venezia Giulia, è l'unico statuto
che richiede la previa intesa con il Consiglio delle autonomie locali ( che è strumento
più forte del "parere” richiesto al CAL dalla maggior parte degli statuti che può, spesso,
essere superato con votazione a maggioranza semplice del consiglio regionale) così
introducendo la necessità di un vero e proprio incontro di volontà tra le autonomie nel
riparto di competenze amministrative tra i vari livelli di governo della medesima
Regione.
Una menzione a parte merita lo statuto della Regione Sicilia che esercita la propria
competenza in questo ambito sin dalla legge costituzionale n.2 del 1948. A differenza di
tutti gli altri statuti speciali, che vennero elaborati dall'assemblea costituente, lo statuto
siciliano è stato adottato mediante una norma di rinvio allo statuto preesistente: quello
approvato con decreto legislativo nel 1946. La materia dell'ordinamento degli enti
locali è regolata in Sicilia dall'art.15 che prescrive la soppressione delle circoscrizioni
provinciali e la creazione di liberi Consorzi tra Comuni " dotati della più ampia
autonomia amministrativa e finanziaria” che, godendo di ampie competenze, avrebbero
potuto consorziarsi liberamente per lo svolgimento di funzioni.
Il Comune veniva dunque identificato come livello di base dell’amministrazione locale.
Tuttavia, la natura e l'entità delle competenze devolute ai liberi consorzi comunali
risultavano di difficile determinazione. Tali enti, infatti, che avrebbero dovuto realizzare
un modello di realtà locali intermedie con funzioni di coordinamento, di indirizzo e di
programmazione, non apparivano adeguatamente sorretti da previsioni normative volte
a specificarne il rapporto con i Comuni consorziati. La facoltatività delle associazioni
dei Comuni in liberi consorzi, lasciava sostanzialmente la costituzione di questi ultimi
alla libera scelta delle amministrazioni comunali che, proprio per ragioni di natura
politica, non dimostrarono particolare interesse a consorziarsi. Senonché , sin dai primi
provvedimenti normativi della Regione siciliana in materia di ordinamento degli Enti
locali, si manifestò l'intento di aggirare la previsione statutaria di cui all'art.15,
istituendo, al posto dei liberi consorzi, altri enti, denominati "amministrazioni
40
straordinarie" le cui funzioni ricalcavano, in realtà, quelle delle vecchie Province.
Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi, risultò evidente come tutte le potenzialità di tipo
organizzativo e promozionale in senso autonomistico insite nella previsione dell'art.15,
non fossero colte appieno dalle classi politiche locali dei primi anni successivi
all'entrata in vigore dello statuto e della Costituzione. Alla mancanza della creatività
della classe politica dominante nello sperimentare soluzioni normative sul piano della
creazione di un sistema locale più strutturalmente vicino alle esigenze provenienti dal
"basso", si accompagnava il particolarismo delle amministrazioni comunali che, dietro il
paravento dell'autonomia speciale, manifestavano un atteggiamento di chiusura verso
l'introduzione di nuove articolazioni territoriali con funzione di raccordo tra i diversi
livelli territoriali di governo.
Lo statuto della Regione Sardegna prevede all'art.3 che, sempre in armonia e nel rispetto
dei limiti suindicati, la Regione abbia, tra l'altro, potestà legislativa in materia di
ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, di polizia locale urbana e
rurale. In applicazione dell'art.15 dello statuto speciale, la Sardegna potrà conferire e
modificare la forma di governo e la legge elettorale mediante una semplice legge
regionale approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
L'art.43 del titolo V prevede, al secondo comma, che, con legge regionale, possano
essere modificate le circoscrizioni e le funzioni delle Province, in conformità alla
volontà delle popolazioni di ciascuna delle Province interessate espressa con
referendum. Mentre l'art.44 contempla che la Regione eserciti normalmente le sue
funzioni amministrative delegandole agli enti locali e valendosi dei loro uffici, il
successivo art.45 stabilisce che la Regione, sentite le popolazioni interessate, possa, con
legge , istituire, nel proprio territorio, nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni
e denominazioni. Interessanti riflessioni possono essere tratte dalla legge statutaria
della Sardegna approvata dal Consiglio regionale il 7 marzo del 2007. Infatti, benché la
Corte Costituzionale abbia notevolmente ridimensionato l'attitudine di tale tipologia di
fonti ad incidere sul rapporto tra Regioni ed enti locali, sottolineando l'insussistenza, per
esse, dell'obbligo di prevedere il consiglio delle autonomie locali viceversa gravante
41
sugli statuti delle Regioni ordinarie,16 il legislatore sardo ha ritenuto comunque
opportuno inserire una disposizione avente ad oggetto proprio il CAL. Si tratta, più
precisamente, di una disciplina che configura quest'ultimo alla stregua di organo di
rappresentanza istituzionale degli enti locali con funzioni consultive e di proposta,
dotato del potere di sollecitare la giunta regionale a promuovere giudizio dinanzi alla
Corte Costituzionale su atti ritenuti lesivi dell'autonomia dei Comuni e delle Province
della Sardegna .
Le disposizioni richiamate, se da un lato costituiscono un interessante esempio della
disponibilità ad affrontare il nodo dei rapporti con gli enti locali sul terreno della
normazione statutaria, anche in un ordinamento differenziato come quello sardo,
dall'altro non possono certo dirsi soddisfacenti in quanto carenti di una puntuale
articolazione delle funzioni consultive e di proposta del CAL ma, soprattutto, perché
carenti di una previsione di conseguenze derivanti dalla mancata conformazione del
consiglio regionale ai pareri espressi dal predetto organo. Tutto ciò induce ad inevitabili
riflessioni circa l'eccessiva capacità di penetrazione delle fonti regionali negli spazi di
pertinenza della normazione locale. La legge cost. n. 2/2001, ha introdotto alcune
modifiche nel procedimento di revisione dello statuto della Sardegna e delle altre
Regioni speciali prevedendo che tale iniziativa spetti anche al Consiglio regionale.
Detta legge, in deroga a quanto previsto dall'art.138 della Cost., ha modificato il
procedimento di revisione statutaria da un lato, prevedendo l'obbligatoria consultazione
del Consiglio regionale, qualora il progetto di modificazione dello Statuto sia
governativo o parlamentare e così assicurando il coinvolgimento della Regione nel
procedimento e dall'altro, sottraendo al referendum confermativo le modifiche dello
statuto speciale, ponendo così lo statuto speciale al riparo da decisioni che non risultino
conciliabili con l'esigenza di garantire le comunità regionali nei confronti della
comunità nazionale.
16 VIOLINI " Il Consiglio delle Autonomie locali, organo di rappresentanza permanente degli Enti locali presso la Regione". In "Le Regioni",2002, n. 5 pp. 98 ss
42
Il massimo di specialità in termini di organizzazione si registra nello statuto del
Trentino Alto Adige che affianca alla Regione, con pari qualità istituzionale, le Province
autonome di Trento e Bolzano, alle quali sono state riconosciute funzioni legislative ed
amministrative. Al riguardo è significativo ricordare che, mentre originariamente i
consigli provinciali erano derivati dal Consiglio regionale, oggi l'art. 25 dello Statuto
prevede che il Consiglio Regionale sia composto dai membri dei consigli provinciali di
Trento e Bolzano.17 La competenza della Regione sull’ordinamento degli enti locali e
delle relative circoscrizioni è prevista dall’art.4 capo II del suddetto statuto speciale.
Analoga competenza è prevista e disciplinata nello statuto speciale della Valle d’Aosta
che, all’art.2 del titolo II, prevede che “ in armonia con la Costituzione ed i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali
e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-
sociali della Repubblica , la Regione ha potestà legislativa in materia di ordinamento
degli enti locali e delle relative circoscrizioni”.
3.3 La legislazione regionale organica nelle regioni Friuli Venezia Giulia e
Sardegna
La Regione Friuli Venezia Giulia dispone di potestà legislativa primaria in materia di
enti locali in base allo statuto di autonomia ( art. 4 , primo comma , n.-1bis) ed alle
relative norme di attuazione (decreto legislativo 2 gennaio 1997, n.9). Ciononostante,
non avendo ancora la Regione esercitato compiutamente tale potestà, la disciplina
dell'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali del Friuli Venezia Giulia,
continua ad essere quella contenuta nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, salvo
per le parti disciplinate direttamente dal legislatore regionale.
La Regione Friuli Venezia Giulia ha, in materia, adottato le seguenti leggi regionali:
1. la legge regionale 11 /12/2003, n. 21, "Norme urgenti in materia di enti locali ,
nonché di uffici di segreteria degli assessori regionali", agli articoli 10 e 11
17vedi Corte cost. sent.232/2006.
43
disciplina le conseguenze della mancata approvazione nei termini di bilancio di
previsione; In particolare l’art. 1 comma 11 della legge regionale su citata prevede
che nel procedimento di approvazione del bilancio di previsione, trascorso il
termine entro il quale il bilancio deve essere approvato, senza che sia stato
predisposto il relativi schema da parte della Giunta , l’Assessore regionale per le
autonomie locali nomina un commissario ad acta affinchè lo predisponga d’ufficio
per sottoporlo al Consiglio; qualora sia il Consiglio a non approvare lo schema di
bilancio predisposto dalla Giunta, l’Assessore assegna al consiglio un termine di
venti giorni, decorso il quale nomina un commissario ad acta al posto
dell’Amministrazione inadempiente .Dalla data del provvedimento sostitutivo di
nomina del Commissario, inizia la procedura per lo scioglimento del Consiglio ai
sensi dell’art.23 della legge regionale n.23 del 1997 il quale dispone che per lo
scioglimento e la sospensione dei consigli continuano a trovare applicazione la
legge 142/90 ed il decreto legislativo 77/95 18 Il provvedimento di scioglimento
viene adottato dal Presidente della Regione, su conforme deliberazione della
Giunta stessa e su proposta dell’Assessore regionale competente in materia di
autonomie locali che è anche competente ad adottare i provvedimenti di
sospensione dei consigli comunali e provinciali. La mancata approvazione del
documento in argomento entro il termine fissato dalla legge, comporta la
sospensione del versamento della seconda rata dei trasferimenti ordinari fino
all'avvenuta approvazione del documento (art.11, comma 70 della legge regionale
17/2008) La legge n.21/2003, nel definire le conseguenze per la mancata
approvazione dei documenti contabili , si riferisce espressamente al bilancio di
previsione senza menzionare la salvaguardia degli equilibri di bilancio; tuttavia, per
effetto del rinvio operato dall'art.23 della legge regionale 23/1997 al decreto
18 L. 142/90 art. 37" mozione di sfiducia " art.37 bis "dimissioni, impedimento, rimozione, decadenza, sospensione o decesso del Sindaco o del Presidente della Provincia " art.39 "scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali" art. 40 "rimozione e sospensione di amministratori di enti locali" D.lg.77/95 art.36 "salvaguardia degli equilibri di bilancio" art.80 "omissione della deliberazione di dissesto" art.93 "inosservanza degli obblighi relativi all'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato".
44
legislativo 77/1995, la mancata adozione di deliberazione consiliare entro i termini
di legge , con la quale viene verificata la salvaguardia degli equilibri di bilancio
degli enti locali, è equiparata alla mancata approvazione del bilancio di previsione
con le medesime conseguenze e provvedimenti (quindi avvio di procedura per
eventuale nomina commissario ad acta e commissariamento dell'ente).
2. la legge 9/1/2006 “ Principi e norme fondamentali del sistema Regione autonomie
locali nel Friuli Venezia Giulia” al titolo IV , agli articoli da 42 a 45, disciplina
l’autonomia finanziaria degli enti locali e definisce i principi generali in materia di
contabilità degli enti predetti.
3. le leggi regionali 30 dicembre 2008, n.17 ( Disposizioni per la formazione del
bilancio pluriennale ed annuale della Regione (legge finanziaria 2009) e 30
dicembre 2009 n. 24, " Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed
annuale della Regione (legge finanziaria 2010), definiscono, rispettivamente agli
articoli 11 e 10, le conseguenze, sull'erogazione dei finanziamenti ,del ritardo
nell'approvazione dei documenti contabili.
4. La legge regionale 24/2009, all'art.10 prevede, altresì, il riparto della quota
residuata dopo l'assegnazione dei trasferimenti ordinari, per il 70% a favore di tutti
i Comuni e per il 30% a favore dei soli comuni che abbiano approvato il rendiconto
di gestione entro il termine di legge. Pertanto la mancata approvazione, entro il
termine di legge, del rendiconto di gestione determina, in aggiunta alla sospensione
dell'erogazione dei trasferimenti ordinari, anche la non assegnazione di una parte di
trasferimenti previsti dalla legge regionale finanziaria. La suddetta legge regionale
n.24/2009, nel disciplinare l'erogazione dei trasferimenti ordinari agli enti locali,
dispone che l'assegnazione delle rate degli stessi sia subordinata all'avvenuta
approvazione della deliberazione consiliare di salvaguardia degli equilibri di
bilancio.
La legge regionale del 9 gennaio del 2006 n.1 costituisce il primo vero provvedimento
legislativo organico di riordino del sistema delle autonomie locali il quale è intervenuto
45
a distanza di dodici anni dall'entrata in vigore della legge costituzionale 2/93 che ha
attribuito alla Regione Friuli Venezia Giulia una potestà legislativa esclusiva . in
materia di ordinamento di enti locali. L'obiettivo principale della legge è gettare le basi
del sistema Regione--autonomie locali con l'individuazione dei principi fondamentali
che devono regolare l'attività degli enti locali e, altresì dettare tutta una serie di norme
regolatrici dei rapporti intercorrenti tra i diversi livelli di governo. In tale ottica sono
stati individuati tre livelli istituzionali fondamentali: la Regione, la Provincia, i Comuni.
In particolare i Comuni sono destinati ad essere il principale livello ordinamentale, al
quale vanno attribuite tutte le funzioni amministrative ed a divenire promotori reali
dello sviluppo economico , sociale, civile e culturale delle comunità e dei cittadini.
L'art. 5 del titolo II espressamente prevede al comma I che nella Regione Friuli-
Venezia Giulia le funzioni amministrative siano conferite a Comuni e Province secondo
i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, al fine di favorirne
l'assolvimento da parte dell'Ente territorialmente e funzionalmente più vicino ai
cittadini interessati.
Tra gli aspetti maggiormente innovativi della legge si evidenzia quello volto a
valorizzare l'esercizio coordinato delle funzioni in forma associata, quello diretto al
potenziamento od alla previsione ex novo di istituti di garanzia quello sull'istituzione
del Consiglio delle autonomie . La valorizzazione delle forme associative ha avuto la
sua massima espressione con la costituzione, su quasi tutto il territorio regionale, delle
associazioni intercomunali: si tratta di convenzioni particolarmente caratterizzate per il
cui tramite i comuni gestiscono, in forma associata, una pluralità di funzioni e servizi.
Ad un livello ulteriore di sviluppo associativo si pongono gli ASTER (Ambiti per lo
sviluppo territoriale): essi rappresentano una nuova dimensione territoriale d'area vasta
sovra comunale, che li rende adeguati sia ad interloquire in forma associata con la
Regione e la Provincia sia alla programmazione di interventi territoriali integrati e dello
sviluppo del territorio, anche attraverso il nuovo strumento del Piano di valorizzazione
territoriale che effettua la ricognizione delle forme associative, individuando le
associazioni intercomunali, le unioni di comuni, le unioni montane e le fusioni; inoltre
46
specifica i criteri e le modalità per la concessione di incentivi annuali e straordinari a
sostegno delle associazioni intercomunali, delle unioni dei comuni e delle fusioni,
nonchè di incentivi annuali alle Unioni montane.
Quanto agli istituti di garanzia la legge ha previsto la figura del garante degli
amministratori, che esprime pareri in merito a segnalazioni effettuate dai componenti
degli organi degli enti locali, sentito l'ente locale, in relazione all'attività degli enti
stessi e promuove la conciliazione tra le parti interessate, previo incontro tra esse , a
seguito di segnalazioni effettuate dai componenti degli organi degli enti locali, in
relazione a presunte violazioni delle prerogative da garantire a ciascun amministratore
locale. Quello del garante è quindi lo strumento per il cui tramite gli amministratori
locali possono trovare supporto nell'esercizio della loro attività istituzionale.
In un'ottica di valorizzazione del principio di leale collaborazione, la legge regionale
1/2006 ha istituito il Consiglio delle autonomie locali che subentra all'Assemblea: si
tratta di un organo di consultazione e di raccordo tra la Regione e gli Enti locali, dei
quali esprime l'orientamento riguardo i più importanti atti regionali (normativi e di
programmazione) che li riguardano.
Un’esperienza di autonomia regionale differenziata che si caratterizza per alcuni tratti di
peculiarità è quella della Regione Sardegna. In questo ordinamento regionale l’avvio
della devoluzione di funzioni è passato attraverso l’adozione di un decreto legislativo di
attuazione dello Statuto speciale: si tratta del d.lgs del 17 aprile del 2001 n.234 (Norme
di attuazione dello Statuto speciale della Regione Sardegna per il conferimento di
funzioni amministrative in attuazione del capo I della legge n.59 del 1997) con il quale
si è sostanzialmente stabilito che siano conferiti alla Regione ed agli Enti locali della
Sardegna , senza pregiudizio dei conferimenti già disposti , le funzioni ed i compiti che,
il decreto legislativo 31/3/1998 n. 112, ha conferito alle Regioni a statuto ordinario e ai
loro Enti locali.
In ambito di conferimento di funzioni e compiti agli enti locali, la legge regionale 12
giugno del 2006 n.9 ha disposto che detti conferimenti avvenissero nel rispetto dei
47
principi di sussidiarietà, di idoneità dell’amministrazione destinataria a garantire
l’effettivo esercizio delle funzioni, di ricomposizione unitaria delle funzioni tra loro
omogenee e di concentrazione organizzativa, gestionale e finanziaria in capo ad un
medesimo livello istituzionale, di differenziazione rispetto alle caratteristiche
demografiche, territoriali e strutturali degli enti destinatari, di attribuzione al comune, in
base al principio di completezza, della generalità delle funzioni e dei compiti
amministrativi non riservati alla Regione e non conferiti espressamente agli altri Enti
locali, del trasferimento delle risorse finanziarie, patrimoniali e umane per l’esercizio
delle funzioni amministrative e della responsabilità degli Enti locali nell’esercizio delle
funzioni e dei compiti ad essi attribuiti.
L’art.5 individua, poi, le funzioni delle Province, di raccolta e coordinamento delle
proposte avanzate dai Comuni ai fini della programmazione economica , territoriale ed
ambientale della Regione, di concorso alla determinazione degli atti della
programmazione regionale, di formulazione ed adozione, con riferimento alle previsioni
ed agli obiettivi degli atti della programmazione regionale, di propri programmi
pluriennali, sia di carattere generale che settoriale, e di promozione del coordinamento
dell’attività programmatoria dei Comuni. L’art. 8 della legge del 2006 prevede la
cooperazione tra Regioni ed enti locali, in virtù della quale , i predetti enti si attengono
al principio della leale collaborazione, ponendo a fondamento della loro azione gli
interessi delle comunità locali, l’efficacia e la trasparenza dell’attività amministrativa.
L’art.9, invece, disciplina il potere sostitutivo regionale e stabilisce che, in caso di
ritardo od omissione da parte degli enti locali di atti obbligatori per legge nell’esercizio
delle funzioni conferite , l’assessore regionale competente per materia, sentito l’ente
inadempiente , assegna all’ente stesso un termine temporale e comunque non superiore
a sessanta giorni, per provvedere. Decorso inutilmente tale termine, il Presidente della
Regione, previa deliberazione della giunta regionale adottata su proposta del medesimo
assessore, nomina uno o più commissari che provvedono in via sostitutiva.
Alla luce di quanto suesposto, si può osservare come, nelle autonomie differenziate, la
devoluzione di funzioni e competenze sia collegata, da un lato , ai decreti di
48
trasferimenti di funzioni dallo Stato alle Regioni, dall’altro all’esercizio della potestà
ordinamentale in materia di definizione generale delle competenze dei livelli di
governo. L’unica eccezione riguarda proprio la regione Sardegna che non ha, ad oggi
ancora approvato la legge sull’ordinamento degli Enti locali ed ha sostanzialmente
recepito, per il tramite dei decreti di attuazione, tutti i trasferimenti disposti con il d.lgs.
112 del 1998, in tal modo seguendo uno schema devolutivo che, nei fatti, non si è
rivelato distante da quello praticato nelle autonomie regionali ordinarie.
49
CAPITOLO IV Le Regioni ad autonomia ordinaria
4.1 Gli Statuti delle Regioni ordinarie con particolare riferimento alla disciplina
degli ordinamenti degli enti locali
4.1.1 I nuovi Statuti delle Regioni ordinarie dopo la riforma del Titolo V della
Costituzione
Con la legge costituzionale n.1 del 22 novembre 1999 è stata rivista l’autonomia
statutaria delle Regioni ad autonomia ordinaria, modificando procedimento, contenuto
e limiti dello Statuto regionale, che è così diventato atto interamente inserito in un
procedimento tutto regionale, che esclude il controllo successivo del Parlamento.
L’articolo 123 Cost., nella dizione novellata dalla citata legge costituzionale, ha
previsto, infatti, che gli Statuti ordinari siano approvati (e modificati) dal Consiglio
regionale “con legge approvata ad intervallo non minore di due mesi, con due
deliberazioni successive adottate a maggioranza assoluta dei suoi componenti” e “che
per tale legge non sia richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario di
Governo”, conferendo ad essi formalmente la natura giuridica di “leggi regionali”,
soluzione non molto convincente ed assai dibattuta dalla dottrina, a motivo della
diversità del procedimento delineato dal succitato articolo rispetto a quello previsto per
la formazione delle leggi ordinarie regionali.
Sull’argomento la Corte Costituzionale19, dopo aver negato l’assimilabilità tra legge
regionale e Statuto regionale, in ragione dei diversi procedimenti di formazione e di
controllo, ha evidenziato come le istanze autonomistiche siano state appagate “con
l’attribuzione allo Statuto di un valore giuridico che lo colloca al vertice delle fonti
regionali”.
Dopo due anni, a seguito della legge costituzionale n.3 del 2001, che ha modificato
l’intera portata dell’originario titolo V della Costituzione, viene completata la nuova
disciplina dell’autonomia statutaria delle Regioni; fonte deputata a disegnare
19 Sent. Corte Cost. N. 304/2002
50
l'ordinamento amministrativo delle Regioni è lo Statuto regionale, che è espressamente
preposto a fissare oltre la forma di governo, i principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento, a regolare l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su atti
legislativi ed amministrativi della Regione e a disciplinare il Consiglio delle autonomie
locali. La strada indicata dalla Costituzione è, dunque, la previsione statutaria “di un
sistema amministrativo integrato Regioni – enti locali” (Carli).
E’ il caso di rilevare come, nonostante le suggestioni di matrice federale avessero fatto
da sfondo alle nuove norme varate, ciò non fu sufficiente a trasformare gli Statuti20 in
costituzioni ed a mutuare uno degli istituti tipici dei sistemi federali.
Le novelle costituzionali circoscrivono gli spazi di regolazione statutaria, ai principi
fondamentali di “organizzazione e funzionamento” della Regione.
Mentre prima della riforma lo Statuto doveva restare nell'ambito dei principi fissati
dalla legislazione statale, ora l’unico limite è quello derivante “dall’Armonia” con la
Costituzione, intesa come puntuale rispetto di ogni disposizione costituzionale (sent.
304/2002) e del suo spirito (sent. 2/2004 ); la legge dello Stato non può incidere nella
materia “riservata agli Statuti”.
Al legislatore statutario è richiesto non più un approccio settoriale e riferito alla persona
giuridica della Regione, ma la costruzione di un coerente ordinamento amministrativo
regionale.
La nuova prospettiva istituzionale, fondata su un forte potenziamento delle autonomie e
su una nuova configurazione dell'unità (che comunque non è uniformità), sposta il
baricentro del sistema amministrativo sull'amministrazione locale in virtù del principio
della sussidiarietà: la p.a. è ora essenzialmente locale ed autonoma, pur a fronte di
imprescindibili ragioni unitarie e quindi di una serie di riserve di poteri legislativi
esclusivi allo Stato.
20 Nella sent. N. 372/2004 della Corte Costituzionale si legge che “non siamo in presenza di Carte Costituzionali, ma solo di fonti regionali a competenza riservata e specializzata, cioè di Statuti di autonomia”.
51
D'altra parte, si deve aggiungere che questa riforma è l'esito di un processo lento e
tortuoso di attuazione delle potenzialità già contenute nel principio fondamentale
dell'art.5 Cost., e si fonda proprio sulla valorizzazione dei principi in esso contenuti, di
autonomia ma anche di unità ed indivisibilità della Repubblica.
Tale nuova articolazione ordinamentale vede, comunque, un ordinamento repubblicano
in cui la volontà dell'ente Stato non s'impone autoritariamente in maniera unilaterale,
bensì si coordina in modo dinamico e cooperativo sulla base della sussidiarietà e della
leale collaborazione, per tutelare gli interessi nazionali.
Ma soffermiamoci, ora, sulle concrete possibilità, da parte del legislatore statutario
regionale, di incidere sulla disciplina degli enti locali; al riguardo, sia l'art.114 Cost.
che l'art.123 Cost. sembrerebbero ostacolare la possibilità che lo Statuto regionale
possa disciplinare un qualsiasi aspetto delle autonomie locali.
La novellata formulazione dell'art.114 della Costituzione, pone su un livello di pari
dignità istituzionale,21 i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo
Stato quali elementi costitutivi di un sistema policentrico e reticolare, che non sembra
conciliabile con l’eventuale ingerenza delle Regioni nella disciplina delle autonomie
locali, ciò comporta che l’eventuale politica di riparto dell’azione amministrativa debba
essere quantomeno oggetto di partecipazione e coinvolgimento di tutti i soggetti
interessati.
Mentre, alla luce del nuovo art.123 della Cost., lo Statuto regionale pur in una posizione
di “primazia logica” nel sistema delle fonti, in quanto vincolato al solo limite
“dell’armonia” con la Costituzione22, rimane una fonte tipica a competenza
21 La Corte Costituzionale con Sent. N.274/2003 ha affermato che “lo stesso articolo 114 della Costituzione non comporta affatto una totale equiparazione fra gli Enti in esso indicati , che dispongono di poteri profondamenti diversi tra loro: basti pensare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città Metropolitane e le Province (diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa”. 22 La Corte Costituzionale con Sent. N.304/2002 ha osservato che “il riferimento all’armonia rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione costituzionale, poiché mira soltanto ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche scongiurare il pericolo che lo Statuto pur rispettoso della Costituzione, ne eluda lo spirito”.
52
specializzata, il cui fondamento giuridico si individua sempre nella Costituzione, idoneo
a disciplinare quelle materie indicate nella disposizione costituzionale.
Al riguardo si è osservato che, innanzi tutto, nell'interpretazione dell'art 123 Cost.
conseguente al nuovo assetto costituzionale, lo Statuto regionale è stato autorevolmente
riconosciuto quale fonte normativa primaria in cui “si trova organizzata l'intera
comunità regionale”23.
La Regione ha, infatti, conquistato, con il tempo, il ruolo di Ente a competenza
tendenzialmente generale24. Ha acquisito capacità di governo, pienezza di
rappresentanza politica, titolarità generalizzata di funzioni legislative, il compito di
conferire, secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, le funzioni
amministrative agli enti territoriali minori, per cui si pone oggi come “centro propulsore
e di coordinamento dell’intero sistema delle autonomie locali”25 e come titolare della
cura degli interessi generali della collettività sottostante.
Dunque le nuove competenze statutarie riguarderebbero non solo l'indicazione dei
principi fondamentali di funzionamento e di organizzazione del sistema burocratico
regionale, ma dell'intero sistema regionale, rimanendo “indistinta l'organizzazione
costituzionale da quella puramente amministrativa dell'ente”26 e riconoscendo allo
Statuto regionale la competenza a dettare la disciplina “dell'intera organizzazione della
Regione”27.
Peraltro, il nuovo Statuto, non solo ha visto aumentare il proprio contenuto (dalla mera
organizzazione interna della Regione alla forma di governo, ai principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento e al consiglio delle autonomie locali), ma a seguito
23 L’art.123 Cost. per come modificato prevede l’esistenza nell’ordinamento regionale ordinario di alcune riserve normative a favore della fonte statutaria rispetto alle competenze del legislatore regionale. Fra i contenuti necessari indica “i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento”, mentre il previgente si riferiva “all’organizzazione interna della Regione”. ( Corte Cost. 14-6-2007, n.188). 24 A. D'ATENA, i nuovi statuti regionali e i loro contenuti programmatici, in “Le Regioni” 25 L. VIOLINI, Il consiglio delle autonomie locali, organo di rappresentanza permanente degli enti locali presso la Rregione, in “Le Regioni”. 26 G. D'ALESSANDRO, Statuti regionali, in S. Cassese Dizionario di Diritto Pubblico. 27 G. D'ALESSANDRO, Statuti regionali, in S. Cassese Dizionario di Diritto Pubblico
53
delle novità costituzionali, è diventato solo soggetto all'armonia con la Costituzione 28,
rafforzando così il proprio valore e la propria forza giuridica.
Costituisce quasi una sorta di “patto” tra Regione e le autonomie locali, in cui la prima
si pone come centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema, nonchè
parametro di riferimento delle altre fonti normative locali.
Da ciò ne deriva che se si deve guardare al sistema regionale in termini di
“governance”, la Regione medesima non si deve porre come un’organizzazione che
agisce unilateralmente ed in maniera invasiva, ma come un centro di governo che si
colloca all’interno di una rete e che riconosce agli Enti locali il ruolo di componenti
interne della medesima, titolari di prerogative di partecipazione ai processi di decisione
regionale.
Senza dubbio, la Costituzione, nel prevedere quale contenuto degli Statuti i principi
fondamentali di organizzazione e di funzionamento e la disciplina del consiglio delle
autonomie locali, ha inteso dare alle Regioni una straordinaria opportunità di valorizzare
l’autonomia degli enti locali e di gestire in modo innovativo il rapporto con questi
stessi.
Come si è detto sopra, al legislatore statutario è stata riconosciuta la competenza a
dettare i criteri generali, ai quali poi il legislatore regionale dovrà attenersi
nell’attribuire – nelle materie di propria competenza – le funzioni amministrative ai
diversi enti locali, oltre alla possibilità di incidere sull’allocazione delle funzioni
attraverso l’imposizione di forme di partecipazione e consultazione degli enti locali
medesimi da svolgersi nell’ambito del consiglio delle autonomie locali.
Ovviamente tanto più il sistema regionale potrà dirsi funzionante, quanto le funzioni
amministrative saranno allocate il più vicino possibile alle collettività, presso gli enti
rappresentativi dei loro interessi, attraverso una legge che non individui dall’alto, le
28 Con sent. n.304/2002 la Corte Costituzionale ha stabilito che “il limite dell'armonia con la Costituzione deve intendersi in maniera pregnante come puntuale rispetto dello spirito della Costituzione”.
54
funzioni amministrative da conferire agli enti locali, ma che sia il frutto di forme di
concertazione, collaborazione e condivisione con gli enti coinvolti29, per poter stabilire
se, come, quando e quali funzioni possano essere trasferite da un soggetto ad un altro,
secondo i principi di sussidiarietà (il livello di governo superiore interviene solo quando
l'amministrazione più vicina ai cittadini non possa da sola assolvere al compito ),
differenziazione ( enti dello stesso livello possono avere competenze diverse) e
adeguatezza (le funzioni devono esser affidate ad enti che abbiano requisiti sufficienti di
efficienza).
Enti di piccole dimensioni, certamente, non possono esser capaci di governare funzioni
amministrative che non hanno mai gestito, pertanto in tali casi è necessaria una
codecisione dei diversi livelli di governo sul trasferimento da un soggetto ad un altro;
l'adeguatezza non può esser verificata in astratto, ma deve essere accertata in concreto ,
in relazione alla idoneità delle strutture amministrative30. Sicuramente la consultazione
e partecipazione degli enti locali in sede di consiglio delle autonomie locali rappresenta
una delle modalità attraverso cui attuare quanto sopra.
Alla luce di quanto precede, è evidente che i nuovi Statuti regionali hanno innovato
profondamente i principi e gli strumenti di raccordo relativi agli enti locali finora
presenti nei precedenti testi, ma questo è avvenuto soltanto per il semplice effetto del
recepimento dei principi attinenti al nuovo ruolo degli enti locali introdotti dalla riforma
del titolo V della Costituzione (principio di sussidiarietà, attribuzione delle funzioni e
potestà regolamentare, istituzione del consiglio delle autonomie locali).
Infatti più che gli Statuti, è stata la riforma costituzionale che ha introdotto le novità sul
ruolo degli enti locali nell’ordinamento, che gli Statuti medesimi si sono poi limitati a
recepire, senza uno sviluppo significativo dei contenuti, né un effettivo
approfondimento degli stessi; probabilmente perché si tratta di elementi troppo recenti
e non pienamente maturi o assestati nella realtà dell’ordinamento.
29 M. CARLI, Le funzioni di Comuni e Province negli Statuti regionali in “Amministrare”. 30 S. AMOROSINO, Il “Governo del territorio” tra Stato, Regioni ed Enti Locali, in “Rivista giuridica sull'edilizia”.
55
Peraltro, non risultano neanche particolarmente sviluppati, negli Statuti medesimi, le
forme di garanzia delle competenze riconosciute formalmente agli enti locali, perché di
fatto la Regione, si riserva la possibilità di stabilire il livello degli interessi unitari
regionali, che giustificano il mantenimento delle funzioni in capo a sé, oltre ai criteri e
le modalità di ripartizione delle risorse.
Dunque possiamo dire che l’esperienza statutaria regionale “di seconda generazione”, è
da ritenersi alquanto deludente, atteso che non è stata colta un’occasione nella sua piena
potenzialità, anzi è emersa una effettiva incapacità ed inadeguatezza delle Regioni
relativamente al ruolo di governo dell’azione amministrativa, o forse solo disinteresse e
superficialità, o forse ancora mancanza di programmazione politica da parte della stessa.
A fronte di un riconosciuto ruolo di centralità delle Regioni nel nostro ordinamento, in
realtà, gli Statuti, al di là della formale valorizzazione delle autonomie locali, non
hanno dettato una disciplina capace di incidere concretamente, i principi posti sono
deboli e non sono rigidamente vincolanti per il legislatore regionale.
Numerose sono le criticità e si spera che presto possano essere superate e che gli Enti
Locali possano essere messi in condizione di poter esser titolari effettivi delle loro
funzioni amministrative e non meri portatori di astratte competenze .
Si attende ad oggi l’intervento del legislatore statale sulle materie delle funzioni degli
Enti Locali al fine di adeguarle alla riforma del titolo V della Costituzione nonché la
riforma del codice delle autonomie locali, per ricostruire lo “Stato introvabile” (di cui
parla Cassese) come “Stato sussidiario”.
4.1.2 I principi fondamentali dei rapporti tra Regione ed enti locali
a) Costanti
Da un’analisi degli Statuti Ordinari finora approvati, in materia di rapporti con gli Enti
Locali, ritroviamo certamente un ampio nucleo di disposizioni comuni del nuovo assetto
istituzionale del sistema regionale delle autonomie, che hanno nella maggior parte dei
casi, semplicemente recepito i principi costituzionali introdotti con la riforma del titolo
56
V, indipendentemente dalle diverse collocazioni geografiche e dalle diverse
composizioni politiche delle maggioranze che li hanno approvato.
Nello specifico è stato rilevato che, in casi piuttosto ricorrenti, gli articoli di apertura
degli statuti, finora approvati, che contengono l’indicazione dei principi e delle finalità
generali che dovrebbero orientare l’azione delle Regioni, si sono risolti nella mera
riproduzione o parafrasi delle disposizioni costituzionali o addirittura in trapianti di
pezzi del Titolo V, (cloni statutari di norme costituzionali).
Molte di queste disposizioni sostanzialmente le ritroviamo invariate in quasi tutti i testi
degli Statuti o nella loro maggioranza.
Il primo elemento ricorrente è sicuramente costituito da un ampio riconoscimento di
principio del ruolo degli enti locali nell’ordinamento regionale e del loro concorso alle
scelte politiche, programmatiche e legislative della Regione (tranne Marche ed Umbria).
Mentre, nella maggior parte dei casi, le disposizioni statutarie non sembrano
intenzionati a garantire una effettiva ripartizione delle funzioni amministrative.
Sono poi richiamati in tutti gli Statuti (tranne l’Abbruzzo) i principi generali che
regolano i rapporti tra Regioni ed enti locali, univoci nel riaffermare che sussidiarietà,
adeguatezza e differenziazione sono alla base dell’ordinamento regionale, anche se
nessuno di essi ha tentato ogni ulteriore approfondimento o specificazione sui contenuti.
Conseguentemente, tutti (ad eccezione della Puglia) valorizzano il conferimento delle
funzioni agli enti locali, la promozione ed il sostegno delle loro forme associative per la
gestione delle suddette funzioni ed il rispetto della loro potestà regolamentare in ordine
all’organizzazione ed allo svolgimento delle stesse, fatta salvo la riserva alla Regione
delle sole funzioni che richiedono un livello unitario di carattere regionale.
Relativamente all’aspetto finanziario, gli Statuti (tranne Marche, Piemonte e Puglia) si
limitano a garantire una generica corrispondenza tra gli oneri derivanti dalle funzioni
conferite agli enti locali e le risorse che la Regione deve trasferire ai medesimi,
rinviando alla legge l’individuazione dei criteri e delle modalità di riparto.
57
C’è da evidenziare, in conclusione, che quasi tutti gli Statuti, ad eccezione di quelli di
Lazio, Piemonte e Puglia, riservano un apposito titolo al tema dei rapporti con gli enti
locali, sebbene nei lavori preparatori degli stessi, in generale, non si sia registrata da
parte delle Regioni una sorta di propensione a favorire una partecipazione attiva degli
enti interessati al dibattito statutario, se non nelle forme di consultazione effettuate per
lo più nella fase iniziale dei lavori.
b) Variabili
Poniamo ora la nostra attenzione sugli elementi differenziati che ritroviamo
particolarmente in quegli Statuti regionali che hanno maggiormente approfondito ed
arricchito le parti riguardanti il rapporto con gli enti locali.
Prima di tutto appare interessante richiamare alcune proclamazioni statutarie dalle quali
emerge un approccio al sistema Regione quale ente a competenza tendenzialmente
generale, deputato alla cura degli interessi dell’intera collettività sottostante; tali
riferimenti li ritroviamo soprattutto nello statuto abruzzese, delle Marche, della
Lombardia, della Liguria, della Calabria.
Tuttavia, in tali casi, pur avendo la Regione acquisito il ruolo di “ente di riferimento
delle relative comunità, espressione degli interessi del proprio territorio, coordinatore di
un articolato sistema di ordinamenti”, non ha saputo sfruttare a pieno, in sede di
approvazione degli Statuti stessi, l’occasione di disciplinare l’intero assetto del sistema
regionale e di governare il riparto delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di
governo. Sono pochi, infatti, gli Statuti che individuano l’elencazione delle funzioni
regionali e di quelle successivamente da conferire agli enti comunali, secondo il
principio di sussidiarietà.
La maggior parte prevedono il semplice conferimento delle funzioni ai Comuni, facendo
salva la competenza regionale in caso di esigenze unitarie, come ad esempio il Molise,
la Campania, il Piemonte, la Toscana.
58
Lo Statuto Veneto si distingue per la fortunata previsione che richiede da un lato che il
conferimento delle funzioni avvenga sulla base di “puntuali intese della Regione con i
Comuni, le Province, etc.” riconoscendo anche il primato ai Comuni, dall’altro riserva
tale conferimento alle sole “competenze amministrative necessarie all’autogoverno
locale” ponendosi, apparentemente, contro lo spirito del principio di sussidiarietà.
Analogamente lo Statuto della Lombardia, dopo aver affermato che “la Regione esercita
esclusivamente le funzioni amministrative che richiedono un esercizio unitario”, precisa
che con legge regionale è conferita ai comuni e alle province non ogni funzione
amministrativa, ma “solo ogni funzione di interesse locale” , quasi lasciando intendere
che in mancanza di interesse locale il comune potrebbe essere privato di talune funzioni,
che invece gli potrebbero essere sottratte solo per motivi di adeguatezza e
differenziazione, secondo i principi costituzionali.
I testi statutari delle Regioni dell’Abruzzo, Lazio e Liguria nel trattare il riparto delle
competenze agli enti locali, fanno riferimento al concetto di “delega” di funzioni, un
istituto ritenuto ormai superato dopo la nuova previsione costituzionale del Comune,
quale Ente originariamente titolare della generalità delle funzioni amministrative, anche
se la Regione Lazio è stata molto innovativa nel disciplinare la ripartizione delle
funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo elencando i criteri che vi
presiedono e nel riempire di contenuti concreti il costituzionalizzato principio di
sussidiarietà.
La Regione Liguria poi affronta con particolare attenzione la materia del riparto delle
competenze amministrative, sia pure con un’ingerenza forse lesiva della piena
autonomia degli enti locali, dove avoca alla legge regionale “la determinazione degli
standard e dei requisiti quantitativi e qualitativi” che l'attività amministrativa di detti
enti deve rispettare.
Peculiare è sicuramente lo Statuto della Regione Emilia-Romagna per la previsione di
una verifica degli esiti concreti del conferimento delle funzioni agli enti locali e di una
59
“durata” del conferimento medesimo, inoltre riempie di contenuto i principi enunciati
di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione.
Negli Statuti delle Regioni dell’Abruzzo, Calabria, Emilia–Romagna, Marche e Liguria
ritroviamo la formulazione esplicita del principio che gli enti locali e la Regione
costituiscono un sistema unitario ed una unitaria comunità politico-istituzionale.
Mentre soltanto Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Toscana riconoscono e valorizzano
espressamente nello Statuto il principio di autonomia degli enti locali.
Uno specifico riferimento alla concertazione, o comunque a forme di confronto o
raccordo di tipo istituzionale tra regione ed enti locali nella determinazione delle
politiche regionali lo fanno, invece, gli Statuti di Calabria, Emilia-Romagna, Toscana e
Umbria.
Solo quattro Regioni (Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Toscana), riproducendo le
disposizioni costituzionali, richiamano le potestà regolamentari degli enti locali
sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni ad essi attribuite.
Infine, il potere sostitutivo regionale nei confronti degli enti locali che risultassero
inadempienti nell’attuazione delle funzioni ad essi conferiti, viene previsto unicamente
dagli Statuti di Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria ed Umbria.
4.2 Le leggi regionali
Alcune fra le regioni in esame – nel dare attuazione nei rispettivi ordinamenti al nuovo
titolo V - hanno manifestato la loro propensione a dettare norme sull’autonomia locale
non solo negli statuti ma anche in leggi ordinarie. La regione che ha inaugurato questa
“stagione” è l’Emilia-Romagna, poi seguita da Umbria e Puglia . Queste leggi – come
si vedrà nell’analisi che segue- appaiono discutibili quando,ad esempio, recano
disposizioni di dettaglio in ordine alle funzioni locali o quando rimettono parte della
disciplina di queste ultime ad atti di natura regolamentare o pararegolamentare.
60
4.2.1 Il caso della Regione Emilia Romagna
Nel quadro descritto, appare di interesse il caso della Regione Emilia Romagna, ove la
legislazione regionale è intervenuta sul tema dei rapporti con gli enti locali, anticipando
in qualche caso le stesse norme statutarie.
Mentre, infatti, in molte Regioni, in assenza di leggi regionali di esercizio delle nuove
competenze, le disposizioni statutarie possono essere considerate come l’apertura di uno
scenario futuro, nel caso dell’Emilia Romagna esistono leggi che avevano aperto la
strada alle norme statutarie, che si sono spesso manifestate quale consolidamento di
quanto sancito nella legislazione.
Nello specifico, la legge regionale 24 marzo 2004 n. 6 e successive modificazioni,
recante “Riforma del sistema amministrativo regionale e locale, Unione europea e
relazioni internazionali, innovazione e semplificazione, rapporti con l’Università”, viene
emanata quando il nuovo statuto della Regione è ancora in fase di elaborazione:
quest’ultimo verrà promulgato con legge regionale 31 marzo 2005 n. 13 (tale statuto
ha recentemente subito una modifica, con esclusivo riferimento alla riduzione del
numero dei componenti dell’assemblea legislativa, con la legge regionale 27 luglio
2009 n. 12 ).
Nel definire le proprie finalità ed obiettivi, la legge n. 6/2004 afferma di perseguire il
grado più elevato di valorizzazione delle autonomie e, al tempo stesso, di raccordo ed
armonia del sistema (art. 1). Più precisamente, in tema di rapporti tra Regione ed enti
locali, tra gli obiettivi della legge figurano: la valorizzazione dell’autonomia degli enti
locali, con particolare riferimento a quella normativa chiarendone i rapporti con le fonti
regionali (art. 1, punto 2, lettera b); l’adeguamento della disciplina della Conferenza
Regione – Autonomie locali alla prospettiva della creazione del Consiglio previsto
dall’art. 123, comma 4 della Costituzione (art. 1, punto 2, lettera c); il rafforzamento
degli strumenti di integrazione e concertazione tra diverse istituzioni e diverse politiche,
al fine di offrire ai cittadini prestazioni ed interventi organicamente coordinati (art. 1,
punto 2, lettera d); l’attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà,
61
differenziazione ed adeguatezza, valorizzando particolarmente le forme associative tra
Comuni, tenendo conto delle specificità delle realtà montane, nonché considerando la
peculiarietà dell’Area metropolitana bolognese e del Circondario di Imola (art. 1, punto
2, lettera e); il superamento dei controlli preventivi di legittimità e l’introduzione di
forme di comunicazione, supporto e monitoraggio condiviso tra Regione ed enti locali
(art. 1, punto 2, lettera g).
Quindi l’attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza viene elencato tra gli obiettivi della legge (art. 1, punto 2, lettera e).
Sotto il profilo della distribuzione delle funzioni, esplicito è il richiamo di tali principi
anche nello statuto, il quale all’art. 26, comma 2 afferma che “la disciplina dei rapporti
con gli enti locali si ispira ai principi di autonomia, sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza”. In particolare, nel citato comma la sussidiarietà viene evocata anche per
limitare le funzioni da attribuire alla Regione, allorchè si afferma che quest’ultima
“esercita, ai sensi dell’art. 118 della Costituzione, le funzioni amministrative che
richiedano un esercizio unitario a livello regionale, riguardando obiettivi che non
possono essere realizzati dagli Enti locali o che per le loro dimensioni organizzative e
per gli effetti sui cittadini debbano essere perseguiti a livello regionale” (art. 26, comma
2, lettera a). I principi della differenziazione ed adeguatezza sono posti in stretta
correlazione con la valorizzazione delle forme associative degli enti locali (art. 26,
comma 2, lettera b).
Per quanto concerne la tipologia di funzioni, si ritiene opportuno segnalare i dubbi
interpretativi derivanti dall’art. 24, comma 4 dello statuto regionale, il quale,
nell’affermare che la Regione nell’ambito delle proprie competenze “disciplina le
modalità di conferimento agli Enti locali di quanto previsto dall’art. 118 della
Costituzione”, prevede poi “finalità e durata dell’affidamento” nonché il collegamento a
“forme di consultazione, ai rapporti finanziari ed agli obblighi reciproci”. Pare qui di
interesse riportare la tesi secondo la quale, considerata la distinzione tra attribuzione e
delega di funzioni, il termine “conferimento” è da impiegarsi solo quando si intenda
62
fare indistinto riferimento ad entrambi i tipi di assegnazione delle funzioni, come aveva
fatto la legge n. 59/1997, antecedente immediato del nuovo testo costituzionale31;ciò
premesso, il nuovo titolo V della Costituzione, in diverse occasioni, parla in modo
qualificato di funzioni “attribuite”, correlando alle stesse importanti conseguenze
giuridiche, tra le quali l’autonomia normativa (regolamentare) di cui all’art. 117, comma
sesto, Cost., in relazione all’organizzazione ed allo svolgimento delle funzioni stesse da
parte degli enti locali; tale autonomia non avrebbe senso invece per le funzioni delegate
agli enti locali dallo Stato o dalla Regione, i quali conservano per tali funzioni ,
essendone titolari, non solo il potere legislativo, ma anche quello regolamentare. Così,
con riferimento al profilo finanziario, il principio di integrale copertura con risorse
autonome è affermato per finanziare le “funzioni pubbliche loro attribuite” (art. 119
Cost.), mentre non vale per le funzioni delegate; ugualmente, in tema di controlli, se
quelli esterni sono da ritenersi soppressi per le funzioni attribuite, coerentemente con la
piena autonomia degli enti locali riguardo al loro esercizio, ciò non è valido per le
funzioni delegate, in relazione alle quali il titolare conserva più penetranti poteri di
verifica sull’esercizio, secondo le regole legislative o regolamentari da esso fissate.
La genericità letterale del comma 4 dell’art. 24 dello statuto sembrerebbe da una parte
riferirsi ad un generico “conferimento” comprensivo di attribuzione e delega, dall’altra
ad un conferimento quasi coincidente con la delega, in ragione delle previsioni di “
finalità e durata dell’affidamento” e degli “obblighi reciproci”, elementi che non
troverebbero coerenza con l’attribuzione piena delle funzioni (a tempo indeterminato,
con integrale copertura finanziaria e senza obblighi reciproci). Accogliendo la seconda
interpretazione, sorge il dubbio che lo statuto interpreti l’art. 118 Cost. nel senso di una
netta distinzione tra le funzioni proprie, ossia le funzioni fondamentali attribuite dalla
legge statale in sede di determinazione delle funzioni fondamentali, ed il conferimento,
inteso come delega; ciò comporterebbe, nella lettera dell’art. 24, comma 4, che la
legislazione regionale potrebbe solo “conferire”, nel senso di “delegare” funzioni. Tale
31 F. MERLONI “ I rapporti tra Regione ed enti locali nel nuovo statuto della Regione Emilia Romagna”, in “Istituzioni del federalismo”, n. 1, 2005, pag. 102.
63
conclusione sarebbe però troppo limitativa, poiché la legislazione regionale, con
l’ampliamento dei propri ambiti di competenza, deve poter attribuire funzioni a pieno
titolo.
Qualora invece si ritenesse valido il significato di conferimento inteso come
comprensivo di attribuzione e delega, l’art. 24, comma 4 dello statuto si rivelerebbe
troppo espansivo dei poteri regionali; se infatti il conferimento comprende anche
l’attribuzione, per tutte le funzioni “conferite” si aprirebbe uno spazio di negoziazione
con l’ente locale che, per le funzioni attribuite, la Costituzione non prevede; negoziare
un “conferimento/delega” rappresenta uno strumento di protezione dell’ente locale
dall’assegnazione di una funzione non gradita, ad esempio perché non assistita da
adeguate risorse finanziarie, mentre negoziare un’attribuzione di funzioni potrebbe
significare una diminuzione dell’autonomia normativa, finanziaria e di esercizio che la
Costituzione ha previsto.
Al riguardo si è ritenuto che l’art. 24, comma 4 dello statuto sia stato posto solo per
disciplinare i casi di conferimento di funzioni coincidenti con la delega e che esso si
applica ai soli casi in cui, una volta effettuata l’attribuzione delle funzioni in
applicazione della sussidiarietà, l’ente che risulta titolare(nel caso specifico la Regione)
decida di delegarne l’esercizio32. La norma in esame non riguarderebbe quindi il diverso
potere regionale di attribuire funzioni agli enti locali, che la Costituzione ha
riconosciuto alla Regione.
Nella suddetta direzione sembra muoversi la sentenza n. 379 del 2004 della Corte
Costituzionale, la quale, nel ricorso proposto dal Governo avverso lo statuto della
Regione Emilia Romagna, fa salvo l’art. 24, comma 4 dall’eccezione di illegittimità di
un conferimento a termine di funzioni agli enti locali, proprio sostenendo la netta
distinzione tra funzioni “proprie” e funzioni “conferite”, queste ultime da assimilarsi
alle funzioni delegate, che possono essere conferite a termine e sottoposte a controlli
non ammissibili per le funzioni proprie.
32 F. MERLONI, opera cit., pag. 104;
64
La confusione terminologica, peraltro, si ripete nella legge n. 6/2004, che all’art. 12 “da
un lato parla, correttamente, di attribuzione di funzioni ai Comuni (comma 1) e
dall’altro impiega il termine conferimento come perfettamente equivalente ad
attribuzione (commi 2 e 3)”33.
Il titolo II della legge n. 6/2004, denominato “sistema delle autonomie locali”, disciplina
al Capo I i poteri normativi degli enti locali ed il loro rapporto con la legge regionale,
nonché gli strumenti di cooperazione per il governo locale. Sotto il primo profilo, la
norma di riferimento è l’art. 8, il quale al comma 1 stabilisce che “nelle materie di
competenza legislativa regionale, gli Enti locali esercitano la potestà regolamentare ai
sensi dell’art. 117, comma sesto della Costituzione, in ordine all’organizzazione ed allo
svolgimento delle funzioni dell’ente locale, nel rispetto dei limiti fissati dalla legge
regionale al fine di assicurare i requisiti minimi di uniformità, con particolare
riferimento ai diritti civili e sociali”.
Il comma 2 dell’art. 8 afferma poi che “ le disposizioni contenute in regolamenti della
Regione cessano di avere efficacia, nell’ordinamento degli Enti locali interessati, con
l’entrata in vigore del regolamento locale”.
La competenza legislativa regionale nell’organizzazione e nello svolgimento delle
funzioni attribuite agli enti locali trova un limite nella potestà regolamentare degli enti
locali stessi ex art. 117, comma sesto Cost.; il potere regolamentare locale deve
disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni dell’ente, le quali
necessitano, per la loro concreta individuazione, dell’intermediazione di un atto
legislativo. Nell’art. 8 della legge n. 6/2004 l’autonomia normativa degli enti locali
viene riconosciuta, ma la stessa è circoscritta al rispetto dei limiti fissati dalla legge
regionale “al fine di assicurare i requisiti minimi di uniformità, con particolare
riferimento ai diritti civili e sociali”. Significativo appare quest’ultimo richiamo ai diritti
33 F. MERLONI, opera cit., pag. 105.
65
civili e sociali, la cui garanzia unitaria è stato ritenuto il compito principale della
legge34.
Quanto al rapporto tra legge regionale, regolamenti regionali e regolamenti locali
occorre tener presente la posizione assunta al riguardo dalla Corte Costituzionale;
quest’ultima ha infatti individuato una riserva di competenza regolamentare degli enti
locali nei confronti dei regolamenti regionali, ma non della legge regionale, la quale
può, in presenza di specifiche esigenze unitarie, intervenire per garantire uniformità
nello svolgimento delle funzioni locali35. Il regolamento regionale non può invece
invadere l’ambito normativo locale, nemmeno in via suppletoria e cedevole36. A tal
proposito, il legislatore della Regione Emilia Romagna, con la norma di cui all’art. 8,
comma 2, della legge n. 6/2004, pare discostarsi dalla predetta posizione, quando
prevede la cessazione dell’efficacia dei regolamenti regionali solo con l’entrata in
vigore dei regolamenti locali; si può forse supporre, nella fattispecie, come si vedrà
anche per la Regione Umbria, che il legislatore regionale abbia voluto evitare, in
assenza dei regolamenti locali, vuoti normativi nella disciplina di importanti funzioni.
Quanto al governo locale, si deve osservare come il perseguimento della realizzazione
di un sistema di raccordo delle autonomie locali sia espressione della consapevolezza
della Regione della necessità di “fare sistema” con gli enti locali, nel principio della
leale collaborazione, ai fine dell’attuazione delle politiche regionali.. In tale ottica, la
legge n. 6/2004 riserva grande attenzione alle forme di cooperazione tra i diversi livelli
di governo nell’attuazione delle politiche e degli interventi, con particolare riferimento
agli strumenti di integrazione e concertazione fra diverse istituzioni e diverse politiche,
finalizzati ad offrire ai cittadini prestazioni coordinate. Il principio di integrazione e
quello di concertazione sono menzionati negli artt. 9 e 10 della legge. L’art. 9 pone il
principio di integrazione a fondamento dell’intervento legislativo della Regione e della
disciplina sul conferimento delle funzioni amministrative a livello locale, con
34 F. MERLONI, opera cit., pag. 107. 35 Corte Cost., sentenza n. 372/2004. 36 Corte Cost., sentenza n. 246/2006.
66
particolare riferimento all’integrazione tra le politiche sociali, territoriali ed
economiche. L’art. 10, comma 1 connota la concertazione con Comuni, Comunità
montane, Unioni di Comuni ed Associazioni intercomunali quale strumento attraverso il
quale le Province adottano gli atti di pianificazione e di indirizzo previsti da leggi
regionali. Con tale disposizione, la Regione dà impulso all’attività di raccordo tra
Province ed autonomie locali ubicate negli ambiti territoriali della Province stesse,
prevedendo altresì al comma 2 che lo statuto delle Province disciplini le modalità di
svolgimento della concertazione di cui al comma 1. Il principio di concertazione ex art.
10 assume rilevanza anche sotto il profilo delle risorse finanziarie degli enti locali, in
quanto il comma 3 del citato articolo prevede che la Regione fissi forme di preferenza e
incrementi per trasferimenti di risorse finanziarie alle Province, destinati all’erogazione
di contributi a favore degli enti locali, nei casi in cui per l’individuazione dei criteri e
delle modalità per l’erogazione di tali contributi sia stata effettuata la concertazione ai
sensi del comma 1.
Sul tema del governo locale e della collaborazione tra Regione ed enti locali, di spessore
appare anche la previsione dell’art. 11 della legge n. 6/2004: essa stabilisce che le
funzioni di più conferenze o altri organismi collegiali, istituiti in ambito provinciale o
sub provinciale in base a legge regionale, in particolare nelle materie del trasporto
pubblico locale, della sanità, dei servizi sociali, della gestione dei rifiuti, della tutela
dell’ambiente, e composti da rappresentanti degli enti locali, possano essere unificate in
capo ad un unico organismo collegiale “composto nei modi e nelle forme definiti da
accordi tra la Regione e gli enti locali rappresentati”. Gli accordi disciplinano, nello
specifico, la composizione, le modalità di esercizio delle competenze e quelle di
funzionamento, l’organizzazione e le competenze stesse. Sono anche previsti eventuali,
successivi accordi tra gli enti rappresentati per la disciplina degli aspetti patrimoniali e
finanziari.
Particolare attenzione viene posta poi dalla legge regionale n. 6/2004 e successive
modificazioni alla valorizzazione delle forme associative degli enti locali, le quali
67
assumono un ruolo decisivo ai fini dell’attuazione dei principi di differenziazione ed
adeguatezza ex art. 118 Cost..
In merito occorre premettere che la Regione Emilia Romagna , a pochi mesi dall’entrata
in vigore della legge costituzionale n.3/2001, ha emanato la legge 26 aprile 2001 n. 11,
con la quale è stata adottata una compiuta disciplina dell’associazionismo locale;
l’elemento maggiormente caratterizzante della legge n. 11/2001 (art. 8) è dato
dall’introduzione della fattispecie delle Associazioni intercomunali, finalizzate alla
gestione associata di una pluralità di funzioni e servizi propri dei Comuni. Tali
Associazioni non hanno personalità giuridica ed operano tramite convenzioni dotate di
uffici comuni, ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali).
Esse sono costituite con conformi deliberazioni dei consigli comunali, con le quali sono
approvati l’atto costitutivo ed il regolamento dell’Associazione; quest’ultimo disciplina
sia gli organi dell’Associazione medesima che le funzioni. L’istituzione
dell’Associazione è dichiarata con decreto del Presidente della Regione.
La norma di riferimento per le forme associative locali nella legge n. 6/2004 è data
dall’art. 12 il quale, dopo aver richiamato al comma 1 i principi di differenziazione ed
adeguatezza nell’attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni “tenendo conto
della loro dimensione associativa”, stabilisce al comma 2 che la legge regionale possa “
prevedere specifici conferimenti ai Comuni capoluogo, ai Comuni ed alle Unioni di
Comuni, con popolazione superiore ai 50.000 abitanti e al Circondario di Imola, in
ragione delle loro specifiche caratteristiche territoriali ed organizzative”; il comma 3
detta poi la disposizione secondo la quale “le funzioni amministrative conferite ai
Comuni, quando la legge regionale fissa requisiti demografici, organizzativi o di
estensione territoriale per il loro esercizio, sono esercitate, per i Comuni che non li
raggiungono, dalle Unioni e dalle Comunità montane, nonché dalle Associazioni
intercomunali che rispettino tali requisiti e che espressamente deliberino di accettare”.
Nell’ipotesi del comma 2 la Regione si riserva la possibilità di conferire specifiche
funzioni ad enti locali individuati in base alle loro caratteristiche territoriali e
demografiche, mentre nell’ipotesi di cui al comma 3 il conferimento delle funzioni
68
amministrative ai Comuni nella loro generalità, qualora la legge regionale fissi requisiti
demografici, organizzativi o territoriali, viene condizionato esplicitamente al
soddisfacimento di tali requisiti, in mancanza dei quali è reso obbligatorio il ricorso alle
forme associative; ciò si ricava, per differenza, anche dall’art. 13, che prevede il ricorso
facoltativo alle forme associative quando la legge non stabilisce questi requisiti37.
Incisiva appare anche la previsione del comma 2 dell’art. 13, in forza della quale, con
riferimento ai Comuni ricompresi in Associazioni intercomunali, la legge regionale può
condizionare l’esercizio delle funzioni ad una durata minima dell’accordo associativo. Il
conferimento delle funzioni ai Comuni con il vincolo dell’esercizio da parte della forma
associativa diventa operativo a seguito dell’accettazione da parte della forma associativa
stessa.
Anche per le forme associative, sono previsti criteri preferenziali da parte della Regione
circa l’erogazione di contributi ai Comuni, per gli interventi posti in essere dalle Unioni
di Comuni, dalle Comunità montane e dalle Associazioni intercomunali “tenendo conto
della densità demografica dei territori”, in particolari settori (art. 14).
Una peculiare forma associativa locale è poi il Nuovo Circondario Imolese (art. 23);
l’articolo prevede che i Comuni già facenti parte del Circondario di Imola istituito ai
sensi dell’art. 6 dello statuto della Provincia di Bologna possono istituire una forma
speciale di cooperazione, finalizzata all’esercizio associato di funzioni comunali ed al
decentramento di funzioni provinciali, denominato, per l’appunto, Nuovo Circondario
Imolese. La forma associativa in questione è ente pubblico con personalità giuridica,
dotato di autonomia organizzativa e funzionale, di autonomia normativa in relazione
alle funzioni ad esso conferite, di autonomia contabile e di bilancio nell’ambito delle
risorse ad esso attribuite dai Comuni, dalla Provincia e dalla Regione. L’art. 23 afferma
infine che a tal ente si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di enti
locali. Le funzioni esercitate dal Nuovo Circondario Imolese, ai sensi dell’art. 24 della
legge n. 6/2004, sono quelle ad esso conferite da tutti i Comuni del Circondario, quelle
37 F. MERLONI, opera cit., pag. 111;
69
conferite dalla Provincia, a qualsiasi titolo esercitate, e quelle eventualmente conferite
dalla Regione. Il Nuovo Circondario Imolese concorre poi, nelle materie conferitegli
dalla Provincia, alla formazione di atti di programmazione e pianificazione provinciale
in rappresentanza degli interessi del proprio livello territoriale. Il Nuovo Circondario
Imolese è dotato di uno statuto, che disciplina gli organi dell’ente, ne individua le
funzioni, disciplina i rapporti con gli altri enti operanti nel territorio.
Gli artt. 17 – 21 della legge n. 6/2004 sono dedicati alle Comunità montane, per le quali
qui si ricorda che la loro disciplina è stata modificata dalla legge regionale 30 giugno
2008 n. 10, ai fini dell’attuazione dei principi statali contenuti nella legge finanziaria
2008, diretti ad una razionalizzazione di tali enti locali.
La tendenza regionale ad intervenire in materia di forme associative è correlata alle
pronunce con cui la Corte Costituzionale ha inquadrato, dopo la novella del 2001, la
posizione delle Comunità montane. Secondo il giudice delle leggi, l’estromissione dagli
elenchi tassativi delle istituzioni locali costituzionalmente rilevanti comporta che gli
enti montani ricadano nella potestà residuale delle Regioni, anche per gli aspetti che
l’art. 117, comma 2, lettera p, Cost. riserva allo Stato nei confronti di Comuni, Province
e Città Metropolitane e che non godano delle stesse garanzie previste per i soggetti
costitutivi della Repubblica. In relazione a tale orientamento potrebbe osservarsi che le
forme associative non rappresentano livelli di governo a sé stanti, ma proiezioni dei
soggetti che vi confluiscono per l’esercizio di funzioni “ab origine” locali; esse quindi,
condividendone la natura, dovrebbero godere delle medesime garanzie che la
Costituzione appresta agli enti locali “uti singuli”, a maggior ragione nelle ipotesi di
associazionismo obbligatorio: come è stato osservato “diversamente opinando, infatti, la
sottrazione alla libera volontà locale della scelta di associarsi si risolverebbe in una
deminutio dei poteri che comuni, province e città metropolitane si vedono attribuiti dal
nuovo titolo V”38.
38 L: CASTELLI – M. DI FOLCO “opera cit.
70
Uno degli aspetti sui quali la legge regionale n. 6/2004 assume un ruolo capofila è
quello dei controlli sull’attività degli enti locali.
In ordine a tale argomento occorre premettere che la riforma costituzionale pare aprire
la strada ad una valorizzazione del ruolo regionale di verifica nei confronti dei predetti
enti, per cui sembrerebbe ragionevole ritenere di competenza regionale l’eventuale
disciplina di tale verifica. Con ciò non si intende che la Regione possa reintrodurre le
tradizionali forme di controllo soppresse dalla riforma, per cui non sarebbe più
ipotizzabile un controllo basato sull’autorità di un ente superiore nei riguardi degli enti
locali, con la previsione di meccanismi sanzionatori, di annullamento di atti non
conformi alla legge. La soppressione di tali controlli, derivante anche dal passaggio da
un’amministrazione “per atti” ad una “di risultati”, impone la necessità di considerare
nuove forme di verifica da parte della Regione la quale da un lato riveste un importante
ruolo nel processo di distribuzione di funzioni tra gli enti, dall’altro dovrebbe disporre
di strumenti di monitoraggio sull’esercizio della funzione attribuita ad un determinato
ente, allo scopo di garantire un adeguato grado di uniformità a livello regionale e
verificare, a posteriori, l’effettivo esercizio della funzione attribuita, secondo i principi
di economicità, efficacia ed efficienza. Si afferma a tal proposito che “le verifiche
dovrebbero pertanto riguardare due aspetti dell’esercizio della funzione attribuita: la
corretta gestione delle risorse per esercitarla ed il raggiungimento di risultati prestabiliti
attraverso tale esercizio”39; ciò comporta come conseguenza una maggiore
responsabilità da parte degli enti che esercitano la funzione amministrativa, anche in
considerazione dei sempre più stringenti vincoli di finanza pubblica.
La previsione di un sistema conoscitivo e di nuove forme di verifica dell’esercizio delle
funzioni conferite agli enti locali sembrerebbe quindi conforme al dettato costituzionale;
d’altra parte, tale verifica, finalizzata a considerare l’adeguatezza delle funzioni
esercitate, è legata alla successiva possibilità della Regione di riallocare le funzioni
39 G. MARCHETTI “Il governo sul territorio attraverso il principio di collaborazione tra Regione ed enti locali”, in Centro Studi sul Federalismo – Research Paper – giugno 2010, pag. 27.
71
stesse ad un altro ente, dotato delle adeguate risorse finanziarie, umane ed
organizzative.
Per quel che riguarda la legge n. 6/2004, si rileva in primo luogo che l’art. 29 ha
soppresso sia il controllo sugli atti degli enti locali, a seguito dell’abrogazione dell’art.
130 Cost. che tali controlli prevedeva, sia il Comitato Regionale di controllo.
Ma la disposizione di maggior portata innovativa, in relazione a quanto sopra illustrato,
è quella dell’art. 27, inserito nel Capo V della legge, intitolato “forme di conoscenza,
monitoraggio e supporto al sistema delle autonomie locali”. Come annunciato dal citato
titolo, il Capo in argomento persegue l’obiettivo di predisporre strumenti di conoscenza
e di circolazione delle informazioni dirette a consentire alla Regione ed a tutto il sistema
delle autonomie locali di esercitare le proprie funzioni. A tal fine, è prevista una
procedura a mezzo della quale la Regione raccoglie ed elabora dati ed informazioni di
carattere generale che riguardano l’attività delle autonomie locali. Alla definizione della
procedura volta al monitoraggio dei dati è garantita la partecipazione degli enti locali: il
comma 2 dell’art. 27, infatti, attribuisce alla Conferenza Regione – Autonomie locali
(l’antecedente di quello che poi sarà il Consiglio delle Autonomie Locali ex art. 123
Cost.) il compito di individuare indicatori, criteri di rilevazione e metodologie al fine di
analizzare gli effetti delle politiche regionali sul sistema delle autonomie territoriali; tali
elementi (indicatori, criteri e metodologie) si riferiscono in particolare all’analisi dei
dati relativi alla finanza regionale e locale ed alle indagini volte alla valutazione
dell’impatto organizzativo, economico e finanziario delle funzioni conferite. In base a
tali indicazioni, la Regione raccoglie ed elabora i dati e le informazioni che riguardano
l’attività delle autonomie locali, anche tramite protocolli d’intesa con le associazioni di
queste ultime (commi 3 e 7). Gli enti locali devono trasmettere alla Regione copia del
bilancio di previsione e del conto consuntivo entro trenta giorni dall’approvazione dei
competenti organi, nonché ogni altra documentazione richiesta ai fini del monitoraggio
(comma 4), sulle cui risultanze la Giunta Regionale presenta una relazione periodica
alla Conferenza Regione- Autonomie locali. Sulla base dei risultati del monitoraggio,
inoltre, la giunta Regionale elabora proposte per l’adeguamento della normativa, il
72
riordino dell’apparato amministrativo e la revisione delle procedure amministrative
della Regione “verificando che i conferimenti di funzioni agli enti locali siano sorretti
da adeguate risorse finanziarie, strumentali ed umane” (art. 27, comma 6).
In ordine alla Conferenza Regione-Autonomie locali l’art. 31 della legge n. 6/2004 ne
prevede la soppressione alla data di insediamento del Consiglio delle Autonomie Locali,
il nuovo organo previsto dall’art. 123 della Costituzione quale luogo di confronto tra la
Regione e le autonomie locali. Tale organo è stato istituito dalla Regione Emilia
Romagna con legge regionale 9 ottobre 2009 n. 13.
Le suddette norme concernenti forme di verifica dell’attività degli enti locali si pongono
a garanzia dei cittadini, ma anche degli stessi enti locali, indotti da una analisi costante,
basata su indicatori che, come si è visto, non sono imposti, ma condivisi, a rimediare
alle più rilevanti disfunzioni evidenziate dalle attività di conoscenza e monitoraggio.
D’altro canto, la previsione di strumenti di verifica sull’esercizio delle funzioni
conferite dovrebbe rappresentare il presupposto per una trasformazione delle Regioni da
enti di gestione ad enti di governo: in assenza di tali strumenti, infatti, le Regioni
appaiono restie a rinunciare all’amministrazione diretta delle funzioni medesime. In tale
ottica, la Regione Emilia Romagna si colloca, con la disciplina dettata dalla legge n.
6/2004, in posizione di capofila.
Una traccia di questa nuova visione dei controlli si ritrova anche nello statuto, il quale
all’art. 60, comma 4 prevede che” nelle forme stabilite dalla legge, la Regione verifica
la realizzazione dei programmi la cui attuazione è demandata agli enti locali, nel rispetto
dell’autonomia degli stessi”. Nell’assunto emerge la consapevolezza che le politiche
regionali vengono attuate con il pieno concorso degli enti locali, che sono escluse forme
di sovra ordinazione gerarchica o, peggio, poteri di controllo o di sanzione, mentre
pienamente legittimi sono i poteri di verifica, destinati a correggere politiche e strumenti
attuativi, ma sempre nel rispetto dell’autonomia degli enti locali, e, ove possibile, con il
loro consenso.
73
La soppressione dei controlli esterni è collegata alla nuova posizione di autonomia,
anche normativa, degli enti locali in rapporto alle funzioni loro attribuite; diverse
valutazioni si pongono però con riferimento a quelle delegate, in cui il soggetto
delegante, conservando poteri regolamentari e di indirizzo sull’esercizio delle funzioni,
manterrebbe anche strumenti di controllo.
Per quanto concerne le funzioni delegate, occorre tornare al dettato del comma 4
dell’art. 24 dello statuto, che prevede per le funzioni “conferite” la possibilità di
disciplinare “le modalità di verifica dell’esercizio delle funzioni e di utilizzazione delle
risorse assegnate”. La verifica ivi prevista sembrerebbe uno strumento più penetrante
delle attività di conoscenza e monitoraggio, per cui apparirebbe confortata
l’interpretazione secondo cui la norma si riferisce alle funzioni delegate e non a quelle
attribuite. Per queste ultime valgono solo le forme di trasparenza previste dalla legge n.
6/2004, mentre per le funzioni delegate possono esservi forme di verifica che
contengano conseguenti provvedimenti, pur senza portare alla reintroduzione di
meccanismi di controllo.
Al tema dei controlli da parte della Regione sull’esercizio delle funzioni conferite agli
enti locali, al fine di valutarne l’adeguatezza, si collega un altro aspetto toccato dalla
legge n. 6/2004: quello del potere sostitutivo da parte della Regione nei confronti degli
enti locali “nel rispetto del principio della leale collaborazione”.
Alla verifica dell’esercizio delle predette funzioni è infatti legata, come si è detto, la
possibilità per la Regione di riallocare le funzioni stesse ad un altro ente o, per
l’appunto, di intervenire in via sostitutiva.
La legittimità dei poteri sostitutivi regionali nei confronti degli enti locali è stata
riconosciuta dalla Corte Costituzionale a partire dalle sentenze n. 313/2003 e n. 43/2004
e con la successiva costante giurisprudenza, con l’evidenziazione, tuttavia, della
necessità di adottare adeguate garanzie procedurali, in conformità al principio di leale
collaborazione tra Regione ed enti locali, e con l’individuazione di una serie di limiti e
condizioni per l’esercizio di tale potere. In particolare, il giudice delle leggi ha sancito
74
che l’eventuale previsione di “eccezionali sostituzioni” di un livello di governo ad un
altro può essere fatto rientrare nello schema dell’art. 118 Cost., che consente uno
spostamento di funzioni per assicurarne l’esercizio unitario. Altrimenti secondo la Corte
si avrebbe “l’assurda conseguenza che, per evitare la compromissione di interessi unitari
che richiedono il compimento di determinati atti o attività, derivanti dall’inerzia anche
di uno solo degli enti competenti, il legislatore (statale o regionale) non avrebbe altro
mezzo se non collocare la funzione ad un livello di governo più comprensivo”, ai sensi
dell’art. 118, comma 1, Cost.
La legge regionale dovrebbe perciò prevedere un potere surrogatorio nei confronti degli
enti locali nei casi in cui, nel rispetto del principio di sussidiarietà, sarebbe da
considerare sproporzionato allo scopo un intervento volto a collocare la funzione al
livello di governo di maggiore dimensione.
Come sopra accennato, la giurisprudenza costituzionale ha fissato una serie di limiti e
condizioni per l’esercizio di tale potere, precisando in particolare quanto segue: a) le
ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi devono essere previste e disciplinate dalla legge,
che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali; b) la sostituzione può
prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attività “privi di discrezionalità
nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo) la cui obbligatorietà sia
il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l’intervento sostitutivo;
c) il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo della Regione o
sulla base di una decisione di questo; d) la legge deve definire le garanzie
procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in conformità al principio di leale
collaborazione, con la previsione di un procedimento nel quale l’ente sostituito venga
comunque posto in grado di interloquire, anche al fine di evitare la sostituzione
attraverso l’autonomo adempimento.
Al dettato costituzionale sembra conformarsi la legge regionale n. 6/2004, la quale
all’art. 30, punto 1 stabilisce che “nelle materie di propria competenza legislativa la
Regione, nel rispetto del principio di leale collaborazione, esercita il potere sostitutivo
75
sugli enti locali nei casi in cui vi sia una accertata e persistente inattività nell’esercizio
obbligatorio di funzioni amministrative e ciò sia lesivo di rilevanti interessi del sistema
regionale e locale”. Il punto 2 dell’articolo pone in evidenza come gli enti locali,
nell’ottica del principio di leale collaborazione, siano chiamati a concorrere alla
procedura finalizzata all’adozione dell’atto posto in essere in via sostitutiva dalla
Regione: la Giunta Regionale, infatti, chiama ad esprimersi sulla sussistenza dei
presupposti per l’esercizio dei poteri sostitutivi una commissione di esperti designati
dalla Conferenza Regione – Autonomie locali ed assegna all’ente inadempiente un
termine per provvedere, decorso il quale “e sentito l’ente interessato” la Regione, anche
attraverso la nomina di un commissario, pone in essere gli atti in via sostitutiva. Di tali
atti la Regione medesima dà comunicazione alla stessa conferenza Regione –
Autonomie locali.
4.2.2 Il caso della Regione Umbria
Anche nel caso dell’Umbria si assiste all’approvazione di un organica riforma del
sistema amministrativo regionale e locale sul modello inaugurato già nel 2004 dalla
Regione Emilia-Romagna. La legge regionale 23/2007 della Regione Umbria si collega
esplicitamente alla volontà di realizzare “il massimo livello di valorizzazione delle
autonomie locali, di cooperazione e di leale collaborazione tra le stesse” 40.
Il Titolo II – che qui interessa- si articola in tre Capi : i primi due dedicati all’assetto
delle funzioni amministrative e ai rapporti tra amministrazione regionale e locale,
oggetto del nostro esame; il terzo al cruciale tema delle forme associative tra enti locali,
affrontato soprattutto in una prospettiva di semplificazione istituzionale.
40 Così, testualmente, l’art. 1, comma 1 della l.r. Umbria 23/2007. L’obiettivo enunciato in via generale nel comma 1 viene più compiutamente sviluppato nel comma 2, nel quale il legislatore regionale dichiara di ispirarsi, tra l’altro, alla necessità di attuare i principi di sussidiarietà verticale e orizzontale, cittadinanza sociale, efficienza, economicità, responsabilità, adeguatezza, differenziazione, integrazione; di sviluppare gli organismi di raccordo e coordinamento tra regione e istituzioni locali, a partire dal consiglio delle autonomie locali; di rafforzare gli strumenti di integrazione e concertazione tra diverse istituzioni e diverse politiche (cfr. l’art. 1, comma 2, lett. a), b) e c)).
76
Quanto al primo tema, la legge umbra introduce disposizioni più stringenti rispetto a
quelle contenute nello Statuto, attraverso la previsione secondo cui le funzioni
amministrative sono attribuite al livello istituzionale più vicino al cittadino tenendo
altresì conto del principio di adeguatezza 41. Vi si trova infatti una precisa delineazione
del ruolo da riconoscere ai comuni, alle province e alla regione. Per la precisione i
comuni, singoli o associati, sono chiamati ad esercitare le funzioni amministrative
proprie, quelle non riservate allo stato, alla regione o conferite alla provincia 42 e anche
quelle relative alla cura degli interessi della comunita’ locale, ampliando cosi’ la
previsione dello statuto che all’art.26, fra le funzioni comunali, non aveva previsto
anche queste ultime.
La dotazione funzionale degli enti di base è pertanto di tipo completo e non limitata ai
compiti afferenti agli interessi delle comunità di riferimento; essa si estende anche a
quelli comunque localizzabili in base al principio di adeguatezza e dunque non riservati
agli enti territoriali di più ampia circoscrizione.
Per quanto riguarda le province, a differenza di quanto previsto dal nuovo art. 118,
queste esercitano le funzioni amministrative proprie e quelle conferite con legge statale
e regionale mentre non vi è traccia dei compiti relativi alla cura degli interessi delle
comunità di riferimento, come diversamente accade per i comuni.
Per quanto riguarda la Regione, al di là dei compiti di programmazione e di
coordinamento43, essa si riserva, con una previsione di carattere eccezionale, anche le
funzioni di amministrazione attiva che richiedono l’esercizio unitario a livello
regionale44.
41 Art. 8, comma 1, l.r. Umbria 23/2007. E’ utile precisare che l’art. 26 dello statuto umbro, il quale disciplina i conferimenti di funzioni amministrative nel quadro delle disposizioni dedicate al rapporto tra regioni ed enti locali, non è altrettanto esplicito nel rimarcare la necessità che beneficiarie dei processi allocativi siano soprattutto le amministrazioni locali. 42 Art. 2, comma 1, l.r. Umbria 23/2007. Si tenga presente che l’art. 26, comma 1 dello statuto umbro non contempla, tra le funzioni comunali, quelle di esclusivo interesse della comunità locale. 43 Art. 5 della l.r. Umbria 23/2007. 44 Art. 6, comma 1, l.r. Umbria 23/2007.
77
Ancora nel Capo II è previsto in capo alla regione un potere sostitutivo (art.16) nonché
di indirizzo e di coordinamento nei confronti degli enti locali (art.15).
A tale proposito è da osservare che, in relazione ai poteri sostitutivi, il legislatore
umbro, sviluppando quanto già contenuto nell’art. 27 dello statuto, si è scrupolosamente
attenuto ai requisiti che la giurisprudenza costituzionale ha a suo tempo considerato
dirimenti ai fini della conformità a Costituzione dell’Istituto . Il potere è infatti previsto
in caso di inerzia dei Comuni e delle Province nell’esercizio delle funzioni
amministrative loro conferite e l’esercizio del potere è affidato alla Giunta Regionale
che adotta gli atti necessari, previa diffida di congruo termine e sentito il CAL.
Diversamente, la disciplina relativa ai poteri regionali di indirizzo e coordinamento
rappresenta un lancio in avanti non trovando essi alcun aggancio nello Statuto umbro;
Vi è tuttavia un tentativo di contenere l’indirizzo e il coordinamento da parte della
Regione nel prevedere che esso sia finalizzato ad assicurare livelli minimi ed uniformi
nell’esercizio delle funzioni conferite agli enti locali.
Si viene ora al rapporto tra legge e regolamenti regionali da un lato e regolamenti locali
sulle funzioni attribuite, dall’altro. Come già richiamato, secondo la corte costituzionale,
i regolamenti locali beneficiano di una riserva di competenza nei confronti dei
regolamenti regionali, ma non della legge regionale; pertanto, mentre la legge regionale
può - ove ricorrano specifiche esigenze unitarie – intervenire ad assicurare requisiti
essenziali di uniformità in ordine allo svolgimento delle funzioni locali, al regolamento
regionale è preclusa la possibilità di penetrare negli spazi rimessi al normatore locale.
Quindi si può anche affermare che i regolamenti locali intrattengono con la legge
regionale un rapporto di concorrenza e con i regolamenti regionali, invece, un rapporto
di separazione. Le regioni possono dunque dettare disposizioni relative
all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni locali con legge ma non con
regolamento, ferma restando l’esigenza che comunque la legge regionale non assuma
contenuti di dettaglio riducendo il regolamento locale al rango di fonte secondaria e di
mera esecuzione delle previsioni legislative.
78
Se tutto ciò è vero e condivisibile, la disciplina teste’ esaminata e dettata dal legislatore
umbro porta ad alcune riflessioni critiche. Infatti, in primo luogo con l’art.13 si
stabilisce genericamente che il potere regolamentare locale fondato nell’art. 117,
comma 6 cost., è esercitato nel rispetto dei limiti fissati dalla legge regionale; emerge
pertanto la volontà di riconoscere al legislatore regionale una capacità conformativa
pressoché indiscriminata nei confronti dei regolamenti locali, la quale, oltre ad essere
scarsamente in linea con l’impostazione dei giudici costituzionali, risulta finanche
peggiorativa rispetto a quanto statuito dalla L. 131/2003 e dal d.lgs. 267/2000. Infatti la
legge 131/2003 tenta di contenere la portata espansiva della legge (statale e regionale)
nei confronti dei regolamenti locali, limitando la prima all’apposizione delle sole norme
atte ad assicurare requisiti minimi di uniformità in ordine alla disciplina delle funzioni
locali; mentre il d.lgs. 267/2000 richiama i regolamenti locali al rispetto dei principi
legislativi.
In secondo luogo si afferma che i regolamenti regionali disciplinanti le funzioni locali al
momento dell’entrata in vigore della legge, cessano di avere efficacia nell’ordinamento
del singolo ente solo nel momento in cui lo stesso emana proprie norme regolamentari
(art.13). Di nuovo emerge la tendenza ad espandere il ruolo della Regione rispetto agli
spazi dell’ente locale, in conflitto con la posizione della Corte Costituzionale che
ritiene che già dall’entrata in vigore del nuovo Titolo V si produca l’effetto di escludere
che da norme secondarie regionali possano - anche solo temporaneamente – essere
occupati ambiti di competenza normativa di Comuni, Province e Città metropolitane. 45
In difesa del legislatore umbro potrebbe però accorrere l’ipotesi che esso abbia voluto
scongiurare un vuoto di regolamentazione di funzioni così importanti nel caso di ritardi
da parte dell’ente locale nell’esercitare il potere a suo favore previsto dall’art.117,sesto
comma della costituzione.
Nel capo III si affronta la cruciale questione delle forme associative. Cruciale perchè le
inadeguatezze dimensionali e organizzative di molti comuni italiani vanificano, o
45 Cfr. art. 13,comma 2 , l.r .Umbria 23/2007
79
potrebbero, l’esercizio delle funzioni ad essi riservati, anche in via sussidiaria ,fino a
diventare, in alcuni casi, quello associativo uno strumento vitale per l’attuazione del
nuovo art. 118 cost.
La legge umbra affronta il problema in modo deciso : ben sei articoli (artt.17-22) - che
dettano una disciplina ampia e dettagliata - sono dedicati all’ “Ambito territoriale
Integrato”, lo strumento individuato in una prospettiva di semplificazione istituzionale
(è questo infatti il titolo del Capo III) e finalizzato ad unificare in capo ad un solo,
nuovo soggetto le “funzioni di più enti, consorzi, associazioni, conferenze e/o organismi
comunque denominati composti dai comuni … istituiti in ambito provinciale o sub-
provinciale sulla base di leggi regionali in particolare in materia di sanità, politiche
sociali, gestione di rifiuti, ciclo idrico integrato, turismo…”46.
Il nuovo soggetto, definito “forma speciale di cooperazione tra gli enti locali”, da
istituire con decreto del presidente della giunta regionale, è dotato di potestà statutaria,
personalità giuridica, autonomia regolamentare, organizzativa e di bilancio; esercita le
funzioni conferite dai comuni che ne fanno parte ai fini della gestione associata e le
funzioni dei singoli comuni, mediante convenzione, per una più efficace gestione delle
stesse. Ma non solo. L’ATI esercita anche le funzioni ad esso conferite con legge
regionale nonchè le funzioni attribuite o delegate dalla provincia fra quelle che
quest’ultima esercita a qualsiasi titolo. Se ne ricava, pertanto, che l’ATI agisce non
sempre soltanto quale ente di secondo grado per l’esercizio associato di funzioni e
compiti originariamente comunali, come pur dovrebbe essere se si restasse nella
cornice del dettato costituzionale in tema di organi costitutivi dello Stato,
tassativamente elencati dall’art. 114,co. 1, Cost.
La legge umbra ha invece dato vita ad un soggetto non solo di natura e carattere
associativo ma anche di governo; ciò infatti accade, ad esempio, quando prevede che la
Provincia possa delegare, e anche attribuire, all’ATI funzioni a qualsiasi titolo
46 Cfr. art. 17,comma 1, l.r. Umbria 23/2007
80
esercitate oppure quando prevede che il singolo comune possa conferirgli sue
competenze per una più efficace gestione.
Tali previsioni sembrano essere meritevoli di una osservazione critica: a ben guardare
proprio non sembra che il legislatore di revisione nel prevedere e favorire le “forme
associative” avesse voluto introdurre e frapporre un nuovo livello di governo, anzi
riservando attenzione a prevedere una netta distinzione fra il ruolo degli Enti di
governo e il ruolo delle eventuali forme associative e di collaborazione fra Enti,
lasciando a queste ultime, così come alle strutture di decentramento, unicamente una
funzione di facilitazione dell’esercizio e della gestione dei compiti di ciascun ente
locale nella ricerca di maggiore efficacia. Con la legge in esame si procede invece
all’attribuzione di competenze così rilevanti ad un soggetto nel quale è assente il
requisito della diretta rappresentatività delle comunità territoriali, da far pensare ad una
tendenza del legislatore umbro verso una deminutio della sussidiarietà.
In conclusione, l’analisi del caso della regione Umbria ha evidenziato – pur in presenza
dell’ affermazione di un impegno alla valorizzazione e alla promozione delle
autonomie - la sua tendenza ad espandere la propria potestà regolamentare oltre i limiti
costituzionalmente consentiti in quanto, come si è visto, i regolamenti locali sono
chiamati al rispetto tout court dei limiti da essi previsti . Tuttavia può affermarsi che
anche questa legge in definitiva si uniforma alla tendenza generale, riscontrata in gran
parte delle regioni, di non conferire funzioni, limitandosi invece a definire le coordinate
entro cui devono muoversi i conferimenti stessi.47
Diversi sono infatti i richiami a successivi processi attuativi. In particolare:
- la regione emana, entro un anno dall’entrata in vigore della disciplina che qui si
commenta, atti legislativi organici di conferimento delle funzioni amministrative
agli enti locali (art. 7,co. 2);
47 Cosi’ L.CASTELLI - M. DI FOLCO “ opera cit.”.
81
- il presidente della giunta regionale, sulla base dei criteri definiti dalla giunta
regionale e previo parere del CAL, provvede con decreto al trasferimento o
all’assegnazione agli enti locali dei beni di proprietà della regione in misura
corrispondente alle esigenze di esercizio delle funzioni conferite (art.24,co.1 e
4);
- la giunta regionale, sentito il CAL, determina le strutture organizzative ed il
contingente organico di personale da trasferire o assegnare funzionalmente agli
enti locali per lo svolgimento delle funzioni conferite, previo confronto con le
organizzazioni sindacali (art. 25,co.1);
- la regione, fino all’attuazione dell’art. 119 Cost., garantisce le risorse finanziarie
necessarie per l’esercizio delle funzioni conferite.
Infine si tenga presente che l’esercizio delle funzioni conferite è condizionato
dall’effettivo trasferimento delle risorse finanziarie, umane, patrimoniali e strumentali
necessarie .
Pertanto può ragionevolmente affermarsi che anche la legge umbra si risolve in una
legge di rinvio e di riproposizione di principi costituzionali che potrebbe determinare un
pericoloso rinvio, sine die , dell’effettiva attuazione della Riforma, pur se la legge
umbra è l’unica a prevedere il termine di un anno dalla propria entrata in vigore per la
realizzazione dei conferimenti organici di funzioni amministrative agli enti locali.
Il termine risulta tuttavia meramente ordinatorio.
4.2.3 Il caso della Regione Puglia
Anche la regione Puglia si è dotata ,sulla scia dell’Emilia –Romagna e dell’Umbria , di
una legge organica di attuazione del nuovo modello di amministrazione introdotto dalla
riforma in esame rivolta al conferimento di funzioni e compiti amministrativi al sistema
delle autonomie locali.
La legge n.36/2008 detta le norme per garantire agli enti locali l’effettivo esercizio
delle funzioni e dei compiti amministrativi al fine di favorire, in ossequio al principio di
82
sussidiarietà, l’assolvimento da parte dell’ente territorialmente e funzionalmente più
vicino ai cittadini.
I principi richiamati, a tal fine, sono anche la leale collaborazione, differenziazione,
unicità, adeguatezza, autonomia regolamentare e organizzativa.
Vi è anche un non comune esplicito richiamo al principio di sussidiarietà orizzontale:
l’art. 5 prevede infatti che gli enti locali, ivi comprese le Comunità montane e la
Regione, esercitano le funzioni amministrative sia direttamente sia con ricorso a forme
di autonoma iniziativa da parte dei cittadini, delle formazioni sociali e delle
organizzazioni di volontariato.
Le funzioni e i compiti amministrativi sono quindi svolti dai Comuni ,secondo l’art.
118, ma la regione, anche in questo caso come per le altre Regioni esaminate, se ne
riserva l’esercizio per quelle che , per la loro rilevanza, richiedano un esercizio unitario.
Anche la Puglia non individua quali siano le funzioni con tale caratteristica, lasciandosi
pertanto ampio spazio di intervento; prevede però la sottoscrizione di accordi di
collaborazione con le amministrazioni interessate dai procedimenti amministrativi in tali
materie.
Ancora la Regione, sempre al fine di garantire uno sviluppo unitario del nuovo sistema
delle autonomie locali, per le funzioni conferite , esercita l’attività non solo di
coordinamento e programmazione ma anche di indirizzo e controllo. Come per la
legge regionale Umbra, anche in questo caso la previsione dell’attività di controllo non
sembra avere riferimenti nello statuto pugliese e la relativa disciplina - dettata dall’art. 9
- sembra essere piuttosto incisiva e corposa. Si prevede infatti che la Regione adotti
misure basate su indicatori definiti per la verifica del corretto esercizio delle funzioni
attribuite agli enti locali. Nel processo di definizione degli indicatori viene quanto meno
prevista l’intesa delle autonomie locali. La disciplina prevede un meccanismo di
intervento e sospensione dell’esercizio della funzione conferita , nel caso di
significativo , persistente esercizio inefficace da parte dell’ente attributario. In tale casi
la regione può quindi sospendere con l’affidamento temporaneo ad altro ente
83
territoriale, secondo il principio di sussidiarietà. Tutto ciò, nell’intento del legislatore ,
e’ finalizzato a realizzare un coordinamento dell’azione complessiva del sistema
amministrativo regionale e locale.
Passando ad esaminare più da vicino il sistema di decentramento delle funzioni e dei
compiti amministrativi - disegnato dall’art. 7- si assiste ad una riproposizione esatta
della norma prevista dall’esaminata legge dell’Emilia-Romagna . Gli enti locali, infatti,
nell’esercizio della potestà regolamentare loro attribuita dall’art. 117,comma 6 , cost.,
(in ordine quindi all’organizzazione e allo svolgimento delle sue funzioni , nelle
materie di competenza legislativa regionale ) devono attenersi al rispetto dei limiti
fissati dalla legge regionale . Come per l’Emilia-Romagna, però, anche in questo caso il
potere conformativo di cui si è voluta dotare la Regione trova un pur flebile confine nel
riferimento particolare ai requisiti minimi di uniformità in materia di diritti civili e
sociali. In ciò quindi le due leggi testè citate si differenziano dalla legge Umbra la
quale, come visto, non pone limiti al suo potere conformativo nei confronti del potere
regolamentare degli enti locali. A tale proposito valgono, naturalmente, le riflessioni già
esposte.
In questo quadro si inserisce l’istituzione di una “Cabina di regia”48 per il
decentramento, previsione originale che non trova altri esempi similari nella normativa
regionale sin qui esaminata. Si tratta di un organo di concertazione, cooperazione e
coordinamento tra Regione e Comuni, Province, Città metropolitana e Comunità’
montane con il compito di raggiungere, sul processo di decentramento amministrativo,
intese di livello interistituzionale attraverso la concertazione e il confronto. Ampi sono
i poteri attribuiti a questo organismo con riguardo al cruciale tema del conferimento di
funzioni e compiti amministrativi agli enti locali : dai pareri obbligatori alle proposte,
in via preventiva, sulle iniziative legislative e sui provvedimenti relativi al
conferimento, all’esame dell’andamento del processo di attuazione del nuovo titolo V,
48 Cfr. art. 8 lg. 36/2008 regione Puglia
84
fino alla definizione dei livelli territoriali ottimali di cui all’art.33 del Testo Unico delle
Autonomie Locali.
Alla luce dell’esame sin qui svolto sembra di potersi affermare che anche la legge della
Puglia si limiti all’enunciazione di criteri e principi ma rispetto alle altre due regioni
esaminate sembra spingersi più in avanti in materia di previsioni relative alla
ripartizione delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessari all’esercizio delle
funzioni ,che si sostanziano in previsione di dettaglio e non di mera enunciazione, pur
comunque riservandone la decorrenza all’emanazione di appositi decreti del Presidente
della Giunta.
Nelle norme finali e transitorie49, infatti , si conferma la maggiore concretezza della
legge pugliese quando si fissa un termine di centottanta giorni dall’entrata in vigore per
l’adozione dei provvedimenti necessari per il trasferimento delle risorse finanziarie,
strumentali e umane relative all’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi già
conferiti con leggi regionali in materia di agricoltura; tutela ambientale; boschi e
foreste, protezione civile e lotta agli incendi boschivi; energia, miniere e risorse
geotermiche; opere pubbliche, viabilità, trasporti; salute umana e sanità veterinaria.
La propensione a una maggiore concretezza pare confermata anche da una norma
finanziaria50 che si spinge ad istituire un fondo per le spese di funzionamento connesse
all’esercizio delle funzioni conferite in attuazione della legge 59/97,delle leggi Cost.
3/2001 e 131/03 e un ulteriore fondo per l’esercizio delle funzioni trasferite dagli artt.
117 e 118 della Costituzione; il primo e’ alimentato con le risorse trasferite dallo Stato
alle Regioni , il secondo con risorse regionali.
4.3 Un nuovo organo costituzionalmente necessario: il Consiglio delle Autonomie
locali.
4.3.1 Cenni generali
49 Cfr. art. 14 ,comma 3 lg.cit. 50 Cfr. art. 14,comma 1 lg.cit.
85
Il Consiglio delle autonomie locali è stato previsto dalla legge costituzionale n. 3 del
2001 che ha aggiunto un ultimo comma, il quarto, all'art.123 della Costituzione: “ In
ogni Regione, lo Statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di
consultazione fra la Regione e gli enti locali ”.
La disposizione rappresenta un punto di contatto tra i due tasselli attraverso i quali è
stata realizzata la riforma del titolo V della Costituzione: la legge costituzionale n. 1 del
1999, che ha modificato le disposizioni relative all'autonomia statutaria ed alla forma di
governo regionale, e la l. cost. n. 3 del 2001, che ha inciso in tema di funzioni regionali
e locali.
Quest'ultima non ha apportato modifiche alle norme già oggetto del precedente
intervento, con l'unica eccezione dell'art.7, che, con l'aggiunta del suddetto comma, ha,
nella sostanza, inciso sulla “autonomia statutaria e sulla forma di governo della
Regione”, individuando un nuovo contenuto dello Statuto regionale ed un nuovo organo
che si inserisce nella forma di governo della Regione 51.
La previsione di tale nuovo organismo era già presente nella cd. “bozza Amato”,
presentata al Parlamento nel marzo 1999, ma fu successivamente soppressa nel testo
unificato licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera.
La successiva reintroduzione fu determinata da un fattivo intervento del mondo delle
autonomie locali: la conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
e le associazioni degli enti locali elaborarono in tal senso un documento, contenente
proposte ed emendamenti al testo unificato, che ha determinato, successivamente,
l'accoglimento, nel testo costituzionale, del nuovo organo52.
Se nel nuovo assetto costituzionale i Consigli delle autonomie locali costituiscono una
novità, nella realtà essi discendono da quegli organi di raccordo tra Regione ed enti
51 T. GROPPI “Un nuovo organo regionale costituzionalmente necessario. Il consiglio delle autonomie localI” in Le Istituzioni del Federalismo, 6.2011, p.1058 ss. 52 A. CHELLINI “ Il Consiglio delle autonomie locali nel dibattito nazionale e nell'esperienza della regione Toscana” in Le Regioni, 2001, pp. 587 ss.
86
locali che, con varie denominazioni e diverse composizioni e funzioni, erano già stati
costituiti da alcune Regioni.
L'ultimo comma dell'art. 123 della Costituzione è, pertanto, una disposizione che
recepisce, a livello costituzionale, una riforma già realizzata in via legislativa.
Per comprendere l'impatto della nuova disposizione è necessario esaminare,
sinteticamente, il quadro dei rapporti tra Regioni ed enti locali precedente e successivo
alla riforma costituzionale .
4.3.2 La cooperazione fra regioni ed enti locali prima della riforma del titolo V
La Costituzione sancisce fra i suoi principi fondamentali il riconoscimento delle
autonomie locali (art. 5), cui si accompagna la previsione del “più ampio decentramento
amministrativo” per i servizi di competenza statale.
Lo stesso art. 5 pone, inoltre, l'attuazione dell'autonomia e del decentramento fra gli
obiettivi cui deve tendere la legislazione ordinaria, che deve adeguarvi i propri “principi
e metodi”.
Pur se improntato al massimo rispetto per le autonomie locali - qualificate come “enti
autonomi nell'ambito dei principi dettati da leggi dello Stato che ne determinano le
funzioni” (art.128 Cost.) -, il modello delineato dalla Costituzione era quello di uno
Stato “centralistico”, fondato sul principio di separazione delle sfere di competenza tra i
diversi livelli di governo territoriale.
Nel tempo si sono sviluppate, tra le Regioni e gli altri enti locali, peculiari forme di
cooperazione, improntate al principio di “leale collaborazione” elaborato dalla
giurisprudenza della Corte Costituzionale, ed anche sulla spinta della legislazione
statale che, già con l'art 3 della legge n. 142 del 1990, demandava alla legge regionale la
disciplina” della cooperazione dei comuni e delle province tra loro e con le regioni, al
fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo
economico, sociale, civile”.
87
In tale fase fondamentale erano il ruolo e le iniziative assunte, nel senso di un fattivo
coinvolgimento degli enti locali, da parte della Regione che difatti, come precisato
dalla Corte Costituzionale nella già richiamata sentenza n. 343 del 1991, “costituisce il
centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle autonomie locali”53.
Successivamente, e in modo ancora più incisivo nel senso di un sempre maggiore
rilievo riconosciuto alle autonomie locali, la legge Bassanini, n. 59/97, prevedeva la
possibilità che la Regione, nel processo di conferimento di funzioni alle Province,
Comuni ed altri enti locali, ascoltasse il parere di organi rappresentativi delle autonomie
locali, ove costituiti.
Con il decreto legislativo n.112/1998, il legislatore ha iniziato a definire più
compiutamente i contorni della cooperazione tra enti locali e Regione, imponendo a
quest'ultima di individuare strumenti e “procedure di raccordo e di concertazione,
anche permanenti, al fine di dar luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali,
per consentire la collaborazione e l'azione coordinata tra Regioni ed enti locali,
nell'ambito delle rispettive competenze” 54.
In seguito, il TU degli enti locali ha fortemente attenuato la portata del modello
centralistico di cui all'art 128 della Costituzione - per il quale l'ordinamento e le
funzioni degli enti locali erano riservati allo legge dello Stato - prevedendo ampio
margine di intervento per il legislatore regionale se non in tema di ordinamento, sempre
riservato alla legge statale, quanto meno in tema di attribuzione delle funzioni agli enti
locali55.
53 Cfr. A. PIZZORUSSO ( a cura di) Commentario alla Costituzione. Art.128- Supplemento-Bologna- Roma,1996 in C .BEVILACQUA “ La partecipazione degli enti locali ai processi decisionali delle Regioni: il Consiglio delle Autonomie locaIl” in atti del Seminario SSPAL “I raccordi istituzionali e le garanzie delle autonomie locali. Nodi e prospettive.” Roma, 2009. 54 Art.3,5 co. Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112. 55 L'ar.t 4 d.lgs. 267/2000 stabilisce che le Regioni, “ ferme restando le funzioni che attengono ad esigenze di carattere unitario dei rispettivi territori, organizzano l' esercizio delle funzioni a livello locale amministrative attraverso i comuni e le province”.
88
Veniva a far parte dell'ordinamento il principio di sussidiarietà che, insieme a quelli di
adeguatezza, autonomia organizzativa e leale collaborazione costituiranno il
fondamento della successiva riforma costituzionale del Titolo V.
Sulla base di tali disposizioni, alcune Regioni si sono dotate di sedi di raccordo
istituzionale, permanenti e non più occasionali, a competenza tendenzialmente generale,
creando56, in linea di massima, tre diverse tipologie di organi:
• una Conferenza Regione-enti locali, a carattere “misto”, composta da
rappresentanti sia della Regione, sia degli enti locali (Sindaci e Presidenti delle
Province, di solito nominati dalle associazioni degli enti locali o individuati
direttamente dalla legge regionale istitutiva), incardinata presso la Giunta e
presieduta dal Presidente della stessa, quale organo di consultazione
dell’esecutivo regionale57;
• una Conferenza di soli enti locali, presso la Giunta regionale, con funzioni
consultive, dotata del potere di eleggere un proprio Presidente 58;
• un Consiglio composto da soli rappresentanti di enti locali, con potere di eleggere
il Presidente e di intervenire nel procedimento legislativo, istituita presso il
Consiglio regionale (Toscana).
Le funzioni svolte da questi organi erano, nel complesso, simili e prevalentemente
consultive, concernenti gli atti di conferimento delle funzioni amministrative agli enti
locali; i piani di sviluppo e gli atti di programmazione regionale; il riparto di risorse,
56 Le leggi regionali che, prima della più recente riforma costituzionale hanno disciplinato questi organismi sono: Abruzzo ll.rr .21/96, 72/98,11/98 e 11/99; Basilicata: ll.rr. 17/96 e 7/99; Campania l.r.26/96; Emilia-Romagna l.r.3/99; Lazio l.r. 15/99; Liguria l.r.16/97; ; Marche l.r. 46/1992, Molise l.r. 34/99; Piemonte l.r. 34/1998; Toscana l.r. 22/98 ; Umbria l.r. 34/1998; Veneto l.r. 20/1997. Calabria e Puglia non hanno emanato leggi in materia. Regioni a statuto speciale: Sardegna decr. Pres. 331/1993; Sicilia l.r. 6/1997; Valle d'Aosta l.r.54/98; Prov. Trento l.p. 36/93; Prov. Bolzano l.p. 16/92. 57 E’ il caso di Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Veneto, Sardegna, Sicilia. 58 Nelle Regioni Lombardia, Umbria, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta.
89
l'individuazione dell'ambito ottimale di esercizio delle funzioni, lo svolgimento delle
funzioni regionali di coordinamento e di indirizzo.
Nella sostanza, i Consigli/Conferenze apparivano tuttavia (e appaiono, in quanto in
alcune Regioni tuttora operanti) organismi sostanzialmente privi di funzioni incisive:
erano difatti stati previsti, per essi, un numero limitato di interventi “a volte pareri, ma
non proposte, più spesso pareri e proposte, ma non intese”59, ma soprattutto non erano
stati definiti vincoli pregnanti per la Regione, così da rendere i pareri o le proposte, di
fatto, poco rilevanti 60.
Tali consessi sono apparsi, in quegli anni, come “organi complessi, formati da alchimie
complicatissime in cui non tutti si sentono rappresentati....(omissis) non il luogo in cui si
rappresentano gli enti locali come interlocutori della Regione, ma il luogo in cui la
Regione mette gli enti locali a discutere tra di loro perché si stemperino a vicenda”61.
Si soggiunge che tali organismi erano costituiti, nella maggior parte dei casi, come già
precisato, presso la Giunta regionale e presieduti dal Presidente di questa, aspetto
sintomatico della scarsa autonomia e del forte collegamento con l'esecutivo regionale62.
4.3.3 Organizzazione e funzioni dopo la riforma costituzionale.
La legge costituzionale n. 3/2001, come già precisato, ha inteso cambiare i rapporti tra
Stato, Regioni ed enti locali, mutando il modello tradizionale piramidale che poneva lo
Stato al vertice, e potenziando il ruolo delle autonomie locali attraverso una
rimodulazione dei poteri pubblici che parte dai livelli territoriali più prossimi ai
cittadini.
59 F. GALILEI “ Proposte per la disciplina del consiglio delle autonomie locali negli statuti regionali ai sensi dell'art 123 della Costituzione, in La Rassegna, 2002 ,p. 753. 60 La legge toscana n.22/98 prevedeva la maggioranza assoluta per approvare un atto immodificato dopo il parere negativo del CAL, ma la norma doveva entrare in vigore dopo l'approvazione di una modifica statutaria. Il nuovo statuto, invece, non prevede più tale maggioranza. 61 R. BIN “ L'amministrazione coordinata ed integrata” in Le Regioni,2000,5,1009. 62 A. CHELLINI “opera cit.” p.591.
90
Un sistema improntato al principio del pluralismo istituzionale paritario implica il
riconoscimento della possibilità, per gli enti locali di contribuire alla definizione delle
decisioni regionali di loro interesse.
Ciò anche perchè, con la nuova formulazione dell' art. 118 che costituzionalizza il
principio di sussidiarietà, è venuto meno il cosiddetto parallelismo delle funzioni (che
comportava la titolarità della funzione amministrativa al titolare della funzione
legislativa), pertanto, oggi, le funzioni amministrative sono, in via di principio, di
competenza dei Comuni, salvo che non debbano essere attribuite ad altri enti per
assicurarne l'esercizio unitario.
Partendo da tali presupposti, diventa fondamentale il raccordo e la concertazione degli
enti locali, titolari di funzioni amministrative, con la Regione, titolare della funzione
legislativa ed in tale ottica assume particolare rilevanza il ruolo del Consiglio delle
autonomie locali.
Peraltro, nell'intenzione dei primi proponenti del Consiglio delle Autonomie locali, tale
organismo doveva costituire lo strumento per arrivare, nel tempo, a parlamenti regionali
costituiti da due “Camere”: una rappresentativa del corpo elettorale, l'altra degli enti
locali, simmetricamente a quanto proposto a livello nazionale con l'istituzione di una
Camera eletta dal corpo elettorale ed un Senato rappresentativo delle Regioni (o delle
autonomie)63.
In base all'art 123 Cost., nelle Regioni ordinarie il legislatore statutario ha un vero e
proprio obbligo di istituire il CAL, la cui disciplina è uno degli elementi costitutivi del
contenuto necessario della Statuto regionale che, in mancanza dell’ espressa previsione
dell’organo, sarebbe impugnabile dal Governo innanzi alla Corte Costituzionale.
Non v’è dubbio che il Consiglio delle Autonomie Locali sia un organo a rilevanza
statutaria64, il quale trova però, a differenza di altri, anche copertura costituzionale.
63 R. BIN “opera cit.”. 64 Sul punto, il solo Statuto pugliese inserisce il CAL tra i propri “Organi a rilevanza statutaria”.
91
Va evidenziato che la disposizione, peraltro estremamente “scarna”, sembra imporre,
secondo parte dei commentatori, non la semplice previsione quanto, piuttosto, una vera
e propria disciplina dell’organo da parte della fonte statutaria, in quanto un rinvio
troppo ampio dello statuto alla legge regionale sarebbe sintomo di un minor rilievo
dell’organo all’interno della Regione, potendo essere lo stesso oggetto di più “facili”
riforme, anche nel senso di una modifica che ne riduca i margini di operatività.
Tutti i nuovi Statuti regionali hanno istituito il CAL ed a tale atto sono seguite le leggi
regionali di attuazione, ma solo in otto Regioni risulta effettivamente insediato, mentre,
nelle restanti, sono tuttora operanti i “vecchi” strumenti di raccordo65.
Analogamente, le Regioni che non hanno ancora approvato il nuovo Statuto hanno
comunque previsto l’istituzione di detto organo.
Le Regioni speciali, che sono dotate di competenza legislativa in materia di
ordinamento egli enti locali, non sono obbligate, invece, ad istituire il CAL poichè,
come affermato dalla Corte Costituzionale ( sent. n.370 del 2006) ad esse non si applica
la disposizione dell’art. 123, 4 co. Cost.66
Si sottolinea che, comunque, ad eccezione della Regione Sicilia, il cui nuovo statuto è
ancora in discussione67, le Regioni ad autonomia speciale e le Province di Trento e di
Bolzano (in quest'ultima denominato Consiglio dei Comuni) hanno tutte istituito il
CAL, con leggi ordinarie.
Peraltro, l’istituzione dei Consigli delle autonomie locali in ottemperanza all’obbligo di
cui all’art. 123, comma 4 Cost., non ha determinato la contestuale cancellazione delle
preesistenti sedi di raccordo; difatti, se la maggior parte delle Regioni ha previsto che il
65Le normative regionali in tema di Cal sono indicate nelle allegate tabelle n.1 e 2. Si precisa che, alla data del presente lavoro, solo in Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria, il CAL risulta effettivamente insediato. In Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Veneto sono ancora attive le Conferenze Regioni-Autonomie locali istituite anteriormente alla riforma del 2001. 66 Ciò in quanto, secondo la Consulta, “ l'art 123 , ultimo comma, Cost. è (…..) una disposizione che, per il suo contenuto precettivo, si può applicare soltanto alle Regioni a statuto ordinario, attesa la non comparabilità fra le forme di potestà statutaria delle autonomie regionali ordinarie e speciali”. 67 Nella Regione Sicilia è operante una conferenza regione-enti locali.
92
nuovo organo si sostituisca alla precedente Conferenza/Consiglio, non mancano altri
casi in cui i due organismi permangono entrambi (Piemonte), oppure è prevista una
Conferenza Regione – Consiglio AL per il raggiungimento di intese previste da leggi
regionali (Umbria) o per svolgere funzioni consultive sui processi di conferimento delle
funzioni amministrative ( Puglia) 68.
Venendo allora ad analizzare i diversi testi, si osserva che il legislatore statutario, nelle
varie Regioni, ha disciplinato il nuovo organo in modo sensibilmente diversificato.
In alcune realtà è stata creato un organismo con caratteristiche più aderenti al testo della
norma costituzionale, sottolineandone il ruolo consultivo, con una possibilità di influire
sull'attività legislativa regionale limitata ad una “pressione” politica (Piemonte,
Toscana)69, in altri casi 70, sin dalla lettura dello Statuto emerge l'intendimento di
coinvolgere formalmente il CAL nell'iter legislativo regionale.
Ed ancora, si va dallo Statuto pugliese, il quale demanda alla legge regionale la
disciplina delle funzioni del CAL (art. 45, co.3), a quello ligure che, al contrario,
circoscrive l’intervento del legislatore unicamente alla disciplina della composizione,
dell’organizzazione e del funzionamento dello stesso organo (art. 65, co. 3).
Gli aspetti principali su cui si possono riscontrare convergenze o diversificazioni tra le
diverse normative regionali sul CAL sono, principalmente: la qualificazione giuridica,
la sede, la composizione, le funzioni e l’efficacia delle pronunce.
Per quanto riguarda la qualificazione giuridica del Consiglio, gli Statuti scelgono
formulazioni più o meno articolate; prevale tuttavia la configurazione del CAL quale
organo di raccordo e consultazione permanente degli enti locali (Piemonte, Puglia,
Abruzzo, Marche, Veneto); Calabria, Liguria, Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna ne
sottolineano il ruolo di organo di “rappresentanza” del sistema delle autonomie locali, lo
Statuto lombardo lo definisce come “organo in rappresentanza degli enti locali e delle
68 L. CASTELLI e M. DI FOLCO “opera cit.”: 69 Ciò in considerazione dello scarso peso attribuito al parere del Cal, che può essere facilmente disatteso. 70 Puglia, Calabria, Lazio, Emilia-Romagna, Umbria, Marche , Liguria.
93
organizzazioni maggiormente rappresentative secondo i principi della rappresentatività
territoriale e della consistenza demografica”.
Rispetto alla sede di insediamento dei Consigli delle autonomie locali, tutte le Regioni
hanno scelto il Consiglio regionale71, che si pone così come l’interlocutore privilegiato
del nuovo organismo: tale scelta, secondo alcuni commentatori, potrebbe anche influire
sui rapporti tra la Giunta e l'Assemblea legislativa che, in caso di contrasto con il
potere esecutivo, potrebbe trovare appoggio negli enti locali rappresentati dal CAL72.
Ad ulteriore riprova dello specifico legame creato fra CAL ed organo legislativo
regionale è da menzionare la previsione, in alcune leggi regionali, della “seduta
congiunta”, convocata una volta l’anno per un “esame dello stato delle autonomie”73.
Per quanto concerne la composizione dell'organo 74, poco omogenee appaiono le scelte
regionali, solo lo Statuto marchigiano fissa direttamente il numero esatto dei membri,
gli altri testi invece definiscono il numero massimo dei componenti, in alcuni casi
parificandolo al numero dei consiglieri regionali 75, per delegare poi la scelta definitiva
al legislatore regionale ordinario. Alcuni Statuti, inoltre, hanno scelto di demandare
completamente la composizione del CAL alla legge attuativa: è il caso di Toscana,
Liguria ed Umbria.
La composizione del Consiglio risulta, nella maggior parte dei casi, costituita da
rappresentanti degli esecutivi degli enti locali, con una suddivisione tra componenti di
diritto, generalmente Presidenti di Provincia e Sindaci dei Comuni capoluogo, e membri
elettivi. Per quanto riguarda questi ultimi, pur in presenza di soluzioni differenziate, si
può tuttavia rilevare che tutte le Regioni hanno scelto di comprendere nel consesso
71 Alcune lo hanno istituito direttamente presso il Consiglio regionale (Calabria, Lazio ,Liguria ,Marche, Puglia, Toscana), altre hanno rimesso la questione alla successive norme attuative ( Abruzzo, Campania, Emilia, Piemonte, Umbria). 72 G. FERRAIUOLO “Il Consiglio delle autonomie locali nelle previsioni dei nuovi statuti delle regioni ordinarie” in federalismi.it 73 Calabria art. 13, Lazio art. 13, Piemonte art. 13, Puglia art. 4, co. 6, Umbria art. 9. 74 V.tab.n. 3 75 (statuto Liguria art. 65, co. 4, statuto Piemonte art. 88, co. 3, statuto Toscana art. 66, co. 2, statuto Umbria art. 28, co. 2)
94
Sindaci dei Comuni non capoluogo, altre, a seconda delle peculiarità territoriali, hanno
inserito anche i Presidenti di Comunità montane (Calabria, Lazio, Marche, Piemonte,
Puglia, Toscana, Umbria), di Arcipelago (Lazio) e di Comunità collinari (Piemonte).
È altresì spesso prevista la rappresentanza degli organi consiliari (Calabria, Umbria,
Toscana, Liguria) ed inoltre le leggi regionali del Lazio, Piemonte e Lombardia hanno
stabilito che le autonomie funzionali, ossia soggetti distinti dagli enti locali territoriali76,
partecipino a sedute integrate per l'analisi e la valutazione delle politiche regionali.
Sotto il profilo delle attribuzioni 77, tutte le disposizioni regionali sui Consigli delle
autonomie locali dispongono che l’organismo partecipi ai processi decisionali della
Regione riguardanti il sistema delle autonomie locali, anche in riferimento a
provvedimenti di ordine economico e finanziario.
Lo Statuto dell’Emilia-Romagna, ad esempio, all’art. 23, co. 2, dispone: “Il CAL
esercita le proprie funzioni e partecipa ai processi decisionali della Regione
riguardanti il sistema delle autonomie regionali, mediante proposte e pareri nei modi e
nelle forme previsti dallo Statuto e dalla legge regionale”.
L' individuazione degli ambiti di attività non è sempre operata dallo Statuto regionale:
ad esempio lo Statuto della Regione Abruzzo dispone che sia la legge ad indicare
“quando” – ossia su quali materie ed in quali casi – e “come” interviene il parere del
CAL, anche se nelle sue disposizioni ritroviamo specificati alcuni ambiti di competenza
(art. 72, commi 1 e 2).
I testi delle Regioni Calabria (art. 48, co. 5), Lazio (art. 67, co. 2), Piemonte (art. 88, co.
2, lett. D), con una norma “di chiusura”, prevedono l’intervento del CAL su ogni altra
questione ad esso demandata dal proprio rispettivo Statuto e dalla legge regionale.
76 Nella Regione Lombardia integrano il consesso, nelle sedute per l’analisi e la valutazione delle politiche regionali, rappresentanti del mondo universitario, delle istituzioni scolastiche, presidenti delle Camere di Commercio ed altri. 77 V.tab.n.5
95
Gli Statuti delle Regioni Marche (art. 38, co. 4) ed Umbria (art. 29, co. 1) ampliano
questo aspetto affermando che la legge regionale possa attribuire al CAL altre
competenze.
Le funzioni del Consiglio non sono limitate al solo esercizio di attività consultiva: in
alcuni casi viene riconosciuta la facoltà di esercitare l’iniziativa legislativa, nonché di
proporre l’impugnativa di leggi dello Stato e di altre Regioni, ai sensi dell'art. 127,
comma 2, della Costituzione78.
In Emilia-Romagna, Liguria e in Piemonte, il Consiglio delle autonomie locali designa
un componente ad integrazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei
Conti, in Puglia verifica l’attuazione del principio di sussidiarietà nell’esercizio delle
funzioni regionali, in Abruzzo e Toscana sono rimesse al Consiglio le nomine e le
designazioni di rappresentanti del sistema degli enti locali previste da leggi regionali.
Nella Regione Marche il Consiglio delle autonomie può essere coinvolto dal Consiglio
regionale nella valutazione degli effetti delle politiche regionali di interesse degli enti
locali. Gli Statuti di Emilia-Romagna, Calabria, Lazio e Liguria prevedono inoltre il
parere obbligatorio del CAL per quanto concerne le modifiche della stessa carta
statutaria.
Quasi tutte le Regioni riconoscono inoltre al CAL autonomia organizzativa e
funzionale, prevedendo, inoltre, che il Consiglio elegga tra i suoi componenti il proprio
Presidente. E’ invece generalmente rimesso alla legge regionale la determinazione dei
mezzi e del personale necessari per il funzionamento dell’organo.
Quanto all’efficacia delle pronunce, si tratta di una questione molto dibattuta in dottrina:
la possibilità che il parere del Consiglio delle autonomie sia vincolante per il Consiglio
regionale sembra trovare ostacoli negli articoli 121, comma 2 e 123 della Costituzione,
il primo perché attribuisce al Consiglio regionale l'esercizio delle potestà legislative,
l'altro perché definisce il Consiglio delle autonomie locali come semplice organo di
consultazione.
96
Sul punto, alcuni scelgono di parlare di «paletti» costituzionali, altri argomentano circa
un'interpretazione più ampia del termine "consultazione" che permetterebbe di
configurare anche ipotesi di pareri vincolanti.
Guardando alle disposizioni degli Statuti e delle leggi, la scelta prevalente che le
Regioni hanno effettuato per salvaguardare l’efficacia delle deliberazioni è stata quella
di prevedere un vincolo procedurale in caso in cui il Consiglio regionale non intenda
accogliere i rilievi espressi dal Consiglio delle autonomie locali 79.
In questa eventualità quasi tutte le disposizioni sull'argomento richiedono un quorum
per l'approvazione delle leggi regionali più alto della maggioranza semplice
(solitamente maggioranza assoluta). In taluni casi quest'obbligo scatta per tutti i pareri
negativi, in altri è limitato a quelli espressi in determinate materie (Marche, Liguria,
Umbria). Nel Lazio, per far scattare il quorum aggravato, il parere negativo deve essere
stato deliberato dal Consiglio delle autonomie a maggioranza dei due terzi. Sul punto il
solo Statuto toscano limita tale vincolo all'obbligo della sola motivazione espressa,
mentre Emilia-Romagna ed Umbria distinguono tra vincolo della maggioranza
qualificata o della motivazione espressa, secondo il tipo di atto in esame.
Più complessa è l'individuazione, in concreto, degli effetti del parere negativo del
Consiglio.
Esaminando più da vicino l'attività del consesso toscano, uno dei più “ antichi”
nell'ordinamento regionale, si osserva che, nei primi 2 anni del suo funzionamento
(1998/2000), su un totale di 72 pareri espressi, sono stati formulati 200 rilievi, sotto
forma di osservazioni, richieste di modifiche e raccomandazioni. Dai dati risultanti nel
Bilancio di legislatura, l'attività del CAL dalla sua istituzione al termine della VI
78 Statuto Lazio art. 49, co. 3, Statuto Marche art. 28, co. 2, Statuto Umbria art. 27, co. 2 79 Sugli aggravi procedurali in caso di parere negativo del CAL, cfr.: art. 14, c. 2,Legge reg. Toscana n. 36/2000; art. 23, c. 4 e 5, Statuto Emilia-Romagna; artt. 11 e 12, Legge reg. Piemonte n. 30/2006; artt. 14 ss., Legge reg. Calabria n. 1/2007; art. 11, Legge reg. Lazio n. 1/2007; artt. 11 e 12, Legge reg. Marche n. 4/2007; art. 12, c. 6, Legge reg. Abruzzo n. 41/2007; art. 3, c. 5, Legge reg. Umbria n. 20/2008; art. 7, c. 3, Legge reg. Liguria n. 1/2011; nonché: art. 23, c. 2, Statuto Campania; art. 54, c. 4 e 8, Statuto Lombardia. Al contrario, nel caso pugliese, benché gli artt. 5 e 7, Legge reg. n. 29/2006, prevedano l’ipotesi di pareri obbligatori, nulla si prevede per superare la valutazione contraria del CAL.
97
legislatura regionale, si rileva che il grado di accoglimento di tali rilievi da parte del
Consiglio regionale è stata circa del 50%.
Più recentemente, dalla relazione sull'attività svolta dal CAL toscano nel 2009, si evince
che l'organo ha espresso, in quell'anno, 68 pareri, di cui solo 4 contrari e 3 favorevoli,
ma sottoposti a condizioni. Delle 4 proposte di legge sulle quali il CAL si è espresso
negativamente, solo 1 ha concluso l'iter di approvazione.
Analogamente, nel 2010, degli 8 pareri con raccomandazioni, solo 2 non hanno avuto
esito nelle deliberazioni degli organi regionali, mentre gli altri sono stati accolti
totalmente o parzialmente.
Per quanto concerne invece le Regioni a statuto speciale, non si riscontrano differenze
di rilievo rispetto alle scelte effettuate dalle Regioni ordinarie.
Ripercorrendo alcuni profili già esaminati, come quello della qualificazione giuridica
dell’organo, è possibile rilevare che in alcuni casi il consesso viene definito organo di
consultazione o di raccordo (Prov. Bolzano, Friuli- Venezia Giulia), in altri organo di
rappresentanza istituzionale (Sardegna) oppure organo che assicura la partecipazione
degli enti locali alle scelte di carattere istituzionale della Provincia (Trento)80.
Per quanto concerne la composizione, ne fanno parte i Presidenti delle Province, i
Sindaci dei Comuni capoluogo, nonché un numero variabile di altri Sindaci in
rappresentanza dei Comuni di minori dimensioni.
In analogia a quanto previsto dalle Regioni ordinarie, viene riconosciuto ai Consigli
autonomia di organizzazione, nonché una generalizzata competenza a formulare pareri
sui disegni di legge che interessino le autonomie locali.
Per quanto concerne, invece, le differenze rispetto a quando disposto dal legislatore
regionale “ordinario”, si può rilevare come la sola legge trentina disciplini il caso di
parere negativo o condizionato all’accoglimento di modifiche, rimettendo al
80 L.CASTELLI “ La leale collaborazione fra Regione ed enti locali: il Consiglio delle autonomie locali” in giornale di diritto amministrativo n.12/2006, 1297.
98
regolamento interno del Consiglio provinciale le modalità per l’esame del
provvedimento. Le altre norme nulla dispongono sul regime di efficacia del parere, ne
consegue che nelle Regioni speciali le pronunce del Consiglio non sono assistite da
garanzie procedurali che le rendano realmente incisive.
Il solo Friuli-Venezia Giulia prevede una forma di partecipazione del sistema delle
autonomie locali più incisiva, prevedendo -oltre alla formulazione di pareri- che il CAL
esprima l’intesa relativamente a schemi di disegni di legge in tema di riparto delle
funzioni amministrative e di ordinamento delle autonomie locali81.
In conclusione, dalla sommaria illustrazione delle disposizioni regionali, si può
desumere come tutte le Regioni abbiano preso atto dell'importanza di disporre di un
organo di consultazione degli enti locali, da cui possono derivare indubbie vantaggi in
sede di programmazione territoriale. Nello stesso tempo non appaiono del tutto
sviluppate le potenzialità che il Cal può esprimere, e che sarà presto chiamato a
svolgere, nei complessi rapporti Regione-Enti locali.
Si pensi, in prospettiva, alle riforme avviate, alla cosiddetta Carta delle Autonomie e
quindi alla nuova legge sugli enti locali successiva alla riforma del Titolo V, al
“federalismo fiscale”.
Se ciò è quanto emerge dalla legislazione regionale, non mancano segni di una diversa
considerazione del ruolo dell'organo da parte del legislatore nazionale: a tal riguardo è
possibile richiamare la recente disposizione di cui all'art 20 del D.L. 6 luglio 2011, n.98,
la quale dispone che in sede di Consiglio delle autonomie locali possano essere
concordate, previo accordo tra Stato e Regione, le modalità di raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica ( ad eccezione della componente sanitaria), per l'anno in
corso.
81 Art.24 l.r. 9 gennaio 2006, n.1. Qualora l’intesa non venga raggiunta, la Giunta può prescinderne motivatamente a maggioranza assoluta, trasmettendo al Consiglio Regionale gli atti che esprimono l’orientamento del CAL.
99
CAPITOLO V Conclusioni
Da tutto quanto sopra esposto emerge che l’effettiva attuazione della riforma
costituzionale del 2001 in materia di ordinamento degli enti locali resta subordinata ad
un intervento del legislatore statale per la determinazione delle funzioni fondamentali di
cui all’art. 117, co. 2, lett. p) della Costituzione, che avrà ricadute significative sui
rapporti tra Regioni ed enti locali.
Sul punto, la mancata conclusione delle iniziative legislative avviate, pur non
rappresentando di per sé un impedimento giuridico per i conferimenti regionali, ha di
fatto privato le Regioni del quadro di riferimento all’interno del quale operare. Ciò ha
portato ad interventi di natura frammentaria tradottisi in una legislazione a carattere
settoriale che nei casi più rilevanti ha disciplinato funzioni locali (come il turismo, la
tutela della salute ed i servizi alla persona, l’istruzione ed il diritto allo studio, il
governo del territorio) sotto il profilo sostanziale e procedurale, senza tener conto delle
garanzie che il nuovo quadro costituzionale attribuisce all’autonomia regolamentare
degli enti locali.
D’altronde sembra pacifico escludere che la legislazione regionale possa intervenire
nella disciplina dei processi di produzione normativa facenti capo a Comuni, Province e
Città Metropolitane, in quanto direttamente discendenti dalla Costituzione. Pertanto, un
riconoscimento di tale potere alle Regioni non potrebbe che risolversi in una mera ed
inutile duplicazione di previsioni costituzionali o, addirittura, in una normazione a
rischio di incostituzionalità, nel caso di riduzioni degli spazi di autonomia dei singoli
enti locali.
Diversamente, come già esaminato nel corso di questo lavoro, le Regioni Emilia-
Romagna, Umbria e Puglia hanno invece attuato una riforma organica dei sistemi
amministrativi regionali e locali.
Le leggi regionali emanate non si limitano ad intervenire in campi tradizionali, ma
pongono anche norme di carattere ordinamentale in materia di assetti organizzativi
dell’associazionismo degli enti locali, determinando con questa disciplina un
100
ampliamento dello spazio a loro disposizione. Si pensi all’introduzione degli esaminati
Ambiti Territoriali Integrati (ATI), nonché ai casi di riordino delle Comunità montane,
che ha dato l’occasione per ulteriori interventi in tema di associazionismo locale.
Tuttavia esse non hanno realizzato conferimenti di funzioni. In realtà esse danno vita ad
un tentativo di dar seguito alla riforma pur limitandosi ad una mera riproduzione di
principi costituzionali. Pertanto, se è vero che tali Regioni hanno esercitato una
competenza legislativa che allo stato non parrebbe sussistere, è altresì vero che la loro
azione non ha nei fatti leso il principio di ripartizione costituzionale delle competenze in
materia di ordinamento degli enti locali. Ad ogni buon conto una reale e definitiva
valutazione su questo aspetto deve rinviarsi alla prossima definizione ed individuazione
delle funzioni fondamentali.
A differenza delle Regioni ordinarie, alle Regioni a Statuto speciale è riconosciuta
potestà normativa primaria in tema di ordinamento degli enti locali. Infatti gli Statuti di
tali Regioni riproducono tutto l’impianto del vecchio titolo V prevedendo la delega
delle funzioni amministrative agli enti locali in luogo della loro titolarità in capo a
questi ultimi, il principio del parallelismo in luogo della sussidiarietà; una finanza locale
essenzialmente derivata invece che fondata su tributi propri; la mancata copertura
costituzionale della potestà normativa locale82.
Senza qui soffermarsi nuovamente sulla problematica della interpretazione della
“clausola di maggior favore” di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001, ben
può affermarsi che, nel declinare la propria potestà ordinamentale, le Regioni “speciali”
hanno concepito il loro ruolo in chiave di sovraordinazione gerarchica rispetto agli enti
locali, evidenziando una propensione all’accentramento e ad una riproduzione della
disciplina dettata dal legislatore statale, rinunciando alla possibilità, offerta dal loro
speciale regime, di sperimentare istituti ed assetti nuovi.
Sono comunque presenti timidi accenni in tal senso quali, ad esempio, con riferimento
alle Regioni esaminate nel presente lavoro, la previsione degli Ambiti per lo Sviluppo
82 L.CASTELLI e M DI FOLCO “opera cit.”.
101
Territoriale come nuova dimensione territoriale d’area vasta sovracomunale (ASTER) e
la previsione della figura degli Istituti di garanzia da parte del Friuli Venezia Giulia;
l’articolazione dell’ordinamento degli enti locali su Comuni e liberi Consorzi comunali
in Sicilia.
La diversificata disciplina di tali Regioni in materia di ordinamento degli enti locali ha
configurato una situazione di disparità con le Regioni ordinarie, sotto il profilo del
rispetto del principio generale di valorizzazione delle autonomie locali di cui all’art.5
della Costituzione, che imporrebbe una tendenziale uniformità di disciplina per la
determinazione dell’autonomia degli enti territoriali.
Va detto però che anche gli enti locali “ordinari” attendono l’intervento del legislatore
statale e la emanazione della Carta delle autonomie locali per il loro organico riassetto.
L’auspicio è che essa sia uno strumento per agevolare il processo autonomistico dei
Comuni e non un mero elenco di materie da allocare. Sul punto vi sono diverse
posizioni tese a privilegiare ora l’una ora l’altra scelta. Nonostante il lungo dibattito
parlamentare, ad oggi la Carta delle autonomie non è stata ancora emanata e l’attuale
disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati e in discussione al Senato
contiene una elencazione di competenze da attribuire ai Comuni ma non sembra
rispettare il principio costituzionale di garanzia dell’autonomia locale ribadito e
ridisegnato dal legislatore di revisione.
É auspicabile invece che tale discussione porti, possibilmente in un clima di leale
collaborazione, nel quadro di una nuova governance fondata su organismi di
codecisione, ad un’attuazione concreta e incisiva di tale nuovo disegno. Ciò al fine di
chiudere il lungo “cantiere costituzionale”, in modo che gli enti locali possano essere
effettivi e consapevoli titolari dell’esercizio delle funzioni amministrative e non meri
portatori formali di competenze astratte.
102
TAB 1
Regioni a statuto ordinario Disposizioni statutarie e leggi istitutive dei CAL
Regione Disposizioni statutarie Legge istitutiva CAL ABRUZZO
artt. 71 e 72, Statuto 28 dicembre 2006
L.R 11 dicembre 2007, n. 41 ((Istituzione disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)
BASILICATA non approvato il nuovo statuto -
CALABRIA
art. 48, L.R 19 ottobre 2004, n. 25 (successive modifiche allo statuto L.R. 20 aprile 2005 n. 11 e L.R. 3/2010).
L.R 5 gennaio 2007, n. 1 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)
CAMPANIA artt. 22 e 23, L.R. 28 maggio 2009, n. 6 L.R. 15 marzo 2011, n. 4, art. 1, commi 51-74 EMILIA-ROMAGNA
art. 23, L.R. 13 marzo 2005, n. 13
L.R 9 ottobre 2009, n. 13 (Istituzione del Consiglio Autonomie Locali)
LAZIO art. 66 e 67, L. stat. 11 novembre 2004, n. 1
L.R 26 febbraio 2007, n. 1 (Disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)
LIGURIA
artt. 13, 65, 66 e 67. L. stat. 3 maggio 2005, n. 1 art. 4, L. stat. 5 ottobre 2007, n. 1
L.R 1/2011(Disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)
LOMBARDIA
art. 54, L. stat. 30 agosto 2008, n. 1
L.R 23 ottobre 2009, n. 22 (Disciplina delConsiglio delle A u t o n o m i e l o c a l i d e l l a Lombardia, ai sensi dell’art. 54 dello Statuto d’autonomia)
MARCHE
artt. 37 e 38, L. stat. 8 marzo 2005 n. 1 art. 6, c. 1, L.stat. 22 gennaio 2008, n. 2.
L.R 10 aprile 2007 n. 4 (Disciplina delConsiglio delle Autonomie locali)
MOLISE
art. 66, Deliberazione Consiglio regionale 22 febbraio 2011 (iter promulgazione sospeso, Ricorso per legittimità costituzionale 5/4/2011 n. 30 (artt. 30, c. 4, 53, c. 4, 67 c. 1)
-
PIEMONTE
artt. 88 e 89, L. stat. 4 marzo 2005, n. 1
L.R 7 agosto2006, n. 30 (Istituzione del Consiglio delle Autonomie locali (CAL) e modifiche alla legge regionale 20 novembre 1998, n.34 (Riordino delle funzioni e deicompiti amministrativi della Regione e degli Enti locali)L.R.14/2011
103
Regione Disposizioni statutarie Legge istitutiva CAL
PUGLIA artt. 45, L.R. 12 maggio 2004 n.7. Lr 26 ottobre 2006, n. 29 (Disciplina del Consiglio delle autonomie locali)
TOSCANA artt. 66 e 67, statuto 11 febbraio 2005
(successive modifiche L.R. 8 gennaio 2010, n. 1).
Legge regionale 21 marzo 2000, n. 36 (Nuova disciplina del Consiglio delle autonomie locali
UMBRIA Artt. 28 e 29, L.R. 16 aprile 2005, n. 21
(successive modifiche allo statuto L.R 1/2010)
L.R 16 dicembre 2008, n. 20 (Disciplina del Consiglio delle Autonomie locali)
VENETO Art. 16, Deliberazione Consiglio regionale 12 gennaio 2012 --
104
TAB 2
Regioni e province autonome a statuto speciale
Leggi istitutive
Regione Legge istitutiva Consiglio
Friuli V. G. artt. 31-37, L. R. 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi fondamentali del sistema della Regione – autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia) –
Sardegna L. R. 17 gennaio 2005, n. 1 (Istituzione del Consiglio delle autonomie locali e della Conferenza permanente Regione-enti locali.)
Sicilia L. R 7 marzo 1997, n. 6 - art. 43 Conferenza Regione - Autonomie locali. Prov. aut. Bolzano
L. P 8 febbraio 2010, n. 10 (Istituzione e disciplina del Consiglio dei comuni)
L.R. Trentino AA 23 febbraio 2011, n. 1 (Partecipazione dei Consigli delle Autonomie Locali all'attività legislativa e amministrativa della Regione).
Prov. aut. Trento
L. P. 15 giugno 2005, n. 7 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle autonomie locali) L.R. Trentino AA 23 febbraio 2011, n. 1 (Partecipazione dei Consigli delle Autonomie Locali all'attività legislativa e amministrativa della Regione).
Valle d’Aosta
L. R 7 dicembre 1998, n. 54 (Sistema delle autonomie in Valle d’Aosta) –artt. 60 – 68 testo coordinato;
L. R 31 marzo 2003, n. 8 (art. 31-35, il Consiglio Permanente degli Enti Locali assume l’assetto e le competenze del CAL ai sensi dell’art. 123 Cost. , L. R. 20 luglio 2004, n. 13, art. 4
105
TAB 3 La composizione del Consiglio delle Autonomie locali nelle Regioni a statuto ordinario
Comuni
Province Comunità montane e
altro
Assoc. Enti
locali
Totale Sindaci di Comuni
capoluogo di
provincia
Sindaci di Comuni non capoluogo di Provincia
Presidenti del
Consiglio comunale
Consiglie ri
comunali
Presidenti di Province
Presidenti
del Consiglio provincial
e
Consiglie
ri provincia li
Presidenti
Presidenti pop. <
5.000 ab. pop. >
5.000 ab. pop. > 15.000
ab
altro
ABRUZZO Membri di diritto (4)
Rappresentanti degli enti locali eletti tra i Sindaci di Comuni non capoluogo (12)
Membri di diritto (4)
20
CALABRIA Membri di
diritto (5) 3 Sindaci
eletti
9 Sindaci eletti 8 Sindaci eletti 1
2 Presidenti
eletti Membri di
diritto (5) 3 Presidenti
eletti
35
CAMPANIA Membri di diritto (5)
Rappresentanti degli enti locali eletti tra Sindaci e Consiglieri di Comuni con pop. < 5.000 (17), > di 5.000
(12) Membri di
diritto (5)
1 40
EMILIA -
ROMAGNA
Membri di diritto (9)
i Sindaci dei Comuni > 50.000 ab. (4 di diritto); e n. 22 Sindaci elettivi di Comuni fino a 50.000 ab., di cui la
metà appartenenti a Comuni montani
Membri di diritto (9)
(44) attualmente, ma variabile2
LAZIO
Membri di diritto (5) 3
7 Sindaci eletti
5 Sindaci eletti
5 Sindaci eletti
Membri di diritto (5)
5 eletti
3 C.M. e di arcipelago
eletti
Membri di diritto (5)
40
LIGURIA
Membri di diritto (4)
12 Sindaci eletti,di cui almeno 4 Sind. Comune
< 3.000 ab. per ogni Prov.
Dei comuni capoluoghi membri di
diritto (4)+4
Membri di diritto (4)
Membri di diritto (4)
Membri di diritto (3)
(35) attualmente, ma variabile
LOMBARDIA Membri di
diritto (12) n.12 Sindaci Comuni > 3.000 ab; n.3
Sindaci Com. pari o < a 3.000 ab. (eletti)
Membri di diritto (12)
1CM;1Union Com. eletti
Membri di diritto (4)
45 (/60) 4
MARCHE Membri di
diritto (5)
n. 17 Sindaci eletti Membri di diritto (5)
3 Presidenti eletti
30
PIEMONTE
Membri di diritto (8)
n. 20 rappr. eletti di Comuni con pop. inferiore o uguale a 5.000 ab., di cui almeno n. 11 rapp. di comuni montani e n. 9 rapp. di comuni non montani; n. 13 rappresentanti eletti
di5
Membri di diritto (8)
opp. 5
n.5 C.M.; n. 2 Comunità
collinari eletti Membri di diritto (5),
se 6
56/61
PUGLIA
Rapp.elet to per
prov.(6)
44 eletti Rapp.elet
to per prov.(6)
1 rappres. C.M.eletto
57 7
106
Comuni
Province Comunità montane e
altro
Assoc. Enti
locali
Totale Sindaci di Comuni
capoluogo di
provincia
Sindaci di Comuni non capoluogo di Provincia
Presidenti del
Consiglio comunale
Consiglie ri
comunali
Presidenti di Province
Presidenti
del Consiglio provincial
e
Consiglie
ri provincia li
Presidenti
Presidenti pop. <
5.000 ab. pop. >
5.000 ab. pop. > 15.000
ab
altro
TOSCANA 8 Membri di diritto (10)
n. 23 Sindaci eletti dei Comuni non capoluogo
n. 2 eletti Membri di
diritto (10)
n. 2 eletti 3 Presidenti C.M.eletti
50
UMBRIA n. 6 rapp. eletti< 15.000
ab e >5.000 ab (3 Sind e 3 Cons); n. 8 rapp.
eletti<= 5.000 ab (5 Sind e 3 Cons)
Membri di diritto (15)
n. 10 eletti di
Comuni = > 15.000
ab.
Membri di diritto (2)
n. 5 eletti (n. 3 PG e
n. 2 Terni)
2 Presidenti C.M.eletti
(48) attualmente, ma variabile
NOTE 1 Di cui n. 2 Sindaci il cui Comune fa parte di una Unione di Comuni; n. 3 Sindaci di Comuni montani; n. 3 Sindaci di comuni di minoranza linguistica 2 Attualmente il CAL risulta composto da n. 22 membri di diritto e n. 22 membri elettivi 3 Il Sindaco di Roma è membro di diritto 4 La composizione del CAL è integrata, in caso di riunione per l'analisi e la valutazione delle politiche regionali, da: n. 2 rappresentanti del mondo delle università; un rappresentante del centro di ricerca o comunità tecnico-scientifica e professionale; n. 2 rappresentanti delle istituzioni scolastiche e formative; il presidente di Unioncamere Lombardia; n. 5 presidenti di Camere di Commercio (CCIAA); n. 2 rappresentanti espressi dal tavolo permanente Ter zo settore; n. 2 rappresentanti delle organizzazioni sindacali. 5 N. 13 rappresentanti eletti di Comuni > 5.000 ab., di cui almeno n. 3 rapp. di Comuni montani, o rapp. di consigli provinciali. 6 Qualora non ricoprano già una carica nel CAL 7 Tutti elettivi 8 La legge regionale 21 marzo 2000, n. 36 è, tuttavia, anteriore alla riforma costituzionale
107
Funzioni legislative
Funzioni consultive
Funzioni di concertazione
Funzioni di garanzia
Altre Funzioni
Iniziativa legislativa
Pareri obbligatori
Osservazioni/Pareri facoltativi
Intese con GR
Seduta congiuta con CR-Assemblea
Proposta di ricorso alla Corte Costituzionale
Richiesta di intervento degli Organi di Garanzia statutaria
Designazioni, nomine, potere sostitutivo
ABRUZZO
a carattere generale
in materia di enti locali/bilancio
per modifica statutaria;oss. a richista GR e CR
si (contro L. Stato e L. altre Regioni)
si
nomine
CALABRIA
a carattere generale su mod. statutarie;in materia di enti locali/bilancio; su CAL
su altre proposte depositate in CR; oss. a richiesta GR
si
si
si (contro L. Stato e L. altre Regioni)
CAMPANIA In materia di enti locali e
revisione statutaria in materia di enti
locali/bilancio su altre proposte del Consiglio regionale o della Giunta pareri
richiesti dagli enti locali
sì
sì
EMILIA - ROMAGNA
su mod. statutarie;in materia di enti locali/bilancio; su CAL
si (contro L. Stato e L. altre Regioni)
si
nomine organo garanzia statutaria
LAZIO
in materia di enti locali;e per la revisione dello Statuto
su mod. statutarie;in materia di enti locali/bilancio
su altre questioni interesse auton. locali; oss. a richista GR e CR
si
si
si (contro L. Stato e L. altre Regioni), anche CGCE
si
parere pot. sostitutivo della Regione
LIGURIA
in materia di enti locali
su mod. statutarie (in materia auton. Locali); in materia di enti locali/bilancio;program. gen
su altre questioni interesse auton. locali; oss. a richista GR e CR
si
si (contro L. Stato e L. altre Regioni)
LOMBARDIA in materia di enti locali
in materia di enti locali/bilancio; su CAL
su altre questioni interesse auton. Locali
si (contro L. Stato)
si
MARCHE
a carattere generale
in materia di enti locali/bilancio
su altre questioni interesse auton. locali; oss. a richista GR e CR
si (contro L. Stato)
parere pot. sostitutivo della Regione
PIEMONTE
in materia di enti locali/bilancio
su altre proposte depositate in CR; oss. a richiesta
si
si (contro L. Stato)
si
parere pot. sostitutivo della Regione
PUGLIA
su mod. statutarie (in materia auton. Locali); in materia di enti locali/bilancio
si
si
TOSCANA
iniziativa popolare in materia di enti locali/bilancio (anche su regolam.)
su altre proposte depositate in CR
si
si (contro L. Stato)
si
nomine
UMBRIA
a carattere generale
in materia di enti locali/bilancio
parere pot. sostitutivo della Regione
TAB 4
Le funzioni del Consiglio delle Autonomie locali nelle Regioni a statuto ordinario