la carta archeologica subacquea della puglia in rete relitti di … · 2017-02-01 · 9 xviii, 3....

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Quadrimestrale di archeologia subacquea e navale Anno XVIII, n. 3 (54), Settembre - Dicembre 2012 Sped. in abb. post. 70% - Autorizz. Filiale di Bari La carta archeologica subacquea della Puglia in rete Convegni: Tecnologie per l’archeologia subacquea Relitti di Venezia Le navi di Pisa: una questione ancora “pendente” Mostre: L’Apoxyomenos di Croazia al Louvre The Antikythera Shipwreck ad Atene Pisa, San Rossore. La nave “D” durante lo scavo

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Q u a d r i m e s t r a l e d i a r c h e o l o g i a s u b a c q u e a e n a v a l eAnno XVIII , n . 3 (54) , Set tembre - Dicembre 2012

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La carta archeologica subacquea della Puglia in reteConvegni: Tecnologie per l’archeologia subacquea

Relitti di VeneziaLe navi di Pisa: una questione ancora “pendente”

Mostre: L’Apoxyomenos di Croazia al LouvreThe Antikythera Shipwreck ad Atene

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9XVIII, 3. Settembre - Dicembre 2012

L’Italia non è un paese normale:questa è l’osservazione che sem-pre più spesso in patria e all’estero

sentiamo emettere da chi consideri le nostrevicende politiche, sociali, economiche e –per quello che più qui ci riguarda - culturali.Giudizio che, però, suona alle nostre orec-chie quasi assolutorio ed ingiustificata-mente benevolo di fronte a decenni di mal-versazioni, di corruzione ad ogni livello, disuperficialità, d’impreparazione tecnica egestionale della nostra classe politica edamministrativa, di generalizzata accondi-scendenza ed ignoranza collettiva. Scon-forta infatti rilevare come, pur nell’avvi-cendarsi di governi di segno diverso, nullasia mutato nella sostanza, in un “gattopar-dismo” dilagante che ha paralizzato il paesebloccando sul nascere qualsiasi ipotesi dicambiamento o di concreta inversione ditendenza.La mala gestione dei beni culturali, a benvedere, rappresenta uno degli indicatori piùsignificativi del basso livello raggiunto dal-l’Italia tra le cosiddette democrazie evolute.Il degrado inarrestabile del nostro multi-forme patrimonio, l’esiguità delle risorse adesso destinate (appena lo 0,2 % della spesapubblica), l’evidente anoressia dei ruoli tec-nici del Ministero dei Beni e delle AttivitàCulturali, la conseguente incapacità di tute-lare i beni archeologici e storico-artisticipresenti su tutto il territorio nazionale, scon-volto da speculazioni edilizie, da dissennatepianificazioni urbanistiche ed infrastruttu-rali, dai sempre più aggressivi e pervasiviinteressi delle organizzazioni mafiose. In questo quadro sconfortante, che contra-sta smaccatamente con la retorica ufficialedel Bel Paese, immeritevole depositario diparte così consistente del patrimonio cultu-rale mondiale, s’inserisce anche – come piùvolte segnalato in queste pagine – la tristesorte dei beni archeologici sommersi edelle importanti testimonianze navali del-l’antichità. Proprio tra queste ultime unruolo quanto mai emblematico (e non pro-priamente positivo, come vedremo) ven-gono a rappresentare le navi d’epoca

ellenistica e romana rinvenute a Pisa, le cuivicende per la loro rilevanza meritano d’es-sere a distanza di tanti anni qui brevementeripercorse.

La scopertaL’area della scoperta è quella del com-plesso ferroviario della stazione di Pisa-SanRossore, avvenuta nel tardo autunno del1998, nel corso dei lavori di ampliamentodello scalo da parte di Rete Ferroviaria Ita-lia SpA funzionale allacostruzione del centro dicontrollo dell’Alta Velo-cità. In quest’area, di-stante poche centinaia dimetri dal Campo deiMiracoli e dalla celeber-rima Torre, si estendevail porto urbano di Pisaantica tra la fine del Vsecolo a.C. ed il V se-colo dell’era volgare. Ilrinvenimento, del tuttofortuito e di grande im-patto mediatico (che hafatto enfaticamente gri-dare alla “Pompei delmare”), ha permesso diaprire un inedito capi-tolo sulla storia marit-tima, economica esociale della città to-scana e potenzialmentedi accrescere le cono-scenze relative alla tec-nica navale antica.Nonostante le pressioniche spingevano a com-piere un rapido inter-vento di semplice sterrodell’area con il recuperodei reperti più interes-santi, si è invece oppor-tunamente avviata daparte della Soprinten-denza ai Beni Archeolo-gici della Toscana, sotto

la direzione scientifica dapprima di StefanoBruni e poi di Andrea Camilli, un ampio elaborioso intervento di scavo stratigrafico. La scelta di condurre le indagini in esten-sione per un’area di 3500 m2 sui 10000 m2

complessivi e l’immediato affiorare, ad unaquota tra - 5,50 e - 9 m, dei primi relitti edei numerosi reperti relativi ai carichi na-vali ha “obbligato” ad abbandonare l’origi-nario progetto urbanistico, ricollocato neipressi dell’esistente Stazione Centrale.

Materiali archeologici pertinenti alla nave ellenistica.

SPECIALE

Le navi di PisaUna questione ancora “pendente”

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dell’articolato sistema portuale marittimo-fluviale della città, sviluppatosi anche suicontigui bacini costieri, al pari di quantosappiamo ad esempio per Ostia repubbli-cana o per la città di Minturnae. Del resto,l’importanza di Pisa e del suo porto va ri-connessa anche al ruolo di punto privile-giato per lo sbarco delle merci d’oltremaredestinate alla Toscana interna e di scalo at-trezzato per l’esportazione dell’ampiagamma di merci e prodotti di cui era riccala regione, tra cui si segnalano il legnameper l’edilizia e la cantieristica navale, ilgrano considerato di prima qualità, l’ap-prezzata produzione vinicola e di ceramicafine da mensa.

I relittiGià nelle prime fasi di scavo, giunti ad unacerta profondità, è affiorata una impressio-nante serie di relitti sovrapposti adagiati subanchi limosi e sabbiosi, che hanno resti-tuito materiali compresi tra la fine dell’etàellenistica e l’età tardo-antica. Inizialmentesono apparsi resti lignei di scafi e frammentidi fasciame, che si è ritenuto di associarecon parte della grande quantità di materialifittili (soprattutto anfore greco-italiche,Dressel 1 e puniche, ceramica a vernicenera, ecc…) presente nei pressi, che diffi-cilmente però per la disomogeneità tipolo-gica e la differenziazione cronologicapossono essere ricondotti ad accertabili edunitari carichi marittimi, quanto verosimil-mente a butti di materiali fuori uso, come difrequente si riscontra nei contesti portuali.Il più antico dei 19 relitti dichiarati dal di-rettore del cantiere (ma in realtà come ve-dremo si hanno informazioni per soli 12)risulta, al momento, essere un relitto disas-semblato e disperso in un’area molto vasta,dai cui frammenti Marco Bonino ha propo-sto una suggestiva ricostruzione di un’im-barcazione costruita secondo la concezionea guscio e con tecnica a mortase e tenoni,basata però solo su disegni a tavolino, ossiasenza seguire le moderne metodologie che

prevedono costruzioni di modelli in scala edi ricostruzioni in ambiente 3D, databilesulla labile base delle ceramiche rinvenutenei pressi al II secolo a.C.Alla prima età imperiale sono state inveceassegnate quattro distinte imbarcazionicoinvolte in uno stesso naufragio, causatoforse da una disastrosa ondata di piena. Lanave “B”, una oneraria di dimensioni con-siderevoli, è stata rinvenuta adagiata su unfianco con ancora parte del suo carico dianfore Dressel 6 e Lamboglia 2, contenentiperò non vino (come di consueto), ma riu-tilizzate per trasportare varie qualità difrutta secca, olive ed anche sabbia di pro-venienza campana. Il rinvenimento nellevicinanze di ossa umane e dello scheletrodi un cane ha fatto suggestivamente rite-nere che si trattasse del marinaio e del suofedele compagno di viaggio.Anche la nave “E” si trovava coricata su diun fianco, con il suo carico rappresentatoda anfore Dressel 2-4 e da dolia contenentiin origine vino. Oltre ad un frammento dinave, contraddistinto dalla lettera “P”, il re-litto più significativo di questo gruppo èquello della nave “C”, lunga oltre 12 metrie in eccezionale stato di conservazione, rin-venuta ancora con una cima d’ormeggiofissata ad un bitta. Si tratta di una imbarca-zione a remi, come testimoniano i sei ban-chi predisposti ad accogliere i vogatori,fornita di pronunciata prua a tagliamare,perfettamente conservata con il suo rivesti-mento in metallo, per la quale è stata ipo-tizzata una funzione militare.

A sinistra: Palizzata lignea di contenimentodella darsena antica.Al centro: Relitto C in fase di ricopertura con guscio di vetroresina.A destra: Planimetria dello scavo (2002).

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Lo scavoL’indagine di scavo si è svolta in un am-biente di particolare difficoltà, interessatoda strati sedimentari di notevole spessore edall’esistenza di una copiosa falda idro-geologica. Ad ovviare quest’ultima inva-siva presenza, tutta l’area era stataperimetrata con un grande cassero di pa-lancole larsen, all’interno delle quali l’ac-qua presente veniva svuotata dall’azionecontinua di pompe meccaniche (well-points), cosa che ha permesso lo svolgi-mento dello scavo e della documentazionein ogni sua fase, secondo i criteri stratigra-fici dettati dalla moderna scienza archeolo-gica.Tra i risultati topografici più rilevantispicca la scoperta dell’antico porto fluvialeurbano di Pisa, subito a valle della città, inprossimità della confluenza dell’anticofiume Auser con l’Arno, in un tratto ab-bandonato a seguito delle rettifiche artifi-ciali apportate al suo corso terminale nellapiana costiera di San Rossore già nel XIVsec. Qui, tra l’altro, sono stati infatti portatialla luce ventotto tronchi di leccio, quercia,frassino e olmo con la punta scortecciata in-fissi in fila verticalmente nel terreno, da ri-ferire forse ad una porzione di palizzata peril contenimento della darsena portualed’epoca arcaica, oltre ad una struttura digrosse pietre calcaree interpretata comeparte della banchina repubblicana. Si è al-tresì anche potuto chiarire meglio il per-corso antico dell’alveo snodantesi verso ilmare con numerose anse sinuose le quali,rallentando il flusso della corrente, favori-rono fin da epoca remota l’approdo di im-barcazioni e poi lo sviluppo della portualitàin età romana, come testimoniato tra glialtri da Strabone, Plinio il Vecchio e Ruti-lio Namaziano. In realtà il porto della Pisaromana, in considerazione dell’avanza-mento dell’attuale linea di costa di quasi seichilometri rispetto all’età antica (ove orasorge la basilica altomedievale di San Pieroa Grado), si configurava come un elemento

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difficilissima ge-stione delle attività,a causa soprattuttodel rinvenimento diuna quantità ecce-zionale di materialiarcheologici, ingran parte organicie quindi fortementedeperibili. L’as-senza inoltre di ar-cheologi navalinell’équipe di ri-cerca, unitamenteall’inesperienza daparte della dire-zione scientificanell’affrontare ungrosso scavo conresti navali e quindi

grandi quantità di legno imbibito e alle spe-cificità rappresentate da resti di antiche im-barcazioni, ha fatto sì che lo scavo fossecondotto sostanzialmente come un comuneintervento archeologico di terraferma,senza la piena consapevolezza dovuta ad uncontesto assai particolare, a cui evidente-mente per limiti oggettivi di formazione gliarcheologi (preistorici o classici che siano)non sono normalmente avvezzi.Questo grave errore di valutazione inizia-le, mai compensato nel proseguimento del-le indagini, ha dunque comportato il si-multaneo scavo di tutti i relitti individuatie la necessità del recupero integrale degliscafi lignei (pena la loro distruzione) e del-la moltitudine di materiali ceramici e nonrinvenuti, imponendo d’affrontare conte-stualmente gli enormi problemi di conser-vazione e trattamento dei legni bagnatiprovenienti dal sito e dai relitti, ad una sca-la mai tentata prima né in Italia, né al-l’estero con questa ampiezza e relativa dif-ficoltà logistica e operativa.Da qui traggono ori-gine, ci sembra, an-che i ritardi nell’in-tervento conservati-vo sui relitti (affidatoprima all’IstitutoCentrale del Restau-ro e poi al Centro diRestauro del LegnoBagnato), la disomo-geneità e l’incomple-tezza dei risultatiraggiunti, con l’ado-zione di tecnichesperimentali non te-state (come quella “aguscio chiuso” pro-mossa dall’ICR), sul-la cui efficacia diver-si specialisti da tem-

po hanno espresso seri dubbi. A questo siaggiunga la perdurante stasi nelle indaginidi scavo e il progressivo prosciugamentodei fondi destinati a questo intervento, cheha fatto anche di recente alzare un accora-to grido d’allarme da parte del Comitatodegli Amici dei Musei d’Italia, affinché asua integrale tutela l’UNESCO dichiariPatrimonio dell’Umanità il sito archeolo-gico di San Rossore. Pur volendo riconoscere la buona volontàdegli archeologi e dei restauratori impe-gnati, alla prova dei fatti dobbiamo dunquerilevare la risposta ondivaga delle istitu-zioni pubbliche, la mancanza di una strate-gia complessiva convincente el’inadeguatezza delle soluzioni proposte,l’esiguità delle risorse rese disponibili. Adistanza di quindici anni, infatti, lo scavonon è stato completato, manca ancora (no-nostante una messe di articoli divulgativi enon, di mostre, di seminari e l’immancabileistituzione di varie commissioni ministe-riali) una pubblicazione scientifica com-pleta ed ineccepibile che dia conto di tuttele fasi dell’intervento di scavo fin qui rea-lizzato e delle navi recuperate, solo di al-cuni relitti è stato ultimato il restauro,mentre s’attende la piena musealizzazionedegli scafi e degli importanti reperti nel-l’ambito degli Arsenali Medicei, destinatilodevolmente ad ospitare il Museo delleNavi Antiche di Pisa.Una risposta in tal senso sembra però oraessere giunta, se effettivamente dopo dueanni e mezzo di blocco dei lavori, con ilcantiere delle antiche navi romane in se-miabbandono e spesso invaso dall’acqua,finalmente l’indetta gara d’appalto per unmilione e mezzo di euro permetterà di tor-nare a scavare e di procedere al restaurodelle navi e delle imbarcazioni già indivi-duate ma ancora non recuperate (sono lenavi denominate “A”, “I” e “D”).

In età adrianea, nei primi decenni del II sec.d.C., ancora una rovinosa piena fluvialeavrebbe coinvolto almeno altre quattro im-barcazioni, causandone il naufragio. Diqueste la nave “A” è un’oneraria di grandidimensioni la cui integrità è stata sfortuna-tamente compromessa dalla messa in operadel palancolato metallico di contenimentodell’area di cantiere. Il relitto “H” è invecerelativo ad un barchino a fondo piatto di cuisono rimasti magri resti oggetto di una tesidi laurea a firma di Chiara Rossi. Interes-sante è anche l’individuazione di due altrirelitti (“G”, “B”) a carattere commerciale,rinvenuti sovrapposti l’uno all’altro. Lanave “F”, una sorta di piroga, dallo scafoben conservato, è stata recuperata e trasfe-rita per il restauro in Germania, nei labora-tori attrezzati del Museum für AntikeSchiffahrt di Mainz, dove è stato realizzatoanche un modello in scala 1:10.È invece da assegnare ad epoca tardo-an-tica alto medievale (VI-VII sec. d.C.) il re-litto della nave “D”, il cui scafo sicontraddistingue per il fasciame apparente-mente privo di connessioni a mortase e te-noni. Rinvenuto in posizione capovoltaconserva (evento assai raro) gran parte delponte dell’imbarcazione con il boccaportod’accesso alla stiva. Al di sotto di questanave sono stati poi individuati altri due re-litti affondati qui in epoca precedente.

Le attuali criticitàIn considerazione dello straordinario nu-mero di relitti navali individuati, forte-mente opinabile e da sottoporre a doverosacritica appare la decisione presa di eseguirelo scavo unitariamente per tutta l’esten-sione dell’area e non più razionalmente persettori circoscritti cosa che, se ha permessodi avere una panoramica ampia del giaci-mento, ha viceversa presentato problemi di

Pisa, San Rossore. Relitto D, area del cantiere perimetrata con un casserodi palancole (1999).

Pisa. Gli Arsenali Medicei.

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È ovviamente di grande interesse anche lapossibilità di ricostruire la storia di un pic-colo porticciolo fluviale di età antica chesembra aver subito, a più riprese, devastantipiene, causa dell’affondamento repentinodegli scafi e quindi della loro conserva-zione, e sono sicuramente di grande impor-tanza anche i numerosissimi oggettiappartenenti alle navi o sparsi sul fondaleriferibili sia al carico sia all’attrezzatura na-vale sia a suppellettili personali che pos-sono permettere di conoscere l’aspettodella vita portuale e della vita di bordo.Prima della scoperta, del 2004, delle navidel porto bizantino di Yenikapi, ad Istanbul,le direzioni che si sono susseguite allaguida del cantiere si vantavano, probabil-mente a buon diritto, che quello di Pisa erail più grande e più importante scavo ar-cheologico navale del mondo; ora certo nonpossono più farlo, Pisa infatti ha perso que-sto primato sia per la quantità di relitti sco-perti in Turchia, ossia 36! (reali e nonframmentari) contro una dozzina (o i 19 di-chiarati dalla direzione) sia per le dimen-sioni del sito, di circa 3000 m2 a Pisa e58000 m2 (per quasi il doppio di profon-dità) ad Istanbul... e per la qualità della con-duzione delle ricerche.Ma dove sta la differenza nella conduzionedei due cantieri? Sta nel fatto che gli ar-cheologi turchi, consapevoli della loroignoranza in materia navale e della delica-tezza ed importanza della scoperta, ebberol’intelligenza e la modestia di affidare leprime navi rinvenute ad un’equipe dellaTexas A&M University, diretta da CemalPulak, che da anni, come noto, svolgeva at-tività di ricerca archeologico-navale a Bo-drum. Una volta compresa l’importanzascientifica del sito e la possibilità di un ri-

torno di visibilità ed economico-turisticoper il loro paese, e di fronte al susseguirsidelle scoperte di altri relitti, gli archeologiturchi, in stretta collaborazione tra museoarcheologico di Istanbul (corrispondentealla nostra soprintendenza locale) e Uni-versità di Istanbul, hanno pensato bene difarsi insegnare dagli americani la metodo-logia e le tecniche di documentazione perpoi applicarle ad oltre trenta relitti su cuihanno lavorato solo archeologi e studentiturchi. È nata così dal nulla, o meglio dal-l’esperienza dell’ateneo statunitense, unascuola di scavo e documentazione di relittiantichi in condizioni di interramento che,sul piano metodologico, ha trascurato benpoco. Sono state infatti seguite le metodo-logie di prassi nel settore archeologico na-vale nella consapevolezza che scavare edocumentare un relitto di una nave richiedeuna preparazione assolutamente speciali-stica, come peraltro spiegano molto benePatrice Pomey e Éric Rieth nel loro ma-nuale L’Archéologie navale del 2005, maanche, ben prima dello scavo pisano..., J.Richard Steffy nel suo Wooden Ship buil-ding and the Interpretation of Shipwrecks.Ad Istanbul, si è quindi proceduto conun’organizzazione di cantiere, sul piano lo-gistico, encomiabile, proteggendo ogni re-litto con tendoni ed irrorandolicostantemente. Ogni elemento ligneo èstato campionato per le analisi e quindi loscafo è stato oggetto di una precisa docu-mentazione per mezzo della semplice, maefficacissima, stazione totale, che ha per-messo di ricavare delle piante e delle se-zioni disponibili quasi in tempo reale.Ogni relitto, dopo essere stato tenuto espo-sto il tempo necessario per eseguire tutta ladocumentazione di rito (comunque poche

Dobbiamo comunque infine constatare, conqualche amarezza, come anche nel casodelle navi di Pisa il nostro paese non abbiasaputo cogliere a pieno le straordinarie po-tenzialità offerte da questa eccezionale sco-perta per dare il giusto impulso alla ricercaarcheologica subacquea e al settore dell’ar-cheologia navale, offrendo alla ribalta in-ternazionale un esempio tangibile dellecapacità scientifiche e tecniche dei tantispecialisti che in questi ultimi decenni sonostati formati – pur tra mille difficoltà - dallenostre università. Né si abbia ancora chiarocome proprio dalla concreta consapevo-lezza, dalla valorizzazione e dalla correttagestione del nostro straordinario patrimo-nio culturale, storico e ambientale, possagiungere una delle risposte più convincentialla crisi economica, sociale ed etica chenon inevitabilmente ci opprime.

F.P.A.

UNA GRANDE OPPORTUNITÀ MANCATAA distanza di quindici anni dalla scopertadelle navi di Pisa e di quasi altrettanti dal-l’uscita dei primi articoli di critica sullaconduzione degli scavi di San Rossore fir-mati anche dallo scrivente (vd. Repubblica4 dicembre 2000; Il Gazzettino, 5 dicembre2000, ma altro è uscito nel 2002 anche insedi scientifiche, tra cui “Anche in Italia fi-nalmente (ri)nasce l’archeologia navale?”,vd. L’archeologo subacqueo 23, 2002, pp.15-18) e commenti poco teneri sono statiespressi anche da Patrice Pomey e da Giu-lia Boetto nello stesso periodo), è avvilentedover ammettere che poco è cambiato nellestrategie di gestione del cantiere e che moltidegli errori denunciati a suo tempo sonodifficilmente riparabili. Non conosciamonel dettaglio le cifre, di denaro pubblico,spese per questo cantiere, che comunquesembra che complessivamente ammontinoa ben 20 milioni di euro..., per cui ci aste-niamo per il momento da esprimere un giu-dizio sul bilancio costi-benefici, mentreconosciamo molto bene l’importanza scien-tifica di gran parte del patrimonio navalerinvenuto nel sito.Alcune delle imbarcazioni scoperte sono diestremo interesse per la varietà tipologicae l’appartenenza a tipi navali adatti adacque interne di cui si sa molto poco. Ov-viamente alcuni scafi, quale il “C”, lascianoaddirittura a bocca aperta per la qualità dellivello conservativo che “non lascia nullaall’immaginazione...” o, sarebbe megliodire, visto che stiamo parlando di navi, allaricostruzione.

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Operazioni di scavo e rilievo.

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settimane) è stato smontato in maniera daridurre drasticamente i costi del recupero,da permettere un restauro più efficace(come noto i pezzi singoli sono gli uniciche possono essere consolidati efficace-mente mentre gli scafi assemblati presen-tano grossi problemi di restauro) e dagarantire la possibilità della necessaria do-cumentazione analitica in laboratorio pre-ventiva al restauro. Quest’ultima è statacondotta prima con il sistema manuale,adottato in Italia quasi esclusivamente dalloscrivente e da Dario Gaddi (per la nave ro-mana di Grado e per molti altri piccoli re-litti), ma ben noto all’estero – poi con ilsistema del braccio misuratore 3D FaroArm, una sorta di pantografo interfacciatocon un PC che permette di rilevare con pre-cisione millimetrica un oggetto in tre di-mensioni, come oramai si fa in tutto ilmondo e come applicato in Italia sempredallo scrivente e su sapiente richiesta dellaSoprintendenza per i Beni Archeologici delVeneto.Nel cantiere di Pisa invece non è stata se-guita la stessa metodica né tantomeno lastessa tempistica, si è andati avanti a strappiper anni e anni, lasciando le navi in situparzialmente scavate con ovvie conse-guenze conservative. Non si è ritenuto ne-cessario, malgrado le molte critichepiovute, in questo senso, coinvolgere ar-cheologi navali sul campo e non si è proce-duto con l’allestimento di un laboratorio didocumentazione del legno post scavo, daeseguirsi di regola comunque prima del re-stauro anche per scongiurare eventuali al-terazioni in fase di trattamento.Ad Istanbul, durante lo scavo, è stato av-viato un laboratorio di restauro per conso-lidare i legni con la tradizionale, ma ancoravalida, tecnica del PEG. Un progetto pre-vede infine la creazione di un parco ar-cheologico e di un museo dedicatirispettivamente alla valorizzazione del-

l’area del portobizantino e deiresti navali e c’èda credere, datoche il cantiere èstato sgombratodalle navi già daun anno, che i la-vori arriverannoa conclusionemolto veloce-mente.Va fatto presenteche Yenikapi nonè un tranquillocampo di fru-mento in mezzoalla campagnama un quartiere

popolatissimo nel pieno centro di Istanbuldove gli scavi erano finalizzati a costruirela principale stazione della metro e l’im-boccatura del nuovo tunnel sottomarino chepermetterà di collegare la parte europea conla parte asiatica della città. Le pressioni po-litiche e il danno economico per il progettodel tunnel che sono derivate da questa sco-perta quindi sono ben immaginabili e certosuperiori a quelle causate dalla scoperta diSan Rossore dove infatti, alla fine, il pro-getto di costruzione di edifici delle FS èstato dirottato altrove.Gli studi sulle navi bizantine hanno vistouna prima immediata uscita di un volumepreliminare, ma già ricco di informazioni edi rilievi precisi degli scafi, nel 2008 equindi una serie di articoli su riviste spe-cializzate a firma sia degli scavatori sia dispecialistici del calibro di Patrice Pomey eYaacov Kahanov che, attraverso il mate-riale disponibile, hanno potuto già com-mentare alcuni aspetti tecnici degli scafi,cosa che sulle navi di Pisa, a distanza diquindici anni dai primi rilevamenti, è prati-camente impossibile fare. Delle navi di Pisainfatti si sa pochissimo perché rarissimi epiuttosto superficiali sono stati gli studifatti fino ad ora, pe-raltro di rado presen-tati nei consessiinternazionali perspecialisti in costru-zione navale antica eassenti nella lettera-tura specialistica.Riassumono bene lasituazione le parolescritte da PatricePomey nel 2009 negliatti dell‘11th ISBSA aproposito dei relitti«... ten years after theexcavation, unfortu-nately, they (the

wrecks) are still not fully documented noranalysed from a nautical point of view».Come detto, le navi di Yenikapi sono incorso di trattamento conservativo permezzo del “semplice” PEG mentre le navidi Pisa sono state sottoposte a varie speri-mentazioni. La prima, inventata da Costan-tino Meucci dell’ICR, ha previsto lachiusura dei relitti all’interno di gusci di ve-troresina; di questa tecnica in tempi non so-spetti in molti abbiamo denunciato la totaleinefficacia (cfr. “Archeologia navale mi-liardaria”, a firma di Giulia Boetto e PieroAlfredo Gianfrotta vd. L’archeologo su-bacqueo 15, 1999, pp. 2-3 e il nostro già ci-tato Anche in Italia finalmente (ri)nascel’archeologia navale?), di cui aveva giàfatto le spese l’ormai dimenticato scafo ro-mano di Valle Ponti di Comacchio e l’in-compatibilità con il fondamentale lavoro didocumentazione dei disegnatori e di analisidegli archeologi dato che gli scafi vengonosottratti alla vista già nel corso dello scavoe comunque rimangono chiusi nel “sarco-fago”, e quindi invisibili, fino alla sua ria-pertura. Eppure, malgrado questo, si èvoluto comunque operare sui relitti conquesta tecnica che ora, oltre al problemadella mancanza di adeguati rilievi, potrebbepresentare spiacevoli sorprese quali il pro-babile deterioramento del legno nel corsodi tanti anni di stoccaggio.A Pisa, passati attraverso altre tecniche peril consolidamento del legno, quali l’usodella colofonia, si è ora arrivati alla speri-mentazione di un sistema di impregnazioneper mezzo della kauramina una resina ter-moindurente a base di melammina e for-maldeide. L’ultima gara d’appalto delcantiere, da 1,5 milioni di euro, ha previstoinfatti uno stretto protocollo che richiedeval’uso esclusivo di questa tecnica impiegatain precedenza, e comunque con delle va-rianti, solo al Museo della Navi Romane diMainz. Questa tecnica di restauro, già incorso di utilizzo a Pisa su alcuni relitti, nonè reversibile, il legno viene praticamente

Resti della banchina antica con elementi lignei.

Resti della banchina antica.

1 4plastificato e perde la sua naturale consi-stenza, inoltre, come dichiarato su un re-cente articolo di denuncia anche dalrestauratore Giovanni Gallo, sbianca eperde il suo colore tanto che è necessariousare un mordente per dare ai legni un co-lore simile al naturale. Infine il trattamentopresenta un potenziale grado di tossicità,forse cancerogeno, per gli operatori, acausa della presenza di formaldeide.Non sappiano se l’irreversibilità, lo sbian-camento e la tossicità siano condizioni ac-cettabili per un restauratore italiano macertamente non lo sono per un archeologonavale e ci chiediamo se era veramente op-portuno sperimentare nuove tecniche su unpatrimonio così unico invece di seguire si-stemi affidabili, e probabilmente anchemeno costosi, adottati in quasi tutto l’am-

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biente archeologico navale internazionalequali il semplice PEG.Questo avvilente scenario spinge a ribadiree concludere che questo scavo è stata unagrande occasione persa per l’archeologiaitaliana, che la scarsezza di dati disponibilisulle navi, a distanza di quindici anni, è evi-dente e che i dubbi sulla qualità della do-cumentazione prodotta e le tecniche direstauro impiegate difficilmente potrà es-sere smentita.Più in generale, ci sembra che la gestionedel cantiere di Pisa non faccia che rispec-chiare molti dei problemi che affliggono ilnostro paese quali la mancanza di collabo-razione tra istituzioni (l’annosa, e molto at-tuale, questione delle tensioni traUniversità che “cercano” di fare archeolo-gia e Soprintendenze...), l’assenza di con-fronto con l’estero e la mancanza diprogrammazione. La collaborazione offertada alcuni specialisti di atenei italiani, il con-fronto con le prassi seguite all’estero, spe-cialmente in nord Europa e una seriaprogettazione – altro grande neo del si-stema italiano che vive costantemente allagiornata e in emergenza, non solo per man-canza di denaro... – avrebbero probabil-mente scongiurato il rischio di trovarsi, aquindici anni dalla scoperta, a sollevare leavvilenti considerazioni qui espresse.

C.B.

PER LEGGERE ANCORAAA.VV., The Ancient Ships of Pisa. A Eu-

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Bizzicari, M., 2013, Come ti sistemo unnostro patrimonio culturale. Storie direlitti e di trattamenti in http://libre-riainternazionaleilmare.blogspot.it/2013/01/come-ti-sistemo-un-nostro-patrimo-nio.html

S. Bruni (a cura di), Il porto urbano diPisa Antica, Milano 2003.

A. Camilli, E. Setari (a cura di), Le naviantiche di Pisa. Guida archeologica,Milano 2005.

A. Camilli (a cura di), Pisa. Un viaggionel mare dell’antichità, (Catalogo mo-stra Roma, S. Michele a Ripa, 2006),Milano 2006.

http://www.cantierenavipisa.itPisa, la nave “B”. Ossa umane e scheletro diun cane.

Un relitto carico di macinea Filicudi

Il 9 luglio2013 è sta-to ritrovato

all’interno delporto di Fili-cudi un relitto:fra i 42 e i 53m sono statiindividuate 13macine di etàromana, del ti-po a meta ecatillo. Il ritro-

vamento è stato effettuato dal subacqueo Antonello Bere-nati, che lo ha segnalato alla Soprintendenza del Mare. http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/catania/notizie/cronaca/2013/9-luglio-2013/porto-filicudi-scoperta-nave-romana-42-metri-profondita-2222067383366.shtml

LA PUGLIA NEL MONDO ROMANOSTORIA DI UNA PERIFERIADALLE GUERRE SANNITICHEALLA GUERRA SOCIALE di Francesco Grelle e Marina Silvestrini

Guardare al centro dalla periferia: lastoria locale come percorso privile-giato per rileggere la storia dell’Italiaromana. Per la Puglia un approccio aitemi della storia romana attraversoun’ottica territoriale risponde ad unaindicazione delle fonti, nelle qualil’identità regionale apulo-calabra sipresenta essa stessa come un prodottoe insieme un fattore di quella storia.

f.to 17x24 - pp. 298 - ill. b/n - ril. - Bari 2013! 45,00

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