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IO,
DONNA
LE AVVENTURE
DI
UNA REPORTER
ZITELLA E UN PÒ BRUTTINA
A tutte le donne
CRYING AT THE DISCOTHEQUE
Le due di notte. Il mio sguardo annebbiato si
perde tra la folla che geme, contorcendosi in
movimenti spettrali e scomposti. Luci
stroboscopiche balenano nel buio, il mio viso
scompare e riappare come un fotogramma.
Sono seduta a un tavolo, sola. L’eterna
sigaretta si consuma veloce tra le dita
intorpidite. Nella mente la stessa nebbia del
locale. La stessa noia. Qui è severamente
vietato parlare, intavolare dialoghi. Si
esibiscono trucchi, fisici palestrati e sorrisi
impersonali, sintetici e irreali come le luci. Qui
si cerca, sapendo di non trovare. Non è previsto
che ad una domanda segua una risposta. Ci si
pongono solo domande.
Infatti mi sto chiedendo cosa ci faccio qui.
Le mie amiche sono in pista a contorcersi,
buttando sguardi golosi a stalloni
inespugnabili. Anche i miei occhi sono
incollati al frullato di membra nella vana
speranza di cogliere in qualche sguardo tracce
di materia grigia, ma ho il sospetto che sia una
vana aspettativa. Mi annoio. Ora mi alzo e me
ne vado. Di sicuro nessuno sentirà la mia
mancanza. Ho già la borsa in mano, quando
improvvisamente di fronte a me, il fato si
materializza nelle sembianze di un raro
esemplare maschile della miglior fattura
incartato in blazer blu dal taglio perfetto. Per
qualche secondo il mio occhio, si perde
ammaliato dall’apparizione. Foulard in seta
infilato nella poche. Scarpe Prada di pelle
bianca. Abbronzato quanto basta da avere
un’aria perfettamente sana.
L’esemplare si dirige deciso al mio angolo
buio. Sembrava una pubblicità. Una copertina
di Man, un campione di rugby. Si appropinqua
plastico fissando qualcosa che pare alle mie
spalle. Il “qualcosa” risulta essere la
sottoscritta.
“Ciao.” Mi porge la mano “Roberto”. Non
voglio sprecarmi per uno che sicuramente
vuole solo sapere dov’è il WC. Gli lancio uno
sguardo indifferente, ma lui non abbocca e si
accomoda nell’unica poltroncina. Non perde
tempo, e perché mai dovrebbe. È perfetto.
– Scusa – insorgo come un’eroina violata - non
mi sembra di averti invitato a sedere - Sorride.
Un sorriso incollato, posticcio, mi domando se
la sera lo smonta e lo ripone nel bicchiere. È
come se non avessi aperto bocca. Si avvicina al
timpano con fare cospiratorio e mi sussurra
qualcosa che si perde nell’etere. "Non sento"
grido nel fracasso discotecario. Lui espone la
chiostra di denti abbaglianti e con la pazienza
che si riserva agli scemi,ci riprova. Stavolta
riesco a decifrare “Posto tranquillo”. Se solo
fosse stato meno bello, ma aveva tutti i
connotati inseriti al posto giusto.
- Cosa intendi dire?- temporeggio.
- che ne dici di andare in posto meno
rumoroso?-
- Non perdi tempo.-
- E perché dovrei?- Già, perché dovrebbe. Mi
scruta. Io cambio argomento, mi fingo
disinteressata. Osservo le mie unghie sulle
quali sembra transitato un esercito di ratti.
Guardo la sala gremita. Il turbinio di colori, i
suoni esasperati. La gente grondante e
improvvisamente decido che ne ho pieni i
timpani di questo delirio - Ok, dove si va? - Lui
sorride e con la massima naturalezza mi prende
per mano. È calda e asciutta, mi piace. Provo
un moto di invidia per questa sua spontaneità
priva di frustrazioni. A me di naturale è rimasta
solo l’acqua minerale infilata nella borsetta.
Attraversiamo i meandri del locale. Le sue
spalle mi fanno da scudo e così ho il tempo per
ammirare la poppa di questo maschio superbo.
I capelli sono biondi lunghi e lisci. Quasi
bianchi. L’andatura è plastica. È alto, fianchi
stretti, ha classe da vendere. È vocato alla
perfezione.
Finalmente arriviamo in un lungo corridoio. Il
pavimento in linoleum è sostituito da una
spessa moquette blu. La cortina di fumo si è
per magia dissolta.
Non c’è anima viva. Nessun suono. Niente
popolo di muti danzanti. Involontariamente
rabbrividisco, ma non è freddo. Dove mi sta
portando? Mi do della stupida credulona e sto
per girarmi e andarmene quando lui si ferma
davanti ad una porta in mogano. - Qui potremo
stare tranquilli.- Faccio un repentino “dietro
front” e mi metto a correre – Aspetta! – grida –
Era solo per…- La sua voce è ormai lontana,
ho attivato il turbo alle scarpe. Mi fermo al mio
tavolo ansimante, più per lo sforzo che per la
paura. Dovrei smettere di fumare, anzi, dovrei
andare in palestra. Almeno usare la bicicletta o
camminare un po’. Tutta colpa di sto dannato
lavoro che mi costringe a stare incollata al
computer tutto il giorno. Sarei dovuta andare in
Libano con Stella, almeno lì per la paura avrei
fatto un po’ di corsa ogni giorno. Ma no, la mia
eterna fifa a buttarmi, a vivere. Ho sempre
trovato milioni di scuse. Mi sono sempre
accontentata di vivacchiare, sopravvivere e
comunque, è tardi per piangersi addosso. Basta.
Inutile pensare all’uomo del destino, a quello
che avrebbe potuto essere. Anzi, succedere.
Scampato pericolo, e adesso a casa Varra!
Cerco la borsa. Non c’è. Dove sarà finita?
Osservo per un attimo la pista dal buio
profondo delle retrovie. Cerco di scorgere
qualche volto conosciuto, ma le mie amiche
sembrano ormai desaparecide. Di loro non c’è
più nemmeno il ricordo. Vabbè, al diavolo la
borsa, chiamerò domani. Cerco di ricordare se
in quel rettangolo di pelle ammuffito avevo
cose importanti.
- Portacipria, deodorante, sigarette, chiavi..…le
chiavi di casa! No! Il mio povero Pisolo
affamato! - Disperata mi butto alla ricerca del
pezzettino di pelle. Forse è caduta per terra.
Non dirmi che l’ho persa nel corridoio
insonorizzato! Ti prego, ti prego. Riemergo
violacea e con la tachicardia da sforzo. Mi
butto sui giubbotti scagliati in tutta fretta dalle
mie amiche. Niente. – Cercavi questa?- La
voce, quella voce l'ho già sentita. Maledizione.
Riemergo dall’apnea e lo guardo. – Roberto?-
Mi sento dire. Nelle sue mani brilla
sinistramente la borsetta di strass.
– Sei scappata senza darmi tempo - lo sguardo
luminoso come un’insegna. Cerco di darmi un
contegno e mi aggiusto la gonna, i capelli, poi
mi allungo per riappropriarmi del bene non
inventariabile, ma lui ritira la mano. - Scusami
per prima, mi hai frainteso - Le sue cornee
hanno sfumature blu cobalto, insomma, pozzi
petroliferi, le mie devono essere iniettate di
sangue. - Volevo solo fare due chiacchiere – Si,
nella stanza insonorizzata, con la moquette
spessa venti centimetri.
- Ok, per favore, mi ridai la borsa? - Si allunga
sulla poltrona, sento il suo profumo leggero.
Mi porge la pochette e poi si accende una
sigaretta.
- Posso chiederti come mai sei qui da sola? -
- Cosa ti fa credere che lo sia? - lui butta un
occhio alla catasta di giacchette e giubbotti
impalpabili e annuisce.
- Giusto, come non detto....-
- Bene, c'è altro...?- mi alzo. Si alza. Ci
fronteggiamo,si fa per dire.
- Credo che andrò a casa.- Tento senza
speranze lo sguscio laterale. E' come sbattere
contro il Gran Sasso.
- Guarda che non mordo. Sei sempre così sulla
difensiva? – Ha un sorriso perenne come le
nevi del Kilimangiaro. Sbuffo. Fingo
impazienza. In realtà non so come agire, dove
andare, cosa guardare. Che dire.
- Dai siediti, parliamo un pò.- Mi riaccomodo.
Schiaffeggio del pulviscolo inesistente sulla
gamba, lo sguardo a terra
– Posso dirti una cosa? – Un’altra
– Se dico di no? –
– La dico lo stesso. – mi solleva il mento con
un dito. Per un attimo mi tuffo nelle sue iridi ed
è come respirare una boccata d’aria pura
– Se davvero fuori posto qui dentro tu -
- Anche tu – non è vero, ma sono impermalita.
Lui fuori luogo non doveva esserlo mai, in
nessun ambiente.- Non mi sembra che per
frequentare una discoteca si debba essere
vestiti in un certo modo o avere “ le physique
du role” - sembro esagerata anche a me stessa.
– Certo che no, ma tu hai un’aria, sembri.. -
- Sembro?-
- Se lo dico scappi di nuovo?-
- Forse….- abbozzo
- Rischierò, sembri disorientata, confusa-
- Lo sono, e non solo qui – Rispondo d’istinto
pentendomi subito.
- Forse è il luogo. Ci vieni spesso?-
- Qui dentro? Non sono così masochista-
- Allora è il mio giorno fortunato- sorrise a
tutta gengiva.
- Incontrare me è sicuramente un colpo di
fortuna. E tu cosa fai nella vita? L’armatore?-
- No – è serio - Mi occupo della ditta di mio
padre.-
Ah! Il papi. Te pareva.
CHE BELLA FAVOLA
- Ti andrebbe di andarcene da qui? - è
improvvisamente impaziente - hai uno strano
colorito.- Aveva ragione. Lo specchietto mi
rimandava un’immagine verdastra, da itterica.
Forse era rabbia o invidia. Lo guardo. Non
sono ancora convinta, ho davvero voglia di
uscire con questo adone? Se gli dico di no, cosa
m’invento come scusa? Ecco che cominciano
le solite paranoie. Mica mi devo giustificare.
Gli dico che ho da fare e basta. Stop.
Lui sporge il labbrone e mi guarda. Lo so cosa
ti aspetti da me, bell’ armadio a due ante, ma
non so cosa “io” mi aspetto da “me”, ma dalle
profondità dell’ego emerge imperiosa una
vocetta impertinente “Buttati, stupida zitella
ammuffita!”
Decido improvvisamente. Gli faccio un cenno
e usciamo nella calura estiva. Davanti al locale
è parcheggiata una scintillante Porsche nera.
Mi apre la portiera e mi accomodo
rannicchiandomi in un angolo, lui mi sorride e
parte. Una sgommata e via dal casino. Non mi
par vero. Guida sicuro e disinvolto, muove le
mani con eleganza, dice le battute giuste. Io
sorrido continuamente. Lo sforzo mi ha
provocato una paresi facciale. Guardo la strada,
lui, me stessa. Penso alla mia vita banale, alle
giornate tutte uguali, agli anni di solitudine.
Ho orrore di quello che potrebbe pensare di
me, ma sembra non accorgersi di nulla. E’ un
essere completo, arrivato, felice di ciò che è e
ciò che ha. Il cammino gliel’ha spianato madre
natura, papà ha fatto il resto. Io sono ancora per
strada e forse dovevo girare a sinistra.
Arriviamo all’angolo carino che si rivela essere
una villa in stile hollywoodiano. Ampio
giardino con querce secolari, muri imbiancati
stile americano, tetto spiovente e la veranda
stile far west. Le finestre e le porte sono in stile
inglese e si aprono sul salone che contiene
tranquillamente il mio appartamento. Non è lì
che mi conduce. Facciamo il giro della casa. Le
luci del lago si confondono con le stelle, il
profumo intenso del gelsomino stordisce.
Penso che entreremo dal retro, come si addice
alla servitù, e invece ci avviamo verso una
dependance in bilico su uno strapiombo. L’
angolino è in realtà, un angolo a 360 gradi di
panorama gratuito. Varco quasi intimorita la
soglie della dimora e precipito su un morbido
persiano. Mi porge la mano per rimettermi
verticale. Cammino silente verso il divano a
conchiglia. Le luci strategiche e soffuse
illuminano un tendaggio color avorio. In un
angolo, vicino al bar, uno stereo emette note da
bar lounge. Al centro della parete di fronte
trionfa in un’esplosione di trine rosse e
bianche, il grande letto a baldacchino stile
"Casablanca".
La mia forma ormai consolidata di stalattite lo
catapulta ad attivare l'enorme camino. D'estate,
si, io riesco ad avere i brividi di freddo anche
in piena estate, anzi, in pieno sole.- Non c'è
problema.- Risponde ad un mio accenno di
protesta. Ma per lui non c'è davvero mai nessun
problema, ho il sospetto. Un leggero tepore
misto a profumo di sandalo si diffonde nell’aria
che lentamente si riscalda. In piedi, nel centro
della stanza, ci guardiamo a disagio. E ora che
si fa? Qual è l’usanza? Mi devo sedere o devo
aspettare l’invito? Mi toglie dall’imbarazzo.
“Vuoi darti una rinfrescata?" sorride, a suo
agio.
"Non desidero altro" Lo sguardo è strano ma
mi indica gentilmente la porta a doppi battenti
con colonnine laterali. Più che un bagno
sembra una stazione balneare. Marmi di
Carrara venati di verde assumono l’aspetto di
una piacevole marea, teleria firmata, Jacuzzi a
forma di ostrica, sanitari color pesca. Il water
closet è così pulito che vien voglia di bere
anziché fare pipì. In un posto dove ci si lava,
avere paura di sporcare sembra un paradosso.
Chissà se la carta igienica è firmata. Mi spio
lentamente in uno specchio a parete. La solita
faccia, un po’ più pesta del solito, data l’ora. Il
trucco è sparito. Mi rifiuto di rifarlo. Ormai
avrà apprezzato la mia bellezza naturale. Dopo
la pipì mi lavo le mani con un sapone che sa di
pesca. Forse è una pesca che sa di sapone.
Torno nell’arena. La voce sensuale di Ella
Fitgerald si diffonde nell’aere come un liquido
caldo. Non so cosa fare e rimango lì, impalata,
tormentandomi le mani che sanno di
macedonia. Lui mi viene in aiuto indicandomi
una poltrona bassissima a forma di fazzoletto
stropicciato, tanto di moda. Mi siedo cercando
di assumere una postura autorevole. Il
fanciullone nota il mio imbarazzo ed debutta
con la frase tipica del boia: “Mettiti pure a tuo
agio”.
A mio agio! Non so nemmeno perché sono qui!
Forse per raccontarlo domani. Forse per far
invidia alle mie amiche o perché mi piace lui o
il contorno magico? Non lo so! Comunque "les
jeux sont fait!!", diceva il croupier all’ultimo
giro di roulette russa. Ripenso alla mia grinta
quando cerco di ottenere un'intervista e l'idea
mi ridona un po’ di disinvoltura. Farò finta di
essere una giornalista, ma io “sono” una
giornalista! E nemmeno tanto scadente. Lui si
siede ai miei piedi, sul tappeto erboso, mi
prende la mano e, in silenzio, mi studia. Sta
analizzando le borse o il trucco sfatto o le
lentiggini? Mah.. La sua voce sembra Nutella
quando mi sussurra: “Rilassati”. Per riflesso
condizionato mi schiaccio contro
“l'impastatrice" che fa una piroetta all’indietro
catapultandomi per terra. Lui è di marmo, un
vago sorrisino idiota gli incurva le belle labbra.
Mi rialzo cercando di riconquistare l’aplomb.
Stavolta scelgo io la sedia. Parto agguerrita
verso un divano e mi ci fiondo sopra decisa. In
fondo è solo un divano. Nell’impatto sprofondo
in quella morbidezza e mi trovo con gli angoli
dei cuscini all’altezza delle orecchie. Ora
sembro Dumbo. Perché in questa casa sembra
tutto duro e poi affoghi nelle sabbie mobili? In
silenzio fisso le punte dei miei piedini. Ammiro
il suo impegno per non scoppiare a ridere. Ora
basta, ho dato abbastanza spettacolo, ora mi
alzo e gli dico: scusa, si è fatto tardi, vado.
“Vuoi bere qualcosa?” La sua voce rompe il
silenzio. Lo guardo disperata attraverso la
cortina di capelli. Annuisco buttando fuori tutta
l’ansia in un rumoroso sospiro e rimango
incantata ad osservare come si muove in quella
alcova per ricchi. Sembra un leopardo nella
giungla, e io la sua preda. Torna con una
bottiglia di champagne e due coppe ghiacciate.
“Ti sento un po’ tesa. Non preoccuparti sono
innocuo e non ho mogli nascoste negli armadi.”
“Mi dispiace.” Rispondo tanto per dire
qualcosa. Ma lui diventa di colpo serio.
“Dispiacerti? E perché mai?”
“Dicevo per dire” In realtà non sapevo cosa
dire. “ Che idea ti sei fatta di me? Sentiamo?”
Era duro e d’istinto arretrai.
“ Di la verità, pensi che per noia io me ne vada
in giro la notte a raccattare gente nelle
discoteche”
“Stasera hai raccattato me” dico col tono più
duro che riesco a recuperare.
"Ti sei offesa" Pareva stupito.
“Si raccattano le cicche da terra, una carta
sporca, una bottiglia di plastica vuota, se sei
ecologista!” Se sei un ecologista? Ma che sto
dicendo!Lui si mette a percorrere il salone a
grandi passi. Ci vorrebbe una pista di decollo.
È imbarazzato e ne sono felice.
"Sei bello, ricco, intelligente, non dici
parolacce e scommetto che non ti metti
neanche le dita nel naso! Perché hai
“raccattato” me?”
“Scusa, ho sbagliato termine. Volevo dire
trovare, incontrare.”
“Ormai. Quindi è stato un incontro casuale, ma
che bella favola” dico sarcastica. Lui non
coglie e continua a percorrere la pista creando
solchi sul tappeto persiano.
“Bè, mi sei piaciuta subito. Così distaccata,
sembravi non appartenere a nulla con quell’aria
spaesata.” Complimenti! Adesso ripeti tutto
lentamente e cerca di metterci più entusiasmo
se vuoi che ti creda, ma gli dico solo:
“Com’è romantico, quasi altruista! Non ti
facevo opera pia”
“Ok, ok. La vuoi tutta?-
“Si, e stavolta cerca di essere convincente.”
Mi assesto le orecchie del divano intorno alla
testa e lo fisso dritto negli occhi.
“Vedi io ho avuto parecchie donne, alcune
bellissime.”
“Non avevo dubbi ” Rispondo asciutta.
“ Da un po’ di tempo però, mi annoio. Per
fartela breve, volevo provare un’esperienza
nuova.”
“Provato con un uomo?” Mi guardò come si
guarda un ufo.
“ Non sono il genere. Niente di tutto ciò”
“Era un’ipotesi”
“Volevo una donna non necessariamente
bellissima, anche anonima”
“Eccomi”
“Anche se, conoscendoti meglio, mi sembra
proprio che tu sia tutto, tranne che
insignificante” Prosegue imperterrito. Quando
finisce, dopo ben dieci secondi, il discorso, mi
si siede vicino, come a cercare conforto, forse
somiglio alla madre.
"Se ho ben capito stasera tu mi hai scelta? Ti
sei detto: cosa faccio stasera? Vado a cercarmi
un cesso, quello di casa mia è troppo elegante."
"Sei tagliente e ingiusta! Non era nelle mie
intenzioni offendere...”
"Però l’hai fatto! Per cortesia, chiamami un
taxi.”
" Per favore rimani … potremmo divertirci!”
“Oltre a tutto il resto, hai anche un bel fegato.
Senti coso…. Come ti chiami…non mi piaci! –
Vedendo la sua espressione stupita continua
l’arringa – Non mi piace la tua perfezione, il
tuo ottimo gusto, la tua casa perfetta! Non
sembri nemmeno vero! E poi hai il senso
dell’umorismo di un nazista!” Raccattai la mia
borsetta che perdeva strass come una cometa e
mi diressi alla porta. In macchina è muto come
una bara.
“Posso avere il tuo numero di telefono?” Lo
fissai esterrefatta. Non è abituato a perdere,
nemmeno con una come me!
“Per qualche altra serata noiosa? No grazie! Di
monotono mi basta la mia vita.”
IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU
Sbatto la portiera e corro in casa. Casa mia!
Piccolo immenso nido di pace! Tra le lacrime
verso il latte a Pisolo. Sempre piangendo, mi
schianto sul letto d’ottone di nonna e mi
addormento stremata.
L’indomani mi rivedono in ufficio con occhiali
neri alla Loren, foulard anti–cervicale e
richiesta di asilo politico nell’ufficio della mia
amica Grazia.
“Dio mio, hai un aspetto spaventoso!”
“Grazie Grazia. Non ho dormito." Mugugno
dirigendomi alla macchinetta del caffè.
"Ma dai? E' una novità! Hai lavorato o crisi
esistenziale?
"Né l'uno né l'altra. Sono uscita con un uomo."
"Cosaa!! Lo sapevo! Quando c’è un uomo di
mezzo vai sempre in crisi. Dove l’hai
conosciuto? Com’è? Cosa avete fatto? Vi
rivedrete? Dai racconta!!" Sbraita riducendomi
i timpani a fettine. Cosa mi è venuto in mente!
Il destino provvidenziale mi viene in soccorso.
Carla, la segretaria entra di corsa, già
stropicciata alle nove del mattino. Ha il colletto
posticcio della camicia a rovescio. Sembra che
parli da dietro come l’esorcista. Mi aspetto che
vomiti verde da un momento all’altro. Devo
dire che la natura l’ha già ricompensata: è
verde tutto l’anno, anche quando si abbronza.
Mi si avvicina con fare cospiratorio e mi spara
a bruciapelo una tonnellata d’aglio digerito sul
naso. Ho un conato di vomito e mi giro con
discrezione a guardare la stampa sul muro.
“C’è un signore al telefono, ti vuole, dice di
chiamarsi Dupré, Dott… Duprè. Com’è? E’
carino?!” sorride eccitata. Finalmente mi mette
a fuoco. È come se mi vedesse per la prima
volta. "Mamma mia! Sei finita sotto uno
schiacciasassi?”
“E due. Non conosco nessun Duprè. Digli che
non ci sono per favore!” Esce sconsolata
ciabattando. Le ho fatto fallire un matrimonio.
“Allora? Non mi racconti niente?- incalza
Grazia- Ci hai già dato dentro?….dalla faccia
direi di si…anche se, in teoria uno dovrebbe
stare meglio dopo. A volte però la prima
volta….però conoscendoti…”
Esco di corsa mentre sta ancora farneticando,
tanto prima o poi tornerà alla carica. Fatemi un
necrologio. Corro nel mio ufficio. Una cosa
che va veloce si vede meno! Errore. Il capo mi
blocca la corsa con la gamba. Miracolosamente
mi salvo la faccia. Non è una metafora. Gerry
scruta i miei gonfiori attentamente. Scuote la
testa e con fare paterno esordisce:
“ Quand’è che imparerai che non si deve
andare incontro ai muri a tutta velocità?” senza
guardarlo rispondo
“ Quando lei la smetterà di fermarmi solo
quando sono un rottame narcotizzato.”
“Sai bene che ci tengo alla tua salute. Chi
meglio sta, meglio produce.”
“Tradotto, qualunque sia il tuo stato
psicologico odierno, schiava, se ti trovo a
perder tempo, ti spedisco a contar granchi a
Briatico!”
“Perché Briatico?”
“Ci abitava un mio ex- fidanzato.”
“Ora sono serio Varra. Voglio l’articolo tra
un’ora sul mio tavolo. Chiaro?”
“Zi badrone. Du non agida zennò sgobbia! Ci
tengo a un capo come lei. Non vorrei che mi
capitasse qualcosa di peggio!” Se ne va
sbattendomi la porta sul naso. Entro nel mio
bunker e mi chiudo dentro. Spossata mi
appoggio alla porta. E’ il mio ufficio, quello di
sempre, pieno di foto e articoli famosi, non
miei, attaccati alle pareti con puntine colorate.
Ma c’è qualcos’altro di colorato stamattina. Un
enorme mazzo di rose gialle. Le mie preferite.
Corro a leggere il biglietto in evidenza.
"Dammi un’altra chance Roberto". In calce c’è
il suo numero di telefono. Roberto?E chi è? O
Dio! Mister Perfezione! Come avrà fatto?
Sicuramente ha frugato nella mia borsa mentre
ero alle terme di Caracolla. La testona di
Grazia si affaccia furtiva alla porta. Sembra un
grosso bradipo strabico:
“Serve aiuto? Un thè, un confessore, una
lametta?? Che belle rose!! Si può sapere che
stai combinando? Sono di lui? Oddio com’è
romantico!! Dai, voglio tutti i particolari e
dimmi la verità o quello che dirai lo userò
contro di te!” Sibila ostinata.
“Fuori!!” Urlo disperata ma poi guardo la sua
facciona triste e ho un moto di pena “Ok, ok se
vuoi sapere qualcosa ci vediamo stasera a casa
mia. Adesso vattene subito devo scrivere il
pezzo per Gerry,.” Abbreviazione di “Gerarca”.
Nomignolo appioppatogli da tutta la redazione.
“Nemmeno un cenno? Un’anteprima esclusiva
per la nostra emittente?”
“Basta!” Finalmente esce con un mugugno
osceno. Stavo per rientrare nell’orgia dei miei
pensieri, quando la Pina si presentò col caffè
bollente.
“Grazie cara! Sei quasi santa! Ti ricorderò nelle
mie preghiere.”
“Non è il caso, vedendo l’effetto che hanno su
di te! Tu preghi?” La Pina quando parla
trascina le lettere, sembra parli all’indietro.
“Di tanto in tanto, quando ho bisogno di soldi.”
Guardò scettica il mio collant smagliato.
“Forse ci metti poco impegno” E uscì con i
piedi al seguito, sempre in ritardo sulla sua
testa. Il caffè non era poi così buono. Mi
sentivo in uno stato di totale disfacimento
mentale. Avrei voluto mollare tutto e infilarmi
sotto le coperte. Come avrà saputo dove
lavoro? L’articolo!! Il capo stavolta mi da
fuoco e usa la cenere per lavare le lenzuola.
Bene, ha detto tra un’ora? Tra un’ora l’avrà. Si,
il mio scalpo.
Mi siedo al computer e comincio a buttar giù
tutto quello che ricordo di non rilevabile da un
freddo nastro. L’uomo di Cuba. I suoi capelli.
Come se li toccava. Lo sguardo verso terra
quando ricordava. La sua pelle lucida e
bruciata dal sole cubano. Il lento cadenzare
delle parole, quasi una nenia. I sorrisi
improvvisi a tratti aperti, a volte tesi e
malinconici. La vivacità della sua forza e
l’essenza vitale così profonda da capire che
avevo di fronte un uomo. Scrissi per tre quarti
d’ora senza fermarmi, sentendo le mie
emozioni rinascere e grondare dalla
penna.“Perché non vuole credere di essere una
vincente?” Mi aveva posto questa domanda a
bruciapelo. Non avevo risposto. Lui aveva
continuato. “Quando avevo la sua età ero una
continua tempesta emozionale, come lei. Non
mi credevo, mi rapportavo sempre a tutti tranne
che a me stesso. Io ero il solo, vero nemico da
combattere. Non faccia più la guerra alle sue
emozioni, le accetti. Le viva.”Ero andata via
avvilita. Tutto ciò che ero si proiettava come
un caleidoscopio nella mia vita. Lui aveva
capito. E forse non solo lui. Così non va Gilda.
Devi assolutamente cambiare registro.
Comincerò da subito. Dal mio capo, per
esempio.
Presi l’articolo e mi diressi con flemma
studiata da lui. Abbassai lentamente la
maniglia infilando la testa dentro, di sbieco.
“Ha un minutino?”
“Per te anche zero Varra, entra!” Disse senza
alzare la testa dalle sue cartacce. In fondo era
un buono. "Ho finito e adesso vado dormire,
capo. Ci vediamo domani." E sbadigliando mi
avviai alla porta.
"Si sieda, lei non va da nessuna parte!” Mi
sbraitò dietro. “Oggi la mando da un bullo che
vuole essere intervistato." Lo fissavo attonita.
"Cavolo, ma lei è davvero un nazista! Ma non
mi vede?" "Non me ne frega niente del suo
stato. Lei oggi è dal professor Dupré che vuole
rilasciare un'intervista esclusiva al nostro
facoltoso giornale.” Sorrise ironico. Sembrava
un tricheco al sole. “Sarà il solito figlio di
puttana annoiato. Comunque – e batté il pugno
sulla scrivania. - Bisogna farlo! È pieno di
soldi, ammanicato con la politica. Ci può
tornare utile. Vada a casa, si faccia una doccia,
butti giù due aspirine e…” si fermò di colpo,
come fulminato. Si alzò girandomi intorno,
passandomi ai raggi x coi suoi occhi porcini.
“Bene” esordì alla fine dell’esame. “ Ripulita e
riposata sembrerà quasi umana. Ora vada e si
metta qualcosa di decente. Non i suoi soliti
stracci per la polvere." Volevo picchiarlo. Di
certo ci teneva parecchio all’intervista.
"Dunque, mi sembra d'aver detto tutto. Lui è
ingegnere e si interessa agli sviluppi nel
mercato dei sottoprodotti del nichel e le
variabili connesse…bla,bla,bla"
"Ma c'è Saltieri per questo settore. Mandi lui."
"L’avrei fatto volentieri. Mi sarei risparmiato
tutte queste parole inutili. Ma ha chiesto
espressamente di lei" Rigirava pensieroso la
matita nelle sue mani grassocce.
"E come mai? Ha visto il mio nome nell'elenco
dei Pulitzer?" Ridacchia. "Non lo so e,
francamente, non me ne frega niente. Mi faccia
avere il pezzo per stasera." E con questo aveva
chiuso.
"Stasera! Voglio un aumento!” Mi guardò
come fossi un insetto. “Varra, per quel che mi
riguarda lei prende molto di più di quello che
merita. Lavori” Schiava. Pensai io.
APPUNTAMENTO AL BUIO
Rientrai sconsolata nel mio ufficio e mi
accasciai con un sonoro sbadiglio sulla sedia
girevole. Ma anche la sedia aveva deciso di
ribellarsi e mi catapultò rovinosamente sul
pavimento. La situazione, da un certo punto di
vista, poteva essere divertente. Solo da un
punto di vista: quello di chi aveva allentato le
viti. Al peggio non c’è mai fine, pensai
rassegnata, ridendo sommessamente. Fu allora
che vidi l’uomo. Mi guardava disgustato,
incorniciato dagli stipiti scorticati della porta.
Una bella cornice per un morto.“Scusi. Ho
sbagliato ufficio. Cercavo una giornalista.
Gilda Varra.” E girando i tacchi decise che
non ero il suo tipo. "Aspetti" gridai dal
pavimento "Sono io!" Mi rivolse uno sguardo
schifato. Mi alzai lentamente massaggiandomi
la nuca. Un bernoccolo si stava affacciando alla
vita con orgoglio."La prego di scusarmi, ma di
solito mi siedo sulle sedie, non le smonto". Lo
guardai il più mortificata possibile."Lei chi è?"
Dissi massaggiandomi il bitorzolo. L’uomo
avanzò nel bugigattolo tendendomi un
bigliettino. "Le porto un messaggio del mio
signore". Signore? In che epoca siamo? Decisi
che era meglio non indagare. "L'aspetta questa
sera a Villa Clotilde alle ore ventuno. Passerò a
prenderla alle ore venti. Mi dia il suo indirizzo,
prego" E si ritirò in un angolo. In attesa. Come
un bravo cocker da cui aveva ereditato
geneticamente le orecchie. Nel mio sguardo
transitavano nubi nere cariche di fulmini.
"Signor “Comesichiama”, io, la sera
abitualmente, non lavoro perciò dica al suo
signor padrone che….." Non riuscii a
terminare.
"Che la signorina verrà sicuramente" La testa
del il mio capo, semincassata nello stipite della
porta, si affacciò sorridente, come un fungo
dopo la pioggia. Immaginai quel “boletus
gigante” rotolare ai miei piedi in un mare di
sangue. Ma quel giorno, era destino, tutti
decidevano della mia vita. Il maggiordomo si
ritirò in silenzio come da copione e rimasi sola
con l'orco-padre."Capo io non ce la
faccio!Possibile che non ha pietà!"
"Niente che non possa risolversi con una
doppia aspirina e una doccia fredda."
“Lei ha una ricetta per tutto. Sempre la stessa.”
“Non faccia la spiritosa. Vada a casa e dorma.
Sembra uno zombi. Non più di due ore. Troppo
sonno fa male. Stasera la voglio in pista
pimpante come sempre. Si fa per dire...".Presi
la borsa come una furia e mi precipitai agli
ascensori. Incontrai Salteri. Era appoggiato al
muro e mi aspettava come l’ultimo degli Orazi.
"Adesso ti metti anche a fregare il lavoro ai
colleghi!Brava! Complimenti! Voi donne siete
tutte uguali. Sesso e potere sul maschio. Ecco
quello che volete.” Ci mancava anche lui. Ero
al completo e in più dovevo sorbirmi una
seratina coi fiocchi!
DUEL
A casa trovai Pisolo che piangeva affamato. Gli
diedi da mangiare pensando a cosa mettermi.
Ora mi sdraio cinque minuti. Ci penserò dopo.
Alle venti e trenta il suonò del citofono mi
svegliò di soprassalto. Mi alzai sbandando e
caddi lunga distesa. Rantolando andai a
rispondere. Era il servo della gleba.“Cinque
minuti.” Scesi dopo tre quarti d’ora. La scelta
dell’abito era stata particolarmente dolorosa e
frustrante. I chili di oggi non entravano negli
abiti di ieri. Farse ha ragione il capo. Devo
rifarmi il guardaroba. No, devo rifarmi e basta.
In macchina il maggiordomo non proferì verbo.
Congelato e insipido come un ghiacciolo.
Arrivammo al viale d'ingresso. Mi sembrava di
riconoscere il posto. Ma forse era suggestione.
Quando rividi il gazebo, la villa bassa e bianca
seppi che non era un dejà-vù. Ero a casa sua!
Aveva architettato tutto! Brutto bastardo!
Adesso però sono nel mio ruolo. Presto ne
assaggerai una dimostrazione, caro Superman!
Il mio istinto di giornalista d’assalto si era
risvegliato. Feci un ingresso trionfale, stavolta
dall'entrata principale. Pensai alla sera
precedente e mi venne un nodo alla gola.
Decisi di non pensarci. Dovevo cancellare
quella debolezza momentanea e
incomprensibile. Il domestico mi precedette in
una biblioteca coi muri tappezzati di libri.
"Prego si accomodi. Il dottor Dupré la
raggiungerà presto." E sparì silenzioso. Mi
sedetti comodamente su uno scranno da re e
attesi. Ero tranquilla e volevo godermi la
disfatta.
La stanza era enorme e arredata con gusto.
Dappertutto ricordi di viaggi. Soffici tappeti e
poltrone di pelle color tabacco. Mi avvicinai ad
un étagère carico di libri. Da una nicchia
sporgeva una statuetta d’alabastro. Raffigurava
una donna abbandonata su una pietra. Era così
bella che mi persi a contemplarne le fattezze.
"E' il pezzo che amo di più della mia
collezione". Sussultai come scoperta a rubare.
"Scusami, non volevo spaventarti. Quel pezzo è
antichissimo." Si allontanò da me e mi indicò
una poltrona. Mi appollaiai sul trespolo, una
gamba sotto il sedere, come i pappagalli. "A
che epoca risale?" Dissi noncurante.
"E’ stata trovata durante gli scavi che abbiamo
sovvenzionato nello Yucatan. E' una donna che
sta per morire e accetta con serenità la fine."
"La stanno per uccidere?" "Non ha molta
importanza,non trovi?" "Eccome se ne
ha!Credo che non riuscirei a essere così serena
se stessero per farmi fuori!"
"Vedi, questo è un tuo limite. Non sai
rassegnarti all'inevitabile."
"E scommetto che l’inevitabile sia tu..” Dissi
"Sono qui per l’intervista. Il mio capo aspetta
l'articolo per stasera. Vogliamo iniziare?"
“Lo sai benissimo che non me ne frega niente
dell'intervista."
"Ah si? E al mio capo che dico?Scusa Gerry
ma il super-mega- imprenditore non aveva
voglia di parlare. E domani mi ritrovo a buttare
quotidiani vicino alle porte. Non ho nemmeno
la bici!"
"Non sapevo come fare per parlarti."
"Potevi telefonare" suggerii laconica.
"Si,certo,mi avresti risposto?" Mi fissava
sfidandomi.
"No.” Cadde di colpo un silenzio imbarazzato,
rotto solo dai nostri respiri e dal soffiare del
vento sotto gli scuri accostati.
"Vogliamo deporre le armi per un minuto.”
Disse a voce bassa.
- Non ti immagini perché ti ho fatto venire
qui?-
- No, non ho fantasie a riguardo –
- Volevo scusarmi -
- Bene, l'hai fatto. Grazie. Col capo me la vedo
io." Ero dura e non avevo nulla da dirgli. Ero
stata incastrata e non mi era piaciuto.
Presi la borsa e mi avviai col mio passettino
barcollante verso la porta. Lui con una falcata
mi bloccò il passo aggrappandosi ai miei
capelli.
"Ahi!! Cavernicolo!"
"Con donne come te bisogna fare così!!"
Barcollammo entrambi. Il persiano scivolò
accartocciandosi sotto il mio piede e caddi
rovinosamente. Il mio cavaliere, per
sorreggermi, si abbatté lungo disteso sul
tappeto stritolandomi, col suo dolce peso,
l'altra metà della gamba. Per un attimo
fuggevole ci trovammo ad armi pari. I suoi
occhi nei miei, strabici per la posizione. Riuscii
a farfugliare "Se fosse stata una persiana….i
segni della tapparella….chi me li levava più!" e
svenni dal dolore.
A LETTO COL NEMICO
Mi ritrovai stesa in un letto candido. I vestiti
erano spariti. Le mie gambe c'erano, ma al
posto del piede avevo un bellissimo stivaletto
bianco in “pendant” col lenzuolo. "Finalmente
signorina, ci ha fatto prendere un bello
spavento" Disse una voce alla mia destra. Un
angelo vestito di bianco era proteso su di me e
mi studiava.
"Sono il professor Dupré. Avete fatto una bella
frittata, voi due. – Una nota di tenerezza nella
voce - Roberto è nella stanza di fronte, si è
fratturato un braccio. Stasera vi portiamo a
casa. Mi permetterà vero signorina, di
prendermi cura di lei durante la convalescenza?
Del resto l'incidente è avvenuto…" Ma cosa
diceva questo qui? Casa sua? Suo figlio? Sono
nel reparto psichiatrico?. Una voce concitata
emerse dal nulla. “Gilda,Gilda.." "Che c’è?
Dove sono! L'intervista. Gerry. Devo andare!"
"Stai delirando, come sempre. Non parlare
tesorino. Adesso c'è la tua amica Grazia qui
con te."
"Dove sono Grazia? Che è successo?" Dissi
aprendo finalmente gli occhi.
"Ora ti racconto! Che bello!Sembra
beautyfull!! Ti sei rotta un piede. Niente di
serio intendiamoci. Ti hanno ingessato e ne
avrai per un mesetto. Sapessi la faccia che ha
fatto Gerry quando ha visto le due barelle e
dentro tu e il Duprè!! È eccitatissimo. Ti sta
organizzando…Vabbè, questo te lo dirà lui.
Hai dormito per ore. Non riuscivano a
svegliarti. Sembravi così serena!Per la prima
volta non ringhiavi!"
"Grazie cara! Ma chi è il vecchio?"
"E' il padre! Non hai sentito? Ed è il padrone di
questa bella baracca dove sei adesso. Cara mia,
il tuo piedino da Cenerentola ti porterà fortuna.
Ti stanno organizzando un soggiorno di riposo
da regina.” Disse agitandosi nella sua super-
mini ombelicale. “Chi, sta organizzando?
Cosa?” “Il capo fa sul serio. Vuole uno scoop.
Un’esclusiva!” Mi sussurrò all’orecchio.
“Vedrai. Ti rimettono a nuovo a villa Clotilde.
Diventarai famosa! Ed io sono tua amica!”
Batteva le mani felice. “Non ti dimenticherai
della tua amica Grazia. Vero Gildina?”
"Io non vado da nessuna parte. Poi c'è Pisolo,
mica posso lasciarlo solo."
"A lui penso io. Non preoccuparti ne ho già
tre."
"Si,così lo ritrovo a forma di scatoletta. No cara
io vado a casa miaaa! Chiaro??" Ero agitata,
spaventata, confusa.
“Che succede qui? Grazia, perché fa agitare la
nostra eroina?” il mio capo irruppe nella stanza
come un tornado estivo. “Mia cara ragazza che
c’è? Lo so, lo so! Adesso è a terra, ma pensi
allo scoop! Segretaria salvata da miliardario.
Non è fantastico?” disse con tono mieloso.
“Negrerio! possibile che non sa pensare ad
altro? E poi non sono una segretaria!!
Maledizione!” Mi abbattei sconsolata sul
cuscino di marmo. “Ma ci pensa? Andrà a stare
nella suite di quella nave da crociera! Magari
fossi così fortunato!”
“A si? Vuole che glielo spezzi subito il suo bel
piedino di porco? Dobbiamo solo affittare una
principessa che abbia aspirazioni suicide.” Si
diresse alla porta e mi guardò serio. “Insomma
Varra, poche ciance, lei andrà là e mi
relazionerà quotidianamente su cosa succede.-
ruggì irritato - Una telenovela dal vivo! Che
meraviglia! Si rende conto?” Mi latrò in faccia.
“No, no e no!Voglio andare a casa!!” dissi
depressa.
“Anche se le do l’aumentino?” Bastardo,
pensai, brutto bastardo puzzolente! Sbattè la
porta e sentii di lontano un rumore di vetri.
“Che animale.Tesoro, non dargli retta. Se non
te la senti ti porto a casa mia e veglierò su di te
giorno e notte fino a che morte non ci separi”
Andiamo bene, dalla padella alla brace.
Fu così che capitolai. Fui trasportata con tutti
gli onori alla nobil dimora. Mi sembrava di
partecipare al mio funerale. Mancava la banda.
Il mio capo era in testa con telecamere e
reporters. Avrei voluto essere morta. “Mi
raccomando, telefoni. Tutti i giorni” mi
sussurrò prima di sparire nella limousine.
“Vada al diavolo” Ma sapevo che l’avrei fatto.
Solo per denaro mi dicevo, solo per denaro. Fui
sistemata in una stanza tutta avorio e rosa
antico. Mi avevano rifornito di stampelle,
televisione, libri, telecomandi, giornali.
Mancava la ciotola per il gatto.
Il pomeriggio dello stesso giorno mi svegliai
inebetita. Dove sono! Presi uno dei giornali
sparsi sul letto. La notizia dell’incidente, era in
quarta pagina. Mentre leggevo disgustata le
fregnacce di Gerry, bussarono delicatamente
alla porta. “Posso?” la voce di Roberto arrivò
ai miei timpani col cigolio della porta. “La casa
è sua.” Schiuse lentamente il battente, la mano
sinistra sulla maniglia. Forse avrebbe avuto
difficoltà con lo spazzolino da denti, ma poteva
camminare. Aveva gli occhi gonfi e contusi e il
fascino temporaneamente appannato.
“Senta, facciamo una tregua.” Disse
conciliante.
“Se vuole possiamo giocare a ramino.”
“Intanto, perché non ci diamo del tu.”
“D’accordo. Stronzo.”
“Era meglio il lei.”
“Senta Duprè. Sarò breve. Sono rimasta qui per
un’unica ragione. Se me ne vado mi
licenziano.” Mi fissò, improvvisamente attento.
“Interessante. E per quale motivo?” La lingua
era arrivata là dove il pensiero faceva acqua.
Tentai una strategia “Perchè il mio capo pensa
che, potrei intervistarla meglio se rimango.”
Pregavo che ci credesse.
“Di certo il suo capo non avrà pensato che tra
noi possa nascere qualcosa e fare uno scoop
vero?” Non che pensassi fosse cretino, ma una
parte di me ci sperava. La mia espressione
parve divertirlo. Una risata profonda lo scosse
piano. Gli mollai un ceffone.
“Per chi mi ha preso?” Lui smise di colpo di
ridere. “Non ho detto che sono d’accordo col
capo!”
“Però farà di tutto per accontentarlo.” Schivò il
secondo schiaffone. Ci fissammo con astio.
“Lo sa Gilda – disse massaggiandosi
l’impronta della mia manina – Pagherei non so
cosa per sapere cosa vuole dalla vita.” E usci
zoppicando dalla stanza. La telefonata di
Grazia mi impedì di scivolare in speculazioni
depresse sulla mia esistenza.
“Come stai tesoruccio? Ti hanno sistemata
bene? Com’è la tua camera? E Ridge dov’è?
Dai raccontaaa!!”
“Sono depressa. Gerry è li appostato in
ascolto?”
“Sei pazza - era un’affermazione - sono a casa
mia e sto ascoltando Dostoyeski.”
“Tchiaycowski, Grazia, Tchiaykowski.”
“Mamma come sei pignola! Vabbè Tarkoski o
come cavolo si chiama. È superbo. Quasi quasi
è meglio di Madonna.”
“Si, Madonna lo dico io. Senti sono stanca ora
mi farò un pisolino.”
“Ma non mi dici niente?” la sua voce era
palesemente delusa. Volevo mettere un abisso
tra me e le mie vicissitudini.
“Non te la prendere Grazia. Ci sentiamo
domani. Stammi bene” Riattaccai sfinita. Mi
appoggiai ai cuscini di piume e sprofondai in
un sonno agitato, pieno di incubi. Sognai di
lavare piatti e pavimenti per il mio facoltoso
ospite. Lo squillo del telefono mi liberò dalla
schiavitù. Risposi con un pronto arrabbiato più
che assonnato. “Cos’è. Sei già stufa della
reggia?dov’è il tuo principe, l’hai già
avvelenato col tuo morso?” La voce di Gerry
esplose nei miei timpani come un petardo.
“Non c’è niente da scherzare. Si l’ho sezionato,
adesso è nel frigor che riposa. Che vuole?”
Berciai nel microfono. Sentii la sua risatina
chioccia. Era soddisfatto il bastardo. Mi aveva
incastrato bene.
“Dai Varra, cerca di godertela. Chissà quando
ti capiterà un’altra occasione simile. Stai
scrivendo l’articolo?”
“Ehi! Ma lei è proprio irriducibile! Sono qui da
un’ora e già rompe. Io sono infortunata, se lo
ricorda?”
“Si ma le manine ti funzionano. Domani ti
faccio portare il computer così non avrai scuse.
Anzi, te lo porto io. Sono curioso.” Continuava
a ridacchiare. Era irritante come un’ortica e
glielo dissi. “Vedrai che domani appena mi
vedi andrà meglio. Ti scoppierà anche il
morbillo.” E sbatté la cornetta. Tutto nella
norma. Mi riadagiai sui morbidi cuscini
sperando in un’ora di tranquillità. Mi ero
appena appisolata quando bussarono di nuovo.
Caspita! Riuscivo a riposare di più al lavoro!
Avanti, urlai. Entrò una donnina anziana.
Portava un vassoio con dentro qualcosa di
fumante. “L’ho vista così pallida e affaticata
che mi sono permessa di prepararle una mia
specialità” Appoggiò la brodaglia sul letto.
“Bevi cara, vedrai, dopo ti sentirai meglio.”
Emanava da lei qualcosa di strano, sembrava
fuori dal tempo, mi fidai istintivamente. La
brodaglia sapeva di aglio, menta, limone e
qualcosa d’altro di schifoso. La bevvi tutta
nonostante il sapore. Mi sistemai e fissai quegli
occhi profondi e dolci. Lentamente mi rilassai
come placata da un balsamo. Cominciai a
piangere. Prima sommessamente, poi in un
crescendo di singhiozzi. Un pianto di bambina,
pieno di rabbia e di sconforto. E mi ritrovai
nelle sue braccia. Mi cullava e mi blandiva. E
lentamente mi addormentai. Placata e svuotata.
Lei lì. A vegliare su di me.
THE FINAL COUNTDOWN
Quando mi svegliai non c’era più. Mi alzai e a
fatica raggiunsi il bagno. Ci misi un’ora per
calarmi i pantaloni del pigiama. Quando uscii
era calato anche il sole. La casa era silenziosa e
statica. Decisi di andare a cercare la donnina.
Volevo ringraziarla. Il corridoio era deserto e
buio. Sul lato destro le stanze si susseguivano
in un elegante snocciolarsi, il lato sinistro si
affacciava sulla scala in marmo. Una lunga
passatoia verde salvia rendeva i passi soffici e
silenti. Solo l’eco sinistra delle stampelle
rendeva la scena come un film giallo di infima
categoria. Le porte massicce erano chiuse.
Dormivano anch’esse. Mi guardai in giro in
quel magico silenzio. Era piacevole. Mi sentivo
come l’eroe di “viale del tramonto”, solo che
lui era finito in una piscina a faccia in giù.
Entrai di soppiatto nella stanza accanto alla
mia. Tutto era avvolto dalla penombra. Un
dolce aroma di tabacco mi giunse alle narici. Il
balcone era aperto e le tende svolazzavano
mollemente nella brezza serale. Anche le
zanzariere del grande letto a baldacchino si
muovevano lente. Un uomo riposava. Nudo. Il
sorriso estatico e indifeso. Arrossii. Ma che mi
succede? Se ricordo bene ha tutto al posto
giusto. Facevo fatica a non abbassare lo
sguardo. Era così bello. Un principe. Ed io la
cenerentola sfigata. Adesso lo bacio e si
risveglia rospo. Mi scappò una risatina e due
occhi neri si aprirono fissandomi senza
vedermi. Si tirò su di scatto coprendosi col
lenzuolo. “ Ehi! che ci fa qui?”
- Scusi – risposi con un certo imbarazzo. – la
porta era aperta.”
- Tentazione irresistibile per una giornalista.-
Disse sornione mettendosi a sedere sul letto. La
nudità lo rendeva vulnerabile e..terribilmente
sexi.
- Volevo solo curiosare un po’…- Risposi
guardandomi intorno. Fissare quel pezzo di
torso nudo m’imbarazzava. L’avrei
mordicchiato fin a ridurlo a un torsolo. Lui
però non doveva accorgersene.
- Lei dorme sempre…..- Mi sfuggì, lui, per
tutta risposta si alzò dal letto. Era
completamente nudo.
- Ti prego! Copriti! – Esclamai spianando le
dita aperte. Gli occhi brillanti, mi fissava
stuzzicato e decisamente consapevole di essere
un richiamo seduttivo. Senza scomporsi
minimamente andò ad infilarsi una vestaglia di
seta.
- Sono riuscito a farmi dare del tu.- Il tono era
decisamente sfottente. Si sedette di fronte a me,
soddisfatto come un gatto. I miei disseppelliti
appetiti sessuali mi lasciarono sconcertata. Era
raro che un uomo riuscisse a farmi sudare
freddo.
- Su, non fare quella faccia. Non mi dire che ti
vergogni?
- Vergognarmi? E di che? Di un bellimbusto
che pensa di essere irresistibile?- Si rabbuiò di
colpo. Il gioco era già diventato faticoso.
- Lo sono? –
- Certo che no!-
- Non ti rilassi mai vero - Era una
constatazione.
- E’ un lusso che non posso concedermi. –
Dissi, improvvisamente inquieta – Sei un
estraneo per me. E poi con l’esordio che c’è
stato tra noi -
- Spiegami una cosa allora, mia algida signora,
come mai l’altra sera sei venuta a casa mia? A
casa di un perfetto sconosciuto? – era
arrabbiato - Sei un po’ contraddittoria. Non
trovi? – mi studiava mentre mi arroccavo sulle
vette della mia diffidenza desiderando solo di
sparire.
- L’altra sera era l’altra sera. Ho agito
d’impulso..sbagliando. -
- Secondo te seguire l’impulso significa
sbagliare?- Non avrebbe mollato facilmente.
- Bè..guarda cos’ho combinato seguendo
l’istinto! – questa conversazione non avrebbe
portato a nulla, solo a consolidare la pessima
impressione che stavo dando di me. Mi sentivo
debole. – Comunque non sono sempre così, un
disastro..- avevo ormai le lacrime agli occhi.
- lo so. – la sua voce era tranquillizzante. Come
avrei voluto tuffarmi in quelle braccia
rassicuranti, affondare il viso nella sua ascella
che sapeva di buono, farmi trattenere
teneramente dal suo abbraccio. Era un sogno
rischioso. Mi avrebbe cacciata in un altro
guaio. Non potevo rischiare, mi dissi, così mi
alzai e mi diressi alla porta con finto distacco -
Grazie, è stata una conversazione molto
istruttiva. – dissi mentre uscivo arrancando. Ma
lui non aveva ancora finito – Avere sempre
l’ultima parola non vuol dire avere sempre
ragione? – Non replicai e corsi zoppicando
nella mia stanza. Mi buttai sul letto. Misi la
testa sotto il cuscino e piansi come uno struzzo.
Caddi in un sonno agitato dove comparivano
cimiteri di saponette alla pesca che
producevano tonnellate di schiuma bianca che
m’inseguiva. Mentre correvo verso la salvezza
caddi dal letto. Aprii gli occhi giusto in tempo
per vedere le pantofole della vecchina che mi
dicevano: “la cena è pronta tra dieci minuti”
- Aspetti! – gridai. Era già sparita lasciandomi
per terra a contare il numero infinito dei miei
errori. Mi alzai a fatica. La testa mi martellava
come un tamburo. Passando davanti allo
specchio vidi la mia immagine riflessa. Quante
volte ero fuggita da quella visione. Sempre di
corsa, mi dicevo, non avevo tempo. Mi
trascuravo e lo sapevo, attribuendomi il valore
di una camicia da stirare, mai da abbellire.
Niente trucco, troppo faticoso. Niente profumi,
solo deodoranti anallergici. Sapone di
Marsiglia. Una ragazza acqua e sapone. Lo
specchio mi rimandava un’immagine indecisa,
sfuocata, anonima.
Non avevo mai sentito l’esigenza di cambiare
le regole. Quella routine che fino ad oggi mi
aveva fatto sopravvivere. Già, sopravvivere,
non vivere. Stare a galla, barcamenarmi,
adattandomi il meno possibile, faticando lo
stretto necessario.
Fino al colloquio con quell’arrogante
bellimbusto! Ma da quel colloquio ero uscita
con le ossa rotte. Perché non riuscivo a farmi
piacere la solita Gilda che, con aria spaesata,
mi fissava dall’altra dimensione. La Gilda che
volevo vedere, goffa, fuori luogo. L’unico
pregio che mi concedevo: l’abilità di passare
inosservata. Improvvisamente una furia
sconosciuta s’impossessò di me. Mi lavai i
capelli lasciandoli bagnati. Li riempii di gel e li
legai bassi sulla nuca. Applicai un chilo di
mascara marrone che s’intonava al colore
ambrato dei miei occhi. Un tocco di rossetto
color arancio. Un po’ di terra indiana per
attenuare il pallore, Acqua di Jo dietro le
orecchie, tacchi a spillo, un abito lungo senza
maniche blu metallo a collo alto, e per finire, la
spilla di zaffiri di mia madre, unico bene
mobile esentasse. Prima di uscire buttai
l’occhio alla grande specchiera. Quello che vidi
non era un brutto anatroccolo,no, ma non ero
neppure io! Mi prese il panico. Volevo correre
a infilarmi la solita tuta sformata, nascondere la
testa sotto il cuscino. Scomparire. Troppo tardi.
Due dita leggere bussarono con discrezione alla
porta. Con una calma che non provavo andai ad
aprire. Roberto era in cima alla scala, perfetto
nel suo doppiopetto blu. Mi scrutò
attentamente, lo sguardo concentrato su
qualcosa. Arrossii, già prevedendo l’ironico
commento.
- Posso - E con la mano sana liberò il mio
vestito da un invisibile pelucco.
- Adesso sei perfetta.- Disse offrendomi il
braccio. Sorrisi, abbandonandomi a lui.
Stregata da quella strana luce che aveva negli
occhi, e che mi faceva sentire così bene.
E VISSERO FELICI E CONTENTI
…..non si sa per quanto