introduzione alla teologia della liturgia

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Page 1: Introduzione Alla Teologia Della Liturgia

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PONTIFICIUM ATHENAEUM

S. ANSELMI DE URBE

F a c u l t a s S a c r a e L i t u r g i a e

ANNO ACCADEMICO 2010-2011

INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA DELLA LITURGIA

Juan Javier Flores Arcas, OSB

Page 2: Introduzione Alla Teologia Della Liturgia

INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA DELLA LITURGIA Prof. Juan Javier Flores, OSB

Introduzione: La liturgia come luogo teologico.PARTE PRIMA: G l i a n t e c e d e n t i d e l l a T e o l o g ia l it u r g ic a .

1.1. Verso una Teologia della Liturgia.1.1.1. L’antichità cristiana: Spiritualismo cultuale.1.1.2. La Liturgia romana classica.1.1.3. Il Medioevo.1.1.4. L’epoca Moderna.1.2. Verso il Movimento Liturgico.1.2.1. La sua preistoria: l'illuminismo.1.2.2. Il secolo XIX: il Romanticismo.1.2.3. Il rinnovamento monastico: Dom Prosper Guèranger.1.3. La partecipazione liturgica: punto di partenza del Movimento Liturgico.1.3.1. Ripercussioni del Motu Proprio “Tra le Sollecitudini’’ di Papa Pio X.1.3.2. Il Movimento Liturgico ed i suoi Pionieri.1.3.3. Gli inizi del Movimento Liturgico.

PARTE SECONDA: I TEORICI DELLA TEOLOGIA LITURGICA.

2.1. Lambert Beauduin.2.2. Emanuele Caronti.2.3. Romano Guardini.2.4. Maurice Festugière.2.5. Odo Casel.2.6. Cipriano Vagaggini: la liturgia teologica.2.7. Achille Maria Triacca e la Liturgia della Teologia2.8. Salvatore Marsili: la teologia liturgica

PARTE TERZA: LA REALIZZAZIONE DELLA TEOLOGIA LITURGICA.

3.1. Da una riforma delle rubriche ad una visione teologica della Liturgia.3.2. Pio XII: Mediator Dei3.3. La Sacrosanctum Concilium.3.4. La Storia della Salvezza nella liturgia.3.5. La Liturgia, ultimo momento nella Storia della Salvezza.3.6. La Liturgia, attuazione del Mistero Pasquale.3.7. La Sacramentalità della Liturgia.3.8. Liturgia e non Liturgia.

PARTE QUARTA: LE CONSEGUENZE DELLA TEOLOGIA LITURGICA.

4.1. La Teologia liturgica in alcuni documenti della Chiesa post-conciliare.4.2. La Teologia liturgica nei teologi: Congar, De Lubac, Balthasar, Tillard.4.3. La Teologia liturgica in rapporto con le altre teologie.4.4. Dalla teologia liturgica alla spiritualità liturgica per arrivare alla vita liturgica.

CONCLUSIONE: LE COMPONENTI ESSENZIALI DI UN'AZIONE LITURGICA:

L’aspetto ecclesiale della Teologia liturgica.

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L’aspetto cristologico della Teologia liturgica. Le leggi della Teologia liturgica.

_____________________________BIBLIOGRAFIA_______________________

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INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA LITURGICA

Laudent te, Domine, ora nostra, laudet anima, laudet et vita; et quia tui muneris est quod sumus, tuum sit omne quod vivemus. Per Christum Dominum nostrum. (Ver. 1329).

Il primo intento è quello di spiegare brevemente il senso di questo corso di teologia liturgica, che all’inizio fu voluto e creato dall’abate Salvatore MARSILI OSB, fondatore del Pontificio Istituto Liturgico. Successivamente, dopo essere stato curato dal Padre Ildebrando Scicolone OSB e dal Padre Anscar J. Chupungco OSB, è stato affidato all’attuale Preside del PIL, Padre Juan Javier Flores OSB.

In principio il titolo del corso era Liturgia secondo il senso teologico. L’attuale docente l’ha voluto cambiare dandogli il titolo di TEOLOGIA DELLA LITURGIA o TEOLOGIA LITURGICA. Nell’ultimo piano di studi del Pontificio Istituto Liturgico è stato stabilito che tale corso avrà il seguente titolo: Introduzione alla Teologia della Liturgia, perché più vicino al contesto che deve essere affrontato. Un medesimo cambiamento l’ha fatto il Prof. Alceste Catella, nel nuovo manuale di Liturgia, Scientia Liturgica. Attiguo a questo corso, è il corso di Teologia Liturgico-Sacramentaria. Questi due corsi si trovano in stretta relazione, ma sono indipendenti l’uno dall’altro.

Cosa si deve studiare ed approfondire? A noi - in questo corso - non interessa tanto l’aspetto metodologico della liturgia, neppure il problema della liturgia nel suo insegnamento all’interno del quadro teologico generale. Non ci si deve soffermare neanche tanto sul dibattito relativo alla liturgia nell’attuale campo teologico - anche se di questo argomento ci saranno degli accenni importanti - né sul rapporto tra la teologia dogmatica e la teologia sacramentaria in particolare.

Tutto questo, anche se molto interessante, non rientra nei compiti del nostro corso di teologia liturgica. In tal senso, ormai sembra superata - almeno nel dibattito teologico-liturgico - la visione della liturgia come locus theologicus (luogo teologico).

Oggi, alle soglie del terzo millennio, ci interessa, attraverso il Marsili, lo studio della comprensione della Liturgia come locus theologicus per arrivare alla

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comprensione della teologia come locus liturgicus. Dunque, c’è stato un capovolgimento di prospettive. Nessuno come Marsili è arrivato ad una teologia nel senso più profondo, sino a parlare della Liturgia come luogo teologico. In effetti, oggi si può parlare - non in senso generale - di un superamento della comprensione della liturgia come luogo teologico.

Questo capovolgimento avviene prima di tutto con il Movimento Liturgico. Con Odo Casel, come si vedrà, si passerà dalla liturgia alla teologia liturgica attraverso la “filologia”. Pure con Casel la liturgia ha ritrovato un posto centrale nella teologia. E’ stato un lento passaggio dalla liturgia alla teologia liturgica. Casel ha saputo dar inizio ad un nuovo modo di considerare la liturgia stessa. Egli è stato il primo studioso a sentire il bisogno di collegare la riscoperta della liturgia con la riformulazione del discorso teologico.

A Salvatore Marsili si deve, invece, il primo tentativo sistematico di costruzione di una teologia liturgica, non nel senso di una liturgia interpretata teologicamente, ma di una Liturgia come ultimo momento e prolungamento della Storia della Salvezza.

Su questa linea, nella quale si è inserito il Concilio Vaticano II dobbiamo muoverci, perché ci interessa la comprensione/visione della liturgia intesa come celebrazione del mistero pasquale di Cristo dalla quale dedurne tutte le conseguenze. Non entriamo nei particolari, ma procederemo nell’ambito della liturgia, senza riferirci né ai sacramenti né all’Anno Liturgico o all’Ufficio divino.

Poi ci soffermeremo fondamentalmente sul senso teologico della liturgia per fare un lungo cammino verso una teologia della liturgia. In questo senso, si noterà un binomio inscindibile Chiesa-Liturgia, dal momento che la liturgia cristiana è la festa della Risurrezione di Cristo e manifesta il Mysterium Paschae, nel senso più ampio. Ciò porta anche al mistero della Croce che diventa una premessa importante allo stesso mistero della Risurrezione. Essa porta in sé il mistero della croce che è poi l’ultima premessa della resurrezione. Tutto questo ha un’ importanza fondamentale per questo corso teologico-liturgico.

Facendo un ulteriore passo, verso il Mistero di Cristo, approfondiremo pure il Mistero della Chiesa che ci deve portare al Mistero di Dio celebrato nell’azione teologico-liturgica nella vita dei fedeli.

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Chiediamo a Dio il suo aiuto perché possiamo veramente penetrare il Mistero di Dio, essere straordinariamente arricchiti con la sua Grazia nel Mistero che dobbiamo sempre cercare, vivere e celebrare.

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PARTE PRIMA

GLI ANTECEDENTI DELLA TEOLOGIA LITURGICA

Sc h em a

1. Verso una Teologia della Liturgia.1.1. L’antichità cristiana: Spiritualismo cultuale.1.2. La Liturgia romana classica.1.3. Il Medioevo.1.4. L’epoca Moderna.

2. Verso il Movimento liturgico.2.1. La sua preistoria: l'illuminismo.2.2. Il secolo XIX: il romanticismo.2.3. Il rinnovamento monastico: Dom Prosper Guèranger.

3. La Partecipazione liturgica: punto di partenza del Movimento Liturgico.3.1. Ripercussioni del Motu Proprio “Tra le Sollecitudini” di Papa Pio X.3.2. Il Movimento Liturgico ed i suoi Pionieri.3.3. Gli inizi del Movimento Liturgico.

1. VERSO UNA TEOLOGIA DELLA LITURGIA

Se consideriamo l’espressione «teologia della liturgia» in senso tecnico, allora dovremmo dire che il cammino storico di questa parte della teologia è relativamente breve; ma se consideriamo l’espressione in un’accezione più lunga, e intendiamo per «teologia della liturgia» l’impegno, da parte di tutte le generazioni cristiane, di riflettere sulla esperienza del culto e di cogliere il rapporto che intercorre tra la teologia (fede) e la prassi celebrativa (lex orandi - lex credendi), allora il cammino storico da percorrere è molto più complesso. Noi cominceremo con lo studio della storia della comprensione teologica del culto per arrivare ai teorici e alla realizzazione di questa teologia liturgica.

Gli autori che svolgono lo studio della teologia liturgica - tra loro il Marsili - partono dall’indagine sul termine «liturgia», allo scopo di coglierne il suo significato nei diversi ambiti d’uso e nell’evoluzione di questo significato, specialmente per quanto riguarda il mondo biblico1.

1 In questa direzione si può leggere il capitolo primo di Liturgia Momento nella storia della Salvezza, a cura di S. Marsili, Marietti, Genova 21972 (VII ristampa 2001) Anàmnesis 1, pp. 33-45, o meglio ancora Nozione di liturgia, di A. Chupungco, in Scientia Liturgica, voi. 1°, pp. 17-25, oppure il Grande Lessico del Nuovo Testamento (Kittei), sotto la voce liturgia, leitourgia, leitourgikos, leitourgeo, anche se nell’ambito diquesto corso ci fermeremo a delle conclusioni riassuntive.

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Le questioni che tratteremo prendono spunto dalle seguenti osservazioni:

Nella traduzione dei LXX il termine leitourgia aveva assunto un valore tecnico per indicare il culto levitico.

Il Nuovo Testamento prende le distanze da questa concezione; tralascia il termine tecnico e recupera la comprensione del culto nella linea spirituale, nella linea della più genuina tradizione profetica.

Così la parola "Liturgia" si libera dai suoi modelli veterotestamentari, intrattenuti con la liturgia giudaica, per arrivare ad esprimere propria­mente una Teologia come culto o come azione celebrativa della Chiesa.

Nell’Oriente, in generale, hanno valore i sacri riti, il cui riferimento principale è la celebrazione eucaristica. La divina Liturgia è celebrare F Eucaristia.

La parola “Liturgia” appare per la prima volta in alcuni documenti ufficiali in lingua latina, durante il pontificato di Papa Gregorio XVI, il primo Pontefice a comporre le Encicliche.

1.1. A n tic h ità Cr ist ia n a : Spir itu a lism o c ultu a le .

Nell'antichità cristiana la liturgia è teologia. In questo modo si può parlare di un vero «spiritualismo cultuale», secondo anche il pensiero di Marsili. Questo passaggio si articola tre aspetti:

Ritualismo cultuale; j la Liturgia coincide con la Teologia.Spiritualismo cultuale ] * (Culto in Spirito e Verità)Teologia del culto. L_ Il Mistero pervade tutta la vita cristiana.

Tutta la terminologia giudaica è passata al Cristianesimo, dove però è divenuta portatrice di concetti elevati e spiritualizzati, coerentemente con la situazione spirituale più elevata. Questo culto spirituale é la base della teologia liturgica e si confronta con il culto rituale del paganesimo. Non è una semplice risposta polemica di fronte alla materialità della Liturgia ebraica, neppure al suo esteriorismo. Perché non possiamo dimenticare che Gesù non ha creato ex nihilo gli atti di culto che la Chiesa celebra dal primo momento, anzi li ha ripresi dalla prassi vigente nel tardo culto ebraico, ma aggiungendo la grande novità della sua persona e della sua Pasqua.

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La Chiesa apostolica ha proseguito su questa linea: le forme cultuali non ancora praticate da Gesù, per lo più non sono state inventate ex novo dalla Chiesa, ma essa si è ispirata ai modelli già esistenti nelle tradizioni cultuali del giudaismo. A tale riguardo si può vedere come vengono interpretate quelle componenti essenziali del culto, cioè il tempio, l'altare e il sacrificio, anche se nella novità evangelica il centro del nuovo culto è Cristo che, dopo la sua morte e resurrezione, appare come sacrificio, tempio, altare, pasqua:

{Tempio

Altare

Pasqua

Sacerdozio

{

Hi C rictr\

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dimensione regale

A

Cristo

{dimensione

J

In merito al culto giudaico, il vocabolario, le nozioni, i concetti ed i verbi del culto del tempio venivano gradualmente trasfigurati e reintrodotti, con estrema e discreta delicatezza, dall’intelligenza cristiana nel proprio linguaggio. Essa li applicava prima all’esistenza di Gesù, e poi ad ogni uomo, con la costante preoccupazione di non confonderli con quel che avveniva sul Monte Sion, per opera dei sacerdoti leviti e dei discendenti di Aronne.

In questo modo la presenza divina non è più legata al tempio, ma alla persona di Cristo e pertanto “il Cristo è ormai il centro del culto”2. L’insieme del culto, rituale e sacrificale, non ha più valore. L ’antica struttura della religione è sostituita da una nuova. Non si passa da un culto sacrificale ad un altro tipo di

■ O. CULLMANN, Les sacrements dans l ’Evangile johannìque. La vie de Jesus et le culte de l ’èglise primitive, Paris 1951,85.

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culto più elevato, bensì ad un nuovo modello di religione, che dovrà strutturarsi intorno alla fede nel Cristo Risorto .

E così si può dire che il culto dei cristiani è un culto spirituale nel senso più etimologico della parola. Essi stessi consideravano la santità interiore come il loro vero culto, quale omaggio al Dio tre volte santo. Per questa ragione, in merito al tema dello spiritualismo cultuale, si possono leggere quattro testi:

Giovanni 4, 23-34;

Lettera ai Romani 12,1;

Efesini 5,5;

1 Pietro 2, 5.

Da questi riferimenti si può spendere ora una parola sul culto in Spirito e Verità. Giovanni nei primi capitoli parla di un nuovo genere di religione e tale religione viene caratterizzata essenzialmente come culto di Dio “in spirito e verità”. Il vecchio culto non ha più valore, né per quanto riguarda la forma (il luogo, il tempio) né per quanto riguarda l’oggetto, perché fin qui non c’è stata adorazione nello Spirito, per il fatto che finora Dio non si era mai manifestato come Spirito, ma solo come il datore della Legge. L’insieme del culto rituale e sacrificale ormai non ha più valore.

Adesso il culto nello Spirito e nella vita si svela in termini di sacrificio, altare e tempio, come attesta Fil 3,3:

«Siamo noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù».

Parlando di 1 Pietro 2,5 bisogna sottolineare il carattere liturgico e cultuale che lo stesso Paolo dà alla vita cristiana4. Si tratta dell’offerta sacrificale dello stesso Cristo che i cristiani imitano quando accettano di entrare nella dinamica di Cristo e nella logica della sua Croce. C’è qui un contesto battesimale che viene molto sottolineato in tutta questa lettera. Dunque, i cristiani, partecipando alla vita del Signore risorto, diventano per opera del loro battesimo, insieme a lui, un edificio costruito dallo Spirito Santo. I cristiani, considerati corporativamente come un popolo sacerdotale, presentano a Dio in sacrificio la loro vita di fede e di carità. Essendo pietre vive, la loro vita è ora il sacrificio più perfetto.

3 G. CAETA, Il Culto”in spirito e verità” secondo il Vangelo di Giovanni, in In Spirito e Verità, a cura di Pier Cesare Bori, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996,16.4 A. FEUILLET, Les «sacrifices spirituels» du sacerdoce royal des baptisés (lPt 2,5), Nouvelle Revue Théologique 96 (1974) 704-728.

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Su questa stessa linea si muove Romani 12,1 :

«Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi

come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non

conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra

mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e

perfetto.»

In questo senso, la vita cristiana deve essere culto nello Spirito tributato a Dio ed i cristiani sono chiamati a dare alla loro vita un senso cultuale, tanto che Paolo implicitamente li paragona agli animali immolati nei culti giudaici o pagani, aggiungendo una nota di distinzione: l’offerta di sé stessi è viva e vivente e non viene compiuta mediante gli animali morti. Dunque, il culto di ogni cristiano e l’esercizio del suo sacerdozio, consistono in un’offerta del proprio corpo nella dimensione del sacrificio.

I cristiani che si sforzano di essere tali danno alla loro vita un senso cultuale che esprime la sua dimensione spirituale. L ’esistenza cristiana deve realizzarsi nell’offerta del corpo come sacrifìcio vivente e come culto spirituale reso a Dio. In questa direzione, Paolo insiste che non si tratta di un nuovo culto che occupa il luogo del vecchio culto, ma lui stesso utilizza ancora le vecchie espressioni e le immagini della tradizione cultuale dell’Antico Testamento per esprimere la novità del Vangelo di Gesù.

Questo culto corporeo della vita cristiana si caratterizza per essere un culto spirituale, che ha come soluzione il fatto che i cristiani si servono del mondo attraverso la loro dimensione corporale. La vita cristiana non consiste nell’astenersi dal mondo presente in senso negativo, ma in un’ottica positiva attraverso la trasformazione di ognuno di noi ed il rinnovamento della mente e del cuore. Certamente, per la coscienza della Chiesa nascente, tutto il culto, che aveva luogo sul Monte Moria, si trasferisce sul Golgota5, cioè sul corpo del Messia trafitto.

Cristo è Sacerdote, Tempio, Sacrificio, Altare e Pasqua.

* C t F R ISSI E t GASPERIS, Camminando da Gerusalemme, Piemme, Casale Monferrato 1997, 375. D canori» r jusaone tratta proprio il trasferimento del culto dal Monte Sion al Golgota, dove si consuma la 1— ohe Jd Sonore in vista della sua risurrezione e del trionfo pasquale.

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Cristo é sacrifìcio

Come è già stato detto, Cristo è l’unico Sacrificio. Non si intende quello della vittima animale, ma semmai del Signore che si offre per la remissione dei nostri peccati (Ef 5,56; Eb 9,147; 10,11-128) e come sacrifìcio spirituale (Eb 9,14).

Nello stesso modo in cui Cristo offrì il Suo Corpo (Eb 10,11), in eguale maniera i cristiani offrono i loro corpi come sacrifìcio vivo, santo e gradito a Dio (Rm 12,l)9 realizzando, in tal modo, un culto spirituale (Rm 12,1; lPt 2,5)10.

Questo sacrifìcio che di sé stessi fanno i cristiani come lo stesso Cristo, Paololo qualifica proprio come "liturgia", come testimonia Fil 2,17:

«E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e

sull'offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi.»

Un pensiero simile lo si trova anche in Eb 8,2-6:

«Ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo ha

costruito. Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e sacrifici: di

qui la necessità che anch'egli abbia qualcosa da offrire. Se Gesù fosse sulla terra, egli

non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la

legge. Questi però attendono a un servizio che è una copia e un'ombra delle realtà

celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda:

Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.

Ora invece egli ha ottenuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è

l'alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse.»

Adesso abbiamo un culto incentrato non più sulla legge, ma in Cristo; un culto dove l’unica vittima è il Signore, morto e risorto. Un culto prolungato nella

6 D testo così recita: «Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolatri avrà parte al regno di Cristo e di Dio».I II testo così afferma: «Quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalla opere morte, per servire il Dio vivente?».8 II testo, parlando della santificazione degli uomini dice: «Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre. Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifìci che non possono mai eliminare i peccati. Egli, al contrario, avendo offerto un solo sacrifìcio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio».9 D testo afferma: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale».10 Così afferma: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edifìcio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo».II J.J. FLORES, Adoradores en Espirituy verdad Nova et Vetera 57 (2004) 39.56.

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Gli antichi riti, incapaci di santificare l’uomo, si spostano verso l’unico sacrificio che il Cristo ha consumato una volta per tutte (Eb 7,2712; 9,12.2613; 10,IO14); adesso tutta l’esistenza cristiana diventa l’esercizio di un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Questa interpretazione nuova del culto continua nei primi secoli della Chiesa.

E in questa stessa linea che vediamo come la morte di un martire venga identificata come "sacrificio".

Parimenti è sacrifìcio anche l’orazione, aspetto evidenziato da Clemente di Alessandria in Stromata. Il capitolo VI, libro VII, intitolato I sacrifici pagani e l'incenso nell'orazione della Chiesa, al numero 31,7, afferma:

«....però, è vero, essendo per la sua stessa natura senza necessità, gode nell'essere

onorata, non senza ragione noi onoriamo Dio con l ’orazione ed eleviamo questo

sacrificio, il migliore e più santo sacrificio di giustizia, onorando Dio con il

giustissimo Logos. »

Ed ancora in VII, 6,32, 4 dice:

«....il sacrificio della Chiesa è un linguaggio emanato dalle anime sante, una volta

che i pensieri di tutti e di ciascuno si espandono davanti Dio. »

E Tertulliano aggiunge nella sudi Apologia, 30,5:

«.... il sacrificio grande che i cristiani offrono e che fu comandato da Dio

nell'orazione che sgorga da un corpo puro, da un'anima senza macchia e dallo Spirito

Santo. »

Sulla stessa linea di coerenza si colloca SantAgostino, che nel De Civitate Dei, 10,6 dice:

«Dunque vero sacrifìcio è ogni opera con cui ci si impegna ad unirci in santa

comunione a Dio, in modo che sia riferita al bene ultimo per cui possiamo essere

veramente felici. »

Ed aggiunge ancora:

Il testo afferma: «Egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso».

Così recita: «Non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò m a volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna...In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece ima volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrifìcio di se stesso».

Richiamando il contesto dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, esprime l’unicità del suo sacrificio: «Ed è appiano per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo,fista una volta per sempre».

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«Quindi anche la beneficenza con cui soccorre l ’uomo, se non si compie in

relazione a Dio, non è sacrificio. Infatti sebbene il sacrificio sia compiuto e offerto

dall’uomo, è cosa divina; tanto è vero che anche i vecchi Latini l ’hanno chiamato

così. Pertanto l ’uomo stesso consacrato nel nome di Dio e a lui promesso, in quanto

muore al mondo per vivere di Dio, è un sacrifìcio. »

Dunque per Sant’Agostino tutta la città e la comunità dei Santi che in essa abita, si trasforma in un sacrificio universale offerto a Dio per mezzo del suo Sacerdote Gesù, di modo che il sacrificio dei cristiani consiste nel vivere tutti in un unico corpo con Cristo. Tale contesto richiama nuovamente quello che riferisce Paolo nella Lettera ai Romani 12,1 ss. Adesso esiste un duplice senso di sacrificio :

di Cristo (esso configura pienamente il mistero

dei cristiani attraverso la vita, le opere buone e la

Cristo è ora tempio.

Nel culto spirituale il tempio è unicamente Cristo. Bisogna aggiungere che tutto il senso del culto stesso si basa sulla distruzione del vecchio tempio, fatto da mani umane.

Il prototipo di questo tempio nuovo, frutto della resurrezione, è lo stesso Cristo in cui vive e abita la pienezza della divinità, come riferisce Col 2,9:

«E in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. »

La morte e la resurrezione di Gesù Cristo rappresentano in Cristo medesimo, il nuovo tempio della nuova Gerusalemme (Ap 21,22); adesso si tratta di un tempio non fatto da mani d’uomo.

Così il Nuovo Testamento vede nel sacrificio e nel tempio dellA.T. figure destinate a scomparire, per dare spazio alle nuove realtà cultuali instauratesi in Cristo (Eb 10,1). Su questa nuova realtà che iniziò Cristo e seguì la Chiesa, insistette la primitiva tradizione cristiana. A tale riguardo è significativo quello che Barnaba scrive nella sua Epistola, al capitolo 16,7:

«Dunque trovo che un tempio esiste. Ora apprenderete come sarà distrutto nel

nome del Signore. Prima che noi credessimo in Dio l ’abitazione del nostro cuore era

15

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corruttibile e debole, proprio come lo è un tempio edificato con le mani; era pieno di

idolatria ed era casa dei demoni, perché noi facevamo quanto era contrario a Dio.»

Ed ai versetti dall’8 al 10 aggiunge:

«Sarà costruito nel nome del Signore». Fate attenzione, affinché il tempio di Dio

sia costruito sontuosamente, e imparate in che modo. Ricevuta la remissione dei

peccati e avendo sperato nel nome, siamo divenuti novelli, come creati di nuovo, da

principio: perciò davvero Dio abita in noi, nel nostro abitacolo. In che modo? [Solo

in noi] la parola della sua fede, la vocazione della sua promessa, la sapienza delle

disposizioni, i comandamenti della dottrina; egli profetizza in noi, abita in noi, e con

l 'aprirci la porta del tempio, cioè la bocca, e dandoci il pentimento, conduce coloro

che erano asserviti alla morte del tempio incorruttibile. Infatti, chi vuole essere

salvato non guarda all'uomo, ma a chi abita e parla in lui, meravigliandosi di non

averlo mai udito pronunciare con la sua bocca tali parole e di non aver mai

desiderato udirle. Questo è il tempio spirituale che si edifica al Signore. »

In sostanza, Barnaba pronuncia queste parole in ragione dell’abbandono di Gerusalemme e del tempio ai nemici, nonché della edificazione del tempio di Dio al termine della settimana cosmica. Nell’ambito del tema di distruggere e di ricostruire, Barnaba indica che il tempio manufatto e corruttibile è il cuore dell’uomo, “abitazione dei demoni” (Mt 12,43-45 e Le 11,24-26), prima di aprirsi alla fede, ma che dopo la remissione dei peccati e la rigenerazione degli uomini, diventa la vera abitazione di Dio. In questa interpretazione lo spiritualismo trascende la polemica antigiudaica dei paragrafi precedenti: il tempio corruttibile non è più il tempio di Gerusalemme, ma il tempio dell’uomo, per cui gli uomini facendosi spirituali, si trasformano in tempio perfetto di Dio. Però, il tempio per eccellenza è Cristo15: In Lui ogni uomo è chiamato ad edificare il proprio tempio a Dio. Tutto questo viene confermato da Clemente

15 A tale riguardo appare interessante quello che dice Origene nel Commento al Vangelo di San Giovanni, al Tomo 1,20: « Quando ebbe cacciato i venditori dal tempio, i giudei dissero a Gesù: Che segno ci mostri per agire così? Gesù rispose: Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo ricostruirò (Gv 2,18-19). A me sembra che qui i giudei stiano a rappresentare le persone carnali e dedite alle cose sensibili: mal sopportando di vedere scacciati da Gesù degli uomini che, in vista dei loro interessi, trasformavano in mercato la casa del Padre, chiedono un segno attraverso il quale si manifesti chiaramente che chi agisce in questo modo è veramente il Verbo che essi rifiutano di accogliere. Ma il Salvatore, alla domanda: Che segno ci mostri per agire così?, alludendo al suo corpo là dove sembra parlare del tempio, risponde con queste parole: Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo ricostruirò. Avrebbe potuto, è vero, mostrare migliaia di altri segni, ma nessuno sarebbe stato una risposta veramente adatta a quel: Per agire così? Perciò, piuttosto che portare ragioni di altro genere, nella sua risposta, molto opportunamente, si riferisce al tempio. E veramente l'uno e l’altro, il tempio e il corpo di Gesù, mi sembra che vadano interpretati nello stesso senso, e cioè come tipo della Chiesa. La Chiesa è edificata con pietre viventi, edificio spirituale per un sacerdozio santo (lPt 2,5), costruita sulfondamento degli apostoli e dei profeti, e lo stesso Cristo Gesù ne è la pietra d ’angolo (Ef 2,20): e dunque può essere definita veramente come tempio».

16

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Alessandrino, negli Strornata, VII, 6,31,8, definendo il cristiano tempio e altare. Infatti egli afferma:

«Noi possediamo, qui nella terra, un altare: l'unione di coloro che si dedicano

all'orazione che ha, per meglio dire, una voce comune ed un identico ideale. »

Perciò il tempio acquisterà nel cristianesimo una posizione di primo piano nella nuova teologia del culto.

Cristo è anche altare16.

Nella Lettera agli Ebrei 13,10-12, l’autore afferma:

«Noi abbiamo un altare del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che

sono al servizio del Tabernacolo. Infatti i corpi degli/ animali, il cui sangue vien

portato nel santuario dal sommo sacerdote per i peccati, vengono bruciati fuori

dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio

sangue, patì fuori dalla porta della città.»

Ciò indica che questo altare non è tanto la mensa eucaristica, ma la croce sulla quale il Cristo è stato immolato, mediante il quale noi offriamo le nostre preghiere a Dio. In tal senso la stessa Lettera agli Ebrei 13,13-15 aggiunge:

«Usciamo dunque anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando

il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella

futura. Per mezzo di lui dunque offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio,

cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.»

Perciò i Giudei, che persistono nel servizio della tenda, non possono prendervi parte. A tale riguardo è significativo ricordare Sant’Ambrogio che usa l’espressione «Altare Christus est», la quale pone Cristo come l’unico e vero altare. Questo concetto, tra l’altro, lo si può trovare in altri autori come Sant’Ignazio di Antiochia, Tertulliano, Policarpo, Clemente Alessandrino, ed altri ancora. Ciò indica come la tradizione patristica fosse particolarmente attenta a questo tema.

San Gregorio Magno in un’ Omelia su Ezechiele, parlando dell’altare e del tempio dice:

16 Nel foglio di presentazione relativo all’ingresso nella Cattedrale dei SS. Michaelis et Gudulae, a Bruxelles, si legge: «Plus qu’un très bel object et plus qu’une oewre d ’art, l ’autel est un mystère - un présence. En effet, il nous conduit aussi près que possible du mystère de la personne et de l oeuvre du Christ. Il est la table du sacrifice: il rappelle à la fois la Cène et la croix. Il est la table du repas eucharistique du Seigneur à laquelle il convie son peuple et annonce le festin des noces étemelles».

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Page 18: Introduzione Alla Teologia Della Liturgia

«Che cosa è l ’altare di Dio se non l ’anima di coloro che conducono una vita

santa? A buon diritto, quindi l ’altare di Dio viene chiamato il cuore dei giusti.»11

In tutti questi autori l'altare simbolicamente è il sacrificio di Cristo e questo sacrificio si trova al centro di questo nuovo culto. L'altare di Cristo, perciò, è il suo corpo immolato sulla croce; questo altare non è altro che la stessa croce del Cristo. Più tardi significherà la mensa eucaristica. Lo dice San Tommaso:

«Istud altare vel est crux Christi in qua, Christus prò nobis immolatus est; vel ipse18Christus, in quo et per quem preces nostras offerimus. »

A questa affermazione si può aggiungere la testimonianza di San Massimo di Torino in un’omelia scritta per la dedicazione del Duomo di Milano:

«Nessuno che sia saggio e che abbia fede, ignora che la città è formata dalla

popolazione. Non dunque le travi ed i tetti, ma voi, o carissimi, formate la Chiesa viva

per il nostro Dio, voi rappresentate l ’intera città, e che la Chiesa è rappresentata

dalla comunità cristiana.»19

Dire perciò che i cristiani hanno un altare è dire, evocare e ricordare il sacrificio di Cristo sulla croce. Ma l'altare è anche l'adunanza dei santi uniti nella voce e neH'anima. I singoli fedeli sono, come dice Ignazio nella Lettera alla Chiesa di Magnesia 7,2, «altrettante pietre che devono formare il santuario e la casa del Padre». E Clemente Alessandrino, negli Strornata VII, 6, 31,8, afferma:

«Noi abbiamo qui nella terra un altare che è l'adunanza di quelli che si dedicano

alla preghiera e che hanno una voce comune e un medesimo ideale. »

Cristo è la vera Pasqua

Nei primi secoli avveniva soltanto una celebrazione annuale della Pasqua. La storicizzazione dei singoli momenti celebrativi in celebrazioni separate, che determineranno una prima struttura dell’Anno Liturgico diviso in tempi forti ed in tempo ordinario, avverrà non prima della fine del IV secolo. La Pasqua un tempo era solo festa annuale cristiana, insieme alla Domenica: entrambe festeggiavano la totalità del mistero pasquale della salvezza operata da Cristo,

GREGORIO M agno, Homiliae in Hiezechielem, E, Homilia X, 19, CCL, Series Latina, CXI -TT Tumholti1971, 394-395: Quid est templum, nisi fìdelis populus?........Et quid est altare Dei, nisi mens benePentium.......Recte igitur est altare Dei, nisi mens bene dicitur, ubi ex maerore compunctionis ignis ardetet caro consumitur

T QMMASO D’AQUINO, Super Haebreos, 13.2.: Omelia 94, PL 57,470472.

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Page 19: Introduzione Alla Teologia Della Liturgia

celebrando la sua risurrezione. Prima del IV secolo, non esisteva alcun ciclo di liturgie commemorative della Settimana Santa, né del Venerdì Santo, perché non se ne avvertiva il bisogno nella vita della Chiesa.

L’unitarietà completa del mistero pasquale era concentrata ed inseparabilmente contenuta nella Veglia Pasquale. La sua celebrazione costituiva il fulcro di tutta la vita spirituale della Comunità primitiva. Dal III secolo in poi, l’aggiunta del Battesimo al rituale della Veglia Pasquale, aggiunse qualcosa in più al significato della festa pasquale.

In origine, Gesù era l’unico protagonista della Pasqua: si commemorava solo il suo passaggio dalla morte alla vita, in attesa di una sua ulteriore venuta. Con la novità del battesimo inserito nella Veglia, insieme ad una rinnovata enfasi sulla teologia paolina del Battesimo di Rm 6,3-12 e di Col 2-3, anche il cristiano diventa protagonista della celebrazione, tanto che Paolo inségna che, come Gesù è morto e risorto per la nostra salvezza, nel Battesimo anche il neofita muore al peccato e risorge alla vita nuova in Lui.

All’inizio del V secolo, come conseguenza dello sviluppo del ciclo relativo alla passione di Cristo, durante la Settimana Santa in Gerusalemme, iniziarono ad esserci i primi segnali di una tendenza ad una vera e propria storicizzazione dell’evento pasquale, seguito da una “commemorazione” annuale della risurrezione di Gesù: tale fatto è da vedersi come una tendenza restrittiva che non trova alcuna giustificazione nella prima Tradizione cristiana.

In effetti, la Pasqua non è solo la festa cristiana annuale dell’intero mistero di Cristo, ma è comprensivo dei diversi momenti che lo scandiscono: la passione, la morte e la risurrezione di Cristo, che diventano i capisaldi della pasqua di ogni cristiano.

Certamente, un elemento importantissimo, che si può scorgere nella comunità primitiva dei primi due secoli, è proprio l’attesa escatologica. Già gli Ebrei aspettavano la venuta del Messia durante la Pasqua come riferisce il brano di Es 12,42:

«Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d ’Egitto. Questa

sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in

generazione. »

A differenza degli Ebrei, i Giudei cristiani professando che il Messia era già venuto nella persona di Gesù, semplicemente trasponevano questa attesa della seconda venuta di Gesù alla Parusia. La grande importanza di questa dimensione escatologica della celebrazione della Pasqua cristiana emerse poi nella famosa

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controversia pasquale del II secolo, riportata da Eusebio nella sua Historia Ecclesiastica V, 23-25.

I primi cristiani discussero animatamente sulla data della Pasqua proprio perché aspettavano il ritorno di Gesù durante la Veglia pasquale. A tale riguardo un riferimento lo si può già avere in alcuni testi del NT: Mt 24,43; lTs 5,2; 2Ts 2,lss.; Ap 3,3-16.

Conclusione dello spiritualismo cultuale

Andando avanti e lasciandoci alle spalle il ritualismo giudaico, si arriva ad uno spiritualismo cultuale e ad una teologia del culto che riempie tutta la vita di un clima cultuale. In questo senso, si segue quella linea spiritualistica dei profeti che indica un'evoluzione ed una linea continua. Tutto questo conduce, dalla preparazione-annuncio-ombra (figura) nell'AT, al culto spirituale del NT che è complemento dell’AT, realtà ed attualizzazione.

Allontanando ogni genere di linguaggio allegorico (che incontreremo in seguito), ci si muove su un piano cristologico e pienamente cultuale. Siamo davanti ad una teologia del culto cristiano, nella quale il sacrificio consiste nella santità di vita e nella pratica dell'orazione; l'altare è Cristo, mentre il tempio è il suo corpo, secondo una duplice dimensione: quella personale (Cristo) e quella comunitaria (Chiesa).

A tale riguardo Marsili commenta:

«I riti cristiani erano, infatti, veramente una «novità» in materia di culto, perché

questo non risultava un'azione organizzata a fianco della vita, ma costituiva la20ragione stessa dell'essere cristiani, cioè creava uomini che vivevano in Cristo.»

Questo vuol dire che, per il suo carattere di culto «spirituale», il cristianesimo non doveva possedere - e non ha in verità posseduto fin da principio - un sistema «rituale» proprio. Certamente, esistevano dei riti, dei quali ricorre il nome fin dagli scritti apostolici (battesimo, frazione del pane o cena del Signore- Eucaristia, imposizione delle mani, ecc.), ma essi non erano tuttavia una “Liturgia” nel senso dell’AT e tanto meno della religione pagana. Allora, si tratta di una nuova impostazione del culto che continuerà ad affermarsi nei primi secoli della Chiesa, dove la morte del martire è vista come sacrificio (Policarpo) e dove «sacrificio» sono pure le preghiere unite alla carità del prossimo. Inoltre,

20 Anàmnesis 1,53.

20

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il sacrificio di Cristo è anche il sacrificio dei cristiani. In questa direttiva, Marsili non rinuncia a dire che:

«I riti cristiani erano fin da principio l ’espressione perfetta ed unica del culto

“spirituale ”, perché erano “segni-sintesi ” di un momento salvifico, e cioè segni nei

quali si condensava allo stesso tempo la presenza santificatrice del mistero di Cristo e

la presenza santificata dei fedeli. Il rito cristiano ha infatti avuto sempre lo scopo

diretto di consacrare e santificare l ’uomo, affinché questi diventasse in tal modo nella

sua propria persona - insieme con Cristo e per Cristo - e non per un simbolo

sostitutivo, “sacrificio-altare-tempio ” di Dio, ossia realtà e luogo spirituale del culto

di Dio.»21

Concludendo possiamo affermare che siamo lontani dal rituale levitico. La parola «liturgia» avrà un contenuto teologico, cultuale, che sarà ben differente da quello della «Liturgia» sacerdotale ebraica e che si esprimerà, quindi, con una teologia del culto.

Dunque, i primi riti cristiani (Battesimo, Cena del Signore, Cresima, Unzione degli Infermi, ecc.) sono l'espressione perfetta e unica del culto spirituale, perché erano segni dove si condensava la presenza santificatrice del mistero di Cristo e la presenza santificata dei cristiani.

1.2. La L it u r g ia r o m a n a c la ssic a .

Il culto cristiano, pur non cessando mai di essere un culto «spirituale», non è però sfuggito alla presa delle situazioni concrete dell’ambiente storico, sociale e culturale nel quale era inserito. La Epistula a Diognetum, 5,1-4 e 6,1 del secoloII, afferma:

«I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini (i pagani), né per paese, né

per lingua, né per costumanze. Non è infatti che abitino città particolari o si servano

di un linguaggio distinto o conducano una vita differente... anche se mostrano di

avere un’impostazione ammirevole nella propria condotta... A dirlo in una parola, i

cristiani sono nel mondo quel che l ’anima è nel corpo.»

In una parola, è il culto spirituale che essi celebrano che fa la differenza; è, infatti, un culto invisibile, ma altrettanto efficace nell’azione e nei gesti, dal momento che non è solo una composizione di misteri umani, bensì il mistero di questo culto non è comprensibile per gli uomini. Esso indica la natura e l’espressione del culto spirituale dell'antichità cristiana, che trova un suo

:i Ibidem.

21

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inserimento anche nel tessuto della vita civile e culturale di interi popoli. Tutto questo rimarrà intatto fino a quando ci saranno le persecuzioni contro i cristiani. Con l’editto di Milano del 313, ad opera di Costantino, quando il cristianesimo entrerà in contatto con certi elementi culturali, tipici del paganesimo, si verificherà la corruzione dei costumi, che - più tardi - comporterà una severa organizzazione tanto del catecumenato, quanto della penitenza che nei secoli IV e V, raggiungerà le forme più espressive e più efficaci del culto spirituale. In questa realtà contingente, la Chiesa ha manifestato la volontà di non cadere vittima di una comoda facilità tanto nell’accogliere quanto nel mantenere i convertiti in un vero impegno cristiano sia sul piano generale della vita che su quello particolare del culto.

Le medesime catechesi mistagochiche dei secoli IV-Y presentano questo culto spirituale con esigenze notevoli, anche se, lentamente, le forme di questo culto cominceranno a subire l'influenza del tempo e del luogo. Questo culto spirituale, a poco a poco, fu influenzato dall'ambiente storico, sociale e culturale nel quale era inserito. Innanzitutto si lascerà influenzare dal genio romano.

22 • • • • • •E. Bishop afferma: «Il genio del rito romano originario è caratterizzato dallasemplicità, dalla praticità da una grande sobrietà e padronanza di sé, gravità e dignità. Se dovessi indicare in due o tre parole soltanto le principali caratteristiche che contribuiscono a formare il genio del rito romano nativo, direi che le sue caratteristiche sono essenzialmente la sobrietà e la misura».

Il genio romano accanto alla liturgia romana classica darà origine ad una liturgia veramente romana. I romani dimostrarono di possedere un'attitudine speciale per questa sintesi teologica con queste tre caratteristiche:

capacità di esprimersi in forme razionalmente organizzate;

ripugnanza contro il sentimento e il sentimentalismo;

sensibilità per uno stile sobrio e per una presentazione dignitosa.

In questo senso l’apporto offertoci dal sacramentario Veronense è fondamentale, tanto che è significativo leggere la sezione XL: Vili Kalendas Ianuarias. Natale Domini et Martyrum pastoris Basileii et Iouiani et Victorini et Eugeniae et Felicitatis et Anastasiae.

Si può anche leggere la sezione XXI: UH: Idus Augustas. Natale Sancti Laurenti. A tale riguardo, né è un esempio il Ve 745:

22 The Genius o f thè Roman Rite, Liturgia Historica, 1918 (Ed. Francese Le genie du rit romain, edition annotèe par Dom Andrò WILMART de Farborough, 1921).

22

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«Vere aignum: et tuam magnificentiam propensius exorare, qui nobis hunc diem

sancii Laurenti martyrio tribuisti venerandum: quem ita omni genere pietatis

inbueras, ut idem tibi ara adque sacrificium, idem sacerdos esset et templum: per. »

In questa preghiera si trova una sintesi dello spiritualismo cultuale.

Un altro passo significativo del Ve 747:

«Omnipotens sempiterne Deus, ceclesice tuce votis propitiatus aspira; ut beati

Laurenti martyris meritis adiubetur, cuius passione Icetatur. Per. »

Andando avanti, nei secoli IV-VI è stato creato un tesoro di formule che, nella loro rispondenza ai valori oggettivi, nella chiarezza di pensiero, nel ritmo solenne, nell’aderenza alle verità dogmatiche fondamentali, devono essere considerate come una delle grandi e classiche creazioni della storia umana. Tra queste, vanno ricordate le orazioni della Veglia Pasquale. Si tratta di un -omplesso di 12 orazioni romane, composte per la Liturgia della Parola della Veglia Pasquale, conservate nel Gelasiano Reginensis 431-432 dell’edizione del Molhlberg, che formano un complesso eucologico unitario ed indivisibile. A tale nguardo J. Pinell afferma: «Per la loro forma letteraria e per il loro contenuto

minale queste dodici orazioni costituiscono il più grande capolavoro iell'eucologia latina; sono opera di Leone Magno e contengono il nucleo

' ì'5es senziale della teologia di San Leone» .

Alceste Catella24, sempre per quanto riguarda ciò che possiamo considerare - ^.-ardo la liturgia romana classica, dice che le dimensioni che costituiscono ami celebrazione sembrano riconducibili a tre:

storica, vale a dire l’intrinseca connessione della liturgia con la storia della salvezza;

comunitaria, nel senso che là dove si ritualizza l’Alleanza, il soggetto è il popolo;

misterica, designando così la modalità del “darsi” dell’evento salvifico nella celebrazione.

. -este tre caratteristiche creano la liturgia romana.

1. ftNELL. Ad celebrandum Paschale Sacramentum. U complesso eucologico Per singulas lectiones ” tetta Pasquale secondo la tradizione gelasiana, opera di San Leone Magno, Ecclesia Orans 15163- 191.

K PATELLA, Teologia della liturgia in Scientia Liturgica Manuale di Liturgia, ed. A. NGCO. voi. E, Liturgia fondamentale, Piemme, Casale Monferrato 1998,20.

23

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Il passaggio a Roma, alla fine del secolo III, dalla lingua greca a quella latina nella Liturgia, fu un autentico “adattamento” e, spesso, una vera creazione, in vista delle esigenze proprie della mentalità latina e romana. Ciò, evidentemente, non poteva che comportare un avvicinamento a formule cultuali più congeniali al "genio" romano, sia sul piano linguistico-stilistico, sia, purtroppo, sul piano della mentalità e, talvolta, del contenuto. A tale riguardo un’opera importantissima, la Traditio Apostolica di Ippolito di Roma, riferendosi ad una serie di formule liturgiche, avverte la preoccupazione di conservare una «tradizione», che si sente minacciata da possibili errori, frutto di ignoranza e di superstizione, che potrebbero dare un sottofondo “magico”, tipico della religione pagana. Ciò rientra nel fatto innegabile secondo cui i libelli sono stati composti per il timore di un errore che nel cristianesimo inciderebbe solo sulla «ortodossia», mentre nel paganesimo, sarebbe causa di invalidità del rito.

Col tempo si perse questa linea liturgico-spiritualistica. Nel secolo IV questa visione teologica della liturgia comincerà a mutare, in virtù dell'editto di Costantino del 313, che diede la pace alla Chiesa e che, contemporaneamente, aprì la Chiesa stessa al mondo ed alla sua cultura.

In merito all’involuzione ritualistico-giuridica dell’epoca romana classica, Marsili parla di sintomi che l’accompagnano e pone, come esempio, il Canone Romano: in esso la primitiva linea eucaristica che troviamo nella Traditio Apostolica, ha ceduto il posto alla linea «sacrificale» che si trasforma in dominante ed il contenuto anamnetico, che prima comprendeva tutta la storia della salvezza, risulta ristretto al memoriale della passione-resurrezione- ascensione, dove il momento sacrificale appare in maniera privilegiata. In sostanza, nel Canone Romano appare, nel suo contenuto, un nuovo elemento, caratterizzato da una mentalità giuridico-formale. In questo modo cade in disuso la primitiva improvvisazione, per giungere ad un punto fisso che riflette la stessa mentalità giuridica. Si avvalora di più la parola scritta che non la tradizione.

Da una comprensione genuinamente teologica del rapporto fede-culto, vita- culto, caratteristica dell’età patristica si passerebbe a comprensioni sempre meno teologiche e sempre più allegorizzanti, ascetiche e moralistiche. La conseguenza sarà che il mistero non sarà più la categoria dominante della liturgia.

La mentalità giuridica, a dispetto della linea teologica, si rivela in certe formule liturgico-cristiane che vogliono fissare ed assicurare tutto. C'è, dunque, un desiderio di precisare l'oggetto del sacrificio, come si può ben osservare nel medesimo Canone Romano. Tutto questo porterà ad un rubricismo, secondo questa linea di sviluppo:

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Mentalità giuridica—» cerimoniale sontuoso-» rubricismo

Alla mentalità giuridica, seguirà, dunque, il cerimoniale dettagliato che, sino al secolo V, era quanto mai sconosciuto al culto cristiano. Si sarà ben lontani dal dire che i cristiani pregavano «senza suggeritore appunto perché la loro preghiera scaturiva dall’intimo» (Tertulliano, Apologia 30,4), ma già nel III secolo non si è più sullo stesso piano.

Questo grosso cambiamento permetterà anche il passaggio dalla domus ecclesia? alla Basilica: la stessa si trasformerà in un ambiente sontuoso, ricco, che con molte difficoltà, riuscirà a testimoniare il piano spirituale del culto cristiano. C’è da rilevare, allo stesso tempo, che la voluta lontananza dal tipico stile architettonico cultuale pagano, sta indubbiamente nel testimoniare una positiva volontà di distanziarsi da esso, tanto più che il culto cristiano aveva come esigenza assoluta quella di essere un luogo nel quale si potesse radunare un’assemblea che doveva essere insieme «assemblea della parola» e «assemblea conviviale». Però, inevitabilmente il nuovo tempio cominciò ad assomigliare agli edifici di culto non cristiani.

La stessa cosa avviene con l'altare . Da rappresentazione di Cristo, si passa alla tavola che dispone i commensali intorno ad una tavola comune. Però se la domus ecclesia? si trasforma in tempio, il tempio, a sua volta, esige un altare e torniamo all'Antico Testamento: fissato in pietra, la mensa diventa, veramente, anche nella forma esteriore, un altare non differente da quello ebraico. Diventato oggetto di culto, reso intoccabile ai laici, sarà circondato dai sette candelabri onorifici che, per un cerimoniale desunto dalla corte imperiale, avevano accompagnato il vescovo al suo ingresso nella basilica; sarà incensato con l'incenso che - nuovamente e secondo gli usi di corte - aveva preceduto il vescovo.

In tal modo, pur senza pretenderlo o cercarlo, si ritorna - in qualche modo - ad una liturgia dell'AT, la liturgia del culto rituale. Si dimentica e col tempo si perde e si nasconde questa teologia liturgica, che più tardi ritornerà in auge. L’involuzione nel Medioevo fu portata al suo apice, tanto che la Liturgia era da identificarsi come esteriorismo rubricista e non più come centro della vita e dell’esperienza cristiana, mediante la quale si comunicava agli uomini il mistero di Dio in Cristo.

25 Alla fine del II secolo o al principio del IH, Minucio Felice poteva scrivere: «Non abbiamo altari» (Octavius 32,1). Era una sfida che rivendicava il carattere «spiritualista» del culto cristiano, perché «l’altare» richiamava vittime cruente di «animali» offerti alla divinità, mentre i cristiani ofirivano se stessi come «vittima spirituale» (Rm 12,1) a Dio in Cristo.

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Questo è senz’altro un lento processo che arriverà fino al Medioevo e durerà fino a oggi. Si ritornerà, dunque, ad una Liturgia come forma esteriore, non più come teologia.

1.3. Il M ed io ev o .

Giuridicismo ed esteriorismo liturgico.

Le cose non migliorano certo nel basso Medioevo. Si continuerà su questo piano di involuzione in cui la celebrazione cultuale assume una dichiarata dimensione giuridica.

Prendendo l’altare come esempio troviamo dapprima l’altare-reliquiario e poi l’altare a dossale. Così si crea - e si moltiplica - l’altare devozionale, che accentra l’attenzione sulle reliquie e sui santi, e non ha più lo scopo diretto di servire da «mensa del Signore» per la comunità, ma sarà il luogo da cui si esporrà a venerazione il santo.

Marsili, al riguardo, afferma:

«La “Liturgia”, infatti sarà sempre di più, quella forma di culto che è fatta

secondo l'ordinamento ed il comando della Chiesa (gerarchica), che viene eseguita in26nome della Chiesa (universale) da persone deputate.»

Dunque, il clero fa la liturgia, il popolo assiste alla liturgia. Si crea una rottura tra una liturgia clericalizzata ed il popolo che cerca nelle devozioni l'alternativa ad una liturgia che non comprende e alla quale non partecipa. Questo fatto si rivela come una tra le cause della crisi spirituale della Chiesa, iniziando a perdere di vista la sua identità e la natura della sua missione.

La liturgia di quest’epoca è considerata da Marsili come «sontuosa, signorile nel linguaggio (ignoto) e nella forma (incompresa), e posta ormai lontana, non solo spiritualmente, ma anche materialmente»21.

Il caso più chiaro lo si ha nell' Or do Romanus /: non è nuli’altro che un groviglio intricatissimo di nomi e di movimenti, dove la volontà di «fare spettacolo» non è meno evidente dell’intenzione di imporre un’aureola di «sacralità» sulle persone e sulle cose che entrano nell’azione cultuale. In effetti, la dimensione giuridica applicata al culto implica:

un allontanamento del popolo dalla liturgia;

* Anàmnesis 1, 59.r Anàmnesis 1, 58.

26

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si contribuisce alla materializzazione del culto;

si perdono il senso teologico, la «riservatezza» teologica delle formule liturgiche;

la liturgia non riempie la vita spirituale e perciò l’allontanamento del popolo dalla celebrazione.

A partire da questo momento il criterio principale seguito, anche se non è certo l'unico sul piano giuridico, è che la liturgia venga realizzata secondo la Legge.

Tutto questo, come è già stato detto, porterà ad un culto ogni volta sempre più esteriore. La Liturgia è ciò che deve farsi e lo si deve fare in un’unica maniera, mentre il suo valore non dipende più dalla presenza della Chiesa, che viene considerata come unica responsabile della celebrazione.

In questo modo la Liturgia non è più il sacrificio di Cristo e dei cristiani.

In merito alla conseguenza più evidente il Marsili dirà: «Di una tale Liturgia il popolo non era che un soggetto passivo. Anche per esso - nella posizione in cui ancora aveva un rapporto con la Liturgia - questa era una legge che doveva essere osservata, ma appunto come ogni altra “legge”, cioè esteriormente. Così, per esempio, la messa come azione “liturgica” esige dal fedele di “vedere lacerimonia” con la generica intenzione di rendere onore a Dio e con attenzione

28esterna» .

Da questa conseguenza ci saranno altri effetti negativi, essendo la Liturgia divenuta ormai un fatto esteriore del culto ed una cosa riservata al sacerdote, tanto da far si che:

la liturgia era tanto più liturgia, quanto maggiore era il risalto esterno del rito;

quanto maggiore era lo sfarzo esteriore che si chiedeva al sacerdote, tanto più doveva corrispondere un’adeguata retribuzione.

Il pericolo maggiore fu determinato dalla cosiddetta “inflazione della Liturgia”, nella quale l’apparato, nella misura in cui diventava sempre più esteriore, rendeva maggiore e profonda l’incomprensibilità dei riti stessi. In

28 Marsili (Anàmnesis 1, 60) prende il riferimento principale da TANQUEREY - QUEVASTRE, Brevior synopsis Theologiae moralis et pastoralis, Roma 19202, 119, n. 311, secondo cui all’adempimento del precetto basta una presenza corporale che possa essere ritenuta unione morale al sacerdote celebrante, e tale si ha quando uno è «intra ecclesiam» oppure «in sacristia» o anche «extra ecclesiam sedprope ianuam», o «in domo proxima ex qua videant caeremoniam». Quanto poi alla seconda condizione richiesta e cioè una «assistentia religiosa», questa esige, per essere tale, un’intenzione implicita di rendere onore a Dio ed un’attenzione esterna.

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questa situazione ci troviamo dinanzi ad una Liturgia che si fa spettacolo, tanto da essere lontani da una liturgia che si fa vita. In effetti, ci vorrà diverso tempo prima che si ritorni a quella linea spirituale-liturgica che caratterizzava la Chiesa dei primi secoli.

In merito a questa esteriorità, il caso più eclatante fu quello della miss a sicca o anche della miss a bifaciata, tri-quatrifaciata (che erano due forme diverse di eludere la proibizione di celebrare più messe per altrettanti stipendi) delle quali parla e commenta Marsili29. Egli, in modo particolare, si sofferma sull'aspetto più negativo, cioè la Liturgia come spettacolo e dice:

«Questo infatti, è ormai la Liturgia: uno «spettacolo» religioso, cui il popolo

assiste unendo stranamente la fede più profonda ad atteggiamenti, che compongono

insieme la mondanità più sfrenata e la devozione più superstiziosa, che molto spesso

confina chiaramente con la «magia»....»

Il Marsili dirà ancora che quanto più «silenziosamente» si assiste allo «spettacolo sacro», tanto maggiore sarà l’efficacia delle «parole del sacerdote». In sostanza, «il tuo silenzio è necessario per l ’efficacia delle parole divine». Non esiste la partecipazione, nemmeno l’interiorità della e nella liturgia.

Tentativi di spiritualismo cultuale. L'allegorismo e l'allegoria.

Anche a questa mentalità materialistica della Liturgia si riscontrarono alcune reazioni. La letteratura medievale è certamente molto ricca proprio in campo liturgico30, perché questo era per l’appunto il veicolo più diretto che il popolo aveva con la verità della sua fede. Ma la stessa letteratura medievale teologicamente migliore non raggiungeva che pochi lettori capaci di comprenderne profondamente il contenuto. In questo modo venne a mancare uno sguardo complessivo sul valore ed il significato della Liturgia in rapporto alla fede e alla vita cristiana, ma ci si contentò di spiegare o storicamente o allegoricamente i diversi riti su un piano che difficilmente raggiunse il popolo.

Se non incontriamo ancora tentativi validi di una teologia della liturgia, si può vedere che sin dal Medio Evo, si perseguirono delle direttrici principali quali la spiegazione allegorica ed il devozionalismo.

In effetti, sul piano liturgico, l'allegorismo affonda le sue radici nella confusione creata tra simbolo ed allegoria.

29 Anàmnesis 1,60-61.30 Cfr. M. RIGHETTI, Storia Liturgica, Milano, Edizione anastatica, 31964,83-86.

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Il Simbolo è una "doppia" realtà che viene ad esplicarsi su due piani differenti. Il simbolo, quindi, è un fatto o una persona che, oltre a rendere visibile la propria realtà, manifesta in sé, contemporaneamente, quella invisibile alla quale la prima fa riferimento. Il simbolo non esiste finché la prima realtà visibile non è percepita come indicativa della realtà invisibile.

Il simbolo si trova sempre sul piano di realtà oggettiva31 che è, però, costituita da due momenti interdipendenti tra loro, proprio a livello di realtà. Un esempio concreto è la storia di Abramo e la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto. In questo caso, si tratta di una persona e di un fatto reale sul piano storico, dei quali la rivelazione profetica ci dirà che contengono un’altra realtà: si tratta della scelta degli uomini da parte di Dio e la liberazione dal peccato.

L'allegoria, invece, si colloca molto vicino al simbolo: mentre quest'ultimo proviene dalla visione profetica della storia di Israele, l'allegoria è, al contrario, un linguaggio soggettivo e metaforico elevato ad un sistema di interpretazione di fatti e di cose. Nell'allegoria scompare la realtà storica dell'avvenimento o del personaggio e si passa, invece, ad una visione soggettiva ed arbitraria32.

Il Marsili afferma che l'allegoria, nata in clima ellenistico, soprattutto come interpretazione dei miti religiosi omerici, sarà sistematicamente applicata alla Scrittura sia da Filone che, successivamente, dalla scuola alessandrina cristiana (ad es. Origene) e da tutti coloro che seguiranno il metodo filonico (ad es. Ambrogio), ed avrà, certamente, un’importanza di prim’ordine, visto che si affiancherà a quello che poi si chiamerà il senso letterale della Bibbia, fornendo così ad essa un "senso spirituale", a diversi livelli, dei quali, uno, era appunto quello dell'allegoria.

Ma quando questo procedimento trovò applicazione nella Liturgia, si venne a cadere in un allegorismo di gran lunga peggiore.

La liturgia di questo periodo fu dominata dal fatto che l'interpretazione allegorica dei riti e dei testi venne sviluppata da Amalario, vescovo di Metz

33 • • •(850/853) . L'allegorismo incominciò il suo cammino vittorioso. Ne è esempio tipico la spiegazione della messa di Amalario, dove il calice raffigura il sepolcro

’1 Nella Liturgia l’offerta del sacrificio è naturalmente un «simbolo», cioè reale manifestazione di quel reale stato d’animo che implica amicizia e omaggio, ossia volontario riconoscimento di superiorità di colui al quale l’offerta si dirige.32 Anamnesi, 1,62 ss.

Amalarii episcopi opera liturgica omnia. Ediz. J. M. HANSSENS, 3 voli, Studi e Testi, 138-140, Città del Vaticano, 1948-1950.

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di Cristo ed il celebrante è Giuseppe di Arimatea, mentre l'arcidiacono è Nicodemo ed i diaconi sono gli Apostoli che si nascondono nella passione di Cristo; invece, i suddiaconi sono le pie donne che si avvicinano alla Croce del Signore.

A tale riguardo commenta Marsili: «Perduto il senso del rito e del valore funzionale delle sue parti, anche il “simbolo” fondamentale della messa, l'essere cioè segno sacramentale della passione del Signore, viene arbitrariamente scisso in altrettante visioni allegoriche della passione di Cristo»34.

Su questa linea si incamminano anche parte degli autori del Medioevo, pur con alcune eccezioni, tra le quali bisogna ricordare le Expositiones missce, e Alberto Magno nel suo Opus de mysterio missce, dove parla contro le interpretazioni allegoriche correnti del suo tempo; Innocenzo III con il De sacro altaris mysterio (PL 217, 773-914), e la Summa Theologica (III, q.83, a.5 ad 3; ad 6-9) di Tommaso d'Aquino.

Un caso tipico di allegorismo, oltre quelli già visti, lo incontriamo in Guglielmo Durando (+1296), nel suo Rationale divini officii, I, 21-28. Insieme ad altri esempi riportati, esso ha un valore specifico per darci un'idea chiara di ciò che era l'allegorismo liturgico medioevale.

L’allegorismo ed il devozionalismo, in realtà, sono due tentativi di recuperare una certa spiritualità, ma essi stessi soffrono proprio di un’incomprensione del mistero di Cristo celebrato. Questo spiega il perché l’allegorismo si trasforma spesso e volentieri in una metafora del mistero liturgico, cioè della vita di Cristo, non garantendo - però - la comunione con esso. Con il devozionalismo i misteri della vita di Cristo sono oggetto di riflessione, di preghiera personale, di raccoglimento e di meditazione, ma essi non sono portati ad una celebrazione oggettiva. In realtà, si opera solo in superficie, senza penetrare tali misteri, in una sorta di materialismo ascetico (es. le immagini sacre).

Si può arrivare alla stessa conclusione: mancava una catechesi liturgica, perché era venuta meno una teologia della Liturgia.

La Liturgia si era trasformata sempre più in uno spettacolo, già realizzato in una lingua sconosciuta e, per di più, preoccupato del suo esteriorismo. Come contro risposta, si accentua sempre più il senso del mistero che circondava la liturgia, peraltro già lontana dal popolo.

34 Anàmnesis 1,63.

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Il devozionalismo.

Nel Medioevo si assiste alla nascita del «devozionalismo» che, di per sé, nella sua natura, costituisce un "surrogato" della liturgia. Mentre Fallegorismo liturgico aveva come scopo quello di conservare il contatto tra la Liturgia ed il popolo, il devozionalismo del secondo e basso Medioevo costituì di fatto un surrogato della Liturgia. Esso partiva dal principio di laicizzare il fatto religioso e cercava un'alternativa alla liturgia. Frattanto, con la nascita delle lingue volgari, si cominciò a relegare una liturgia realizzata nella lingua latina35.

Certamente, incidono in questo senso, fenomeni culturali quali la comparsa dei comuni, delle corporazioni, delle confraternite, dei terzi ordini, ed altro ancora. In sostanza, si trattava di associazioni religiose orientate verso varie forme di carità o di penitenza. A tale riguardo, commenta Marsili:«Questi movimenti religiosi laici - dei quali almeno al principio quello francescano fu certamente il più prestigioso - anche se hanno come componente il movimento frazionistico ed antifeudale dei Comuni, sono rivelatori del grave disagio religioso del popolo del medioevo. Con il loro ricorso a nuove forme comunitarie - si noti bene - di vita religiosa e con la ricerca di mezzi cultuali espressivi nuovi, come la “lauda” in lingua volgare, essi dimostrano che erano alla ricerca di qualcosa che la Liturgia ufficiale non dava loro, sia perché non apparteneva ad essi in quanto “laici”»36.

In questo ambiente alternativo alla liturgia, tanto distante dal popolo, si inserisce il movimento devozionale che trova facile terreno nella sua crescita. Il culto devozionale ha, come oggetto, Cristo, più che nella sua globalità, piuttosto in una parte dello stesso o nel Suo mistero dell'infanzia. Molto bene, a proposito, si esprime Marsili quando dice: «Il nostro culto verso Dio consiste nell'accogliere la rivelazione dell'amore e l'intervento di salvezza operatosi in Cristo e - per la celebrazione sacramentale - operantesi oggi in noi, il culto devozionale consiste neH'offrire a Dio i nostri sentimenti di ammirazione, di penitenza e di gratitudine, persuasi che l'intensità di questi sentimenti, sarà quella che, di fatto, opererà la nostra salvezza»37.

In altre parole, il cambiamento è sostanziale: si passa da un accogliere la rivelazione ad un offrire a Dio il nostro sentire, che spesso e volentieri rischia di

35 La Liturgia per il suo legame con la lingua latina, che era la lingua propria del clero, denunziava ad ogni momento la propria esclusiva attribuzione al clero. Ma il sorgere e raffermarsi della lingua «volgare» - quella parlata dal popolo - come mezzo valido di comunicazione sociale, rispettivamente ma anche inevitabilmente relegava non solo la cultura - era anch’essa un fatto «clericale» - nelle università, ma anche la Liturgia nella Chiesa.36 Anàmnesis 1,65.’7 Anàmnesis 1,66.

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cadere in un vuoto sentimentalismo. In queste condizioni, quel che conta è l’aumento delle devozioni, nella convinzione che in ogni santo si acquista un «patrono» particolare il quale, in misura della devozione che si ha per lui, non ci libera dal peccato, ma ci salva - ora e nella vita futura - dalle conseguenze del peccato.

Col basso Medioevo cominciò l'epoca vera e propria delle devozioni. A fronte del ritualismo della Liturgia, le devozioni intendevano offrire una grande libertà. Se la Liturgia veniva svolta in latino e con un cerimoniale piuttosto rigido, le devozioni si esprimevano nella lingua del popolo, in realtà si vennero quasi a contrapporre due spaccati diversi della Societas del tempo. In questo frangente ritorna il problema di una spiritualità non più viva della Chiesa, dal momento che il rubricismo aveva preso sempre più piede ed il medesimo movimento «devozionale» non era riuscito a salvare la vita spirituale del popolo. A tale riguardo, Marsili arriva alla stessa conclusione già conosciuta: «Accadeva, infatti, che venuta a mancare una visione teologica del culto cristiano e dell’espressione che esso aveva nella Liturgia e doveva avere nella “devozione” e nelle “devozioni”, il movimento devoto ricalcò sul piano laico gli stessi difetti per i quali si era allontanato dalla Liturgia clericale»38.

Adesso invece di avere solo una Liturgia malata di materialismo e intrisa di superstizione e talvolta di magia, viene ad esserci il devozionalismo che le farà concorrenza in questi gravi difetti, superandola. Dunque, la conseguenza più grave sarà proprio la mancanza totale di un rapporto intimo e personale con Dio e con il mistero di Cristo. La Chiesa stessa conoscerà una profonda crisi teologica e spirituale che si ripercuoterà a lungo e, almeno fino al Concilio di Trento, non sarà ancora in grado di assicurare né la formazione del popolo di Dio, né la formazione del suo stesso clero che, il più delle volte, mostrava una forte carenza sul piano teologico e spirituale, nonché in quello pastorale. In questa particolare situazione ci si appresta ad affrontare l’epoca moderna, nella quale il devozionalismo si esprimerà nella forma della devotio moderna.

1.4. Epo c a m o d e r n a .

La devotio moderna.

E’ il periodo in cui venne a crearsi una rottura con qualunque forma di culto esterno, qualunque sia. Il fatto si manifesta in un moto di riforma, nel quale, essendo l’interiorismo religioso la meta da raggiungere, si teorizzò quella che

38 Ibidem.

32

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si chiamò «devotio moderna». Ci riferiamo, dunque, ai secoli XIV - XVI quali ci fu un ripensamento critico di tutta la situazione religioso-spirituale provenendo da individui e gruppi diversi, convergeva in constatazioni_ e:

una vita spirituale che non trova alcun giovamento né nella Liturgia, né nella devozione, ambedue interessate da un materialismo cultuale;

nessun vantaggio viene tratto dalla teologia che si è arroccata nell’ intellettualismo ;

l’esigenza non corrisposta di ritornare ad una vita spirituale «nuova», insieme ad una vita interiore orientata all’imitazione di Cristo.

Da questi tre punti, la liturgia appare già un elemento esteriore della vita religiosa che si va orientando verso nuove forme di pietà. I fedeli continueranno ad assistere con gran devozione alla Messa, ma raramente ci sarà l’occasione per ina vera comunione sacramentale con Cristo. Quindi, il vero senso della . elebrazione rimarrà pressoché assente.

In effetti, la comunione spirituale servirà non soltanto per supplire quella acramentale, ma piuttosto, in un certo senso, sarà il segno dei nuovi tempi per

una pietà spirituale e sensibile, accompagnata da una forma solenne ed esteriore che la riempirà di pomposa magnificenza. Nello stesso tempo, però, senza nutrire l'anima, contribuisce a creare forme di spiritualità più intime e personali, tanto da essere meno teologica e più affettiva. Certamente, l’elemento più negativo è soprattutto la mancanza del senso sacramentale nella vita dei cristiani, che creerà ancora una situazione ben lontana da quella in cui furono scritte le catechesi mistagogiche dei primi secoli.

D'altra parte la stessa liturgia ha aperto il cammino ad una devozione sensibile che, dal Medio Evo in poi, è nota tipica della vita cristiana occidentale e, contemporaneamente, sarà nota caratteristica della devotio moderna che viene a rappresentare il sinonimo della spiritualità dei tempi moderni e che si può definire come «ricerca del contatto con il divino, visto sensibilmente nell umanità di Cristo e sentita in un processo interiore, personale ed individua-

39 • •le» . Proprio questo fatto giustifica una rottura col culto esterno, avvantaggiando e cercando proprio l’interiorismo religioso.

39 E’ il vero momento di nascita dell’individualismo religioso: la salvezza non è tanto opera ottenuta attraverso i misteri di Cristo totale, che è la Chiesa, ma è il risultato di uno sforzo psicologico. Questo movimento di riforma spiritualistica aggancerà la sua ricerca di devotio moderna ad un forte impegno di meditazione, che diventa non solo il mezzo di una nuova mentalità, ma anche il segno distintivo.

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Di esso ne sarà il fondatore Gerardo Grote (1340-1384) che, nel 1377, si assoggettò a Ruysbroeck nelfambito dei Paesi Bassi. Non si può certo negare che la devotio moderna sia stata una forza poderosa di spiritualità cristiana ed un movimento che lo Spirito Santo ha dato alla Chiesa. Però, a sua volta, rappresenta una corrente spirituale che vuole supplire la spiritualità propria della Chiesa, che è contenuta nella Liturgia, e che portava verso uno psicologismo volontaristico ed individuale che alcuni decenni dopo porterà al personalismo protestante. Questo ideale di devotio moderna, era comparso sin dall'epoca di Gerardo Grote con chiari influssi sopra l'umanesimo e sopra la riforma protestante, per la qual cosa godette, e molto, della stima di Lutero.

Il libro più importante è Ylmitazione di Cristo attribuito a Tommaso da Kempis (1380-1471). Un altro testo molto famoso è anche la Vita Christi, seu meditationes secundum seriem evangelistarum di Ludolfo di Sassonia40.

Potremmo commentare dal punto di vista della teologia liturgica un cambiamento fondamentale. Mentre la Liturgia tendeva ad unire le anime con Dio attraverso un contatto obiettivo con l'umanità di Cristo, (in tal caso è importante ricordare le formule del Veronense) la devotio moderna mirò verso un contatto immediato, individuale e personale, ottenuto attraverso un processo psicologico, ossia attraverso uno sforzo di meditazione-contemplazione circa l’umanità di Cristo. L’imitazione di Cristo non nasce dalla presenza sacramentale del Signore, come sviluppo della stessa, semmai procede da una visione di Cristo che sta davanti a noi come esempio distaccato e che è tanto più valido quanto più è capace di impressionare la nostra sensibilità. Un esempio concreto sono i miracoli eucaristici, i miracoli dei santi, le apparizioni dei santi, e la venerazione del Crocifisso.

Si può dire che la devotio moderna cerca di:

imitare Cristo non solo nella povertà e nell’umiltà (francescanesimo), ma anche in tutte le virtù;

metodizzare l'orazione, qualcosa che già San Bonaventura aveva fatto, così come Hugo de Palma, etc. Ora si va più lontano e si suggeriscono i temi dell'orazione per ogni giornata, i quali indicano il lavoro da realizzare per ogni potenza, classificano gli affetti,

40 «La frequente meditazione della Passione rende dottissimo anche l’indigente, e fa maestri gli inesperti e i non istruiti: li fa maestri, cioè, non della scienza che gonfia, ma della carità che edifica. Questa meditazione è un certo libro della vita, nel quale si trova tutto ciò che è necessario per la salvezza» ( Vita Christi, parte E, c. LVm, 5).

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organizzano i propositi sino a trasformare l'orazione in un esercizio quasi meccanico;

dare grande importanza al raccoglimento. Per i grandi autori, la mortificazione, l'intimità, il sentimento di umiltà ed il silenzio sono un tutt'uno, una stessa cosa. Questo affanno di interiorità e questo desiderio di piegarsi verso le zone più intime dell'anima si spiega tenendo conto del momento storico in cui nasce la devotio moderna, cioè l'epoca dello Scisma d’Occidente in cui la Chiesa sbaglia nel sapere quale sia il suo vero Capo visibile, chi sia il Vicario di Cristo a cui restare unita. Quando tutto è confusione al suo esterno, le anime scelte cercano la luce e la pace nel silenzio, nel ritiro e nella preghiera;

manifesta una grande avversione verso i fenomeni mistici e verso il linguaggio confuso dei contemplativi. Con frequenza si parla della vita estatica e su come essa non debba essere né stimata, né desiderata, perchè vale più la vita umile e silenziosa. Quello che importa è solo lottare con forza contro i vizi e le passioni; di conseguenza gli scrittori sono ascetici ed utilizzano un tono vibrante e bellicoso, per cui le parole “virilità” e “virilmente” risuonano tra tutte in quanto rappresentano le clausole che meglio esprimono lo sforzo e la tensione costante della volontà;

l'uomo, al fine di unirsi di più a Cristo, mira all'umanità del Signore e per meglio entrare in un personale contatto con lui, desidera, vuole sapere tutto ciò che lo riguarda e si occupa di tutti i particolari della sua vita, facendone materia di meditazione. Così si meditano e si venerano le ferite, le piaghe, le spine, le lacrime, il cuore, il volto, il capo e le membra.

Dinanzi a tutto questo movimento, la critica principale che si può fare è che il mistero di Cristo, così come esso viene presentato e vissuto nella Liturgia, nella sua integrità ed obiettività, non gode più della centralità della vita cristiana; i misteri di Cristo sono descritti come momenti successivi della rivelazione e del suo mistero pasquale. Ora, tutto si concentra nella meditazione-contemplazione di ciascuna delle parti dell'umanità di Cristo che ha lo scopo di suscitare, nella meditazione della Passione, sentimenti di compassione. Maria, la Mater Dei, diventa la Vergine dolorosa, (Mater Dolorosa), e la Madre che vive nella desolazione (Mater Desolata) e tutto il Suo mistero va a concentrarsi in una devozione-contemplazione delle sue glorie, delle sue gioie e dei suoi dolori.

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Certo, non è esagerato dire che, almeno in estensione e come intensità, sembra di assistere in questo tempo ad un risorgimento del cristianesimo, ma in realtà bisogna pensare che ci troviamo dinanzi ad un cristianesimo come «religione delle devozioni». A prima vista tutto sembra rimasto come prima tanto che ciò contribuirà ad un’espansione del movimento, ma in realtà il nuovo culto spirituale tenderà all’abolizione più o meno completa della stessa Liturgia. Questo fatto lo si noterà soprattutto nel protestantesimo che darà massima importanza alla Parola di Dio, ma solo come meditazione. In realtà al posto della Liturgia della Parola per tanti secoli, ci saranno dei libri di meditazione e al posto della preghiera comunitaria, ci sarà sempre di più una preghiera personale, intimistica e privata.

A tale riguardo, Marsili, così commenta:«Era la riprova che una riforma liturgica non si poteva raggiungere senza una teologia del culto cristiano in quanto tale. Il tentativo di giungere ad un culto autentico passando solo per il piano psicologico, se nella riforma cattolica porterà infatti alla Liturgia dell’epoca barocca, che sarà solo degna figlia, un po’ ripulita, di quella medioevale, nella riforma protestante la Liturgia sarà annientata definitivamente da quelle stesse forze psicologiche (pietismo) con le quali si voleva riportare al suo primitivo significato»41.

La riforma protestante.

La C o n tr o r i f o r m a t r id e n t in a .

Da alcune parti si è affermato che la riforma protestante "fii anche un'insurrezione antiliturgica". La conseguenza di ciò che avvenne la spiega Marsili: «L'assenza sempre più profonda di una vera teologia della liturgia, affogata, ormai, nel rigoglio lussureggiante dell'allegorismo più fantasioso e vuoto»42. Lutero fa sentire la sua voce affermando che: «La predica, o sermone, è l'unica cerimonia e l'unico esercizio di culto che Cristo abbia istituito, affinché in essi i cristiani si raccolgano, si esercitino e si tengano devoti»43.

Su questo piano di condotta ed in questo ambiente, non si arriva ad una riforma, semmai ad un’abolizione della liturgia. Però, la grande critica che si può fare a Lutero è a proposito della sua totale incomprensione "del valore teologico" della struttura liturgica.

41 Anàmnesis 1,68.42 Anàmnesis 1,68-69.43 MARTIN Lutero, Werke, ed. Weimar, 6,231.

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La conclusione di Marsili è sempre la stessa: mancando una “teologia della liturgia”, la riforma luterana «fece saltare l'antica struttura», ritenuta un «conglomerato stanco ed inaccettabile».

La Controriforma tridentina si propose un tentativo di ritorno alle fonti liturgiche ed alla autentica tradizione liturgica. La riforma liturgica tridentina, anche se molto importante e benefica sotto certi aspetti, non portò ad una nuova visione del culto tramite una teologia che escludesse la «messa sacrificio» e, al medesimo tempo, patrocinasse un ritorno alla «comunione»44. Se la «devotio moderna» aveva posto a base unica della vita interiore, la meditazione, dandole un valore di preminenza, il protestantesimo assunse una posizione radicalmente opposta: sul principio di una sola Scrittura, di una sola Fede e di un solo Battesimo, abolendo - in pratica - tutta la prassi sacramentale, ritenne che la predica o sermone fosse Tunica cerimonia e l’unico esercizio di culto che Cristo abbia istituito per la sua Chiesa.

Senza negare i molteplici valori della riforma tridentina, dopo di essa e con essa, la Liturgia seguitò ad essere quello che era, un culto esterno ed un fatto clericale, distante dal popolo il quale, però, continuava a rifugiarsi nelle sue pratiche devozionali, dentro e fuori della celebrazione liturgica, che comporterà nel tempo una sovrabbondanza di devozioni. A tutto questo c’è da aggiungere che Lutero, non percependo il «valore teologico della struttura liturgica», non promosse alcuna riforma liturgica. Se il suo intento era quello di ritornare alle origini, di fatto, proprio perché non riusciva a vedere nell’azione liturgica l'attuarsi dell’avvenimento salvifico, in tutta la sua ampiezza, non fu in grado di trovare quel contatto con la Chiesa antica, che pure cercava. La conseguenza più grave sarà l’impoverimento della preghiera della Chiesa e la definitiva perdita di quella grandiosa visione eucaristica dell’avvenimento della salvezza, che era viva agli occhi della Chiesa primitiva.

Malgrado questi effetti negativi, lentamente, si cominciò ad insistere in qualcosa che con il tempo sarà il cammino giusto onde arrivare ad una comprensione teologica della Liturgia. In questa direzione, si inizierà a pensare e

44 In questa prospettiva, Marsili rende noto che, a motivo delFambiente devozionale-teologico, che si era venuto a creare, e della pratica liturgica che si era instaurata, si notò sempre di più un’assenza di una vera teologia della Liturgia, «affogata ormai nel rigoglio lussureggiante dell’allegorismo». In realtà, a motivo di quel interiorismo psicologico e soggettivo, si fece quasi a meno della realtà sacramentale, oppure c’era la tendenza di porre il sacramento stesso sul piano altrettanto psicologico e soggettivo, distaccandolo dalla storia della salvezza. Pur polarizzando «l’adorazione» su Cristo presente nel sacramento dell’Eucaristia, quella medesima «devozione» non riuscì a riportare gli uomini ad una vera partecipazione della messa, nel senso che la comunione non veniva vissuta come partecipazione al mistero di salvezza, ma Gesù stesso era pensato come «amico», «ospite» e «sposo», atteso per un intimo colloquio.

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a scrivere che la Liturgia, specialmente la Messa, non è più un qualcosa di clericalizzato, ma è una realtà viva che appartiene per diritto a tutto il popolo cristiano, in quanto a tutti gli uomini è stato dato il dono ed il potere di essere partecipi del sacerdozio di Cristo45 secondo le dimensioni regali e ministeriali.

Alla fine del secolo XVII, Letoumeux46, fu uno dei maggiori esponenti del ritorno alla comprensione teologica della liturgia. Assieme al M u r a t o r i (1750) la Liturgia cominciò ad allargarsi verso nuove prospettive che arriveranno alla riscoperta teologica della liturgia stessa, anche se il loro discorso teologico si riferirà esclusivamente all'aspetto sacrificale della Messa, insistendo sul concetto che «il popolo unito al sacro ministro fa il sacrificio».

Il Muratori volle fare una pubblicazione completa di tutti i sacramentari allora conosciuti nella sua opera Liturgia romana vetus, Venetiis, 1748. Egli voleva offrire uno studio teologico-apologetico della messa come «sacrificio».

Dinanzi a questa panoramica storica e liturgica, conclude di nuovo Marsili:

«Non c'è, ancora, una teologia della Liturgia, ma si comincia a ritrovarne qualche

elemento e, soprattutto, lo studio delle antiche fonti liturgiche riscopre - finalmente in

pieno terreno liturgico - una ricchezza di pensiero che impegna ad una riflessione che47sarà, ormai, non più solo storica, ma teologica» .

Oltre ai due autori sopra citati, quali esponenti di una nuova epoca, si possono ricordare:

Card. Tornasi (+1713), che pubblicò per la prima volta il Sacramentario detto Gelasiano e tre libri gallicani detti Missale Gallicanum, Missale Francorum e Missale Gallicanus vetus;

Mabillon (+1707), che nella sua Liturgia Gallicani (Pariis 1685) riprese i testi gallicani del Tornasi, in edizione migliorata con altre aggiunte di altre fonti ancora inedite;

Martène (+1739), che pubblicò e studiò molti manoscritti liturgici in due famose opere : De antiquis monachorum ritibus, Lione 1690 e De antiquis Ecclesiae ritibus, Rouen 1700-1702;

Bianchini (+1764), che pubblicò l’edizione Anastasii Bibliothecarii de vitis romanorum pontificum (conosciuto sotto il nome di Liber

45 Cfr. Anàmnesis 1,71, dove si parla della Lettera apostolica di Alessandro VII.46 Una delle sue maggiori opere è L ’annéè chrétienne, scritta tra il 1677 ed il 1686, oltre alla quale ha scritto nel 1685 un’altra opera: La meilleure manière d ’entendre la Messe.47 Anamensis, 1,73

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Pontificalis), oltre collezioni di messe, che vanno sotto il nome di Sacramentario Leoniano (per l’attribuzione a Papa Leone Magno) o di Veronese (per il luogo dove fu scoperto, cioè la Biblioteca capitolare di Verona);

P. Lebrun (+1729), che pubblicò l’Explication littérale, historique et dogmatique de la Messe, con l’appendice di molte Dissertationes historiques et dogmatiques, varie di contenuto e di valore, nel 1727 a Parigi ;

il Gesuita portoghese De Azevedo, al quale fu affidata la prima cattedra di Liturgia (Accademia liturgica, voluta dal Papa Benedetto XIV);

l’italiano cistercense il Cardinale Bona (+ 1674), che scrisse Rerum liturgicam libri duo e Divina salmodia, in Opera Omnia, Anversa 1739, che furono certamente tra gi studi più accurati e letti dell’epoca.

I Bollandisti e la publicazione degli Acta Sanctorum.

2. VERSO IL MOVIMENTO LITURGICO.

2.1. LA SUA PREISTORIA: L’ILLUMINISMO.

Il Settecento è il secolo delVIlluminismo.

Ci interessa il Movimento Liturgico, ma prima bisogna accennare all’illuminismo . Di esso si può dire che fu un movimento ideologico e culturale, che informò di sé tutto il Settecento, inteso a portare i lumi della ragione in ogni campo dell'attività umana, allo scopo di rinnovare non soltanto gli studi e le varie discipline, ma la vita sociale intera, la cultura e le istituzioni, combattendo per mezzo della critica gli infiniti pregiudizi, frutto d'interessato inganno, che impediscono il cammino della civiltà e si oppongono al progresso e alla felicità degli uomini. L'illuminismo fu il modo di pensiero organico della borghesia nella lotta per la completa conquista del potere economico e politico e dell'egemonia ideologica: come tale, lo si può vedere storicamente crescere per circa un secolo dai tempi della Rivoluzione inglese del 1688 sino alla grande Rivoluzione francese del 1789, stabilendo ben presto il suo fulcro e divenendo il vessillo di un vero parti philosophe in quella Francia in cui alla preponderanza economica della borghesia e alla crescente coscienza, da parte di tale classe, della propria

48 E. Kant diceva che «l ’illuminismo è l ’uscita dell ’uomo da una condizione di minorità di cui è egli stesso responsabile».

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funzione sociale propulsiva si opponevano tenacemente i radicati poteri politici e privilegi civili dei nobili e del clero, alleati della monarchia assoluta. Meno impetuosa e radicale fu la fioritura dell'illuminismo nella stessa Inghilterra, dove esso era sorto con Locke, perché il nuovo equilibrio fra aristocrazia e borghesia stabilì un clima favorevole al conservatorismo ideologico, che in filosofia si rispecchiava esemplarmente nell'involuzione daH'empirismo lockiano alfidealismo soggettivo del vescovo Berkeley e all'agnosticismo di Hume.

In Francia la congregazione benedettina di S. Mauro diviene grazie all’opera di Mabillon uno dei grandi bastioni dell’Illuminismo della Chiesa francese. La sua fiducia nell’associazione scienza e religione trova le sue radici profonde nella teologia dell’Ècole fran9aise.

Vario fu, dunque, il modo d'intendere i valori inerenti l’uomo e la società (Liberté, Egalité, Fratemité) che campeggeranno sulle bandiere della Rivoluzione, ma la loro rivendicazione costituì comunque una tappa fondamentale nella storia dell'umanità. La morale, sganciata dalla religione, si poneva come obiettivo la "felicità per il maggior numero", riconoscendo i diritti dei sentimenti e dei sensi e indicando nell'utilità sociale o bienfaisance la virtù essenziale.

In realtà, non tutto era falso in questo secolo: le principali tendenze dell’epoca spesso erano corrette; molte di esse trovano oggi la loro realizzazione più autentica e vera, ma nel contesto di allora, anche quello che vi si trovava di vero e di valido era impregnato dal veleno del razionalismo esagerato, individualistico, e da tendenze spesso, almeno parzialmente, eretiche.

Per rendere giustizia alle tendenze di quest’epoca, in riferimento a A. L. Mayer49, e come suggerisce B. Neunheuser50, bisogna distinguere quattro gruppi di persone:

i sostenitori di uno scetticismo radicale e anticristiano;

i fautori di un’opposizione tra Cristianesimo positivo e religione naturale (costoro, però, non intendono distruggere la fede cristiana);

49 Con A. L. Mayer possiamo dire che «con la sua lotta contro l'esuberanza del barocco, divenuta col tempo puro vuoto, l'Eluminismo ha reso dei grandi servizi anche nel campo della Liturgia Innanzitutto ha fatto della questione liturgica un fatto che riguardava la Chiesa; la Liturgia divenne un movimento liturgico popolare». Tutto questo lo si vedrà ancora più chiaramente con la SECONDA PARTE di questa dispensa sulla Teologia della Liturgia, in modo particolare, parlando di Beauduin.50 B. NEUNHEUSER, E movimento liturgico: panorama storico e lineamenti teologici, Anàmensis 1, 13 ss.

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i teologi intermedi, che pur non toccando il sistema dogmatico della Chiesa come tale, spiegano però i singoli dogmi nel senso di una cosiddetta religione morale: sono i più numerosi, soprattutto fra i cattolici;

uomini sinceri, teologi e laici, che avendo ben colto le vere lacune del tempo, sono pronti ad “aggiornarsi”, ma nel senso più autenticamente cristiano. Il rappresentante più eccellente fu il grande vescovo J. M. Sailer.

In questo ultimo gruppo si devono annoverare i seguenti gruppi e personalità:

Il Sinodo di Pistoia ed il suo programma di riforma (1786);

Muratori 1672/1750;

I libri liturgici, neogallicani, dei secoli XVII-XVIII;

J. M. Sailer - 1741/1832 .

E ’ importante tener conto di queste differenze se si vuole ben capire con quali motivi gli uni e gli altri hanno lottato contro certe forme di culto, come ad esempio le devozioni accentuate e rasenti il devozionalismo. Nello stesso tempo, però, quello che falsificò tutto era un razionalismo esasperato, che trovò campo fertile proprio nell’illuminismo che si sviluppò come una religione entro i limiti della ragione pura, dell’utilitarismo e del filantropismo moraleggiante.

In tale prospettiva occorre considerare anche la Liturgia, che dal punto di vista filosofico-teoretico, non è in primo luogo l’azione salvifica di Cristo, celebrata e partecipata nel culto, ma piuttosto un mezzo per il progresso dell’individuo in senso morale e pedagogico. Per rendere completo questo quadro, è bene fare una valutazione dell’Illuminismo:

positiva: questo movimento ha lottato con ragione contro il fasto esuberante del Barocco. Per la prima volta ha messo l’accento sull’aspetto della pastorale liturgica. In sostanza la Liturgia dovrebbe essere la sorgente della vita della Chiesa;

negativa: l’illuminismo ha intravisto la grandezza della liturgia da lontano, ma non ha mai potuto condurvi i fedeli; non ha avuto la chiave del sacrario interiore della Liturgia. E ’ rimasto troppo prigioniero della dimensione umanistica e di un intellettualismo

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soggettivo. Ha poi concesso troppo ai potenti contro la Chiesa ed il papa. In ultima analisi, la Liturgia per rilluminismo era poco più che un mezzo per l’educazione morale dell’uomo e non la realizzazione dell’adorazione di Dio in spirito e verità.

Questa nuova epoca segnerà un grosso cambiamento nella storia della Chiesa e della Liturgia, dal momento che da più parti si invocava un ritorno al vero culto cristiano.

I primi impulsi e le prime realizzazioni di questo programma di rinnovamento liturgico che sarà il movimento liturgico, esistevano già, in maniera sorprendente per chiarezza di visione e tenacia di propositi, all'epoca dell'illuminismo.

Ma l'illuminismo51, sia nelle sue tendenze manifeste e sia nelle sue correnti di fondo, si era lasciato troppo aggravare e guidare da elementi eterodossi e, per conseguenza, la "restaurazione" rifiutò ogni riforma liturgica e si polarizzò in un conservatorismo di stampo tradizionalistico.

Concentrando l’attenzione all’ambito dell’illuminismo religioso ed, in particolare, quello cattolico, c’è da dire ancora che l’illuminismo denunciò la pietà popolare perché nutrita da una certa superstizione e dal fanatismo, mentre intendeva cercare una pratica religiosa illuminata dall’intelligenza e dalla cultura. Allo stesso modo denunziò i vizi entrati nel culto liturgico. Lo stesso movimento liturgico fu una risposta concreta alle provocazioni illuministiche e lo si può considerare come un’epoca storica con una precisa identità. Lo stesso Papa Pio XII, nel discorso di chiusura del Congresso di Assisi, il 22 settembre 1956, dirà che il movimento liturgico è apparso come un segno chiaro della Provvidenza di Dio nel nostro tempo presente, come un passaggio dello Spirito Santo sulla Chiesa, per riportare gli uomini dinanzi ai misteri della fede, arricchirli della grazia, al fine di renderli pienamente partecipi della vita liturgica. In una parola, la Liturgia ritorna ad essere la via della Chiesa esprimendo in pieno la sua attitudine religiosa come caratteristica principale, dinanzi al mondo.

51 SullTlluminismo: Che cos’è l ’illuminismo. I testi e la genealogia del concetto, a cura di Andrea Tagliapietra, Bruno Mondadori. Leggiamo: «L ’illuminismo non può certo essere inteso come una dottrina, né, tanto meno, come un insieme unitario di teorie riconducibili ad un’unica matrice teoretica... l ’illuminismo è un contenuto infinitamente vario, che si manifesta in tali elementi: la lotta inesausta contro le credenze soprannaturali della chiesa e le loro conseguenze pratiche...».

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Il Sinodo di Pistoia

Il Sinodo di Pistoia rappresentò il fatto più interessante dell’Illuminismo cattolico. Ebbe sette sessioni dal 18 al 28 settembre del 1786, con la presenza variante di circa duecentocinquanta sacerdoti. Presieduto sempre dal De’ Ricci, fu diretto per tutta la parte teologica dal Tamburini. Una delle sessioni più importanti fu la Sessione IV che promulgò il decreto sull’Eucaristia.

I decreti del Sinodo pistoiese furono legati profondamente all’attività riformatrice del De’ Ricci, come si può notare dalle sue pubblicazioni, raccolte diligentemente dal Matteucci. Uno dei punti di battaglia fu quello di porre freno al nuovo culto sul Sacro Cuore propagato dai Gesuiti, nonché dei Santi non pienamente riconosciuti, delle reliquie e delle immagini della Vergine Maria. In sostanza ci fu il tentativo di ritornare all’Eucaristia allontanando ogni sorta di devozione popolare. Il Sinodo di Pistoia è un esempio classico di come una cosa in sé giustissima (riforma della liturgia), se viene trattata con imprudenza, indiscrezione, esagerazione, e soprattutto se è permeata di errori dottrinali, rischia non soltanto di essere immediatamente respinta e condannata, ma anche di ritardare per molto tempo (per più di un secolo e mezzo!) un processo di riforma necessario. Oggi, dopo il Vaticano II, quasi tutti i progetti liturgico- pratici del Sinodo vengono realizzati.

C’era la preoccupazione di un vero e proprio rinnovamento che lasciava prevedere un programma piuttosto nutrito di obiettivi che favorissero un certo cambiamento. Infatti, tra i voti di riforma, troviamo:

la partecipazione attiva dei fedeli al sacrificio eucaristico;

la comunione con le ostie consacrate nella stessa Messa;

una minore stima della Messa privata, unicità dell'altare;

una limitazione nell'esposizione delle reliquie sull'altare;

significato della preghiera liturgica;

la necessità di riforme del breviario;

la veridicità e storicità delle letture;

la lettura annuale di tutta la Scrittura;

la lingua nazionale accanto al latino nei libri liturgici.

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Ma l'istanza centrale nella riforma liturgica dell'illuminismo cattolico era la tendenza alla semplificazione... al carattere comunitario... alla comprensione e all’edificazione del popolo cristiano.

“Semplificazione” voleva dire l'eliminazione di tutto il superfluo, di ogni elemento che poteva essere inutile. Il rischio fu quello di giungere ad una falsificazione della Liturgia eucaristica, considerata un semplice ricordo. Ma la maggioranza chiedeva, soltanto, una semplificazione esterna, cioè la lotta contro le esagerazioni a proposito di processioni, pellegrinaggi e confraternite, contro gli abusi relativi a benedizioni ed esorcismi, soprattutto circa l'uso eccessivo della benedizione eucaristica.

Uno dei punti fermi di questo Sinodo fu la centralità dell’altare, tanto che in un certo senso ha anticipato uno dei punti centrali della dottrina del Concilio Vaticano II. La condanna di questo Sinodo, da parte di Pio VI, con la Bolla Auctorem Fidei e della Chiesa considerarono eretici i primi 15 decreti che riguardavano la Chiesa e la gerarchia.

Il vescovo De’ Ricci subì un’umiliazione pubblica, fu abbandonato dai suoi amici e morì in solitudine nel 1809.

A livello liturgico tra il Sinodo di Pistoia ed il Vaticano II, come differenza sostanziale si può notare che nel Sinodo di Pistoia non fu prevista alcuna preparazione catechetica, né teologica: il vescovo aveva l’idea di iniziare una cosa nuova, ma senza una preparazione liturgica e teologica. Invece, il Concilio Vaticano II ebbe dietro a sé un’importante movimento liturgico che comportò un cammino ed una preparazione ad ogni livello: da quello storico, a quello biblico, a quello patristico, a quello teologico, a quello sacramentale, a quello dottrinale, a quello pastorale, a quello liturgico e a quello catechetico.

Alcune disposizioni sinodali riguardarono anche il culto della Vergine e dei Santi nell’intento di combattere la superstizione popolare.

2.2. Il seco lo XIX: I l R o m a n tic ism o .

Il fallimento dell’Illuminismo (con le sue conseguenze: Rivoluzione francese e guerre napoleoniche) condizionò politicamente tutto il secolo. Tale condizionamento si manifestò in tutta la cultura del tempo attraverso la restaurazione, talvolta quasi cieca, di forme dell’Ancien Régime: il romanticismo, il ritorno nostalgico al passato, al Barocco, al Medioevo. A questo atteggiamento era legato un rifiuto definitivo di quasi tutto ciò che costituiva il

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frutto dell’epoca precedente (anche nei suoi aspetti positivi). Quest’opera di restaurazione si faceva spesso con vigore, con le migliori intenzioni, ma già dall’inizio era condannata a un successo non durevole, piuttosto artificioso e, quindi, spesso fiacco e perfino degenerato. L ’arte contemporanea ne è una chiara testimonianza.

Nello stesso tempo, però, si manifestarono nuove forze assai più potenti dal punto di vista materiale, ma più povere dal punto di vista spirituale: l’industrializzazione, la tecnica, le scienze naturali, e con loro, l’indifferentismo, l’anticlericalismo, il liberismo antiecclesiale, l’ateismo, il materialismo, il comuniSmo. Con ragione A. L. Mayer ha potuto chiamare questo secolo il “gnadenloses Jahrhundert” (il secolo senza grazia).

Al centro di queste tendenze, stranamente opposte, viene a trovarsi anche la Chiesa, una Chiesa che va cercando di tracciare il suo cammino in correnti degne di ammirazione, benché esse non portino a risultati veramente risolutivi. E’ nell’ambito di queste tendenze che deve essere vista la situazione generale della pietà cristiana. C’è un grande desiderio di santità, si fanno molti sforzi sul piano spirituale, ma tutto questo si concretizza piuttosto nell’aumento di molte “devozioni”, con conseguenti visioni parziali del mistero della salvezza e con una situazione liturgica piuttosto “passiva” e stagnante.

Malgrado questi limiti, c’è - comunque - l’avvio verso un interesse nuovo per la Liturgia e il Movimento Liturgico; anche se la reazione immediata airilluminismo, cioè il Romanticismo, nulla dice sulla Liturgia, appaiono, però, varie correnti, come, ad esempio, Sailer (+1832) che pose l’accento

32 Professore di teologia e Vescovo di Ratisbona, nacque ad Aresing in Baveria Superiore il 17 ottobre, 1751; morì il 20 maggio 1832, a Ratisbona. Sailer era il figlio di un calzolaio povero. Fino all’età di 10 anni frequentò la scuola elementare nel suo luogo natio; successivamente egli divenne alunno del Liceo Classico (Ginnasio) a Monaco di Baviera. Nel 1770 entrò nella Compagnia di Gesù a Landsberg in Baviera Superiore come novizio; durante la soppressione della Compagnia nel 1773, continuò i suoi studi teologici e filosofici ad Ingolstadt. Nel 1775 fu ordinato sacerdote; tra il 1777 ed il 1780 fu tutore della filosofia e della teologia, e dal 1780, ricoprì l’incarico di secondo professore di dogmatica ad Ingolstadt. Conosciuto come insegnante e come scrittore egli fu ripetutamente chiamato ad altri incarichi; fu, in termini di amicizia, in contatto con Cattolici e Protestanti distinti, e fu stimato universalmente dai suoi alunni, fra i quali il Principe Luigi, che più tardi divenne Re di Baviera. Nel 1818 Sailer declinò l'offerta del Governo prussiano per averlo nominato Arcivescovo di Colonia; nel 1819 il governo Bavarese, attraverso l'influenza della Corona del Principe Luigi, lo nominò come Vescovo di Augsburg, ma la nomina fu rifiutata da Roma. Nel 1821, comunque, dopo che lui si giustificò sufficientemente da alcune accuse, fu nominato canonico della cattedrale di Ratisbona; nel 1822 divenne vescovo ausiliare e coadiutore con diritto di successione; nel 1825 coperse l’incarico di prevosto della cattedrale, e nel 1829 divenne vescovo di Ratisbona. Egli visse nel periodo dell’illuminismo, quando oltre ad esserci un rilassamento dei costumi ecclesiastici, ci fu una certa divisione all’interno della Chiesa. Sailer cercò di ristabilire i principi fondamentali del cristianesimo, attraverso la testimonianza della carità e la formazione più curata del clero. Difese strenuamente il primato papale e riuscì a rinfoltire le file dei cattolici, con il ritorno di molti al cattolicesimo.

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sulF importanza del culto nella vita della Chiesa. Per lui la liturgia doveva essere l’anima vivificante attraverso la quale formare i fedeli in una società organica.

Più precisamente, nello spirito del Sailer, appare in Germania J. B. Hirscher (1788-1865). Sorge anche a Tubinga una corrente cattolica, con J. A. Mòhler

o •

(1796-1838) , ed in Inghilterra ci sarà il cosiddetto "Movimento di Oxford", del quale uno dei principali esponenti fu il Cardinal Newmann. Su questo terreno culturale ed in questa sfera religiosa, affondarono le loro radici Dom Prospero Guéranger e la sua opera, tanto che lo storicismo farà di lui un ricercatore ed un divulgatore di antiche fonti religiose che rappresenteranno un’opera di grande valore per il presente e per il futuro.

2.3. Il r in n o v a m en to m o n a stic o : Do m Pr o spe r Gu ér a n g er .

Questo rinnovamento monastico fu l'immediato punto di partenza del movimento liturgico. Vide i suoi primi tentativi di realizzazione negli ambienti monastici e, soprattutto, nel monastero di Solesmes (Francia) col Guéranger e a Beuron (Germania), con i due fratelli monaci Mauro e Placido Wolter.

Neunheuser, a tale riguardo, è chiaro nell’affermare che «un rinnovamento del monacheSimo benedettino al secolo XIX non è pensabile senza Prospero Guéranguer (1805-1875)»54.

Uno degli elementi che egli riscoprì come essenziali per una vita contemplativa era, appunto, la Liturgia e, precisamente, la Liturgia nella sua forma romana55.

Guéranguer era un nemico dichiarato di ogni forma di gallicanesimo e, vedendo nell'unità liturgica con Roma la premessa indispensabile per ogni vera

53 Mòhler vedeva nella Liturgia il principio vitale della vita cristiana. H concetto della Chiesa come popolo di Dio, lo spinse a difendere l’uso della lingua volgare nella Liturgia. Ciò avvenne anche in Italia con Antonio Rosmini, che morì nel 1855: anche lui insistette molto sulla dottrina del Corpo Mistico di Cristo, con la conseguenza che ogni fedele doveva partecipare ai sacramenti secondo la virtù del carattere sacerdotale ricevuto dal Battesimo.54 A tale riguardo, cfr.: C. JOHNSON, Prosper Guéranger. A Liturgical Theologien. An Introduction to this liturgica! Writings and work, Studia Anselmiana 89, Analecta Liturgica 9, Roma, 1984.55 Per attuare il suo disegno nel 1833 acquistò l’antica Abbazia di San Pietro di Solesmes, soppressa nel 1791 e destinata alla demolizione, e vi ristabilì la vita benedettina Egli non seguì la linea di Giansenio, ma volle ritornare al senso della Chiesa Universale e al senso della Liturgia Universale, mediante la dottrina del Corpo Mistico di Cristo, sia a livello pastorale, sia a livello liturgico.

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vita ecclesiale, combattè, non solo le liturgie cosiddette neogallicane, ma anche ogni piccolo residuo proveniente dall'antica e veneranda tradizione gallicana.

Le sue opere fondamentali sono:

1830: Considerations sur la liturgie catholique ;

1840-1851: Les Institutions liturgiques

841-1866: L’année liturgique

Con queste opere diede impulso ad un vero e proprio movimento liturgico. Egli voleva promuovere tale movimento soprattutto sotto l’aspetto gerarchico, perché per lui la “gerarchia” voleva dire la Curia Romana. Con l’Année Liturgique egli scrisse un commentario liturgico riguardante tutto PAnno Liturgico. Guéranger morì prima di ultimare i 19 volumi di questo commentario. Nel movimento liturgico da lui promosso, mancarono tuttavia due principi, oggi affermati: l’esatta possibilità di riformare cerimonie e libri liturgici e l’altra di poter usare la lingua volgare. Con la presenza dei monaci egli ebbe la possibilità di mostrare a livello pratico quello che voleva realizzare, tanto che il monastero da lui rifondato divenne un punto centrale di riferimento per la Chiesa stessa.

Per Guéranger la liturgia doveva essere la preghiera della Chiesa. Infatti, egli intendeva affermare la superiorità della preghiera liturgica rispetto a quella individuale. Per lui il latino era una lingua sacra, rappresentava la tradizione, anche se era una lingua misteriosa e sconosciuta per il popolo che, per Guéranger non poteva, né doveva comprendere tutto.

Con il Guéranguer non ci fu un apporto positivo sufficientemente valido per una teologia della Liturgia e l'amore che egli nutriva per la Liturgia (e che fece anche nascere in alcuni ambienti di élite culturale), rispondeva, soprattutto, al tradizionalismo sentimentale e nostalgico che pretendeva vedere nel Medioevo l’espressione più autentica della vita della Chiesa, in quanto lo si considerava permeato di Liturgia.

Con l’inizio del movimento liturgico, Guéranger, insieme ad altri promotori, oltre a far intendere ai vescovi della Francia come fosse giunto il momento di rinunciare agli individualismi liturgici, ebbe il merito di sottolineare la presenza dello Spirito Santo nella celebrazione liturgica, al popolo: non si trattava di una questione collettiva, ma ogni cristiano doveva prendere coscienza di questa presenza particolare. Inoltre, Guéranger volle promuovere il ritorno al canto gregoriano nel quale vide il canto ufficiale della Chiesa di Roma, e lo voleva affermare al posto del canto popolare. Il punto di riferimento per il gregoriano fu

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il monastero di Solesmes, dove i Benedettini si impegnarono per far rifiorire la tradizione del canto gregoriano che non fu facile da reintrodurre nella tradizione della Chiesa.

Comunque, il problema con la diversità liturgica in Francia, fu determinato soprattutto dall’infedeltà verso Roma.

Andando avanti, il movimento spirituale di Dom Guéranger ebbe un felicissimo trapianto in Germania con l’apertura dell’antica Abbazia di Beuron, nel 1863 ad opera dai fratelli dom Mauro e dom Placidus Wolter, ambedue Benedettini, già abituati alla vita del monastero di Solesmes. Essi vollero mantenere la stessa riforma monastica e liturgica in Germania56. Dunque, a fianco della Regola, anche la liturgia assunse il posto centrale “nell'ascesi del monaco” e nella vita stessa del monastero, tanto da redigere una medesima regola liturgica. Nei primi anni di Beuron ci fu il desiderio di promuovere una liturgia romana, mediante anche una stretta osservanza della regola monastica.

Circa vent’anni dopo l’esperienza di Beuron, nel 1884, Dom Anselm Schott, anche lui monaco di Beuron, pubblicò il primo messale latino-tedesco che ebbe un grande successo. Undici anni dopo pubblicò il Libro dei Vespri, creando delle nuove prospettive.

Un altro merito di Beuron fu quello di aver dato alla luce la scuola di arte, che fu fondata da Desiderio Lenz che cercò di integrare l’unità artistica in un singolo spazio liturgico e di creare una certa armonia tra la Liturgia e l’Arte. Questo nuovo stile si diffuse ben presto in tutto il mondo.

Un altro fatto importante seguì nel 1872 quando un gruppo di monaci di Beuron si era stabilito in Belgio per restaurarvi la vita benedettina estinta dalla Rivoluzione francese. Ebbe così origine l’Abbazia di Maredsous, dove Dom Gerardo van Caloen iniziò il rinnovamento liturgico. La stessa cosa, più o meno, avvenne in Germania, presso un altro monastero, Maria Laach, che fu rifondato nuovamente, sempre dai monaci di Beuron. Esso divenne un importante centro di dottrina e di riforma tedesche. Nel 1913, prima di diventare abate, Ildelfons Herwegen (+ 1946) incontrò un gruppo di giovani laici i quali espressero il desiderio di una maggiore partecipazione liturgica. L'anno seguente, il nuovo abate invitò lo stesso gruppo al monastero per la Settimana Santa del 1914 dove essi celebrarono insieme la Messa dialogata per la prima volta.

56 Anche a Beuron, non meno che a Solesmes, resta determinante un'assoluta ammirazione per il carattere classico della Liturgia romana. In ambedue i casi, si arrivò alla riscoperta di un'autentica celebrazione eseguita in onore di Dio, la grande cura per un'apprezzabile canto gregoriano e lo sforzo di dar vita ad un'arte sacra di forte espressività.

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Herwegen, con due suoi monaci, Cunibert Mòhlberg e Odo Casel (+1948), e in collaborazione con Romano Guardini, F. R. Dòlger e Anton Baumstark, aprirono la strada al Movimento Liturgico tedesco. Herwegen ebbe una visione globale a livello liturgico-teologico.

La prima messa versus populum, con una partecipazione attiva del popolo, avvenne nella cripta del monastero di Maria Laach, il 1° agosto del 1926: vi era presente anche Burkhard Neunheuser, quando ancora era novizio.

Conclusione: alcuni studiosi ritengono che Guéranger, pur avendo avuto grossi meriti nel campo liturgico, non può essere considerato il vero fondatore del Movimento Liturgico in Francia. Lui si era fermato al periodo Medioevale per attuare la sua Riforma, per cui la sua opera appare incompleta. Non essendo ritornato alle fonti della Chiesa primitiva, non ha potuto conoscere a fondo la tradizione della Chiesa, sin dal suo sorgere. Malgrado ciò egli è da considerarsi uno dei pionieri del movimento liturgico il quale ha continuato a dare il suo contributo sino al Concilio Vaticano II, quando la Riforma Liturgica inizierà a creare importanti premesse per la Chiesa del terzo millennio.

Tutto questo null'altro era se non un periodo di incubazione e di preistoria senza il quale non sarebbe stato pensabile il rinnovamento liturgico posteriore. Questo nuovo atteggiamento interiore sarà terreno pronto a ricevere tutto quello che avverrà, a cominciare dalle riforme di papa San Pio X, in materia di vita ecclesiale e specialmente nell’ambito liturgico.

In questo senso, è fondamentale riferirsi al Motu Proprio Tra le sollecitudini ( 1903) di Papa San Pio X , il quale afferma che la liturgia costituisce la prima e indispensabile fonte del vero spirito cristiano. Questa solenne affermazione non descriveva la situazione dell’epoca, che nella liturgia non vedeva altro che un ordinamento esterno dei riti religiosi cristiani ordinamento che aveva uno scopo estetico-edificatorio, più che un senso sacro e sacramentale.

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DOM GUÉRANGER ALL’ORIGINE DELLA TEOLOGIA DELLA LITURGIA

Una vita fondata sulla liturgia

Nel suddetto contesto si collocano il contributo di Dom Prosper Guéranger e le sue opere, al punto che lo storicismo farà di lui un investigatore e un divulgatore delle antiche fonti religiose che rappresenteranno un’opera di grande valore, al suo tempo come in seguito.

Guéranger nasce il 4 aprile 1805 a Sablé-sur-Sarthe e nello stesso giorno riceve il battesimo nella chiesa di Notre-Dame di Sablé, evento che cogliamo l ’occasione di commemorare.

Non parlerò molto della sua vita. Nel corso di queste Giornate di studio, sarà ampiamente illustrata. Mi limiterò a menzionare i fatti e a dare una sintesi della sua vita con le parole pronunciate dal cardinale Édouard Pie nel corso della sua orazione funebre: “La vita liturgica della Chiesa era divenuta la sua vita personale e costituiva il metodo della sua potente spiritualità. Impegnato a fare della teologia il nutrimento e la linfa vitale della devozione, egli si differenziava da altri, con cui pure simpatizzava per coincidenza di pensiero ed un fondo dottrinale comune (nominerò qui William Faber)..., poiché aveva un’impronta caratteristica tutta sua: per lui l’ordine dell’orazione e dei santi affetti, tutta la pratica della vita e delle virtù cristiane si regolavano sul movimento e sul segnale quotidiano della liturgia”57.

Una vita dedicata alla ricerca continua della volontà di Dio, attraverso la cura di una comunità e l ’attenzione alla celebrazione e alla vita liturgica.

Il rinnovamento monastico: Dom Prosper Guéranger

Come è stato ribadito precedentemente, il rinnovamento monastico fu il punto di partenza del rinnovamento liturgico e del movimento liturgico posteriore.

Orazione funebre del Reverendissimo Padre dom Prosper Guéranger, abate di Solesmes, superiore della congregazione benedettina di Francia, pronunciata dal vescovo di Poitiers nella chiesa abbaziale di S. Pietro di Solesmes il 4 marzo 1875, p. 20-21.

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Furono alcuni monaci benedettini che diedero il primo impulso e che formularono il pensiero teorico iniziale, permettendo così di concepire, studiare e vivere il fatto liturgico in un modo nuovo.

Nella storia della liturgia ci sono pochi casi come quello di Guéranger, per il quale la vita monastica è intimamente legata alla vita liturgica. Dom Capelle dice chiaramente: “la fondazione di Solesmes resta,

58in definitiva, la grande opera liturgica di dom Guéranger” .

Curiosa affermazione che mostra come le due realtà sono allo stesso tempo unite e indispensabili: chi pensa di fare una fondazione monastica ha precedentemente pensato una liturgia, al punto che vita monastica e vita liturgica possano identificarsi.

Per chi affronta la vita e l ’opera del restauratore di Solesmes, la prima cosa che provoca impressione e ammirazione è il suo amore per la liturgia romana e il suo desiderio di metterla in pratica nel contesto monastico.

Liturgia e monacheSimo sono talmente uniti tra loro, che l ’uno non può essere compreso senza l’altra. Senza questo principio, l ’opera di Guéranger è difficilmente concepibile.

La restaurazione liturgica: ritorno alla liturgia romana

Uno degli elementi che lui ha riscoperto come essenziale per la vita benedettina, è, precisamente, la liturgia e, soprattutto, la liturgia nella sua forma romana59.

Lo si è detto e ribadito, Guéranger era nemico dichiarato di ogni forma di gallicanesimo, e lottò senza tregua per ottenerne l’estinzione in numerose diocesi di Francia nel XIX secolo60. Lui ha combattuto non solo le liturgie dette “neo-gallicane”, ma anche ogni residuo, per quanto piccolo, proveniente dall’antica e venerabile tradizione gallicana61.

Basta aprire una qualsiasi delle sue opere per rendersene conto.

58 B. CAPELLE, “Dom Guéranger e lo spirito liturgico”, Questioni Liturgiche e Parrocchiali 22 (1937), p. 136.59 Cf. C. JOHNSON, Prosper Guéranger. Un teologo liturgico. Introduzione ai suoi Scritti e Lavori liturgici, Studia Anselmiana 89 (Analecta Liturgica 9), Roma, 1984.60 Un punto di vista più recente può interessarci: G. O’CONNOR, «Il “Messale Parigino” del 1738: un resoconto attuale», Éphemerides Liturgicae, p .l 17 (2003) 195-220.61 È interessante vedere come S. Marsili interpreta la stessa idea: “Mentre i suoi amici Lamennais, Lacordaire e Montalember battagliano a favore di Roma nel campo dei principi a base di dimostrazioni astratte, dom Guéranger risale il corso della tradizione per ciò che riguarda un punto particolare della vita religiosa della Francia, la cui portata è immensa: la liturgia”, cf. S. MARSILI, “Nel centenario solesmense. Ricordando l’opera liturgica di dom Guéranger”, Rivista Liturgica 24/9 (1937), p. 199.

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Sicuramente il problema della diversità liturgica in Francia fu determinata soprattutto dall’infedeltà verso Roma62.

Guéranger, innamorato della liturgia e del seggio romano, concepisce la celebrazione come un’estensione della “romanità” della Chiesa che prevedeva l’unità liturgica con Roma, premessa per lui indispensabile alla vera vita ecclesiale. Le sue opere concernenti la liturgia (1830: Considerazioni sulla liturgia cattolica; 1840-1851: Le Istituzioni liturgiche;1841-1866: L ’anno liturgico) sono un inno alla liturgia, fedele alla tradizione romana, in comunione con il seggio di Pietro, in unione con le chiese che restano fedeli alla liturgia romana63.

Con queste opere, egli diede impulso ad una vera e propria restaurazione liturgica. Voleva promuovere un movimento di ritorno alla vera liturgia che, per lui, era solo quella romana. Ciò che lo guida è il suo amore per la gerarchia, vale a dire la Curia romana.

In questa restaurazione liturgica, c ’è una serie di punti fondamentali, come i due principi dell’impossibilità: 1) impossibilità di riformare cerimonie e libri liturgici, 2) uso della lingua volgare.

I suoi commenti sul latino come lingua esclusiva del culto si trovano nella seconda metà della sua opera, Le Istituzioni liturgiche.

II ritorno alla vera tradizione spiega la sua decisione di utilizzare di nuovo i libri romani. Con la presenza dei monaci nell’antico priorato, che presto diviene abbazia, Guéranger ebbe l ’opportunità di mostrare in pratica a tutta la Chiesa ciò che desiderava realizzare. Il monastero da lui restaurato divenne, quindi, un punto di riferimento nel mondo cattolico. Solesmes utilizza unicamente i libri dell’antica liturgia romana.

Se la liturgia è corpo mistico del Cristo vivificato dallo Spirito e voce orante dello Spirito che sale dal più profondo del cuore della Sposa, allora bisogna pensare, pregare e vivere come fa Roma. I particolarismi e i nazionalismi non hanno valore. Per Guéranger, la liturgia doveva essere la preghiera della Chiesa, dell’unica Chiesa cattolica.

Infatti egli cercava di affermare, come già affermato, la superiorità della preghiera liturgica rispetto alla preghiera individuale. E, soprattutto,

62 Nel 1840-41, apparvero le Istituzioni Liturgiche di dom Guéranger. Con il suo senso della tradizione e il suo ardore combattivo, l ’abate di Solesmes denunciava “l’eresia antiliturgica” e il giansenismo come i grandi responsabili delle innovazioni gallicane del XVIII secolo. Dopo vivaci polemiche, i vescovi di Francia tornarono gradualmente alla liturgia di Roma, cf. J. GAILLARD, “Gallicana (Liturgia)”, Cattolicesimo, t. IV, 1730.63 La viva FEDE di dom Guéranger, la sua profonda conoscenza della storia della chiesa, delle sue istituzioni, del diritto canonico, lo fecero intervenire nei dissidi religiosi del suo tempo, apportandovi quelle soluzioni sicure della dottrina cattolica suggeritegli dal suo limpido e sicuro discernimento. Questo, l ’assoluta fedeltà alla chiesa cattolica e ai suoi insegnamenti è stata la ragione della sua vita, e ne spiega l’eccezionale fecondità, tutta ispirata alla difesa della chiesa e delle sue dottrine, cf. A. GÉNESTOUT, “Guéranger”, Enciclopedia Catòlica, t. VI, p.1226-1227.

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come uomo di tradizione, egli si sente in comunione con tutti gli oranti di tutti i tempi. In questo modo, la liturgia fa della Chiesa una società di lode divina. La liturgia è la preghiera perfetta che lo stesso Spirito suggerisce alla comunità di cristiani che formano la Chiesa. Così comincia, con Guéranger, il ritorno alla celebrazione liturgica come fonte di spiritualità e come comunione ecclesiale.

Relazione tradizione-liturgia

Dom Guéranger insiste che le verità della fede si nascondono nella liturgia; più ancora, pensa che esiste una relazione intima tra la tradizione e la liturgia, e che per “liturgia” bisogna intendere la Tradizione della Chiesa. La conclusione immediata è chiara: occorre aprire questi tesori ai fedeli.

Io accetto interamente l ’opinione di dom Oury il quale diceva che «dom Guéranger considerava la liturgia il mezzo per far ritrovare ai fedeli il senso perduto della Tradizione; voleva che con i suoi monaci il maggior numero possibile di anime fosse “modellato sulla grande devozione alla Chiesa”, in unione permanente con la preghiera pubblica trasmessa di generazione in generazione fin dalle origini. Sono i Padri che hanno creato i testi maggiori della liturgia; in essi hanno mostrato come leggere il Vecchio Testamento alla luce del Nuovo; gli hanno conferito quel carattere unico che essi desideravano far condividere ai fedeli del loro tempo. Dom Guéranger ha ripreso la loro scuola e ha trasmesso il loro insegnamento ai cristiani del suo tempo»64.

La liturgia come “luogo teologico”

Guéranger considerava la liturgia come un luogo teologico di prima categoria perché è l ’espressione fedele della dottrina dei Padri, e di conseguenza della Chiesa.

A fronte della dispersione liturgica francese dovuta alle liturgie gallicano-gianseniste, Guéranger cerca, con tutti i mezzi, l ’unità con la liturgia romana per trovare, in questo modo, il cammino tanto desiderato dell’unità con la chiesa di Roma, e attraverso questa, con tutta la Chiesa di tutti i tempi.

‘ OURY, art. cit., p. 207.

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Una volta ammesso il valore teologico della liturgia, la sua funzione di insegnamento e di divulgazione del dogma non potrebbe sussistere se essa non fosse l ’espressione delPunione con la chiesa principale65. La tradizione passa per l’unione attraverso Roma e con Roma.

In quell’epoca, queste idee non erano né diffuse, né particolarmente amate. Al contrario esse provocarono critiche da parte della gerarchia francese, e di conseguenza furono ampiamente discusse. Si conoscono le critiche del vescovo di Orléans, Monsignor Fayet, sulle Istituzioni Liturgiche, critiche che riflettevano una conoscenza della liturgia esclusivamente rubricista e canonica, e dunque si comprende perché egli non poteva ammettere le posizioni teologiche di Guéranger in merito alla liturgia e alla sua celebrazione. Per il vescovo l ’errore dell’abate di Solesmes era precisamente di aver attribuito alla liturgia un valore e delle caratteristiche dogmatiche66.

Due modi di affrontare la realtà liturgica sono qui a confronto. Per il vescovo di Orléans, “la liturgia è un puro affare di disciplina ecclesiastica”, mentre dom Guéranger le conferisce un carattere dogmatico.

Le tre lettere di Mons. Fayet indicano chiaramente la visione teologica di dom Guéranger. Ma la polemica diede i suoi frutti. Numerosi vescovi si schierarono dalla parte dell’abate di Solesmes e, in più, cominciarono ad adottare il rito romano nella loro giurisdizione.

Una disputa liturgica

Le tre lettere scritte in risposta a Mons. Fayet, vescovo di Orléans, sono l ’espressione di due modi differenti di concepire la liturgia: il modo “teologico” di Guéranger e il modo rubricista e cerimoniale del vescovo di Orléans.

Le lettere sono state scritte per rifiutare l’esame delle Istituzioni Liturgiche. La prima e la seconda risalgono al 1846, mentre la terza è del 1847, cioè quando Guéranger era in piena produzione.

65 “Considerata da una parte la liturgia come un luogo teologico di prima categoria, perché espressione fedele della dottrina dei Padri e del senso della Chiesa; e considerato il fatto della dispersione liturgica avvenuta in Francia dal sec. XVI, in poi, sotto l’impero e l’ispirazione gallicano-giansenista, s’imponeva di necessità un ritorno all’unità della liturgia romana per ritrovare la via all’unità viva della FEDE di Roma”, S. MARSILI, nel centenario solesmense. Ricordando l’opera liturgica di dom Guéranger, art. cit., p. 200.66 Furono pubblicate nella seconda edizione, quarto volume, delle Istituzioni Liturgiche, cf. P. GUERANGER, Istituzioni Liturgiche, Seconda edizione, tomo quarto, Polemica Liturgica, Société Générale de Libraire Catholique, Paris, 1885.

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Il problema di fondo era il valore dogmatico della liturgia. La questione dogmatica, in quanto tale, sollevava il problema teologico con delle ripercussioni profonde nella liturgia. È attraverso questo cammino che si arriva al senso teologico della liturgia. Per Guéranger, liturgia e tradizione sono la stessa cosa: “La liturgia è dunque una vera professione di fede; essa contiene la fede della Chiesa”. Questa espressione è costantemente presentata all’attenzione di chi legge le Istituzioni liturgiche.

“La liturgia si compone in gran parte di formule positive nelle quali è contenuta la fede della Chesa’’67.

In opposizione al vescovo che negava il valore dogmatico della liturgia, l’abate di Solesmes insiste su due aspetti: il valore tradizionale della liturgia e il fatto che quest’ultima è una vera professione di fede, perché contiene la fede della Chiesa, essendo il suo principale strumento di trasmissione.

Non c ’è dubbio che la liturgia e la tradizione si identifichino, secondo il restauratore di Solesmes, a tal punto che egli non esita a dire che la Chiesa parla e insegna attraverso la liturgia.

“La liturgia non è soltanto la guida che la Chiesa ci offre per la comprensione della Scrittura; essa è anche, per mezzo delle sue formule di stile ecclesiastico, il deposito della dottrina cattolica”68.

Nella risposta che Guéranger dà al vescovo di Orléans, insiste che la liturgia non è semplicemente una questione di disciplina, come sosteneva il vescovo, ma il deposito della tradizione e, di conseguenza, essa possiede un valore dogmatico69.

La teologia liturgica

Facciamo ora un passo in più, arrivando così al cuore del nostro problema.

Nella premessa della sua opera, Le Istituzioni Liturgiche, dom Guéranger sostiene chiaramente che sotto il titolo di Teologia Liturgica vuole racchiudere tutto ciò che scrive, e commenta:

Tomo IV, p. 461.** Tomo IV, p. 392.69 Ibid., p. 407.

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“Dopo aver sviluppato in dettaglio tutte le parti di questa Somma, noi la facciamo seguire da numerosi trattati speciali nei quali esaminiamo: 1° le regole del simbolismo in materia di Liturgia; 2° la lingua e lo stile della Liturgia; 3° il diritto della Liturgia; 4° l’autorità della Liturgia, come mezzo di insegnamento nella Chiesa, e terminiamo quest’ultima sezione del nostro argomento con un piccolo lavoro nel quale, sotto il titolo di Teologia liturgica, abbiamo collocato in ordine di materia tutto ciò che la Liturgia, tal quale Roma la promulga, offre a chiarimento del dogma e della morale cattolica. La Liturgia è una cosa così eccellente che, per trovarne il principio, bisogna risalire fino a Dio; perché Dio, nella contemplazione delle sue perfezioni infinite, si loda e si glorifica incessantemente, proprio come si ama di un amore eterno70.

Dom Guéranger nutre per tutta la vita l’idea di elaborare concretamente una teologia liturgica. Le Istituzioni dovevano essere un trattato completo, come una Somma liturgica, ma non furono terminate.

Così, nel terzo volume delle Istituzioni Liturgiche, che apparve nel 1851, nella premessa, egli insiste sul fatto di aver promesso un volume speciale dedicato proprio alla liturgia teologica:

“Noi vogliamo parlare della nostra Teologia liturgica, che formerà unrobusto volume. La nostra seconda lettera a Mons. Fayet ci ha costretto adanticipare la questione del valore teologico della Liturgia”71.

Un robusto volume. Non c ’è dubbio che fosse un’idea costante che - come tante altre - non ha potuto essere realizzata. Tuttavia, chi legge tutto il quarto volume delle Istituzioni Liturgiche può raccogliere — come abbiamo fatto noi — idee, suggerimenti, pensieri che l ’autore tra i pionieri della visione teologica della liturgia. Con dom Cabrol, possiamo dire che “Guéranger fu un pioniere che ha aperto la via”72.

Iniziatore di un nuovo modo di accostarsi al fatto e al dato liturgico

Non c’è dubbio che dom Guéranger vede la liturgia da una prospettiva nuova e distinta. Dom Oury lo dice molto chiaramente:

70 Tomo I, Les Institutions Liturgiques, p. 16.71 Tomo IH, LXX.

CABROL, “Guéranger”, dizionario di archeologia cristiana e di liturgia, tomo sesto, Seconda parte, p. 1878.

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“La storia della liturgia non occupa il primo posto nelle intenzioni dell’Abate di Solesmes: egli si pone come teologo della liturgia, e questa scelta influisce sul suo metodo. È infatti alla maniera di un teologo che egli procede, partendo dall'insegnamento della Chiesa, dagli atti del Magistero; si sforza di apprezzarne la portata e di giustificarli con argomenti razionalio storici agli occhi dei suoi lettori. Alla base del suo approccio, c’è un atto di fede nella presenza permanente dello Spirito Santo nella Chiesa, che guida il suo insegnamento e la sua pratica legittima (la praxis) nel corso dei secoli”73.

Riferendosi fondamentalmente alle Istituzioni Liturgiche, dom Oury dichiara: “l ’opera è innovativa per il suo piano e la sua concezione; è una :eologia liturgica alla quale manca la parte principale”74.

Quest’ultima annotazione mi interessa. Non si può certamente considerare come un manuale di teologia liturgica, almeno nel senso in cuilo intendiamo oggi; non gli mancherebbe tanto un fondamento teologico - :he possiede - quanto uno sviluppo progressivo delle nuove idee che enuncia. Sicuramente, l ’opera rappresenta un abbozzo delle grandi idee che sorgeranno nel corso del secolo seguente.

C’è, insisto, uno schizzo di quelle idee, e soprattutto una volontà marcata di dare un fondamento teologico a tutta la liturgia. A partire da questo, e attraverso intuizioni più o meno sviluppate, “si delineano già una oologia della Chiesa e una teologia della liturgia imperfettamente formulate, sufficientemente precise, tuttavia, perché egli vi faccia spesso riferimento nelle sue risposte alle obiezioni che gli saranno mosse nel corso iella controversia. Egli ha ravvisato nella liturgia la principale manifestazione della Chiesa e della sua natura autentica; in un certo modo, fi può dire che la liturgia è alla base della vita del Corpo mistico”75.

In una frase profondamente teologica, Guéranger dirà:

“Visto che la liturgia ha tra i suoi scopi principali quello di manifestare pubblicamente la verità che Dio ha conferito alla Chiesa al fine di inculcare più profondamente nello spirito dei popoli i dogmi rivelati, non è sorprendente che le formule sacre contengano la regola inviolabile della fede”76.

Una frase che in seguito conquistò il movimento liturgico belga:

JURY, art. cit., p. 189.* Ibid., p.189.

IbieL, p. 189.Les Institutions Liturgiques, t. IV, p.387.

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«La continuità tra il Movimento liturgico belga e le Istituzioni didom Guéranger è indiscutibile, almeno per ciò che concerne gli elementicentrali di una teologia della liturgia, le sue componenti cristocentriche,ecclesiologiche e ultramontane e i suoi influssi su una “sociologiacattolica”. E sono le stesse difficoltà emerse dai presupposti guérangerianiche riappaiono di fatto alla lettura dell’opuscolo di dom LambertBeauduin, La Devozione della Chiesa, comparso nel 1914, vero piccolo

• • 11manifesto di questa nuova fase del Movimento liturgico» .

Non c’è dubbio che le intuizioni del pioniere Guéranger siano servite da base per tutto ciò che, pochi anni dopo, sarà la nascita del movimento liturgico, all’interno di un mondo monastico che recupera la fiamma accesa a Solesmes. È chiaro che “le intuizioni del giovane abate Guéranger restano ancora profondamente stimolanti...; Guéranger è tra coloro che hanno aperto un fruttuoso e ricco campo di esplorazione e di restituzione dell’affermazione storica della diversità cristiana, e non ha temuto di fornire, in merito, testimonianze di Meaux (Concilio dell’845?), riportando certi testi neìVAnno liturgico.

Conclusioni

Con la base teologica della sua visione liturgica, dom Guéranger apre una prospettiva nuova quando si tratta di esaminare la realtà liturgica, di interpretare la celebrazione liturgica e di vivere un tipo di spiritualità che ha come punto di partenza quella stessa celebrazione.

Figlio del suo tempo, egli apre nuove strade che l ’avvenire saprà sviluppare.

77 J.-Y. HAMELINE, “Liturgia, Chiesa, Società. Alla nascita del Movimento Liturgico: Le considerazioni sulla liturgia cattolica dell’abate Prosper Guéranger (Memoriale cattolico 1830)”, La maison Dieu, 208 (1996/4), p. 37-38.

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3. LA PARTECIPAZIONE LITURGICA, PUNTO DI PARTENZA DELMOVIMENTO LITURGICO78.

3.1. R iper c u ssio n e del M o tu pr o pr io "Tr a l e sollecitui>in i"d i P apa

P i o X

Non c'è dubbio che il Motu proprio Tra le sollecitudini (22.10.1903) di Papa Pio X, sulla musica e il canto in Chiesa, segnò un punto di partenza nel

• 70rinnovamento della liturgia . Quando il papa, riferendosi al vero spirito cristiano, parlava della «partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa», senza dubbio indicava un cammino di rinnovamento nella celebrazione e nella vita della liturgia80.

La solenne affermazione papale con la quale si apre il secolo XX non riflette, tuttavia, la situazione della liturgia dell'epoca, e nemmeno è indicativa del vissuto liturgico delle comunità cristiane di allora. Queste continuavano a rimanere ancorate alle leggi e ai riti esterni e a celebrazioni più estetico-edificanti che teologico-sacramentali.

E' nostro intendimento approfondire le ripercussioni che l'indicazione di Pio X ebbe in alcuni dei pioneri o iniziatori del movimento liturgico81.

3.2. Il M o vim ento Liturg ic o ed i suoi P io n e r i.

Il secolo XX - Nei primi decenni del secolo XX nasce l'interesse per le questioni liturgiche che poi sfocerà nel movimento liturgico82.

* J. J. FLORES, La partecipazione liturgica: punto di partenza del Movimento Liturgico, in Actuosa Participatio. Conoscere, comprendere e vivere la Liturgia, edd. A. Montan - M. Sodi, Miscellanea Prof. D. Sartore, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002,229-245.

Ecco il passo del Motu proprio che ci interessa: «Essendo nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa» (ASS 36 [1903-1904], 331; C. BRAGA - A. BUGNENI, Documenta ad instaurationem iturgicam spectantia [1903-1963], Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2000, n° 34, p. 14).' 1 C. Braga parla del movimento liturgico postconciliare distinguendo due fasi: «Laprima va dall'inizio del '900 e arriva al secondo dopoguerra LI suo impegno si può esprimere con due termini: i verbi partecipare” ed “instruere” e i sostantivi corrispondenti»: C. BRAGA Presentazione, in C. BRAGA-A.

BUGNINI, Documenta ad instaurationem liturgicam spectantia, Vili.' Diamo per conosciuti gli articoli "classici" su questo tema, specialmente la voce "Partecipazione" di A. M. TRIACCA in D. SARTORE - A.M. TRIACCA - J. M. Canals (edd.), Nuevo Diccionario de Liturgia Madrid 987, soprattutto per quanto si parla della «partecipazione nella celebrazione, ideale del movimento

liturgico», 1555 ss.

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Il secolo XX può essere diviso, dal punto di vista storico-liturgico, in tre grandi tappe83:

dagli inizi del movimento liturgico alla riforma liturgica (1909-1959);

dalla riforma liturgica al rinnovamento (1963-1990);

dal rinnovamento alla spiritualità liturgica (1990- in poi).

A sua volta il movimento liturgico può essere diviso in tre tappe: il primo periodo, quello che ci interessa, va dalfanno 1909 al 1914; il secondo periodo, comprende gli anni 1914-1918 / 1939-1943; il terzo periodo, invece, si estende dal 1953 al 1955, con le riforme di Pio XII.

Primo periodo del movimento liturgico - I primi e decisivi passi nella linea indicata dal Motu proprio di Pio X provengono dall'ambiente monastico di Maredsous e di Mont-César (Belgio) e sono dovuti all'incontro di una forte personalità, quale fu Dom Lambert Beauduin, con un mondo cattolico laico molto ben disposto al nuovo atteggiamento.

Lutto quello che seguì (fino allo scoppio della prima guerra mondiale), altro non fu che il conseguente sviluppo di quel fortunato inizio del movimento liturgico, che si affermava attraverso una forte attività nel Belgio, con l'instaurarsi delle sempre più famose "Semaines et conférences liturgiques", promosse dai monaci di Mont-César, e con il sorgere delle grandi riviste liturgiche.

Le grandi idee - Il movimento liturgico nasce con due grandi idee, il problema spirituale e il ritorno alle fonti.

Fin dal primo momento è preoccupato del problema spirituale propriamente detto. Benché sembrasse che la sua preoccupazione fosse rivolta alla bellezza della liturgia, questa non era che l'occasione per attirare i fedeli. Preoccupava la mancanza di partecipazione nelle celebrazioni liturgiche, per questo, a partire da questo momento, si pretende ricreare l'intelligibilità del segno liturgico- sacramentale.

8‘ Continua ad essere utile il libro di O. ROUSSEAU, Histoire du mouvement liturgique. Esquisse historique dépuis le début du XlXjusqu'au pontificat de Pie X, Lex Orandi 3, Paris 1945, anche se il libro finisce là dove crediamo dovrebbe situarsi l'inizio del movimento liturgico. È anche interessante: F. Brovelli (ed.), Liturgia: temi ed autori. Saggi di studio sul movimento liturgico, Biblioteca Ephemerides Liturgicae 53, Roma 1990.83 In questo senso si possono vedere i tre titoli delle tre relazioni di A. PISTOIA, M. SODI, A.M. TRIACCA in Liturgia ieri-oggi-sempre. Atti del Convegno liturgico regionale ligure 30 settembre-1-2 ottobre 1991 nel 50°anniversario del "dies natalis" di Mons. Giacomo Moglia, Genova 1992.

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L'influsso cristologico fu fondamentale in questa preoccupazione spirituale e ad esso hanno contribuito molto gli scritti e le conferenze di colui che in quegli stessi anni era priore dell'abbazia di Mont-César e poi abate di Maredsous, Dom Columba Marmión.

Le conferenze e i ritiri di Dom Marmión, riproposti nei suoi libri, trattano come tema di fondo il mistero di Cristo; la teologia e la spiritualità cristocentriche si basano sulla liturgia, come si può vedere nelle opere di Dom Marmión, specialmente in Cristo nei suoi misteri. Per queste vie doveva maturare il rinnovamento liturgico84.

Il movimento liturgico cominciò a presentarsi, pertanto, come un rinnovamento spirituale nel quale la liturgia aveva un ruolo fondamentale, di riferimento continuo.

Quest'orientamento spirituale si rivela nello sforzo continuo di presentare sempre, sotto nuovi aspetti, i diversi tempi liturgici, facendoli oggetto di considerazione di modo che potessero orientare verso una visione cristologica e cristocentrica. Si passa così dalla liturgia alla vita spirituale.

L'Eucaristia non era più la preghiera della comunità cristiana ed era diventata compito esclusivo dei chierici, tanto che i fedeli non vi prendevano più parte diretta, ma potevano partecipare soltanto da lontano dedicandosi, nello stesso tempo, a devozioni particolari. La comunione era una devozione privata non • incoiata in modo alcuno con la Messa.

Il secondo aspetto che caratterizza il movimento liturgico è il ritorno alle fonti, ma con la continua insistenza sul fatto che la prima fonte era la celebrazione dei >anti misteri.

La produzione liturgica di questi primi anni è abbondante e soprattutto di grande qualità: corsi, riviste, settimane liturgiche, sussidi liturgico-pastorali. C'è un interesse crescente per le traduzioni liturgiche e per i commentari ai testi.

In questo primo periodo del movimento liturgico sono fondamentali tre opere. Tre nomi che sono già indicativi di tutto un nuovo rinascere liturgico: Dom

Il contributo maggiore di Dom Marmión alla storia della spiritualità fu la sua visione del ruolo di Cristo nel disegno di Dio. Ha dato ai suoi lettori tutta una cristologia, ponendo Cristo al centro del suo r^egnamento. H segreto della profonda influenza che esercitava sulle anime era l'intimità della sua relazione con Cristo. Questa intimità proveniva da una meravigliosa sintesi tra Sacra Scrittura e il meglio della radinone monastica: M. TERNEY, Scrittore fecondo delle «cose» di Dio, in L'Osservatore Romano, lomenica 3 settembre 2000, pag.15. Cfr. J. J. FLORES, Dom Columba Marmión, abady maestro, -Phase ■240 (noviembre-diciembre 2000), 557-564.

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Lambert Beauduin con La piété de l'Eglise, principes et faits, Louvain 1914; Dom Maurice Festugière con La liturgie catholique. Essai de synthese suivi de quelques dévellopements, pubblicato nell'abbazia di Maredsous nel 1913 e con la serie di articoli apparsi durante l'anno 1914 nella Revue Thomiste; Dom Emmanuele Caronti, La pietà liturgica, Forino 1920, benché si tratti di conferenze dell'anno 1913.

In quegli stessi anni inizia nell'abbazia di Maria Laach (Renania) la pubblicazione di diverse opere come si vedrà nel paragrafo successivo.

3.3, Gli inizi d el M o vim ento litu r g ic o .

I primi e decisivi passi in questa nuova linea si fecero soprattutto in Belgio, ed erano passi che, provenendo dall’ambiente monastico di Maredsous e di Mont- César (Lovanio), ebbero la possibilità di far incontrare due grandi e nobili figure: il monaco Dom Lambert Beauduin e Godefroid Kurth. Ciò avvenne il 23 settembre 1909, come testimonia Fischer e, secondo il quale, durante il Congrès Nationale des oeuvres catholiques, a Malines, ci fu «un felice momento

• • • 35 • • • •creativo», grazie al quale si potè quasi fissare l'inizio di un movimento liturgico che cessò di essere una corrente, per essere visibile e riconoscibile agli occhi di tutti. Tutto quello che seguì, altro non fu che il conseguente sviluppo di quel fortunato inizio.

Prendiamo, allora, la data del 1909 come inizio del movimento liturgico con il "Congrés national de oeuvres catholiques" a Malines, con Dom Lamberto Beauduin.

Dal 1910 al 1914 le settimane liturgiche di Mont-César prepareranno l'ambiente favorevole per il movimento liturgico. Proprio in quegli anni la questione liturgica divenne una questione ecclesiale.

Nel 1912 cominciò ad apparire la Bibliothèque liturgique che pubblicherà opere molto importanti come il Rituel des fidèles, la Liturgie des défunts ed il Missel dominical. La guerra interromperà questo inizio pieno di speranza.

85 E qui infatti - caso oltremodo raro - che «si può fissare se non proprio l'inizio, certamente però il momento fortunato nel quale il movimento liturgico cessa di essere una corrente, per così dire, sotterranea, e all'improvviso si apre una via in superficie, mostrandosi di colpo visibile e riconoscibile agli occhi di tutti»', l'indicazione storica è di B. FISCHER, mentre la citazione è ripresa da B. NEUNHEUSER, Il movimento liturgico: panorama storico e lineamenti teologici, in S. MARSILI (ed.), Anàmnesis. I. La liturgia. Momento nella storia della salvezza, Roma 1974,21.

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Il movimento si estese anche in Germania, nelle abbazie di Beuron e Maria Laach, dove si incontrarono l'abate I. Herwegen ed i suoi monaci Mohlberg e O. Casel con il sacerdote italo-tedesco R. Guardini. Nel 1918 ebbero inizio le famose tre collane:

1° - Ecclesia orans;

2° - Liturgiegeschichtliche Quellen (Le fonti della Storia della Salvezza);

3° - Liturgiegeschichtliche Forschungen;

4° - Archiv fur Liturgiewissenschaft (si tratta di pubblicazioni di studi liturgici, promosse dall'Istituto Herwegen).

Questo movimento arrivò poi in Austria con il contributo di Pius Parsch, uno dei canonici regolari di Sant’Agostino a Klostemeuburg (1884-1954) che con il suo Das Jahr des Heiles (L'anno liturgico) fece dei commenti al Messale ed al Breviario. Nel 1950, egli poteva così riassumere i grandi scopi del suo lavoro:

riavvicinare gli strati più semplici del popolo al culto della Chiesa, rendendo possibile, soprattutto, ad essi, una partecipazione attiva alla Liturgia;

ridare la Bibbia in mano al popolo.

La Francia aveva il vanto di aver dato la prima spinta alle iniziative del Belgio, oppure aveva il merito di aver dato vita a lavori di carattere scientifico, quali erano quelli compiuti da Solesmes, cioè: q ^ . 0

la Palèographie musicale; * ^ ‘""v l‘~* Av ^

il Graduale romanum (Editio Typica); . p ^ ,

l’Antiphonarium romanum. ’ .

Questi libri vennero dichiarati, sotto Pio X, edizioni tipiche: ad essi bisogna aggiungere le grandi pubblicazioni come il Dictionnaire d'Archéologie chrétienne et de la Liturgie (1907-1953) curato da F. Cabrol - H. Leclerq, i cataloghi dei manoscritti dei libri liturgici del Leroquais, gli studi di Duchesne, la Patrologia Latina e Greca scritta dal MIGNE e Dom Pitra, ecc. Nell'Italia del Nord ci sarà la Rivista Liturgica (1914) a Finalpia Ligure, con don Caronti, suo primo direttore, anche se fu arricchita successivamente dagli studi di dom L. Schuster, Abate di San Paolo (futuro Cardinale ed Arcivescovo di Milano), con il quale attraverso il suo Liber Sacramentorum, si ritornò all’Archeologia Liturgica. Il movimento liturgico arrivò anche in Spagna nei monasteri di Montserrat e Silos, mentre negli

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Stati Uniti trovò il suo primo centro nel monastero di St. John (Collegeville), nel Minnesota.

Certamente non si può dire, né si deve credere, che tutto questo sviluppo sia avvenuto sempre in un clima di pace e di tranquillità. Al contrario, non mancarono all'interno della Chiesa, le discussioni, e tanto meno gli attacchi, a motivo di vescovi che si mostrarono scettici e riservati nei confronti del movimento liturgico in genere e di fronte a certi suoi atteggiamenti.

Ma la polemica di maggiore importanza fu quella che si sviluppò sul piano sia della teologia sia della spiritualità intorno alla visione misterica della Liturgia di O. Casel.

Le date più significative sono: il 1943, quando si assiste ad una prima presa di posizione della Chiesa con la Mystici corporis, il 1946, quando Johannes Wagner fondò l’istituto Liturgico di Trier, ed infine, il 1947, quando nella Mediator Dei si mescolarono, in modo singolare, riconoscimenti e rimproveri, nello sforzo molto evidente di rimuovere ogni pericolo di estremismo. C’è da ricordare anche che si tennero importanti Congressi intemazionali di Liturgia nelle seguenti località:

il 1951, a Maria Laach;

il 1952 a Mont Saint Odile, in Alsazia;

il 1953 a Lugano, in Svizzera, dove il Congresso trattò l’argomento dell’iniziazione Cristiana;

il 1956 ad Assisi, dove si tenne il famoso discorso di Pio XII;

il 1960 a Munchen;

il 1965 aMontserrat.

Ritornando all’ambito di alcune date che hanno segnato momenti importanti della vita della Chiesa, alla Mediator Dei si deve riconoscere il merito di essere stato il primo riconoscimento ufficiale dei valori del movimento liturgico, a livello di Chiesa universale, diventando così, di fatto, la Magna Charta del rinnovamento che essa stessa intendeva apportare

In ultima analisi, altre vie di penetrazione del movimento liturgico sono state:

(1943) Il “Centre de Pastoral Liturgique” e La “Maison Dieu”, nonché la collana “Lex Orandi”, le “Sessioni CPL” e le “Settimane Nazionali di Versailles”.

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Gli stessi Congressi intemazionali di Liturgia, fino all'anno 1956, dei quali si può ricordare il grande Congresso liturgico-pastorale di Assisi e l'allocuzione di Pio XII, che se pur abbondante nella lode, fu ugualmente carica di riserve molto critiche.

La conferenza di Jungmann, ad Assisi, nel 1956, intitolata La Pastorale come chiave della storia della liturgia, dove si dice che la liturgia viva è stata per secoli la forma più importante di pastorale.

In riferimento al tema della pastorale, come chiave della storia della Liturgia, lo stesso Jungmann nella sua conferenza dirà: «Questo è vero soprattutto per i secoli in cui essa fu praticamente creata. Un complesso di situazioni sfavorevoli ha avuto come conseguenza che nei secoli del tardo Medioevo sia stata celebrata con grande zelo e magnificenza in numerose chiese, di collegi di sacerdoti... ma che nel medesimo tempo si sia interposta tra la liturgia ed il popolo una specie di cortina fumogena, dietro la quale i fedeli non riuscivano a distinguere quello che avviene sull’altare»86. Jungmann finiva la sua conferenza con queste parole: «La nebbia comincia a svanire. Spunta un giorno luminoso. La chiesa raduna nuove forze. Va coraggiosamente incontro ai nuovi tempi - come il popolo di Dio

87orante» .

In questo orizzonte, si preparava, infatti, proprio ad Assisi, aprendone la via, la grande riforma liturgica del futuro Vaticano IL Questo stato di cose fece sì che il lavoro della Commissione Liturgica Preparatoria, creata in vista del Concilio Vaticano II, fosse così avanzato che lo schema relativo alla riforma della Liturgia non soltanto fu il primo ad essere discusso in Concilio, ma potè presto trovare, come conseguenza delle discussioni conciliari, la forma di una costituzione liturgica.

CONCLUSIONI DELLA PRIMA PARTE

In riferimento agli argomenti trattati, si possono presentare i seguenti punti conclusivi di questa prima parte:

1° Nell’Antichità cristiana la liturgia è teologia, dunque troviamo un vero spiritualismo cultuale che si esprime in un nuovo culto.

" J. JUNGMANN, La Pastorale come chiave della storia della Liturgia, in Entità liturgica ed attualità pastorali, Roma 1952,572.17 J. Jungm ann , op.cit. 574.

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2° Cristo è adesso il centro del culto, il Tempio, FAltare e il Sacrificio vero, la Pasqua. Origene dirà che Cristo è altare, sacerdote e vittima, perciò i cristiani non hanno né altari, né templi, né statue. Il culto dei cristiani è un culto spirituale nello Spirito del Cristo risorto.

3° In questo nuovo culto l’unica vittima è il Cristo, morto e risorto. La realtà adesso è Cristo e non l’osservanza della legge.

4° Questa nuova teologia del culto riempie tutta la vita dei cristiani. I riti cristiani sono l’espressione perfetta e unica del culto spirituale.

5° L’ambiente storico, sociale e culturale ebbe influsso in questo culto spirituale. I primi sintomi di involuzione appaiono nel Canone romano con la sua mentalità giuridico-formale (v. gli Ordines Romani).

6° Nel medioevo la liturgia ormai non è teologia. Sorgono tentativi di spiritualismo cultuale quali l'allegorismo e il devozionalismo.

7° Con l’epoca moderna sorge anche la devotio moderna che rappresenta la nuova spiritualità dei tempi moderni.

8° Con lo studio delle antiche fonti liturgiche si ritrova la via giusta ed innanzitutto una ricchezza di pensiero che porta a una riflessione che sarà non solo storica, ma teologica.

9° L’illuminismo e il rinnovamento monastico rappresentano la preistoria del rinnovamento liturgico posteriore.

10° Col Movimento Liturgico giungiamo alla visione teologica della liturgia.