internati militari italiani

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CARLO FEDELI IIIA Italiani: vittime o carnefici? 8 settembre 1943 Il prezzo e il peso che l’Italia ha pagato dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945

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CARLO FEDELI IIIA

Italiani: vittime o carnefici?8 settembre 1943

Il prezzo e il peso che l’Italia ha pagato dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945

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Le Leggi Razziali

Figura 1: Benito Mussolini e Adolf Hitler nel 1938

Adolf Hitler nel maggio del 1938 si recò in visita a Roma. Storici come Meir Michaelis e Renzo De Felice hanno voluto sottolineare che non abbiamo prove di pressione diretta da parte tedesca nell'avvio della campagna razzista del fascismo italiano che partì ufficialmente il 15 luglio 1938, quando venne pubblicato il Manifesto della razza firmato da noti professori fra cui Nicola Pende. Galeazzo Ciano riporta nel suo diario per la giornata del 14 luglio 1938: «Il Duce mi annuncia la pubblicazione da parte del Giornale d'Italia di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un gruppo di studiosi, sotto l'egida della Cultura Popolare. Mi dice che in realtà l'ha quasi completamente redatto lui». Quanto sopra apparve il 15 luglio 1938 come articolo anonimo nella prima pagina del giornale citato sotto il titolo: «Il Fascismo e i problemi della razza».Nella sostanza, si precisava che «la razza italiana è prettamente ariana, e va difesa da contaminazioni». Gli ebrei – sempre stando al documento – «sono estranei e pericolosi per il popolo italiano».Immediatamente l'ufficio demografico del Ministero dell'Interno diventa Direzione generale per la demografia e la Razza.Ci fu un certo consenso e un vasto colpevole silenzio fra gli intellettuali, che si erano in vari modi ampiamente legati al regime divenuto ormai pervasivo; gli oppositori, (non erano pochi) o erano al confino, o in carcere, o eliminati.Gli unici a manifestare apertamente di non approvare l'atteggiamento anti ebraico furono Giovanni Gentile, Massimo Bontempelli e Tommaso Marinetti, ideatore del Futurismo. Anche Giorgio La Pira levò una voce di protesta in quanto gli ambienti cattolici non videro di buon occhio il lato pagano che stava prendendo l'antisemitismo. A settembre venne emanata la prima "legge razziale" secondo la quale tutti gli ebrei italiani venivano banditi della vita pubblica. Persino la frequentazione delle scuole pubbliche venne vietata ai giovani appartenenti a famiglie ebraiche. Fra i fascisti manifestò una certa prudente opposizione Italo Balbo. L'obbligo di registrazione presso le questure sarà particolarmente utile per l'organizzazione delle retate da parte dei nazisti e delle milizie durante il periodo di Salò. Come fu dimostrato per il caso della Francia durante il processo Papon, anche in Italia le retate furono possibili grazie al lavoro di numerosi funzionari che non furono mai processati dopo la guerra.Secondo le ricostruzioni di diversi storici, il fascismo, durante il periodo immediatamente successivo all'emanazione delle leggi razziali, cercò comunque da una parte di distinguersi dal nazismo e dal suo anti-ebraismo biologico, e dall'altra di dare rassicurazioni a quella parte degli ebrei italiani che avevano appoggiato prima il movimento e poi la dittatura. Lo stesso Mussolini elaborò lo slogan "Discriminare e non perseguitare" per indicare la prevista (o pubblicizzata come tale) filosofia che sarebbe stata adottata nell'applicazione delle leggi razziali e, in un discorso tenuto a Trieste nel settembre 1938, affermò esplicitamente che "gli ebrei che hanno indiscutibili titoli di benemerenze militari e civili troveranno la giusta comprensione del Regime". L'applicazione delle leggi e la diffusa propaganda anti-ebraica di quel periodo causarono comunque una crescente perdita di diritti da parte dei cittadini italiani di origine e/o religione ebraica, e crearono condizioni (come la diffusione di un generico sentimento antisemita

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nell'opinione pubblica) che facilitarono poi le azioni ben più repressive messe in atto alcuni anni dopo dai nazi-fascisti durante la Repubblica Sociale.Sinteticamente vengono qui riportati i principali dati della persecuzioni causate dalle "leggi razziali" in vigore in Italia dal 1938 al 1943 (la fonte è uno scritto di Michele Sarfatti, massimo studioso del problema):Vennero assoggettate alla persecuzione circa cinquantunmila persone (quarantaseimila ebrei e circa quattromilacinquecento persone non esattamente «classificate» come aderenti all'ebraismo), ovvero circa l'uno per mille della popolazione italiana del tempo. In un anno, dei circa diecimila ebrei stranieri presenti in Italia, seimilaquattrocentottanta furono costretti a lasciare il Paese; novantasei professori universitari, centotrentatrè assistenti universitari, duecentosettantanove presidi e professori di scuola media, un centinaio di maestri elementari, duecento liberi docenti, duecento studenti universitari, mille studenti delle medie e quattromilaquattrocento delle elementari vennero scacciati dalle scuole pubbliche del Regno. A Tullio Levi Civita, allievo e collaboratore di Gregorio Ricci-Curbastro, autore di studi sul calcolo tensoriale, base della costruzione del modello matematico della teoria della relatività poi elaborata da Albert Einstein, venne vietato da parte del nuovo direttore Francesco Severi l'accesso alla biblioteca del suo Istituto di Matematica dell'Università di Roma. Inoltre quattrocento dipendenti pubblici, cinquecento dipendenti di aziende private, centocinquanta militari e duemilacinquecento professionisti persero il posto di lavoro restando senza alcun sostentamento. Contestualmente, anche se limitati nel numero, si verificarono casi di violenza squadrista esplicita specialmente nelle città di Roma, Trieste, Ferrara, Ancona e Livorno).

Figura 2: 1938, le Leggi Razziali in Italia

La caduta del Fascismo

La guerra, che impazzava in tutto il mondo dal 1939, nel 1940 era divenuta anche affare italiano. Le prime vittorie militari di Hitler diedero a Mussolini l’illusione di poter sedere al tavolo dei vincitori a conflitto terminato. Le Forze Armate italiane non erano però pronte al conflitto. La mancanza di armi, equipaggiamenti e rifornimenti gravò pesantemente sull’esito delle campagne militari. Le prime sconfitte avvennero in colonia, l’Impero, conquistato appena cinque anni prima, capitolò nel novembre del 1941. In Africa del Nord, con l’aiuto dei tedeschi, l’Asse resistette ancora qualche mese per poi precipitare completamente nel 1942. Contemporaneamente il contingente che dall’Albania invase la Grecia fu messo a dura prova dall’esercito greco. Nel 1941 centinaia di soldati italiani presero parte alla disastrosa campagna di Russia al seguito dei tedeschi. Il 1943 fu l’anno della svolta. I fronti arretravano sempre più fino a giungere sullo stesso suolo italiano. Il 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono senza alcun problema in Sicilia. Il morale popolare

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era a terra. Così quello dei soldati che da tre anni combattevano e si sacrificavano senza ottenere alcun risultato positivo. Mancavano materie prime e generi alimentari. Le città erano rase al suolo dalle incursioni aeree e la guerra minacciava di avvicinarsi sempre più al cuore d’Italia: Roma.La fiducia dei gerarchi in Mussolini stava via via scemando sino all’epilogo del 25 luglio. Il Gran Consiglio del Fascismo approvò, nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, l’Ordine del Giorno promosso dal gerarca Dino Grandi. Mussolini deposto; tutti i poteri (politici e militari) nuovamente in mano al monarca Vittorio Emanuele III1. Dopo venti anni di regime totalitario l’asse politico italiano venne sconvolto. Il re esercitando legittimamente i suoi poteri fece arrestare Mussolini. Subito venne nominato il nuovo capo del governo: il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio2.Così dopo due decenni gli italiani riposero la camicia nera nei cassetti e subito si pensò alla pace. La caduta del fascismo però non (almeno apparentemente) mutò la situazione bellica che rimase invariata. La domanda “Come avranno reagito i tedeschi?” sorse spontanea.Di seguito riportiamo le citazioni di alcuni rari documenti pubblicati recentemente sul volume “I Verbali di Hitler” (Helmut Heiber, 2009, ed. Libreria Editrice Goriziana).

Seconda riunione serale del 25 luglio 1943

Riunione delle ore 00.25 (26 luglio 1943)

Hitler sta discutendo un ordine promosso dal generale Jodl riguardante misure militari in territorio italiano.

(…)Jodl: ‘elevato stato d’allerta’. È probabile che queste misure siano state prese in previsione della comparsa di truppe aerotrasportate o di partigiani.Hitler: Allora è collegato a questo. Questa gente ha preparato sistematicamente il tradimento3.Jodl: Lo suppongo anche io. Poi c’è un altro messaggio del comandante supremo del sud: secondo quanto comunicato dal generale Roatta4, il Duce dopo il rapporto – questo naturalmente risale a molto prima – ha rinunciato a trasferire la 3^ Divisione Corazzata Granatieri nei pressi di Roma, come invece desiderava. – ‘Secondo quanto comunicato dal generale Roatta!’ Non si sa se tutto questo sia vero.Hitler: non credo che Roatta sia in combutta con gli altri. Quelli si odiano, Roatta e Badoglio.

Nonostante fosse solo il 25 luglio 1943 i tedeschi avevano capito tutto della situazione italiana. Forse avevano previsto l’armistizio con gli Alleati loro ancor prima dello stesso Badoglio. Il movimento delle forze tedesche presenti in Italia è l’argomento principale. I generali tedeschi in Italia devono essere a conoscenza della situazione. Hitler opta però per una linea di non reazione verso gli italiani. Il governo italiano e tutte le FFAA abboccheranno come pesci all’esca che Hitler gli ha lanciato. Questa pesante distrazione del servizio di informazione italiano ha permesso ai tedeschi di avere campo libero in Italia dopo l’8 settembre.1 Vittorio Emanuele III di Savoia, 1869-1947, Re d’Italia 1900-1946

2 Pietro Badoglio, 1871-1956, Maresciallo d’Italia, nel 1943 nominato capo del governo italiano.

3 Hitler si riferisce al popolo italiano con un chiaro riferimento alle vicende belliche e politiche precedenti la Grande Guerra.

4 Generale di Corpo d’Armata Mario Roatta (1887-1968) condannato all’ergastolo per la mancata difesa di Roma

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(…)Jodl: Ora l’altra questione è: non si dovrebbero fermare almeno i viaggi per l’Italia, le comunicazione private?Hitler: Per il momento non farei nemmeno questo.Keitel: No, non ancora!Hitler: Tutte le personalità importanti devono comunque prendere congedo, quelle non avranno più alcune permesso.Jodl: Poi ho parlato con Kesselring5. Ora, dato che sentito l’appello, ma nessuno si è messo in contatto con lui anche se in effetti ora ci sono un nuovo comandante supremo ed un nuovo capo del del governo, vuole prendere contatto con il re o con Badoglio, cosa deve comunque fare?Hitle: Deve!?! Si, deve farlo!Jodl: Lo farà domani mattina, anche solo per sondare la situazione.Hitler: Il buon Hube con la sua opinione: ‘Qui sono tutti fidati’!Keitel: Hube non sapeva nulla, ha solo mandato avanti quello che --Hitler: Vede come è pericoloso per ‘generali impolitici’ arrivare in un’atmosfera così politica.

La linea dell’indifferenza è stata accordata da Hitler. La tattica militare porta a prendere seriamente in considerazione la situazione di Roma e la gestione di eventuali rapporti con il Vaticano. Lo sprovveduto (e forse timorato) gheneral Hewel propone al Fuhrer di ostruire gli ingressi e le uscite dello Stato Vaticano.

(…)Hewel: Non dovremmo dire di occupare le uscite del Vaticano?Hitler: è del tutto indifferente, in Vaticano ci entro subito6. Crede che abbia soggezione del Vaticano? Quello7 lo prendiamo subito. In primo luogo là dentro c’è tutto il corpo diplomatico. Me ne infischio. La gentaglia è la e noi tireremo fuori tutto quel branco di porci. … Che cosa è già … Poi in un secondo momento ci scusiamo8, questo non ci importa. Là facciamo una guerra…

La riunione si conclude alle 00.45 di quella stessa notte. In venti minuti di discorso stenografato, Hitler, ha chiaramente definito come si sarebbe comportato con gli italiani in caso di armistizio. Ha espresso nel più vile dei modi la considerazione che aveva del pontefice e dello Stato Vaticano. Scorrendo questi verbali si delinea come Hitler avesse una sola risposta ad ogni quesito: “Divisioni!!!”. La sua fiducia nella sua perfetta (o almeno così sembrava) macchina bellica era assoluta, la repressione nel sangue da parte di intere divisioni di fanteria e di divisioni corazzate era il metodo di azione del Fuhrer.

8 settembre 1943: l’inizio della fine

5 Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante della forza aerea su più fronti della guerra. Al 25 luglio era il comandante in capo tedesco della controffensiva Italo-tedesca contro gli Alleati in Italia. Accusato di crimini di guerra e condannato a morte, accusa, mutata in ergastolo.

6 Pesante affermazione che dimostra quanto Hitler vedesse il Vaticano come un ostacolo.

7 Con la parola “Quello”, Hitler, indica il pontefice Pio XII.

8 Il consenso popolare è vitale per le ambizioni di Hitler, un attacco così pesante al Vaticano non può passare certo inosservato, le scuse sono un palliativo mirato ad affievolire gli animi.

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La situazione era tesa. Badoglio, il Re, lo Stato Maggiore, tutto era confuso. Il 3 settembre 1943 la missione del generale Castelleno9, inviato dal Maresciallo Badoglio per concordare un armistizio con gli Alleati, dà i suoi frutti positivi. A Badoglio restava solo il difficile compito di gestire gli eventi successivi all’annuncio alla nazione dell’armistizio. I tempi si protrassero fino alla sera dell’8 settembre quando, il Maresciallo Badoglio, prese la decisione di rifugiarsi in territorio alleato prevedendo la dura reazione tedesca. Quasi all’unanimità tutti gli ufficiali superiori e ufficiali generali presenti a Roma in quei giorni seguirono il Maresciallo Badoglio. L’anziano Vittorio Emanuele III, atrofizzato da venti anni di regime fascista, si unì a Badoglio costringendo il principe ereditario Umberto a seguirlo.Così come Cesare varcò il Rubicone, alle 19.42 di quel 8 settembre, Badoglio proclamò all’Italia e al mondo l’avvenuta firma dell’armistizio tra Italia ed Alleati. Parole vaghe che facevano intendere bene solamente che la guerra era finita. Al termine del proclama fu dato un ordine così striminzito e così vago che in pochi ne capirono il significato: “Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Quale poteva essere questa “qualsiasi altra provenienza”? Ben presto le truppe capirono contro chi avrebbero dovuto combattere (o meglio, a chi avrebbero dovuto consegnare le armi). Così, mentre la Divisione Acqui rifiutava di arrendersi ai tedeschi, il Maresciallo Badoglio, l’anziano Re Vittorio e altri petti colmi di decorazioni immeritate fuggivano verso Brindisi protetti ed accuditi dagli Alleati, che fino al giorno prima erano stati loro nemici.Roma fu difesa per qualche ora dal solo generale Raffaele Cadorna jr comandante la divisione corazzata Ariete. La difesa fu relativamente breve, ma intensa ed aspra; vi parteciparono ufficiali, sottoufficiali e truppe provenienti da diversi Corpi che avevano deciso di resistere. Dopo alcune ore di resistenza alle porte di Roma il generale Cadorna rese la città.10

Divisioni di fanteria di linea, SS, corazzate e di fanteria alpina imperversarono e dilagarono in tutto il Nord Italia dando inizio alla tragedia che sconvolgerà il paese per due anni.

Figura 3: Il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio l'8 settembre 1943

9 Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Castellano 1893-1977

10 Testimonianza del tenente Mario Maffioli, ufficiale di Stato Maggiore partecipante alla difesa di Roma

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Sbandati

Quella sera dell’8 settembre 1943 nessuno si sarebbe aspettato di sentire il comunicato di Badoglio. A partire dalle 19.42 di quella sera la situazione bellica si capovolse completamente. Le divisioni tedesche in Italia raggiunsero ogni caserma e presidio militare dando l’ultimatum di consegnare le armi. Molti ufficiali, completamente ignari dell’armistizio, consegnarono senza vacillare le armi. Altri più informati o semplicemente coraggiosi cercarono di difendersi disperatamente. La macchina bellica tedesca era di gran lunga superiore a quella italiana. Nel giro di poche ore le caserme e i presidi italiani attaccati furono sbaragliati. Presto tra reggimento e reggimento si diffuse la notizia che gli ex alleati tedeschi avevano attaccato le batterie costiere e le caserme sparse sul territorio. Ci fu un fuggi fuggi generale spontaneo tra la truppa. Solo in pochi rimasero ad aspettare (e fronteggiare) i tedeschi. Gli aeroporti furono bloccati immediatamente, molti piloti riuscirono a fuggire sfidando la contraerea tedesca. In altri casi gli eroici avieri imbracciarono il fucile e difesero la propria base fino all’ultimo uomo.I tenenti e i capitani cercarono di raggiungere i comandi di battaglione, i maggiori i comandi di reggimento e i colonnelli i comandi di brigata e divisione. Ogni ufficiale cercava ragguagli dal proprio superiore ma non c’era maggiore o colonnello alcuno (generali di brigata e divisione inclusi) che avesse un quadro chiaro della situazione. Solo i comandi di armata e lo Stato Maggiore erano perfettamente informati della situazione. Ma questi importanti generali (Raffaele Cadorna escluso) la sera dell’8 settembre erano già al sicuro a Brindisi al seguito del re.In questo clima di confusione generale ognuno pensò per sè. Dismessa la divisa e indossati bislacchi abiti di taglie decisamente superiori o inferiori a seconda del caso, le centinaia di soldati fecero ritorno a casa propria. Chi poteva faceva ritorno al proprio paese, chi invece era troppo distante perché di stanza al nord preferiva la Svizzera. Così intere compagnie di finanzieri e di carabinieri saltarono la sbarra con l’uniforme addosso11.La disorganizzazione regnava sovrana. E i tedeschi se ne approfittarono. Se solo Badoglio avesse dato un ordine in più in quel comunicato, 600.000 militari italiani non sarebbero andati in pasto al nemico, anzi, lo avrebbero rallentato.

9 settembre: i tedeschi a caccia

Dal Brennero penetrarono in Italia centinaia di soldati tedeschi. In poche ore occuparono il paese e come un tumore maligno si insediarono in ogni valle e ogni anfratto. Al seguito della Whermacht12 i temuti battaglioni di SS13. All’occupazione militare del territorio seguiva la ricerca e il prelevamento di determinate “categorie”. I primi ad essere catturati in massa furono i militari italiani trovati in uniforme. Senza alcuna distinzione tra ufficiali e sottoufficiali, senza alcun rispetto di convenzioni, migliaia di militari furono presi prigionieri. Chi resisteva o si rifiutava di consegnare le armi (persino l’innocua Beretta M34 in dotazione agli ufficiali) veniva passato per le armi. I gerarchi fascisti e i militi della Milizia rispolverarono le vecchie camicie nere e ritornarono ad appuntarsi i fascetti sul bavero. La popolazione ebraica italiana, che dal 1938 era soggetta a leggi razziali, rimase tranquilla per qualche giorno, molti si illusero che la guerra non li avrebbe toccati, altri invece si prepararono ad affrontare il peggio.

11 Indossare l’uniforme regolamentare era l’unico modo per farsi accettare dalle autorità Svizzere.

12 Esercito regolare tedesco

13 SS- schutzstaffel tedesche

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Il lago insanguinato15 settembre 1943

Figura 4: Giovane SS sul Lago Maggiore

La popolazione ebraica italiana fu toccata dall’orrore del piano nazista il 15 settembre 1943 sulle placide sponde del Lago Maggiore. La popolazione del lago e della vicina val d’Ossola non si era illusa con l’armistizio della fine della guerra. I pendolari che lavoravano in centri più vicini alle città portavano notizie sempre più inquietanti. Nella notte tra il 12 e il 13 settembre una compagnia di SS giunse a Baveno dove erano insediati tre ospedali della Croce Rossa Italiana. L’Ispettrice di Comitato (equivalente al grado di capitano nell’esercito) Pina Palumbo, comandante del locale presidio di CRI, racconta di quanto queste SS si rivelarono da subito brutali. Ragazzi alti e biondi compresi in una fascia di età tra i sedici e non oltre i trent’anni. L’aspetto giovane ma lo sguardo fermo e colmo di odio. Le prime ad essere minacciate furono le stesse crocerossine che, nella notte tra il 13 e il 14 settembre, furono costrette a barricarsi nei loro alloggi per sottrarsi alle violenze tedesche. I primi ad essere catturati dalle SS furono gli ufficiali medici e i militari degenti nelle strutture CRI. Gli ospedali furono inoltre razziati di attrezzature, coperte, lenzuola e quanto altro potesse far comodo al reparto di SS.L’Ispettrice Palumbo dovette appellarsi con forza alla Convenzione di Ginevra, scontrandosi direttamente con il ventiquattrenne capitano Hans (il cognome verrà reso noto decenni dopo in sede di processo), per ottenere un minimo di rispetto.Era l’alba del 15 settembre quando a Baveno una camionetta di SS giunse all’Ospedale di chirurgia colma di uomini, donne e bambini ebrei che furono rinchiusi negli abbaini della struttura in attesa della loro triste sorte.Pina Palumbo osservando la mesta scena comprese il grave pericolo che incombeva sulla famiglia ebrea Covo, di sua stretta parentela, che abitava a Mergozzo, un piccolo paese affacciato sull’omonimo lago nelle immediate vicinanze di Baveno.Mario Covo, milanese di origine ebraica ammogliato con una mergozzese, Alberto e Maty Arditi, ebrei di Bulgaria, nipoti di Mario Covo, furono catturati e, presumibilmente, trucidati in loco dopo un tentativo di fuga. Ospite dei Covo la scultrice tedesca Jenni Ziegman Mucchi che, forte della sua nazionalità, cercò con ogni mezzo di ammansire il manipolo di SS senza però ottenere nulla. Quella mattina a Mergozzo un delatore filonazista agevolò il lavoro delle SS. Nella tarda serata, dopo aver pasteggiato a casa Covo, le camionette di SS lasciarono il paese con il loro “bottino” ed ordinando alla popolazione di saccheggiare la villetta Covo. La mattina dopo sul luogo della strage fu trovata una pozza di sangue di notevoli dimensioni, gli occhiali di Alberto Arditi ed un ponte dentale.14 Dal 15 settembre in poi in tutto il territorio

14 Carlo Armanini, testimonianza

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circostante il lago Maggiore iniziarono i rastrellamenti di ebrei. È celebre l’episodio di Meina, dove si trovavano numerosi ebrei sfuggiti da Salonicco dopo l’invasione tedesca. Gli ebrei dell’Hotel Meina, i Covo di Mergozzo e altre decine di persone di origine ebraica provenienti dai paesi circostanti furono catturati, fucilati ed affondati nel lago. Alcuni cadaveri riaffiorarono nei giorni successivi, ma in pochi avevano capito cosa realmente fosse accaduto. Nei giorni successivi barconi delle SS pattugliavano il lago in cerca di cadaveri galleggianti da sventrare con le baionette.Un rapporto dei carabinieri del 30 settembre diede queste cifre di ebrei uccisi e gettati nel lago: Arona 4, Meina 12, Stresa 4, Baveno 14. Stranamente i carabinieri non contemplarono le tre vittime mergozzesi. Inizialmente l’ordine era di condurre tutti gli ebrei catturati in un campo di lavoro a duecento chilometri di distanza. L’alto comando delle SS di Milano cambiò in ultimo l’ordine trasformandolo in un’esecuzione immediata.Tra il settembre e ottobre 1943 furono trucidati, da poche decine di SS, sul Lago Maggiore circa 56 ebrei.

Roma, 16 ottobre 1943

La Gestapo aveva dato una possibilità agli ebrei di Roma. Chi fosse riuscito a consegnare una certa quantità d’oro si sarebbe salvato dalla cattura. Era un sabato mattina grigio e piovoso a Roma. Nel ghetto si era lavorato tutta la notte per fondere e racimolare quanto più oro possibile. Nel ghetto si trovavano circa 5000 ebrei. Era l’alba quando gli agenti della Gestapo scortati da decine di SS entrarono nel ghetto. A molti la situazione fu chiara da subito, l’oro era solo una scusa per riempire le casse germaniche. In pochi minuti furono catturati 1022 ebrei. Altri 4500 circa riuscirono a trovare ricovero in Vaticano. Il ghetto fu totalmente razziato. Di 1022 ebrei deportati nei campi di sterminio e lavoro in Polonia e Germania solo 17 fecero ritorno.Da evidenziare è l’intraprendenza e il coraggio del medico Giovanni Borromeo. Il prof. Borromeo creò all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma un reparto d’isolamento dedicato ai malati di morbo di K. Il morbo di K fu inventato dal Borromeo per sottrarre alla cattura numerosi ebrei. Fingendo che tutti i ricoverati erano estremamente contagiosi riuscì a tenere lontani i tedeschi evitando così le perquisizioni. Per il suo coraggio fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Civile e del titolo di Giusto tra le Nazioni. Altro luminoso esempio di coraggio e carità fu padre Pietro Pappagallo che fornì supporto e conforto alle vittime del nazi fascismo. Arrestato nel gennaio 1944 fu trucidato alle Fosse Ardeatine. Fu insignito di medaglia d’oro al merito civile alla memoria.

Mafalda Di SavoiaUna nostra Sorella Italiana

Figura 5: la principessa Mafalda di Savoia Assia

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Casa Savoia ha duramente pagato la guerra. Prima la disfatta dell’AOI che ha visto la morte di Amedeo di Savoia, l’Eroico Duca d’Aosta che resistette alle truppe britanniche per più di trenta giorni asserragliato nello spartano forte dell’Amba Alagi. Nel settembre del 1943, alla firma dell'armistizio con gli alleati, i tedeschi organizzarono il disarmo delle truppe italiane. Badoglio e il re fuggirono al Sud, Mafalda di Savoia (secondogenita del re Vittorio Emanuele III), partita per Sofia per assistere la sorella Giovanna, il cui marito Boris III era in fin di vita, non fu messa al corrente dei pericoli, forse per paura che informasse il Landgravio agli ordini del Führer. Seppe quindi dell'armistizio mentre era in Romania. Ne venne informata nel suo viaggio di ritorno, alla stazione ferroviaria di Sinaia, in piena notte, dalla regina Elena di Romania, che aveva fatto fermare appositamente il treno e aveva tentato di farla desistere dal rientro in Italia. Consiglio che Mafalda decise di non seguire.Con mezzi di fortuna, il 22 settembre 1943 riuscì a raggiungere Roma e fece appena in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano da Monsignor Montini (il futuro Papa Paolo VI).Il 23 mattina, all'improvviso, venne chiamata al comando tedesco con urgenza, per l'arrivo di una telefonata del marito da Kassel in Germania. Un tranello: in realtà il marito era già nel campo di concentramento di Flossenbürg. Mafalda venne subito arrestata e imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di Baviera, fu trasferita poi a Berlino e infine deportata nel Lager di Buchenwald, dove venne rinchiusa nella baracca n. 15 sotto falso nome (Frau von Weber).Le venne fatto divieto di rivelare la propria identità (per scherno i nazisti la chiamano Frau Abeba). Nel campo di concentramento le viene riconosciuto un particolare riguardo: occupa una baracca ai margini del campo insieme ad un ex-ministro socialdemocratico e sua moglie; ha lo stesso vitto degli ufficiali delle SS, molto più abbondante e di migliore qualità rispetto agli altri internati. Le viene assegnata come badante la signora Maria Ruhnan Testimone di Geova deportata per motivi religiosi; questa fu una figura molto importante per la principessa, la quale in punto di morte chiese che il suo orologio le fosse regalato come segno di riconoscenza. Il regime, pur privilegiato rispetto a quello di altri prigionieri è, comunque, duro: la dura vita del campo e il freddo invernale intenso la provarono molto. Malgrado il tentativo di segretezza attuato dai nazisti la notizia che la figlia del Re d'Italia si trovava a Buchenwald si diffuse.Dalle testimonianze si apprende che i prigionieri italiani avevano sentito dire di una principessa italiana reclusa e che un medico italiano lì rinchiuso le aveva prestato soccorso. Si sa anche che mangiava pochissimo e che quando poteva faceva in modo che quel poco che le arrivava in più fosse distribuito a chi aveva più bisogno di lei. Nell'agosto del 1944 gli anglo-americani bombardarono il Lager; la baracca in cui era prigioniera la principessa fu distrutta. La principessa riportò gravi ustioni e contusioni varie su tutto il corpo. Fu ricoverata nell'infermeria della casa di tolleranza dei tedeschi del lager, ma senza cure le sue condizioni peggiorarono. Dopo quattro giorni di tormenti, a causa delle piaghe insorse la cancrena e le fu amputato un braccio. L'operazione è di una lunghissima, sconcertante durata. Ancora addormentata, Mafalda viene abbandonata in una stanza del postribolo, privata di ulteriori cure e lasciata a sè stessa. Muore dissanguata, senza aver ripreso conoscenza, nella notte del 28 agosto 1944. L'opinione del dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, è che Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo (seppur con procedura in sé impeccabile) per provocarne la morte. Il metodo delle operazioni esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicato a Buchenwald, ed eseguito sempre dalle SS su altre personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.Il suo corpo, grazie al prete boemo del campo, padre Tyl, non venne cremato, ma messo in una bara di legno e seppellito in una fossa comune. Solo un numero: 262 eine unbekannte Frau (donna sconosciuta). Trascorsi alcuni mesi, sette italiani, già appartenenti alla regia marina e rinchiusi

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come lei nei campi di concentramento nazisti, non appena liberi seppero trovare fra mille la sua tomba anonima e si tassarono per apporvi una lapide identificativa. Il dottor Fausto Pecorari, subito dopo essere rientrato a Trieste, si recò personalmente a Roma dal Regio Luogotenente principe Umberto per comunicargli la triste notizia del decesso per assassinio della principessa Mafalda. Il chirurgo nazista che la operò fu processato e condannato a morte per crimini di guerra. Appena estratta dalle macerie chiamò a se alcuni Internati Militari Italiani e disse loro: «Italiani, io muoio, ricordatevi di me non come di una principessa, ma come di una vostra sorella italiana».

Internati Militari ItalianiVera resistenza

Figura 6: Internati Militari Italiani

In un italiano un po’ arcaico “imi” significa “di infima condizione”. È difficile trovare una sigla più allusiva alla condizione degli Internati Militari Italiani (Imi appunto).La figura dell’Imi è molto particolare. Infatti l’Internato Militare non era considerato né prigioniero di guerra da parte nazifascista né resistente da parte partigiana. Con l’8 settembre 1943 ebbero inizio gli arresti e le deportazioni di decine di migliaia di militari italiani provenienti da tutte le armi. Di questi: 58.000 sul fronte francese, 321.000 in Italia, 430.000 nei Balcani. Di questi 809.000 soldati ne dobbiamo sottrarre circa 150.000 che riuscirono a fuggire appena dopo la cattura e circa 94.000 camicie nere della MVSN che aderirono in massa al progetto embrionale di Salò. Di 700.000 Internati Militari circa 10.000 furono considerati (per errore burocratico tedesco) Prigionieri di Guerra e inviati sul fronte orientale al seguito dell’esercito tedesco come lavoratori aggregati.Inizialmente tutti i militari catturati vennero deportati in massa in campi di lavoro e prigionia situati tra Germania, Polonia e Olanda. La prima umiliazione che gli Internati Militari dovettero subire fu quella del mancato riconoscimento della condizione di “prigioniero di guerra”. Questa abile mossa del comando germanico precluse, salvo rari casi, agli Internati Militari il diritto di appellarsi alla Convenzione di Ginevra e di essere assistiti dalla Croce Rossa. Con la fondazione della Repubblica Sociale Italiana, Hitler, appoggiò il progetto mussoliniano di costituire una forza armata fascista autonoma. Le previsioni volevano l’istituzione di quattro divisioni armate. Furono chiamate alle armi tutte le leve abili al combattimento, ma il numero di adesioni era comunque troppo basso per la costituzione di quattro divisioni. Quindi, dal dicembre 1943 in avanti, fu offerto agli Internati Militari di fare ritorno in Italia servendo nelle truppe della RSI.

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Alla primavera del 1944 circa 103.000 Internati aderirono volontariamente all’esercito repubblichino.Quindi risultano circa 600 o 650.000 Internati Militari Italiani.Agli Internati fu concesso di tenere l’uniforme e parte dell’equipaggiamento (gavette, borracce, coperte e pastrani). Furono raccolti e smistati a seconda del corpo e del ruolo ricoperto nell’Arma di appartenenza.Così divisi furono inviati in decine di campi di lavoro sparsi per tutta Europa. Le umiliazioni e le privazioni che gli Internati dovettero subire furono di non indifferente portata. Spesso le guardie tedesche erano reduci della prima guerra mondiale che, mossi da profondo astio verso l’Italia del Piave e di Vittorio Veneto, assoggettavano a durissime punizioni gli Internati Militari.15 I lavori che compirono gli Internati Militari furono molteplici e del più svariato tipo.Taluni furono assegnati a fabbriche di armamenti o industrie belliche, tal’altri lavorarono presso fattorie ed allevamenti. Il compito più comune cui gli Internati erano sottoposti era quello di scavare e costruire linee difensive, infrastrutture e linee ferroviarie sul fronte orientale.I cambi di ‘campo’ erano frequenti e significavano la morte per molti Internati che indeboliti da fame e privazioni non reggevano alle lunghe e tortuose marce.Spesso gli Internati erano alloggiati in baracche autonome corredate da rozzi tavoli e letti a castello. Dal settembre 1943 alla primavera del 1945 perirono circa 50.000 Internati. Di questi: 23.300 morti per inedia e malattie, 4600 uccisi dai nazisti, 2700 periti sotto i bombardamenti, 10.000 deceduti per cause varie legate al lavoro forzato e circa 5.000 periti per mano sovietica sul fronte orientale.Il rientro in patria fu altrettanto drammatico; affamati e distrutti da due anni di internamento, gli Internati affrontarono lunghissime marce per il rientro in Italia. Più fortunati furono quegli Internati Militari Liberati dall’armata alleata, curati e nutriti iniziarono il rientro nel settembre ’45 per mezzo treno. Circa 7000 Internati Militari liberati dai sovietici furono inviati in Siberia nuovamente come prigionieri. Di questi ne fecero ritorno negli anni ’50 circa 1500/2000.Quello degli Internati Militari Italiani non fu un vano olocausto. In termini militari gli IMI sottrassero volontariamente oltre 600.000 soldati ai nazi-fascisti evitando così di prolungare il conflitto. 650.000 Internati Militari Italiani scelsero le stellette e la fedeltà alla propria Patria dimostrando di essere parte attiva della Resistenza.Gli Internati Militari scelsero la libertà.

15 Testimonianza di Antonio Armanini, classe 1924, arruolato il 16 Agosto 1943 nel R. Esercito, catturato nei pressi di Cuneo il 9 settembre 1943 e deportato in Germania.

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Lavoratori coatti

Figura 7: Foto di riconoscimento di Lavoratore Coatto in Germania

“Mi offrirono l’opportunità di unirmi alla Guardia Nazionale Repubblicana, non accettai così mi mandarono in Germania.” Cesare Moretti16 aveva sedici anni nella primavera del 1944. Recatosi a Novara per convalidare il permesso di continuare gli studi fu trattenuto dal locale presidio fascista. Residenti in zone dove la concentrazione di resistenza era alta, parroci antifascisti, operai e borghesi catturati nei rastrellamenti: queste erano le categorie a cui veniva offerta l’opportunità di combattere per il duce. Molti di loro rifiutarono. Un “no” che costò il campo di lavoro.Il Lavoratore coatto era una figura del tutto simile a quella dell’Internato Militare. L’unica differenza stava nella mancanza di stellette al bavero del pastrano. I Lavoratori coatti furono circa 40.000. Quarantamila schiavi di Hitler che con la loro scelta si dimostrarono uomini liberi.

Italiani brava gente?

Figura 8: Soldati dei Battaglioni "M" nei balcani

La tradizione popolare vuole che i soldati Italiani sul fronte Russo siano stati ribattezzati “brava gente”. Già spostandosi di qualche chilometro a sud ovest, sul fronte Greco Albanese, la reputazione del nostro popolo varia di molto in peggio.Nella partecipazione alla Shoah quale ruolo assunse il nostro popolo? Come reagirono gli italiani?La grandezza dei Giusti risalta in confronto con l’atteggiamento più comune: deportazioni e retate non videro gli italiani come semplici spettatori attoniti e impotenti di fronte al crimine tedesco. Quel crimine fu anche italiano. Tutto ebbe inizio nel 1938, Mussolini emanò, quasi completamente di propria iniziativa, le leggi razziali. La nazione era troppo ubriaca per la vittoria imperiale di Addis Abeba da non accorgersi della reale gravità delle leggi emanate. Re Vittorio era troppo insignificante per poter difendere i suoi italiani di stirpe ebraica. Nemmeno il fascistissimo quadrumviro Italo Balbo che si pronunciò in un ardimentoso ed infuocato discorso in sede di Gran Consiglio riuscì a preservare la popolazione ebraica dalle leggi razziali.

16 Cesare Moretti, classe 1926, studente internato nel 1944

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L’unico baluardo di difesa della dignità umana della popolazione ebraica si trovò nella Chiesa di Roma. Agli occhi del mondo la scelta della Santa Sede di mantenere dei rapporti diplomatici con la Germania Nazista apparve incomprensibile. Pio XI, abbattuto ed attonito dagli ultimi eventi, avrebbe immediatamente tagliato ogni contatto con la brutale nazione tedesca. Però l’abile cardinale Pacelli (futuro Pio XII) comprese al meglio la situazione e studiò una linea di azione precisa. Alla provocazione di Pio XI “Come può la Santa Sede tenere là ancora un nunzio? Ne va di mezzo il nostro Onore!”, Pacelli rispose esponendo le proprie convinzioni: “Santità, e dopo noi che facciamo? Come potremmo mantenere un legame coi vescovi tedeschi? (…) Il regime non ristabilirebbe di nuovo le relazioni senza concessioni da parte nostra.” (Da un verbale redatto il 9 marzo 1939 nel contesto di un colloquio tra il neo eletto Pio XII ed alcuni vescovi). Esplicito segnale. La Chiesa non aveva chiuso un occhio sulle persecuzioni agli ebrei e alle altre “categorie” ritenute non ariane. I Vescovi tedeschi avrebbero lavorato con il pieno appoggio della Chiesa per contrastare quanto possibile il regime. Gli effetti di questa linea produssero tra i fedeli tedeschi numerosi esempi di bene caritatevole silenzioso ma efficace nella sua capillarità.

Altri luminosi esempi di generosità e bontà arrivano proprio da quel settembre/ottobre 1943. Dal Lago Maggiore al ghetto di Roma compaiono splendidi esempi di prontezza d’animo e generosità che salvarono la vita a numerosi ebrei. Si potrebbe citare l’esempio di un alto dirigente del PNF Milanese, Marcia su Roma e quant’altro, che, venuto a conoscenza della situazione, non esitò ad inviare la moglie e la figlia ad avvertire la famiglia ebrea che soggiornava nel paese in cui erano sfollati17. Il 16 ottobre 1943 a Roma tutti i telefoni di ebrei squillarono, amici, parenti, correligiosi che cercarono in ogni modo di mettere in salvo i propri cari. I portinai ebbero un ruolo di gran peso nel salvare o perdere vite. Tradimenti o aiuti inaspettati. Una linea comune per il popolo italiano è indefinibile. Esaltati e traviati dal regime fascista, i giovani fascisti ebbero a Roma un ruolo più determinante delle SS nella “caccia all’ebreo”.Man mano la personalità corrotta di spietati uomini d’armi o d’affari uscì allo scoperto. Privi di alcuna pietà si resero colpevoli al pari delle SS nelle deportazioni e nelle denunce.Ci furono molti “giusti” che si privarono del loro cibo e dei loro effetti personali pur di salvare una vita.

Numeri

Dopo l’armistizio l’Italia si spaccò in due blocchi, da quella data il suolo italiano e la popolazione conobbe il vero significato della guerra.

Circa 8.000 persone di stirpe ebraica Circa 600.000 Militari Italiani sbandati Circa 40.000 civili sottoposti a lavoro coatto Circa 30.000 Italiani effettivi nelle Brigate Nere nella primavera 1945 Circa 15.000 volontari Italiani nei reparti di SS Italiane Circa 558.000 Italiani aderirono alle FFAA della RSI dal 1943 al 1945 Furono formate circa 1152 unità partigiane legate al CLN Circa 22.000 uomini entrarono nel Corpo Italiano di Liberazione

Stragi, retate ed Eccidi compiuti su suolo Italiano Mergozzo (15 settembre 1943) Lago Maggiore (settembre 1943)

17 Marilena Pavan, testimonianza

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Strage di Meina (22-23 settembre 1943).

Eccidio di Gressoney (11 ottobre 1943). Uccisione di Ettore Ovazza e della sua famiglia.

Retata al ghetto di Roma (16 ottobre 1943)

Retata alla sinagoga di Genova (3 novembre 1943)

Eccidio di Ferrara (15 novembre 1943)

Prima retata al ghetto di Venezia (31 dicembre 1943).

Retata a Trieste (20 gennaio 1944)

Eccidio delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944). 75 delle 335 vittime della rappresaglia erano ebrei.

Eccidio di Casa Pardo Roques (Pisa, 1 agosto 1944). 7 delle 12 vittime erano ebrei, incluso Giuseppe Pardo Roques.

Strage di Rignano (3 agosto 1944). Nella Villa del Focardo, nel comune di Rignano sull'Arno, milizie naziste uccisero la moglie e le due figlie di Robert Einstein, cugino di Albert Einstein.

Seconda retata al ghetto di Venezia (17 agosto 1944).

Strage di Cuneo (25 aprile 1945). 6 profughi ebrei fucilati dalle Brigate Nere in fuga.

Campi di concentramento e transito istituiti su suolo Italiano Campo di transito di Fossoli Campo di transito di Bolzano (maggio 1944 - maggio 1945)

Risiera di San Sabba (Trieste)

Campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) (settembre 1943 - febbraio 1944)

Alessandria: Campo di concentramento di San Martino di Rosignano. Per donne straniere

Ancona: Campo di concentramento di Senigallia, presso la Colonia marina UNES. VI passarono 20-30 ebrei trasferiti a Fossoli nel maggio 1944.

Aosta: Campo di concentramento di Aosta, presso la Caserma Mottina. Gli internati furono trasferiti a Fossoli in tre riprese: 20 gennaio 1944, 17 febbraio 1944 e 16 marzo 1944.

Asti: Campo di concentramento di Asti, presso il Palazzo del Seminario di Asti. Gi internati furono trasferiti a Fossoli in febbraio, e quindi in maggio con tappa nelle carceri di Torino e Milano.

Cuneo: Campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo. Circa 30 internati.

Ferrara: Campo di concentramento di Ferrara, nei locali del Tempio Israelitico di rito italiano. Gli internati furono trasferiti a Fossoli in tre riprese: 12 febbraio 1944, 25 febbraio 1944 e 6 marzo 1944.

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Firenze: Campo di concentramento di Bagno a Ripoli, presso la Villa La Selva. I prigionieri furono trasferiti a Fossoli il 26 gennaio 1944 per essere deportati il 30 gennaio 1944 da Milano.

Forlì: Campo di concentramento di Forlì, presso l'Albergo Commercio di Corso Diaz.

Frosinone: Campo di concentramento di Servigliano (Ascoli Piceno)

Genova: Campo di concentramento di Coreglia Ligure (spesso erroneamente definito Campo di concentraemento di Calvari di Chiavari) (12 dicembre 1943 - 21 gennaio 1944). Per il campo passarono 29 ebrei, tutti deportati a Milano, via Genova.

Grosseto: Campo di concentramento di Roccatederighi, presso la Villa del Seminario di proprieta' della Curia vescovile. Due trasferimenti a Fossoli: 18 aprile 1944 e 11 giugno 1944.

Imperia: Campo di concentramento di Vallecosia, presso la Caserma.

Lucca: Campo di concentramento di Bagni di Lucca, presso la Villa Cardinali in localita' Bagni Caldi. I prigionieri furono trasferiti a Milano il 25 gennaio 1944.

Macerata: Campo di concentramento di Sforzacosta. Vi furono rinchiusi anche gli ex detenuti del campo di internamento di Urbisaglia. Trasferimento a Fossoli in marzo.

Mantova: Campo di concentramento di Mantova, presso la Casa di Riposo Israelitica. Deportati il 5 aprile 1944.

Milano: campo di concentramento di Milano, presso il carcere di San Vittore

Padova e Rovigo: Campo di concentramento di Vo' Vecchio (Padova), presso la Villa Contarini-Venier. (3 dicembre 1943 - 17 luglio 1944). Trasferimento alla Risiera di San Sabba.

Parma: Campo di concentramento di Salsomaggiore, presso il Castello degli Scipioni (per gli uomini) e Campo di Monticelli Terme, presso l'Albergo Bagni (per le donne e i bambini) (6 dicembre 1943 - 9 marzo 1944). Trasferimento a Fossoli.

Perugia: Campo di concentramento di Perugia, presso l'Istituto Magistrale.

Piacenza e provincia: Campo di concentramento di Cortemaggiore

Ravenna: Campo di concentramento di Ravenna, presso le carceri.

Reggio Emilia: Campo di concentramento di Reggio Emilia, prima presso Casa Sinigaglia, poi a Villa Corinaldi e infine a Villa Levi di Coviolo.

Roma: Campo di concentramento di Roma, presso il carcere di Regina Coeli.

Savona: Campo di concentramento di Spotorno

Sondrio: Campo di concentramento di Sondrio, presso gli Uffici Sanitari del Comune in via Nazario Sauro.

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Teramo: Campo di concentramento di Teramo, presso la caserma Mezzacapo, e Campo di Servigliano (Ascoli Piceno).

Venezia: Campo di concentramento di Venezia, presso la Casa di Riposo Israelitica nel ghetto di Venezia (dai primi di dicembre 1943 al 31 dello stesso mese).

Vercelli: Campo di concentramento di Vercelli, nella cascina Ara Vecchia di proprieta' del Comune, e poi nella Casa di Riposo Vittorio Emanuele III.

Verona: Campo di concentramento di Verona, presso la Caserma B, locata nella Torre comunale-scaligera della Porta Rofiolana, in via Pallone.

Vicenza: Campo di concentramento di Tonezza del Cimone, presso la Colonia Umberto I (20 dicembre 1943 - 30 gennaio 1944). Per il campo passarono 45 ebrei di cui 42 deportati a Auschwitz.

Viterbo: Campo di concentramento di Viterbo, nel carcere di S. Maria in Gradi.

Stazioni ferroviarie di partenza dei convogli per i campi in Europa

Stazione di Merano (16 settembre 1943). Primo convoglio di deportati dall'Italia, destinazione Auschwitz.

Stazione di Roma Tiburtina (18 ottobre 1943). Deportazione di 1023 ebrei dalla retata al ghetto di Roma. Destinazione Auschwitz

Stazione di Firenze Santa Maria Novella e Bologna (9 novembre 1943).

Stazione di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) (21 novembre 1943). Destinazione Auschwitz, via Nizza Drancy.

Da Milano e Verona (6 dicembre 1943) e da Trieste (7 dicembre 1943). Destinazione: Auschwitz (11 dicembre 1943).

Trieste (6 gennaio 1944). Arrivo ad Auschwitz (12 gennaio 1944).

Trieste (28 gennaio 1944). Arrivo ad Auschwitz (2 febbraio 1944). Include gli anziani della Pia Casa Gentiluomo e Ospizio israelitico della città.

Stazione di Milano Centrale , binario 21, e Verona (30 gennaio 1944). Arrivo ad Auschwitz (6 febbraio 1944). Deportazione di circa 600 ebrei.

Stazione di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) (15 febbraio 1944). Destinazione: campo di transito di Fossoli.

Campo di transito di Fossoli (19 febbraio 1944). Arrivo a Auschwitz (23 febbraio)

Campo di transito di Fossoli (22 febbraio 1944). Arrivo ad Auschwitz (26 febbraio 1944). Include Primo Levi.

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Trieste (26 febbraio 1944). Arrivo ad Auschwitz (1 marzo 1944).

Trieste (29 marzo 1944), Arrivo ad Auschwitz (4 aprile 1944)

Campo di transito di Fossoli , Mantova e Verona (5 aprile 1944). Arrivo ad Auschwitz (10 aprile 1944).

Trieste (27 aprile 1944). Arrivo ad Auschwitz (30 aprile 1944).

Campo di transito di Fossoli (16 maggio 1944). Arrivo a Bergen-Belsen (20 maggio 1944). Arrivo a Auschwitz (23 maggio 1944).

Milano (19 maggio 1944). Arrivo a Bergen-Belsen (23 maggio 1944).

Trieste (1 giugno 1944). Arrivo ad Auschwitz (3 giugno 1944).

Trieste (12 giugno 1944). Arrivo ad Auschwitz (16 giugno 1944).

Trieste (21 giugno 1944). Arrivo ad Auschwitz (25 giugno 1944).

Campo di transito di Fossoli e Verona (26 giugno 1944). Arrivo ad Auschwitz (30 giugno 1944).

Trieste (11 luglio 1944). Arrivo ad Auschwitz (14 luglio 1944).

Trieste (31 luglio 1944). Arrivo ad Auschwitz (3 agosto 1944).

Verona (2 agosto 1944). Arrivo ad Auschwitz (6 agosto 1944).

Trieste (11 agosto 1944). Arrivo ad Auschwitz (16 luglio 1944).

Trieste (2 settembre 1944). Arrivo ad Auschwitz (2 settembre 1944).

Trieste (3 ottobre 1944). Arrivo ad Auschwitz (9 ottobre 1944).

Bolzano-Gries (24 ottobre 1944). Arrivo ad Auschwitz (28 ottobre 1944).

Bolzano-Gries (14 dicembre 1944). Arrivo ad Ravensbruck e Flossenburg.

Milano Centrale (30 gennaio 1944). Arrivo ad Auschwitz.

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Bibliografia- Pina Palumbo, “Il Vissuto”

- Helmut Heiber “I verbali di Hitler”

- Roberto Beretta “Italiani nei lager: fu vera Resistenza”, Avvenire 12 ottobre 2009

- Wikipedia, enciclopedia online

- Paolo Bologna, Autori Vari, “Quando i picasass presero le armi”