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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - MILANO
Facoltà di Economia
Corso di Laurea Magistrale in Management per l’impresa
Il gender gap nelle aziende tecnologiche. Il caso NTT DATA
Relatore: Chiar.ma Prof. Ivana PAIS
Tesi di Laurea di:
Domiziana CORINTO
Matr. 4708854
Anno Accademico 2018 / 2019
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Introduzione
I. Gender gap, definizione e diffusione nel mondo
II. Tema, focus, domanda di ricerca e piano del lavoro
Capitolo 1 – Contesto di riferimento: mutamento sociale e sviluppo sostenibile
1.1. Trasformazione del contesto: l’evoluzione della società____________________10
1.2. Come approcciare il cambiamento_____________________________________11
1.3. Strategie a lungo termine e gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile__________19
1.4. Agenda 2030 e gender gap___________________________________________22
Capitolo 2 – Il gender gap: la letteratura di riferimento
2.1. Origine e interpretazione storica del gender gap__________________________25
2.2. Letteratura di riferimento: una breve rassegna____________________________32
2.3. Gender gap e innovazione tecnologica__________________________________40
Capitolo 3 – Organizzazioni, movimenti e politiche in favore delle donne
3.1. La percezione femminile dello svantaggio_______________________________47
3.2. La situazione in Italia_______________________________________________54
3.3. Politiche di sostegno alle donne_______________________________________56
3.4. Alcune iniziative “al femminile”_______________________________________61
3.5 Le principali associazioni in Italia______________________________________64
Capitolo 4 – Il Caso di studio: NTT DATA Italia
4.1. Un richiamo al metodo usato per il caso studio____________________________68
4.2. Le relazioni di lungo periodo come strategia d’impresa: NTT DATA Global_____71
4.3. Le relazioni di lungo periodo come strategia d’impresa: NTT DATA Italia______81
4.4. La situazione italiana: i dati di NTT DATA Italia al 2019____________________85
4.5. Interviste: analisi e risultati___________________________________________88
4.6. Commento dei risultati delle interviste__________________________________93
Discussione e Conclusioni
Bibliografia
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Introduzione
Questo capitolo introduttivo si occupa di definire il concetto di gender gap e di
inquadrarne la diffusione nel mondo. Verranno poi presentati il tema e il focus della tesi
corredati dalla domanda di ricerca e piano di lavoro.
I. Gender gap, definizione e diffusione nel mondo
Per Gender Gap, reso in italiano come “divario di genere”, si intende il diverso ruolo
che donne e uomini si trovano a giocare all’interno delle società contemporanee, in ogni
parte del mondo, sia nei paesi più sviluppati sia in quelli che lo sono in grado minore.
Conformemente al senso in inglese, gap indica lo spazio tra due oggetti lasciato libero
dalla mancanza di qualche cosa. Questo spazio nel quale manca qualcosa, che si tenta di
ridurre o riempire, è oggetto di indagine da parte di molte discipline che da tempo
hanno preso atto del crescere di attenzione e consapevolezza in larga parte della società.
Quella del divario di genere è, senza dubbio, una storia antica e, in qualche misura,
cristallizzata in una longeva rigidità di rapporti socioeconomici tra uomini e donne. Non
c’è disciplina scientifica che non si sia occupata del tema, visto che filosofi, antropologi,
sociologi, psicologi, storici, geografi, medici, genetisti e, perfino, teologi si sono, prima
o poi, secondo modi e prospettive variabili nel tempo, applicati allo studio delle
differenze di genere e alla comprensione dell’origine possibile e delle motivazioni. Sia
le scienze sociali sia quelle cosiddette dure, dove la presenza delle donne, soprattutto
nelle scienze applicate alla produzione, risulta essere particolarmente rarefatta, si
occupano del fenomeno, pur con metodi e approcci scientifici differenti, riconoscendo
la necessità sia di comprendere meglio sia di ridurre il fenomeno.
L’attitudine diversa tra uomini e donne rispetto alla vita in generale e, in particolare,
rispetto alle relazioni che i due sessi intrecciano sia in famiglia sia nel mondo del lavoro
sono apparse a lungo come fermamente scritte nella natura, nel suo codice, come se la
società e le relazioni che in esse si svolgono, anche in termini di affetti, potere,
sentimenti positivi o negativi, fossero caratterizzate da una automatica assegnazione di
ruoli sociali nettamente distinti per sesso, ovviamente con distribuzione ineguale di
potere, prestigio e, pertanto, di reddito e di diritti individuali.
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Certe narrazioni sui ruoli di genere che hanno origine nei primordi della storia umana,
sono parte essenziale dei racconti mitologici classici, sono entrate nella definizione di
archetipi cari allo studio della psicologia analitica – la madre, il padre, la famiglia, il
mascolino, il femminile; infine, sono state, e sono, oggetto di attenzione e contrasto da
parte dei movimenti femministi, anche se la più rigida dottrina femminista appare in
certa misura superata da una nuova scuola, quella del “femminismo delle differenze”
(Scott, 1988), che riconosce l’esistenza di molte e importanti differenze tra uomini e
donne che non sono semplicemente il risultato di stereotipi imposti socialmente.
Il World Economic Forum, istituto di riconosciuto prestigio che ha sede in Svizzera, dal
2006 dedica un rapporto annuale al fenomeno, il Global Gender Gap Report (GGR) nel
quale si trova la misura del divario di genere a livello globale e regionale, stimata
mediante 4 cluster di indicatori: partecipazione e opportunità economica, grado di
educazione, salute e mortalità, partecipazione politica. Rispetto ad altri indicatori
esistenti utilizzati per calcolare le asimmetrie di genere, come il Gender-related
Development Index, il Gender Empowermenr Measure, il Gender Equity Index, il Social
Institutions and Gender Index, il Gender Gap Index (GGI) è ritenuto il più completo
(Mecatti et al., 2012).
In base ai dati del GGR, il divario di genere si manifesta in forme differenti e diversa
distribuzione geografica, non essendo affatto un fenomeno omogeneo nel mondo; anzi,
oltre al carattere differenziale di natura geografica, ne manifesta uno statico di natura
temporale. Se, come media globale, il divario da colmare è stimato intorno al 30%,
almeno quattro paesi, Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia, sono riusciti ridurre la
“distanza” che separa uomini e donne dell’80%; in Islanda addirittura dell’88% (World
Economic Forum, 2020). In alcune aree geografiche, segnatamente Nord Africa, Asia
del Sud, l’intera Cina, seppure abbiano oggi colmato rispettivamente il 60,5%, 66,1% e
68,5% del proprio divario totale (World Economic Forum, 2020), resiste una certa
disparità, evidenziata perfino dalla diversità dei tassi di natalità e mortalità tra individui
di sesso diverso (Sen, 2001).
Rispetto ai 4 cluster che compongono i GGI, le differenze uomo-donna sono
significativamente importanti sia all’interno del cluster partecipazione politica, il cui
divario è stato ridotto solo il 24,7%, sia all’interno dei due cluster partecipazione e
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opportunità economica, i cui valori di divario sono stati ridotti del 58,8% (World
Economic Forum, 2020).
Nel mercato del lavoro, inteso globalmente, la partecipazione maschile è del 78%,
quella femminile del 55%, rispetto al totale di individui di ciascun sesso. Inoltre, solo il
18,2% delle donne attive nel mercato del lavoro ricopre ruoli di top management; la
riduzione percentuale del GGI in anni recenti, il 2018 e il 2019, è stata dello 0,6, mentre
è stata mediamente pari a 0,3 punti percentuali dal 2006 al 2019 (Ibidem). Il costo
imputabile al divario di genere è stimato in circa il 15% dell’intero prodotto interno
lordo mondiale (Peterson, 2019), con la conseguente considerazione che l’inclusione
delle donne nel sistema produttivo darebbe una spinta significativa al benessere
dell’umanità.
Il GGR 2020, contiene anche i dati di una un’analisi condotta in collaborazione con la
piattaforma online Linkedin rispetto a otto categorie professionali, corrispondenti alle
seguenti attività/specializzazioni: relazione e cultura, produzione di contenuti,
marketing, vendite, sviluppo di un prodotto/servizio, intelligenza artificiale e analisi dei
dati, ingegneria, cloud computing. Secondo questa indagine, le attività connesse con
l’Intelligenza Artificiale (AI), il cloud computing e l’ingegneria sono, potenzialmente, i
settori maggiormente in grado di favorire la diminuzione (se non l’azzeramento) del
divario uomo-donna. In tale prospettiva, è una piacevole sorpresa apprendere che nei
lavori di cloud computing, finora ritenuto il più maschile dei settori del futuro, la parità
di genere è quasi realizzata in paesi come India e Italia, nei quali il divario di genere
nelle materie STEM è particolarmente piccolo (World Economic Forum, 2020).
In tema di riduzione del gender gap, quindi, c’è un evidente progresso generale, ma
anche una sua ineguale distribuzione spaziale, con il netto miglioramento dell’Africa
sub-sahariana e dell’America Latina (riduzione del divario di 1,4 punti percentuali),
aree geografiche nelle quali il miglioramento della situazione è dovuto soprattutto alla
riduzione del gap nella partecipazione politica (World Economic Forum, 2020).
Di fronte a dati che mostrano la sostanziale durata del gender gap e la sua ineguale
distribuzione spaziale, tuttavia, appare necessaria una visione maggiormente critica
nell’affrontare il problema, in modo da evitare imbarazzi ideologici e, invece,
indirizzare l’interesse al riconoscimento di politiche e pratiche efficaci di riduzione del
gender gap. Pratiche e comportamenti agiti da uomini e donne sono prodotti complessi
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di forze ambientali ed ereditarie; il vivere in un certo luogo e in un determinato
momento della storia causa una precisa interazione tra l’eredità culturale e quella più
propriamente genetica, determinando gli schemi organizzativi dei singoli individui e,
per conseguenza, delle comunità sociali, comprese le organizzazioni che hanno finalità
economico-produttive.
Oggi, l’innovazione tecnologica è considerata la possibile soluzione di molti problemi
che le società devono affrontare nel futuro più o meno prossimo. Il mondo occidentale
ha adottato il paradigma della sostenibilità, una rivoluzione auspicata, volta a mantenere
uno sviluppo socioeconomico duraturo (Burns, 2012) che è anche stato declinato
tramite gli obiettivi espressi in Agenda 2030 (UN Sustainable Development Goals, s. d.).
L’obiettivo numero 5 dell’Agenda è denominato “Parità di Genere” (Gender Equality),
da considerare non solo come diritto fondamentale dell’umanità, ma come fondamento
necessario di un mondo in pace, prospero e sostenibile.
La non paritaria presenza di donne, sia numericamente sia in termini di scarsa
valorizzazione delle capacità individuali femminili, è un’evidente causa di minore
crescita economica e di riduzione delle potenzialità di sviluppo. Le donne sono in
minoranza in quasi tutti i settori della produzione, ad eccezione di alcuni che,
specialmente nel mondo occidentale, si vanno progressivamente femminilizzando, ma
che, proprio per questo sono considerati di importanza minore, come l’agricoltura e
l’educazione di livello inferiore.
Lo sviluppo economico generale ha liberato le donne da molte incombenze domestiche;
per molte donne si è così aperta anche la strada degli studi scientifici e tecnologici; il
mercato del lavoro si è maggiormente aperto e, anche sulla spinta di impulsi di natura
politica, come la citata Agenda 2030, le imprese hanno iniziato a considerare strategica
l’assunzione (ad ogni livello) di quote maggiori di lavoratrici.
I settori delle tecnologie cutting-edge, ovvero le tecnologie più avanzate e innovative,
appaiono quelli nei quali la presenza femminile, pur in netta crescita, sia storicamente
penalizzata da molti pregiudizi fondati su una stereotipata “divisione naturale” di ruoli
tra maschi (dotati di migliori attitudini per gli studi scientifici e tecnologici) e femmine
(dotate di attitudini per la cura e la crescita dei figli e quindi impossibilitate a svolgere
mansioni troppo impegnative fuori casa). La dotazione è stata a lungo confusa con la
volontà individuale e collettiva, di fatto, imponendo a molte donne ruoli subalterni.
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Le cutting edge includono le tecnologie di informazione più avanzate che nel tempo
hanno preso la denominazione di Information Tecnologies - ITs, quindi di Information
Communication Tecnologies - ICTs, allo sviluppo delle quali ci sono conoscenze fondate
sulle discipline STEM, cioè Science, Technology, Engineering & Maths (Brown et al.,
2011). Lo sviluppo del settore delle comunicazioni, nel suo complesso, e nei comparti
delle tecnologie d’avanguardia, appare determinante per lo sviluppo economico globale
e per singoli stati. Lo studio della presenza delle donne in aziende che hanno nella
propria vision lo sviluppo tecnologico appare di particolare interesse sia in una
prospettiva di indagine scientifica, sia in una prospettiva di una mia crescita personale.
II. Tema, focus, domanda di ricerca e piano del lavoro
Il tema della ricerca svolta con la tesi è il Gender Gap, il divario di genere presente in
molti aspetti della società. Il focus è quello del divario di genere in aziende che
impiegano tecnologie cutting-edge, in particolare l’azienda NTT DATA Italia che
dichiara come uno degli obiettivi strategici la riduzione del divario di genere come
previsto dalle politiche sulla sostenibilità. La scelta del tema e del focus deriva anche
dalla mia esperienza personale, che dal 3 settembre 2018 sono dipendente presso la sede
di Milano, nella sezione di consulenza aziendale, dove svolgo le mansioni di Business e
IT Advisor Analyst.
La domanda di ricerca a cui si tenta di dare risposta si può formulare come segue: quali
iniziative ha intrapreso NTT DATA per ridurre al proprio interno il divario di genere?
Tale domanda può essere scomposta in queste seguenti sotto-domande:
1. qual è la situazione attuale in termini di occupati e di salari;
2. c’è differenza di trattamento per assunzioni iniziali e avanzamento di
carriera tra uomini e donne?
3. ci sono mutamenti rispetto al passato, quali?
4. come viene percepita dai lavoratori la politica gender dell’azienda e
la sua efficacia?
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Il metodo seguito è quello dello svolgimento di un caso di studio (Duxbury, 2012;
Schell, 1992; Stake, 1995; Yin, 1994; 2017) per il quale si è adottata una metodologia
mista, che prevede la raccolta di dati secondari e primari da fonti di diversa natura e
origine sulla scorta di quanto suggerito dalla cosiddetta Grounded Theory (Glaser e
Strauss, 2017; Strauss, Corbin, 1994), che permette di considerare anche fonti letterarie
non strettamente scientifiche o accademiche (grey literature), ma considerate essenziali
per la comprensione dei fenomeni trattati.
I dati primari sono stati raccolti direttamente presso l’azienda analizzata e hanno una
doppia natura; una parte è quantitativa, riguardante cioè i dati numerici che descrivono
la presenza e il ruolo rivestito dalle donne in azienda; un’altra ha natura qualitativa e
deriva dall’osservazione diretta della realtà da parte mia, che ho raccolto molte
informazioni durante incontri informali con i colleghi; questi colloqui sono da
considerare come un’osservazione partecipante (participant observation) (Cardano,
2003), originata da una mia personale curiosità e interesse per il tema e iniziata, per la
verità, prima della decisione di svolgere una tesi di laurea sull’argomento. Per questo, al
fine di confermare o smentire l’informazione raccolta, sono state effettuate alcune
interviste face-to-face ad alcuni dipendenti di diverso livello all’interno di NTT DATA.
Per la conduzione di tali interviste si è seguito il metodo suggerito da Kvale (2001),
dedicando ai colloqui in profondità circa 45 minuti ciascuno. Nello svolgere questo
compito, la mia presenza in azienda si è rivelata di fondamentale importanza in quanto
ha facilitato la raccolta dei dati e reso possibile l’entrare in contatto diretto con le azioni
intraprese dall’azienda oggetto di ricerca.
Il contenuto della tesi è organizzato nel seguente modo.
Il primo capitolo è dedicato alla descrizione del contesto e dei paradigmi di riferimento.
Viene in primo luogo trattata la trasformazione del contesto; successivamente
interpretata attraverso le strategie a lungo termine e gli obiettivi per uno sviluppo
sostenibile, focalizzando l’attenzione sulla parità di genere. Il secondo capitolo continua
il percorso teorico definendo e interpretando il concetto di gender gap, ponendo
attenzione all’innovazione tecnologica. All’interno del terzo capitolo vengono
richiamate le organizzazioni, i movimenti e le politiche in favore delle donne esistenti
nel mondo e in Italia. Il quarto capitolo è dedicato al caso studio NTT DATA Italia. In
primo luogo, viene richiamato il metodo usato per la raccolta dei dati; successivamente
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viene presentata l’azienda sia globalmente sia relativamente al territorio italiano. Nella
parte conclusiva del capitolo vengono presentati e commentati i dati quantitativi e
qualitativi raccolti. Da ultimo si conclude con la discussione generale e le conclusioni.
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Capitolo 1 – Contesto di riferimento: mutamento sociale e sviluppo sostenibile
Questo primo capitolo descrive il mutamento sociale e lo sviluppo sostenibile
all’interno del quale le aziende operano e collaborano ed è stato suddiviso in quattro
sotto-capitoli. In ordine verranno descritte la trasformazione del contesto; le modalità di
approccio al cambiamento; le strategie a lungo termine collegate allo sviluppo
sostenibile e, infine, presenta l’Agenda 2030 ponendo attenzione alla gender equality.
1.1. Trasformazione del contesto: l’evoluzione della società
Al fine di comprendere come oggi venga approcciato il tema del gender gap
all’interno delle imprese IT, obiettivo che questa tesi si è posto di analizzare, è
necessaria una analisi sia del contesto competitivo all’interno del quale oggi le
imprese si trovano a operare sia dei modi con i quali esse si approcciano al
cambiamento culturale susseguente all’introduzione di innovazioni tecnologiche che
influiscono sulla vita quotidiana degli individui e, quindi, sulla società nel suo
complesso (Bate, 2010; Martin, 1983).
Questo capitolo tratta la definizione di cambiamento con riferimento al mutare del
contesto socio-economico entro il quale le imprese assumono decisioni che
riguardano l’organizzazione aziendale. La trattazione tiene conto di alcune decisioni
politiche internazionali identificate dalle Nazioni Unite come manovre per uno
sviluppo sostenibile.
Dapprima è trattato il cambiamento dal punto di vista della società nel suo complesso,
di seguito è affrontato il tema dello sviluppo sostenibile; infine, il tema della disparità di
genere – tema principale della tesi – e trattato con riferimento alle due tematiche
precedenti.
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1.2. Come approcciare al cambiamento
Questo paragrafo è dedicato all’analisi del concetto di cambiamento del contesto
all’interno del quale le imprese prendono decisioni. A tale scopo è necessaria una pur
breve rassegna sulla letteratura di riferimento; più in particolare, occorre riassumere
le attuali conoscenze a proposito della definizione dei concetti di cambiamento e di
contesto.
La società umana si trova da sempre in un continuo stato dinamico che si palesa con
forme socio-economiche diverse secondo le epoche storiche; istituzioni e forme
organizzative sono senza dubbio espressione transitoria di un sottostante processo
dinamico socio-economico. La dinamica della società umana “nasce dal processo
decisionale non solo di élite poco numerose ma dalle decisioni di tutti i membri di
una società, siano essi maschi o femmine. Si deve ritenere, quindi, che le dinamiche
sociali siano il risultato di una grande onda di azioni e reazioni umane verso il mondo
nel quale tutti noi ci troviamo a vivere. [...] Piccoli gruppi di potere possono essere
capaci di sfruttare questa onda di azioni proveniente dai desideri dell’intera umanità
solo se non perdono di vista i limiti del proprio potere e non tentano di resistere
contro il loro fluire. Dimenticare questo significa essere spazzati via.” (Snooks, 2002,
p. iv).
Nel flusso continuo di ondate di cambiamento che l’umanità produce durante la propria
storia, l’innovazione tecnologica produce cambiamenti prevalentemente di natura
materiale; per esempio, gli oggetti sono prodotti con materiali innovativi, che
consentono funzionalità e performance diverse rispetto al passato, talora mantenendo
forme estetiche tradizionali (Whitehouse, 2009).
A lungo, gli economisti hanno trattato i fenomeni tecnologici come eventi che
avvengono dentro una sorta di black box, all’interno della quale gli input della
produzione (semplificati sia dalla micoreconomia sia dalla macreconomia in capitale
e lavoro) sono trasformati in flussi di output tramite un processo sostanzialmente
enigmatico (Rosenberg, 1982). Considerare l’impresa come una “scatola nera”
comporta, inevitabilmente, di trascurare le determinanti culturali che sono alla base
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della sua stessa esistenza, i suoi confini rispetto al contesto e perfino le sue
performance (ibidem). Secondo l’approccio istituzionalista (Williamson, 1975)
l’impresa, come qualsiasi altro oggetto economico, può essere vista e studiata come
un’istituzione. Questo ci riporta al dibattito sul rapporto causale tra azione individuale
e istituzionale: sono i comportamenti individuali a creare le istituzioni o le istituzioni
a determinare le preferenze individuali e i comportamenti umani?
“Gli intenti di un individuo potrebbero essere parzialmente spiegati da
istituzioni rilevanti, come la cultura e così via. Queste, a loro volta, sarebbero
spiegate bene in termini di comportamenti individuali. Ma gli intenti e le
azioni individuali potrebbero, allora, essere parzialmente spiegati da fattori
istituzionali e culturali, e così via all’infinito.” (Hodgson, 2003: 9, mia
traduzione).
Gli economisti stanno abbandonando gli amati paradigmi mainstream insieme all’idea
che sia necessaria una teoria generale capace di spiegare tutte le interazioni sociali,
come sotteso dalla teoria dell’equilibrio economico generale (Ackerman, 2002).
L’idea è quella di non poter più considerare il comportamento umano indipendente
dal contesto, per esempio la comunità, il luogo, l’epoca storica. La capacità cognitiva
umana dipende dall’ambiente materiale e sociale e dai segnali che provengono dalle
interazioni sociali e dagli oggetti presenti nella vita di tutti i giorni. Secondo Douglass
North, infatti, hanno grande importanza sia il contesto delle decisioni sia il processo
con cui sono prese. Questo perché idee, ideologia e credenze sono determinanti del
comportamento umano. Pertanto, si deve rifiutare l’idea (molto utile per la
definizione di modelli economici) che gli esseri umani siano agenti separati,
indipendenti e razionali, e considerarli attori delle scelte immersi in un sistema più
grande che include il corpo e l’ambiente materiale (North, 1994). Le azioni non sono
separabili dal loro stesso contesto, che include anche le scelte di altri agenti.
L’impresa che si muove in un ambiente di relazioni materiali e umane è, di fatto,
sempre immersa in un determinato contesto sociale, delimitato da confini spazio-
temporali. La trattazione dei confini spaziali è ancora possibile con gli strumenti
dell’economia e della geografia, sia culturale sia economica, discipline che trattano le
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questioni connesse con il tempo o in termini di confronto dinamico tra equilibri statici
riferiti ad anni diversi, o mediante l’adozione di metodi propri dell’analisi storica. In
tal modo, tuttavia, tralasciano la trattazione teorica del concetto di tempo, di cui la
sociologia ha iniziato ad occuparsi anche mettendo in gioco le proprie metodologie
tradizionali e confrontandosi con altre discipline come la filosofia o gli studi culturali
(cultural studies), in un secondo momento. (Jedlowski, 2001; 2017).
Una comprensione teorica dell’idea di tempo, inteso come passato, presente e futuro,
può aiutare a comprendere anche i meccanismi della creatività e dell’innovazione,
azioni necessarie sia all’impresa adattiva sia a quella pro-attiva rispetto al mutare del
contesto (Ruttan, 1959; Schumpeter, 2000).
La sociologia del futuro è associata all’evoluzione del pensiero sociologico classico
che, manifestamente, rifiutava di considerare metodologicamente sia il futuro sia il
passato, lasciando il tema ad altre discipline come la filosofia, gli studi culturali e
l’antropologia. Attualmente, la sociologia tenta di definire il futuro all’interno dello
scorrere temporale delle società, alla ricerca di un ininterrotto continuum spazio-
temporale. Ne risulta che l’interesse non può più essere rivolto alla scoperta della
realtà obiettiva, ma indirizzato alla comprensione della soggettività sociale,
assumendo l’idea che la società stessa sia la creazione dei soggetti (persone) che la
compongono e che le regolarità empiriche rinvenute dalla ricerca variano
grandemente a seconda dei contesti socio-culturale e storico. L’approccio sociologico
non può limitarsi all’analisi all’interno dei confini del presente fissato entro i confini
della modernità; l’analisi del futuro prevede due prospettive possibili, quella condotta
sotto l’ipotesi di condizioni di incertezza e quella che, integrando metodi
tradizionalmente di altre discipline, vede il futuro in termini evoluzionisti, come
estrapolazione del presente.
Se il mondo è in continuo cambiamento, con la perdita continua del valore delle
tradizioni e la creazione di fratture e discontinuità, d’altro canto, sono sempre più
diffusi strumenti e tecniche che, se da un lato, ne espandono la capacità umana di
ricordare, da un altro, ne mettono in discussione il significato stesso (Jedlowski,
2001). L’autore citato pone la questione mettendo in gioco la definizione di memoria,
non solo perché essa è minacciata da una pressione individuale e sociale di
concentrarsi sul presente, o perché siamo più abituati a usare oggetti che ci aiutano a
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ricordare, quanto perché “il modello di memoria come ‘magazzino’ delle tracce del
passato – un modello che data almeno dai tempi di Sant’Agostino – è stato
completamente ribaltato e riformulato. […] Ciò che noi chiamiamo ‘memoria’ è una
complessa rete di attività, il cui studio indica che il passato non resta mai ‘uno e
uguale’, ma è costantemente selezionato, filtrato e ristrutturato in termini posti da
domande e necessità del presente, sia a livello individuale sia sociale; […] mentre da
un lato il flusso della vita nel tempo comporta effetti che condizionano il futuro, da un
altro lato, è il presente che forma il passato, ordinando, ricostruendo e reinterpretando
il suo lascito, con aspettative e speranze che aiutano anche a selezionare che cosa
meglio serve il futuro.” (Ibidem, p. 30, mia traduzione).
In un lavoro più recente Jedlowski (2017) definisce le “memorie del futuro” come
“ricordi che riguardano gli orizzonti di attesa del passato” (p. 97) che mettono in
gioco la temporalità sociale, storica e biografica degli individui. In tal senso la
memoria del futuro è il ricordo nel tempo presente di un futuro immaginato nel
passato (Ibidem).
Appare evidente come idee, maturate nell’ambito di una riflessione di teoria
sociologica, siano essenziali per la comprensione di fenomeni complessi come il
rapporto tra mutamento del contesto e innovazione e creatività imprenditoriali.
La creatività umana si manifesta con l’introduzione di nuovi prodotti, che derivano da
un’invenzione o da una scoperta, e di nuovi processi produttivi che sono
l’adattamento o il radicale cambiamento di quelli correnti. L’innovazione è
solitamente posta in relazione con le condizioni della singola impresa e con l’insieme
di condizioni possibili all’interno del contesto in cui l’impresa agisce. Tutti possono
avere capacità innovative, ma è ipotizzabile che la diffusione tra individui sia
asimmetrica, secondo forme semplici e spontanee simili a quelle infantili o altre più
complesse, capaci di indurre la produzione di oggetti o idee che innescano forme di
sviluppo territoriale. Una suggestione preziosa viene da Torrance (1965) che definisce
la creatività come “il processo di diventare sensibili a problemi, manchevolezze, salti
di conoscenza, elementi mancanti, disarmonie, e così via; identificando difficoltà e
cercando soluzioni, mediante supposizioni o ipotesi sui problemi; provando,
riprovando e modificando le ipotesi formulate per, finalmente, comunicare i risultati.”
(pp. 663-664).
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Questa sensibilità interessa anche l’incertezza a cui è soggetto il successo
dell’innovazione. È largamente accettato che le innovazioni tecnologiche siano il
maggior ingrediente della crescita economica, mentre minore attenzione è prestata al
fatto che queste siano soggette a forte incertezza, in quanto vi è impossibilità di
prevedere il successo o il fallimento di una scelta innovativa. La storia è invece
costellata di esempi di imprese innovative che hanno incontrato fallimenti. Il modo
con cui l’innovazione è attuata, diffusa in altre imprese e in altri settori industriali,
l’impatto che ha sulla società e sui risultati economici e gli assetti politico-
istituzionali possono essere determinanti per la creazione e la diffusione di benessere
in una società e in un’area geografica. Rosenberg (1998) ha posto in risalto come uno
dei motivi dei fallimenti imprenditoriali e socio-politici connessi con l’innovazione
l’incapacità di vederne in anticipo il successo nei mercati, indipendentemente dalla
fattibilità tecnica delle proposte.
Dopo l’introduzione da parte di un singolo imprenditore sorgono sicuramente imprese
imitatrici, attratte dalla possibilità di fare profitti; da queste imprese dipende
l’effettiva diffusione dell’innovazione. Gli imitatori capaci di ripercorrere le orme del
primo inventore, che ha assunto tutti i rischi e le incertezze, non corrono rischi, o
almeno ne corrono molti meno del primo innovatore. Altre incertezze possono sorgere
a impedire l’ulteriore diffusione spaziale dell’innovazione, ed è probabile che solo gli
aggiustamenti successivi all’invenzione iniziale, operati da molti e diversi
imprenditori rispetto alla prima realizzazione, consentano il miglioramento
tecnologico e l’applicazione in settori diversi dall’originario (ibidem). Un punto
essenziale connesso con il tema dell’innovazione tecnologica riguarda il
cambiamento sociale e culturale che può indurre. Un’innovazione proveniente da
un’impresa può essere solo un mattone che serve per costruire qualcosa più grande
che la società deve saper progettare e costruire.
I processi sociali e culturali sono stati pensati in termini evoluzionisti (Campbell,
1960; Cavalli-Sforza, 1986), senza tuttavia pensare fino in fondo che possano
derivare da meccanismi che l’ortodossia neo-Darwiniana ipotizza come imposti da
stati di necessità o bisogni insopprimibili degli organismi. Appare superata l’idea,
propria delle scienze naturali, che si possano individuare, in un sistema sociale, stabili
e immutabili connessioni causa-effetto tra un soggetto (a sua volta immutabile)
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titolare delle cause e altri soggetti che ne subiscono gli effetti. Le scienze sociali
studiano non sistemi chiusi ma “aperti”, in quanto gli esseri umani hanno la capacità
di cambiare e le loro azioni hanno la capacità di alterare gli assetti dei sistemi (Sayer,
1985).
Le consuetudini di comportamento possono essere acquisite da una serie ampia di
fonti e trasmesse da una generazione all’altra, ma un sistema sociale, pur soggetto a
un bisogno che ne sollecita i comportamenti, non è detto che abbia nella propria
routine comportamentale i geni sostanziali che l’indirizzano nella direzione auspicata.
Così, uno stimolo esterno, che in un sistema chiuso come quelli biologici determina
una reazione prevedibile, non è detto che determini un ben preciso e prevedibile
comportamento sociale (Rosernberg, 1998).
Come accennato, Douglass North ha posto un accento forte all’importanza sia del
contesto sia del processo cognitivo, perché le idee, l’ideologia e le credenze sono
determinanti per il comportamento umano, in quanto ogni essere umano è un agente
di scelta (agency) immerso in un più largo sistema che comprende il suo corpo e il
suo ambiente materiale e sociale (North, 1994).
Più sopra, per descrivere il mutare delle dinamiche sociali, è stata impiegata la
metafora di un’onda, e di una serie di onde, di azioni e reazioni umane rispetto al
contesto, o rispetto al mondo intero (Snooks, 2002). La metafora induce l’idea di
cambiamento e di mobilità.
Nel suo Modern Liquidity, Zigmund Bauman (2000) spinge l’interpretazione teorica
delle ondate di cambiamento sociale, che comunque fanno pensare al movimento di
una massa fluida, alla metafora della liquidità. Dopo avere ripreso la definizione di
fluidi, gas o liquidi, dall’Enciclopedia Britannia, Bauman scrive:
“Ciò che costituisce i caratteri dei fluidi, in parole semplici, è che i liquidi, a
differenza dei solidi, non mantengono facilmente la loro forma. I fluidi, per
così dire, non fissano lo spazio né fermano il tempo. Mentre i solidi hanno
dimensioni spaziali bene definite, ma neutralizzano gli impatti facendo
diminuire il significato di tempo (resistendo efficacemente al suo scorrere o
rendendolo irrilevante), i fluidi non mantengono alcuna forma nel tempo e
sono costantemente pronti (e proni) a cambiarla; pertanto per loro quello che
17
conta è il fluire del tempo, più che lo spazio che tendono a occupare: quello
stesso spazio, del resto, che riempiono ‘per un momento’. In un certo senso, i
solidi cancellano il tempo; per i liquidi, al contrario, è il tempo quello che
conta molto di più. Nel descrive i solidi, si può ignorare del tutto il tempo; nel
descrivere i fluidi, non considerare il tempo sarebbe un errore molto grave. Le
descrizioni di fluidi sono sempre istantanee, che necessitano porre una data al
di sotto dell’immagine.” (Bauman, 2000, p. 2).
L’idea fondamentale di Bauman, la liquidità come carattere sociale della modernità, è
stata eletta al ruolo di paradigma, inteso come l’insieme di concetti e pratiche che
definiscono l’ambito di una disciplina in un determinato momento, l’immagine
sovrastante gli argomenti fondanti di una determinata scienza. Il volume articola il
pensiero sulla modernità in cinque temi, uno per capitolo, riguardanti
l’emancipazione, l’individualità, lo spazio/tempo, il lavoro e la comunità, ognuno dei
quali oggi si trova in leggerezza di peso e liquidità di stato (ivi, p. 1).
La liquidità sociale si manifesta dapprima con l’emergere del postmodernismo, che
segna la crisi delle “grandi narrazioni” capaci di interpretare il mondo nella sua
interezza, nel suo ordine possibile, sostituito da singole narrazioni delle
frammentazioni sociali. La modernità liquida ha progressivamente sostituito anche il
postmodernismo, e si caratterizza per la crisi evidente dell’idea di Stato, impallidita di
fronte al potere di imprese multinazionali che sovrastano individui, confini, nazioni.
Dopo lo Stato, sono entrate in crisi le idee di partito politico, lasciando gli individui
privi di un riferimento comunitario e valoriale stabile. Ne è conseguito un
individualismo senza freni, da esercitare in un ambiente iper-competitivo, dove la
soggettività portata all’eccesso priva la modernità di ogni punto di riferimento fisso.
Emergono i sentimenti dell’apparire e del consumare ad ogni costo, in una miscela di
narcisismo bulimico irriflessivo.
La via di uscita, tuttavia, esiste. Prima di tutto la consapevolezza di vivere in una
società liquida può stimolare la ricerca di mezzi adatti a superarne i lati negativi.
Forse, non alla portata di tutti, ma possibilmente di un numero crescente di
consapevoli.
18
In Contre-allee (2004), un libro pubblicato in collaborazione con Catherine Malabou,
Jacques Derrida invita i lettori a pensarsi in viaggio – o più precisamente – a un
‘pensare come viaggio'. Il che significa pensare a quell’unica attività di partire,
andare via da casa, andare lontano, verso l’ignoto, rischiando tutti i rischi, i piaceri e i
pericoli che l’ignoto ha in serbo (compreso il rischio di non tornare).
“‘Il Radicamento’, nel caso, può essere la sola dinamica e ha bisogno di ripartire ed
essere ricostituito giornalmente – precisamente attraverso l’atto ripetuto dell’‘auto-
distanziamento’ l’atto fondamentale e iniziatico di ‘essere in viaggio’, sulla strada.
Avendo comparato ognuno di noi – gli abitanti del mondo d’oggi – con i nomadi,
Jacques Attali (in Chemins de sagesse, 1996) suggerisce che, “[…] a parte il viaggiare
leggero e cortese, amichevole e ospitale con gli stranieri che incontrano sulla strada, i
nomadi devono essere costantemente in guardia, ricordando che i loro accampamenti
sono vulnerabili, non hanno mura di cinta, o trincee che fermino gli intrusi.
Soprattutto, i nomadi, lottando per sopravvivere in un mondo di nomadi, devono
crescere abituati a uno stato di continuo disorientamento, viaggiando lungo strade di
cui non conoscono la direzione e la durata del viaggio, guardando raramente oltre la
prossima svolta o il prossimo incrocio; devono concentrare tutta l’attenzione alla
stretta striscia di strada che devono percorrere prima del tramonto. ‘Individui fragili’
condannati a condurre la propria vita in una ‘realtà porosa’, sentono di pattinare su
uno strato sottile di ghiaccio; e, ‘pattinando sopra il ghiaccio fine’ […] la salvezza
consiste solo nella velocità […]. La velocità, pertanto, sale in cima alla lista dei valori
di sopravvivenza” (ivi, p. 209).
19
1.3. Strategie a lungo termine e gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile
Ormai quasi mezzo secolo fa, il rapporto del Club di Roma (Meadows et al., 1972)
tentò di combinare la visione ottimistica di un’umanità dotata di potenzialità
innovative in grado di risolvere i nascenti problemi ambientali e demografici con il
timore suscitato dal fatto che mantenendo lo stesso trend di crescita ci sarebbero state
conseguenze fortemente negative. Il modello “di mondo” messo a punto dal Club era
orientato a indagare cinque punti fondamentali: accelerazione nella crescita del
settore industriale, rapido incremento della popolazione, diffusione di
sottoalimentazione e malnutrizione, perdita di risorse non rinnovabili, e un
deterioramento generale dello stato ambientale. Il Club poneva un quesito di fondo:
come vorremmo che il mondo fosse?
Raggiungere una limitazione auto-imposta alla crescita richiederebbe uno sforzo
notevole. Sarebbe necessario imparare a fare molte cose in un modo del tutto nuovo,
coinvolgendo l’ingegnosità, la flessibilità e l’auto disciplina dell’intera umanità.
Mettere fine deliberatamente alla crescita sarebbe una sfida enorme, non facilmente
raggiungibile: ne vale la pena? L’umanità si avvantaggerebbe da questo tipo di
cambiamento? Che cosa perderebbe?
Tre componenti del Club di Roma, trenta anni dopo circa, continuarono a sostenere
che la loro teoria sui limiti dello sviluppo, sopra citati, era ancora valida (Meadows et
al, 2005).
Nel 1980, la Commissione Brandt pubblicò il proprio rapporto sullo sviluppo
denominato North-South: A Programme for Survival, ponendo la responsabilità della
sopravvivenza dell’umanità nell’ambito della politica, pur essendo i leader mondiali
dell’epoca maggiormente attenti alla Guerra Fredda che non alle
problematiche connesse con la povertà di molta parte del mondo, l’ingiustizia sociale,
la violazione dei diritti, l’autodeterminazione dei popoli, la perdita continua di risorse
naturali. La Commissione non dettò una definizione di sviluppo, ma ebbe modo di
annotare:
“si può evitar la perdurante confusione tra crescita e sviluppo, e non
sottolineiamo fortemente che il primo obiettivo dello sviluppo sia quello di
una realizzazione personale e della collaborazione creativa nell'uso delle
20
forze produttive di una nazione e del suo pieno potenziale umano.” (Brandt,
1980, p. 23, mia traduzione)
Nel 1983, al tema dello sviluppo fu dedicato uno studio più attento da parte della
World Commission on Environment and Development, che avrebbe dettato una
precisa definizione di sviluppo sostenibile e che ancora costituisce un punto di
riferimento inevitabile. Nel 1987 i risultati furono pubblicati come Our Common
Future (o Rapporto Brundtland) che, al contrario della Commissione Brandt, dettava
una precisa definizione di sviluppo sostenibile (WCED, 1987, p. 43) come:
“Lo sviluppo che permette di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti
senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare i
propri bisogni.”
La definizione è ancora largamente usata, nonostante attragga molte critiche,
soprattutto perché suggerisce che crescita economica, ammodernamento industriale e
mercato siano i fattori determinanti e gli obiettivi di sviluppo di tutte le nazioni del
mondo (Blewitt, 2012).
Nel 2014, in occasione della Conferenza Rio+20, gli stati aderenti all’ONU proposero
un insieme di obiettivi accomunati dall’idea di sostenibilità e denominati, appunto,
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile o SDGs (United Nations, 2014). Questi obiettivi
succedevano ai cosiddetti Millennium Development Goals (MDGs) come punto di
riferimento per la comunità internazionale per l’intero periodo 2015-2030. L’insieme
dei nuovi obiettivi fu visto subito come una sfida molto ambiziosa perché l’orizzonte
abbracciato è molto più ampio di ogni altro intravisto precedentemente.
L’ambizione di avere obiettivi universali, applicabili in tutti i paesi aderenti all’ONU
e non solo in quelli in via di sviluppo, serve come segnale forte che sia da guida in
vista di una reale transizione verso lo sviluppo sostenibile, di fatto eluso dalla
comunità internazionale fino dal momento delle solenni dichiarazioni in occasione
dell’Earth Summit di Rio nell’ormai lontano 1992.
Uno dei principali difetti è stato individuato nella mancanza di integrazione tra i
diversi settori interessati, in termini di strategie, politiche e modi di attuazione
previsti dai precedenti approcci (Giovannini, 2018).
21
La comunità internazionale, non comprendendo appieno quali potessero essere le
sinergie e i possibili trade-off intersettoriali, ha adottato politiche confuse, troppo
specifiche o solo settoriali, producendo risultati divergenti e asimmetrici rispetto ai
obiettivi dello sviluppo sostenibile.
Figura 1 – Relazioni di rete tra obiettivi e risultati dell’Open Working Group on
SDGs Fonte: Le Blanc, 2015, p.4
Viceversa, obiettivi e risultati possono essere visti come una rete che collega i singoli
goal tramite target collegati a obiettivi molteplici (Le Blanc, 2015). È possibile
disegnare una rete con nodi, sub-nodi e collegamenti che descrivono e interpretano le
relazioni possibili tra goal e target. L’analisi di Le Blanc prende in considerazione i
16 obiettivi presentati dall’Open Working Group on SDGs dell’ONU, a cui Agenda
2030 aggiunge il 17 obiettivo di una partnership tra i diversi temi.
La network analysis mostra come alcuni nodi della rete hanno collegamenti più forti
di altri con l’intero sistema di relazioni. Secondo Giovannini (2018), i SDGs
appaiono maggiormente integrati degli obiettivi del Millennio (MDGs), e la politica
di realizzazione potrebbe essere maggiormente in grado di integrare più settori. (Le
Blanc, 2015; OECD, 2018)
22
1.4. Agenda 2030 e gender gap
Figura 2 – Gli obiettivi di Agenda 2030 Fonte: UN Sustainable Development Agenda,
s.d.
Osservando più da vicino l’Agenda delle Nazioni Unite che si è posta come obiettivo
l’anno 2030, si nota come tra i primi cinque vi sia quello della parità dei sessi. Come
mai?
L’uguaglianza di genere e l’aumento di potere di tutte le donne di ogni età sono di per
sé obiettivi di valore universale; il raggiungimento di una parità di genere comporta
azioni trasversali a molte politiche settoriali, da quelle riguardanti l’educazione, la
protezione sociale, il mercato del lavoro a quelle che interessano i diritti di proprietà,
il sistema fiscale, le infrastrutture e le politiche di governance in senso più ampio.
In virtù del fatto che rappresenti una perdita mondiale il non arrivare a sfruttare nella
sua interezza l’ingegno, la flessibilità e la creatività umana (Meadows et al., 1972) e
del fatto che per ottenere un miglioramento sulla maggior parte degli obiettivi
raffigurati nella Fig.2, è fondamentale precedentemente creare una omogeneità
all’interno della popolazione del mondo.
Infatti, in ragione della storica divisione di ruolo tra donne e uomini nelle famiglie,
nell’economia, e nella gestione dell’ambiente, ancora presenti in molte società, la
valorizzazione della parità risulta parte integrante di un approccio equilibrato tra
23
dimensioni sociali, economiche e ambientali dello sviluppo sostenibile, al fine di
raggiungere tutti gli altri obiettivi dell’Agenda 2030.
Comprendere questo aiuta anche a comprendere le motivazioni che devono portare
l’azienda stessa a colmare questo divario.
Nei decenni più recenti, a livello complessivo molti passi in avanti sono stati
compiuti, seppure in un contesto di generale ineguaglianza, sia nei paesi sviluppati sia
in quelli in via di sviluppo e aumenta (in modo grave) (OECD, 2018).
L’importanza del gender nella problematica ambientale è stata messa in risalto fino
dagli anni Settanta, quando gli studi su questi due temi si sono intrecciati con quelli
dei diritti delle donne (Agosìn, 2001).
Oggi, in modo evidente, appare che la parità di genere possa fare passi avanti solo se
considerata non più come tema e/o problema a se stante, ma all’interno di un contesto
di una visione integrata negli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030, soprattutto
per la definizione e l’adozione di politiche di intervento.
Anche se una interpretazione gender si può riferire ad ognuno dei 17 goal
dell’Agenda 2030, in accordo sia con Le Blanc (2015) sia con OECD (2018) gli
obiettivi che appaiono maggiormente vicini e coerenti con le politiche di parità di
genere sono i seguenti:
1. Obiettivo 6, Clean water and sanitation;
2. Obiettivo 7, Affordable and clean energy;
3. Obiettivo 9, Industry, innovation, and infrastructures,
4. Obiettivo 11, Sustainable cities and communities;
5. Obiettivo 12, Responsible consumption and production;
6. Obiettivo 13, Climate change;
7. Obiettivo 14, Life below water;
8. Obiettivo 15, Life on land.
Gli studi citati mettono in grande evidenza sia la multidimensionalità del tema gender
sia come l’obiettivo di una parità di genere possa essere ancorato ben più in generale
all’obiettivo di uno sviluppo sostenibile così come alla necessità di adottare politiche
integrate su più obiettivi. Il legame tra gender e sostenibilità, tuttavia, appare chiaro,
anche se il tema viene ancora considerato un’area emergente della ricerca che
necessita di una raccolta maggiormente sistematica di dati e informazioni su iniziative
24
di diversa importanza. Talora, il tema appare sottovalutato sia dai decisori politici, sia
dalle imprese sia, infine, dalle donne stesse. Nonostante questo, c’è un crescente
consenso che il genere femminile, nei paesi sviluppati come in quelli in via di
sviluppo, sia più esposto di quello maschile ai danni causati dal degrado ambientale e,
probabilmente per questo, le donne abbiano maturato una maggiore consapevolezza
dei rischi ambientali e siano più “sensibili alla necessità di una gestione sostenibile
delle risorse naturali” (OECD, 2018, p. 33, mia traduzione).
Lo stretto legame tra donne e Obiettivi dell’Agenda 2030 è, probabilmente, originato
dal fatto che in ogni parte del mondo esse vivano in condizioni molto vulnerabili
rispetto alla scarsità di energia, produzioni insostenibili, mancanza di accesso alla
gestione delle acque, potabili e reflue, al degrado ambientale, alla criminalità,
conducendo una vita urbana molto stressante e dovendo fronteggiare la gestione di
risorse sempre molto scarse.
Questo primo capitolo ha indagato, almeno nelle sue linee generali, le connessioni tra
gender gap e cambiamento del contesto socio-economico entro il quale le imprese
assumono decisioni. La discriminazione delle donne ha origini antiche nella storia
antropologica dell’umanità e delle aggregazioni sociali. In tempi relativamente
recenti, si può dire che, con l’emergere della sensibilità ambientale, è cresciuta anche
l’attenzione al tema gender gap, definitivamente acquisito come uno degli obiettivi
che compongono la definizione complessiva di sostenibilità.
Uno dei cambiamenti socio-culturali più interessanti è proprio il mutamento di
paradigma dello sviluppo, a cui si tenta di abbinare il concetto di sostenibilità, se non
proprio imponendone un vero limite verso uno stato stazionario, teorizzando –
perfino – una relazione inversa tra crescita e felicità (Kallis, 2011).
Se l’investigazione teorica da parte di diverse discipline scientifiche appare sempre
più orientata verso l’individuazione delle cause socioeconomiche che hanno
determinato la discriminazione delle donne e delle possibili politiche di riduzione del
gender gap, la realtà imprenditoriale e sociale appare molto più lenta nella direzione
di riduzione o eliminazione di tale discriminazione, specialmente nel settore della
ricerca scientifica e applicata, dove le donne sono ancora una netta minoranza.
Il prossimo capitolo è dedicato, quindi, a una trattazione più approfondita della teoria
della disparità di genere e di quella che connette quest’ultima alle STEM.
25
Capitolo 2 – Il gender gap: la letteratura di riferimento
A questo punto della trattazione, definiti il contesto e l’approccio che ogni individuo
deve tenere nei confronti di uno sviluppo sostenibile, risulta necessario calarsi
all’interno del divario di genere. A tal fine ne verranno presentate l’origine e
l’interpretazione storica; la letteratura che afferisce al divario di genere prestando
maggiore attenzione alle differenze nelle STEM; infine, verrà spiegata la relazione tra
gender gap e innovazione.
2.1. Origine e interpretazione storica del gender gap
Una prima definizione di gender gap è stata fornita nell’introduzione di questo lavoro.
Di seguito si cerca di approfondire l’origine storica e l’interpretazione che se ne può
dare. Attitudini e ruoli sociali attribuiti alle donne sono estremamente variabili tra paesi
differenti, inclusi quelli che hanno simili livelli di sviluppo e istituzioni socio-politiche
paragonabili. Per analizzare il fenomeno, molti studi hanno utilizzato variabili
economiche standard, come per esempio livello di sviluppo, educazione femminile,
fertilità, andamento del rapporto matrimoni/divorzi, espansione del settore dei servizi
(Goldin, 1990). I fattori maggiormente messi in evidenza sono fatti risalire ad alcuni
dati fondamentali, come il ruolo dei prezzi di mercato, la diminuzione dei costi di cura
dei bambini, sia per il loro allevamento sia dal punto di vista sanitario (Albanesi e
Olivetti, 2016).
Più di recente la letteratura scientifica ha posto in maggiore evidenza come la grande
variabilità del ruolo delle donne tra società differenti sia da porre in relazione con
convinzioni di natura culturale su quale sia il ruolo “più consono” delle donne in una
determinata società (Fernandez, 2007; Fernandez e Fogli, 2009; Bertrand et al., 2015).
Di fronte a questa opportunità di approccio, molti contributi di studio e ricerca hanno
iniziato a considerare le profonde radici di natura storica che il fenomeno possiede
(Giuliano, 2017; Nunn, 2009). Alcune determinanti le differenze di genere mostrano di
avere una lunga storia alle spalle; tra questi sono rilevanti la tecnologia agricola, il
26
linguaggio, la geografia, i caratteri delle società preindustriali, la struttura familiare, la
religione, gli shock sociopolitici verificatisi lungo la storia.
Alcuni autori hanno dedicato particolare attenzione al persistere delle differenze di
genere attribuibili alla tecnologia impiegata storicamente in agricoltura o, detto in altro
modo, come la lunga storia dell’agricoltura possa avere avuto effetti di lunga durata
sull’evoluzione delle attitudini di genere; in tal senso, Alesina et al. (2013) hanno
studiato il perdurare delle differenze di genere rispetto alla diversità di partecipazione
della forza-lavoro femminile nelle pratiche agricole. L’introduzione dell’aratro al posto
di attrezzi manuali per la coltivazione dei terreni, che corrisponde a una pratica a
maggiore intensità di capitale, comportava anche la richiesta di un corpo dotato di
maggiore forza, specialmente nelle braccia, per guidare sia l’aratro sia gli animali da
tiro, rispetto a quello (femminile) che poteva usare invece la vanga o la zappa; tale
innovazione era, perfino, molto meno compatibile con la cura dei bambini, specialmente
di quelli molto piccoli, solitamente affidati alle cure materne. L’uso dell’aratro, in
ipotesi, ha indotto la divisione di lavoro tra sessi e prodotto l’idea che il posto naturale
delle donne, e delle loro attività anche produttive, fosse la casa. Non è difficile credere
che questo convincimento diventasse un’attitudine culturale esportata al di fuori
dell’agricoltura. Alle donne è stato, quindi, storicamente riservato un ruolo in attività
connesse con la coltivazione ma minori, come ripulitura dei suoli da coltivare da alberi
e arbusti, piantagione, cura delle coltivazioni in atto, raccolta, allevamento degli animali
grandi e piccoli, mungitura, cucina, raccolta di legna, approvvigionamento di acqua,
trasporto di pesi, artigianato domestico e commercio. In generale, l’adozione dell’aratro
è associata con la minore partecipazione femminile a tutte le pratiche agricole.
In alcune particolari condizioni la relativa minore produttività femminile (e dei
minorenni) in agricoltura ha comportato l’impiego di donne nei settori manifatturieri,
per esempio negli Stati Uniti nordorientali, anche se l’iniziale forte presenza femminile
in agricoltura e nel manifatturiero preindustriale non si è trasformata in una
partecipazione elevata allorquando si è verificata la forte crescita industriale del paese
avuta una forte crescita (Goldin e Sokoloff, 1984).
In ogni modo, altre cause di natura sociale devono essere considerate per una
spiegazione più ampia e convincente, come il numero di imprese con un capo femmina,
la presenza di donne nella politica nazionale, per esempio nelle aule dei Parlamenti,
27
senza trascurare di considerare le condizioni geo-climatiche che possono agevolare o
meno l’uso dell’aratro. Gli studi condotti in proposito confermano una correlazione tra
l’adozione di colture arabili con la diminuzione del lavoro femminile in agricoltura e
una conseguente diminuzione del tasso delle nascite, da imputare alla minore necessità
di fare figli per avere forza lavoro (Alesina et al. 2013). Appare anche sufficientemente
evidente che le innovazioni introdotte in agricoltura abbiano influenzato le norme
sociali nel lungo periodo. Ad esempio, la diffusione della poligamia in società con
agricoltura senza aratro è interpretabile con la necessità di avere più donne da impiegare
nella coltivazione a mano di un maggior numero di campi e di maggiore estensione.
Allo stesso modo, nelle società senza aratro sono i pretendenti maschi a dover procurare
la dote alla promessa sposa, mentre nelle società con aratro è generalmente la famiglia
della sposa che provvede alla dote (Goody, 1976). Altre ricerche su questo particolare
aspetto mostrano come nelle società che impiegano l’aratro le regole ereditarie sono
meno favorevoli alle donne, la poligamia è meno diffusa, la dote è usualmente fornita
dalla famiglia della sposa (Giuliano, 2015).
Questi retaggi storici, in certa misura, fanno sentire i loro effetti anche nel tempo attuale,
in quanto le società che tradizionalmente hanno fatto uso dell’aratro sono tuttora
caratterizzate da autorità parentale maschile, regole ereditarie favorevoli ai maschi,
minore libertà delle donne di uscire dall’ambito familiare e della casa, l’imposizione
dell’uso del velo in pubblico.
L’antropologa Boserup (1970) spiega l’assenza di poligamia nelle società che adottano
l’aratro in agricoltura in termini di accesso alla terra, essendo questa forma di
organizzazione familiare più tipica dell’agricoltura praticata con aratura superficiale,
gestione comune delle terre, naturalmente abbondanti e sulle quali si può estendete la
coltivazione agricola. Appare anche confermata l’ipotesi che il modo di essere delle
istituzioni e le leggi tendano a perpetuare nel tempo le forme di organizzazione sociale
che sono sottese a determinati convincimenti culturali (Giuliano, 2017). Le disparità di
genere possono quindi, in certa misura, essere istituzionalizzate da credenze sui benefici
collegati alla loro presenza, mantenendo nel tempo disparità nei diritti ereditari, di voto,
e di partecipazione sociale. Un effetto paradossale può essere quello per cui una società
si specializzi in industrie capital-intensive che, a loro volta, riducono il costo relativo
della differenza di genere, provocandone addirittura la perpetuazione (Ibidem). Inoltre, è
28
dimostrato che le credenze culturali abbiano intrinsecamente una forte natura vischiosa
(Alesina et al. 2011; 2013).
Altre evidenze su come la variazione della tecnica agricola influenzi la produttività del
lavoro e, per conseguenza, le differenze di genere, si rinvengono in studi condotti in
Cina. Le grandi riforme economiche introdotte in Cina nel corso degli anni Settanta
resero più convenienti le coltivazioni destinate ai mercati (Qian, 2008). Durante l’era
maoista l’agricoltura era centralmente indirizzata alle produzioni di base; le prime
riforme introdotte tra il 1978 e il 1980 resero più convenienti le coltivazioni cosiddette
cash-crop, destinate agli scambi di mercato, come la coltivazione del tè e la frutticoltura.
La divisione di lavoro tra uomini e donne fu inevitabile, con le donne addette alla
raccolta del tè, con foglie delicate e allevato come arbusto basso, mentre gli uomini
erano indirizzati alla frutticoltura per l’altezza e la maggiore forza fisica. Qian (Ibidem)
ha rilevato come nelle regioni specializzate nella coltivazione del tè, le famiglie
interrompevano la pratica di abortire (o sopprimerle appena nate) le figlie femmine,
visto che potevano convenientemente impiegale in agricoltura.
In somma, le società con una lunga tradizione agricola alle spalle mantengono nel
tempo una minore parità di genere, una prevalenza patriarcale e idee consolidate sul
ruolo minore da attribuire alle donne (Hansen et al. 2015). L’idea di fondo è che il
patriarcato abbia avuto origine durante la cosiddetta Rivoluzione Neolitica che vide il
passaggio da società di cacciatori-raccoglitori a quelle di agricoltori e che i valori
patriarcali siano stati tramandati, appunto, da società fondate sull’agricoltura. La
crescita della popolazione rendeva necessaria l’introduzione di pratiche agricole
maggiormente intensive, che richiedevano maggiore la potenza fisica dei maschi
(Iversen e Rosenbluth, 2010). La conseguente divisione del lavoro, con gli uomini dediti
alla produzione di cibo e le donne dedite ala cura della prole, accrebbe il potere
maschile all’interno della famiglia, che nel corso di generazioni si è trasfuso nelle
norme sociali che hanno definito i convincimenti culturali sui ruoli da attribuire ai due
sessi. In una società di cacciatori-raccoglitori le donne avevano più libertà, perché
provvedevano almeno alla metà dei raccolti; inoltre, la carne cacciata prevalentemente
dai maschi non era strettamente necessaria alla sopravvivenza delle comunità; infine
una donna che raccoglieva cibo era sostanzialmente indipendente per il proprio
sostentamento.
29
Un aspetto interessante della persistenza nel tempo della diversità di ruoli
maschio/femmina è quello che riguarda la relazione tra denominazione linguistica di
ruolo e partecipazione femminile al mercato del lavoro, del credito, della proprietà di
terra e in politica (Gay et al., 2013). Le regole grammaticali di una lingua sono
evidentemente eredità di una lunga storia e il sistema linguistico di genere appare uno
dei caratteri maggiormente stabili, capace di sopravvivere per millenni. Il linguaggio
non è semplicemente una forma di espressione, ma soprattutto un modo di classificare,
ordinare il flusso di esperienze sensoriali che risultano da come il mondo stesso è
ordinato in un certo momento storico e in un certo luogo geografico. Questo ordine
delle cose è facilmente espresso dai mezzi simbolici che il linguaggio produce e
impiega. In linguistica, il “sistema di genere” è costituito da una serie di regole adottate
per intendersi e basate su nomi di cose che riguardano prevalentemente il sesso
biologico, ma pure particolari costrutti sociali come lo stato sociale e perfino l’età.
L’indagine di Gay et al. (2013), che impiega come parametri (i) il numero di generi
presenti nella lingua, (ii) la presenza di un sistema di genere fondato sulla distinzione di
sesso, (iii) regole di attribuzione del genere, (iv) la distinzione dei pronomi per genere,
ha dimostrato che le donne di paesi che adottano un linguaggio fortemente differenziato
per genere partecipano meno alla vita economica e alle attività sociali, trovandosi di
fronte alle consuete e forti barriere di accesso alla terra e al credito. In qualche misura,
le differenze grammaticali di genere possono essere fatte risalire a quanto detto a
proposito di agricoltura. Nel senso che le regole linguistiche rivelano e rinforzano le
strutture sociali esistenti come consolidate dalla storia. Inevitabilmente questo chiama in
causa il ruolo della geografia, in quanto le differenze di genere hanno una ben radicata
origine nei luoghi e nelle forme di coltivazione distribuite differentemente nello spazio.
Dove i terreni sono profondi, la coltivazione con aratro si può diffondere, provocando il
fenomeno già descritto di una minore richiesta di lavoro femminile; dove i terreni sono
poco profondi si diffonde la dissodazione a mano e la maggiore richiesta di lavoro
femminile.
A proposito dell’impatto della religione sulle attitudini economiche degli individui, è
ben nota la posizione di Max Weber (1993), al quale fa riferimento una ricerca sul
rapporto tra religione e ruoli di genere (Guiso et al. 2003); l’interesse degli autori, che
impiegano dati tratti dal World Values Survey, è rivolto a capire chi dovrebbe avere
30
priorità tra uomo e donna per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in condizioni di
scarsezza di domanda da parte delle imprese, e agli studi universitari; inoltre gli autori
indagano se uomini e donne devono contribuire in egual misura al reddito familiare. I
risultati della ricerca sono che individui religiosi e coloro che frequentano attivamente
le chiese sono meno solidali verso i diritti delle donne, con un effetto più che doppio per
i Musulmani rispetto ai credenti in altre religioni. Inoltre, Cattolici, Ortodossi, Cristiani
e Musulmani sono molto più propensi a ritenere valida la prevalenza del capofamiglia
nelle decisioni familiari rispetto ai Protestanti e agli atei (Algan e Cahuc, 2006). Nei
paesi di religione Cattolica, prevale una visione conservatrice sia della famiglia ia della
donna (Esping-Andersen, 1990); in Italia, più specificamente, il Cattolicesimo è
associato a una visione negativa dell’introduzione del suffragio femminile negli anni dal
1870 al 1930 (Bertocchi, 2011).
Nel mondo a religione Protestante, la Riforma ha promosso la parità di genere, a partire
dall’affermazione puramente religiosa di Martin Lutero che ragazzi e ragazze potessero
entrambi leggere il Vangelo (Becker e Woessmann, 2008). L’effetto della Riforma è
tutt’oggi evidente in paesi a religione mista; la prevalenza di protestanti va di pari passo
con la parità di accesso all’educazione e quindi con la maggiore parità di genere. Anche
in Africa, nei paesi colonizzati, la cultura protestante ha diffuso una maggiore parità di
genere a partire dall’accesso all’educazione. Le missioni cattoliche, rispetto a quelle
protestanti, hanno prodotto un impatto di lunga durata minore per quanto riguarda la
riduzione delle differenze di genere (Nunn, 2014)
Anche forti shock sociali avvenuti nel corso della storia possono avere alterato la
posizione relativa delle donne, per esempio per il sorgere di un’attività economica
prettamente femminile che le abbia avvantaggiate in termini di reddito o per il
cambiamento del rapporto numerico uomini/donne per una qualche ragione improvvisa.
È credibile che gli shock abbiano avuto anche il potere di far cambiare la percezione del
ruolo sociale femminile, colpendo anche tradizionali e ben radicate credenze. Per
esempio, la tratta transatlantica di schiavi dall’Africa verso le Americhe ha alterato il
rapporto numerico tra sessi; nelle zone di prelievo di schiavi il rapporto è stato stimato
un 40-50 uomini per 100 donne (Teso, 2016; Thorton, 1980). Le donne rimaste presero
il posto degli uomini nei lavori tradizionalmente maschili (Manning, 1990). Questa
situazione ha lasciato strascichi anche dopo l’abolizione della schiavitù e l’introduzione
31
del divieto della tratta di schiavi, con effetti sulle norme sociali e le credenze culturali.
Una ricerca specifica (Teso, 2016) ha evidenziato come le donne di zone storicamente
afflitte dal prelievo di schiavi sono oggi significativamente presenti all’interno della
forza lavoro e impiegate in occupazioni di maggiore rango, fanno meno figli.
32
2.2. Letteratura di riferimento: una breve rassegna
La letteratura sul gender gap è molto vasta e diffusa in molte discipline che si
occupano del tema. Qui di seguito si propone una breve rassegna della letteratura con
maggiore attenzione a quella che tratta del divario di genere nelle aziende STEM.
Una recente ed ampia rassegna sulla differenza di genere, e i suoi effetti sociali, si
trova in Carli (2001) che mostra, avvalendosi di diverse ricerche, come gli stereotipi
di genere siano legati ai ruoli storicamente svolti dalle donne e al loro status sociale.
Questi cambiano una volta che le donne assumono ruoli di maggiore autorità e
visibilità e, contemporaneamente, diminuiscono i pregiudizi contrari alle donne,
ovvero lo stereotipo che vede una maggiore competenza maschile in ogni campo.
Ricoprire ruoli di responsabilità in organizzazioni complesse come, per esempio,
aziende di produzione, permette alle donne di combinare comportamenti competenti
con un modo, forse meno diretto di quello solitamente usato dagli uomini, ma
altrettanto efficace nel trattare colleghi e dipendenti. Uno dei benefici che traggono le
imprese dalla presenza di leader femminili consiste proprio nel fatto che le donne
riescono a dimostrare di essere capaci oltre che semplicemente esserlo.
È stato messo in evidenza come gli uomini abbiano generalmente maggiore influenza
delle donne (Carli, 1999), influenza dipendente da fattori quali composizione di
genere dei gruppi sociali, stile di comunicazione e di interazione (Decker e Rotondo,
2001), nonché dal pregiudizio di genere presente nel gruppo stesso (Elsesser e Lever,
2011). Le donne, per esercitare la loro influenza, devono superare resistenze opposte
all’autorità in misura molto maggiore rispetto agli uomini; dalla letteratura emerge
l’evidenza che l’ostacolo maggiore posto alle donne e alla loro possibilità di influenza
sociale siano la differenza di potere che ancora divide gli uomini dalle donne
(Ridgeway, 2001) e la persistenza dei più tradizionali stereotipi di genere (Lueptow et
al, 1995).
In tale senso, Lynda Gratton, professoressa di Management Practice alla London
Business School, sottolinea come la presunta maggiore predisposizione delle donne a
provare emozioni, o l’essere empatiche e attente alla cura degli altri rispetto agli uomini
e, per conseguenza, meno ambiziose rispetto alla propria carriera, sia soprattutto
enfatizzata dalla stampa popolare (Gratton et al., 2007). Infatti, altre sue ricerche in
33
merito mettono in risalto come questo sia un costrutto sociale non supportato da
evidenze scientifiche fondate e che queste, invece, trovino spiegazione in motivazioni
molto complesse (Zaleska et al., 2002). In accordo con questo tipo di ricerche è
credibile dire che l’origine di un ruolo sociale della donna dedita alla cura familiare e
della prole come scelta di genere è molto antica; affonda le radici ben dentro la
narrazione mitologica classica. Il mito serviva per la definizione di norme sociali, il cui
rispetto aveva natura mistica e, proprio per questo, era dovuto. Fino dall’inizio, nella
narrazione delle istituzioni sociali occidentali, che senza dubbio prende spunto dalla
mitologia classica, l’uomo è il cacciatore e la donna la raccoglitrice:
“Il dibattito a proposito dell’uomo cacciatore contro la donna raccoglitrice è [...]
in realtà l’origine stessa di due istituzioni sociali occidentali: la famiglia come
nucleo sociale e la divisione del lavoro fondata sul genere. Cercare la loro
origine significa accettare queste istituzioni come naturali e legittime, invece che
considerarle come il prodotto di storie del tutto particolari.” (Schiebinger, 2000,
citata in Kennedy, 2006 p. 239).
La dualità dei ruoli sociali uomo-donna fa, quindi, parte di una narrazione antica che ha
inciso profondamente nella cultura occidentale che oggi, tuttavia, cerca di fondare le
proprie istituzioni sulla scienza e non più tanto sugli archetipi mitologici.
Il ruolo odierno della scienza è pari a quello un tempo assolto dalla narrazione
mitologica: interpretare, studiare e spiegare la realtà del mondo; resta il fatto però che la
scienza stessa può a sua volta essere ritenuta un costrutto culturale (Ibidem).
Secondo Sharrock (2006), forme nuove di sociologia della scienza puntano a
sottolineare il ruolo che le storie e i paradigmi hanno nella costruzione delle verità nei
confronti stessi del discorso scientifico. A proposito scrive:
“Quando ero una giovane e ansiosa capo di Dipartimento a metà degli anni ’90,
una delle due sole donne a capo di un dipartimento nella mia istituzione, c’era
una neuroscienziata molto più consapevole di me di lavorare in un mondo
dominato dagli uomini, tanto da poterci scherzare su. Lei amava raccontare una
storia di come il suo figlio maggiore, all’epoca un bambino di 8 o 9 anni, reagì
34
quando gli chiesero se volesse diventare anche lui uno scienziato quando fosse
cresciuto. ‘Oh, no’, disse in modo offensivo, ‘la scienza è per le ragazze!’
(Sharrock, 2006 p.253 mia traduzione).
La storia è tanto istruttiva quanto efficace. Il disprezzo del bambino non nasceva dal
fatto che voleva crescere come uomo forte, ma perché associava l’idea di madre a un
tipo di carattere morbido, soave, debole, di una donna dedita ad attività femminili, ‘poco
adatte a uomini veri’ (ivi, mia traduzione). Non è difficile dedurre che l’ideale di donna
e di attività femminile sia un costrutto culturale e che, per conseguenza, si possa ritenere
che i valori culturali abbiano importanti implicazioni con la disuguaglianza basata sul
genere (Yeganeh e May, 2011).
Uomini e donne crescono all’interno di un ambiente culturale e sociale e si adattano agli
stereotipi di genere contestuali. Questi stereotipi si possono declinare sotto forma di
valori, aspirazioni, aspettative, incoraggiamento, pianificazione strategica rispetto al
concetto di famiglia, orientamento e accessibilità (Symeonaki e Filopoulou, 2017).
Nel contesto di questo lavoro, per ‘cultura’ si può intendere l’insieme di modelli,
impliciti o espliciti, del comportamento acquisito o trasmesso da simboli, che
costituiscono i raggiungimenti distintivi dell’uomo (Yeganeh e May, 2011).
Di solito, per esempio, gli uomini sono portati a costruire il proprio percorso di
formazione preferendo le materie scientifiche (scienza, tecnologia, ingegneria o
matematica) e le donne a scegliere tra materie umanistiche, a carattere artistico o
indirizzate alla cura del prossimo. Ricerche molto recenti (Symeonaki e Filopoulou,
2017) evidenziano come la divisione di genere rispetto a questo tipo di scelte persiste
ancora oggi, senza cambiamenti di rotta sostanziali.
“È vero che negli ultimi tre decenni i modelli sviluppati da uomini e donne sono
stati significativamente modificati. Le donne stanno mostrando un aumento nel
raggiungimento dei risultati accademici, delle attività di istruzione superiore e
della partecipazione al mercato del lavoro rispetto al passato. Nonostante i
cambiamenti nei modelli di sviluppo, però, i divari di genere riescono a
sopravvivere”. (Ibidem, p.341)
35
Altri fattori appaiono importanti oltre ai determinanti culturali e sono lo sviluppo socio-
economico, l’eredità storico-politica e fattori istituzionali; a loro volta indagati per
comprendere la disuguaglianza di genere (Yeganeh e May, 2011).
Una relazione tra il gender gap e cultura non è da considerarsi in senso lineare, in
quanto il termine ‘cultura’ si può definire in modi molto diversi e molto complessi in
ragione di discipline e punti di vista molto differenti (Inglis, 2005; Hall, S. 1993).
Nonostante tale evidente complessità, è largamente riconosciuto che le differenze tra i
sessi possano essere il risultato di una segmentazione gerarchica e occupazionale delle
donne all’interno delle organizzazioni visto che, come dato di fatto, solitamente
ricoprono posizioni mediamente meno remunerate (Huffman, 2004; Jaffee, 1989).
L’attività lavorativa svolta dagli uomini e dalle donne è stretta conseguenza delle scelte
di formazione di secondo livello (Symeonaki e Filopoulou, 2017), che a loro volta si
rispecchiano nello stereotipo di genere. Fondamentalmente si può dire che esistono due
diverse teorie in merito; la prima enfatizza le preferenze di entrata e uscita dal mercato
del lavoro; la seconda teoria pone l’attenzione sulla discriminazione (Diaz e Sancez,
2011).
“[...] secondo la prima teoria, le differenze sono imputabili al capitale umano che
causa differenze di produttività e poiché, in un equilibrio competitivo, la
produttività marginale equivale ai salari, le donne ottengono salari più bassi. È
stato sostenuto che l'esistenza di discriminazioni nel mercato del lavoro potrebbe
influenzare le decisioni delle donne in materia di istruzione, formazione e posti
di lavoro preferiti. Si ha una discriminazione pre-ingresso nel mercato. Secondo
questo punto di vista, le donne sono più coinvolte nei lavori domestici e nella
cura dei bambini e per questa motivazione investono meno in educazione e
training, scelgono di lavorare part time e più frequentemente escono dal mercato
del lavoro. […] Nella seconda teoria, invece, le discriminazioni possono essere
dovute alle imperfezioni del mercato e alla difficoltà di misurare la produttività
dei lavoratori che portano il datore di lavoro a preferire un particolare gruppo di
lavoratori a discapito di altri.” (Ibidem, p. 410-411)
36
Esistono poi fattori intrinseci all’ambiente lavorativo soprattutto relativamente a
lavori di tipo STEM. Questi sono in primis, come fino ad ora detto, la cultura
maschio-centrica. Nel mondo delle tecnologie, infatti, l’ambiente risulta essere molto
chiuso e predatorio, così che i dati evidenziano che nel 2008 circa il 63% delle donne
ha subito qualche tipo di molestia (Hewlett et al., 2008). È un ambiente non inclusivo
in quanto le donne sono in netta minoranza, se non sole, in team completamente
maschili. Questo rende difficile per una donna trovare supporto con effetti di blocco
sulle carriere femminili. L’ambiente scientifico, ingegneristico e tecnologico è
frequentato da attori maggiormente propensi al rischio ed è, in genere, molto
stressante (Ibidem).
Appare necessario porre attenzione alla formazione scolastica, specialmente a quella
iniziale, in cui si coltivano le capacità cognitive e di apprendimento dei giovani. In
Italia, nonostante la rivoluzione gender, che in estrema sintesi definisce la non più
netta distinzione tra uomo e donna, di cui si parla insistentemente da qualche
decennio, nonostante la massiccia prevalenza di donne nei più alti livelli
dell’educazione, il mercato del lavoro è ancora dominato da una forte presenza
maschile. Le differenze di genere non sono ovviamente una peculiarità italiana, ma
nel nostro paese hanno dei caratteri del tutto esclusivi. Il gender gap italiano nel
mercato della forza lavoro è doppio della media europea e di quella degli Stati Uniti e
l’Italia si colloca, nel 2020, al 76° posto su 153 paesi, nella classifica stilata dal World
Economic Forum (World Economic Forum, 2020). Tra i paesi occidentali, l’Italia ha
performance molto scarse, solo Grecia, Malta e Cipro hanno un livello di parità di
genere inferiore all’Italia (Profeta, 2019).
Pur se negli ultimi tre-quattro decenni, il gender gap educativo appare in netta
diminuzione nei paesi industrialmente sviluppati, le donne soffrono ancora di un
evidente divario nei confronti degli uomini nel conseguimento di titoli di studio, di
vario livello, in materie STEM. Un fenomeno evidente in gran parte dei Paesi OECD
(Sarrico et al. 2017) è che il numero di ragazze che ottengono un diploma di scuola
superiore è maggiore di quello dei ragazzi, mentre le loro scelte per gli studi
successivi sono largamente rivolte a studi nei campi dell’educazione e della
letteratura e solo tra il 20 e il 30% sceglie di conseguire laurea a carattere scientifico
(Granato, 2018). L’autrice citata ha analizzato le determinanti del gender gap nel
37
conseguimento di titoli di studio STEM relativamente al periodo 2010- 2015,
ipotizzando una relazione con famiglia di origine, influenze culturali e della scuola,
vicinanza geografica dell’offerta di lauree STEM. Anche in accordo con altre indagini
precedenti condotte in ambito europeo (Quaiser-Pohl, 2012), tre sono i gruppi di
fattori che contribuiscono a spiegare il fenomeno:
“1. fattori connessi con il capitale umano, cioè i livelli di preparazione
acquisiti con gli studi precedenti; 2. fattori personali, ovvero attitudini e
aspirazioni individuali rispetto alla carriera futura; 3. influenza dei
genitori e della società, che possono influire sia sulla la scelta formativa
sia sulle preferenze individuali di carriera.” (Granato, 2018, p. 11, mia
traduzione).
I risultati dell’indagine citata sono che i fattori all’accumulazione di capitale umano,
in sostanza il tipo di studi superiori fatti, pesano per almeno un cinquanta percento nel
determinare il gender gap negli studi STEM. La causa fondamentale di questo è da
ricercare nelle scelte rispetto ai primi gradini dello studio, quando i ragazzi e le
ragazze scelgono la futura prospettiva di accedere a studi superiori maggiormente
orientati alla “matematica” o alla “letteratura” (Ibidem). Le giovani ragazze sono
meno orientate verso gli studi scientifici e tecnici, presso un Liceo Scientifico o un
Istituto Tecnico Industriale. Scontata la scelta degli studi iniziali, altro fattore
importante è la condizione familiare e sociale di provenienza, che spesso induce nelle
ragazze una minore consapevolezza sulle proprie capacità, minore competitività,
congiuntamente a maggiore senso altruistico e disponibilità alle relazioni sociali,
evidentemente caratteri positivi ma negativamente correlati con la scelta di
intraprendere studi scientifici (Ibidem).
Di fronte all’evidenza che gli uomini svolgono meglio i test relativi alla percezione e
all’organizzazione spaziale, mentre le donne risultano più brave nella comprensione
verbale, sulla base di dati PISA (OECD, 2003), sul grado di istruzione degli studenti
adolescenti, Guiso et al. (2008) hanno testato l’esistenza di determinanti di natura
biologica.
38
“Spiegazioni di natura biologica […] sulle differenze di performance sono
comunque piccole e il loro legame con i test matematici molto bassi. Al
contrario, condizioni sociali, ambienti con pregiudizi di genere possono
avere un grande effetto sui risultati dei test.” (Ibidem, p. 1164, mia
traduzione).
Qualche anno fa, la situazione italiana è stata studiata da Boeri et al. (2015), con
particolare attenzione ad aspetti discriminatori di natura economica e sociale, dalle
differenze di salario alle discriminazioni religiose o basate sui comportamenti sessuali
e l’aspetto individuale. All’interno del volume citato, appare significativo lo studio di
Anelli e Peri (2015) sul ruolo che gli studi universitari giocano nei confronti del
gender gap. L’indagine ha riguardato i giovani che si sono laureati tra il 1985 il 2005
a Milano (per un significativo totale di 30 mila individui) e che al tempo della
pubblicazione avevano età tra i 26 e i 46 anni.
Gli autori rilevano che, in Italia, gli studi universitari sono fortemente differenziati
fino dai primi anni; la scelta è quindi è potenzialmente molto importante nel
determinare il lavoro futuro anche rispetto a paesi come Regno Unito e Stati Uniti.
Gli studi infatti corrispondono molto strettamente alla carriera che si apre, sono scelti
subito all’uscita dal liceo e il costo del cambio di scelta è elevato. Gli studi medi
superiori forniscono una formazione generale, dopo la quale lo studente sceglie il
corso di studi universitari che indirizza anche a una determinata professione/attività e,
per conseguenza, una ben precisa prospettiva di reddito.
I risultatati dell’indagine sono riassunti in tre punti. Il primo è che c’è una differenza
di genere molto significativa a favore delle donne per ogni indicatore di risultati
accademici, a partire dalle scuole superiori fino a quelli universitari; le donne
mostrano migliori voti finali, sia universitari che negli studi superiori, minor tempo
impiegato per compiere i corsi di studio, e media di voti più alta. I migliori risultati
delle donne sono sia negli studi umanistici sia in quelli scientifici; le donne superano
gli uomini anche nei Licei Scientifici e in tutti i corsi di studio universitari, inclusi
quelli a forte caratterizzazione matematica e scientifica. Il secondo fatto rilevante è
che la scelta universitaria è molto diversa tra uomini e donne. Queste ultime, spesso
in contrasto con gli studi e risultati conseguiti durante gli studi superiori, tendono a
39
evitare studi universitari molto selettivi che aprono le porte di professioni meglio
pagate come Ingegneria ed Economia. Le donne preferiscono studi meno selettivi, e
che aprono le porte di occupazioni meno remunerative, come gli studi umanistici. Il
terzo fatto interessante è che questa marcata differenza di scelta di studi universitari
penalizza molto in termini di reddito nonostante la migliore formazione universitaria
raggiunta dalle donne rispetto agli uomini. Il gender gap di salario per le diverse
occupazioni trova una sua precisa spiegazione in questo fatto (Ibidem).
Altri fattori collaterali ai tre principali che contribuiscono al gender gap possono
essere la discontinuità di carriera, la discriminazione sul posto di lavoro e la
dotazione di abilità non accademiche (Ibidem).
Grande importanza è attribuita alla cosiddetta “doppia presenza” delle donne nel
mondo del lavoro e in famiglia:
“La categoria di «doppia presenza» rimandava alla capacità femminile di
attraversare registri temporali e culturali profondamente diversi: il tempo
interiore della soggettività, i tempi della cura e dell’affettività, il tempo
del mercato; una capacità segnata da profonde contraddizioni, fortemente
conflittuale, ma densa di potenzialità. La «duplicità» a cui questa
categoria allude, nel riassumere simbolicamente l’ambivalenza e la
complessità della collocazione femminile, presupponeva e rinviava a una
divisione della società in due sfere oppositive, quella pubblica e quella
privata. E metteva in discussione questa opposizione, non negandola, ma
assumendola come frutto di una costruzione fondativa della modernità e
delle rappresentazioni che le erano proprie.” (Barazzetti, 2006, p. 85).
Di fatto, è come se sulle spalle delle donne venga caricato un peso doppio (double
burden), uno portato mentre lavorano, un altro in famiglia (Bratberg et al., 2002), con
il risultato che molti lavori femminili non pagati servono alla società per fornire
servizi di cura e di assistenza ai figli e ai familiari in genere (Alesina e Ichino, 2009).
40
2.3. Gender Gap e innovazione tecnologica
Come visto nel paragrafo precedente, il divario è imputabile a tre motivi principali: la
differenza nella scelta del percorso accademico; la differenza dei risultati ottenuti da
uomini e donne; la differenza in termini di retribuzione dovuta ai primi due punti. Per
ovviare a quanto sopra, è importante che vengano create politiche inclusive e non
discriminatorie che portino uomini e donne a scegliere i percorsi più adatti alle loro
capacità a prescindere dal loro sesso.
Per inclusione, infatti, si intende l’atto di inserire una parte in un tutto preesistente,
intendendolo come contrapposto al concetto contrario di esclusione (Dizionario
Treccani, s. d.); il concetto di inclusione sociale è definito, invece, in modo più
complesso, come:
“[…] un processo multidimensionale, volto a ridurre i confini economici, sociali
e culturali tra coloro che sono inclusi ed esclusi dal contesto sociale, rendendo
progressivamente tali confini sempre più permeabili” (Valerio et al., 2013 p.10).
L’inclusione sociale fonda le proprie basi su cinque diversi tipi di libertà identificabili
come: libertà politica, libertà economica, opportunità sociali, trasparenza e sicurezza
(Sen, 1999).
La partecipazione degli individui ai processi sociali è fondamentale per attivare il
processo di inclusione che, a sua volta, rende possibile l’accesso paritario alle
opportunità per tutti gli individui partecipanti, con la conseguente modifica dei livelli di
benessere interni alla società (Valerio et al., 2013). Al contrario, se manca questo
processo il rischio di esclusione sociale cresce:
“Attualmente ci troviamo di fronte a uno scenario sociale dove il rischio di
esclusione (in particolare per alcune tipologie di individui e gruppi) è
estremamente forte e reale.” (Ibidem, p. 8)
L’esclusione sociale comporta inevitabilmente l’emarginazione di molti individui dal
mondo del lavoro (Ibidem). Gli individui esclusi, di cui non è in discussione il valore
41
personale, sono soggetti a uno pregiudizio di genere stereotipato che, di fatto, li rende
molto vulnerabili:
“Una ricerca dell’anno scorso dell’Università dell’Indiana ha rafforzato il
concetto che gli stereotipi di genere sulle abilità matematiche femminili
impattano negativamente sulle performance di queste ultime.” (Rattan, 2016, p.
16, mia traduzione)
Secondo Peterson (2019), professore di comportamento organizzativo e direttore
accademico del Leadership Institute presso la London Business School, la
partecipazione delle donne nel mercato del lavoro è necessaria per far sì che l’intera
economia possa crescere:
“Se le donne vincono, gli uomini stessi vincono.” (p. 32, mia traduzione).
Per quanto riguarda i risvolti aziendali, appare quindi fondamentale che le imprese
possano creare ambienti di lavoro rispettosi e sicuri, facilitando anche i dipendenti che
intendono denunciare le discriminazioni subite. Per discutere questo punto, appare utile
fare riferimento anche ricerche condotte da società di consulenza che operano a livello
globale, che possono aiutare a comprendere aspetti di managerial practice rispetto al
problema del divario di genere. Secondo la ricerca Women in the workplace (McKinsey
& Company with LeanIN, 2019), solo il 32% delle donne nel 2019 ha trovato facile
fronteggiare atti discriminatori all’interno della propria azienda.
Figura 3 – A fair workplace makes all employees happier. Fonte: International Women’s
day website, 2019)
42
In accordo con Peterson (2019), la non discriminazione e l’inclusione femminile nel
contesto economico-produttivo, con redditi che tendono alla parità, migliore
diversificazione organizzativa e parità nei livelli occupazionali, può portare ad un
notevole incremento per ogni paese dell’OCSE del prodotto interno lordo (Peterson,
2019). I risultati di questa ricerca citata sono stati confermati durante il convegno,
organizzato recentemente da Banca d'Italia, Rivista Economia Italiana ed Editrice
Minerva Bancaria, su Gender Gaps in the Italian economy and the role of public policy,
in occasione della presentazione del numero 3 della rivista Economia Italiana (Radio
Radicale, 2019).
Il Governatore Ignazio Visco, nel presentare il convegno, ha sottolineato come la parità
di genere e la parità delle opportunità siano fattori essenziali elementi non solo dal
punto di vista dell’equità sociale, ma anche per quanto riguarda la crescita economica
(Visco, in Ibidem, 2019).
Come visto nel primo capitolo, l’innovazione tecnologica è in stretta connessione con la
creatività umana; alcune recenti indagini (Héroux e Fortin, 2016) hanno messo in risalto
come all’interno delle aziende, conoscenza ed esperienza accumulata in soggetti che
hanno responsabilità manageriali hanno un’evidente influenza sull’innovazione
tecnologica. In ogni caso, ogni tipo di diversità, di genere, culturale, anagrafica,
demografica, ha effetti sull’innovazione, anche se una sua precisa determinazione
appare complessa. Emerge, tuttavia, che le competenze tecnologiche e l’accumulazione
di un background aziendale diversificato siano in grado di produrre importanti
innovazioni sia di prodotto sia di processo (Ibidem). Klaus Schwab (2018), fondatore e
presidente esecutivo del World Economic Forum, nella prefazione del report del 2018
sul Gender Gap, dice:
“Per trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie, dobbiamo porre
l'accento su ciò che ci rende umani: la capacità di imparare nuove abilità, nonché
la nostra creatività, empatia e ingegno. Sviluppando i nostri tratti e talenti unici,
l'umanità può far fronte a cambiamenti tecnologici sempre più rapidi e garantire
un progresso su vasta scala per tutti. Il contributo paritario delle donne e degli
uomini in questo processo di profonda trasformazione economica e sociale è
fondamentale. Più che mai, le società non possono permettersi di perdere le
43
competenze, le idee e le prospettive di metà dell'umanità per realizzare la
promessa di un futuro più prospero e centrato sull'uomo che l'innovazione e la
tecnologia possono portare.” (p. V - mia traduzione).
La rivoluzione tecnologica in genere, ma molto più intensamente nel campo
dell’Information Technology (IT), sta provocando per l’umanità intera profondi
cambiamenti nei nuovi modi di vivere, imparare, lavorare, spendere, comunicare e
passare il proprio tempo libero (Primo, 2003; Galyani Moghaddam, 2010).
“Con tecnologia dell’informazione si intende comprendere quel gruppo di
tecnologie che non solo immagazzina e trasmette le informazioni, ma che al
contempo le elabora.” (Galyani Moghaddam, 2010, mia traduzione).
Nel tempo è stata aggiunta una C alla sigla in quanto la rivoluzione tecnologica ha
compreso anche una modifica del nostro modo di comunicare e si è venuto così a creare
il nuovo concetto di Information and Communication Technology (ICT) (Ibidem),
ovvero la tecnologia dell’informazione e della comunicazione.
“Il termine ICT fa riferimento alle tecnologie che comprendono l’uso dei
computer, le comunicazioni che cambiano rapidamente (inclusi radio, televisione,
telefoni mobili e Internet), attrezzature di connessione alla rete e di elaborazione
di dati. Le ICT ci forniscono della capacità di imbrigliare, accedere e applicare
informazione e disseminare conoscenza in ogni tipo di attività umana, dando
così origine a società ed economie basate sull’informazione e la conoscenza, che
hanno il potenziale di creare nuovi tipi di attività economiche e opportunità di
lavoro, quindi migliorando la qualità della vita quotidiana.” (Primo, 2003, p. 9,
mia traduzione).
Questa rivoluzione ha molto a che fare con la disparità di genere in quanto il suo esito
positivo darebbe senza dubbio una maggiore parità tra gli individui. Seppur i benefici
delle nuove tecnologie appaiono disponibili per tutti, di fatto non lo sono (Galyani
Moghaddam, 2010). Una delle motivazioni, come visto all’interno del paragrafo 2.2, è
44
che durante la fanciullezza e l’adolescenza, maschi e femmine sono molto spesso
sottoposti a stereotipi culturali da parte sia dei genitori sia dei compagni di classe, che
considerano lo studio delle materie scientifiche una prerogativa prettamente maschile
(Hofstede, 2009; Dasgupta, Stout, 2014).
Anche con il crescere dell’età, scegliere di intraprendere studi scientifici significa, per
una donna, ritrovarsi inserita in un contesto in cui i maschi “sovrabbondano” e, per
conseguenza, sono rari gli esempi femminili da poter seguire. Questa stessa situazione
emerge anche dopo che le donne siano effettivamente entrate nel mondo in cui sono
richieste competenze scientifiche, invogliandole troppo spesso ad abbandonare il
percorso intrapreso (Anelli e Peri, 2015; Dasgupta, Stout, 2014). È necessario puntare
all’inclusione in generale, e femminile in questo caso, all’interno sia dei percorsi
accademici STEM sia all’interno delle aziende ICT.
In generale, è possibile farlo riducendo al massimo le barriere che bloccano la donna ad
avvicinarsi alle materie STEM che possono essere riassunte come da tabella 2.3.1 e
tabella 2.3.2 (Orser et al., 2019).
Tabella 2.3.1 – Barriere all’adozione di un percorso in ambito STEM
Barriere
Gap conoscitivi • Minore esperienza delle tecnologie • Minore esposizione alle tecnologie (fin da
giovani)
Livello di comfort • Sentire le tecnologie lontane • Minore occhio alle novità
Convinzioni errate • Convinzione di dover essere massime esperte sul
tema per poter iniziare
Tempi • Minore tempo per imparare e rimanere
aggiornate (causa maggiori responsabilità
familiari)
Risorse finanziarie • Mancanza di fondi da investire nelle tecnologie • Ritenere troppo alti i costi
Compatibilità • Approccio al lavoro differente rispetto
all’approccio tecnologico
Corsi e programmi • Difficoltà di accesso a corsi e programmi • Programmi spesso a dimensione maschile
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• Mancanza di informazione rispetto all’esistenza
di corsi e programmi • Competenze tecnologiche non prioritarie
Supporto della rete
• Difficoltà ad entrare nel giro • Difficoltà a chiedere aiuto ai colleghi • Difficoltà a pensare alle tecnologie come un
aiuto per aumentare le performance • Difficoltà a capire quali tecnologie possono essere
utili per la loro rete
Tabella 2.3.2 – Barriere sistematiche all’adozione di un percorso in ambito STEM
Barriere sistematiche
Mancanza di modelli
femminili • Mancanza di leader femminili in ambito STEM
Mancanza di enfasi sul
mondo IT • Basso livello di contenuto tecnologico all’interno
delle conversazioni
Cultura • Cultura maschile delle tecnologie
Età
• Donne imprenditrici più anziane tendono ad essere
avverse alle tecnologie • Imprenditrici più anziane tendono a delegare a un
collega • Donne imprenditrici più giovani hanno meno
barriere • Gap generazionale
Livello di confidenza • Basso livello di confidenza in ambito tecnologico
Abilità, competenze ed
esperienza • Bassa capacità di analisi dei dati • Bassa esperienza e scarso background
Propensione al rischio • Bassa propensione al rischio Settore • Predisposizione a settori di servizio
A chiusura di questo capitolo, dedicato a una rassegna della letteratura di riferimento
teorica appare, tuttavia, utile riportare qualche dato sulla situazione della propensione
recente delle ragazze italiane verso lo studio di materie STEM. Recentemente, infatti, si
sta assistendo a un cambio di rotta che conferma la diversa percezione tra generazioni
46
delle barriere nelle tabelle 2.3.1 e 2.3.2. In Italia, nell’anno accademico 2017-2018 le
iscrizioni femminili a questo tipo di corsi ha raggiunto il picco massimo degli ultimi
dieci anni (Bianchi et al., 2019). Le donne che frequentano un corso scientifico sono il
17,71% del totale delle donne iscritte alle università mentre, per contro, rappresentano il
55% del totale delle iscrizioni (Ibidem). Relativamente ai corsi STEM, l’Italia si colloca
al terzo posto tra i paesi europei, dopo regno Unito e Polonia, con circa il 37% di donne
iscritte a corsi scientifici. Il Meridione riserva una piccola sorpresa, in quanto: “il 19,2%
delle studentesse delle regioni del Sud Italia è iscritto a facoltà scientifiche, contro il
17,7% della media nazionale” (Ibidem).
Tuttavia, sempre a conferma definitiva di quanto segnalata nella rassegna sulla
letteratura:
“Dopo cinque anni dalla laurea, il tasso di occupazione degli uomini laureati nei
corsi STEM (92%) è più elevato di quello delle donne (85%), a fronte di un
tasso di occupazione generale dei laureati in queste discipline dell’89%.”
(Ibidem, p.10).
47
Capitolo 3 – Contro lo svantaggio femminile, politiche, organizzazioni, movimenti
Una volta definite le barriere che portano le donne a preferire percorsi differenti rispetto
a quelli STEM, è necessario indagare sulla percezione effettiva dello svantaggio. Questo
terzo capitolo si occuperà di indagare lo svantaggio e di comprendere quali
provvedimenti sono già stati messi in atto.
Il capitolo è stato diviso in due parti. Nella prima viene fatto emergere lo svantaggio
percepito dalle ragazze con un focus, nel sotto-capitolo 3.2, sulla percezione all’interno
del contesto italiano. Nella seconda, invece, vengono presentate le politiche di sostegno
alle donne corredate dell’esempio dei paesi del nord Europa; vengono citate poi alcune
iniziative femminili nate spontaneamente in America; infine si presentano le maggiori
associazioni italiane a supporto delle aziende.
3.1. La percezione femminile dello svantaggio
Il focus di questo elaborato è stato concentrato sul gender gap nelle aziende che
impiegano tecnologie cutting-edge, in particolare le IT e le ITC, all’interno delle quali
la competizione tra dipendenti è senza dubbio elevata, indipendentemente dal genere. I
risvolti organizzativi della seguente tesi possono interessare molto i responsabili
dell’impresa e influenzare le loro strategie.
Si è visto come le donne stiano pian piano raggiungendo gli stessi traguardi raggiunti
dagli uomini, anche se, in generale, il divario di genere non è un problema del tutto
risolto, almeno per alcuni degli aspetti che lo caratterizzano, per esempio la presunta
disponibilità femminile ad accettare maggiori carichi di responsabilità e di orario
lavorativo e, più in generale, all’avanzamento di carriera. In tal senso, appare importante
comprendere come le donne percepiscono la loro situazione, il loro status, quando
lavorano a contatto con gli uomini nonché se donne appartenenti a generazioni diverse
percepiscono il problema in modo uguale o differente.
La ricerca effettuata per stilare il report The Athena Factor, condotta sia oltre dieci anni
fa Hewlett et al., 2008, sia più di recente (Hewlett et al., 2014) per l’Harvard Business
Review, contiene importanti informazioni sulla condizione delle donne nei posti di
lavoro e sulla loro percezione rispetto alla propria condizione di svantaggio;
48
informazioni che sono successivamente state impiegate anche in ambito di studi e
ricerche accademiche (Cheryan, et al. 2015; Hunt, 2016). Dal suddetto report si
traggono le figure 4 e 5, utili per descrivere le percezioni femminili sui vantaggi di
genere e sulle mutate ambizioni tra generazioni di donne. I grafici mostrano differenze e
similitudini tra donne senior e junior; il 74% di donne senior contro il 59% di junior
crede che “semplicemente essere uomo” aiuti ad ottenere posizioni di comando
all’interno delle aziende; mentre il 59% di donne senior contro il 46% di junior è
convinta che sia più difficile per una donna ottenere le risorse di cui necessitano; si può
ritenere, quindi, che una grande parte di donne, senior e junior, ha la percezione – e vive
in azienda con questa idea – di trovarsi in una condizione di subalternità di genere.
Le donne senior percepiscono con frustrazione il fatto di non riuscire a mettere in
guardia le giovani colleghe rispetto alle difficoltà e alle sfide a cui vanno incontro;
d’altro canto, le giovani non percepiscono pienamente le difficoltà che le attendono e
tendono a vedere un futuro “tinto di rosa” (Ibidem, p. 58). Sempre dal report The Athena
Factor, si ricava un’altra informazione preziosa, rispetto alla diversa disponibilità
generazionale delle donne verso impieghi in aziende nei settori STEM; dalle interviste
condotte da Hewlett et al. si evince che le giovani scienziate, ingegnere e tecnologhe
cercano con molto entusiasmo lavori in questo settore, fidando sulla propria formazione
e le abilità acquisite in materie “difficili”, e ritenendo di avere abbastanza forza per
sostenere sfide particolarmente grandi. Con il passare del tempo, con l’avanzare dell’età,
le donne senior intervistate che lavorano nei settori STEM iniziano a sentirsi “logorate”
dalla cultura macho, da isolamento e da una forte pressione sulle loro prestazioni
lavorative. Il tutto viene aggravato dal ritardo o dal mancato avanzamento di carriera. I
dati del report dicono che, nel complesso dei settori STEM, il 35% delle donne giovani
(junior) si considera “molto ambiziosa”, all’età di 45 anni questo valore cade al 14%
(cfr Fig. 5). Nei diversi settori, il peggiore per le donne appare essere quello delle
imprese tecnologiche dove il valore dell’indicatore di ambizione iniziale e quello finale
sono 38% e 11%, rispettivamente. Questi dati, seppur di oltre dieci anni fa, permettono
di evidenziare il cambiamento di percezione tra generazioni diverse, cambiamento già
evidenziato nel capitolo 2 (par. 2.3.). Inoltre, quanto espresso può portare le aziende a
riflettere su come migliorare lo scambio di informazioni tra generazioni. Un’azienda
che promuove una comunicazione, uno scambio di informazioni relativamente alle
49
esperienze sul posto di lavoro tra generazioni permette di usare come leva, da impiegare
nell’organizzazione aziendale, l’esperienza diretta per evitare che con il passare degli
anni le donne inizino a pensare di lasciare il lavoro (Ibidem).
Figura 4 – Percezione dello svantaggio di genere tra lavoratrici junior e senior: Fonte:
Hewlett et al., 2008, p. 57
Figura 5 - Ambizioni femminili junior e senior nel settore scienza, ingegneria e
tecnologia. Fonte: Hewlett et al., 2008, p. 57
Quanto qui sopra acquisito sulla percezione dello svantaggio di genere nel mercato del
lavoro ha inevitabilmente riflessi all’interno delle organizzazioni aziendali. Ricordando
le analisi effettuate all’interno del contesto aziendale (Gratton et al., 2007), è inevitabile
ritenere che uomo e donna abbiano le stesse attitudini e le medesime aspirazioni rispetto
50
alle mansioni e al luogo di lavoro; pertanto, non appare del tutto semplice spiegare se le
differenze, che tuttora permangono negli ambienti lavorativi, siano da imputare al fatto
che le donne sono diverse dagli uomini, ovvero approcciano diversamente la vita, o
perché si trovano sempre in inferiorità numerica all’interno di aziende dove, come
abbiamo visto, gli uomini sono da sempre stati in maggioranza. Resta l’evidenza che
spesso le donne riscontrano maggiori difficoltà rispetto agli uomini nel ricevere una
promozione così come essere scelte per ricoprire determinate posizioni (Sen, 2001). La
ricerca di Gratton et al. (2007) ha rilevato le seguenti evidenze:
• gli uomini tendono a lavorare più ore e avere pressioni familiari diverse;
• le donne assolvono ai lavori domestici quattro volte in più rispetto ai colleghi;
• il mondo del lavoro e quello domestico sono visti in modo diverso da uomini e
donne;
• i leader - sia donne sia uomini - considerano l’ambiente lavorativo più
importante di quello domestico;
• a causa del punto precedente, le leader donne pensano meno a metter su
famiglia;
• il mix di genere ottimale per costituire un team di lavoro composto da uomini e
da donne equivale al 50-50 (p. 4, mia traduzione)
Ai responsabili dell’organizzazione del lavoro è consigliabile, pertanto, di tenere in
debito conto la composizione dei team operativi per ottimizzare il raggiungimento dei
risultati aziendali attesi. Il team, se eterogeneo per conoscenze, genere, ampiezza ed
equilibrio psicologico, ottiene risultati di maggior livello; pertanto è fondamentale
inserire talenti in grado di portare diverse visioni (Ibidem) e, al contempo, coltivare i
talenti aziendali e supportarli con le politiche di personale (Cloney, 2018). La selezione
del personale e la sua promozione ha, peraltro, valore strategico-operativo nelle scelte
d’impresa. L’assunzione di candidati con curriculum di studi premiati da punteggi alti
attenua il rischio di errore; così come la differenziazione di profili assunti. In tal senso,
anche una differenziazione equilibrata di genere è parte integrante delle politiche di
gestione d’impresa. La parità dei sessi non è solo un obiettivo di inclusione sociale, è
anche una importante scelta rivolta alla coltivazione della creatività aziendale e della
51
efficienza produttiva (Ibidem). Se appare evidente che bilanciare l’eterogeneità delle
persone all’interno delle organizzazioni è importante, lo è ancora di più creare le
condizioni che permettano di massimizzare le performance evitando la trappola di
barriere di genere (Cox, 2001). Le donne trovano molto spesso degli ostacoli nella salita
verso i livelli aziendali più elevati, incontrando ostacoli forti e apparentemente non
visibili, il cosiddetto glass ceiling (soffitto di vetro) (Loden, 1996; Caceres-Rodriguez,
2013). Oltre al cosiddetto glass ceiling, le donne nel salire di grado percepiscono anche
qualche scalino rotto, il cosiddetto broken rung. Il tetto di vetro è invisibile, ma vieta
alle donne di raggiungere le posizioni apicali; gli scalini rotti rendono l’ascesa lungo la
scala dell’avanzamento aziendale molto impervia e, talora, perfino scoraggiante; come
dire che anche gli uomini devono impegnarsi per salire, ma le donne molto di più e
molto prima nel corso della carriera, ovvero qualche scalino rotto è posto proprio
all’inizio del percorso aziendale.
Per comprendere a quale livello gerarchico dell’organizzazione aziendale si blocca il
meccanismo di parità, appare fondamentale la domanda se la probabilità di assunzione o
promozione in un ruolo manageriale più alto sia diversa tra donne e uomini.
La rigidità delle barriere alle promozioni e le differenze a cui sono sottoposte le donne,
segnalate una ventina di anni fa (Baxter e Wright, 2000), hanno mostrato nel tempo una
certa “resilienza” (Ridgeway, 2001), limitando molto il numero di donne nelle posizioni
di senior management (Madsen, 2017). Molte sono le sfide che le donne devono
affrontare pur se, oggi, spesso hanno una migliore formazione scolastica rispetto agli
uomini, e partecipano molto di più al mondo delle professioni. Infatti, solo il 28% di
donne raggiunge posizioni di leadership e restano intrappolate in occupazioni
sottopagate e informalmente regolate (Ibidem). Anche quando il livello di educazione è
quella del terzo livello universitario (dottorati, master, corsi di specializzazione) la
rappresentanza numerica delle donne nei diversi livelli aziendali diminuisce, nella
media mondiale, “dal 33% ai livelli junior, al 24% a quelli di mezzi, al 15% nei livelli
senior e, infine, cade al 9% nel ruolo di presidente o amministratore delegato.” (Ibidem,
p. 16, mia traduzione).
52
In figura 6 è efficacemente rappresenta la scala degli uomini e quella delle donne,
quest’ultima con molti gradini rotti, fino da subito.
Figura 6 – The Broken Rung makes it harder to advance: Fonte: International Women’s
day website, 2019
Il differente trattamento di uomini e donne può avere effetti negativi nel lungo periodo,
non solo per le donne individualmente, ma anche nel complesso dell’azienda che rischia
di perdere risorse preziose. Per garantire efficienza alle selezioni, e conseguentemente
all’intera organizzazione aziendale, è necessario porsi domande anche su chi e come sta
facendo le assunzioni, chi sta per essere promosso, infine, quali criteri sono i criteri di
promozione (Brands e Fernandez-Mateo, 2017; Johnston, 2016).
All’interno dell’indagine condotta da Brands e Fernandez-Mateo (che hanno
considerato l’archivio dal 2005 al 2009 di una società di selezione del personale di alto
livello basata in Regno Unito contenente i nominativi di oltre 10.000 candidati) volta a
esaminare la volontà e il senso di appartenenza delle donne e degli uomini rispetto a
determinate tipologie di lavoro è emerso che, in generale, le donne sono scoraggiate da
colloqui di selezione negativi e tendono, diversamente dagli uomini, a non ricandidarsi
per gli stessi livelli per i quali hanno ricevuto esito negativo, perfino in imprese diverse.
L’esito negativo alle selezioni induce molta più incertezza nel comportamento
femminile che non in quello maschile e un più grande senso di ingiustizia subita; di
fatto, le donne si trovano di fronte a pratiche aziendali che ne scoraggiano la salita,
53
specialmente ai ruoli di top management (Brands e Fernandez-Mateo, 2017). Le
imprese attente a procurarsi i migliori candidati, indipendentemente dal genere,
dovrebbero puntare quindi rimuovere il più possibile gli ostacoli di genere, tenendo
conto delle effettive capacità femminili in campo manageriale, fino dalle fasi di
selezione del personale e in tutte le fasi dell’organizzazione aziendale. In termini
generali, risulta necessario per l’azienda stabilire criteri di valutazione chiari e far sì che
non ci siano differenze nei percorsi di formazione e di esperienze lavorative tra donne e
uomini; a ogni livello di organizzazione aziendale deve essere garantita la parità di
opportunità di miglioramento professionale tra individui dei due sessi; queste necessità
sono rilevate, oltre che in ambito di ricerca (Ibidem), anche presso aziende di
consulenza (McKinsey & Company with LeanIN, 2019).
54
3.2. La situazione in Italia
La situazione descritta nel paragrafo precedente (par 3.1.) deriva da ricerche condotte al
di fuori dell’Italia. Nel nostro Paese, la condizione femminile nel mondo del lavoro è
molto più grave in termini generali, per il tasso di occupazione molto basso, e per la
presenza di meno donne nelle posizioni apicali sia in aziende che nelle posizioni della
pubblica amministrazione (Stolzi, 2019), perfino nel settore dell’educazione,
tipicamente presenziato da donne (Bertilotti, 2012).
L’ultimo rapporto Censis (Censis, 2019) descrive una persistente situazione femminile
in Italia niente affatto positiva. Le donne che lavorano sono 9.768.000, cioè il 42,1%
degli occupati totali. Il tasso di attività è pari al 56,2%, certificando così l’ultima
posizione tra i Paesi europei; la Svezia guida la classifica con 81,2% di donne occupate.
Per fasce di età la situazione è ancora peggiore; il tasso di occupazione nella fascia di
età 15-64 anni è del 49,5% per le donne e del 67,6% per gli uomini. Nel confronto
europeo riferito alla fascia d’età 20-64 anni l’Italia, con un tasso di occupazione
femminile pari al 53,1%, precede solo la Grecia. Il dato sulla disoccupazione separa
ancora una volta le donne (11,8%) dagli uomini (9,7%). Per quella giovanile (età 15-
24), basta ricordare l’enorme distanza che separa le italiane (34,8%) dalle europee
(14,5%).
Per quello che riguarda la posizione in carriera, le donne manager in Italia sono solo il
27% dei dirigenti, mentre la media europea vale il 33,9%. Le donne sono spesso
sottopagate e “demansionate” senza che questo susciti particolare riprovazione; visto
che lo stesso Censis riporta
“Non solo le donne sono sottorappresentate nelle posizioni apicali, ma tendono
anche ad essere vittima di overeducation, vale a dire che, anche quando sono
occupate, non è raro il caso che svolgano lavori per cui sarebbe sufficiente un
titolo di studio più basso di quello posseduto. Del resto, dall’indagine condotta
nell’ambito del progetto Respect risulta che il 48,2% degli italiani è convinto
che le donne per raggiungere gli stessi obiettivi degli uomini debbano studiare di
più. E spesso non è neppure sufficiente: basti pensare che su 100 donne laureate
che lavorano 14,1 sono imprenditrici o libere professioniste, e 18,4 sono
55
dirigenti o quadri, mentre per gli uomini la quota è, rispettivamente, del 24,8% e
del 25,2%. Anche tra le laureate la maggior parte è occupata con la posizione di
impiegata (54,7% del totale, mentre gli uomini sono al 36,4%).” (Censis, 2019)
Sempre dal Censis si ricava la certezza che il principale ostacolo alla carriera delle
donne sia la grande difficoltà a conciliare lavoro e famiglia, rilevando che in
maggioranza gli italiani pensano che per una donna sia più importante avere figli che
lavorare. Per questo, tra le donne è molto diffuso il lavoro part-time, quasi sempre scelto
per necessità, (una donna su tre occupate, cioè più di 3 milioni di lavoratrici), per
dedicare attenzione ai figli piccoli, agli anziani di casa, alla famiglia. Tutto questo si
traduce in redditi e, soprattutto, pensioni più basse, a causa di carriere accidentate,
interrotte, a volte riprese.
In media i salari lordi femminili sono del 16% più bassi di quelli degli uomini, mentre
sono poche le donne che hanno retribuzioni maggiori rispetto alla media femminile; tra
gli uomini sono il 26,2% ad avere retribuzioni maggiori della media (Marzano, 2019).
56
3.3. Politiche di sostegno alle donne
L’agenzia UN Women organizzazione delle Nazioni Unite dedicata all’uguaglianza di
genere e all’emancipazione delle donne, è stata istituita per sostenere e affiancare gli
stati membri nelle politiche di riduzione delle disparità, soprattutto le disparità salariali,
ritenuta causa principale della subalternità femminile. UN Women opera a livello
mondiale per l’attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, in vista della pari
partecipazione delle donne a tutti gli aspetti della vita; per questo l’agenzia ha
individuato quattro priorità strategiche, così enunciate:
“- Le donne guidano, partecipano e beneficiano equamente dei sistemi di
governance;
- Le donne hanno sicurezza del reddito, lavoro dignitoso e autonomia
economica;
- Tutte le donne e le ragazze vivono una vita libera da ogni forma di
violenza;
- Le donne e le ragazze contribuiscono e hanno una maggiore influenza
nella costruzione di pace e resilienza sostenibili e beneficiano ugualmente
della prevenzione di catastrofi naturali e conflitti e azioni umanitarie.” (UN
Women, s. d., s. p., mia traduzione).
Per quanto riguarda l’Europa, nel 2010 è stato creato l’Istituto europeo per
l’uguaglianza di genere (EIGE) che “si adopera per rendere l’uguaglianza di genere una
realtà all’interno e all’esterno dell’UE” (Unione Europea, s. d., s. p.). Di recente, la
Commissione Europea (European Commission, 2016) ha dettato le linee strategiche per
il periodo 2016-19 in tema di parità di genere, considerando la gender equality una
attività fondamentale dell’Unione Europea e un suo obiettivo fondamentale, anche in
funzione del sostegno alla crescita economica.
Le aree di intervento indicati dalla precedente strategia 2010-2015 erano:
- uguaglianza di indipendenza economica tra uomini e donne;
- uguaglianza di remunerazione e di valore;
57
- uguaglianza nei processi decisionali;
- dignità, integrità e fine alla violenza di genere:
- promozione della parità al di fuori dei confini UE.
Rispetto agli obiettivi indicati, sono stati fatti progressi, “con l’aumento del tasso di
occupazione femminile (il 64% nel 2014, nel suo punto più alto) e una più larga
partecipazione femminile ai processi decisionali.” (Ibidem, p. 6, mia tradiuzione)
Le aree di intervento sono confermate, anche se la Commissione riconosce che per la
riduzione del divario di genere si necessiti di tempo e di nuove misure politiche, per cui
il documento Strategic engagement for gender equality 2016-2019 (Ibidem) costituisce
il quadro d’insieme entro cui si devono coordinare gli sforzi ad ogni livello di intervento,
europeo, nazionale, regionale. I punti “caldi” della strategia politica sono
sostanzialmente due, la lotta alla violenza di genere e la parità nel mercato del lavoro.
Gli strumenti devono essere basati sulle politiche di educazione e formazione, la lotta
agli stereotipi e l’armonizzazione del lavoro con la vita familiare.
Le aree di intervento e gli obiettivi che la Commissione ha proposto sono sostenute da
appositi finanziamenti, pur in quadro di finanziamento che non è sistematico. Il piano di
finanziamento 2014-2020 destina alle politiche di parità di genere fondi tratti da altre
politiche di settore; trae risorse dal Fondo Europeo per gli Investimenti Strutturali,
(FEIS), più in particolare dal Fondo Sociale Europeo, e dal Fondo Europeo per lo
Sviluppo Rurale, che sono fondi chiave per la promozione dell’accesso paritario
all’occupazione, alla progressione di carriera, alla conciliazione tra vita privata e di
lavoro, parità di remunerazione a parità di lavoro, integrazione delle donne immigrate
nel mercato del lavoro e, infine, investimenti a favore delle infrastrutture dedicate alla
dei bambini.
Il Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza è chiamato in causa per co-finanziare
progetti nazionali di promozione per la parità di indipendenza economica, la lotta agli
stereotipi di genere e alla rigidità dei ruoli, la consapevolezza del problema della
disparità pensionistica. Con lo stesso programma sono fornite risorse per sostenere le
vittime di violenza di genere, miglioramento delle professionalità necessarie in questo
campo e della consapevolezza sulla necessità di politiche di prevenzione anche per le
vittime di cyberbullismo, in netta maggioranza costituite da donne. A questo sono
58
destinate risorse provenienti anche dal Connecting Europe Facility a supporto della
Safer Internet Digital Services Infrastructure, struttura di collegamento tra Stati membri
per la protezione dei minori contro i pericoli di un uso scorretto della rete Internet.
Per i prossimi sette anni, la Commissione, tramite diversi fondi, incluso quello dedicato
all’educazione internazionale Erasmus+, prevede stanziamenti dedicati alla parità di
genere pari 6,17 miliardi di euro.
Tra i Paesi europei, che sono generalmente all’avanguardia in tema di politiche di parità
di genere, appare interessante considerare l’assoluta preminenza di Islanda e Norvegia,
secondo il GGR 2020, rispettivamente, al primo e secondo posto nella classifica
mondiale per parità di genere (World Economic Forum, 2020).
L’Islanda si segnala perché la legge sul congedo parentale, promulgata il 9 maggio 2000,
mette sullo stesso piano i genitori con l’obiettivo di conciliare la vita lavorativa con
quella familiare di entrambi.
“La legge è stata ben accolta dalla società e circa il 90% dei padri approfittano
del loro diritto, utilizzando in media 97 giorni, mentre le madri utilizzano una
media di 180 giorni” (Kamerman e Moss, 2009, p. 3, mia traduzione)
In Norvegia, la legge sulla parità tra sessi è entrata in vigore il 20 aprile del 2007; nella
prima sezione definisce il concetto di eguaglianza:
“Parità deve significare: uguaglianza di status; stesse opportunità e diritti; stessa
accessibilità con l’obiettivo di migliorare la posizione della donna. […] questa
legge deve essere applicata in tutti i settori [..] e all’interno di tutta la nazione”.
(Norwegian Ministry of Foreign Affairs, Freedom, empowerment and
opportunities, 2016)
Nel 2016 la Norvegia ha intrapreso un percorso volto a ridurre il divario all’interno del
paese con un piano d’azione quadriennale (Nowegian Ministry of Foreign Affairs, 2019).
Il ministero degli affari esteri, in relazione all’agenda 2030 delle Nazioni Unite, ha
definito 5 aree tematiche cruciali per il miglioramento della situazione delle donne e
59
rilevanti per avviare politiche di cooperazione allo sviluppo, aree in cui la Norvegia può
dare un contributo originale:
- promozione dell’inclusione e la medesima qualità nell’educazione per ragazze
e ragazzi;
- promozione della partecipazione femminile alla vita politica;
- promozione dei diritti economici e le pari opportunità all’interno del mercato
del lavoro;
- eliminazione della violenza sulle donne.
- promozione dei diritti per le donne rispetto alla salute sessuale e riproduttiva.
In Italia, invece, settantaseiesimo paese in graduatoria (World Economic Forum, 2020),
il quadro normativo è rappresentato dal Codice nazionale delle pari opportunità, che è
stato approvato nel 2006. Questo comprende in un unico testo tutte le leggi in materia di
pari opportunità incluso il tema dell’occupazione e le relative misure per conciliare la
vita professionale e familiare. Rispetto alla rappresentanza sul lavoro e più precisamente
nei consigli di amministrazione, la legge di riferimento è la n. 120 del 2011, nota anche
come “quote rosa” (Parlamento Europeo, 2014). Nel 2012, con la cosiddetta riforma
Fornero, è entrata in vigore la legge n. 92/2012 che ha esteso il congedo parentale anche
ai padri.
“I dati INPS indicano che ogni madre si avvale in media di 18 settimane di
congedo parentale nei primi tre anni di vita del bambino e che l'88% del tempo
dei congedi parentali è fruito dalle donne” (Ibidem p. 27)
Dal 2019, il Governo italiano prevede una Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia
(carica ricoperta dalla Professoressa Elena Bonetti) e un Dipartimento per le Pari
Opportunità che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Dipartimento fa
sostanzialmente proprie le linee guida della politica europea. Tra le iniziative promosse
si segnala quella denominata Cultura scientifica e stereotipi di genere (Dipartimento per
le Pari Opportunità, s. d.), che ha lo scopo della riduzione del gender gap proprio in
relazione ai settori STEM.
60
“In estate si imparano le Stem” è un bando del Dipartimento destinato alle scuole
italiane per l’istituzione di campi estivi di scienze, matematica, informatica e coding,
all’interno di uno scopo più generale di promuovere la cultura scientifica tra le
studentesse e gli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado. A tale
iniziativa, nel 2017, sostenuta da stanziamenti pari a due milioni di euro, hanno
partecipato circa mille scuole di cui 200 hanno ricevuto i finanziamenti.
61
3.4. Alcune iniziative “al femminile”
L’obiettivo delle istituzioni politiche di indurre un profondo cambiamento dei
comportamenti e nelle attitudini dell’intera società è supportato anche dall’iniziativa di
molte associazioni e comunità organizzate che, nel mondo e in Italia, hanno la missione
del raggiungimento della parità di genere.
Si considerano alcuni casi di iniziative “al femminile” nel campo delle tecnologie
cutting-edge, due degli Stati Uniti, Girls in Tech e Girls Who Code, e cinque italiane,
Valore D, 30% Club, Young Women Network, Fuori Quota e Wise growth.
Girls in Tech è nata come associazione nella città di San Francisco nel 2007, da un’idea
di Adriana Gascoigne, che voleva creare una comunità che aiutasse le donne che si
trovano in difficoltà nel mondo del lavoro, come era successo a lei stessa, che ha
sperimentato la difficoltà di farsi ascoltare, farsi dare la responsabilità di progetti, essere
chiamata in causa, per esempio nella revisione prodotti, solo perché l’unica donna
presente all’interno del team (Keeler, 2019). Le esperienze provate dalla Gascoigne
sono definibili come “microaggressioni” (Basford et al., 2014) e sono percepite molto
spesso dalle donne, ma sottovalutate per numero e gravità.
La mission di Girls In Tech vede la possibilità di aiutare le donne per questo particolare
aspetto del disagio provato sul posto di lavoro:
“È necessario abbracciare una mentalità di crescita. Abituarsi ad avere a che fare
con situazioni difficili e trattarle come labirinti piuttosto che come muri.”
(Gascoigne, 2019).
Girls in Tech è oggi anche una vera comunità globale in quanto conta oltre 62.000
aderenti sparsi membri in 33 paesi (GIT, 2020) (cfr Fig. 7).
62
Figura 7 – Girls in Tech nel mondo. Fonte: Girls in tech website, 2020
Questa associazione vuole “dare alle donne gli strumenti per poter essere auto
sufficienti, educare se stesse e ottenere un lavoro che possa permettere loro una vita
senza pressioni” (Keeler, 2019), offrendo corsi di coding, bootcamp, hackathons e
competizioni di startup per persone di ogni età e professione, fornendo alla ragazze
strumenti professionali che le avantaggi nell’uso delle tecnologie; la conoscenza e la
padronanza di questo tipo di strumenti può dare alla donne la possibilità di posizionarsi
nelle imprese STEM con possibilità di indirizzo dei propri percorsi professionali e di
carriera. (Ibidem).
“L’obiettivo è quello di mettere un punto alle disparità di genere all’interno delle
aziende e delle start-up high-tech. […] Infatti, all’interno del settore tecnologico
le donne in ruoli esecutivi sono solo il 2%.” (Keeler, 2019, mia traduzione)
Girls Who Code è stata fondata nel 2012 da Reshma Sujani, molto nota nel mondo tech
degli Stati Uniti. L’intento di Girls Who Code è quello di azzerare il gender gap nelle
tecnologie e cambiare l’immagine su chi è e che cosa fa oggi un programmatore (Sujani,
2016). Il progetto è iniziato come programma estivo intensivo per insegnare alle ragazze
meno abbienti l’uso del computer.
63
Reshma Sujani non ha una formazione tecnologica, ma formazione giuridica. Nel 2010
ha partecipato alle elezioni per il Congresso degli Stati Uniti, perdendo nettamente
(19% a 81%) ma è stata la prima candidata Indian-American al Congresso (Sujani,
2016). L’esperienza le fa dire, a proposito delle ragazze che studiano materie difficili:
“Non è importante se falliscono perché essere perfetti non fa parte della natura
umana, essere perfetti è un costrutto culturale. […] Stiamo crescendo le nostre
ragazze con l’idea che debbano essere perfette e i nostri ragazzi con l’idea che
debbano essere coraggiosi” (Sujani, 2016, mia traduzione)
La paura di sbagliare è propria delle donne e va combattuta e l’associazione rappresenta
un’occasione per le ragazze americane per farsi sentire (Ibidem).
“Non è un segreto che all’interno delle aziende tecnologiche c’è un serio
sbilanciamento di genere che vorrei fosse colmato per il 2027. In America infatti
solo un ingegnere su sette è femmina” (Sujani, 2016, mia traduzione)
Nel 2018 Girls Who Code ha raggiunto 185.000 giovani donne americane.
64
3.5. Le principali associazioni in Italia
In Italia esistono numerose associazioni che affrontano il tema della parità di genere con
l’intento di ridurre il divario uomo-donna in ogni aspetto della vita sociale. Visto il
grande numero complessivo, in questo paragrafo si prendono in considerazione le
associazioni che appaiono di maggiore notorietà all’interno dell’ambiente “tecnologico”,
prendendo come metodo di selezione, assolutamente soggettivo e certamente dettato
dalla convenienza, la loro partecipazione al convegno Donne nella leadership: le
professioni STEM. Scambio di idee tra generazioni del 28 novembre 2019 promosso da
Assolombarda. Le associazioni prese in considerazione sono, quindi:
1. Valore D;
2. 30% club;
3. Young Women Network;
4. Fuori Quota.
5. Wise Growth
Valore D. Nel contesto italiano, Valore D rappresenta la prima associazione che aggrega
diverse imprese interessate al tema dell’equilibrio di genere e dell’inclusione. Dal 2009
a oggi le aziende che fanno parte di questa comunità sono 200 per un totale di oltre due
milioni di dipendenti (Valore D, s.d.).
L’idea di questa associazione è quella di mettere insieme aziende diverse per creare
confronto, condividere informazioni e conoscenza per rendere gli strumenti di
inclusione più efficaci. Valorizzare la diversità, di genere o di cultura, rappresenta un
fattore di innovazione, di competitività e, di conseguenza, di crescita (Ibidem).
Tra le attività svolte da Valore D è importante citare quelle di tipo istituzionale e le
collaborazioni e ricerche sul tema dell’inclusione. Quest’anno, per esempio, insieme al
Centro di Ateneo di studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore, Valore D ha pubblicato la seconda edizione del progetto Talenti senza età, donne
e uomini over50 e il lavoro.
65
30% Club. Il caso di 30% Club è, invece, quello di una campagna globale arrivata anche
in Italia nel 2015. Da un punto di vista organizzativo è un’associazione no profit,
apolitica e indipendente, che si pone l’obiettivo di promuovere una più alta
partecipazione femminile al mondo del lavoro e dell’impresa, almeno il 30%, come
suggerisce il nome stesso, nella leadership delle organizzazioni pubbliche o private
(30% Club, s.d.). La speranza è quella di raggiungere l’obiettivo entro il 2020.
“Speriamo di aumentare la partecipazione delle donne nei CDA a prescindere
dalla legge, di incrementare la loro partecipazione e di garantirla anche una volta
che la legge dovesse sparire” (Ibidem, mia traduzione).
Ritenere che una maggiore partecipazione delle donne nella leadership sia
un’opportunità per le performance dell’organizzazione nonché un’occasione di crescita
e innovazione è importante per 30% Club e i suoi associati e per questo è fondamentale
che le persone in posizioni di responsabilità siano in grado di coglierne l’opportunità.
Young Women Network. Young Women Network è la prima associazione dedicata alla
costruzione e all’ampliamento di una rete di donne che intendono affrontare il mondo
dell’impresa e del lavoro, e alla responsabilizzazione delle giovani donne, anche
attraverso attività di mentoring. L’obiettivo dell’associazione è quello di valorizzare il
ruolo sociale della donna favorendone il percorso di crescita personale e professionale.
L’associazione è nata nel 2012 da un gruppo di volontarie e ha come missione quella di
usare l’dea del “fare rete” per creare un gruppo di donne unite, capaci di fare gioco di
squadra (Young Women Network, s.d.). Con il motto “Achieve more together” (Ibidem),
l’associazione si propone come punto di incontro, di formazione e informazione, tramite
l’organizzazione di diversi eventi di mentoring e attività di networking.
Fuori Quota. Rispetto alle associazioni fino ad ora descritte, Fuori Quota rappresenta un
ente no profit che riunisce tutte le donne che hanno un ruolo apicale all’interno delle
imprese e delle istituzioni (Fuori Quota, s. d.). Per diventare membro del Consiglio è
necessario avere diversi anni di esperienza nel campo della lotta per la parità di genere.
Fuori Quota si occupa di sostenere il talento femminile soprattutto all’interno delle
66
posizioni apicali, promuovendo il dibattito sulla diversità all’interno delle aziende
(Iachino, Mosca, 2018).
“In Italia, nessuno sembra intenzionato a dare voce alla necessità di capire come
dare continuità agli obiettivi della legge Golfo-Mosca sulle quote di genere nei
consigli di amministrazione, in particolare sono necessarie azioni concrete
perché le posizioni apicali siano distribuite in modo più meritocratico tra uomini
e donne.” (Ibidem).
Fuori Quota è un movimento che nasce spontaneamente e che non comprende solo
donne in ruoli di leadership, al momento pari a 50 (ibidem), bensì ha al suo interno
diversi uomini che testimoniano l’importanza di avere una equilibrata rappresentanza di
genere.
“Il lavoro di Fuori Quota nasce dalla consapevolezza delle donne che solo
essendo presenti, ed in numero significativo, nei ruoli di leadership è possibile
portare avanti istanze e trasmettere una visione del mondo che sia anche al
femminile.” (Ibidem).
Lo scopo del movimento resta comunque quello di promuovere contemporaneamente
parità di genere e meritocrazia.
Wise Growth. A differenza delle associazioni ed enti finora descritti, Wise Growth è una
società che offre consulenza e formazione alle aziende rispetto al tema dell’inclusione
per poter fornire ai clienti, aziende o individui, gli strumenti per crescere secondo valori
economici, di reputazione e di benessere (Wise Growth, s.d.). La fondatrice è Maria
Cristina Bombelli, che da sempre si occupa di diversity management.
Il nome stesso dell’azienda crescita saggia pone l’accento sull’obiettivo fondamentale
che si pone Wise Growth, ovvero quello di coniugare valore quantitativo con lo
sviluppo e la realizzazione individuale equilibrata. L’attività di maggior importanza di
67
questa azienda è proprio quella di saper gestire la diversità individuale all’interno dei
contesti organizzativi (Ibidem).
Citare le suddette esperienze permette di entrare nel vivo della tematica, infatti, sia gli
esempi internazionali sia quelli nazionali forniscono da spunto alle aziende che
vogliono intraprendere strategie di inclusione femminile. Gli esempi di Girls in Tech e
Girls Who Code, iniziative nate dall’esperienza personale delle fondatrici, chiariscono
le due principali motivazioni che portano ad avere un gap tra uomini e donne. Il primo è
l’ambiente prettamente maschile che può comportare discriminazioni, siano esse
volontarie o involontarie; la seconda motivazione è rappresentata dalla bassa sicurezza
che le ragazze hanno nello sbagliare che a volte può essere erroneamente letta come una
difficoltà delle donne di “mettersi in gioco”. Comprendere queste due peculiarità, aiuta
le aziende in primo luogo a valutare l’ipotesi di corsi di formazione sulla self-confidence
e più in generale corsi sulla sicurezza sia fisica sia per accrescere la fiducia in se stesse;
in secondo luogo spinge le società a creare un ambiente familiare che possa evitare
qualsiasi tipo di discriminazione e/o ad aumentare l’effettiva uguaglianza tra i generi.
Gli esempi italiani rappresentano, invece, enti e associazioni a supporto delle aziende.
Venire a conoscenza di queste realtà è importante. Associarsi o collaborare con queste
permette all’imprenditore di entrare in contatto con altre aziende e di creargli iniziative
strutturate sia di confronto, come i convegni, sia di didattica, come i corsi.
68
Capitolo 4 – Caso studio: NTT DATA Italia
Il quarto e ultimo capitolo fornisce un esempio aziendale, quello di NTT DATA Italia,
che porta con sé l’esperienza stessa dell’impresa nei confronti del tema cardine di
questa tesi, il gender gap.
Prima di esporre analisi e risultati, si richiama brevemente il metodo usato per
l’acquisizione dei dati per svolgere il caso studio. Successivamente il capitolo tratta
delle iniziative intraprese dalla casa madre giapponese del Gruppo e di NTT DATA
Italia nel corso del tempo; sono poi esposti i risultati delle interviste condotte e il
commento conseguente.
4.1. Un richiamo al metodo usato per il caso studio
La letteratura sulla ricerca condotta per casi studio (Duxbury, 2012; Schell, 1992; Stake,
1995; Yin, 1994; 2017) ha messo in luce la possibilità di condurre un’analisi
approfondita in ambienti specifici e, come una ricerca di campo che segua tale
procedura di acquisizione di dati primari, che consenta la produzione di conoscenza
affidabile con risparmio di tempo e di costi.
Nello svolgimento della tesi, i dati quantitativi riguardanti l’azienda NTT DATA sono
stati tratti da documenti ufficiali pubblicati come report annuali sull’attività del gruppo
facendo riferimento particolare all’ultimo disponibile (NTT DATA, 2019). La procedura
seguita per raccogliere i dati primari presso NTT DATA Italia, nello specifico presso la
sede di Milano è stata quella dell’intervista approfondita, cosiddetta face-to-face (Kvale,
1996; 2006; Marshall, 1996). Le interviste sono state rivolte a dieci interlocutori
privilegiati (IP) (Tremblay, 1982), scelti tra individui direttamente e indirettamente
interessati al tema oggetto di indagine.
Questa parte dell’indagine è stata svolta nei mesi da giugno a dicembre 2019, durante i
quale sono stati incontrati gli IP le cui dichiarazioni sono state immediatamente
trascritte. I colloqui con gli intervistati sono stati condotti seguendo le indicazioni di
Steinar Kvale, secondo il quale il ricercatore può acquisire una conoscenza affidabile
sui fatti indagati conducendo le interviste come “conversazioni simili a quelle
69
quotidiane, ma con struttura e scopo controllati dall’intervistatore” (Kvale, 1996, p. 88,
mia traduzione).
Seguendo tali indicazioni, la situazione cercata è stata il più possibile quella di una
conversazione tra due partner che condividono un tema di mutuo interesse, in
un’atmosfera la più spontanea possibile, nella quale la struttura delle domande può non
essere percepita dall’intervistato ma deve essere il più possibile controllata
dall’intervistatore (Kvale, 2006). L’elenco degli IP incontrati è esposto in tabella 4.4.1.
Tabella 4.1.1 – Elenco degli interlocutori privilegiati (IT) intervistati
n. Business di riferimento Ruolo Azienda Età Sesso
Ruolo rispetto al
gender
1 Quality Assurance Manager NTT
Milano Senior Femmina Ambasciatrice NTT Donna
2 Marketing & Communication Specialist
NTT tutte le sedi,
assunta su Milano
Junior Femmina Responsabile social
3 Blockchain Consultant NTT Milano Junior Femmina N/A
4 Human Resources
Junior Specialist
NTT Milano Junior Femmina Ricerche
quantitive
5
Business & IT Advisor –
Service Line Consulting
Junior Consultant
NTT Milano Junior Femmina N/A
6
Business & IT Advisor –
Service Line Consulting
Analyst NTT Milano Junior Femmina N/A
7 Marketing & Communication
Senior Manager
NTT tutte le sedi,
assunto su Milano
Senior Maschio Responsabile comunicazione
8 Marketing & Communication Manager
NTT tutte le sedi,
assunto su Milano
Senior Femmina Organizzatrice
eventi e convegni
9 Customer
Relationship Management
Senior Consultant
NTT Milano Senior Maschio N/A
10 Business & IT Advisor –
Consultant NTT Milano Junior Maschio N/A
70
Durante le interviste è stato seguito il seguente schema concettuale di domande:
1. Qual è la situazione attuale in termini di occupati e di salari?
2. C’è differenza di trattamento per assunzioni e avanzamento di carriera tra
uomini e donne?
3. Ci sono mutamenti rispetto al passato, quali?
4. Come viene percepita dai lavoratori la politica gender dell’azienda e la sua
efficacia?
Durante le interviste sono emersi nuovi argomenti inerenti il tema della ricerca, di cui si
è tenuto debito conto.
Il resto di questo capitolo è organizzato come segue. Il paragrafo seguente è dedicato a
una descrizione generale del Gruppo NTT DATA, privilegiando l’attenzione su visione
strategica, risultati economici, numero e struttura dei dipendenti,
Il successivo riporta i risultati dell’indagine condotta tramite intervista e i commenti
conseguenti.
71
4.2. Le relazioni di lungo periodo come strategia d’impresa: NTT DATA Global
NTT DATA Corporation è una multinazionale giapponese, che integra la fornitura ai
clienti di diversi sistemi di servizi; parte delle quote azionarie è nelle mani della società
NTT, Nippon Telegraph and Telephone. La precedente Japan Telegraph and Telephone
Public Corporation ha iniziato il business di data communications nel 1967; dopo la
privatizzazione di NTT, avvenuta nel 1985, la divisione specializzata nelle
comunicazioni è stata scorporata come NTT DATA Corporation nel 1988, attualmente la
maggiore compagnia di servizi IT con sede direzionale in Giappone.
NTT DATA è oggi una società quotata in borsa, di proprietà per il 54% di NTT, che
come detto è un’azienda pubblica; le aree di business in Giappone sono i servizi per
amministrazioni nazionali e locali, finanza, e l’intero settore delle telecomunicazioni.
L’impresa si configura come una società di consulenza di direzione aziendale per grandi
gruppi economici, localizzati in molte parti del mondo.
Nel suo rapporto annuale NTT DATA Global riporta i principi a cui ispira la propria
strategia, i risultati conseguiti e gli impegni per il futuro (NTT DATA, 2019). Queste
seguenti sono le linee strategiche.
Al fine di contribuire a costruire una società più ricca e armoniosa tramite l’uso della
tecnologia, NTT DATA, nel corso della propria storia, ha scelto la strategia di
considerare i propri clienti come vera priorità aziendale, non privilegiando mai obiettivi
di breve periodo e non temendo di affrontare alcun tipo di difficoltà. Questo principio
strategico, ovvero quello di considerare i clienti come partner affidabili, è alla base della
creazione del vantaggio che l’azienda ricerca nel mercato. NTT DATA Global intende
mettere le proprie capacità in stretta relazione con le idee dei clienti e i loro bisogni
sociali, fertilizzandoli mediante l’uso tecnologie d’avanguardia. L’orientamento è quello
di creare innovazione di business in accordo con i bisogni dei clienti e dell’intera
società.
Il principale esempio di relazioni di lungo periodo che il Gruppo ha costruito è la
collaborazione instaurata, fino dal 1973, con Zengin Data Telecommunications System,
infrastruttura informatico-finanziaria che consente il trasferimento immediato di denaro
scambiato nelle transazioni. L’innovazione è stata realizzata in anticipo rispetto al resto
del mondo. Nel 2019, è stata lanciata la settima generazione del sistema, fortemente
72
orientata alla sicurezza cibernetica, con attenzione all’uso degli apparecchi terminali
(Zengin System, 2019).
Il gruppo NTT DATA è orientato alla continua trasformazione della configurazione
d’impresa, assecondando cambiamenti di tecnologia, necessità dei clienti ed evoluzione
dei mercati. Finora, i risultati sono stati positivi, visto che il fatturato globale è cresciuto
costantemente negli ultimi trenta anni, raggiungendo nel 2019 i 1.214 milioni di euro di
risultato operativo consolidato (NTT DATA, 2019).
I valori aziendali, come dichiarati nei citati documenti di visione strategica (Ibidem),
sono:
1. il cliente al primo posto (client first);
2. lungimiranza di visione (foresight);
3. lavoro di squadra (teamwork).
I clienti sono considerati per i loro bisogni che fanno da guida all’innovazione, ricercata
e indirizzata a risolvere le problematiche aziendali. La prospettiva delle scelte adottata è
sempre quella del lungo periodo, non rinunciando ad introdurre velocemente le
innovazioni per fare fronte ai cambi di contesto, particolarmente rapidi nel settore delle
ITC. L’intento è quello di considerare l’organizzazione come un ecosistema in grado di
capire il contesto e di adattarsi velocemente. Per conseguenza, il lavoro di squadra è
considerato fondamentale per mettere ogni dipendente in grado di fornire a tutti gli altri
il proprio migliore contributo.
Il modello di co-creazione del valore di NTT DATA, come collaborazione orientata
all’innovazione tra azienda e propri clienti, è illustrato in figura 8.
73
Figura 8 – Modello di Co-innovazione del valore di NTT DATA. Fonte: NTT DATA,
2019, p. 8
La visione per il futuro è esposta in figura 9, che illustra gli obiettivi strategici, cioè:
1. realizzare una società più ricca e armoniosa, risolvendo problemi sociali;
2. incrementare il valore aziendale in termini di asset finanziari e non-finanziari
(portafoglio clienti, risorse umane e organizzative, tecnologie, brand NTT
DATA, partner).
Figura 9 – Visione futura e obiettivi strategici di NTT DATA. Fonte: NTT DATA, 2019,
p. 9
74
Dall’ultimo report (NTT DATA, 2019), si traggono i dati necessari per illustrare le
performance più importanti del gruppo. Le tabelle 4.2.1 e 4.2.2 riportano i dati dal 2008
al 2018 su numero di imprese-clienti con fatturato superiore ai 50 milioni di euro,
numero di dipendenti (in Giappone e all’estero), numero di nazioni, regioni e città in cui
la NTT DATA è presente. I dati illustrano chiaramente il perseguimento dell’aumento e
del consolidamento di fatturato, numero di dipendenti, anche overseas, e presenza
crescente di sedi all’interno del Giappone e all’estero.
Tabella 4.2.1 – NTT DATA, numero di imprese-clienti, dipendenti e paesi di presenza
(in Giappone e overseas) nel periodo 2008-18. Fonte NTT DATA, 2019, p. 11.
I dati esposti nella seguente tabella 4.2.2 sono indicatori dell’attenzione aziendale verso
obiettivi di sostenibilità, come numero di manager di sesso femminile, diminuzione di
ore di lavoro complessive, quantità di gas serra emessi; trattati al pari come da Agenda
2030. Ognuno degli indicatori mostra un trend positivo che, nel caso dei gas serra,
equivale a numeri discendenti nel tempo.
75
Tabella 4.2.2 – NTT DATA, numero di manager di sesso femminile, numero di ore
lavorate, emissione di gas serra nel periodo 2008-18. Fonte NTT DATA, 2019, p. 11
Tabella 4.2.3 – NTT DATA Global, numero di dipendenti, totale e percentuale, per sesso,
posizione manageriale, ani 2015-18. Fonte elaborazione da NTT DATA, 2019.
Anno 2015 2016 2017 2018
Numero di dipendenti
Totale 11.213 21.772 11.227 23.314 11.263 25.381 11.310 26.420 86.154Maschi 9.134 17.267 9.065 18.613 9.017 19.459 8.935 20.467 59.341
Femmine 2.079 4.505 2.162 4.701 2.246 5.922 2.375 5.953 26.813M/T 0,81 0,79 0,81 0,80 0,80 0,77 0,79 0,77 0,69F/T 0,19 0,21 0,19 0,20 0,20 0,23 0,21 0,23 0,31
2.370 3.969 2.407 4.178 2.477 4.55 2.539 4.626 17.643
2.250 3.77 2.272 3.937 2.331 4.272 2.375 4.324 13.675
% 94,9 95,0 94.4 94,2 94,1 93,9 93,5 93,5 77,5
120 199 135 241 146 278 164 302 4
% 5,1 5,0 5,6 5,8 5,9 6,1 6,5 6,5 22,5
Impr
ese
cont
rolla
te
Gru
ppo
Impr
ese
Con
solid
ate
Impr
ese
cont
rolla
te
Gru
ppo
Impr
ese
Con
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ate
Impr
ese
cont
rolla
te
Gru
ppo
Impr
ese
Con
solid
ate
Impr
ese
cont
rolla
te
Gru
ppo
Impr
ese
Con
solid
ate
Impr
ese
all’e
stero
Numero di dipendenti in posizioni managerialiNumero di uomini in posizioni manageriali
Numero di donne in posizioni manageriali
76
Tabella 4.2.4 – NTT DATA, età media dei dipendenti e abbandoni, per sesso, anni 2015-
2018. Fonte elaborazione da NTT DATA, 2019.
Tabella 4.2.5 – NTT DATA, dipendenti per classi di età in imprese controllate. Fonte
elaborazione da NTT DATA, 2019.
Tabella 4.2.6 – NTT DATA, numero di manager per posizione e sesso in imprese
controllate. Fonte elaborazione da NTT DATA, 2019.
Anno 2015 2016 2017 2018Età media 38 38 38 39Uomini 39 39 40 40Donne 33 33 34 34Media anni di servizio 14 14 15 15Uomini 15 15 16 16Donne 10 19 11 20Abbandoni del lavoro 276 335 342 417Numero maschi 241 272 286 367
% 2,6 3,0 3,1 4,4Numero donne 35 63 56 50
% 1,7 2,9 2,5 2,1Nomine a manager 180 183 188 195Uomini 169 163 167 172Donne 11 20 21 23
Età in anni Totale Uomini Donnemeno di 30 2.093 1.298 79530-39 2.122 3.090 1.03240-49 3.381 2.993 38850-59 1.713 1.553 16060 o più 1 1 0Totale dipendenti 11.310 8.935 2.375
Posizione Totale Uomini Donne
571 546 25
1.968 1.829 139
Manager di dipartimento o maggioremanager di sezione o equivalente
77
Tabella 4.2.7 – NTT DATA, percentuale di dipendenti e manager di sesso femminile.
Fonte elaborazione da NTT DATA, 2019.
Tabella 4.2.8 – NTT DATA, nuovi assunti e riassunti, per sesso e condizione precedente,
anni 2015-2018. Fonte elaborazione da NTT DATA, 2019.
I dati delle precedenti tabelle da 4.2.1 a 4.2.8 mostrano chiaramente la sostanziale
prevalenza dei dipendenti di sesso maschile, sia in termini quantitativi, sia rispetto alle
posizioni di più elevata responsabilità. Il divario di genere nei livelli manageriali nelle
imprese overseas (77,5% di uomini) è molto inferiore di quello complessivo delle
imprese del Gruppo (93,5% di uomini) (cfr Tab. 4.2.3).
L’azienda ha comunque una popolazione di dipendenti in cui prevalgono i giovani e
continua nella politica di nuove assunzioni, in cui permane il divario di genere, ma
appare nettamente attenuato, con riguardo alle donne e anche ai più deboli (persone con
disabilità) e ai pensionati che intendono rientrare nel mondo del lavoro (cfr Tab. 4.2.8).
% Imprese 2018Dipendenti femmine Consolidate 28Manager femmine Consolidate 18Manager junior femmine Controllate 13Top manager femmine Consolidae 9
Controllate 90Percentuale di del totale di manager femmine che lavorano al centro di profitto
Anno 2015 2016 2017 2018 2019Numero di nuovi assunti 379 378 385 418 430Uomini 255 247 245 266 276Donne 124 131 140 152 154Assunti a metà carriera 8 15 26 96 …Uomini 7 12 20 77 …Donne 1 3 6 19 …Dipendenti con disabilità 260 280 287 314 315
% 2,13 2,27 2,32 2,51 2,49Nuovi assunti 26 18 24 22 49Pensionati ri-assunti 94 87 78 73 61
78
I dati dinamici confermano però l’orientamento del Gruppo verso l’aumento del numero
di assunzioni femminili in ogni posizione lavorativa che corrisponde ad un orientamento
verso le pratiche di attuazione della sostenibilità (cfr. Tab. 4.2.2).
Per incoraggiare la diversità e l’inclusione NTT DATA Global ha intrapreso da oltre
dieci anni iniziative per la riduzione del gender gap; nel 2008, ha costituito l’Ufficio per
la Promozione della Diversità, sotto la diretta responsabilità del Capo dell’Ufficio del
personale. Dal 2012, l’impresa ha maggiormente concentrato l’attenzione sulla
promozione delle donne sul posto di lavoro e sulla riduzione del monte orario di lavoro
complessivo, scommettendo che un cambio di stile del lavoro possa essere in grado di
creare un ambiente nel quale ciascun dipendente possa esprimersi al meglio.
Durante le NTT DATA Global Conference sono regolarmente organizzate sessioni
tematiche sulla partecipazione femminile nel luogo di lavoro, a cui partecipano
responsabili aziendali provenienti da tutti i paesi del mondo. Nel marzo 2019 sono stati
sottoscritti i principi WEP dell’agenzia Women delle nazioni Unite; NTT DATA è
inoltre diventata membro di Catalyst, associazione no profit che si occupa a livello
mondiale della promozione delle carriere e dei business femminili.
Allo scopo di diversificare il Consiglio di direzione, NTT DATA ha recentemente
promosso alcuni direttori stranieri, nonché altri direttori e revisori esterni. Nel giugno
2019, una donna è stata nominata direttore; un’altra è stata nominata Senior Vice
President, con il compito della segreteria generale del Consiglio di direzione, la cui
composizione è ora maggiormente diversificata per genere e per partecipazione
internazionale. La diversità di genere è aumentata anche nei livelli di top management e
in altri livelli manageriali e relativi a scelte decisionali. Inoltre, il Consiglio di direzione
è maggiormente chiamato all’autovalutazione e all’analisi dell’efficacia delle decisioni
prese. Un Comitato di revisori è stato costituito per la raccolta di opinioni e proposte
presso il management ed esperti esterni all’azienda.
Per valorizzare le iniziative in favore della parità di genere è stata richiesta la
certificazione di enti terzi, terze parti istituzionali, ricevendo tra l’altro, la certificazione
Euriboshi di Grado 3 (massimo livello) da parte del Ministero della salute, del lavoro e
della previdenza del Giappone (METI). Per la promozione del lavoro delle donne, NTT
DATA ha ricevuto il diritto di esibire il logo Kurumin (Fig. 10), rilasciato dallo stesso
79
Ministero per il sostegno fornito ai dipendenti nella cura dei bambini, nonché
l’inclusione nella lista 100 Telework Pioneer (pionieri del telelavoro).
Fig. 10. Logo Kurumin, rilasciato dallo METI alle imprese ce attuano politiche di
sostegno per i figli dei dipendenti: Fonte NTT DATA GROUP, 2029, p. 57.
Il Ministero giapponese dell’Economia del commercio e l’industria ha conferito a NTT
DATA, nel marzo 2018, l’encomio di primo grado nell’ambito del premio Diversity
Management Selection 100, come una delle massime aziende giapponesi impegnate
nella promozione della diversità nel management. Per lo stesso impegno nei confronti
dell’emancipazione femminile, è stata selezionata per essere inserita nella lista Semi-
Nadeshiko Brand Cmpany, costituita dal METI e dalla Borsa di Tokyo.
In generale, appare che gli obiettivi di avanzamento di carriera delle donne del Gruppo
NTT DATA siano in linea con quelli indicati dall’Atto di promozione della
partecipazione femminile e l’avanzamento di carriera nei luoghi di lavoro del Giappone
(Act of the Promotion of Women’s Participation and Advancement in the Workplace in
Japan), formulato dal Governo per la creazione di un ambiente favorevole
all’emancipazione femminile. Al contempo, tale atto governativo ha fornito al Gruppo
l’occasione per riflettere sulle iniziative intraprese in passato, che il Gruppo stesso
intende continuare a sostenere ed anzi potenziare.
Le problematiche da affrontare, nel periodo tra l’1 aprile 2016 e il 31 marzo 2021 (NTT
DATA GROUP, 2019) sono le seguenti:
80
1. nonostante non siano state rilevate grosse problematiche di discriminazione tra
uomini e donne sia nell’assunzione sia nella situazione media corrente dei
dipendenti, l’azienda intende continuare a aumentare la selezione rivolta a
studentesse e, in particolare, a studentesse di materie scientifiche;
2. riorganizzazione per l’ottimizzazione del monte ore di lavoro totale;
3. bassa percentuale di donne nelle posizioni di vice-manager, e quindi di
potenziali candidate rispetto al totale dei posti manageriali. (ibidem)
Di conseguenza, l’azienda si è posta questi obiettivi quantitativi:
1. continuare ad aumentare le assunzioni a di sopra del 30% fino alla fine del 2020,
livello mantenuto quasi sempre al di sopra del 30% negli ultimi dieci anni;
2. raggiungere una media di 1.890 ore totali annuali lavorate pro-capite entro la
fine del 2018, target realizzato visto che il valore è computato in 1.889,6.
3. aumentare il numero di donne nelle posizioni manageriali fino ad almeno 200
entro la fine del 2020; rispetto ad aprile dell’anno prima, le donne manager sono
aumentate di 18 unità, con riferimento all’1 aprile 2019 (bilancio non
consolidato).
4. aumentare il numero di donne nelle posizioni di senior management (direttori,
capi di dipartimento e di sezione, ecc.) fino ad almeno 10 entro la fine del 2020;
ad aprile 2019, il valore di questo target era già pari a 9.
81
4.3. Le relazioni di lungo periodo come strategia d’impresa: NTT DATA Italia
NTT DATA Italia è nata dall’acquisizione nel 2011 di Value Team Spa, società di
consulenza, system integration, application management e outsourcing. Oggi i settori in
cui opera NTT DATA Italia includono il settore automobilistico, settore energetico e di
utilities, servizi bancari e finanziari, settore di media, intrattenimento e
telecomunicazioni, nonché settori di trasporto e logistica. I servizi offerti dall’azienda
sono quelli di consulenza, implementazione digitale, tecnologie blockchain, Internet of
things, intelligenza artificiale e realtà aumentata, data intelligence, cybersecurity.
Il numero di dipendenti in Italia è di oltre 2.800 persone e l’amministratore delegato
oggi è Walter Ruffinoni. All’interno di NTT DATA, facendo riferimento all’anno 2019,
il 30,20% dei dipendenti è donna. Questa informazione non pubblicata è stata fornita da
IP n. 4.
NTT DATA Italia, rispetto ai propri obiettivi di lungo periodo nonché alle strategie
imprenditoriali non discosta da quelli che sono gli obiettivi globali e sul tema della
parità di genere sono state intraprese negli anni diverse politiche e iniziative.
I nuovi intenti aziendali, definiti dall’amministratore delegato all’interno del Manifesto
Road to 2023 in figura 11, sono quelli di avere per il 2023 il 30% di donne in ruoli di
top management e raggiungere la quota di almeno il 50% di donne al di sotto dei 40
anni in ruoli esecutivi.
Figura 11 – Manifesto road 2023 Fonte: Newsletter interna del 25 giugno 2019
82
L’anno di svolta sul tema della parità di genere è stato per NTT DATA Italia, senza
dubbio, il 2016; l’8 marzo, giorno dedicato alla festa delle donne, è stata avviata
l’iniziativa NTT Donna. L’iniziativa è nata in Italia con l’intento di promuovere e
sensibilizzare i dipendenti sui temi di leadership e del gender gap, sulle orme di Nuvola
Rosa, iniziativa di Roberta Cocco per Microsoft. Attualmente Roberta Cocco è
assessora del Comune di Milano per la trasformazione digitale e servizi civici.
L’iniziativa aziendale si era posta l’obbiettivo di assumere 150 nuove donne e di avere
15 donne nei ruoli manageriali.
“L’obiettivo di avere 15 donne manager è stato raggiunto, mentre, quello di 150
nuove donne assunte non è stato raggiunto per il fatto che il mercato del lavoro
non ha offerto candidate sufficientemente dotate della formazione adatta.” (IP n.
8)
Per favorire la discussione interna sulla consapevolezza sul gender gap NTT DATA
Italia ha organizzato incontri e dibattiti con Odile Robotti, dirigente 30% Club; Claudia
Montanari, esploratrice; Dacia Maraini, scrittrice e Aldo Cazzullo, giornalista.
Una delle iniziative proposte da NTT Donna, lo smart working, è stata adottata dalla
azienda e, oggi, tutti i dipendenti possono gestire l’orario e gli impegni di lavoro in
maniera flessibile, anche mediante il lavoro da casa. Questa iniziativa è molto
apprezzata dal 99% dei dipendenti sia uomini sia donne ed è considerata una buona
pratica aziendale.
NTT DATA Italia ha dato anche il via al progetto Coding nelle scuole, inizialmente nelle
sedi di Milano, Torino, Roma e Cosenza con l’intento di estenderlo al resto delle sedi
presenti in Italia.
Nel 2016 sono state avviate le collaborazioni con le associazioni Young Women
Network, 30% Club e Valore D.
Dopo 3 anni di collaborazione con Valore D, NTT DATA Italia è diventata uno dei soci
sostenitori dell’associazione e partecipa annualmente alle indagini che l’associazione
conduce ogni anno. In tabella 4.3.1 sono riportati i 9 punti cardine che NTT DATA Italia
si è volontariamente impegnata a sottoscrivere e perseguire; altre aziende associate
simili a NTT DATA non hanno fatto altrettanto.
83
Tabella 4.3.1 – Manifesto per punti di Valore D sottoscritto anche da NTT DATA Italia
Punti cardine del Manifesto
Primo
L’azienda riconosce il valore delle diversità di genere, come risorsa chiave
per l’innovazione, la produttività e la crescita. L’azienda si impegna
quindi, in fase di selezione, a identificare una rosa di candidati
rappresentativa di entrambi i generi, tenuto conto delle specificità del
settore in cui opera. Laddove tale bilanciamento non fosse realizzabile,
l’azienda ne approfondirà le motivazioni.
Secondo
L’azienda riconosce l’importanza sempre più rilevante delle competenze
in ambito STEM per l’innovazione di prodotto e di processo al proprio
interno. Consapevole però che se da un lato queste saranno le professioni
del futuro, dall’altro le donne rischiano di essere ancora più penalizzate
perché meno presenti in queste discipline, l’azienda si impegna a
raggiungere una situazione quanto più paritetica possibile tra i generi a
parità di competenze e professionalità.
Terzo
L’azienda si impegna a monitorare la presenza femminile al proprio
interno, analizzandone i principali indicatori: numeri assoluti e percentuali
in ingresso e di dispersione nel corso della crescita professionale, analisi
dei vincoli e delle opportunità alla crescita, pay gap o divario salariale e
presenza in azienda di generazioni diverse.
Quarto
In aggiunta alle tutele già previste per legge, l’azienda si impegna a
esplorare modalità innovative utili ed efficaci per supportare le proprie
dipendenti nel periodo della maternità, con l’obiettivo di migliorare la
gestione del periodo di assenza e quindi favorire una più fluida
riorganizzazione del lavoro che tenga in considerazione le esigenze delle
neomamme al rientro.
Quinto L’azienda accoglie con favore l’impegno di entrambi i genitori nella cura
dei figli e favorisce, ove possibile con azioni proattive una cultura
inclusiva che valorizzi il ruolo genitoriale del papà.
Sesto L’azienda, compatibilmente con le proprie specificità di settore,
dimensionali ed economico-finanziarie, si impegna a porre in essere
politiche di welfare aziendale a supporto dei propri dipendenti.
84
Settimo L’azienda si impegna a valutare, sperimentare ed implementare modalità
di lavoro flessibile che, nel rispetto delle proprie esigenze produttive e
operative, incontrino le necessità dei dipendenti impostando il lavoro sulla
base di obiettivi e risultati.
Ottavo L’azienda si impegna, compatibilmente con le proprie specificità
di settore e dimensionali, a favorire un piano di incremento della presenza
femminile nelle posizioni di rilevanza strategica.
Nono L’azienda si impegna a coinvolgere attivamente il management sui temi
della diversità di genere, dell’occupazione e della crescita professionale
femminile e ad aggiornare annualmente gli organismi apicali su questo
tema.
Tra le iniziative promosse a livello globale, e perseguite anche in Italia, Women Inspire
NTT DATA (WIN), è nata nel 2018 per raccontare le esperienze femminili all’interno di
un’azienda cutting-edge. L’iniziativa è tutt’ora in atto ed è divulgata tramite post diffusi
su Instagram e Linkedin.
85
4.4. La situazione italiana: i dati di NTT DATA Italia al 2019
L’organico di NTT DATA Italia S.p.A., al 31 marzo 2018, è di 3.099 dipendenti (+5%
rispetto al 2017), con 138 unità in più, delle quali, 122 afferiscono alla Capogruppo
italiana. Per area geografica, la forza lavoro è cosi distribuita (NTT DATA Italia, 2018):
- Italia 2.831 unità (+122 unità rispetto a marzo 2017);
- Vietnam 243 unità (+23 unità rispetto a marzo 2017);
- Turchia 25 unità (-7 unità rispetto a marzo 2017).
La tabella 4.1.1 riporta i dati relativi alla suddivisione per mansioni della forza per gli
anni 2017 e 2019.
Tabella 4.1.1 NTT DATA Italia, dipendenti per numero di dipendenti, quadri, impiegati,
operai e apprendisti. Dati puntuali e media per gli anni 2017 e 2018. Fonte: NTT DATA
Italia, 2018, p. 108)
Dai dati, appare evidente la dinamica delle assunzioni e il consolidamento dell’area
geografica italiana. Il report non pubblica dati riguardanti la suddivisione per genere,
che sono stati oggetto di rilevazione diretta presso la sede di Milano. Questi ultimi si
riferiscono all’anno 2019, solo alla Capogruppo italiana, e sono stati reperiti solo in
termini percentuali, grazie alla documentazione fornita da una delle donne
successivamente intervistate (IP n. 4); qui di seguito si riportano i dati riguardanti la
posizione e le caratteristiche delle dipendenti di NTT DATA Italia.
I dati sono esposti nelle tabelle numero 4.4.2. – 4.4.5.
86
Tabella 4.4.2 – Percentuale di donne presenti in azienda rispetto al totale ed età media
Negli anni la percentuale di donne presenti in azienda è aumentata fino ad arrivare al
30,20%. Tale percentuale apparentemente bassa, è comunque superiore alle aziende che
si occupano di system integration presenti in Italia. L’età media pari 39 anni equivale a
quella degli uomini, ma superiore a quella delle donne (34 anni) di NTT DATA Global
(cfr. tabella 4.2.5.), questo dato appare in via di riduzione viste anche le recenti
assunzioni di dipendenti più giovani.
Tabella 4.4.3 – Dipendenti donne per titolo di studio (%)
Dalla tabella 4.4.3 si evince che la maggioranza delle ragazze possiede una laurea
magistrale, il 12,6% ha una laurea in economia, il 31% in ingegneria, il 22% in
informatica e il restante 1,4% in discipline come design, matematica, criminologia.
Tabella 4.4.4 – Dipendenti donne per posizione aziendale (%)
2019
Posizione aziendale
Professional 1 Professional 2 Professional 3 da manager in su
32%
35% 29% 20%
2019
Titolo di studio
Laurea magistrale
Laurea triennale
Diploma di scuola superiore
67% 10% 19%
2019 Donne
% sul totale 30,20%
Età media 39,3 anni
87
Per l’interpretazione di questa tabella è necessario definire i quattro cluster di posizione.
Per professional 1 si intendono le figure junior, da stage a consultant; il cluster
professional 2 indica ruoli da consultant a senior consultant; il professional 3 da senior
consultant a manager. Appare evidente la diminuzione del numero nel salire la scala
gerarchica. NTT DATA punta a raggiungere il 30% di top management femminile.
Al fine di incentivare i dipendenti giudicati meritevoli, l’azienda prevede il percorso
denominato Green Capital, che permette di agevolare gli scatti di carriera per merito. Il
30% dei dipendenti che ha beneficiato del Green Capital sono donne. Nel 2019, le
donne complessivamente promosse risultano pari al 20%.
Tabella 4.4.5 – Dimissioni femminili e principali motivazioni (%)
Le donne che lasciano NTT DATA Italia senza avere altre proposte di lavoro sono il 9%
delle dipendenti; solo una persona ha dichiarato di dare le dimissioni per accudire il
figlio. Tra i motivi di abbandono, il 26% è dovuto al passaggio in altra azienda con
avanzamento di carriera, per il 17% al passaggio ad altra azienda con retribuzione e
benefit maggiori. Tra i motivi personali almeno il 50% è da attribuire al desiderio di
completare la formazione professionale con studi di istruzione universitaria di terzo
livello, master e corsi di perfezionamento (IP n. 4).
2019 Donne
Totale dimissioni 26%
Principali
motivazioni
Avanzamento
di carriera in
altra azienda
Retribuzione
e benefit in
altra azienda
Motivazioni
personali
26% 17% 50%
88
4.5. Interviste: analisi e risultati
La raccolta di dati qualitativi è stata agevolata anche grazie alla mia posizione
lavorativa che, come detto nell’introduzione, data il 3 settembre 2018. Durante questo
periodo ho avuto modo di raccogliere informazioni sul tema del gender gap, durante
incontri e colloqui informali con dieci colleghi maschi e femmine. Le informazioni
raccolte informalmente presso i colleghi, incontrati a volte singolarmente a volte in
gruppo, sono state verificate e integrate con alcune interviste approfondite con alcuni
esperti in materia all’interno dell’azienda, da considerarsi come interlocutori affidabili e
informati.
Ad ognuna delle interviste sono stati dedicati almeno quaranta minuti di colloquio face-
to-face, a cui sono seguiti circa venti minuti per la trascrizione dei dati; tutte le
interviste si sono svolte in un’atmosfera di collaborazione volta a fornire risposte
affidabili alle domande di ricerca formulate; le opinioni espresse durante i colloqui
informali collimano in gran parte con le informazioni raccolte mediante le interviste
face-to-face agli interlocutori privilegiati (cfr Tabella 4.1.1.).
La prima parte di questo capitolo ha fornito risposta alla domanda qual è la situazione
attuale in termini di occupati e di salari utilizzando i dati ufficialmente forniti da NTT
DATA, mentre le interviste sono state finalizzate a dare risposte alle domande più
specificatamente inerenti alla situazione del gender gap; i risultati sono da ritenere
affidabili e sono riassunti nel seguito di questo paragrafo.
A proposito di una eventuale differenza di trattamento nel corso delle assunzioni iniziali
e nell’avanzamento di carriera tra uomini e donne risulta una sostanziale concordanza
sulla pressoché assoluta assenza di discriminazione intenzionale da parte dell’azienda
nei confronti delle donne. È stata rilevata una larga concordanza di idee che donne e
uomini abbiano le stesse opportunità, sia in termini di prima assunzione, sia come
opportunità di carriera dopo la presa di servizio; tuttavia, molti uomini intervistati
confermano l’idea diffusa presso la società italiana, cioè che alcune donne non si
mettano del tutto “in gioco” nei confronti del lavoro, pregiudicando da sole le
prospettive di carriera. Gli uomini sono portati a “buttarsi nella carriera” più delle donne,
89
nonostante nessuno creda che questo dipenda da diverse capacità “naturali”, ma da
fattori relazionali interni alle famiglie e alla società. Il mondo del lavoro è percepito,
almeno dagli intervistati, come profondamente diverso rispetto al passato, estremamente
competitivo, ma non discriminatorio in base al sesso. Un’intervistata, a proposito della
possibilità di avanzamento di carriera, ritiene che siano stati preferiti candidati uomini.
Pur nella sostanziale assenza di discriminazioni intenzionali da parte del datore di
lavoro, una motivazione di freno alla carriera femminile è identificata nella voglia-
necessità di crearsi una famiglia un tema molto sentito tra le dipendenti donne, pur nel
generale riconoscimento che non ci sia una reale diversità tra uomini e donne per
obiettivi personali e di carriera.
Alle donne non è, in via di principio, precluso l’accesso alle posizioni apicali; l’azienda,
anzi, ha intrapreso una politica per aumentarne il numero sia nei livelli di management
sia nel numero totale di donne assunte nei diversi ruoli. Tuttavia, è da evidenziare che
pur non essendo difficile vedere una donna raggiungere posizioni apicali e pur mettendo
in mostra doti uguali se non superiori a quelle degli uomini, è capitato che queste si
tirassero indietro per dedicarsi totalmente alla famiglia piuttosto che cercare di coltivare
entrambe le attività. L’ azienda prevede delle concessioni come i congedi parentali a
entrambi i sessi e applica la flessibilità degli orari, così da agevolare la presenza delle
donne sia sul lavoro sia in famiglia.
“Le donne tendono a sottovalutare le proprie capacità. È successo anche
nella nostra azienda. Un paio di anni fa è successo che l’azienda ha aperto
una selezione per ricoprire ruoli manageriali, per i quali, naturalmente,
occorreva avere particolari requisiti. Ebbene, gli uomini pur avendo uno o
due dei requisiti necessari non hanno esitato ad avanzare le proprie
candidature. Le donne, anche se mancavano di una sola delle caratteristiche
richieste non si sono fatte avanti. Sono stati i responsabili delle selezioni ad
andare a “spulciare” nei curriculum di tutti i dipendenti decidendo alla fine
di promuovere alcune di quelle donne che non si erano nemmeno candidate.
Recentemente, in occasione di ogni meeting dello staff, l’amministratore
delegato chiede di essere costantemente aggiornato sul numero di assunzioni
femminili e sul suo andamento.” (IP n. 8)
90
“Ho notato un netto aumento di donne all’interno degli uffici di NTT DATA.
Quando ho iniziato, dodici anni fa, non avevo neanche una donna all’interno
del mio team. Negli anni il numero di donne con cui ho avuto a che fare è
molto aumentato. Oggi a lavoro collaboro con cinque colleghe.” (IP n. 9)
Molte donne, dopo il periodo di congedo per maternità, chiedono l’orario part-time per
una durata media di 3 anni, dopo il quale riprendono l’orario a tempo pieno (IP n. 4).
Non esistono discriminazioni in termini di obiettivi dati a uomini o a donne, in quanto
gli obiettivi sono configurati sugli individui che li ricevono indipendentemente dal sesso.
Semmai, esiste una certa diversità di percezione a “carattere geografico” sui problemi
legati al gender equlity. Al Sud d’Italia, le donne percepiscono con fastidio il
comportamento di alcuni uomini che indirizzano verso le donne considerazioni sul loro
aspetto e modo di vestire; questo fenomeno appare del tutto assente al Nord; semmai,
nella sede di Milano, una qualche discriminazione di carriera è percepita da donne più
grandi di età; le giovani difficilmente percepiscono uno stato di discriminazione. (IP n.
2).
Appare particolarmente interessante, l’esperienza di uomini e donne giovani quando si
trovano a doversi inserire in gruppi esclusivamente, o quasi, già costituiti da
componenti dell’altro sesso. Una giovane dipendente, con formazione in studi
ingegneristico–matematici, da solo tre anni dipendente di NTT DATA, dichiara di avere
vissuto diverse occasioni di inclusione e alcune di esclusione, ritenendo che, nel
complesso, è riuscita a capire il contesto in cui si deve muovere (IP n. 3).
Un’altra giovane dipendente, assunta da pochi mesi, è stata inserita in un team di lavoro
completamente maschile. Inizialmente, non le è stato facile riuscire a comunicare con i
colleghi del team, più o meno coetanei, che non la consideravano molto, in quanto non
era del tutto chiaro quale fosse il suo ruolo all’interno di una squadra così tecnica. La
comunicazione è risultata a lungo complicata perché la formazione della nuova
collaboratrice era di tipo economico/umanistico mentre i colleghi erano tutti ingegneri
e/o esperti informatici.
91
“Non mi sono mai sentita esclusa perché donna, ma esclusa perché elemento
diverso in termini di esperienza all’interno del team. A distanza di neanche
un mese l’integrazione è avvenuta e il team si è affiatato perché tutti
eravamo incuriositi dalle rispettive competenze. Per la verità, all’inizio mi
sentivo un pesce fuori dell’acqua, ma forse perché ero io che non ero così
convinta di inserirmi nel gruppo.” (IP n. 5)
Molti dipendenti NTT DATA svolgono le proprie mansioni presso le sedi delle aziende-
clienti. A tale scopo, nel corso dell’anno 2016, anno definito “NTT Donna”, l’azienda
ha intrapreso, come visto in precedenza, un’iniziativa di sensibilizzazione sulle proprie
politiche gender equality per tramite di alcune “ambasciatrici” presso tutti i colleghi,
compresi quelli che lavoravano all’esterno. Tra i loro compiti c’era anche quello di
selezionare iniziative orientate all’empowerment femminile. In seguito a questa attività,
intensamente coltivata per tutto l’anno 2016, sono emerse alcune iniziative, a cui è stato
dato effettivo seguito.
“Tra le proposte c’era quella di entrare a far parte dello Young Women
Network, cosa successivamente avvenuta, e di proporre corsi sulla
leadership al femminile che oggi vengono erogati in collaborazione con
Valore D. Altra iniziativa proposta da NTT Donna è stata quella dello Smart
Working, la possibilità di lavorare da casa. L’iniziativa è ancora attiva.” (IP n.
1).
I dipendenti intervistati che lavorano presso le sedi delle aziende-clienti, nella maggior
parte dei casi, convengono nel dire che rispetto alle altre società di consulenza NTT
DATA è riconosciuta per l’ottima relazione umana non solo dai dipendenti stessi, ma
anche dai colleghi esterni (IP n.10).
Gli intervistati sono generalmente soddisfatti della situazione di NTT DATA Italia;
vedono chiaramente che le assunzioni femminili sono in netto aumento e che i manager
puntano molto di più che in passato sulla promozione di leadership femminili, e sperano
di realizzare l’obiettivo di aumentare le donne nei ruoli di responsabilità.
92
Di particolare interesse, perché si tratta della testimonianza di un uomo in età matura
che si trova a collaborare con un team composto, a parte lui stesso, solo da donne.
“Non ci sono differenze, né di crescita né di stipendio tra le mansioni di staff
e le mansioni di consulenza che siano svolte da maschi o femmine; la sola
differenza è che nello staff ci sono molte donne al contrario di quanto
avviene tra chi svolge mansioni di consulenza.” (IP n. 7).
“La mia percezione è quella che vi siano tante donne manager soprattutto
all’interno della divisione di consulenza, ma tante altre all’interno della
divisione risorse umane.” (IP n. 10).
93
4.6. Commento dei risultati delle interviste
La procedura di raccolta delle interviste non ha presentato particolari difficoltà; i dati
raccolti con le interviste confermano la conoscenza da me acquisita con l’osservazione
partecipante rispetto al fenomeno del gender gap nell’azienda in cui lavoro e che ho
fatto oggetto del mio studio di caso.
Una chiara evidenza è che le dipendenti in giovane età hanno una percezione del proprio
ruolo e delle potenzialità di carriera del tutto diversa rispetto alle colleghe in età
maggiore. La percezione delle donne è mutata nel tempo per via di un mutamento
culturale in atto. Le donne delle generazioni a partire dagli anni ’80 a oggi, hanno
vissuto e vivono in un contesto di emancipazione femminile maggiore e di conseguenza
anche i loro coetanei uomini. Per questa motivazione è più facile che le discriminazioni
e le cosiddette microaggressioni involontarie e volontarie provengano da uomini di età
maggiore o che a coglierne maggiormente il “fastidio” siano le corrispondenti coetanee
donne.
All’interno di NTT DATA Italia è altrettanto evidente che non ci sono disparità di
trattamento retributivo né le giovani donne hanno aspettative diverse da quelle degli
uomini. I team di lavoro sono composti da uomini e donne, secondo quote variabili, ma
le eventuali difficoltà di inserimento individuale in un team già costituito non sono
affatto attribuite a problemi di genere. Le politiche aziendali di flessibilità dell’orario e
la strategia di riduzione del monte ore lavorative sono generalmente apprezzate.
Molti ritengono che i “rallentamenti” di carriera delle donne siano dovuti più a fattori
esterni a NTT DATA e alle sue politiche di personale, segnatamente la “necessità” delle
donne di fare figli e, talora, una loro ritrosia a mettersi del tutto in gioco.
94
Discussione e Conclusioni
Il lavoro di tesi è stato destinato a indagare il tema del gender gap, con speciale
riferimento alla situazione che le donne si trovano ad affrontare quando lavorano in
attività cutting-edge, come quelle che oggi prendono il nome di ITC, strettamente
connesse con l’informazione digitale e le occupazioni in settori STEM, reputati – a torto
o a ragione – un campo dove gli uomini sono più capaci delle donne di esprimere le loro
potenzialità. Il metodo impiegato è stato di tipo misto, cioè si sono raccolti e analizzati
dati quantitativi e qualitativi, secondari e primari. La domanda di ricerca a cui la tesi ha
cercato di dare risposta è stata originata da due motivi; da un lato, la mia presente
occupazione presso la sede milanese di una multinazionale giapponese, NTT DATA, che
ha come core business proprio le ITC; dall’altro, il fatto che il Gruppo, al cui interno il
gender gap è senza dubbio rilevante per il basso valore percentuale di donne assunte e
per una loro ridotta presenza nei livelli manageriali, abbia deciso di attuare politiche di
riduzione del fenomeno, integrando nella propria strategia gli obiettivi di Agenda 2030,
uno dei quali è appunto la riduzione del divario di genere.
Sia il reperimento della letteratura di riferimento sia la raccolta di dati primari
riguardanti l’azienda hanno presentato alcune difficoltà, che credo di avere superato.
Nel primo caso, la difficoltà maggiore è stata rappresentata dalla vastità complessiva
delle fonti letterarie, effettivamente presenti in tra molte discipline; non potendo,
ovviamente, prendere in considerazione tutti i punti di vista, ho cercato di focalizzare
l’attenzione sulla letteratura sociologica e su quella economica e sugli studi culturali.
Nel secondo caso, la raccolta di dati primari, ho scelto di svolgere uno “studio di caso”,
attingendo a due fonti, una costituita da fonti aziendali, come report istituzionali di NTT
DATA, la seconda svolgendo una decina di interviste in profondità (face-to-face) di
interlocutori privilegiati, in accordo con Kvale (1996; 2006) e Tremblay (1982); le
interviste sono servite a corroborare la conoscenza da me informalmente raccolta fin
dall’inizio del mio lavoro, cioè anche precedentemente alla decisione di svolgere la tesi
sul tema. Questa parte del lavoro è stata per me particolarmente stimolante e, in certa
misura, molto gratificante, sia perché ho potuto capire meglio le dinamiche interne
all’azienda, per la verità non solo rispetto al tema, sia perché i colleghi mi hanno
sostenuto con piena collaborazione e il loro continuo incoraggiamento.
95
I risultati ottenuti dallo studio di caso appaiono in linea con quanto rinvenuto in
letteratura per alcuni aspetti significativi. Innanzitutto, si deve rilevare come il Gruppo
NTT DATA senta la necessità di adeguare la propria organizzazione alle intenzioni
dichiarate in tema di sostenibilità, compreso l’obiettivo di ridurre il gender gap. Il
Gruppo, anche nelle sedi overseas, come quella di Milano, continua ad assumere
personale di ambo i sessi, ma la quota femminile è molto maggiore che in passato.
Questo collima non solo con gli obiettivi di Agenda 2030 ma, soprattutto, con le
evidenze mostrate da gran parte della letteratura analizzata nel capitolo secondo, che
indica la necessità di non dis-perdere le risorse femminili, sempre soggette alla
tentazione di abbandonare il lavoro perché non valutate appieno in azienda o perché
pressate da impegni familiari. La scelta fight-or-flight (per tutti si vedano Hewlett et al,
2008, e Barazzetti, 2006, con maggiore riferimento al contesto italiano), non riguarda
solo le donne e le loro scelte individuali, ma l’impresa per cui lavorano e, in definitiva,
l’intera società; una migliore e più consapevole inclusione delle donne nel mondo del
lavoro darebbe un forte stimolo alla crescita economica e allo sviluppo della società.
Dai risultati delle interviste si ricava l’evidenza che i dipendenti non percepiscono
l’esistenza di discriminazione di genere intenzionale da parte dell’azienda. A uomini e
donne sono offerte le stesse opportunità iniziali e lungo il percorso di carriera, nonché le
stesse remunerazioni; esiste una opinione diffusa, però, che le donne erano in passato
molto meno pronte di oggi “a mettersi in gioco” per la carriera, preferendo la famiglia
per motivi attribuibili a fattori familiari e sociali, relativi alla mancanza di servizi
pubblici di cura ai minori e ai familiari in genere, come segnalato anche da Alesina e
Ichino (2009). Il tema della scelta tra lavoro e famiglia è molto sentito e, pertanto, le
politiche in favore delle donne avviate dal Gruppo e da NTT DATA Italia sono
apprezzate da dipendenti maschi e femmine. In questo senso e anche rispetto a quanto
espresso da Gratton et al. (2007) NTT DATA Italia sta portando avanti da 3 anni la
politica dello smart working.
Di interesse anche una conferma della teoria di Fernandez-Mateo (2017) rispetto alla
differenza di approccio di maschi (più sicuri di sé) e femmine (molto meno sicure) sulla
promozione delle proprie carriere.
96
Come descritto più in generale per l’Italia dal Censis (2019), molte dipendenti di NTT
DATA scelgono il part-time per un periodo di tempo di 3 anni, dopo il quale le esigenze
di famiglia risultano conciliabili con gli impegni di lavoro.
Un altro dato rilevato, che appare interessante, riguarda la diversa percezione tra Nord e
Sud d’Italia di una maggiore “fatica” femminile a lavorare con i colleghi uomini; alcuni
comportamenti maschili nei confronti delle donne, oggi ritenuti scorretti, permangono al
Sud, mentre sono del tutto scomparsi al Nord. Tra gli intervistati, non è diffusa
l’opinione che le donne subiscano discriminazioni nell’avanzamento di carriera; peraltro,
anche se solo una donna ne ha parlato, la sua percezione appare rilevante, perché
segnala che il fenomeno non è del tutto assente. È rilevante che i giovani, di ambo i
sessi, in accordo con i risultati di Gratton et al. (2007) e di Guiso et al. (2008),
attribuiscano le difficoltà di inserimento in azienda e nei team di lavoro alla mancanza
di esperienza e non a differenze di genere né di formazione.
In sede di conclusioni, i risultatati ottenuti consentono di formulare alcune
considerazioni finali riguardanti sia il tema trattato in generale sia il caso studio.
Nel suo complesso, lo studio svolto consente di ritenere che il gender gap sia un
fenomeno ancora diffuso nel mondo, pur con grandi differenze settoriali e geografiche.
L’educazione scolastica contribuisce in modo crescente alla riduzione del divario di
genere, ma ancora molte sono le determinanti di natura sociale e culturale che
impongono alle donne percorsi lavorativi meno remunerativi e più impervi rispetto a
quello degli uomini. Il continuo progresso e la maggiore diffusione di tecnologie che
agevolano la circolazione dell’informazione, in particolare le più avanzate o cutting
edge, potrebbero favorire ulteriormente le donne, che appaiono nel complesso
particolarmente versate verso le STEM. Contro questo gioca un ruolo determinante la
resistenza di molti pregiudizi maschili.
Troppo spesso, la scelta di molte di rinunciare alla carriera in favore della cura della
famiglia è giudicata come una loro volontà. Questa idea non corrisponde al pensiero
delle donne, che ritengono invece di non trovare nella società un pieno sostegno che le
metta in grado di sfruttare tutte le opportunità che si presentano, come rilevato sia nel
caso studio sia in letteratura.
Il caso studio appare rilevante proprio perché dedicato a un’azienda multinazionale al
cui interno il gender gap è molto elevato; il numero delle donne impiegate da NTT
97
DATA raggiunge non più del 30% del totale dei dipendenti e il numero di manager di
sesso femminile è basso e sporadico nei livelli di top management. Se considerata in
termini assoluti, la politica di riduzione del divario di genere decisa da NTT DATA
Global non può essere indicata come best practice. Il giudizio può cambiare se, invece,
si considera il chiaro orientamento strategico di riduzione del divario. I dati sulle recenti
assunzioni di molte donne, specialmente nelle aziende overseas, anche per posizioni
STEM, indicano che NTT DATA si è posta il problema e che sta agendo per attenuarne i
termini e, in prospettiva, di risolverlo. Se la mission del Gruppo è l’applicazione delle
ITC al miglioramento del benessere umano nel quadro della sostenibilità, non poteva
trascurare che uno degli obiettivi di Agenda 2030 è la riduzione del gender gap né che i
17 obiettivi sono da vedere come un sistema integrato e non come una raccolta di goal
da raggiungere separatamente.
Lo svolgimento dello studio consente anche alcune considerazioni personali. Ho
affrontato il tema nell’ambiente del mio primo lavoro sulla spinta di un interesse
personale. L’esperienza mi ha consentito di vedere sotto una prospettiva diversa le mie
percezioni precedenti; ho rafforzato l’idea che il tema non abbia solo risvolti personali
né che riguardi solo le donne; il suo valore è molto più ampio, riguarda ogni aggregato
sociale di tutto il mondo, ha importanti risvolti socioeconomici, politici variabili
spazialmente.
La mia è, poi, un’esperienza formativa, in quanto mi trovo a lavorare con colleghi
prevalentemente specializzati in materie STEM, mentre io ho una preparazione
economica, orientata al marketing. In tal senso, ho maturato la convinzione che la
conoscenza dei molti aspetti che riguardano il gender gap abbia una grande importanza
sia per il marketing strategico sia per le conseguenti scelte operative di organizzazione e
gestione aziendale.
Infine, i risultati dalla tesi e, in particolare, quelli emersi dallo studio di caso possono
essere utili a NTT DATA per orientare le azioni già intraprese per ridurre il divario di
genere tenendo conto della percezione delle donne che lavorano in azienda.
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