incontro febbraio 2010

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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VI - N. 1 – Febbraio 2010 Con il numero di febbraio 2010 il perio- dico della nostra comunità ecclesiale “Incontro per una Chiesa Viva” inizia il suo sesto anno di vita. In verità le sue radici vanno cercate negli ultimi anni sessanta del secolo passato, all’inizio del ministero pastorale a Ravello di mons. Giuseppe Imperato Senior, che per primo intuì l'importanza di un foglio mensile che egli da provetto scrittore curava perso- nalmente per tenere il filo tra il parroco ed i membri della comu- nità. Il primo numero con il titolo "Incontro”-Bollettino Parrocchia- le- Santa Maria Assunta-Ravello, apparve nel novembre 1968. Da quella data, per sei anni consecu- tivi, sino al novembre 1974, il periodico parrocchiale di Santa Maria Assunta uscì mensilmente; successivamente si limitò, nel corso dell’anno, a qualche nume- ro unico per speciali avvenimenti; infine, e per oltre un decennio, la pubblicazio- ne di “Incontro” restò sospesa. Soltanto nel mese di febbraio 2005 in vista della celebrazione dell’ XVII° centenario del Marti- rio di San Pantaleone (305-2005) che quell’anno la comunità cri- stiana di Ravello avrebbe solennizzato con un convegno di studi sul santo mega- lomartire e con particolare solennità liturgica nella tradizionale festa patrona- le del 26-27 luglio, fu ripresa la pubbli- cazione del periodico parrocchiale, e si inaugurò la sua nuova serie con il nuovo programmatico titolo “Incontro per una Chiesa Viva”. Si partì allora con la spontanea e generosa disponibilità di alcuni giovani cui si sono uniti in seguito altri valenti collaboratori che hanno permesso di mantenere fede all’impegno assunto: offrire alla comuni- tà cristiana di Ravello un modesto ma efficace strumento di comunicazione di notizie ed informazioni religiose relative alla realtà della Chiesa, alla formazione e alla crescita della vita cristiana e creare un punto di aggregazione tra le varie componenti della comunità cristiana lo- cale in vista e a sostegno dell’auspicato necessario cammino comune da compie- re per costruire il Regno di Dio sul no- stro territorio. Le pagine del periodico parrocchiale sono testimoni di un pezzet- to di storia della comunità cristiana ravel- lese; pagine che hanno cercato di foto- grafarne i momenti forti, le figure signifi- cative di oggi e di ieri, l’autentica e quali- ficante identità cristiana di un popolo ricco di tradizioni religiose sempre biso- gnose di rievangelizzazione. Informare e formare è stata la linea guida, seguita in questi anni dalla redazione. Spazi concessi a mo- menti di riflessione spirituale, sug- geriti in special modo dai testi uffi- ciali del magistero hanno voluto offrire preziosi spunti per la cresci- ta personale dei lettori; ricco anche lo spazio della storia locale per non perderne il ricordo e per trasmet- terla in special modo alle giovani generazioni; preziosa l’arricchente documentazione sull’attività di gruppi e associazioni raccolta in queste pagine che ne testimoniano le numerose attività e ne evidenzia- no la crescita umana e spirituale che ha reso un po' tutti protagonisti di questa comunità ecclesiale. A "Incontro per una chiesa viva” è affidato dunque il compito di far sentire ogni lettore membro di una comunità che intende vivere con gioia e speranza il vangelo di Gesù coltivando ‘una fede matura e pensante’che dà il primato alla Parola di Dio, si incontra settimanalmente con il suo Signore partecipando al Banchetto Eucaristico e rendendo coraggiosa testi- monianza della fede nell’esercizio della carità e nell’apostolato vivendo uno stile di autentica fraternità evangelica in rispo- sta alla propria vocazione cristiana. Don Giuseppe Imperato Fedeltà ad un compito P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Don Giuseppe Imperato PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO Anno VI - N. 1 – Febbraio 2010 disponibilità di alcuni giovani cui si sono uniti in seguito altri valenti collaboratori che hanno permesso di mantenere fede all’impegno assunto: offrire alla comuni- tà cristiana di Ravello un modesto ma efficace strumento di comunicazione di

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Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VI - N. 1 – Febbraio 2010

Con il numero di febbraio 2010 il perio-dico della nostra comunità ecclesiale “Incontro per una Chiesa Viva” inizia il suo sesto anno di vita. In verità le sue radici vanno cercate negli ultimi anni sessanta del secolo passato, all’inizio del ministero pastorale a Ravello di mons. Giuseppe Imperato Senior, che per primo intuì l'importanza di un foglio mensile che egli da provetto scrittore curava perso-nalmente per tenere il filo tra il parroco ed i membri della comu-nità. Il primo numero con il titolo "Incontro”-Bollettino Parrocchia-le- Santa Maria Assunta-Ravello, apparve nel novembre 1968. Da quella data, per sei anni consecu-tivi, sino al novembre 1974, il periodico parrocchiale di Santa Maria Assunta uscì mensilmente; successivamente si limitò, nel corso dell’anno, a qualche nume-ro unico per speciali avvenimenti; infine, e per oltre un decennio, la pubblicazio-ne di “Incontro” restò sospesa. Soltanto nel mese di febbraio 2005 in vista della celebrazione dell’ XVII° centenario del Marti-rio di San Pantaleone (305-2005) che quell’anno la comunità cri-stiana di Ravello avrebbe solennizzato con un convegno di studi sul santo mega-lomartire e con particolare solennità liturgica nella tradizionale festa patrona-le del 26-27 luglio, fu ripresa la pubbli-cazione del periodico parrocchiale, e si inaugurò la sua nuova serie con il nuovo programmatico titolo “Incontro per una Chiesa Viva”. Si partì allora con la spontanea e generosa

disponibilità di alcuni giovani cui si sono uniti in seguito altri valenti collaboratori che hanno permesso di mantenere fede all’impegno assunto: offrire alla comuni-tà cristiana di Ravello un modesto ma efficace strumento di comunicazione di

notizie ed informazioni religiose relative alla realtà della Chiesa, alla formazione e alla crescita della vita cristiana e creare un punto di aggregazione tra le varie componenti della comunità cristiana lo-cale in vista e a sostegno dell’auspicato necessario cammino comune da compie-re per costruire il Regno di Dio sul no-stro territorio. Le pagine del periodico parrocchiale sono testimoni di un pezzet-

to di storia della comunità cristiana ravel-lese; pagine che hanno cercato di foto-grafarne i momenti forti, le figure signifi-cative di oggi e di ieri, l’autentica e quali-ficante identità cristiana di un popolo ricco di tradizioni religiose sempre biso-

gnose di rievangelizzazione. Informare e formare è stata la linea guida, seguita in questi anni dalla redazione. Spazi concessi a mo-menti di riflessione spirituale, sug-geriti in special modo dai testi uffi-ciali del magistero hanno voluto offrire preziosi spunti per la cresci-ta personale dei lettori; ricco anche lo spazio della storia locale per non perderne il ricordo e per trasmet-terla in special modo alle giovani generazioni; preziosa l’arricchente documentazione sull’attività di gruppi e associazioni raccolta in queste pagine che ne testimoniano le numerose attività e ne evidenzia-no la crescita umana e spirituale che ha reso un po' tutti protagonisti di questa comunità ecclesiale. A "Incontro per una chiesa viva” è affidato dunque il compito di far sentire ogni lettore membro di una comunità che intende vivere con gioia e speranza il vangelo di Gesù coltivando ‘una fede matura e

pensante’che dà il primato alla Parola di Dio, si incontra settimanalmente con il suo Signore partecipando al Banchetto Eucaristico e rendendo coraggiosa testi-monianza della fede nell’esercizio della carità e nell’apostolato vivendo uno stile di autentica fraternità evangelica in rispo-sta alla propria vocazione cristiana.

Don Giuseppe Imperato

Fedeltà ad un compito

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 32° Giornata Nazionale per la vita

(7 febbraio 2010)

“La forza della vita una sfida nella povertà" Chi guarda al benessere economico alla luce del Vangelo sa che esso non è tutto, ma non per questo è indifferente. Infatti, può servire la vita, rendendola più bella e apprezzabile e perciò più umana. Fedele al messaggio di Gesù, venuto a salvare l'uomo nella sua interezza, la Chiesa si impegna per lo sviluppo umano integrale, che richiede anche il supera-mento dell'indigenza e del bisogno. La disponibilità di mezzi materiali, arginan-do la precarietà che è spesso fonte di ansia e paura, può concorrere a rendere ogni esistenza più serena e distesa. Consente, infatti, di provve-dere a sé e ai propri cari una casa, il necessario sostenta-mento, cure mediche, istru-zione. Una certa sicurezza economica costituisce un'op-portunità per realizzare pie-namente molte potenzialità di ordine culturale, lavorativo e artistico. Avvertiamo perciò tutta la drammaticità della crisi fi-nanziaria che ha investito molte aree del pianeta: la povertà e la mancanza del lavoro che ne derivano possono avere effetti disumaniz-zanti. La povertà, infatti, può abbrutire e l'assenza di un lavoro sicuro può far per-dere fiducia in se stessi e nella propria dignità. Si tratta, in ogni caso, di motivi di inquietudine per tante famiglie. Molti genitori sono umiliati dall'impossibilità di provvedere, con il proprio lavoro, al be-nessere dei loro figli e molti giovani sono tentati di guardare al futuro con crescen-te rassegnazione e sfiducia. Proprio perché conosciamo Cristo, la Vita vera, sappiamo riconoscere il valore della vita umana e quale minaccia sia insita in una crescente povertà di mezzi e risorse. Proprio perché ci sentiamo a servizio della vita donata da Cristo, ab-biamo il dovere di denunciare quei mec-canismi economici che, producendo po-vertà e creando forti disuguaglianze so-

ciali, feriscono e offendono la vita, col-pendo soprattutto i più deboli e indifesi. Il benessere economico, però, non è un fine ma un mezzo, il cui valore è deter-minato dall'uso che se ne fa: è a servizio della vita, ma non è la vita. Quando, anzi, pretende di sostituirsi alla vita e di diven-tarne la motivazione, si snatura e si per-verte. Anche per questo Gesù ha procla-mato beati i poveri e ci ha messo in guar-dia dal pericolo delle ricchezze (cfr Lc

6,20-25). Alla sua sequela e testimoniando la liber-tà del Vangelo, tutti siamo chiamati a uno stile di vita sobrio, che non confonde la ricchezza economica con la ricchezza di vita. Ogni vita, infatti, è degna di essere vissuta anche in situazioni di grande po-vertà. L'uso distorto dei beni e un dissen-nato consumismo possono, anzi, sfociare in una vita povera di senso e di ideali elevati, ignorando i bisogni di milioni di uomini e di donne e danneggiando irre-parabilmente la terra, di cui siamo custo-di e non padroni. Del resto, tutti cono-sciamo persone povere di mezzi, ma ric-che di umanità e in grado di gustare la vita, perché capaci di disponibilità e di dono. Anche la crisi economica che stia-mo attraversando può costituire un'occa-sione di crescita. Essa, infatti, ci spinge a riscoprire la bellezza della condivisione e

della capacità di prenderci cura gli uni degli altri. Ci fa capire che non è la ric-chezza economica a costituire la dignità della vita, perché la vita stessa è la prima radicale ricchezza, e perciò va strenua-mente difesa in ogni suo stadio, denun-ciando ancora una volta, senza cedimenti sul piano del giudizio etico, il delitto dell'aborto. Sarebbe assai povera ed egoi-sta una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande. Del resto, come insegna il Papa Benedetto XVI nella recente Enciclica Caritas in veritate, "rispondere alle esi-genze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico" (n. 45), in quanto "l'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economi-ca" (n. 44). Proprio il momento che at-traversiamo ci spinge a essere ancora più solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione economica, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza, e ci impegna a manifestare concretamente loro aiuto e vicinanza. Ci fa ricordare che, nella ric-chezza o nella povertà, nessuno è padro-ne della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale. L’ABBANDONO E L’INDIFFERENZA

Sono una grande povertà Dove stanno i nostri genitori anziani? Dove stanno? Un giorno visitai una casa di riposo: una delle migliori in Inghilterra. Non ricordo di aver mai visto cose tanto belle e lussuose in una casa per vecchi. Tuttavia non c’era un solo sorriso sui volti dei ricoverati. Tutti quei vecchi tenevano lo sguardo rivolto verso la porta. Chiesi a una suora: “Perché sono così?”. La suora mi rispose: “E’ così tutti i giorni. Sono sempre in attesa che qualcuno venga a trovarli. La solitudine li consuma e non cessa-no di guardare verso la porta. Ma non viene mai nessuno”.

Beata M. Teresa di Calcutta

PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Siamo un terreno da seminare sen-za fretta, i contorni sfumati che saggiano un foglio da disegno con timore e forme immaginarie, sia-mo una fitta, popolosa, incontrol-labile ragnatela di linee tracciate e da ispessire con l’ esperienza, le prove, il dolore e i sorrisi che arri-veranno, l’ispirazione che precede il comporre, la prima battuta dello spartito, la chiave che chiama le note per nome, il feto che si nutre e metterà forma. Siamo perché siamo stati desiderati e con passione, con sacrificio. Im-perfetti o generosi, irriconoscen-ti, talvolta geniali e distratti. Eppu-re voluti. La vita, nelle sue espressioni multi-formi, è l’ossimoro che incanta, la creatura dolce amara di cui cia-scuno, a suo modo, è irrimediabilmente innamorato: per il procedere talvolta incerto e sofferente e per quei bagliori improvvisi di luce che cambiano una giornata come un fiato di vento spirato con forza contro una muraglia di nubi. Eccezionale per il suo divenire lento o burrascoso, per saper solleticare instan-cabilmente la parte di noi che ancora, e dopo tutto, dopo le prove peggiori, pulsa impaziente chiedendo di venire fuori e di dare il meglio. Straordinaria e spietata, amara ed eccessiva, facile ed intricata, frastagliata scogliera di eventi, sogni, nascite ed addii, pianura densa di eredità e ricordi, di sorprese, gara da vincere come primi, più spesso da ultimi, da partecipanti o da nuovi arrivati. Tragica e sognante, trascinante e talvolta terribil-mente oscura. Ma nostra. Non conosco l’esatta quantità di coraggio presente in ognuno di noi, una specie di armatura contro il male e le prove che si addensa-no sulla pelle lasciando dedali di cicatrici ostinate, ma sento la gioia come sento il riverbero del sole ed il ticchettio della pioggia. Sento che per ogni cosa data, sacrificata, per ogni momento in cui ab-biamo rinunciato ad un sorriso, alla gioia e ad una speranza, ci sarà dato in cambio

molto di più, e se non a noi, a chi sarà dopo di noi. Credo nell’essere stata scelta come tutti gli altri, scelta ancora prima di volerlo, ancora prima di arrendermi. E per questo dono, che non mi appartie-ne e che non sarà mio per sempre, vale la pena impegnarsi, provare ad essere felici e volere far parte del mondo e dei suoi giochi, vale la pena resistere e sognare, amare, continuare, sperare ed insegnare a farlo. Nello spazio in cui il dono sarà mio, non rinuncerò al sorriso perché mille altri motivi mi indurranno a fare il contrario, non rinuncerò ad un progetto perché intorno si sfaldano fondamenta ed alleanze. Voglio sentire la fine della melodia, l’ultima battuta, vedere ancora quante linee saranno tracciate ed intrecciate alle mie, quante architetture di note chiame-rà la mia chiave, quali forme bizzarre o rassicuranti avrà il mio disegno e quanta rigogliosa bellezza crescerà nel terreno di cui sono parte e, poi, tutto intorno a me. E già solo per questa attesa, dirò grazie da oggi ai giorni che verranno.

Emilia Filocamo

Neppure uno Mettiamo che, per gioco, mi venga posta la domanda: «Se, a causa di un cataclisma, il mondo, con tutte le sue biblioteche pubbli-che e private, andasse distrutto, quale unico libro vorrebbe salvare?». Risponderei così: se dobbiamo rimanere senza libri preferirei non averne più neppure uno. Che ci sia finalmen-te tutto da ripensare. Certo, qualcuno po-trebbe dire: salviamo il libro per eccellenza, salviamo la Bibbia. Io avrei qualche dubbio sulla convenienza che se ne ricaverebbe. Se è vero, come è vero, che l'Antico e il Nuovo Testamento sono parola di Dio, sarebbe me-raviglioso che l'ultimo uomo pensante rima-sto in piedi avesse un incontro completamen-te nuovo con Dio. Sarebbe bellissimo perché dietro di noi, dopo la catastrofe, non ci sareb-be altro che orrore e sgomento e, in qualche modo, anche il sospetto su Dio che ha per-messo tutto questo. Allora ci sarebbe un incontro totale tra l'uomo e il suo Dio, que-sto Dio inconoscibile e ineffabile. Allora sor-gerebbero tutte le domande che da sempre si azzuffano nel cuore dell'uomo: il bene e il male. Ma dell'indicibile è meglio tacere. Ha detto bene Wittgenstein: «Arriviamo al limi-te di tutto ciò che possiamo dire. Di ciò che non si può dire si tace». Non pianto, ma sorriso Permettetemi di raccontare, in questa breve conversazione del mattino, una storiella che ho ritrovato stanotte, tra le mie vecchie car-te, poiché non riuscivo a dormire. Mi piace riproporla poiché, come spesso per i piccoli aneddoti, ognuno può darle il significato che vuole. Eccola. Un uomo aveva passato la vita a chiedersi quale fosse per lui la volontà di Dio. Aveva lavorato, si era sposato, aveva avuto dei figli, ma sempre qualcosa dentro di sé gli avanzava e chiedeva a Dio cosa fosse e come utilizzarla. Ma Dio, come al suo solito, taceva. L'uomo diventò vecchio e si ritrovò sul letto di morte. E ancora si chiedeva quale fosse stata la volontà di Dio per lui. C'era un piccolo Crocefisso sul comodino e l'uomo lo guardò per chiedergli ancora una volta che gli fosse spiegato il significato della sua vita. Allora sentì montargli dal fondo della gola un pizzicorino, come gli venisse voglia di piange-re. Invece il pizzicorino montò su e addolcì i lineamenti del vecchio uomo che provò me-raviglia che quello non fosse pianto, ma un sorriso, profondo, umido. Sentiva sorridere tutta l'anima sua e, per la prima volta, provò una pace completa, una pienezza di vita mai prima provata. In quel momento, morì.

La vita: un dono che non mi appartiene…

I Giorni della Vita di Ferruccio Palazzoli

PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Cari fratelli e sorelle! Il prossimo 11 febbraio, memoria liturgi-ca della Beata Vergine Maria di Lourdes, si celebrerà nella Basilica Vaticana la XVIII Giornata Mondiale del Malato. La felice coincidenza con il 25° anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari costituisce un motivo ulteriore per ringraziare Dio del cammino sinora percorso nel settore della pastorale della salute. Auspico di cuore che tale ricorrenza sia occasione per un più generoso slancio apostolico al servizio dei malati e di quanti se ne pren-dono cura. Con l’annuale Gior-nata Mondiale del Malato la Chiesa intende, in effetti, sensibilizzare capil-larmente la comunità ecc les ia le circa l’importanza del servizio pastorale nel vasto mondo della salute, servizio che fa parte integrante della sua missione, poiché si inscrive nel solco della stessa missione salvifica di Cristo. Egli, Medico divino, “passò beneficando e risanando tutti colo-ro che stavano sotto il potere del diavolo” (At 10,38). Nel mistero della sua passione, morte e risur-rezione, l’umana sofferenza attinge senso e pienezza di luce. Nella Lettera apostoli-ca Salvifici doloris, il Servo di Dio Giovan-ni Paolo II ha parole illuminanti in propo-sito. “L’umana sofferenza – egli ha scritto - ha raggiunto il suo culmine nella passio-ne di Cristo. E contemporaneamente essa è entrata in una dimensione completa-mente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore…, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, ricavandolo per mezzo della soffe-renza, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo, e costantemente prende

da essa il suo avvio. La Croce di Cristo è diventata una sorgente, dalla quale sgor-gano fiumi di acqua viva” (n. 18). Il Signore Gesù nell’Ultima Cena, prima di ritornare al Padre, si è chinato a lavare i piedi agli Apostoli, anticipando il supre-mo atto di amore della Croce. Con tale gesto ha invitato i suoi discepoli ad entra-re nella sua medesima logica dell’amore che si dona specialmente ai più piccoli e ai bisognosi (cfr Gv 13,12-17). Seguendo il suo esempio, ogni cristiano è chiamato a rivivere, in contesti diversi e sempre nuovi, la parabola del buon Samaritano,

il quale, passando accanto a un uomo lasciato mezzo morto dai briganti sul ciglio della strada, “vide e ne ebbe com-passione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo cari-cò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo paghe-rò al mio ritorno»” (Lc 10, 33-35). A conclusione della parabola, Gesù dice: “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,37). Con queste parole si rivolge anche a noi. Ci esorta a chinarci sulle ferite del corpo e dello spirito di tanti nostri fratelli e sorel-le che incontriamo sulle strade del mon-

do; ci aiuta a comprendere che, con la grazia di Dio accolta e vissuta nella vita di ogni giorno, l’esperienza della malattia e della sofferenza può diventare scuola di speranza. In verità, come ho affermato nell’Enciclica Spe salvi, “non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l'uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di ma-turare, di trovare senso mediante l'unio-ne con Cristo, che ha sofferto con infini-to amore” (n. 37). Già il Concilio Ecumenico Vaticano II richiamava l’importante compito della

Chiesa di prendersi cura dell’umana sofferenza. Nella Costituzione dogma-tica Lumen gentium leggiamo che “come Cristo... è stato inviato dal Padre «ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore con-trito» (Lc 4,18), «a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda di affettuosa cura quan-ti sono afflitti dall’umana debolez-za, anzi riconosce

nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l’indigenza e in loro cerca di servire il Cristo” (n. 8). Questa azione umanitaria e spirituale della Comunità ecclesiale verso gli am-malati e i sofferenti nel corso dei secoli si è espressa in molteplici forme e strutture sanitarie anche di carattere istituzionale. Vorrei qui ricordare quelle direttamente gestite dalle diocesi e quelle nate dalla generosità di vari Istituti religiosi. Si trat-ta di un prezioso “patrimonio” risponden-te al fatto che “l’amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato” (Enc. Deus caritas est, 20). La creazione del

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA XVIII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, venticinque anni or sono, rien-tra in tale sollecitudine ecclesiale per il mondo della salute. E mi preme aggiun-gere che, nell’attuale momento storico-culturale, si avverte anche più l’esigenza di una presenza ecclesiale attenta e capil-lare accanto ai malati, come pure di una presenza nella società capace di trasmet-tere in maniera efficace i valori evangelici a tutela della vita umana in tutte le fasi, dal suo concepimento alla sua fine natu-rale. Vorrei qui riprendere il Messaggio ai poveri, ai malati e a tutti coloro che soffrono, che i Padri conciliari rivolsero al mondo, al termine del Concilio Ecumenico Vati-cano II: “Voi tutti che sentite più grave-mente il peso della croce – essi dissero - … voi che piangete… voi sconosciuti del dolore, riprendete coraggio: voi siete i preferiti del regno di Dio, il regno della speranza, della felicità e della vita; siete i fratelli del Cristo sofferente; e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo!” (Ench. Vat., I, n. 523*, [p. 313]). Ringrazio di cuore le persone che, ogni giorno, “svolgono il servizio verso i malati e i sofferenti”, facendo in modo che “l'apostolato della misericordia di Dio, a cui attendono, risponda sempre meglio alle nuove esigenze” (Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, art. 152). In quest’Anno Sacerdotale, il mio pensie-ro si dirige particolarmente a voi, cari sacerdoti, “ministri degli infermi”, segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza. Vi invito, cari presbiteri, a non risparmiarvi nel dare loro cura e conforto. Il tempo trascorso accanto a chi è nella prova si rivela fecondo di grazia per tutte le altre dimensioni della pasto-rale. Mi rivolgo infine a voi, cari malati, e vi domando di pregare e di offrire le vostre sofferenze per i sacerdoti, perché possano mantenersi fedeli alla loro voca-zione e il loro ministero sia ricco di frutti spirituali, a beneficio di tutta la Chiesa. Con tali sentimenti, imploro sugli amma-lati, come pure su quanti li assistono, la materna protezione di Maria Salus Infir-morum, e a tutti imparto di cuore la Bene-dizione Apostolica. Dal Vaticano, 22 Novembre 2009, Solennità di N.S. Gesù Cristo, Re dell’Universo.

BENEDETTO XVI

Si dice spesso “pensa alla salute”. I soldi non fanno la felicità, la salute sì; è fonda-mentale. A tale aspetto della vita non ci si fa caso da giovani, quando freschi e ram-panti, affrontiamo le giornate, senza pre-occupazioni o nubi che velino i nostri cieli azzurri. Con l’età, invece, comincia-mo ad ascoltare la voce dei nostri padri e ai primi duraturi acciacchi, rinuncerem-mo totalmente alle ricchezze accumulate per un po’ di benessere. Per capire come si sente una persona malata e debilitata fisicamente, bisogne-rebbe mettersi anche per un giorno nei suoi panni, afferrare cosa significa dipendere interamente da un altro, provare ad intui-re che cosa è sentirsi sen-za forse, senza pace, senza vitalità. Purtroppo non si fa mai, e chiusi in un egoismo egocen-trico – tipico del nostro vivere insieme- tiriamo avanti, con l’idea che tale fase, quel tramonto, per noi sia lontano, assolutamente di là da venire. La carità cristiana è dimenticata, la solidarietà si trasforma in comportamento alieno da evitare e l’umana natura di aiutare il prossimo è abbattuta a favore di un orien-tamento personalistico interamente rivol-to a se stessi. Ecco perché, soprattutto in questo secolo nuovo, diviene fondamentale sostenere l’annuale Giornata Mondiale del Malato (il prossimo 11 febbraio); che punta a far comprendere l’importanza del servizio pastorale nel vasto mondo della salute, servizio che fa parte integrante della sua missione, poiché s’inscrive nel solco del-lo stesso mandato salvifico di Cristo. Cristo è morto sulla croce per noi. Cristo ha sofferto. Cristo non si è tirato indie-tro, ma si è donato all’altro. Bene, nel nostro piccolo, dovremmo fare lo stesso. Soprattutto nei confronti dei più bisogno-si, soprattutto nei confronti dei sofferen-ti. Nel messaggio dedicato a tale Giornata, il Papa riprende la parabola del buon Sama-ritano, invitando i sacerdoti “ministri degli infermi” e tutti noi, a seguire il suo

esempio. Il Samaritano trova sulla sua strada un uomo lasciato mezzo morto dai briganti. Ne ha compassione. Potrebbe andare via, ma non lo fa. Gli si avvicina, gli fascia le ferite, “versandovi olio e vi-no”, lo carica sul suo cavallo, lo porta in un albergo e si prende cura di lui. Il gior-no seguente, tira fuori due denari e li porge all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. (Lc 10, 33-35). Oggi sarebbe impensabile. Abbiamo per-so di vista le cose importanti e ogni gesto

caritatevole nei confronti dei bisognosi, è concepito come qualcosa di sciocco, di assurdo. La “Giornata del Malato”ci vuole ricorda-re proprio questo: la carità è il percorso che ci porta a Dio, che ci spinge verso di lui e nella sua gloria. “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,37), dice Gesù. “Sarebbe il momento!”, aggiungiamo noi. Un apo-stolato della misericordia che non si può delegare solo al prete deputato “a guarire quelli che hanno il cuore contrito” (Lc 4,18), “a cercare e salvare ciò che era perduto”, ma anche a noi, cristiani, fedeli testimoni del Padre. Nel nostro piccolo, pensateci, un gesto d’amore nei confronti dei malati costa poco, ma arricchisce molto. E allora, arricchiamoci di questo nuova moneta, fatta d’amore e misericordia, di affettuo-sa cura e umana generosità. Solo così si potrà salvare la nostra anima dalla corru-zione del Male più oscuro e peccamino-so, le cui piaghe nessuna cura potrà mai alleviare.

Iolanda Mansi

MISERICORDIA D’AMORE

PAGINA 6 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La liturgia della Parola, che ci sta accom-pagnando in queste settimane del tempo Ordinario, ci presenta l’inizio della vita pubblica di Gesù e rinnova l’invito che Giovanni Paolo II propose, all’inizio del Suo pontificato, a tutti gli uomini di buo-na volontà: Non abbiate paura! Anzi spa-lancate le porte al Signore Gesù Cristo. Anche Papa Benedetto XVI, all'inizio del Suo Pontificato, propose la necessità di aprirsi all’incontro con Gesù e invitò a vivere l'Adorazione Eucaristica come momento privilegiato per affidarsi all’ Amore del Signore. Il 20 Aprile 2005 il Papa Benedetto chiese "di intensificare nei prossimi mesi l'amore e la devozione a Gesù Eucaristia e di esprimere in modo coraggioso e chiaro la fede nella presenza reale del Signore". In sintonia profonda con il cammino della Chiesa universale, anche quest’anno desidero invitarvi a prepararvi attentamente alle Sante Qua-rantore che, come consuetudi-ne, vivremo all’inizio della Santa Quaresima. Esse ci ri-proporranno l’occasione di ascoltare la Parola del Signore e di adorarLo. Insegna Papa Benedetto che “nell’eucarestia il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi”. Quindi Gesù ci offre la preziosa occasione di incontrarLo e così, spalancando i nostri cuori, fare l’esperienza viva della sua Presenza d’amore nella nostra vita. Come afferma Giovanni Paolo II, è ne-cessario non solo aprire ma soprattutto spalancare con fiducia le porte del nostro cuore e, superando le nostre paure, a-prirci ad un abbraccio fiducioso con l’amore misericordioso di Dio. A tal fine mi sembrano utili alcuni insegnamenti di san Tommaso D’Aquino che, di recente, abbiamo ricordato nella memoria liturgi-ca dello scorso 28 gennaio. Nella sua vita il Santo maturò una forte attenzione spi-rituale e teologica al Mistero Eucaristico e si preparava devotamente alla ricezione proficua del Santissimo Sacramento. In una preghiera, presente nell’appendice del Messale, San Tommaso affermava: Onnipotente ed Eterno Iddio, dammi, te ne

prego, di ricevere non solo il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma anche l’effetto e le virtù del Sacramento. Ed a tal fine egli implorava Iddio di poter vivere l’incontro eucaristico, disponendo il suo cuore, con riverenza e umiltà, contrizio-ne e devozione, purezza e fede. Queste meravigliose espressioni non erano solo il frutto di un’attenta riflessio-ne teologica, ma di una sincera ed appas-sionata ricerca di Dio. Infatti San Tom-maso fu innanzitutto un vero e profondo Maestro Spirituale che seppe coniugare la sua vita in un’intima ricerca dell’ unione con Cristo Signore. La riverenza e l’umiltà sono virtù di grande importanza per potersi accostare al Santissimo Sacramento dell’Eucarestia. Non di rado si può osservare come, nelle

nostre Assemblee, al momento di riceve-re l’Eucarestia, ci sia distrazione e super-ficialità. Oggi è finanche possibile riceve-re Gesù tra le mani, ma alcuni non consi-derano il grande Dono ricevuto. Il racco-glimento e la devozione esprimono la consapevolezza del credente che, aman-do il Signore con tutta l’anima, con tutta le mente e con tutto il cuore, avverte la propria piccolezza di creatura dinanzi al Creatore. Sant’Alfonso Maria de’ Liguo-ri, nel testo della Visita al Santissimo Sacramento, scriveva “I sovrani della terra non sempre, né facilmente danno udienza; invece il re del cielo, nascosto sotto i veli euca-ristici, è pronto a ricevere chiunque”. La con-trizione e la devozione esprimono inoltre la necessità di esprimere al Signore onni-potente l’affetto del cuore che avverte la propria miseria e il proprio limite per le tante mancanze che non corrispondono

all’amore del Signore. Infine la purezza e la fede richiamano la grande beatitudine: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. La purezza è la virtù necessaria alla fede, e la fede ci richiama sempre ad avere un cuore puro e limpido da ogni egoismo ed attaccamento al peccato. Anche San Gio-vanni Bosco, con il suo gran cuore, ricor-dava ai suoi ragazzi: volete che il Signore vi faccia molte grazie? Visitatelo sovente. Volete che ve ne faccia poche? Visitatelo di rado. Volete che il demonio vi assalti? Visitate di rado Gesù sacramentato. Volete che fugga da voi? Visitate sovente Gesù. Volete vincere il demonio? Rifugiatevi sovente ai piedi di Gesù. La purezza, richiamata da San Tommaso, ci ricorda l’importanza di una vita armo-niosa ed integralmente equilibrata nelle profondità del nostro cuore, della nostra

mente e della nostra volontà. Sembrerebbe una disquisi-zione psicologica. Invece, se cerchiamo di vigilare sui nostri pensieri e cerchiamo di accompagnare la nostra vita con atti di volontà posi-tivi ed ispirati dall’amore, la Luce della Grazia divina co-mincerà a diffondere intorno a noi quella pace tanto desi-derata. Certo le prove non mancano mai nella vita di ogni uomo, ma quando sia-

mo attenti ad evitare le trappole dell’orgoglio e dell’abbattimento possia-mo attingere la forza per affrontare an-che i momenti più impegnativi. Raccomanda San Tommaso: Signore fa che non mi insuperbisca nelle circostanze liete e non mi abbatta nei momenti difficili, fa che io non gioisca se non di quello che a te piace e non mi addolori se non di quello che da Te mi allontana. L’abbattimento e l’esaltazione, la gioia e il dolore devono trovare in Dio il punto di riferimento per poter regolare la nostra vita. Ecco perché nei giorni delle Sante Quarantore tutti avremo una opportunità unica per verificare la nostra vita e centrarla nell’Amore del Signore. Così sarà possibile ritrovare quella pace che da tempo cerchiamo e che forse an-cora non abbiamo pienamente raggiunto.

Don Carlo Magna

Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”

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Un detto popolare recita “La salute pri-ma di tutto”. Eppure tante volte diamo per scontato questo bene prezioso. Ci lasciamo trascinare dal turbinio della quotidianità e dai suoi piccoli grandi pro-blemi e ci illudiamo che tutto ci sia dovu-to, comportandoci come dei viziati “figli di papà”. E così, come accade per la maggior parte dei beni che possediamo, ne apprezzia-mo fino in fondo il valore solo quando vengono me-no. La parola con-fortante di un’amica, il r a s s i cura nte abbraccio di un marito, il dolce sorriso di una moglie. Tutte cose che sembrano banali, ma in realtà impreziosiscono le nostre giornate, senza che ce ne accorgiamo. Anche le più grigie. Così, anche la salute rende mi-gliore la qualità della nostra vita poiché siamo fatti anche di “carne”. Ed è durante l’assenza di completo benessere fisico che è percepibile la sua importanza. Eppure, la malattia è una moneta dalle due facce: se da un lato colpisce il nostro fisico, dall’altro scuote la nostra anima. Tante volte, infatti, quando abbiamo tutto e cavalchiamo l’onda del successo, ci comportiamo con superficialità e la-sciamo persino Dio in un angolino, illu-dendoci di non averne bisogno. Ed è proprio nel momento della difficoltà che si riascolta nel silenzio la sua voce, che prima non avevamo udito perché troppo distratti dai rumori della città, dalle chiacchiere della gente, dalla frenesia della vita. Non dobbiamo dimenticare, poi, l’esistenza di un’altra “forma di morbo”. Una forma da molti, erroneamente, sot-tovalutata. Quella delle malattie dell’ “animo”. Quelle più spietate, quelle più invasive, quelle che ti rodono dentro e

cercano di lasciarti una ferita nel profon-do. Come dice Jules Romanis: “Le per-sone sane sono malati che s’ignorano”. Ed è così, se ci fermiamo a riflettere. I “sani” possono covare malattie ignote ai più. Vuoi che si tratti di disagi spirituali, vuoi che siano le cicatrici di una scottante

d e l u s i o -ne… An-che l’anima ha bisogno delle sue “cure”. E il farmaco più efficace è senz’a ltro la fede. Affidiamo-ci, dunque, a prescin-dere dal tipo di morbo che ci affligge,

all’abbraccio del Signore, saziamoci del suo amore e rifugiamoci nella sua miseri-cordia. Solo in questo modo riusciremo ad affrontare più serenamente questi ostacoli che la vita talvolta ci presenta lungo il cammino. Solo allora riusciremo a capire il vero valore della salute fisica e morale. Solo allora riusciremo a capire l’importanza di ricordare la presenza di Dio, perenne fonte di amorevole ristoro.

Stefania Gargano

Da pochi giorni si è concluso L’Ottavario di preghiera per l’Unità dei Cristiani. Il tema di quest’anno si è collegato al ricordo della Conferenza missionaria internazionale di Edimburgo tenutasi nel 1910, dove oltre mille delegati apparte-nenti ai diversi rami del Protestantesimo e dell’Anglicanesimo diedero inizio al Movimento Ecumenico Moderno. Nel Messaggio ufficiale, Mons.Paglia, delegato Cei per l’Ecumenismo,dice: “ Siamo chiamati a condividere la preghie-ra della Chiesa e di tutti i battezzati, poi-

ché l’unità tra le varie confessioni cristia-ne, non è il frutto delle nostre alchimie umane, ma un Dono di Dio, da chiedere anzitutto con la preghiera”. Nella vita di tutti i cristiani c’è un legame tra <missione e comunione>. L’Evangelizzazione è tanto più efficace, quanto più i discepoli di Gesù mostrano la loro comunione, la loro unità. Lo stesso Gesù dice, “ Da questo vi rico-nosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri”, perciò la Co-municazione del Vangelo e la Comunio-ne tra i cristiani sono due dimensioni da

vivere in maniera più responsabile da tutti i cristiani. Quest’anno, per l’Ottavario di preghie-ra, è stato scelto il Capitolo 24 del Van-gelo di Luca, per riflettere sul grande Dono della Pasqua, della Resurrezione di Gesù di cui tutti dobbiamo essere testi-moni. Un invito dunque alla testimonianza, una testimonianza che celebra la vita, che rinnova la fede che abbiamo ricevuto, partendo dalla sofferenza di Cristo sulla Croce, fino ad arrivare ad essere veri “ testimoni di speranza e di fiducia”. “Di fronte alla cultura di morte, che la nostra società spesso ci propone, dobbia-mo essere capaci di testimoniare la “Vita Nuova”, ottenuta da Gesù attraver-so la Resurrezione, testimoniando altresì la Potenza Creatrice di Dio e la Grandezza del suo Amore che ci fa dono del perdono e della guarigione”.

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Malati nel corpo e nello spirito

OTTAVARIO DI PREGHIERA

PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

18 - 25 GENNAIO 2010

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Consapevoli dell’unica storia dell’Amore di Dio per noi, rivelato in Gesù Cri-sto,dobbiamo ascoltarci l’un l’altro con rispetto e considerazione; ciò ci permet-te di incontrare Dio in ciascuna persona con cui condividiamo la nostra esperienza e ci permette di crescere nel nostro cam-mino di fede. La certezza che l’amore sarà più forte e che il dolore e la pena non prevarranno, deve spingere “ i cri-stiani che desiderano la piena unità” ad essere solidali verso quanti sono provati da situazioni di disagio e sofferenza, per infondere una dose di fiducia , e per di-mostrare che la “ forza dell’Amore” pre-vale sulla morte; proprio dal sepolcro, infatti, “ è giunta la Resurrezione, come sole per l’umanità, annunciazione di Vita ed Immortalità”. La sfida da affrontare da parte di tutti i cristiani è di continuare a credere, nonostante le difficoltà , per riuscire a testimoniare che la fede va oltre ogni possibilità. Essere testimoni credibili comporta l’ascolto condiviso della Parola di Dio ed una ricerca comu-ne per comprenderla e viverla e per en-trare nel mistero della rivelazione di Dio attraverso le Sacre Scritture. Durante la settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani, sempre attraverso l’ascolto dei brani tratti dal libro della Genesi e dalla lettera ai Romani siamo stati invitati ad “offrire e a ricevere l’ospitalità dello stra-niero che ci è divenuto prossimo; Dio creatore ,infatti, è presente nel prigionie-ro,nel cieco,nello straniero. Il capitolo 24 del Vangelo di Luca,ci narra del Cri-sto Risorto che raduna i discepoli, man-gia con loro ed essi lo riconoscono nuo-vamente. Il Risorto rammenta loro le Scritture, li libera dai loro dubbi e dalle loro paure e li invia ad “essere testimoni di tutto ciò che è avvenuto”. La preghiera più accorata durante l’Ottavario di pre-ghiera per l’Unità dei Cristiani è stata la supplica allo Spirito Santo, perché “faccia meglio comprendere la Parola di Dio e diriga tutti nel comune cammino di fede fino a che non saremo riuniti tutti attor-no all’unica mensa del Signore. Il Signore ascolti le nostre preghiere e ci renda ca-paci di evangelizzare in unità perché si realizzi il sogno di Cristo:”Che siano tutti una cosa sola”. Giulia Schiavo

Anche se con ritardo rispetto al solito inizio anche quest’anno l’Azione Cattoli-ca ravellese comincia il cammino del settore Adulti. Il percorso formativo di quest’anno è incentrato sul tema delle relazioni, analizzate nella loro autenticità soprattutto nell’ambito familiare e par-rocchiale. Perché la formazione anche per gli adulti è soprattutto perché seguire il cammino proposto dall’Azione Cattolica? Il proget-to formativo che già da qualche anno l’Associazione propone agli iscritti ha un obiettivo importante che è quello di far entrare nella nostra quotidianità Cristo. Un Cristo che solitamente siamo abituati ad incontrare nella Parola e nell’Eucarestia,ma che difficilmente ci ricordiamo di riconoscerlo negli altri e di accoglierlo nella diversità o nella distra-zione della vita di ogni giorno. Il testo “Questo è il tempo La gioia dell’incontro” si struttura intorno al Van-gelo di Luca che accompagna anche le liturgie dell’anno in corso perché Luca è attento all’idea della salvezza e noi, assa-liti dai piccoli e grandi drammi della no-stra storia quotidiana, non percepiamo sempre con tutta la nostra consapevolez-za la promessa che Dio ha fatto all’umanità quella di realizzare nella no-stra vita la pienezza del Regno di Dio. L’idea di fondo del sussidio per il percor-so degli adulti è quella dell’incontro; un’idea declinata attraverso la presenta-zione di incontri fondamentali nella sto-ria della salvezza: l’angelo con Maria per l’Annunciazione; i discepoli con Gesù; il Padre misericordioso con i due figli; Zac-cheo che incontra Gesù e le donne che incontrano l’angelo che annuncia la Re-surrezione di Cristo. Cinque tappe che riprendono le nostre reazioni di fronte agli eventi: lo stupore di un incontro sorprendente come quello di Maria di fronte all’angelo dell’Annunciazione; la ricerca che porta ad incontro vero come quello dei disce-poli che cercavano il Cristo; il perdono che arriva da un incontro atteso quale quello vissuto dal figluol prodigo nell’abbraccio del padre; la liberazione da un atteggiamento sbagliato come quella

vissuta da Zaccheo che vive l’incontro con Gesù come una liberazione; la gioia di un incontro decisivo quale quello in cui la speranza si trasforma in certezza. L’incontro a cui sono invitati gli adulti parte con un momento di preghiera che è l’invocazione allo Spirito Santo affinché ci avvolga con la sua forza trasformatrice; continua con il momento della riflessio-ne. Si riflette su un comportamento che riscontriamo nella vita di tutti i giorni, nella nostro lavoro o nella nostra fami-glia, ma da questo modo di vivere la quo-tidianità da parte degli altri si passa al nostro modo di vivere: anche noi vivia-mo quell’atteggiamento oppure siamo diversi? Segue la riflessione sul brano del Vangelo che “costituisce il centro del percorso, attorno al quale matura il confronto con la Parola di Dio e dal quale prende vita”. La riflessione successiva spinge i parteci-panti all’incontro a capire cosa Gesù ci dice in quella determinata circostanza; in questo momento si potranno avere chiavi di interpretazioni del brano del Vangelo appena letto. L’ultimo momento è l’esercizio di laicità, cioè tradurre il ri-sultato della riflessione in un comporta-mento nuovo da applicare alla nostra vita, nella famiglia o nel lavoro; per faci-litare questo momento, che potrebbe apparire anche difficile vengono presen-tate figure di testimoni: uomini e donne del nostro tempo che, pur vivendo la nostra storia, hanno saputo incontrare Cristo negli altri e testimoniare nella loro quotidianità la gioia di Cristo Risorto. Gli incontri saranno il centro del cammino e serviranno per rendere più determinata la nostra scelta di essere cristiani impe-gnati e responsabili nella vita della nostra comunità. Saranno momenti che vivremo ogni quindici giorni dopo la messa delle 17.30 in Duomo (il primo si svolgerà venerdì 5 febbraio p.v.) e sono aperti anche a chi non si è iscritto all’Associazione ma vuol camminare ver-so una meta precisa con la consapevolez-za di essere nella Chiesa e nel mondo il testimone di qualcosa di grande: la Sal-vezza realizzata da Cristo per l’uomo.

Maria Carla Sorrentino

SEGUE DA PAGINA 7 Azione Cattolica Settore Adulti: riprendono gli incontri di formazione

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DISSONANZE LETTERARIE Scriviamo tutti. Scrive Antonio Cassano, scrivono Platinette ed Emanuele Filiberto di Savoia, ha scritto un romanzo il macel-laio del mio paese. Con una differenza: Cassano, Platinette ed Emanuele Filiber-to hanno pubblicato con Case Editrici storiche, il macellaio (e io stesso, in pas-sato), con un editore a pagamento, come fa ormai la maggioranza delle persone che scrivono. E’ il business del libro stampato a spese dell’autore, un fenome-no che molti addetti ai lavori non vedono di buon occhio perché, a loro parere, appiatti-rebbe e screditerebbe il mondo editoriale. E’ una considerazione che non mi trova d’accordo: in primis, né i libri dei personag-gi famosi prima citati, né gran parte di quelli degli sconosciuti che pubblicano a proprie spese, sono letteratura: sono semplicemente scrittura. Inoltre, an-che la scrittura è una faccenda maledetta-mente seria, perché democratica, libera, interclassista, oltre che altamente terapeutica; la scrittura rimane uno dei luoghi migliori per riflet-tere, esprimersi, interpretare la realtà secondo i propri convincimenti. Chi si stupisce che tante persone scrivano (e pubblichino), e lo sottolinea con una certa disapprovazione, dimostra di non saper valutare dei dati di fatto incontro-vertibili. Oggi tutti hanno un minimo di istruzione; ognuno è in grado di fissare in parole scritte le proprie emozioni; ed è comprensibile che si desideri vedere il proprio nome, e il titolo mirabolante che si è scelto, stampati sulla bella copertina di un libro. Poi c’è la selezione, naturalmente; sono gli onnipotenti gruppi editoriali a fare la cernita fra le opere che compariranno sugli scaffali di una libreria e quelle desti-nate alla biblioteca del paese, all’edicola dell’amico, alla sede del Comitato di

quartiere. Ma il confine così delineato ha (per fortuna) una certa labilità; è già suc-cesso diverse volte che libri nati in virtù della pubblicazione a pagamento abbiano trovato spontaneamente il favore del lettori e continuato la loro marcia sino alla grande editoria, finendo addirittura per scalare le classifiche dei bestseller. Insomma, scriviamo tutti, ma non tutti siamo scrittori. Tuttavia, questa prolife-razione di narrativa, di poesia, di opere

comiche e di fantasia, di resoconti di viaggi, di testi teatrali, costituisce la pro-va più evidente che la scrittura, al tempo di Internet, non è morta. E la letteratura? Abbiamo già detto che è cosa diversa; il paradosso (o quello che appare come un paradosso) è che proprio quando tutti si cimentano a scrivere, la letteratura, secondo molti critici, vivreb-be l’agonia conseguente alla più generale “morte dell’arte”. Da decenni si continua a dire che la letteratura vive una “condizione postuma”. La realtà, per fortuna, si incarica di smentire queste fosche previsioni: la letteratura, in tutto il mondo, continua a regalare capolavori, emozioni, sorprese, novità. La letteratu-ra è viva perché costituisce un genere in continuo divenire, perché, come ha affer-mato Stanley Fish, è una categoria con-venzionale che può ospitare virtualmente

qualsiasi testo. I profeti della catastrofe letteraria non salvano neppure lo scritto-re. La difficoltà di essere creativi in un mondo dominato dalla tecnica, la premi-nenza del virtuale sul reale, il massiccio lavoro di editing sui testi, la crescente importanza attribuita al lettore: è questa la miscela che decreterebbe il depoten-ziamento dell’autore, anzi, la sua “scomparsa”. Anche qui, non si può che dissentire: a

dispetto della mercifi-cazione dell’arte, dell’invadenza del la-voro di editing, di una certa omogeneizzazio-ne dello stile, la lette-ratura non potrà mai prescindere dalla spe-cificità dell’autore, dalla sua storia, la sua coscienza, insomma da tutto ciò che è vivo e personale, e dunque irriducibile a una gene-ralizzazione, a un ap-piattimento verso il basso. Riassumendo, non c’è nessuna morte dell’arte, nessuna con-dizione postuma della letteratura, nessuna

“morte dell’autore”; o meglio nessuna morte letteraria dell’autore. Perché, e introduco la questione che costituisce il motivo principale di questo intervento, forse la morte dell’autore esiste, ma non nel senso in cui viene intesa nell’odierno dibattito letterario: perché è una morte biologica. Un fenomeno del nostro tempo sul quale nessuno, almeno così mi pare, sta riflettendo, e che riguarda gli autori, i protagonisti della letteratura italiana con-temporanea. Persone certamente capaci di produrre opere notevoli, di teorizzare sulla funzione della scrittura, di recensire saggi e romanzi, di discutere su ogni a-spetto della produzione umana chiamata letteratura. Insomma, in una parola, artisti fecondi.

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E sterili, incredibilmente sterili dinanzi alla vita. Quasi tutti single. Quasi tutti senza figli. Domando: è diventata una specie diversa, l’homo scrivens? Nessuno ha decretato che l’amore-passione dell’artista immerso nel suo elemento non si possa fondere con l’amore-azione che fonda la famiglia, che non evade dal mondo-della-vita, che “crea l’altro come si crea un’opera” (Galimberti). E nessun futuro scrittore nasce con il difetto di fabbrica-zione di non poter fare dei figli; è dopo, quando si deve mantenere lo status di autore “arrivato” che avviene la mutazio-ne, uno degli esempi più riusciti dell’artificiosità del nostro tempo, della divaricazione tra vitalità intellettuale e creatività umana. Sì, la morte dell’autore c’è, ma non concerne la teoria del ro-manzo, non ha a che fare con la produ-zione letteraria. Riguarda la condizione di uomini che si condannano a rimanere, per certe relazioni sociali e affettive, al di sotto dell’esperienza di vita e di amore di persone che non sanno mettere insieme quattro parole. Entrati nei ranghi, i nostri scrittori diven-tano tristi, irritabili, litigiosi: è la parano-ia del confronto, della pagina bianca, dei tempi di scrittura non rispettati di chi è preoccupato solo del proprio prestigio letterario. E non è questione di “sindrome del secondo libro”, perché non c’è intervista a un autore affermato in cui non emerga immediatamente la terribile ansia per quel che verrà, per il prossimo, atteso romanzo, che, ahimè, potrebbe deludere le aspettative nate dal successo del precedente; (non so se le titubanze di Piperno relative alla sua prossima pubblicazione costituiscano un’eccezione o la conferma di quanto ho appena detto). Il resto? Disinteresse, incertezza, confusione dinanzi a tutto ciò che è naturalmente patrimonio umano. Un modo di pensare che sembra aver spezzato lo scrittore-uomo, facendone uno specializzato, un tecnico in grado di produrre dei risultati, più o meno felice nella sua officina letteraria, ma lontano dalla corrente impetuosa della vita, dalla creatività che trascende il lavoro intellet-tuale. Chi nega che per qualsiasi scrittore l’atto di scrivere sia assorbente rispetto

ad altre manifestazioni della sua persona-lità? Citati, nella biografia letteraria di Kafka, sostiene che lo scrittore praghese era così magro perché la letteratura con-sumava tutte le sue energie. Molti fra i grandi della letteratura erano divorati, anche fisicamente, dal demone della scrittura. Ma ciò non impedì a Calvino, Svevo, Flaiano, Sciascia, Tozzi, Landolfi, Ungaretti, Saba, Quasimodo (e molti altri), di sposarsi, di avere dei figli, di vivere una vita coniugale magari trava-gliata, ma non limitata alla letteratura. Nessuna retorica della famiglia; oggi più che mai il matrimonio e i figli sono scelte piene di rischi. Ma domando: è possibile immaginare una società che non si basi sull’istituto della famiglia? Certo, i contenuti della genitorialità non sono gli stessi di un tempo, ed è quasi superfluo precisare che molte altre cate-gorie professionali mostrano di privile-giare il lavoro e la carriera rispetto alla triade ancestrale lavoro-matrimonio-figli. Ma si dà il caso che stiamo parlando di scrittori, di una categoria di intellet-tuali che dovrebbe essere, per cultura e forma mentis, più votata di altre alla rifles-sione critica, all’autoanalisi, alla messa in dubbio delle proprie “certezze”. Se gli intellettuali - come il grande Zygmunt Bauman non si stanca di sottolineare - devono aiutare gli individui a guardarsi dai “meccanismi celati sotto false spo-glie”, a maggior ragione dovrebbero fare chiarezza sulle proprie scelte di vita. Agli scrittori propongo quella che Fou-cault ha chiamato “un’ontologia critica di se stessi”, una riflessione sull’ethos che paiono scegliere, oggi, come principio-guida della loro esistenza. Una verità che funga da motrice per sviluppare non solo l’autorealizzazione intellettuale, ma tutte le proprie potenzialità, superando l’egoismo, il fanatismo, l’eristica, quell’interesse esclusivo per la battaglia delle parole che spesso restringe l’orizzonte esistenziale nel quale si agi-sce. “Essere umani”, ha scritto Graham Greene, “è anche un dovere”. La scrittu-ra ha sicuramente una funzione maieutica sulla persona e sulla società, ma io credo che sia solo la milizia della vita a svelarci a noi stessi, a darci la misura della nostra umanità più autentica.

Armando Santarelli

Uno dei motivi per cui Carlo Magno è considerato con stupore dai suoi contem-poranei è la sua estrema curiosità. Egli sentì l’urgenza di imparare ciò che i se-coli passati avevano pensato, fatto e scrit-to; di costruire, consolidare e diffondere i fondamenti della sua fede cristiana sulla Sacra Scrittura e sui Padri della Chiesa. Su questi aspetti poté perciò godere della collaborazione d’un ampia cerchia di

dotti, i migliori disponibili a quel tempo. Alcuino coniò per quella cerchia il nome di Accademia Palatina, alla quale furono invitati letterati italiani come il gramma-tico Pietro da Pisa, lo storico Paolo Dia-cono e il patriarca di Aquileia Paolino. Altri erano goti, profughi dalla Spagna invasa dai Musulmani, altri ancora bri-tannici e infine tedeschi. Tra questi ultimi si distinse Rabano Mau-ro (780-856), formatosi nel monastero di Fulda sotto l’abate Baugulfo. Della fama delle sue opere, di carattere didatti-co, enciclopedico, esegetico, omiletico, dogmatico e canonistico, ci informa nell’842 Rodolfo di Fulda, in appendice ai Miracula sanctorum in Fuldenses ecclesias translatorum. Si segnalò anche nel campo poetico e innodico con componimenti di sicura paternità ed altri che gli vennero attri-buiti aumentandone notevolmente la fama. Tra questi si ricordano il Veni Crea-tor Spiritus, considerato il riflesso della contesa tra occidente e oriente per l’aggiunta del filioque al Credo, oltre che del sinodo di Aquisgrana dell’809. Il suo componimento di maggior successo è un ciclo di ventotto poesie figurate dal titolo

SEGUE DA PAGINA 7 Rabano Mauro: uomo di cultura alla corte carolingia

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De laudibus sanctae crucis. L’opera – scrive Benedetto XVI – rappresenta la “consapevolezza straordinaria della ne-cessità di coinvolgere, nella esperienza della fede, non soltanto la mente e il cuore, ma anche i sensi mediante quegli altri aspetti del gusto estetico e della sensibilità umana che portano l’uomo a fruire della verità con tutto se stesso, spirito, anima e corpo”. Di lui rimasero anche famosi i “Carmina”, proposti per essere utilizzati soprattutto nelle celebra-zioni liturgiche. Infatti era del tutto scon-tato, dal momento che Rabano era anzi-tutto un monaco, il suo interesse per la celebrazione liturgica. Egli però non si dedicava all’arte poetica come fine a se stessa, ma piegava l’arte e ogni altro tipo di conoscenza all’approfondimento della Parola di Dio. Cercò perciò, con estre-mo impegno e rigore, di introdurre i suoi contemporanei, ma soprattutto i ministri (vescovi, presbiteri e diaconi) alla comprensione del significato profon-damente teologico e spirituale di tutti gli elementi della celebrazione liturgica. Tentò così di capire e proporre agli altri i significati teologici nascosti nei riti, attin-gendo alla Bibbia e alla tradizione dei Padri. Non esitava a dichiarare, per one-stà ed anche per dare maggior peso alle sue spiegazioni, le fonti patristiche alle quali doveva il suo sapere. Di esse tutta-via si serviva con libertà e attento discer-nimento, continuando nello sviluppo del pensiero patristico. Rabano Mauro si dedicò con massimo impegno durante l’intera sua esistenza alla Parola di Dio. Produsse spiegazioni esegetiche appro-priate pressoché per tutti i libri biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento con intento chiaramente pastorale, che giusti-ficava con parole come queste: “Ho scrit-to queste cose… sintetizzando spiegazio-ni e proposte di molti altri per offrire un servizio al lettore povero che non può avere a disposizione molti libri, ma anche per facilitare coloro che in molte cose non riescono ad entrare in profondità nella comprensione dei significati scoper-ti dai Padri” (Commentariorum in Mattha-eum praefatio, PL 107, col. 727D). Di fatto, nel commentare i testi biblici attin-geva a piene mani ai Padri antichi, con speciale predilezione per Girolamo, Am-brogio, Agostino e Gregorio Magno. La spiccata sensibilità pastorale lo portò

poi a farsi carico soprattutto di uno dei problemi più sentiti dai fedeli e dai mini-stri sacri del suo tempo: quello della Penitenza. Fu compilatore infatti di “Penitenziari” – così li si chiamava – nei quali, secondo la sensibilità dell’epoca, venivano elencati peccati e pene corri-spondenti, utilizzando per quanto possi-bile motivazioni attinte alla Bibbia, alle decisioni dei Concili e alle Decretali dei Papi. Di tali testi si servirono pure i “Carolingi” nel loro tentativo di riforma della Chiesa e della società. Allo stesso intento pastorale rispondevano opere come “De disciplina ecclesiastica” e “De institutione clericorum” in cui, attingendo soprattutto ad Agostino, Rabano spiegava ai semplici e al clero della sua diocesi gli elementi fondamentali della fede cristia-na: erano una specie di piccoli catechi-smi. Fu egli stesso a curare la diffusione delle sue opere, come mostrano diverse di dedica: esemplari riccamente adornati furono inviati agli arcivescovi Astolfo e Otgar di Magonza (foto), a Rodolfo di Bourges, al suo confratello Attone, ai monaci di S. Martino di Tours e St-Denis, al papa Gregorio IV, a Ludovico il Pio e al margravio Eberardo del Friuli. Salvatore Amato

Ravello: Inaugurato l’Auditorium

“Oscar Niemeyer” L’ Inaugurazione dell’Auditorium “Oscar Niemeyer”, evento di architettura, musica, danza e cinema, promosso dalla Regione Campania e dal Comune di Ravello nei giorni 29-30-31 gennaio u.s., ha costitui-to un momento importante di promozio-ne turistica e di proiezione dell’immagine di Ravello nel mondo. Durante l’incontro con la stampa e il pubblico, seguito al tradizionale taglio del nastro, alla presen-za di autorità civili, militari e religiose, il Presidente della Regione Campania Anto-nio Bassolino ha sottolineato come sia importante investire nella cultura, risorsa principale del nostro Paese, specialmente in momenti di difficoltà economica, rin-graziando quanti hanno contribuito alla realizzazione dell’opera. “Se non ce l’avessimo fatta sarebbe passata l’idea che in Italia non si può fare nulla di bello e di serio in luoghi storici”, ha proseguito il governa-tore, cui sono state conferite le chiavi d’oro della Città. “Un gesto d’affetto”, co-

me lo ha definito il sindaco di Ravello Paolo Imperato, “per lo straordinario impe-gno profuso dal Presidente nel “Progetto Ravel-lo”, teso a mettere in sinergia tre grandi conte-nitori culturali come l’Auditorium “Oscar Nie-meyer”, Villa Rufolo, luogo della celebrità wagneriana, e il complesso monumentale di Villa Episcopio, restituito in questi anni alla pubblica fruizione”. Il primo spettacolo ad essere ospitato nell’Auditorium è stato il Galà di danza della “Escola do Teatro Bloshoi no Brasil”, unica estensione straniera del Teatro Bolshoi di Mosca, che educa alla danza e all’arte un numero sempre mag-

giore di bambini, lavorando per miglio-rarne le qualità di vita. La musica, decli-nata nei diversi generi, è stata ovviamente la protagonista assoluta della programma-zione. Il sassofonista Nicola Alesini, l’Orchestra e il Coro del Teatro San Car-lo, diretti dal giovanissimo David A-fkham, Salvatore Accardo e l’Orchestra da Camera Italiana hanno conquistato il pubblico che ha vissuto un momento mol-to speciale con la performance di Lucio Dalla. Il celebre cantautore bolognese, amico di Ravello, accompagnato dai soli-sti del Nu-ork ensemble, ha riproposto i suoi successi e una rielaborazione del “Sesto Concerto per violino” di Vivaldi, alter-nati alla lettura dei versi di Alda Merini dedicati a San Francesco. Non sono man-cati momenti dedicati all’architettura, con una mostra e un convegno, e alla gastro-nomia, con la partecipazione dei 28 risto-ratori “stellati” della Campania. La proie-zione con tecnologia 3D del film “Nightmare before Christmas”, in collabora-zione con il Giffoni Film Festival, ha chiu-so la programmazione ricca e multidisci-plinare con cui Ravello “Città della Musi-ca”, memore della sua vocazione interna-zionale, si è confermata ancora una volta centro di eccellenza, consapevole del suo enorme patrimonio culturale, che dalla Campania offre al mondo intero.

Luigi Buonocore

CELEBRAZIONI DEL MESE DI FEBBRAIO La Messa Vespertina nei giorni festivi (sabato e domenica) sarà celebrata alle ore 18.00 e nei giorni feriali alle 17.30.

4 -11-18-25 FEBBRAIO Ore 18.00: Adorazione Eucaristica

19 - 26 FEBRAIO Ore 18.00: Via Crucis

7 FEBBRAIO V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - “Giornata della Vita”

Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 11 FEBBRAIO

B. Maria Vergine di Lourdes 14 FEBBRAIO

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 -18.00: Sante Messe

Ore 10.30: Celebrazione Parrocchiale della Giornata del Malato 17 FEBBRAIO

Mercoledì delle Ceneri Ore 18.00: Santa Messa per l’inizio della Quaresima

21 FEBBRAIO I DOMENICA DI QUARESIMA

Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 28 FEBBRAIO

II DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe

Sabato 23 gennaio: dopo giorni di pioggia e freddo, un sole tiepido illumina Sambu-co ed i suoi abitanti all’opera. Sono in cor-so gli ultimi preparativi, i più frenetici, in vista dell’imminente manifestazione reli-giosa. La tradizionale Levata del Bambino, con gli abitanti che vestono gli abiti dell’epoca e rappresentano i vari mestieri nelle diverse “botteghelle”, è finalmente arrivata. Forse la parte più emozionante è proprio quella che precede la festa, quan-do tutta la popolazione della piccola fra-zione dà una mano, affinché le cose riesca-no per il meglio, accantonando per un giorno quelle che sono le dispute e le in-comprensioni, ma aiutandosi amichevol-mente. Ed è quindi un piacere vedere que-sta gente che corre, avanti e indietro, a sistemare le luci, le foglie di palme a far da cornice alle capanne, a costruire gli ultimi focolai con cui riscaldarsi nella gelida sera-ta che li attende…. Anche se con lieve ritardo sulla tabella di marcia, nel pomeriggio è finalmente tutto pronto, e alle 18.00 parte la processione: in testa vi sono la Madonna, che regge il

Bambin Gesù, e San Giuseppe, accompa-gnati da alcune pastorelle. Alle loro spalle, il parroco, e a seguire gli zampognari, il coro, ed infine il pubblico. Man mano che procede il corteo si ha modo di vedere le varie capannelle, che vogliono testimonia-re questo passaggio del Bambinello tra la gente, e quindi..proprio alla base delle scale è il Palazzo di Erode con sua moglie, affiancati da due soldati. Subito dopo si incontrano il “ciabattino”, intento a ram-mendare delle scarpe consumate, ed il ceramista che, in pochi minuti, crea splen-didi vasi d’argilla. Allietati dal suono delle zampogne, ecco scorrere , quasi come in un film, “il carrettiere”, “il pozzo”, “il lava-toio” ,”la formaggiaia”,”la famiglia”,”il fale-gname” e ancora…”la stalla”, “il ferraca-vallo”, “la bottega “(‘a puteca), ed infine “il mortaio del farro”, in cui viene pestato e cucinato il farro. Finalmente giunti al luo-go convenuto, alzando la testa verso l’alto, tra i monti ecco giungere la cometa fatta di biancali, la quale illumina l’arrivo dei Magi a cavallo. Un senso di serenità pervade il pubblico, come se davvero ci si trovasse di

fronte alla stella che duemila anni fa guidò, fino alla grotta di Betlemme, il cammino dei Re provenienti dall’Oriente. Termina-ti anche i fuochi d’artificio, si fa ritorno in chiesa, dove, sul sagrato, prima della cele-brazione della Santa Messa, un’ultima rap-presentazione ha luogo: davanti alla grotta che ospita la Sacra Famiglia, riscaldati dal calore del bue e dell’asinello, i Re Magi offrono i loro doni al Bambinello: oro, simbolo della sua regalità sulla terra, in-censo, emblema della sua divinità, e mir-ra, segno della sua morte per la salvezza dell’umanità.

Roberta Ruocco

reposizione Di gesu’ BAMBINO A SAMBUCO