in preghiera per l’umanitàper farci prossimi · 2020. 3. 27. · to, per evitare a molti di...

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 71 (48.395) Città del Vaticano sabato 28 marzo 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +z!"!@!$!:! Cittadini e credenti di fronte a questo tempo e a quello che verrà Trovare nuovi modi per farci prossimi di MARCO IMPAGLIAZZO L’ emergenza che stiamo vi- vendo in queste settimane costringe la nostra società a inediti e repentini mutamenti. Le strade e le piazze piene di gen- te e luci del nostro quotidiano so- no divenute buie e deserte. Il mondo è cambiato nel giro di po- chissimi giorni e abbiamo ormai compreso che chiunque non abbia mai indossato una mascherina sarà costretto, prima o poi, a farlo, ovunque. Come affrontare, da cit- tadini e da credenti, questo tempo, e quello che verrà? Sperimentiamo turbamento e ap- prensione, ci confrontiamo con la paura, ma non vogliamo essere so- praffatti da essa. L’impegno e la dedizione degli operatori sanitari che combattono in prima linea la malattia sono il simbolo di una co- munità decisa ad aiutare chiunque, in particolare i più deboli e i più vulnerabili. Le tante espressioni di volontariato che restano al fianco di chi è più povero e fragile lo mo- strano. I poveri, gli anziani, quanti sono affetti da patologie differenti dal covid-19, le persone con disabi- lità, i senza dimora, chi è in carce- re, vivono oggi con maggiore soffe- renza la loro condizione. È compi- to di ciascuno far sentire loro una vicinanza premurosa e attenta, an- che se meno “fisica” che in passa- to. Dovremo tutti essere attenti a quanti attorno a noi possono tro- varsi in difficoltà, magari perché soli, e avviare una conversazione telefonica, inviare un messaggio, una mail, offrirsi di comprare cibo e medicine. L’epidemia rivela la nostra debolezza. Ma fa pure emergere la nostra forza: un poten- ziale di relazione, di capacità di cu- ra e di tessitura, da esercitare subi- to, per evitare a molti di precipitare in un inferno di solitudine, mentre ci si separa per prevenire il conta- gio. Perché l’inferno — lo cantava anche Dante — può essere anche un luogo freddo, gelido, privo del calore della vita e delle sue intera- zioni, facili o difficili. Ed è soprat- tutto la dimensione del “senza”: senza stelle, senza tempo, senza speranza. Senza vita, senza gente, senza incontri, senza abbracci, co- me avviene in questa stagione che tanti affrontano in solitudine, senza il calore di una famiglia o di rela- zioni vere. Nel “deserto” di queste settima- ne ci rendiamo conto dell’impor- tanza di costruire esistenze con dei legami. Poco ci abbiamo investito in passato. La vita che costruiremo dopo l’epidemia dovrà avere più le- gami, essere densamente popolata di gente, di incontri, di abbracci. «Ogni persona è chiamata a risco- prire cosa conta veramente, di cosa ha veramente bisogno, cosa fa vive- re bene e, nello stesso tempo, cosa sia secondario, e di cosa si possa tranquillamente fare a meno», ha detto Papa Francesco nell’udienza dell’11 marzo. La prova che stiamo vivendo avrà almeno il pregio di far crescere in tutti lo spazio dell’interiorità, aiutando a maturare la coscienza che della solitudine si può fare a meno, e che vivere bene significa costruire una rete di con- tatti e di relazioni. È proprio que- sto che oggi ci manca, in fondo. «Non è buono che l’uomo sia so- lo», dice il Creatore nella Genesi: è la comunione dell’amicizia e del le- game il bisogno più profondo Il Signore che passa nel tempo del coronavirus - 3 L’intellettuale vulnerabile di VINCENZO ROSITO «N on spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta» (Is 42, 3). Mai come in que- sto tempo una simile promessa risuona oscura e provocatoria. Il contagio raggiunge tutti, ma si accanisce contro le vite incrinate dei più deboli, aggredisce le fiammelle che incerte resistono. I corpi già fiaccati sembrano attirare le frecce di un giudizio insopportabile. Eppure, in questo delicato passaggio della sto- ria, c’è chi è disposto a riattivare cinicamente la macchina teologica del sacrificio, chi ripropone l’immagine di altari laici e civili su cui “offrire” vite più spendibili di altre. Anche in questo mo- do si perpetua la “cultura dello scarto”. Nulla sa- rà come prima, non solo a causa della virulenza del contagio, ma per la tossicità delle reazioni che esso sta già provocando. Una tipologia di perso- ne in particolare non può continuare a vivere e a lavorare come se nulla fosse cambiato: è quella degli intellettuali e degli studiosi, siano essi inse- gnanti, ricercatori, uomini e donne di lettere. Co- storo, in questo tempo, hanno l’onere di avvertire la vulnerabilità della categoria a cui appartengo- no. Inefficacia e turbamento, impreparazione e sbigottimento non sono rimasti fuori, confinati oltre il perimetro delle università e dei centri di ricerca. L’intellettuale si scopre vulnerabile. Per questo non si ritrae all’interno di istituzioni in- scalfibili, non si accontenta dei «discorsi a verità garantita» (M. de Certeau), non si allontana di un passo dalle canne incrinate e dagli stoppini fu- manti, ma decide di stare con loro perché si vede scandalosamente nudo ed esposto come loro. In questo momento il mondo delle istituzioni educative, delle università e degli studi ecclesiasti- ci potrebbe raccogliersi proprio attorno all’imma- gine dell’intellettuale vulnerabile. Per fare questo occorrerà discostarsi da un pensiero performante e dal rischio di insediare la logica della prestazio- ne nei processi di formazione umana. S’impone un lavoro comune sulle categorie ermeneutiche del tempo presente, molte delle quali sono stan- che e inefficaci nel dare forma al “nuovo” che si agita in questi giorni di isolamento domestico. Globalizzazione, sovranità , postumano: forse anche questi concetti non passeranno illesi attraverso i giorni che stiamo vivendo. Cerchiamo parole che sappiano dire i processi mentre vengono vissuti. L’intellettuale vulnerabile non confida in illumi- nazioni solitarie, ma desidera una compagnia di pensiero. La qualità delle idee e delle dottrine non potrà più essere separata dal travaglio della comunità di studio che le ha pensate e maneggia- te. Dovremo accostarci l’uno al sentire dell’altro per capire come “fare insieme” tutto questo. Non conta solo il “prodotto” ma il “modo” condiviso e partecipato della sua gestazione. L’intellettuale vulnerabile non grida e non urla (Is 42, 2). La te- nerezza è finalmente la sua virtù, una tenerezza strana, anzi stramba. Non è remissivo né sdolci- nato, ma è capace di accostamenti inconsueti, mette insieme cose e parole che normalmente nes- suno ha il coraggio di avvicinare. Forse impareremo a riconoscere la vulnerabilità degli intellettuali dalla loro “mostruosità”. Ci so- no mostri che non fanno paura, ma ispirano tene- rezza e prossimità. È la mostruosità bizzarra di chi non è mai al suo posto e che, proprio per questa ragione, può considerare ogni posto ospi- tale. In un celebre racconto kafkiano compare, te- nera e inattesa, la figura di Odradek. Un essere strano ma carezzevole, un accrocco di canne in- crinate che ispira fiducia, al quale viene sponta- neo rivolgere la parola perché non aggredisce né sovrasta. Sarà forse così anche per l’intellettuale vulnerabile? «Naturalmente non gli si possono ri- volgere domande difficili, lo si tratta piuttosto — e la sua minuscola consistenza ci spinge da sola a farlo — come un bambino. “Come ti chiami?” gli si chiede. “Odradek” risponde lui. “E dove abi- ti?” “Non ho fissa dimora” dice allora ridendo; ma è una risata come la può emetter solo un esse- re privo di polmoni. È un suono simile al frusciar di foglie cadute». Domani il mensile Martiri È dedicato alle nuove martiri il numero di “donne chiesa mondo” disponibile online (sul sito www.osservatoreromano.va) a par- tire da sabato 28 marzo. Sono moltissime le donne che, dando testimonianza di fede, hanno sa- crificato la loro vita. “Le più per- seguitate tra i perseguitati” sono state definite. Uccise, spesso bar- baramente torturate, umiliate nel loro essere donne, il loro corpo usato come campo di battaglia. Un martirologio purtroppo lungo; che annovera donne di fedi, cultu- re e paesi diversi, di ogni età, lai- che e religiose, sposate, madri di famiglia, nubili. Le sopravvissute sono memoria delle persecuzioni subite e testimoni di perdono, co- me la pakistana Asia Bibi, la ira- chena yazida Nadia Murad, la su- danese Meriam Ibrahim e la suora indiana Meena Barwa, che hanno patito il carcere e la violenza. All’interno del giornale un repor- tage dalla Basilica di San Bartolo- meo a Roma, Memoriale dei nuo- vi martiri testimoni della fede del XX e XXI secolo. A cinque anni dalla Laudato si’, il ricordo delle “martiri della ter- ra”, le attiviste ambientaliste ucci- se. Una strage silenziosa. CONTINUA A PAGINA 8 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo Cardinale Peter Kodwo Appiah Turk- son, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e Seguito. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Padre Abate Guillermo Leon Arboleda Tamayo, O.S.B., Presidente della Congrega- zione Sublacense Cassinese dell’Ordine di San Benedet- to. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nomina- to Vescovo della Diocesi di Mopti (Mali) Sua Eccellenza Monsignor Jean-Baptiste Tia- ma, finora Vescovo di Sikas- so. I manifestanti temono l’importazione del covid-19 Bloccata la frontiera tra Messico e Usa PAGINA 2 Sacre Scritture e pratica della misericordia nell’«Aperuit illis» La Parola di Dio in tempo di epidemia GIULIO MICHELINI A PAGINA 7 Padre Cantalamessa alla terza predica di Quaresima Madre dei dolori e della speranza PAGINA 8 ALLINTERNO DA PAGINA 3 A 6 Q quattro pagine APPROFONDIMENTI DI CULTURA , SO CIETÀ SCIENZE E ARTE L’adorazione eucaristica e la benedizione «Urbi et Orbi» del Papa sul sagrato della basilica di San Pietro In preghiera per l’umanità Da Francesco 30 respiratori in dono agli ospedali Anche attraverso «le braccia» simbo- liche del colonnato di San Pietro, il vescovo di Roma si protende nell’abbraccio a ogni donna e ogni uomo in questo tempo drammatico di pandemia. Alle 18 di venerdì 27 marzo, sul sagrato della basilica Va- ticana, Papa Francesco guida un mo- mento straordinario di preghiera a Dio, in comunione spirituale con i cristiani di ogni denominazione, tut- ti i credenti e gli uomini di buona volontà. E se piazza San Pietro è vuota — per contenere la diffusione del coro- navirus — la Parola di Dio, l’adora- zione eucaristica e la benedizione Urbi et Orbi, con annessa l’indulgen- za plenaria, possono «toccare» e in- terpellare davvero ogni persona, ovunque stia vivendo questi giorni difficili, anche attraverso i mezzi di comunicazione. Come già mercoledì scorso con la recita del Padre nostro, il Pontefice rilancia, a tutto campo, l’universalità della preghiera per rispondere con i fatti all’emergenza della pandemia. Ed ecco perché per il momento di preghiera di venerdì sera ha scelto di avere accanto due segni molto con- creti: il crocifisso, caro ai romani nel ricordo della fine della peste di 500 anni fa, custodito nella chiesa di San Marcello al Corso, e l’immagine di Maria Salus populi romani, venerata nella basilica di Santa Maria Mag- giore. Domenica 15 marzo Francesco ha compiuto un pellegrinaggio silenzio- so, per le strade di Roma, verso quel crocifisso e quella immagine maria- na. Per la preghiera di venerdì il Pa- pa ha voluto averli accanto, crocifis- so e icona, per rafforzare ancora di più la sua testimonianza Urbi et Orbi di fede e speranza. E di un «buon segnale» di spe- ranza Francesco ha parlato, venerdì mattina, nella consueta celebrazione eucaristica presieduta nella cappella di Casa Santa Marta. «In questi giorni sono arrivate notizie di come tanta gente incomincia a preoccupar- si, in un modo più generale, per gli altri» ha detto, a braccio, all’inizio della celebrazione trasmessa in diret- ta streaming. Ci sono persone, ha affermato il Papa, che «pensano alle famiglie che non hanno il sufficiente per vivere, agli anziani soli, agli ammalati in ospedale e pregano e cercano di fare arrivare qualche aiuto: questo è un buon segnale». Intanto il Pontefice ha donato agli ospedali più in difficoltà 30 re- spiratori che saranno consegnati, nei prossimi giorni, dall’Elemosineria apostolica. PAGINA 8 Cina e Stati Uniti pronti a collaborare sull’emergenza coronavirus Risposta comune e strategica PECHINO, 27. Una risposta comune e strategica all’emer- genza coronavirus. È quanto deciso oggi dal presidente statunitense, Donald Trump, e dal presidente cinese, Xi Jinping, in un colloquio telefonico, il primo dallo scop- pio della pandemia. «La Cina e gli Usa dovrebbero unirsi nella lotta contro la pandemia» ha spiegato Xi, auspicando che Washington «prenda azioni reali per migliorare i rapporti bilaterali». Xi ha inoltre chiesto al G20 di «tagliare i dazi per far ripartire l’economia. Ciò di cui la comunità internazionale ha più bisogno è di rafforzare fiducia, gli sforzi concertati e la risposta uni- taria». Trump, dal canto suo, ha definito «molto one- sto» il dialogo con Xi. La cooperazione è stata al centro anche dei colloqui che Xi ha tenuto con il cancelliere tedesco Angela Mer- kel, e con il presidente francese, Emmanuel Macron. A entrambi Xi ha assicurato cooperazione e sostegno scientifico e tecnico. «La Cina contribuirà alla stabilità dell’economia mondiale, continuando sulla strada delle riforme e dell’apertura» ha detto Xi. La strada del dialogo, tuttavia, sembra essere molto difficile in Europa. Ieri il Consiglio Ue non ha saputo raggiungere un accordo su come gestire l’emergenza. «I governi nazionali non sono l’Europa» ha detto oggi il presidente del Parlamento Ue, David Sassoli. «Ci sa- remmo aspettati una più forte assunzione di responsabi- lità dai leader». Le istituzioni europee «stanno combat- tendo per difendere i nostri cittadini, le nostre vite e la nostra democrazia» ha aggiunto.

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Page 1: In preghiera per l’umanitàper farci prossimi · 2020. 3. 27. · to, per evitare a molti di precipitare in un inferno di solitudine, mentre ci si separa per prevenire il conta-gio

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 71 (48.395) Città del Vaticano sabato 28 marzo 2020

.

y(7HA

3J1*QS

SKKM(

+z!"!@!$

!:!

Cittadini e credenti di fronte a questo tempo e a quello che verrà

Trovare nuovi modiper farci prossimi

di MARCO IM PA G L I A Z Z O

L’emergenza che stiamo vi-vendo in queste settimanecostringe la nostra società

a inediti e repentini mutamenti.Le strade e le piazze piene di gen-te e luci del nostro quotidiano so-no divenute buie e deserte. Ilmondo è cambiato nel giro di po-chissimi giorni e abbiamo ormaicompreso che chiunque non abbiamai indossato una mascherina saràcostretto, prima o poi, a farlo,ovunque. Come affrontare, da cit-tadini e da credenti, questo tempo,e quello che verrà?

Sperimentiamo turbamento e ap-prensione, ci confrontiamo con lapaura, ma non vogliamo essere so-praffatti da essa. L’impegno e ladedizione degli operatori sanitariche combattono in prima linea lamalattia sono il simbolo di una co-munità decisa ad aiutare chiunque,in particolare i più deboli e i piùvulnerabili. Le tante espressioni divolontariato che restano al fiancodi chi è più povero e fragile lo mo-strano. I poveri, gli anziani, quantisono affetti da patologie differentidal covid-19, le persone con disabi-lità, i senza dimora, chi è in carce-re, vivono oggi con maggiore soffe-renza la loro condizione. È compi-to di ciascuno far sentire loro unavicinanza premurosa e attenta, an-che se meno “fisica” che in passa-to.

Dovremo tutti essere attenti aquanti attorno a noi possono tro-varsi in difficoltà, magari perchésoli, e avviare una conversazionetelefonica, inviare un messaggio,una mail, offrirsi di comprare ciboe medicine. L’epidemia rivela lanostra debolezza. Ma fa pureemergere la nostra forza: un poten-ziale di relazione, di capacità di cu-ra e di tessitura, da esercitare subi-to, per evitare a molti di precipitarein un inferno di solitudine, mentreci si separa per prevenire il conta-gio. Perché l’inferno — lo cantavaanche Dante — può essere ancheun luogo freddo, gelido, privo delcalore della vita e delle sue intera-zioni, facili o difficili. Ed è soprat-tutto la dimensione del “senza”:senza stelle, senza tempo, senzasperanza. Senza vita, senza gente,senza incontri, senza abbracci, co-me avviene in questa stagione chetanti affrontano in solitudine, senzail calore di una famiglia o di rela-zioni vere.

Nel “deserto” di queste settima-ne ci rendiamo conto dell’imp or-tanza di costruire esistenze con dei

legami. Poco ci abbiamo investitoin passato. La vita che costruiremodopo l’epidemia dovrà avere più le-gami, essere densamente popolatadi gente, di incontri, di abbracci.«Ogni persona è chiamata a risco-prire cosa conta veramente, di cosaha veramente bisogno, cosa fa vive-re bene e, nello stesso tempo, cosasia secondario, e di cosa si possatranquillamente fare a meno», hadetto Papa Francesco nell’udienzadell’11 marzo. La prova che stiamovivendo avrà almeno il pregio difar crescere in tutti lo spaziodell’interiorità, aiutando a maturarela coscienza che della solitudine sipuò fare a meno, e che vivere benesignifica costruire una rete di con-tatti e di relazioni. È proprio que-sto che oggi ci manca, in fondo.«Non è buono che l’uomo sia so-lo», dice il Creatore nella Genesi: èla comunione dell’amicizia e del le-game il bisogno più profondo

Il Signore che passa nel tempo del coronavirus - 3

L’intellettuale vulnerabiledi VINCENZO ROSITO

«N on spezzerà una canna incrinata, nonspegnerà uno stoppino dalla fiammasmorta» (Is 42, 3). Mai come in que-

sto tempo una simile promessa risuona oscura eprovocatoria. Il contagio raggiunge tutti, ma siaccanisce contro le vite incrinate dei più deboli,aggredisce le fiammelle che incerte resistono. Icorpi già fiaccati sembrano attirare le frecce di ungiudizio insopportabile.

Eppure, in questo delicato passaggio della sto-ria, c’è chi è disposto a riattivare cinicamente lamacchina teologica del sacrificio, chi riproponel’immagine di altari laici e civili su cui “o f f r i re ”vite più spendibili di altre. Anche in questo mo-do si perpetua la “cultura dello scarto”. Nulla sa-rà come prima, non solo a causa della virulenzadel contagio, ma per la tossicità delle reazioni cheesso sta già provocando. Una tipologia di perso-ne in particolare non può continuare a vivere e alavorare come se nulla fosse cambiato: è quelladegli intellettuali e degli studiosi, siano essi inse-gnanti, ricercatori, uomini e donne di lettere. Co-storo, in questo tempo, hanno l’onere di avvertirela vulnerabilità della categoria a cui appartengo-no. Inefficacia e turbamento, impreparazione esbigottimento non sono rimasti fuori, confinatioltre il perimetro delle università e dei centri di

ricerca. L’intellettuale si scopre vulnerabile. Perquesto non si ritrae all’interno di istituzioni in-scalfibili, non si accontenta dei «discorsi a veritàgarantita» (M. de Certeau), non si allontana di unpasso dalle canne incrinate e dagli stoppini fu-manti, ma decide di stare con loro perché si vedescandalosamente nudo ed esposto come loro.

In questo momento il mondo delle istituzionieducative, delle università e degli studi ecclesiasti-ci potrebbe raccogliersi proprio attorno all’imma-gine dell’intellettuale vulnerabile. Per fare questooccorrerà discostarsi da un pensiero performantee dal rischio di insediare la logica della prestazio-ne nei processi di formazione umana. S’imp oneun lavoro comune sulle categorie ermeneutichedel tempo presente, molte delle quali sono stan-che e inefficaci nel dare forma al “nuovo” che siagita in questi giorni di isolamento domestico.Globalizzazione, s o v ra n i t à , postumano: forse anchequesti concetti non passeranno illesi attraverso igiorni che stiamo vivendo. Cerchiamo parole chesappiano dire i processi mentre vengono vissuti.L’intellettuale vulnerabile non confida in illumi-nazioni solitarie, ma desidera una compagnia dipensiero. La qualità delle idee e delle dottrinenon potrà più essere separata dal travaglio dellacomunità di studio che le ha pensate e maneggia-te. Dovremo accostarci l’uno al sentire dell’a l t roper capire come “fare insieme” tutto questo. Non

conta solo il “pro dotto” ma il “mo do” condiviso epartecipato della sua gestazione. L’intellettualevulnerabile non grida e non urla (Is 42, 2). La te-nerezza è finalmente la sua virtù, una tenerezzastrana, anzi stramba. Non è remissivo né sdolci-nato, ma è capace di accostamenti inconsueti,mette insieme cose e parole che normalmente nes-suno ha il coraggio di avvicinare.

Forse impareremo a riconoscere la vulnerabilitàdegli intellettuali dalla loro “m o s t ru o s i t à ”. Ci so-no mostri che non fanno paura, ma ispirano tene-rezza e prossimità. È la mostruosità bizzarra dichi non è mai al suo posto e che, proprio perquesta ragione, può considerare ogni posto ospi-tale. In un celebre racconto kafkiano compare, te-nera e inattesa, la figura di Odradek. Un esserestrano ma carezzevole, un accrocco di canne in-crinate che ispira fiducia, al quale viene sponta-neo rivolgere la parola perché non aggredisce nésovrasta. Sarà forse così anche per l’intellettualevulnerabile? «Naturalmente non gli si possono ri-volgere domande difficili, lo si tratta piuttosto —e la sua minuscola consistenza ci spinge da sola afarlo — come un bambino. “Come ti chiami?” glisi chiede. “O dradek” risponde lui. “E dove abi-ti?” “Non ho fissa dimora” dice allora ridendo;ma è una risata come la può emetter solo un esse-re privo di polmoni. È un suono simile al frusciardi foglie cadute».

Domani il mensile

Martiri

È dedicato alle nuove martiri ilnumero di “donne chiesa mondo”disponibile online (sul sitowww.osservatoreromano.va) a par-tire da sabato 28 marzo. Sonomoltissime le donne che, dandotestimonianza di fede, hanno sa-crificato la loro vita. “Le più per-seguitate tra i perseguitati” sonostate definite. Uccise, spesso bar-baramente torturate, umiliate nelloro essere donne, il loro corpousato come campo di battaglia.Un martirologio purtroppo lungo;che annovera donne di fedi, cultu-re e paesi diversi, di ogni età, lai-che e religiose, sposate, madri difamiglia, nubili. Le sopravvissutesono memoria delle persecuzionisubite e testimoni di perdono, co-me la pakistana Asia Bibi, la ira-chena yazida Nadia Murad, la su-danese Meriam Ibrahim e la suoraindiana Meena Barwa, che hannopatito il carcere e la violenza.All’interno del giornale un repor-tage dalla Basilica di San Bartolo-meo a Roma, Memoriale dei nuo-vi martiri testimoni della fede delXX e XXI secolo.

A cinque anni dalla Laudato si’,il ricordo delle “martiri della ter-ra”, le attiviste ambientaliste ucci-se. Una strage silenziosa.

CO N T I N UA A PA G I N A 8

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienzal’Eminentissimo CardinalePeter Kodwo Appiah Turk-son, Prefetto del Dicasteroper il Servizio dello SviluppoUmano Integrale, e Seguito.

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza ilPadre Abate Guillermo LeonArboleda Tamayo, O.S.B.,Presidente della Congrega-zione Sublacense Cassinesedell’Ordine di San Benedet-to.

Provvista di ChiesaIl Santo Padre ha nomina-

to Vescovo della Diocesi diMopti (Mali) Sua EccellenzaMonsignor Jean-Baptiste Tia-ma, finora Vescovo di Sikas-so.

I manifestanti temonol’importazione del covid-19

Bloccata la frontieratra Messico e Usa

PAGINA 2

Sacre Scritture e praticadella misericordianell’«Aperuit illis»

La Parola di Dioin tempo di epidemia

GIULIO MICHELINI A PA G I N A 7

Padre Cantalamessa alla terzapredica di Quaresima

Madre dei dolorie della speranza

PAGINA 8

ALL’INTERNO

DA PA G I N A 3 A 6

Qquattro pagineAPPROFONDIMENTI

DI C U LT U R A , SO CIETÀSCIENZE E ARTE

L’adorazione eucaristica e la benedizione «Urbi et Orbi» del Papa sul sagrato della basilica di San Pietro

In preghiera per l’umanitàDa Francesco 30 respiratori in dono agli ospedali

Anche attraverso «le braccia» simbo-liche del colonnato di San Pietro, ilvescovo di Roma si protendenell’abbraccio a ogni donna e ogniuomo in questo tempo drammaticodi pandemia. Alle 18 di venerdì 27marzo, sul sagrato della basilica Va-ticana, Papa Francesco guida un mo-mento straordinario di preghiera aDio, in comunione spirituale con icristiani di ogni denominazione, tut-ti i credenti e gli uomini di buonavolontà.

E se piazza San Pietro è vuota —per contenere la diffusione del coro-navirus — la Parola di Dio, l’adora-zione eucaristica e la benedizioneUrbi et Orbi, con annessa l’indulgen-za plenaria, possono «toccare» e in-terpellare davvero ogni persona,ovunque stia vivendo questi giornidifficili, anche attraverso i mezzi dicomunicazione.

Come già mercoledì scorso con larecita del Padre nostro, il Ponteficerilancia, a tutto campo, l’universalitàdella preghiera per rispondere con ifatti all’emergenza della pandemia.Ed ecco perché per il momento dipreghiera di venerdì sera ha scelto diavere accanto due segni molto con-creti: il crocifisso, caro ai romani nelricordo della fine della peste di 500anni fa, custodito nella chiesa di SanMarcello al Corso, e l’immagine diMaria Salus populi romani, veneratanella basilica di Santa Maria Mag-g i o re .

Domenica 15 marzo Francesco hacompiuto un pellegrinaggio silenzio-so, per le strade di Roma, verso quelcrocifisso e quella immagine maria-

na. Per la preghiera di venerdì il Pa-pa ha voluto averli accanto, crocifis-so e icona, per rafforzare ancora dipiù la sua testimonianza Urbi et Orbidi fede e speranza.

E di un «buon segnale» di spe-ranza Francesco ha parlato, venerdìmattina, nella consueta celebrazioneeucaristica presieduta nella cappelladi Casa Santa Marta. «In questi

giorni sono arrivate notizie di cometanta gente incomincia a preoccupar-si, in un modo più generale, per glialtri» ha detto, a braccio, all’iniziodella celebrazione trasmessa in diret-ta streaming.

Ci sono persone, ha affermato ilPapa, che «pensano alle famiglie chenon hanno il sufficiente per vivere,agli anziani soli, agli ammalati in

ospedale e pregano e cercano di farearrivare qualche aiuto: questo è unbuon segnale».

Intanto il Pontefice ha donatoagli ospedali più in difficoltà 30 re-spiratori che saranno consegnati, neiprossimi giorni, dall’Elemosineriaap ostolica.

PAGINA 8

Cina e Stati Uniti pronti a collaborare sull’emergenza coronavirus

Risposta comune e strategicaPE C H I N O, 27. Una risposta comune e strategica all’emer-genza coronavirus. È quanto deciso oggi dal presidentestatunitense, Donald Trump, e dal presidente cinese, XiJinping, in un colloquio telefonico, il primo dallo scop-pio della pandemia. «La Cina e gli Usa dovrebberounirsi nella lotta contro la pandemia» ha spiegato Xi,auspicando che Washington «prenda azioni reali permigliorare i rapporti bilaterali». Xi ha inoltre chiesto alG20 di «tagliare i dazi per far ripartire l’economia. Ciòdi cui la comunità internazionale ha più bisogno è dirafforzare fiducia, gli sforzi concertati e la risposta uni-taria». Trump, dal canto suo, ha definito «molto one-sto» il dialogo con Xi.

La cooperazione è stata al centro anche dei colloquiche Xi ha tenuto con il cancelliere tedesco Angela Mer-

kel, e con il presidente francese, Emmanuel Macron. Aentrambi Xi ha assicurato cooperazione e sostegnoscientifico e tecnico. «La Cina contribuirà alla stabilitàdell’economia mondiale, continuando sulla strada delleriforme e dell’apertura» ha detto Xi.

La strada del dialogo, tuttavia, sembra essere moltodifficile in Europa. Ieri il Consiglio Ue non ha saputoraggiungere un accordo su come gestire l’emergenza. «Igoverni nazionali non sono l’Europa» ha detto oggi ilpresidente del Parlamento Ue, David Sassoli. «Ci sa-remmo aspettati una più forte assunzione di responsabi-lità dai leader». Le istituzioni europee «stanno combat-tendo per difendere i nostri cittadini, le nostre vite e lanostra democrazia» ha aggiunto.

Page 2: In preghiera per l’umanitàper farci prossimi · 2020. 3. 27. · to, per evitare a molti di precipitare in un inferno di solitudine, mentre ci si separa per prevenire il conta-gio

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 sabato 28 marzo 2020

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSONon praevalebunt

Città del Vaticano

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I manifestanti temono l’importazione del covid-19 dagli Stati Uniti

A Sonora bloccata per protestala frontiera tra Messico e Usa

A un mese dal primo caso in America latina

L’Argentina chiudetutti i confini

WASHINGTON, 27. A volte accadeche il più debole chiuda le porte alpiù forte. In questo caso per timoredel coronavirus. Sta accadendo a So-nora, città messicana al confine conl’Arizona, dove da alcuni giornigruppi di cittadini stanno bloccandol’ingresso ai cittadini statunitensi.

Il posto di frontiera dovrebbe es-sere già chiuso tranne che per motivistraordinari, ma i residenti di Sono-ra, organizzati in un gruppo autode-finitosi “Salute e vita”, affermanoche i controlli non sono aumentati.Per questo chiedono che venganovalutate le condizioni di salute deglistatunitensi che attraversano il confi-ne. In Messico per il momento sicontano poche centinaia di casi diinfezione da coronavirus, mentre, co-me è noto, gli Stati Uniti sono di-ventati il nuovo epicentro della pan-demia globale.

Solo una settimana fa il presiden-te degli Stati Uniti, Donald Trump,in una conferenza stampa alla CasaBianca, aveva annunciato che «gliStati Uniti e il Messico chiudono ilconfine condiviso per viaggi non es-senziali per frenare la diffusione delv i ru s » .

Sull’andamento dell’epidemia ne-gli Stati Uniti, circolano intanto pre-visioni preoccupanti. Il coronaviruspotrebbe uccidere decine di migliaiadi persone nei prossimi 4 mesi e nonsi placherà plausibilmente prima digiugno. Sono le previsioni emersedall’analisi svolta presso l’Universityof Washington School of Medicine.Secondo lo studio, riportato dallaReuters, ci saranno plausibilmentemorti fino a luglio e i decessi com-plessivi si stimano in un range moltoampio. Condotto da ChristopherMurray, direttore dell’Institute forHealth Metrics and Evaluation, lostudio mostra che al momento delpicco dei contagi il numero dei pa-zienti malati potrebbe superare quel-lo dei posti letto disponibili di qual-cosa come 64.000 unità e servirannocirca 24 mila ventilatori, che già orascarseggiano nelle zone più dura-mente colpite come l’area di NewYo r k .

Secondo i ricercatori è cruciale ri-spettare le misure di distanziamento

e prevenzione per favorire il conteni-mento dell’epidemia e quindi scon-giurare la saturazione dei servizi sa-nitari dei diversi stati americani.

Intanto ieri il primo ministro ca-nadese, Justin Trudeau, ha dichiara-to di essersi confrontato con l’ammi-nistrazione del presidente degli StatiUniti, Donald Trump, dopo che laCasa Bianca aveva annunciato cheera in fase di valutazione il progettodi inviare l’esercito nelle aree di con-fine con il Canada per fronteggiarenel migliore dei modi l’e m e rg e n z acoronavirus ed evitare sconfinamentiillegali. La frontiera è stata chiusa aiviaggi non essenziali già da alcunigiorni.

«Il Canada e gli Stati Uniti han-no il confine non militarizzato piùlungo del mondo, ed è interesse dientrambi che rimanga tale», ha dettoTrudeau ai giornalisti, parlando loroin videoconferenza dalla sua casa adOttawa dove è in quarantena daquando la moglie è risultata positivaal coronavirus. Trudeau ha aggiuntodi aver «discusso con gli Stati Unitidi questo» e comunque i negoziatitra i due paesi vanno avanti.

È infine scattata la misura del co-prifuoco a Miami per tentare di ar-ginare i contagi. Sarà in vigore dalle22 alle 5 del mattino, a eccezione dichi è costretto ad andare al lavoro edelle emergenze mediche.Operazioni di disinfestazione a Città del Messico (France Presse)

BUENOS AIRES, 27. Il governo delpresidente argentino, Alberto Fer-nández, ha annunciato oggi il di-vieto, fino al 31 marzo, di entrarenel paese sudamericano attraversoporti, aeroporti, valichi di frontierainternazionali e centri di frontiera.L’ingresso sarà consentito solo agliargentini che sono in volo di ritor-no nel paese. Questo «per rafforza-re le misure contro il coronavirus»,ha affermato il ministro della Dife-sa Agustín Rossi, incontrando i

giornalisti. Al momento nel paesesono dodici le morti legate al coro-navirus e il numero totale di infettiammonta a 589.

A un mese dal primo caso rico-nosciuto di coronavirus avvenutoin Brasile, la diffusione del covid-19 in America latina non ha ancoraraggiunto il suo apice, quello cheviene definito picco dagli esperti.Il numero di morti legate al coro-navirus nella regione latino ameri-cana ha toccato quota 150. I conta-gi ormai da qualche giorno hannoraggiunto tutti i paesi del SudAmerica, e ogni singolo stato haapprovato misure sempre più re-strittive per tentare di contenere ladiffusione del virus, vista la sua fa-cilità di trasmissione. Il basso nu-mero di contagi registrati potrebbeperò dipendere anche dal ridottonumero di tamponi effettuati.

In Brasile sono stati 77 i decessiregistrati nelle ultime 24 ore, quasi3.000 i nuovi contagi e circa 200 ipazienti ricoverati in unità di tera-pia intensiva. Si tratta del piùgrande tasso di incremento sia peri contagi (+19 %) che per le morti(+35 %) legate alla malattia. È sem-pre lo stato di San Paolo, il piùpopoloso del paese, con circa 46milioni di abitanti, la regione piùcolpita del paese con più di 1.000nuovi casi e 58 vittime nell’ultimagiornata. Visto il forte e prevedibileincremento della diffusione dellamalattia il presidente del Brasile,Jair Bolsonaro, ieri ha varato dellenuove misure di distanziamento so-ciale per far fronte all’e m e rg e n z a .Israele

verso un Governodi unità

nazionale

TEL AV I V, 27. Si va verso un governodi unità nazionale in Israele. Il lea-der del partito Blu e Bianco, BennyGantz, al quale era stato conferitol’incarico di formare l’Esecutivo, èstato eletto ieri presidente dellaKnesset (il parlamento israeliano)con 74 voti. Sostegno decisivo è arri-vato dalla coalizione di centro-destraguidata dal Likud, il partito del pre-mier Benjamin Netanyahu, principa-le rivale politico di Gantz.

«La democrazia ha vinto» ha det-to Gantz subito dopo il voto, assicu-rando che non farà compromessi«sui principi per i quali milioni dicittadini hanno votato». Va sottoli-neato che la decisione dell’ex capodi stato maggiore di accettare il so-stegno di Netanyahu ha provocatouna scissione nella coalizione di cen-tro-sinistra guidata da Blu e Bianco.I partiti Lapid e Yaalon hanno subi-to annunciato l’uscita dei propri de-putati dalla coalizione.

Secondo i media israeliani, Gantzsarà per breve tempo alla testa dellaKnesset per poi assumere la caricadi vicepremier e ministro degli Esteriin un governo guidato per i primi 18mesi ancora da Netanyahu. E subitodopo da lui stesso. «Siamo pronti aunirci a condizione che ci sia unacomposizione paritaria tra blocchi didestra e di centro-sinistra, o che ilgoverno sia formato solo da Likud eBlu e Bianco» avevano riferito alquotidiano «Haaretz» fonti del par-tito di Gantz.

Al vaglio la proposta dei coronabond ma alcuni Paesi fanno resistenza

Europa spaccata sulla risposta all’e m e rg e n z a

Personale sanitario a Taverny vicino Parigi (Reuters)

Scomparso candidatoalla presidenza del Mali

L’esecutivo del Kosovosfiduciato dal parlamento

Nuova missionedell’Uein Libia

TRIPOLI, 27. Gli ambasciatori del-l’Ue hanno trovato ieri sera un ac-cordo per l’avvio dell’op erazionemilitare europea Irini, per il con-trollo dell’embargo Onu sulle armialla Libia. Il comando di Irini (va-riante del nome Irene, che in grecovuol dire “pace” o “tempo di pa-ce”) sarà a Roma, ma eventuali mi-granti che dovessero essere soccorsiin mare non saranno sbarcati neiporti italiani. L’intesa prevede, in-fatti, che i paesi partecipanti defini-scano un meccanismo di ripartizio-ne ad hoc, su base volontaria, conlo sbarco nei porti della Grecia.

Una soluzione accettata da Ate-ne in cambio di compensazioni po-litiche ed economiche. Anche per-ché, come è stato fatto notare — al-la luce dell’emergenza coronavirus— non sono pensabili gli sbarchinei porti nazionali o la partecipa-zione italiana alla ridistribuzione.

La nuova missione, che sostitui-sce l’operazione Sophia, il cuimandato scadrà a fine marzo, do-vrebbe partire già da aprile e avràun mandato per un anno. Il puntoprincipale di Irini sarà la vigilanzadell’embargo delle Nazioni Unitesulle armi alla Libia. Un nuovo se-gnale dell’Unione europea di vole-re far avanzare il processo di pacenel paese nordafricano.

BRUXELLES, 27. Spaccatura in senoal Consiglio europeo, svoltosi ieriin videoconferenza, fra i capi diStato e di governo degli Stati mem-bri dell’Unione in merito alle misu-re da adottare, per fronteggiare lacrisi provocata dal covid-19 in Eu-ropa. A seguito del veto posto daItalia e Spagna, i 27 leader europeisi sono dati quattordici giorni permettere a punto una nuova strate-gia condivisa. Due le proposte ap-provate: da un lato l’iniziativa d’in-vestimento per rispondere alle ri-chieste dei paesi europei maggior-mente colpiti dalla pandemia, indi-rizzata ai singoli sistemi sanitari na-zionali, dall’altro lato l’estensionedel fondo di solidarietà europeoper le emergenze sanitarie pubbli-che.

Si è delineata dunque una palesedivisione fra quei governi favorevoliall’emissione dei cosiddetti “c o ro n a -b ond”, fra cui Roma e Madrid, se-guite da Francia, Belgio, Grecia, Ir-landa, Lussemburgo, Portogallo eSlovenia, e quelli “rigoristi” contra-ri a qualunque mutualizzazione ge-neralizzata dei debiti, guidati daBerlino. Assieme con la Germaniavi sono anche Austria, Paesi Bassi eFinlandia. Al termine dei lavori ilcancelliere tedesco, Angela Merkel,si è espressa chiaramente: «Preferia-mo come strumento il Meccanismoeuropeo di stabilità (Mes)». In par-ticolare la posizione rappresentatadall’Italia è volta a istituire uno

strumento di condivisione delle ri-sorse e dei rischi a fronte della crisi,mentre quella tedesca punta a de-volvere ai singoli Stati membridell’Ue enormi risorse per superareautonomamente la crisi. Conte-stualmente il presidente della Ban-ca centrale europea (Bce), Christine

PRISTINA, 27. In piena emergenzaper la pandemia da covid-19, il go-verno del Kosovo, guidato dalpremier Albin Kurti e insediatosisolo a inizio febbraio, è stato sfi-duciato ieri dal parlamento a Pri-stina. A favore della sfiducia han-no votato 82 deputati, i contrarisono stati 32, uno si è astenuto.

In meno di due mesi si è consu-mato il dissidio fra Kurti, leaderdel partito di maggioranza Auto-determinazione, e Isa Mustafa, expremier e capo della Lega demo-cratica del Kosovo, che a fatica e

dopo lunghi negoziati avevanoconcluso un accordo di coalizione.

I contrasti fra i due esponentipolitici riguardano, fra l’altro, iltema cruciale del dialogo con Bel-grado, con i dazi anti-serbi mag-giorati del 100 per cento impostida Pristina nel novembre 2018.

Kurti è irremovibile nel mante-nere tali dazi, che impediscono laripresa del negoziato, mentre Mu-stafa — in linea con il presidenteHashim Thaçi e con l’amministra-zione statunitense — ritiene chevadano aboliti al più presto.

BA M A KO, 27. Soumaila Cissé, exministro delle Finanze e attualeesponente dell’opposizione candi-dato alla presidenza del Mali, èscomparso. Lo denuncia il suo par-tito Unione per la Repubblica e lademocrazia (Urd) citato da BbcAfrica. Cissé è impegnato nellacampagna elettorale nella regionecentrale di Niafunke. Atteso con lasua delegazione ieri sera nel villag-gio di Koumaira, non si è presenta-to, né è risultato telefonicamenteraggiungibile, ha confermato l’U rd ,che ha lanciato un appello: «Il

partito sollecita il Governo, le forzearmate e la missione dell’Onu perun aiuto a rintracciarli».

Il Mali ha le elezioni parlamen-tari fissate per il prossimo 29 mar-zo. Il presidente, Ibrahim Bou-bacar Keïta, ha affermato che il vo-to si terrà nonostante la pandemiadella malattia covid-19 in atto. IlPaese ha dichiarato lo stato diemergenza sanitaria e ha imposto ilcoprifuoco dalle 21 alle 5 ora loca-le, chiudendo anche tutti i propriconfini terrestri.

Lagarde, ha lanciato il nuovo pro-gramma di acquisto di titoli da 750miliardi di euro per contenere gli ef-fetti socio-economici provocati dallapandemia.

Ad ogni modo, mentre i leadereuropei si danno tempo per decide-re, il virus dilaga nel vecchio conti-

nente con oltre 250 mila contagi, os-sia, metà di quelli mondiali e più di15 mila morti finora. Nella sola Spa-gna sono stati registrati nelle ultimeventiquattro ore almeno 10 mila ca-si, portando così a più di 4 mila levittime da covid-19. Accantonatal’ipotesi dell’immunità di gregge,Londra, contando oltre 11 mila casie più di 460 morti, ha predispostouno stanziamento di oltre 200 mi-lioni di sterline per la ricerca di unvaccino. In Francia, mentre è incorso l’evacuazione dei pazienti dauna regione all’altra, i decessi sfiora-no già i 1.700 casi. In Germania, suoltre 40 mila contagiati, le vittimesono 200. Intanto a Mosca s’inten-sificano le misure di contenimentodella propagazione del virus con800 casi di infezione in ventiquattroore. Dal fronte dei Balcani, dove siregistrano già i primi casi, arrivanorichieste di aiuto: Serbia, Macedo-nia del Nord, Albania, Bosnia edErzegovina, Montenegro e Kosovochiedono con un appello rivoltoall’Ue di continuare a poter usufrui-re dell’importazione di materialemedico-sanitario.

E nelle ultime ore è risultato po-sitivo al test del coronavirus il pri-mo ministro britannico Boris John-son, che si trova ora in autoisola-mento. Mercoledì era stato in Parla-mento. Lo ha annunciato con untweet lo stesso premier, il quale hadichiarato che continuerà a guidareil governo in videoconferenza.

Page 3: In preghiera per l’umanitàper farci prossimi · 2020. 3. 27. · to, per evitare a molti di precipitare in un inferno di solitudine, mentre ci si separa per prevenire il conta-gio

L’OSSERVATORE ROMANOsabato 28 marzo 2020 pagina 3

QA P P R O F O N D I M E N T I D I C U L T U R A , S O C I E T À , S C I E N Z E E A R T E

quattro pagine

Sedottodallo stupore

Incontro con Nicola Piovani

di FRANCESCA ROMANA DE’ ANGELIS

Un viso da ragazzo sot-to una cascata di ric-cioli morbidi come ifiori di giacinto diomerica memoria. Due

mani forti che fanno pensare alla vi-ta, ma che quando si muovono, leg-gere e rapide come un volo di farfal-le, fanno pensare alla musica. NicolaPiovani, musicista tra i più conosciu-ti e amati in tutto il mondo, ha lega-to il suo nome a registi quali Moni-celli, Fellini, Moretti, i Taviani, Tor-natore, Benigni con il quale nel 1999ha vinto l’Oscar per la musica delfilm La vita è bella. Una vita ricca diincontri d’eccezione — Vincenzo Ce-rami, Gigi Magni, Ennio Morricone,Manos Hadjidakis solo per farequalche nome — e di amicizie cre-sciute sotto il segno della musica enella quale Nicola Piovani ha saputomantenere un singolare equilibrio tracreatività e concretezza, tra arte eimpegno. Raffinatissimo musicistaapprezza il tremolo di un virtuosisti-co violino o il suono di un impecca-bile pianoforte, ma è capace di emo-zionarsi ai suoni delle bande di pae-se e alle serenate campagnole quan-do nelle notti stellate una voce saleaccompagnata da una chitarra, daun flauto, da un organetto. Un ri-flesso forse di quell’amore per unaciviltà paesana e solidale e una musi-ca capace di far battere il cuore ere-ditato da suo padre, musicista dilet-tante, che suonava nella banda delpaese natale. Innamorato del suopianoforte, non ne ha quella cura os-sessiva di tanti musicisti, piuttosto losente come un compagno nell’avven-tura del comporre, la carta penta-grammata sul leggio, una matita trale labbra, la gomma da cancellarepoggiata sulla tastiera.

Una vita nella e per la musica chenon lo ha allontanato dal mondo, alcontrario ha contribuito a radicare inlui un senso forte della coscienza ci-vile e politica. Il desiderio che lamusica sia accessibile a tutti e nonresti linguaggio per pochi; la con-vinzione che la cultura maschilistaabbia fatto tanto male alle donne maaltrettanto agli uomini; la ricercadella dignità dell’esistenza, il rispet-to per il prossimo; pensare in picco-lo, ma fare comunque qualcosa percambiare il mondo. E naturalmentela passione perché l’arte, dice Piova-ni, «è come l’erba che nasce in mez-zo alle quadrelle di cemento, si fastrada comunque».

Il primo ricordo della tua vita?

Della sala parto non ricordo pro-prio niente. Scherzo naturalmente.Una delle prime immagini legate al-la mia infanzia è lo “squaglio dicio ccolato” un goloso bicchiere pie-no di panna appena montata e dicioccolato bollente che era il premioquando a scuola prendevo un bel

voto. La gioia non era solo berlo,ma l’attesa nel breve tratto di stradada casa nostra alla latteria, manonella mano di mia madre, e poi co-minciare a divorarlo con gli occhimentre aspettavo che si raffreddasse.

Nella tua casa hai respirato musica findall’infanzia. Quanto ha contato que-sta confidenza precoce con i suoni e congli strumenti?

I miei genitori non erano musici-sti, erano appassionati di musica.Probabilmente se fossi cresciuto inuna famiglia di musicologi, avrei im-parato qualcosa di più quanto a eru-dizione, ma ne saprei di menodell’aspetto comunicativo, carnale,d i re t t o .

Spiegaci meglio questo rapporto direttocon la musica.

Mio padre era un musicista dilet-tante che aveva suonato nella bandadi Corchiano, il suo paese natale nelviterbese. Io a tre anni suonavo la fi-sarmonica. In casa la musica che siascoltava era quella cosiddetta “leg-gera” che veniva trasmessa dalla ra-dio. Claudio Villa, Nilla Pizzi, Do-

menico Modugno erano i cantantiprediletti da mia madre. Poi due cir-costanze cambiarono la situazione.Mio fratello maggiore Tonino, didieci anni più grande di me, acqui-stò una fonovaligia Lesaphon Perla,un grammofono trasportabile, conl’altoparlante nel coperchio e il gira-dischi nella base, un oggetto alloradesiderato e invidiato da tutti i ra-gazzi. Nello stesso periodo, avevo 12anni e studiavo pianoforte, una zia,venuta in visita, mi regalò tre vinili:due contenevano le sonate di Bee-thoven, tra cui l’opera 111 che sareb-be diventata una delle mie predilettee il terzo le Variazioni Golderg diBach eseguite da Glenn Gould. Miofratello usava la fonovaligia il finesettimana nelle feste da ballo che isuoi coetanei organizzavano, per ilresto la utilizzavo io insieme a Nino,l’altro mio fratello. Ascoltare infinitevolte e con entusiasmo crescentequelle musiche divine fu una straor-dinaria esperienza: prima di diventa-re un musicista divenni “a s c o l t a t o re ”e lo sono rimasto per sempre, un’at-tività che ha accompagnato tutto ilmio percorso spirituale. Vorrei ag-giungere che l’ascolto puro attraver-so il disco è utilissimo, ma è pursempre un surrogato dell’ascolto inuna sala da concerto. Negli anni del-la mia giovinezza frequentare i teatrie le sale da musica era un privilegiodella borghesia, agli altri tutt’al piùerano riservati i loggioni, uno spaziolontano confortato dal luogo comu-ne che l’acustica fosse migliore. An-cora oggi è così: i prezzi della plateae dei palchi sono proibitivi per stu-denti e lavoratori. I cittadini comuninon possono permettersi 125 europer una poltrona all’opera, che restacosì esclusiva per convegni elitaricon quel tanto di mondanità che èsempre più noiosa. Avremmo biso-gno di una seria bonifica culturalein materia da parte dei politici. Maper difendere la cultura bisognaaverla, e soprattutto amarla. Quandoimmagino e desidero teatri d’opera esale da concerto organizzati a prezziaccessibili, mi dicono che sono unutopista. Forse è così, quello che ècerto è che vorrei che tanti potesserogodere quello che di prezioso la mu-sica possiede. Si entra in una sala daconcerto, l’orchestra si sistema, cala-no le luci, entra il direttore e perun’ora o poco più, mentre nell’ariasi dipana un pensiero musicale, eccoche viene a crearsi una sintonia, perme sempre magica, fra chi suona echi ascolta.

Usi spesso un’espressione molto bella«ascoltare con innocenza» che vale per

la musica ma non solo. È un privilegiodell’infanzia e di chi non sa o può esse-re un modo consapevole di lasciarsi ra-pire dalla bellezza delle creazioni uma-ne?

La frase è riferita alla perdita d’in-nocenza dell’ascoltatore critico, ec-cessivamente analitico. E allora lacultura prende il sopravvento sull’ar-te. Al nostro tempo succede spessonel pensiero dominante. La parolacultura nei nostri decenni si usaspesso, troppo spesso, e la parola ar-te troppo poco.

Quali sono i tuoi luoghi del cuore e latua personale geografia di Roma, cittàdove sei nato e dove vivi?

I luoghi belli, magnifici di Romali conosciamo tutti. Io sono affezio-nato a certi tragitti che ho ripetutonegli anni. Da bambino abitavo avia Sebastiano Veniero nel quartiereTrionfale e tante mattine andavo ascuola a piedi, la Pio IX che non eralontana. Il tragitto da viale Vaticano,passando per piazza Risorgimentofino a Porta Angelica e poi San Pie-tro e la Conciliazione lo facevo duevolte al giorno. Pensa che mi ferma-vo a bere alla fontana delle Tiare alargo del Colonnato!

Da buon romano hai ricordato unadelle tante fontane che fanno di Romauna città d’acqua. In questo caso unadelle dieci fontanelle che, pur essendosolo novecentesche, hanno tutte unastraordinaria grazia.

Tre piccole vasche a forma di con-chiglia che raccolgono l’acqua da al-trettante cannelle accanto alle chiavidi San Pietro e con tre tiare papalisormontate da un’altra posta a coro-na. Una fontanella evocativa del rio-ne Borgo costruito a ridosso del Va-ticano. Un altro tragitto che mi èmolto caro è quello che per anni hofatto in macchina per andare da ca-sa, a Monteverde vecchio, fino a Ci-necittà, passando per l’Appia Antica,l’Appia Pignatelli, Capannelle...

Il dentro e il fuori: la casa dove com-porre e il mondo dove suonare. Sei piùun viaggiatore o un sedentario?

Come natura mi sento più stanzia-le, mi piace viaggiare con la testa,con le opere d’arte. Forse perché peril mio lavoro sono obbligato a viag-giare molto e faticosamente allora,quando posso scegliere, preferisco lamia casa, il mio quartiere, la miagatta.

Ci puoi descrivere la tua “bottega”c re a t i v a ?

È presto detto: una stanza nongrande, un tavolo, un pianoforte —anche verticale — una poltroncina;carta pentagrammata e molte matite2B (anche molte gomme per cancel-lare). E un buon impianto stereo perascoltare musica.

Pianista, compositore per cinema e tea-tro, di musica da camera e sinfonica,di canzoni, arrangiatore, direttore d’or-chestra. Non c’è territorio musicale chetu non abbia esplorato. Curiosità, pas-sione per l’avventura o più semplice-mente amore per la musica senza alcunp re g i u d i z i o ?

Non riesco a scegliere un territo-rio e fermarmi lì: se mi chiedesserodi scrivere musica per un circo o peruna parata pubblica sarei probabil-mente tentato di cimentarmi con lamusica in una zona da me imbattu-ta. Forse presto scriverò un inno peruna manifestazione sportiva.

Tra i tanti incontri che hai avuto, pro-fessionalmente credo tutti importanti,quali sul piano umano hanno contatodi più?

Gli incontri nella vita ti segnano eti lasciano anche secondo la tua ca-pacità di recepire l’altro da te. Hopreso molto dai tanti artisti per iquali ho lavorato. Con alcuni è ri-masta un’amicizia solida.

E i maestri?

Ho avuto la fortuna di eccellentimaestri che sono stati fondamentalinella mia vita, come il greco ManosHadjidakis. A Roma in quegli annivivevano tanti profughi fuggiti dallaGrecia dei colonnelli, la dittaturamilitare che aveva preso il potere nel1967. Uno di loro mi presentòHadjidakis che allora stava compo-nendo musiche per un film hol-lywoodiano e aveva bisogno di unaiutante orchestratore. Lavorare perlui significò ricevere il dono di tantiinsegnamenti. In particolare ricordoqueste parole, che accolsi come unodi quei meravigliosi segreti capaci diconiugare la filosofia musicale con idettagli tecnici: «Quando componimusica per il cinema cerca di evitarela banalità; però non avere neanchepaura di usare l’arpa sulle immaginidelle onde marine sulla spiaggia,perché quando ci vuole, ci vuole».

Che rapporto hai con la memoria? Lasenti una compagna, ti lasci volentierisorprendere dal passato che a volte tor-na o temi la commozione dei ricordi?

La memoria è un tema centrale inquesto periodo per me. Senza me-moria non c’è esistenza. Comunque,superata la giovinezza, la memoriafa anche scherzi balordi: vedo amiciche hanno ricordi del passato impro-babili, ricostruiti secondo il capricciodella memoria, alcuni ricostruiti dalproprio Narciso. Forse capita anchea me, ma tanto non me ne accorgo.La nostalgia invece è un sentimentoche mi infastidisce, da sempre. Lacommozione dei ricordi è vigliacca,lavora ai fianchi e, se non si fa atten-zione, si finisce per sprofondare nel-la nostalgia del rimpianto. Perchél’amore antico per certi cieli, per cer-ti profumi, per certe voci non è unamore adulto e critico, è un amorecreaturale e illogico. Fulminante co-me una cotta, solido come il traverti-no dei palazzi romani.

Una parola che ami?

Stupore. È un sentimento per mefondamentale e ancora oggi la solamusica che mi seduce è quella che sasorprendermi. Ricordo che una mat-tina in macchina ascoltai un branopianistico che non conoscevo e chemi rapì. Dovetti scendere prima cheannunciassero il nome dell’artista,ma quella musica mi era rimasta nel-la mente e nel cuore e con qualchericerca riuscii a rintracciarlo. Da al-lora quella sonata del tedescoKalkbrenner risuona quotidianamen-te nella mia stanza.

Una parola importante?

Tempo, parola importante per lamusica e per la vita. C’è il temposemplice in quattro quarti, il tempocomposto in sei ottavi, il tempo di-

spari in sette ottavi e così via. C’è iltempo rubato delle interpretazionichopiniane e c’è il tempo largo, cal-mo, quello che spesso ci sembra diaver sprecato nella quotidianità. C’èanche il tempo perso, che a volte misembra l’unico tempo veramenteguadagnato della vita. C’è un tempoper tutto sotto il sole, ammoniscel’Ecclesiaste. L’importante è non sba-gliare i tempi altrimenti si finisce asuonare la chitarra sulla spiaggia infrac e a dirigere un’orchestra sinfoni-ca con le infradito!

«La poesia — diceva il poeta LeonardoSinisgalli — è una compagna esigente,non ti dà nessuna sicurezza... semprepronta a fuggire». C’è per il musicistail timore del silenzio come per lo scrit-tore della pagina bianca?

La poesia — come la musica, l’ar-te, l’amore — non è mai rassicurante.L’amore vivo è come la scoperta diuna nuova sorprendente musica, èvitalità sempre in bilico. Poi c’èl’amore coniugale che somigliaall’abbonamento fisso a teatro, stessapoltrona da dieci anni, a volte senzaconoscere i titoli in cartellone...

Tu ami le note, ma ami anche le paro-le. Penso non solo alle partiture accom-pagnate da testi, ma al tuo bel libro«La musica è pericolosa». Che espe-rienza è stata la scrittura?

Era il mio primo libro, probabil-mente l’ultimo. L’ho scritto tenendoconto degli equilibri volumetrici de-gli argomenti. Come fosse una parti-tura.

«Spesso nella storia le conquiste con-crete sono precedute dal canto dei poe-ti» come a dire i sogni possono farsirealtà. Sono parole tue che confortanoin tempi come i nostri che sembranoaver smarrito il senso dell’umana soli-darietà. La scelta, all’alba del nuovomillennio, di rappresentare «La pietà»,una preghiera laica come è stata defini-ta, a Betlemme e a Tel Aviv, cioè interritorio palestinese e israeliano, rien-tra in questa fiducia?

Sì, sono fiducioso, perché non misembra di vivere momenti particolar-mente bui: basta leggere un po’ distoria e vedere quanto l’Europa delsecolo passato vivesse in gran partedi guerre. Guerre: cioè morti, feriti,prigionieri, stupri, vessazioni, tortu-re, prevaricazioni. Tutto ciò non ècerto finito, ma non mi sembra siaaggravato: la civiltà fa passi avanti,grazie anche al sacrificio degli eroi,la scienza dei filosofi e l’intuizionedei poeti.

Sei autore di tante canzoni e nel 2013,in occasione dell’uscita del tuo disco«Cantabile», pubblicasti su un quoti-diano un interessante articolo su questogenere musicale la cui essenza restaquasi inafferrabile.

La canzone all’apparenza è unaforma di composizione semplice,tanto è vero che viene definita musi-ca «debole» o «leggera» in opposi-zione a quella «forte» cioè la classi-ca. Il discorso è certamente moltopiù complesso. Le canzoni vivononell’aria, vengono respirate anche dachi non ci fa attenzione. E quasiognuno di noi ha un episodio im-portante della propria vita legato aun refrain, a un titolo, a un disco acui associa una persona cara, un cli-ma di famiglia, un amore infantile.Le canzoni attraversano sorniona-mente la vita dei nostri giorni, dellenostre città, delle nostre intimità ene scandiscono i passaggi. Normal-mente diffido degli aneddoti chesento raccontare, del resto spessoimprobabili, ma qualche volta, comein questo caso, una storiella può aiu-tare a capire più di tante parole. Co-noscevo un musicologo serissimoche ascoltava solo Bach, Schönberg,Frescobaldi... e altezzosamente giu-dicava popolaresco Verdi, trivialeMascagni e insignificante Gershwin.Questo musicologo però — non pro-prio un adone — aveva vissuto annidietro una storia d’amore infelice equando sentiva le note di Una roton-da sul mare di Fred Bongusto, gli siriempivano gli occhi di lacrime.

«Quanto t’ho amato» è il titolo di unatua bellissima canzone. Vale per la mu-sica naturalmente, ma anche per...

La vita che mi circonda.

Maciej Cieśla, «Stadt, Nacht und Musik»

• Lia Levi e quella discesagraduale verso il Maledi NICLA BE T TA Z Z I

• La spiritualità nei graffitidi ROBERTO CETERA

• Don Abbondioe «la casa devastata»di GABRIELE NICOLÒ

• Nello specchio di Edgardi ALESSANDRO CLERICUZIO

Nicola Piovani nasce nel 1946 aRoma, dove ha sempre vissu-to e lavorato. Musicista cono-sciuto e amato in tutto ilmondo è pianista, direttore

d’orchestra, compositore, arran-giatore. Per il cinema ha scrittomusica per i più importanti regi-sti italiani e stranieri, tra i qualiMonicelli, Fellini, i Taviani, Mo-retti, Tornatore, Bigas Luna, Se-púlveda. Con uguale passione siè dedicato al teatro scrivendomusiche di scena per gli allesti-menti di Carlo Cecchi, Luca DeFilippo, Maurizio Scaparro e Vit-torio Gassman. Nel 1989, conLuigi Magni e Pietro Garinei,crea per il Teatro Sistina la com-media musicale I sette re di Ro-ma. Alla fine degli anni Ottantainizia il sodalizio artistico conVincenzo Cerami. Insieme all’at -tore Lello Arena, fondano laCompagnia della Luna per darevita a un teatro dove musica eparola abbiano pari peso scenico.Tra i tanti frutti preziosi di questacollaborazione si possono ricor-dare La cantata del Fiore (1988) eLa cantata del Buffo (1990), Il Si-gnor Novecento (1992), La Pietà –

Stabat Mater (1998) per voce reci-tante, due cantanti e orchestra sutesto di Vincenzo Cerami e P a d reCicogna (2009) su versi di Eduar-do De Filippo. Attivo anche co-me autore di canzoni, nel 1995scrive tre canzoni per il tour tea-trale di Roberto Benigni, tra cuila fortunata Quanto t’ho amato.Nel 2013 esce il suo primo discodi canzoni, Cantabile. Nel corsodegli anni ha ricevuto prestigiosipremi e nel 1999 ha vinto l’O scarper la colonna sonora del film Lavita è bella di Benigni.

Page 4: In preghiera per l’umanitàper farci prossimi · 2020. 3. 27. · to, per evitare a molti di precipitare in un inferno di solitudine, mentre ci si separa per prevenire il conta-gio

pagina 4 sabato 28 marzo 2020 L’OSSERVATORE ROMANO sabato 28 marzo 2020 pagina 5da

legg

ere

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eder

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La spiritualitànei graffiti di Roma

Lo studio di Edmund Power tra ironia ed esegesi

Gli occhi buonidi Steve McQueen

Qquattro pagine

Solo un monacoavvezzo allo studio della parola

alla ricerca del significatomolteplice e profondo

poteva scoprire la meravigliadi quelle parole dipinte sui muriCosì vicine eppure così distratte

In libreria una riedizione di «Una bambina e basta» di Lia Levi

Quella discesa gradualeverso il Male

La casa deserta«Non dubito che la letteratura tornerà più di una volta alla descrizione di queglianni — scrive Lidija Cukovskaja — ma essi verranno pur sempre scritti in altra epo-ca. Il mio racconto invece è stato scritto sulla traccia ancora fresca degli eventi ap-pena accaduti. Possa il mio racconto risuonare oggi come la narrazione di un te-stimone oculare che ha cercato di fissare ciò che si svolgeva sotto i suoi occhi». Èun racconto duro La casa deserta (Milano, Jaca Book 2019, pagine 156, euro 15 –traduzione di Giovanni Bensi), il romanzo scritto nel terribile inverno a cavallo tra1939 e 1940, uscito prima all’estero e poi in patria. In esso Lidija Cukovskaja(1907-1996), figlia di un celebre scrittore russo per l’infanzia, tratteggia il drammadi una semplice famiglia sovietica maciullata dal tritacarne del terrore staliniano,mettendo in scena la tragedia delle purghe da lei stessa vissute. Il titolo del ro-manzo è tratto dalla poesia Condanna di Anna Achmatova, inclusa nel poema Re-quiem; un poema che la poetessa dedicò alle migliaia di donne russe che condivi-devano la sua stessa drammatica sorte (suo figlio Lev, infatti, era stato arrestato epoi deportato in Siberia). Ebbene, al centro del suo romanzo Cukovskaja — chedella Achmatova fu amica e confidente — pone proprio il dolore attonito di unamadre, emblema di un popolo tormentato.

Primavera. La stagione inquietaC’è un’eco particolare a leggere oggi, in queste dolorose giornate dimarzo, il saggio di Alessandro Vanoli, Primavera. La stagione inquie-ta (Bologna, il Mulino 2020, pagine 266, euro 16). A cavallo tra ilgelo dell’inverno e il caldo dell’estate, caratterizzata com’è dai tonidella pioggia e del vento, dai profumi del risveglio e dalla luce chetorna a inondare un mondo avido di nuova vita, mai come que-st’anno è possibile comprendere appieno l’inquietudine che caratte-rizza questa stagione. Un’inquietudine che Vanoli, esperto di storiamediterranea, indaga nei suoi rivolti secolari, tra cultura, religione,arte e società. “A guardarsi attorno oggi — scrive Vanoli verso la fi-ne del libro — c’è un po’ da avere paura. Di tutte le stagioni, la pri-mavera pare quella capace di mostrare più di ogni altra la fragilitàdella natura. L’aria, le piante, gli animali: appaiono tutti così fragiliormai. Aggrediti da decenni di tecnologia e di indifferenza”. E inquesta primavera del 2020 anche noi, esseri umani tecnologici e in-differenti, ci stiamo ritrovando così fragili.

di CRISTIANO GOVERNA

«V oglio una vita spericolata, voglio una vita come SteveMcQueen» reclamava Vasco Rossi. Giovinezzaturbolenta, un carattere difficile, la passione per il rischioe i motori, basta dare uno sguardo alla vita di SteveMcQueen per capire che Vasco aveva visto giusto. A

quarant’anni dalla sua scomparsa, nella nostra stanzina degli oggetti smarritivorremmo condividere con voi qualche suggestione su Steve McQueen esegnalarvi una manciata di suoi film. Su tutti, il nostro preferito: I magnificisette di John Sturges. Ma procediamo per gradi. «C’è qualcosa nei mieiocchi da cagnolino affettuoso che fa sì che le persone pensino che io siabuono» diceva Steve McQueen di se stesso. Ambivalenza e contrasto sonostati elementi chiave del suo fascino e della sua carriera. Uno sguardo dolceabbinato a un personaggio duro, spesso sbirro, pistolero o comunque alconfine fra legge e illegalità, sono fra i tratti primari dietro il suo successo.L’idea che si possa avere una vita dura e una faccia bella è sempre una cartavincente sullo schermo. Nato a Londra nel 1930, per il giovanissimo Steve lavita inizia in salita. Figlio di uno stuntman che abbandonò la moglie, ilpiccolo McQueen fu mandato a vivere a Slater, nel Missouri, presso unozio. All’età di dodici anni tornò a vivere con la madre che nel frattempo siera trasferita a Los Angeles. A quattordici anni era già membro di una gangdi strada e la madre si vide costretta a mandare il ragazzo presso una scuoladi correzione. Abbandonato l’istituto, Steve entrò nel corpo dei Marinesdove prestò servizio dal 1947 al 1950. Nel 1952, grazie a un prestito fornitoagli ex soldati, incominciò a frequentare i corsi di recitazione pressol’Actor’s Studio a New York. Nel 1955 debuttava a Broadway. In pocotempo il cinema si accorge di lui. La sua prima vera grande interpretazioneresta, come anticipato, quella più cara allo scrivente. Grazie al grande JohnSturges, McQueen è il pistolero Vin ne I magnifici sette (1960). Un westernindimenticabile nel quale una manciata di cowboy a chiamata (mercenari, sevolete) decide per un misero pugno di dollari di difendere un villaggio (alconfine fra Messico e Stati Uniti) di contadini poverissimi. La comunità èin balia delle scorribande di un furfante, tale Calvera (il bravo Eli Wallach)e della sua gang di malviventi. Chris Adams (Yul Brinner) è il pistolero chei contadini, disperati, contattano. Lui metterà insieme una squadracomposta da sette uomini per difendere quel villaggio. Sturges consegna aMcQueen quello che sarà spesso in seguito il suo ruolo, un uomomisterioso con lo sguardo dolce e la pistola veloce. Al netto dellasomiglianza (diciamo nell’impalcatura emotiva) con I sette samurai diKurosawa, il film di Sturges ci regala il fascino del gesto eroico di chi, sullacarta, di eroico ha ben poco. Non solo abbiamo sette pistoleri che per pochisoldi metteranno a repentaglio la propria vita per difendere un villaggiopoverissimo ma il film custodisce anche altro, un messaggio “app eso” a unadelle frasi più dense dell’intero cinema western. La cifra che i contadinioffrono ai sette è davvero ridicola e la loro “proposta contrattuale” terminacon queste parole: è tutto quello che abbiamo. Uno dei mercenari risponde«È capitato che mi abbiano offerto tanto ma mai tutto» dando dignità a chiè così solo e disperato da aver bisogno di chi spari per conto suo. Altregrandi interpretazioni di McQueen sono ne La grande fuga (1963, semprediretta da Sturges) nel quale interpreta il coraggioso capitano Virgil Hilts.Un gruppo di prigionieri inglesi viene rinchiuso in un campo di prigioniatedesco gestito dalla Luftwaffe, creato per ospitare tutte le “mele marce”raccolte dai vari campi dopo vari tentativi di fuga. Ci proveranno di nuovo.Nel 1968 è la volta di Bullitt (diretto da Peter Yates) dove McQueen è untenente della squadra omicidi e viene incaricato da un politicante, WalterChalmers, di proteggere un mafioso intenzionato a testimoniare contro Cosanostra. Bullitt cerca di garantire l’incolumità del “p entito”, ma questi vieneugualmente ucciso da due sicari; il tenente, per non incorrere nelle iredell’uomo politico e per poter far luce sul caso, occulta il cadavere,proseguendo al contempo le indagini. In una vita che si rispetti due comeSam Peckinpah e McQueen non possono non incontrarsi. Accade nel 1972quando il regista gli propone il bello e struggente ruolo di Junior Bonnerne L’ultimo buscadero. Il film è un dolente western moderno nel quale la vitadi Junior si snoda da un rodeo all’altro in attesa della sfida finale, stare ottosecondi sulla schiena del toro più indomabile di tutti: Sunshine. Il lororapporto funzionò a meraviglia e Peckinpah gli propone di proseguirlo inGetaway nel quale Doc (McQueen) per uscire di galera prima d’averscontato la pena, deve accettare il ricatto di un politicante senza scrupoliche gli fa rapinare una banca. Il colpo riesce, ma i rapinatori litigano subitofra di loro per il bottino. Uno muore, l’altro viene abbandonato da Doc chefugge verso il Messico con la moglie e il bottino. Nel frattempo, su questoset, nasce l’amore con Ali McGraw. Finirà in pochi anni. L’anno dopo è ilturno di Papillon (diretto da Franklin J. Schaffner) che rappresentaprobabilmente la sua interpretazione migliore. Il film racconta la storia diHenri Charrière, un venticinquenne francese detto Papillon per via di unafarfalla che porta tatuata sul torace, che viene condannato all’ergastolo perun omicidio che non ha mai commesso. Il cinema certo, ma della vita diSteve han fatto parte anche la passione per il pericolo (quando potevaMcQueen chiedeva di girare lui stesso le scene più pericolose, senzastuntman) e quella per le auto e la velocità. Voleva recitare e correre forte.La vita lo fermò a soli cinquant’anni, ne sono passati quaranta e noi loricordiamo. «Non so se sono un attore che gareggia o un corridore cherecita» diceva sorridendo.Il celebre asino crocifisso di Alessameno al Palatino

Sotto dom Edmund PowerA destra uno dei graffiti di Roma che commenta nel suo libro

© 2020 HarperCollins Italia© Zosia Dzierżawska

(per le due tavole, a destra e sotto) Ufficio oggetti smarriti

Il passato

i m p re v e d i b i l e

I disegni di Piranesivisioni dell’antichitàGrandezza e declino, gloria e abbandono:sono questi i termini che costituiscono lecoordinate entro le quali si sviluppano i di-segni di Giambattista Piranesi, incisore e ar-chitetto, ora esposti (fino al prossimo 9agosto) al British Museum di Londra. Lamostra, intitolata Piranesi Drawings: Visionsof Antiquity e curata da Sarah Vowles, inten-de essere un solenne omaggio a un uomodi cultura la cui arte, scrive il «Literary Re-view», è animata da «un’originalità prepo-tente, quasi feroce». Il pennino di Piranesicorreva leggiadro sulla pagina ma tanta soa-vità contemplava anche un vigore e unaforza che su quella pagina incidevano, graf-

fiandola. A tali segni, insieme dolci e ruvi-di, Piranesi affidava il compito di evocareuna classicità dalla grandezza impareggiabi-le ma destinata, come tutte le cose terrene,al declino. Sin da giovane avvertì e subì ilfascino delle antichità della Città Eternatanto che la sua produzione fu inauguratadalle Vedute di Roma: una raccolta di tavoleraffiguranti monumenti e ruderi classici. Ta-le opera gli assicurò subito una spiccata ri-nomanza non solo entro i confini nazionali,ma anche a livello europeo. L’esp osizionedi Londra serve a richiamare il valore diun’arte in cui è tangibile la cifra narrativacaratteristica di Piranesi: una costante, sot-tesa malinconia dettata dalla consapevolez-za che certi squarci di paesaggio, alcuniscenari, taluni scorci, tradiscono il senso di

un imminente tramonto proprio nel mo-mento in cui sembrano affermare la loropresenza, pregnante e suggestiva. Tra i dise-gni esposti figurano Un arco trionfale conuna grande scalinata (1750), L’incontro dellavia Appia e della via Ardeatina (1756), Settecolonne con capitelli corinti spettanti al Tempiodi Giuturna (1756). Tali opere sono accomu-nate da tratti rapidi e nervosi, dietro ai qua-li, tuttavia, si muove la regia di un’arte fon-data sulla solidità compositiva e sul ferreocontrollo del pennino. Non fu facile per Pi-ranesi far apprezzare pienamente la sua arteperché all’epoca si veniva affermando ilneoclassicismo, ovvero uno stile che predili-geva forme cristalline e composte e che, so-prattutto, non concepiva che la classicità,nelle sue diverse espressioni e declinazioni,

potesse essere rappresentata secondo unmetodo che non fosse, appunto, quello“classico”. Insomma le stravaganze e i ghiri-bizzi di Piranesi, pur contenuti in un signo-rile e sorvegliato modello artistico, feceropiù volte storcere il naso ai sedicenti puri-sti. Al contempo l’artista si distinse comefiero e orgoglioso propugnatore dell’arte ro-mana nel momento in cui imperversò laquestione riguardo al confronto-scontro trai greci e i romani. Chi era stato superioresul piano dell’arte? Piranesi non aveva dub-bi in merito. E la sua difesa della suprema-zia dell’arte romana su quella greca fu cosìconvinta e appassionata che i contempora-nei finirono per dichiarare che lui, che purera nato a Mogliano Veneto, «era più ro-mano dei romani». (gabriele nicolò)

Tra chi morde e chi carezzaLa guerra secondo l’adolescente Guido in «Felici di crescere» di Lorenzo Mondo

di SI LV I A GUSMANO

«“Devi essere grato a tuo zio che tiha trovato un posto da noi. Diquesti tempi, poi”. All’uscita

dalla messa in cappella, Guido ascolta le paroledel rettore, pronunciate con melliflua gravità.Vorrebbero essere confortevoli ma calcano in-cautamente sul privilegio di cui gode per esserestato accolto al Collegio. Risponde piegando ilcapo in un macchinale gesto di assenso. Il gestonon è rivolto a quel prete grassoccio dalla pellelustra, dalla generosa calvizie. Non risponde al-la sua esortazione ma ai pensieri che gli fannogroppo in gola. Don Arturo non sa capire lasua vergogna».

È tempo di guerra. Con il padre rimasto aTorino a lavorare e la madre sfollata al paesedei nonni, grazie all’intercessione dello ziomonsignore, Guido viene mandato in una cittàdi provincia, lontana dalla guerra, perché noninterrompa la terza media. Ospitato in un orfa-notrofio, il ragazzino esce ogni giorno per fre-quentare la scuola pubblica, «un lindo edificioa fasce bianche e rosse in stile littorio». Ma chesi tratti del posto in cui dorme e vive o di quel-lo in cui studia, Guido — protagonista di Fe l i c idi crescere di Lorenzo Mondo (Palermo, Sellerio

2020, pagine 176, euro 13) — si trova fuori fuo-co. Perché Guido si sente diverso da tutti. Alie-ni i compagni di scuola (di famiglie «assestate eserene»), alieni i collegiali (per lo più trovatel-li), estraneo a quella città in cui ha trovato solo«umiliazione e fame». Guido si sente capito sol-tanto da Amilcare, che fa la guardia al portone.

La soluzione di fuggire appare così la piùinevitabile al ragazzo di Torino, che già lungola strada respira un clima di avventura e di li-bertà. E nella nuova comunità che lo accogliecon estrema naturalezza, a Guido sembrerà divivere un’esistenza nuova.

Eppure anche qui molto appare contradditto-rio. È sempre un mondo in cui c’è «chi ti mor-de e chi ti carezza»; un mondo che sta cam-biando (nella madre, ad esempio, «era in attouna trasformazione profonda di quella che erastata una donna di città») lungo direzioni nonsempre lineari, complice la grande Storia e lasua storia personale. Vive la guerra, i partigiani,i tedeschi, ed è testimone tanto delle spietaterappresaglie nazifasciste che della guerrigliapartigiana. Vive una tenera storia d’amore traadolescenti, che gli dà forza e gli toglie energia.

Osserva, Guido. Osserva le donne che, con laguerra, si sentono parte di una «donnesca co-munità», senza intrusioni e vessazioni maschili;

osserva la zia che gli consiglia i libri; osserva gliuomini che sono rimasti, e quelli che tornano;osserva i giovani. Restando soprattutto colpitoda quella che non sa essere una legge tristemen-te universale, e che ci interroga anche oggi,perché nella tragedia «la gente, quella almenoche non è stata colpita nel proprio sangue, sisente al riparo dalle maggiori calamità». E os-servando, Guido si fa domande, tante domande«in un mondo che si è fatto così confuso e insi-c u ro » .

I luoghi e le atmosfere, probabilmente auto-biografiche, in cui Lorenzo Mondo — s c r i t t o re ,giornalista e critico letterario nato a Torino nel1931 — conduce il lettore, senza retorica ma conimmagini essenziali, chiare eppur poetiche, sonoi luoghi di Beppe Fenoglio e Cesare Pavese (dicui Mondo è riconosciuto biografo: conQuell’antico ragazzo. Vita di Cesare Pavese ha vin-to il premio Grinzane Cavour nel 2006).

Un racconto di formazione secco e stringato,senza melassa e senza eroismi: la guerra, i dolorie la morte visti dagli occhi adolescenti di Gui-do. Occhi che, finito il conflitto, riescono a ri-volgere lo sguardo oltre, senza nubi, al domani.«Anche quello che dobbiamo affrontare d’ora inpoi è un’avventura. Per fortuna senza spari esenza sangue. Ma tutta nostra».

di NICLA BE T TA Z Z I

«Q uesto libro — spiegava la scrit-trice Lia Levi, ospite della miascuola venticinque anni fa,presentando Una bambina ebasta (1994) — non era un li-

bro, erano i miei ricordi, le mie emozioni, l’hotenuto molti anni dentro di me (...) La mia èuna storia drammatica, non tragica».

E fu amore per quella bambina, di noi grandicui diede le parole adatte per raccontare neigiusti modi e nei giusti tempi cose che non fini-ranno mai di essere inspiegabili; e dei ragazzi,che si lasciavano accompagnare nel flusso dimemoria e di fatti descritti al presente, in presadiretta, si immedesimavano nell’autrice e alla fi-ne si facevano domande. Alcuni dal Pigneto sispinsero a villa Sciarra per conoscere dove Liaaveva giocato a “guerra francese”, che suonavapiù elegante di ruba bandiera, e lo raccontaronocon orgoglio durante l’esame di terza media.

Ora Lia Levi ripropone Una bambina e bastaraccontata agli altri bambini e basta edito daHarper Collins (Milano, 2020, pagine 133, euro13). In questa nuova edizione, delicatamente il-lustrata da Zosia Dzierzawaska, l’autrice si rivol-ge ai più piccoli, agli attuali coetanei di quellabimba timidissima di prima elementare alla qua-le la mamma, nell’estate del 1938, annuncia cheda settembre dovrà cambiare scuola.

La bambina accoglie quasi con soddisfazionela notizia, in quella scuola «era come se in clas-se non ci fossi mai stata» ma vive con senso dicolpa quell’evento. Forse è colpa sua, che ascuola non parla mai, se non la vogliono più?Però si chiede: «Che gliene importa a Mussolini

che comanda su tutti se certi bambini ebrei (so-lo certi) non sono tanto bravi a scuola perchénon gli esce la voce?». Anche Daniel, il meravi-glioso protagonista dell’altro libro di Lia LeviLa portinaia Apollonia (Premio Andersen 2005)trova strano che la mamma debba ricamare dinascosto le lenzuola per le suore, forse «i tede-schi non fanno lavorare gli ebrei perché non vo-gliono che si stanchino?».

Ma Daniel può rimanere ancora nelle sue ri-

nifestare in contesti del tutto ordinari «e anchemamma e papà facevano finta di niente».

Non si può andare in vacanza, non si posso-no avere apparecchi radio, ma la vera sofferenzaper Lia e le sorelle sarà perdere la tata Mariache andrà dai vicini; «un cristiano non può la-vorare nella casa di una famiglia ebraica».

Infine la fuga nel convento dove non si stabene come a casa, ma nemmeno male, lì c’è an-che un palcoscenico vero e ci sono altre bambi-ne come lei che vengono accompagnate dai ge-nitori. «Per favore nascondetele voi»: le suoredicono sempre di sì e alla fine la camerata sem-bra un unico grande letto, quasi un pavimentodove si poteva camminare e dove capita ancheche una bimba di tre anni, Spepetto, una nottepianga e «sembra un pianto segreto soffocatoda un cuscino come succede ai grandi».

Poi la liberazione, l’esilio è finito nella pro-messa di una stagione dove non ci sono distin-zioni. Incontrando Adolph Eichmann, HannahArendt si trovò davanti un uomo grigio insigni-ficante, del tutto privo di connotazioni diaboli-che, che aveva eseguito gli ordini e lo aveva fat-to come se quello che stava compiendo fosse unatto meccanico, la cosa più normale e semplicedel mondo.

Con questo testo prezioso, Lia Levi — attra-verso il suo linguaggio piano, a volte lieve comenelle fiabe — spiega la “normalità del male” aibambini. La sua, ci dice, è una storia qualsiasi,una storia nella quale, proprio per la sua sem-plice normalità, è facile scivolare nuovamente seci asteniamo dal vedere gli indizi, talora inquie-tanti.

sposte soffici, nelle file per ilpane salta su «come un pupaz-zo a molle da dentro una sca-tola», ma è piccolo, non va ascuola; Lia sì, non andrà piùin quella pubblica però c’è lascuola ebraica e si chiede per-ché non ci siano lavori ebraiciquando il papà perde il suo.

Il racconto si srotola con na-turalezza, in un intreccio senzasbavature fra individuale e col-lettivo, con la cronologia linea-re dei bambini, estate, inverno,anno dopo anno.

Uniche eccezioni le spiega-zioni, e a volte le anticipazioni,più illustrate che scritte, quan-do «la Storia, quella con la Smaiuscola, si fa troppo compli-cata». La discesa verso gli annidelle persecuzioni è graduale,a segnare le varie tappe all’ini-zio sono solo microeventi, ac-cadimenti che si possono ma-

di ROBERTO CETERA

Solo un inglese e solo unmonaco poteva scrivereun libro come Graffiti diRoma (Roma, LateranUniversity Press, 2019,

pagine 112, euro 10). Solo un ingle-se ha in effetti quella straordinariacapacità di scrutare il dettaglio,l’esprit profondo dei luoghi e dellagente che visita; un’attitudine cheha fatto dei viaggiatori ed esplora-

tori britannici i più affascinanti eletti narratori di viaggi della storiadella letteratura. E solo un mona-co, avvezzo allo studio esegeticodella parola, alla lectio, alla immer-sione quotidiana nella ricerca del significato molteplice e profondodelle parole e del loro suono, pote-va scoprire la meraviglia di quelleparole dipinte sui muri, così vicineeppure così distratte, cioè i graffitiche arredano e violentano tanteparti di Roma. E infatti l’a u t o reEdmund Power è monaco e ingle-

se. Ma un po’ speciale in entram-be le qualifiche. Come monaco èstato per lunghi anni abate di SanPaolo fuori le Mura, la basilicapontificia custodita da circa 1300anni dai figli di san Benedetto.Abate, ma con frequenti “fughe”esplorative verso il vicino quartierepopolare della Garbatella, dove èconosciuto e amato da molti. Eanche come inglese è un po’ sp e-ciale: vive nella città eterna da circat re n t ’anni; ormai un romano d’ado-zione. E questo libro, un piccolo

scrigno di sapienza monastica, èappunto figlio di questi due carat-teri.

Lasciata la Basilica di San Paolooggi Power vive nell’abbazia pri-maziale di Sant’Anselmo all’Aven-tino, insegnando nella contiguauniversità e curando il percorsoformativo dei novizi. Ma non dirado inforca la bicicletta e scendegiù verso Trastevere per inerpicarsidal monastero di santa Cecilia lun-go le salite del Gianicolo.

Ed è nel corso di queste medita-tive e faticose escursioni che la suaattenzione si è fermata più voltesui tanti graffiti con cui il popolonotturno dei w r i t e rs deturpa le mu-ra anche degli angoli più belli diRoma.

Pur esecrando questa abitudineincivile e vandalica (peraltro comu-ne ormai a tante capitali europee)dom Edmund ha cominciato a os-servarli in serie, a catalogarli, stu-diarli, ponendosi curiose domande. Chi sono i cultori di questa tra-sgressione? Cosa li spinge a comu-nicare in questa forma così irritua-le? Scrivono per essere letti o sem-plicemente per se stessi? È una for-ma di amplificazione esasperata delproprio pensiero o piuttosto la rea-zione a una frustrante timidezzadiurna? Perché sono spesso cosìcriptici?

E da lì, andando oltre, si è personel provare a immaginare la perso-nalità del writer di turno, la suastoria, il senso più intimo di quellascritta che ha sentito il bisognocompulsivo di disegnare su un mu-retto di travertino o sulla spallettadi un ponte. Compulsivo perché seè vero che la persona che si aggiradi notte con una bomboletta divernice spray «lo fa in modo clan-destino, e normalmente non vuoleessere identificata; allo stesso tem-po però ironicamente vuole esseresentita». Sentiti per cosa?

I messaggi quando comprensibilisono i più vari: appassionati, diver-tenti, enigmatici, filosofici, lirici,osceni, poetici, politici, satirici, spi-

ritosi. Precursori e propedeutici diquella espressione più elaboratache è la street art.

Edmund Power ne ha scelti do-dici: dieci tra quelli avvistati acavallo della bicicletta, e due inve-ce presi dall’antichità, a dimostrareche l’abitudine di lasciare messaggisui muri con buona pace deitrasgressivi w r i t e rs non è invenzionerecente. E tra questi il celebre asinocrocefisso di Alessameno al Pala-tino.

Su queste scritte murali l’a u t o recostruisce delle storie di fantasiache pure potrebbero averle ispirate.Storie che svelano da partedell’abate Power una buona cono-scenza dei lineamenti caratteriali epsicologici di certa gioventù roma-na. Ma il libro non si esaurisce inun divertissement antropologicoculturale.

Piuttosto da ogni graffito Powerprende spunto per proporre una ri-flessione meditativa di caratterespirituale. In fondo, che sia in po-sitivo o più frequentemente in ne-gativo, ogni graffito propone unpensiero sul senso della vita. Se co-sì non fosse forse il writer non sen-tirebbe il bisogno di imbrattare imuri.

L’autore allora si cimenta inquell’esercizio dialettico e formati-vo che era tipico delle origini delmonachesimo. I discepoli dei Padridel deserto coltivavano la loro asce-si andando periodicamente a visi-tarli nelle loro Laure e interpellan-doli con la richiesta «Abbà dammiuna parola». Ed essi rispondevanocon una parola o una brevissimafrase su cui l’allievo era chiamato ameditare fino alla successiva visita.

Power analogamente da una solaparola o una brevissima frase (o fi-nanche un numero, una data), ri-cava una riflessione o una piccolastoria fantastica e a seguire unaprofonda meditazione spesso inte-grata da riferimenti biblici. Ritor-na spesso in queste sue meditazio-ni la voce e lo spirito del salmista,«dopo una vita monastica trascorsa

a recitare i salmi, essi si radicanonel cuore e le parole riecheggianoalla mente, perché (...) il Salterioesprime preminentemente il gridodell’essere umano davanti al miste-ro dell’esistenza e l’eroismo dellasperanza».

E così le parole dei muri di Ro-ma si snocciolano come dalla lin-gua dei Padri: “Quelle”, “O ceano”,“09.04.16”, “Iulia è perfetta per te”,“G i a rd i n o ”, “Pa u r a ”, e via scorren-do. Il graffito dei vicoli di Traste-vere: «Che tutto arda d’amor epoesia» diviene allora lo spuntoper una digressione sull’amore infilosofia ma ancor più diviene unameditatio su Corinti 13, 13 e sullaprima lettera di Giovanni (4, 7), esulla sequela incantatrice di «amo-re, ama amato, ami, amiamo, ama-re» usata a mitraglia dall’Evangeli-sta.

La scritta (ovviamente testacci-na) «Laziale verme» offre l’opp or-tunità di una disamina di come iltermine «verme» sia variamenteimpiegato nella Bibbia, anche consignificati opposti; e come di con-seguenza non possa più considerar-si insulto se omonimo di umile:umile come un verme.

E il semplice «NON» sul murodi una salita al Gianicolo — p ro b a -bilmente un’espressione radicale diopposizione sociale — all’abate Ed-mund evoca i tanti «Non» che iVangeli di Luca e Giovanni attri-buiscono a Giovanni il Precursore:«Non sono il Cristo», «Non sonoElia o uno dei profeti», «Voi nonconoscete», «Io non sono degno»,«Io non lo conoscevo».

Oltre l’originalità di queste ri-flessioni Edmund Power ci conse-gna un approccio metodologicoche inverte la prassi usuale, cioènon solo partire dal Vangelo perindicare la strada della Verità, maleggere la realtà, anche la più sem-plice come quella di una scritta sulmuro, alla luce del Vangelo. È cer-to che dopo questo delizioso libret-to guarderemo ai graffiti dei muridi Roma con occhi meno distratti.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 sabato 28 marzo 2020da

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Qquattro pagine

La scelta di Mina23 aprile 1972: in diretta sulla Rai,che ancora monopolizza l’intratte-nimento, vanno in scena i noveminuti che cambiarono per sem-pre la musica leggera italiana. Ri-gorosamente dal vivo davanti alletelecamere di Teatro 10, show na-zional-popolare del sabato sera, siesibiscono infatti il più grande au-tore del dopoguerra e la più gran-de interprete della musica italiana.Accompagnati da «cinque amicidi Milano», Lucio Battisti e Minacantano alcuni piccoli gioielli do-vuti al sodalizio dello stesso Batti-sti con Mogol. Da Insieme a Ep-pur mi son scordato di te, fino a

Emozioni i due artisti si lancianoin un duetto rimasto ineguagliatonel corso dei decenni. Come è tri-stemente noto, Lucio Battisti èscomparso a soli 55 anni, lascian-do un vuoto davvero incolmabile.Mina, invece, ha continuato a

percorrere e a scrivere la storia delpop italiano, tributando spessocommossi omaggi al musicista diPoggio Bustone. Nel 2018, peresempio, ha pubblicato un albumnon a caso intitolato P a ra d i s o chealtro non è che un songbook diLucio Battisti. Dal quel lontanoaprile di 48 anni fa, l’Italia, cheancora offriva un’immagine televi-siva in bianco e nero, è, ovvia-mente, cambiata in modo radicale.Ma Mina, che in questi giorni hacompiuto 80 anni, è rimasta unadelle protagoniste indiscusse delpanorama musicale, andando, co-me spesso accade alle persone do-tate di grande talento, apertamen-

te contro corrente. Mentre il mon-do dello spettacolo, e non solo,virava pericolosamente versoun’inflazione dell’immagine, poiamplificata da un uso smodatodei social, Mina sceglieva, a soli38 anni, di ritirarsi dalla scena, dinon comparire in pubblico e, ad-dirittura, di non apparire nemme-no in foto. Ma la cantante non hadavvero bisogno di visualizzazionisu YouTube per affermarsi. Lachiave per raggiungere il pubblicorestano la sua impareggiabile vocee la sua straordinaria tecnica, co-me dimostra, qualora ce ne fosseancora bisogno, anche il recentedisco pubblicato con Ivano Fossa-

ti, altro musicista sparito per scel-ta dalle scene. Estensione e dutti-lità restano le qualità migliori del-la voce di Mina, capace di con-frontarsi senza timore di sfigurarecon gli equilibrismi jazz (B ra v a ) ocon la malinconia sincopata dellabossa nova. La sua versione di Ac -qua di marzo, dovuta al genio in-discusso di Tom Jobim, è l’unica,tra le migliaia di cover prodotte, apotere competere con l’originaledi Elis Regina. Le sue canzoni, daSe telefonando in poi, hanno dav-vero accompagnato e continuanoad accompagnare la vita degli ita-liani. Il segreto di un successo co-sì duraturo, oltre che nella voce,

sta probabilmente nella scelta diMina e nel rapporto che questaha generato con il pubblico. «Pre-ferisco un contratto a vita con lamia famiglia che con qualsiasi te-levisione» disse la cantate com-mentando il suo ritiro. «Il contat-to col pubblico lo tengo vivo coni miei dischi» aggiunse. Dischiche peraltro non vengono pro-mossi in ossequio a quella cheMina definisce «una scelta di li-bertà». La musica, quando è buo-na, sa quali strade trovare per rag-giungere le persone. E Mina quel-le strade le conosce tutte. (giuseppef i o re n t i n o )

Don Abbondioe «la casa devastata»

La peste a Milano ne «I Promessi Sposi»

di GABRIELE NICOLÒ

Nessuno pensava che a provocare lapeste a Milano sul finire del 1629potessero essere state cause naturali,tanto semplici quanto devastanti. Fudunque spietata la caccia all’u n t o re

che — nel segno della massima di Hobbes, homohomini lupus — divenne amara espressione del di-sprezzo indiscriminato dell’uomo verso i suoi si-mili, non presunti innocenti, ma colpevoli secon-do i riti di un processo sommario. Nell’evo carequesto scenario ne I Promessi Sposi, AlessandroManzoni — pur coscienziosamente attingendo allefonti e ai documenti dell’epoca — non si limita auna descrizione cronachistica degli avvenimenti.Da essi cerca di trarre una lezione di vita, modu-lando in tal senso una riflessione che investe allaradice il rapporto tra il bene e il male, il cui ful-cro poggia sulla coscienza dell’uomo.

nata di viltà, che uno il coraggio, se non l’ha, nonse lo può dare. E il saccheggio lascia tracce anchesulla psiche di Perpetua: «le piume e penne» del-le sue galline sono anch’esse sparpagliate, a indi-care, come per i fogli del calendario, che l’o rd i n efasullo del passato è stato irrimediabilmente mina-to. Don Abbondio, come reazione, si rinchiuderà,con un’ostinazione ancora più acuta, nella sua ca-sa: ma ciò non serve a placare la sua «inquietudi-ne» alimentata dal «sentire che giornalmente con-tinuavano a passar soldati alla spicciolata» davantial suo uscio. E nell’annunciare l’arrivo della peste,Manzoni, quasi a prendersi gioco del suo perso-naggio, dice che è venuta l’ora di lasciare da parte«il pover’uomo» e le sue «apprensioni private»:ben altri disastri, infatti, incombevano.

«La peste che il tribunale della sanità aveva te-muto che potesse entrar con le bande alemannenel milanese, c’era entrata davvero, come è noto —scrive Manzoni all’inizio del capitolo XXXI —. Ed

Per certi versi giornalista ante litteram, Manzoniprocede per immagini, affidando loro il compitodi esprimere, nel modo più incisivo possibile, glieffetti sortiti dall’imperversare del flagello. E unadi queste immagini è data dalla «casa devastata»di don Abbondio, saccheggiata dai cosiddetti “av-voltoi”, cinici nel cercare di approfittare dei tu-multi seguiti alle violenze legate alla guerra di-vampata nel Ducato di Milano, dalla quale poideriverà la peste (il paziente zero sembra esserestato un soldato italiano).

Quel saccheggio ha infranto, in un attimo, lefalse sicurezze sulle quali, fino a quel momento,aveva fatto conto don Abbondio. E con lui Perpe-tua. Entrati in casa, «senza aiuto di chiavi», pa-drone e serva sono costretti ad avanzare in puntadi piedi per scansare «la porcheria che copre ilpavimento». Il loro sguardo poi si fissa sui muri,imbrattati dai ceffi che hanno fatto irruzione.

Da quei muri emana un muto appello, colmo diuna nostalgica eloquenza, a ricordare «gli avanzi eframmenti di quel che c’era stato». Quel «braccio-lo di seggiola», che si riconosce ancora tra «il ri-masuglio di tizzi e tizzoni spenti» nel focolare ri-chiama il seggiolone di don Abbondio, da lui tan-to vagheggiato nei primi capitoli del romanzo. Equel «piede di tavola» rievoca l’immagine dellatavola apparecchiata all’inizio dell’opera. La pesteè venuta dunque a scuotere prepotentemente l’esi-stenza di un curato regolata da comodità tantofragili quanto fittizie. E Manzoni, per significareciò, sottolinea, con somma maestria, che «quei fo-gli de’ calendari di don Abbondio» sparsi sul pa-vimento in seguito all’improvvisa ondata di vio-lenza, stanno a simboleggiare il disordine interve-nuto nella vita di «un uomo di Dio» che calibra-va lo stile della sua vita sulla consapevolezza, ve-

è noto parimente che non sifermò qui, ma invase e spopolòuna buona parte d’Italia». Inquesta frase si specchia la notapolemica ingaggiata dallo scrit-tore con la Historia illustre, readi dare conto solo dei fatti ap-parentemente più importanti etrascurando le vicende di chinon ha voce. In tal caso Man-zoni tiene a precisare che l’epi-demia investì non solo Milanoma anche le campagne e quindii contadini e gli umili e onestilavoratori. «E in questo raccon-to — evidenzia — il nostro finenon è, per dir la verità, soltan-to di rappresentar lo stato dellecose nel quale verranno a tro-varsi i nostri personaggi; ma difar conoscere insieme, perquanto si può in ristretto, e perquanto si può da noi, un trattodi storia patria più famoso checonosciuto».

Di fronte all’epidemia l’im-potenza dell’uomo sedicentesovrano delle cose terrene, èpalese e patetica. Nonostantefosse stato avvertito circa i pro-dromi del morbo, il tribunaledella sanità rimane inerte. Mail male avanza e opporvi l’in-credulità, sembra suggerireManzoni, non è una tattica

saggia. Come se non bastasse, il governatore, lun-gi dal raccomandare la social distancing, come di-remmo oggi, incurante del pericolo ordina pubbli-che feste per la nascita del primogenito di FilippoI V. Al rischio letale del contagio non ci pensa pro-prio. Non gli è da meno la popolazione milanese:anch’essa non crede all’esistenza della peste nelcontado. «Chi buttasse là una parola del pericolo,chi motivasse peste, veniva accolto con beffe in-credule, con disprezzo iracondo», scrive Manzoni.E così la peste entra a Milano, agevolata in que-sto dall’«imperfezion degli editti», dalla «trascu-ratezza nell’eseguirli», nonché dalla «destrezzanell’eluderli». Lo scrittore non fa sconti nel biasi-mare la cecità dell’uomo di fronte al male venuto,a suo modo, per far giustizia di torti e soprusi (sa-rà don Rodrigo, tra gli altri, a pagare le conse-guenze delle sue malefatte e a finire i suoi giorninel lazzaretto): ecco allora che s’impongono le fi-gure di due medici i quali cercano di stornare ilflagello. Verranno tacciati come “nemici della pa-tria”, pro patriae hostibus. L’etica manzoniana —fondata sul senso dell’armonia tra gli uomini, sul-lo spirito di solidarietà, come pure sul valore diuna ragione lucida, che sappia discernere ciò cheè puro da ciò che è malvagio — è fortemente scos-sa dal fenomeno della peste. Essa infatti mette anudo le bassezze che corrompono la natura uma-na. E come a voler rigirare il coltello nella piaga,Manzoni evidenzia come in uno scenario così tor-bido e meschino riusciva comunque a lingueggiarequa e là la fiamma del «buon senso» di chi avevacapito realmente come stavano le cose e come bi-sognava agire per risolvere la situazione. Ma quelbuon senso «se ne stava nascosto, per paura delsenso comune».

La peste che alla fine del 1629 imperversò nel ducato di Milano in una stampa dell’epoca

IL RACCONTO DELL’EPIDEMIA NEI SECOLI

Nello specchiodi Edgar

Una rilettura de «La maschera della Morte Rossa» di Poe

di ALESSANDRO CLERICUZIO

Nel 1842 un giovane scrittore americanofu pagato dodici dollari per un suoracconto pubblicato sul «Graham’sMagazine», un periodico a larga diffu-sione edito a Filadelfia. Quello scritto-

re era Edgar Allan Poe e il racconto si intitolava Th eMask of the Red Death. A Fantasy. Da allora, La ma-schera della morte rossa è diventato uno dei più notie apprezzati racconti di terrore della letteratura ditutti i tempi. Tradotto nelle maggiori lingue delmondo e reinterpretato dalla cultura popolare, haconosciuto forma radiofonica, teatrale, cinematogra-fica fino a essere particolarmente corteggiato dai di-segnatori di fumetti, che ne hanno prodotto atutt’oggi circa trenta edizioni ufficiali dal Sud Ame-rica all’Europa, all’Asia con i suoi manga.

L’elemento carnascialesco, colorato e barocco, èchiaramente uno dei motivi del grande fascino che ilracconto ha esercitato su generazioni di artisti oltreche di lettori. Questo elemento si sposa perfetta-mente, caricandolo di mistero e di inquietudine, altema centrale del racconto: una terribile epidemiamortale che decima la popolazione di un fantomati-co principato.

L’incipit del racconto è folgorante: «La MorteRossa aveva da tempo devastato il paese. Nessunapestilenza era mai stata così fatale o così terribile. Ilsangue era il suo avatar e il suo marchio: il colorerosso e l’orrore del sangue». Gli effetti, in questa vi-sionaria descrizione, sembrano anticipare più l’Eb olache non il covid-19, poiché, spiega Poe, «c’eranodolori acuti, e improvvise vertigini e poi abbondan-tissimo sanguinamento dai pori, fino alla totale di-sintegrazione». Ma in tempi di epidemia virale nonè esercizio inane cercare specchio alle nostre ansie ealle nostre tragedie nella letteratura.

Pochi scrittori ottocenteschi sono stati capaci co-me Poe di fornire a noi lettori del terzo millennioun tale specchio, ancorché distorto dalla sua fervidafantasia. È stato lui a inventare il racconto polizie-sco, la detective story, con le elucubrazioni di Augu-ste Dupin nei Delitti della Rue Morgue. Ed è statotra i primi a trasformare il gotico in un genere vera-mente psicologico, i cui fantasmi non sono pallidiectoplasmi che si dissolvono con la luce del sole,bensì personificazioni dei tormenti interiori dei per-sonaggi.

Il gotico iniziato da Horace Walpole con Il castel-lo di Otranto e ripreso da tanta letteratura tedescadel diciottesimo e primo diciannovesimo secolo èlontano anni luce da Poe. I suoi detrattori (ne ebbetantissimi, in vita) lo accusavano di sfruttare la po-polarità di questo genere, ma lo scrittore rispondevache il suo terrore non era della Germania, eradell’anima. Il primo, quindi, a darci una geografiadelle ansie della modernità, amato infatti visceral-mente dal modernismo sudamericano, dai simbolistifrancesi, e sopra tutti da Jorge Luis Borges, che inbuona parte della sua produzione ha instaurato unvirtuale dialogo con lo scrittore nordamericano. Du-pin, per esempio, è modello intellettuale del prota-

gonista di uno dei racconti più noti del bardo ar-gentino, La muerte y la brùjula, La morte e la busso-la, del 1942, che con un po’ di immaginazione po-tremmo pensare come un regalo per il centennale dialcune pubblicazioni di Poe. Se per molti estimatoriPoe era stato il poeta malinconico segnato da untragico destino, è proprio Borges a riconoscerlo qua-le grande maestro del racconto, affabulatore di sta-tura mondiale.

Tra i tanti elementi di modernità di Poe c’è l’ideadell’effetto. Un secolo prima che gli accademici teo-rizzassero le strutture della narrativa, aveva capitoche per assicurare l’effetto voluto lo scrittore dovevamantenere l’attenzione del lettore in una singola se-duta, senza interruzioni. Da qui la sua predilezioneper il racconto breve, spesso aperto da una brevissi-ma citazione, il cosiddetto e x e rg u m , che a sua voltarimandava ad altri testi, insolita premonizione delconcetto attuale del link. L’effetto brevità si rivelaefficacissimo ne La maschera della morte rossa, conun inizio in medias res e subito dopo la presentazio-ne del principe Prospero, «felice e spavaldo», chenel momento in cui capisce che la popolazione delproprio regno è stata dimezzata, invita mille corti-giani a chiudersi con lui nel suo castello. Danze ebagordi sono assicurati per tutti i prescelti, mentrefuori imperversa la morte rossa sulla gente comune,che il principe abbandona a sé stessa.

Curioso di fatti di cronaca (era l’epoca in cui inAmerica si diffuse al massimo la penny press, i quoti-diani da un penny in formato tabloid ricchi di noti-zie) Poe conosceva sia il passato lontano — le epide-mie europee di peste — sia quello a lui più vicino.Dopo aver perso i parenti più stretti per la tisi, Poeaveva avuto diretta esperienza di una epidemia dicolera a Baltimora pochi anni prima, mentre avevaovviamente avuto notizia della febbre gialla esplosaproprio a Filadelfia nel 1793 (raccontata da un suopredecessore, l’oggi pressoché dimenticato roman-ziere Charles Brockden Brown). Ciò che rende uni-co il suo racconto è quel senso di castigo morale cheil rapido evolversi degli eventi infligge all’egoistaprincipe, che gli appassionati di cinema ricorderan-no nelle sembianze di Vincent Price, ancor più cini-co e perverso dell’originale, nell’omonimo film diRoger Corman. Mentre tutti i cortigiani ammazzanoil tempo festeggiando con le maschere più fantasiose(ma un pesante orologio di bronzo forse minacciache sarà il tempo ad ammazzare loro) entra nel ca-stello uno sconosciuto con la maschera della MorteRossa. L’indignazione è totale, e ad essa si accom-pagna ben presto la paura di tutti gli astanti, perchétroppo ardito e irrispettoso appare quel travestimen-to al cospetto di coloro che quella immagine hannodeciso di chiudere fuori dal castello.

Non appena il principe muore, trafitto dal suostesso pugnale nel confronto con la Maschera, glialtri si avventano su di essa per scoprire che sotto...non c’è nessuno. «Fu così che una folla variopinta(...) inorridita scoprì che le funebri bende e la ma-schera cadaverica (...) erano deserte di qualsiasi for-ma tangibile».

Una scena del film «The Mask of the Red Death» di Roger Corman

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L’OSSERVATORE ROMANOsabato 28 marzo 2020 pagina 7

Sacre Scritture e pratica della misericordia nell’«Aperuit illis»

La Parola di Dioin tempo di epidemia

Duccio di Buoninsegna, «Guarigione del cieco nato» (1308-1311, particolare )

di GIULIO MICHELINI*

In questo tempo così difficile diepidemia, coloro che normal-mente partecipano alle celebra-

zioni eucaristiche domenicali e ferialisi sono trovati sconcertati e spiazzatidall’impossibilità di prendervi parte.Ma l’incontro con il Dio di GesùCristo può essere mediato attraversola preghiera personale e la letturaorante della Parola di Dio. Si molti-plicano, al riguardo, tanti strumentiscaricabili via internet che offronoopportunità di studio e meditazionedella Bibbia. La lectio divina non cideve però lasciare immobili, o inerti,semplicemente bloccati nelle nostrecase, e anzi ci deve preparare a eser-citare adesso, e ancor più quandol’emergenza sarà terminata, la mise-ricordia. Essa è già vissuta ora datutti coloro che si occupano diquanti sono stati colpiti dal corona-virus, e si prodigano negli ospedalio in altri modi; è messa in praticaanche da quanti hanno responsabili-tà perché l’Italia possa garantire lavita comune e i servizi essenziali; èvissuta in prima linea da chi si pren-de cura di poveri, anziani, personesole, ma può essere messa in atto datutti, per esempio nei confronti deifamiliari o delle persone con cui sivive e con le quali si condividonospazi ristretti, e nei cui confronti bi-sognerà essere ancor più amabili ecapaci di esercitare la pazienza.

La stessa misericordia sarà certa-mente ancor più necessaria quandofinalmente cesserà l’emergenza chetiene tutti a casa. Non riusciamonemmeno a immaginare, adesso, sucosa i cristiani saranno chiamati aintervenire, ma siamo certi che que-sta situazione non lascerà nessunocome prima. Ecco perché le seguentiriflessioni vogliono rispondere alladomanda: la preghiera, e in partico-lare l’ascolto e la lettura della Paroladi Dio, sono capaci di motivarci adandare verso l’altro, oppure rischia-no di farci avvitare in riflessioni au-tocentrate o astratte, o in aridi inti-mismi? Una volta gustate la bellezzae la ricchezza inesauribile della Bib-bia, torneremo alla celebrazionedell’eucaristia o ci basterà quantoavrà saziato la nostra fame, ovvero«ogni parola che esce dalla bocca diDio» (Ma t t e o , 4, 4; cfr. D e u t e ro n o m i o ,8, 3)?

Seguiremo la traccia della letteraapostolica Aperuit illis di Papa Fran-cesco, l’ultimo documento pontificioche si sia occupato della Parola diDio, leggendone da vicino soprattut-to il tredicesimo paragrafo. Ci sof-fermeremo, per far questo, sui duetesti biblici proposti dal Papa nel ci-tato documento, i due di Emmaus(Luca, 24, 13-35) e la parabola delricco e di Lazzaro (Luca, 16, 19-31),ai quali affiancheremo anche la pagi-na del cieco nato (Giovanni, 9, 1-41).Papa Francesco ha dedicato moltaattenzione al ruolo della Bibbia nellavita della Chiesa. Già nella Evangeliigaudium esortava alla lettura, allostudio, alla predicazione della sacraScrittura, soprattutto nella forma li-turgica dell’omelia (cfr. nn. 135-159).Ora, con il “motu proprio” Ap e r u i tillis torna sull’argomento, preoccupa-to che quanto auspicato dal concilioVaticano II — ovvero il ritorno dellaBibbia nella vita dei credenti — t a rd aa essere messo in atto. L’istituzioneper la Chiesa universale di una “D o-menica della Parola di Dio”, ribaditacon questo documento, è uno stru-mento importante che potrà efficace-mente riattivare il desiderio di cono-

scere le Scritture e metterne in prati-ca i contenuti.

Nell’Aperuit illis Francesco com-menta brevemente il testo di riferi-mento che dà il titolo al “motu pro-prio”, cioè la pagina dell’incontro trail Risorto e i due discepoli che stan-no andando a Emmaus (Luca, 24,13-35). Si potrà notare — sp ecialmen-te ora, in questo tempo di epidemia— che essi sono prigionieri di un ve-ro e proprio loop, un circuito delladelusione nel quale si scambiano pa-role, anzi, si “fanno un’omelia” ( c f r.il verbo homileō al versetto 24, 15)che impedisce loro di comprendereil mistero della passione, morte e ri-surrezione di Gesù. È solo l’i n c o n t rocon il Risorto che li spinge a usciredall’impasse in cui si trovano, perchéGesù, senza negare quanto di dolo-roso i due si sono detti, aggiunge, apartire dalle Scritture (Luca, 24, 27:«cominciando da Mosè»), quell’“al-tra versione” della storia che i disce-poli affranti non conoscono ancora.Così, dopo aver riconosciuto Gesùnello spezzare il pane, i due possonocompiere una prima forma di miseri-cordia verso gli altri: quella dell’an-nuncio, riferendo agli Undici ciò cheera accaduto lungo la via (cfr. Luca,24, 35).

I due di Emmaus, divenuti “ap o-stoli” della risurrezione, ci permetto-no così di riconoscere che anche l’of-ferta della Parola al popolo di Dio èun’opera di misericordia. Nel n. 5del “motu proprio”, Francesco affer-ma infatti che «i Pastori in primoluogo hanno la grande responsabili-tà di spiegare e permettere a tutti dicomprendere la Sacra Scrittura. Poi-ché essa è il libro del popolo, quantihanno la vocazione di essere ministridella Parola devono sentire fortel’esigenza di renderla accessibile allapropria comunità». Nel tempo in cuiai fedeli non è possibile parteciparealla messa, rimane la possibilità dinutrirsi del sacramento della Parola,e i pastori sono i primi che possonooccasionare e offrire meditazioni, let-ture, commenti alla sacra Scrittura,nelle varie modalità che la tecnolo-gia oggi permette di fare.

Arriviamo ora al paragrafo 13 dellalettera apostolica Aperuit illis — quel-lo maggiormente legato al nostro te-ma — che iniziamo a commentareperò a partire da un’altra affermazio-ne di Papa Francesco, che si leggepoco sopra: «Abbiamo bisogno dientrare in confidenza costante con laSacra Scrittura, altrimenti il cuoreresta freddo e gli occhi rimangonochiusi, colpiti come siamo da innu-merevoli forme di cecità» (8). Tro-viamo in queste parole una prolessialla parabola di Lazzaro e del riccoepulone del paragrafo tredicesimodel “motu proprio”, perché la Scrit-tura viene ora descritta come un an-tidoto alle chiusure dello sguardo,alle quali siamo purtroppo tutti fa-cilmente inclini. La Parola di Dio di-venta così, continua Papa Francesco,l’unico modo per attuare un «rico-noscimento fra persone che si appar-tengono» (8), riconoscimento che al-trimenti diventa troppo difficile senon impossibile da compiere.

Ci torna alla mente una scena nar-rata soltanto dal quarto vangelo, pa-gina che inizia proprio con lo sguar-do di Gesù, sguardo diverso — comevedremo tra poco — da quello deisuoi discepoli e di altri del suo po-polo. Alludiamo al racconto dellaguarigione del cieco nato, che pren-de l’avvio da un elemento non se-condario: Gesù ha visto quell’uomo[«Passando, Gesù vide un uomo cie-

co dalla nascita» (Giovanni, 9, 1)].Mentre Gesù si è accorto di quel po-vero, cioè lo ha veramente visto, idiscepoli si pongono domande teo-logiche e si occupano solo superfi-cialmente delle implicazioni dellasua cecità: «Rabbì, chi ha peccato,lui o i suoi genitori, perché sia natocieco?» (Giovanni, 9, 2). Si noti chela questione sollevata dai discepolirifletteva probabilmente un dibattitodocumentato nella tradizione rabbi-nica: si credeva che si potesse pecca-re anche prima della nascita, comedimostrerebbero le storie di due fra-telli gemelli, Giacobbe ed Esaù(Esaù sarebbe stato nemico di Gia-cobbe ancora prima di venire almondo, secondo un’i n t e r p re t a z i o n edel salmo 58, 4: «Sono traviati imalvagi fin dal seno materno, sonopervertiti dalla nascita i mentitori»).Altre discussioni riguardavano poi lapossibilità che la cecità di una per-sona derivasse da peccati commessidai genitori prima della sua nascita:se questi avessero peccato gravemen-te, i figli sarebbero nati zoppi, o condisabilità.

Ma la pagina giovannea sembravoler mostrare che queste discussioniallontanano sempre più quell’uomo«che stava seduto a chiedere l’ele-mosina» (Giovanni, 9, 8) dallosguardo di riconoscimento di cuiparla Papa Francesco nell’Aperuit il-lis. I farisei e gli altri che poi inter-rogheranno il cieco guarito arrive-ranno anche a espellere il cieco natodal loro gruppo (cfr. l’aggettivo apo-synagōgos, «escluso dalla sinagoga»,in Giovanni, 9, 22 e poi anche in 12,42 e 16, 2). Quelle che dovevano es-sere «persone che si appartengono»(Aperuit illis, 8) sono ormai divise dauna distanza incolmabile, perchéadesso quell’uomo espulso non ènemmeno più considerato come ap-partenente alla sinagoga.

Papa Francesco, quasi alla finedella lettera apostolica, scrive:«Un’ulteriore provocazione che pro-viene dalla Sacra Scrittura è quellache riguarda la carità» (13); e offrecome esempio la parabola di Lazza-ro e dell’uomo ricco. La parabola,esclusivamente lucana, si trova nelcapitolo sedicesimo del terzo vange-lo, all’interno di una sezione dedica-

ta all’insegnamento itinerante di Ge-sù che prende l’avvio con la sua par-tenza per Gerusalemme (Luca, 9, 51 -24, 53); più precisamente, è colloca-

ta nella seconda sezione del viaggio,caratterizzata proprio dall’alto nu-mero di parabole e dall’invito ad ac-cogliere il Regno (Luca, 13, 22 - 17,10). Ne riassume il passaggio fonda-mentale, quello che gli esegeti chia-merebbero il turning point, PapaFrancesco: «Quando Lazzaro e ilricco muoiono, questi, vedendo ilpovero nel seno di Abramo, chiedeche venga inviato ai suoi fratelli per-ché li ammonisca a vivere l’a m o redel prossimo, per evitare che an-ch’essi subiscano i suoi stessi tor-menti. La risposta di Abramo è pun-gente: “Hanno Mosè e i profeti,ascoltino loro” (Luca, 16, 29)» (Ap e -ruit illis, 13). Per comprendere questaparabola, si dovrà ricordare che essaè «lo sviluppo teologico di quellaprecedente (cfr. Luca, 16, 1-9)», dettadell’“amministratore scaltro”, ed «èinteramente giocata su un esempiocontrario, perché quanto il riccocompie contraddice l’insegnamentodi Gesù. Il denaro può diventare unidolo ed esercitare una signoria riser-vata solo a Dio» (Matteo Crimella,Luca. Introduzione, traduzione e com-mento, Cinisello Balsamo, San Paolo,2015, pagina 266). L’esegeta Matteo

Crimella motiva il confronto tra ledue parabole in questo modo: «Illettore è condotto dalla narrazionestessa a stabilire un paragone fral’epulone e l’amministratore astuto:essi sono agli antipodi, perfettamen-te speculari. L’amministratore, infat-ti, arriva al paradosso della spregiu-dicatezza per assicurarsi un futuro,l’epulone è invece chiuso nella torred’avorio della propria ricchezza,concentrato sull’oggi e sulla sua bre-ve durata; per l’amministratore iltempo è breve, ma c’è spazio di ma-novra; per il ricco è ormai troppotardi» (ibidem, 266-267).

Il “ricco epulone”, dunque, nonavrebbe ascoltato l’insegnamento diGesù sulla ricchezza veicolato appe-na sopra, nella trama del vangelo lu-cano, attraverso la parabola dell’am-ministratore disonesto: non ha ascol-tato «Mosè e i profeti» (Luca, 16,29). Questa espressione — una va-riante della frase più comune «Leg-ge e profeti» — si trova solo nel Van-gelo secondo Luca e mai negli altrivangeli (vedi però Giovanni, 1, 45) onell’intero Antico Testamento o neitesti rabbinici, ma si legge negliscritti di Qumran. Poiché essa sem-bra descrivere in forma metonimical’intera Scrittura ebraica, in tal modonella parabola viene ribadito il valo-re perenne della Torà e del suo com-

mento attraverso i profeti, come an-che la lettura sinagogale che di talilibri si praticava abitualmente (cfr.Howard Marshall, The Gospel of Lu-ke. A commentary on the Greek Text,Grand Rapids, Eerdmans, 1978, pa-gina 639).

Ma, guardando ancora più a fon-do, a cosa in particolare starebbe al-ludendo Abramo, quando cita al ric-co epulone «Mosè e i profeti»?Sembrerebbe, dal contesto della pa-rabola, che il riferimento sia a queimolti testi della Bibbia ebraica neiquali si insegna ad avere cura delprossimo, e specialmente dei poveri.Tra questi, vi potranno essere, certa-mente, i seguenti passi, che voglia-mo ricordare: D e u t e ro n o m i o , 14, 28-29; 15, 1-3; 7, 12; 22, 1-7; 24, 7-15;Isaia, 3, 14-15; 10, 1-3; 58, 6-10;G e re m i a , 7, 5-6; Ezechiele, 18, 1-18;Am o s , 2, 6-8; 5, 11-12; 8, 4-6; Michea,2, 1-2; 3, 1-4; Zaccaria, 7, 9-10; Ma l a -chia, 3, 5.

Se il ricco ha chiuso gli occhi alpovero Lazzaro, è perché ha chiusoprima le orecchie alla Parola di Dio.Così scrive nel “motu proprio” Pa p aFrancesco: «Ascoltare le Sacre Scrit-ture per praticare la misericordia:questa è una grande opportunità po-sta dinanzi al lettore della parabolae davanti a tutti i credenti. La Paroladi Dio — scrive Francesco — «è ingrado di aprire i nostri occhi perpermettere di uscire dall’individuali-smo che conduce all’asfissia e allasterilità mentre spalanca la stradadella condivisione e della solidarie-tà» (Aperuit illis, 13). Nella Scritturaè detto tutto ciò che è necessario perla salvezza (cfr. Dei Verbum, 11) e visono espresse chiaramente le indica-zioni per porsi in modo giusto difronte agli altri. Sono le Scritture sa-cre di Israele, rilette e confermatenel vangelo di Gesù Cristo, a segna-re la via buona per compiere le ope-re di misericordia. Queste Parole,che oggi rimangono la consolazionedei fedeli in tempo di crisi ed epide-mia, non semplicemente soddisfanola nostra fame e sete di incontro conDio, ma ci spingono a compiere ilbene nei confronti degli altri, in par-ticolare dei bisognosi.

*Preside dell’Istituto teologico di Assisi

La partecipazione del mondo ecumenico alla preghiera comune del Padre nostro

Insieme nello spazio e nel tempo

A Gerusalemme l’invocazione dei leader religiosi

Figli di Abramo Inizio della missione dell’Osservatore permanentedella Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite

GERUSALEMME, 27. «L’avevamo giàauspicato come capi delle tre comuni-tà del Santo Sepolcro: che tutti i figlidi Abramo potessero far salire insie-me la preghiera all’Onnipotente per-ché cessi la pandemia. Nell’appunta -mento al municipio, ciascuno nellapropria tradizione si è ritrovato perfar salire a Dio questa preghiera».Così il Custode di Terra santa, padreFrancesco Patton, ha commentato, inun’intervista a Vatican News, la pre-ghiera tenutasi a Gerusalemme il 26marzo con i rappresentanti delle reli-gioni abramitiche: cristiani, ebrei emusulmani. Un’iniziativa voluta dallamunicipalità della Città santa e dal

sindaco, Moshe Lion, alla quale han-no partecipato oltre ai leader cristiani,e cioè lo stesso Patton, l’a rc i v e s c o v oPierbattista Pizzaballa, amministratoreapostolico di Gerusalemme dei Latini,e il patriarca greco-ortodosso TeofiloIII anche il rabbino capo sefardita diGerusalemme, Moshe Amar, e quelloashkenazita, Aryeh Stern. Gli sceicchiMuhammad Kevan e Attel Atrashhanno rappresentato il mondo islami-co insieme al druso Muafek Tarif.Patton ha per l’occasione ricordatoche la basilica del Santo Sepolcro, aingresso limitato, continuerà a svolge-re le celebrazioni quaresimali e dellaSettimana santa.

di RICCARD O BURIGANA

Non si contano i cristiani chein tanti luoghi del mondohanno testimoniato l’unità

accogliendo l’invito di Papa France-sco, nell’Angelus del 22 marzo, «ainvocare l’Altissimo, Dio onnipo-tente, recitando contemporanea-mente la preghiera che Gesù NostroSignore ci ha insegnato», mercoledì25 marzo a mezzogiorno: «nel gior-no in cui molti cristiani ricordanol’annuncio alla Vergine Mariadell’Incarnazione del Verbo, possail Signore ascoltare la preghieraunanime di tutti i suoi discepoli chesi preparano a celebrare la vittoriadi Cristo Risorto».

L’invito ha trovato subito un’ac-coglienza fraterna: l’arcivescovo diCanterbury e primate della Comu-nione anglicana, Justin Welby, haespresso il pieno sostegno a questainiziativa del Pontefice, esortando ifedeli anglicani a unirsi alla pre-ghiera del 25 marzo; l’a rc i v e s c o v oha chiesto di far ricorso anche a tut-ti i mezzi di comunicazione digitalecon i quali rafforzare la comunionein un momento nel quale, anche nelRegno Unito, si moltiplicano le ini-ziative ecumeniche in un tempo disofferenza e di incertezza causatodal Covid-19.

Proprio il 22 marzo, accogliendol’appello dell’organismo ecumenicoChurches Together in Britain andIreland, molti fedeli hanno accesouna candela, nei luoghi di culto enelle proprie abitazioni, come segnodella luce di Cristo che dona la spe-ranza anche nei tempi più bui. An-che il segretario generale del WorldCouncil of Churches (Wcc), OlavFykse Tveit, ha salutato con gioia laproposta pontificia con la quale te-stimoniare quanto i cristiani sianouniti nella preghiera: «Si tratta diuna straordinaria opportunità diunire le nostre voci nella preghieraa Dio con le parole che il nostro Si-

gnore Gesù Cristo ci ha insegnato,in un tempo così difficile, che aiutai cristiani a ricordare l’unità dellafamiglia umana».

«Abbiamo bisogno di segni diunità e di speranza»: con queste pa-role il reverendo Christian Krieger eil dottor Jørgen Skov Sørensen, ri-spettivamente presidente e segreta-rio generale della Conferenza delleChiese europee (Cec), hannoespresso il loro sostegno all’iniziati-va di Papa Francesco; per la Cec,che in queste settimane ha messo incampo una serie di attività perun’informazione corretta sulla pan-demia e per un accompagnamentospirituale, soprattutto verso coloroche si sentono isolati e abbandona-ti, il Padre Nostro, in luoghi diversie alla stessa ora, permette a tutti diricordare «che la preghiera insegna-ta da Cristo unisce il cristianesimonello spazio e nel tempo così come

è stato per secoli quando i cristianisi sono rivolti a Dio con queste pa-role che invocano la venuta del suore g n o » .

I fedeli sono chiamati insiemenon solo a combattere la pandemiama anche a sostenersi a vicenda, aldi là dei confini politici e confessio-nali, «per comprendere cosa inse-gna questa crisi in uno spirito dicomunione» hanno ribadito i duel e a d e r.

Nel lungo elenco di organisminazionali e locali che hanno raccol-to l’appello del Pontefice, dal Con-siglio delle Chiese del New Mexicoal Consiglio delle Chiese del SudAfrica, troviamo anche il NationalCouncil of Churches degli StatiUniti (Ncc-Usa) che ha invitato tut-ti a unirsi a questo momento di pre-ghiera, sottolineando quanto siafondamentale far ricorso alle risorsedigitali che, in questi ultimi giorni,

l’organismo ecumenico ha indicatocome lo strumento più adatto pervivere la comunione.

Per il Ncc-Usa il ricorso alle ri-sorse digitali appare necessario persostenere spiritualmente soprattuttocoloro che sono i più esposti al con-tagio del Covid-19 oltre che per se-guire le indicazioni stringenti delmondo scientifico per combattere lapandemia contro una certa informa-zione che tende ancora a sottovalu-tarne dimensioni e pericolosità. Si èvoluto così riaffermare, come tantialtri nel mondo e a vario livello,l’importanza del sentirsi vicini spiri-tualmente con la preghiera di frontealla pandemia che sta mietendo tan-te vittime, seminando paure e soffe-renze; tanto più se ecumenica econdivisa, per offrire un confortospirituale a tutti, in ogni luogo, col-tivando la speranza di un domanidi luce.

Il 28 gennaio scorso l’arcivescovo Gabriele Caccia hapresentato le lettere credenziali ad António Guterres,segretario generale dell’Organizzazione delle NazioniUnite, nella sede della medesima a New York.

La breve cerimonia si è svolta all’ultimo piano delPalazzo di Vetro, dove si trova anche l’ufficio del se-gretario generale. Il nunzio apostolico era accompa-gnato dal capo del Protocollo, seguito dal vice che af-fiancava i monsignori Fredrik Hansen e David Char-ters, collaboratori di ruolo diplomatico. Insieme al se-gretario generale si è poi recato nella sala dove, allapresenza dei media dell’Onu, ha consegnato le letterecredenziali. Terminata la parte ufficiale, è stato intro-dotto dal segretario generale nel suo ufficio, insiemealla delegazione, alla presenza di tre suoi assistenti.

Nel colloquio molto cordiale, Guterres ha condivisola sua soddisfazione per il recente incontro con il

Santo Padre nel mese di dicembre 2019. Da parte suail rappresentante pontificio ha espresso la grande sti-ma del Santo Padre per tale Organizzazione.

Il segretario generale ha inoltre indicato la conso-nanza con molte priorità della Santa Sede, citando inparticolare la pace, i migranti, i rifugiati, la “casa co-mune” e la libertà religiosa, specialmente in Mediooriente, dove l’antichissima presenza cristiana è stataridotta drammaticamente nel corso degli anni. Monsi-gnor Caccia ha confermato tale situazione preoccu-pante. Il segretario generale infine ha auspicato dicontinuare a sviluppare ulteriormente l’imp ortantecollaborazione con la Santa Sede, che gioca un ruoloassai significativo e ha un grande peso nell’opinionepubblica e nella vita di tantissimi credenti in tutto ilmondo.

Page 7: In preghiera per l’umanitàper farci prossimi · 2020. 3. 27. · to, per evitare a molti di precipitare in un inferno di solitudine, mentre ci si separa per prevenire il conta-gio

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 sabato 28 marzo 2020

Il Papa ringrazia quanti sostengono le famiglie più povere, gli anziani soli e i ricoverati

Il buon segnaledella solidarietà

Pur nella paura cresce la solidarietà:ecco il «buon segnale» di speranzache Papa Francesco ha rilanciato, ve-nerdì mattina, 27 marzo, celebrandola messa nella cappella di Casa San-ta Marta.

«In questi giorni sono arrivate no-tizie di come tanta gente incominciaa preoccuparsi, in un modo più ge-nerale, per gli altri» ha detto il ve-scovo di Roma, a braccio, all’iniziodella celebrazione trasmessa in diret-ta streaming. Ci sono persone, ha af-fermato, che «pensano alle famiglieche non hanno il sufficiente per vi-vere, agli anziani soli, agli ammalatiin ospedale e pregano e cercano difare arrivare qualche aiuto: questo èun buon segnale».

«Ringraziamo il Signore perchésuscita nel cuore dei suoi fedeli que-sti sentimenti» ha aggiunto il Ponte-fice, che ha subito dato ancora piùforza alla sua preghiera con i versidel salmo 54 (3-4), letti come antifo-na d’ingresso: «Salvami, o Dio, peril tuo nome, e nella tua potenza ren-dimi giustizia. Ascolta, o Dio, la miapreghiera, porgi l’orecchio alle paro-le della mia bocca».

Per la meditazione nell’omelia ilPapa ha poi preso spunto dalle let-ture proposte dalla liturgia del gior-no, tratte dal libro della Sapienza (2,1.12-22) e dal Vangelo di Giovanni(7, 1-2.10.25-30). Suggerendo di tene-re l’atteggiamento del silenzio, lostesso di Gesù, di fronte alle grandie piccole persecuzioni.

«La prima lettura — ha spiegato —è quasi una cronaca, prima, di quel-lo che accadrà a Gesù: è una crona-ca in avanti, è una profezia. Sembrauna descrizione storica di quello cheè accaduto dopo».

E, per questa ragione, il Ponteficeha voluto rileggere alcuni passi dellibro della Sapienza: «Gli empi cosadicono? “Tendiamo insidie al giusto,che per noi è d’incomodo e si oppo-ne alle nostre azioni; ci rimproverale colpe contro la legge e ci rinfacciale trasgressioni contro l’educazionericevuta. È diventato per noi unacondanna dei nostri pensieri; ci è in-sopportabile solo al vederlo, perchéla sua vita non è come quella degli

altri. Se infatti il giusto è figlio diDio, egli verrà in suo aiuto e lo libe-rerà dalle mani dei suoi avversari”».Davanti a queste parole, ha aggiuntoFrancesco, «pensiamo a quello chedicevano a Gesù sulla croce: “Se seiil Figlio di Dio, scendi, che vengaLui a salvarti”».

E così, ha proseguito il Papa, gliempi di cui parla il libro della Sa-pienza hanno un «piano d’azione:“Mettiamolo alla prova con violenzee tormenti per conoscere la sua mi-tezza e saggiare il suo spirito di sop-portazione. Condanniamolo a unamorte infamante, perché, secondo lesue parole, il soccorso gli verrà”».

Nel libro della Sapienza dunque,ha insistito il Pontefice, c’è «propriouna profezia di quello che è accadu-to». E infatti «“i giudei cercavano di

ucciderlo” dice il Vangelo» di Gio-vanni. E, di più, nel brano odiernosi legge anche che «cercavano alloradi arrestarlo, ma nessuno riuscì amettere le mani su di lui, perchénon era ancora giunta la sua ora».

«Questa profezia è troppo detta-gliata» ha spiegato il Papa. «Il pia-no d’azione di questa gente malva-gia — ha osservato — è proprio detta-gli su dettagli, non risparmiare nul-la: “Mettiamolo alla prova con vio-lenza e tormenti e saggiare lo spiritodi sopportazione”, tendiamogli insi-die, mettiamogli un tranello» per ve-dere «se cade» .

Ma tutto questo, ha fatto presenteFrancesco, «non è una sempliceodiosità, non c’è un piano d’azione— cattivo, certamente — di un partitocontro l’altro: questa è un’altra cosa»

e «si chiama accanimento: quando ildemonio che è dietro, sempre, aogni accanimento, cerca di distrug-gere e non risparmia i mezzi».

A questo proposito il Papa ha in-vitato a pensare «all’inizio del librodi Giobbe, che è profetico su que-sto: Dio è soddisfatto del modo divivere di Giobbe», ma «il diavologli dice: “Sì, perché ha tutto, non hadelle prove! Mettilo alla prova!”». Ecosì «prima il diavolo gli toglie i be-ni, poi gli toglie la salute e Giobbemai, mai si è appartato da Dio. Maè il diavolo che fa l’accanimento,s e m p re » .

«Dietro ogni accanimento c’è ildemonio, per distruggere l’opera diDio» ha ribadito il Pontefice. «Die-tro a una discussione o una inimici-zia — ha aggiunto — può darsi chesia il demonio ma da lontano, con letentazioni normali. Ma quando c’èaccanimento, non dubitiamo: c’è lapresenza del demonio».

Oltretutto, ha spiegato Francesco,«l’accanimento è sottile sottile: pen-siamo a come il demonio si è accani-to non solo contro Gesù, ma anchenelle persecuzioni dei cristiani, comeha cercato i mezzi più sofisticati perportarli all’apostasia, ad allontanarsida Dio». E, «come noi diciamo nelparlato quotidiano, questo è diaboli-co: sì, intelligenza diabolica».

Su questo punto il vescovo di Ro-ma ha voluto condividere un’esp e-rienza di persecuzione: «Mi raccon-tavano alcuni vescovi di uno deiPaesi che ha subito la dittatura di unregime ateo: nella persecuzione arri-vavano fino a dettagli come questo:il lunedì dopo Pasqua le maestre do-vevano domandare ai bambini “cosaavete mangiato, ieri?”. I bambini di-cevano cosa era a pranzo. Alcuni di-

cevano “uova”. E quelli che diceva-no “uova” poi erano perseguitati pervedere se erano cristiani, perché inquel Paese si mangiavano le uova laDomenica di Pasqua».

Insomma, ha rilanciato il Papa, siarriva «fino a questo punto di vede-re», attraverso lo «spionaggio, dovec’è un cristiano per ucciderlo». E«questo è l’accanimento nella perse-cuzione e questo è il demonio».

«E cosa si fa nel momento dell’ac-canimento?» è la questione posta dalPontefice. «Si possono fare — hadetto — soltanto due cose: discute-re», ma «con questa gente non èpossibile, perché hanno le proprieidee, le idee fisse, le idee che il dia-volo ha seminato nel cuore». E «ab-biamo sentito qual è il piano diazione loro» nella prima lettura.Dunque «cosa si può fare? Quelloche ha fatto Gesù: tacere» ha affer-mato Francesco. Del resto «colpisce,quando leggiamo nel Vangelo, chedavanti a tutte queste accuse, a tuttequeste cose, Gesù taceva: davanti al-lo spirito di accanimento, soltanto ilsilenzio, mai la giustificazione.Mai». Infatti, ha proseguito il Papa,«Gesù ha parlato, ha spiegato», ma«quando ha capito che non c’eranoparole: il silenzio. E in silenzio Gesùha fatto la sua passione».

Questo «è il silenzio del giustodavanti all’accanimento», ha fattopresente il Papa. E «questo è validoanche per — chiamiamoli così — ipiccoli accanimenti quotidiani, quan-do qualcuno di noi sente che c’è unchiacchiericcio lì contro di lui, e sidicono le cose e poi non viene fuoriniente». L’atteggiamento giusto è«stare zitto, silenzio e subire e tolle-

rare l’accanimento del chiacchieric-cio». Perché, ha riconosciuto il Pon-tefice, davvero «pure il chiacchieric-cio è un accanimento, un accani-mento sociale: nella società, nelquartiere, nel posto di lavoro, masempre contro di lui». E se certa-mente «è un accanimento non tantoforte come» la persecuzione vera epropria, resta comunque «un accani-mento per distruggere l’altro, perchési vede che l’altro disturba, mole-sta».

Concludendo la meditazione, ilPontefice ha invitato a chiedere «alSignore la grazia di lottare contro locattivo spirito, di discutere quandodobbiamo discutere: ma davanti allospirito di accanimento» chiediamo lagrazia di «avere il coraggio di taceree lasciare che gli altri parlino» E «lostesso» è giusto fare «davanti a que-sto piccolo accanimento quotidianoche è il chiacchiericcio: lasciarli par-lare». E restare «in silenzio, davantia Dio».

Come nei giorni scorsi, Francescoha invitato a fare la comunione spiri-tuale leggendo la preghiera disant’Alfonso Maria de’ Liguori. E haconcluso la celebrazione con l’adora-zione e la benedizione eucaristica.Per poi «consegnare» la sua preghie-ra alla Madre di Dio, sostando da-vanti all’immagine mariana nellacappella di Casa Santa Marta, ac-compagnato dal canto dell’antifonaAve Regina caelorum.

A mezzogiorno, nella basilica Va-ticana, il cardinale arciprete AngeloComastri ha guidato il quotidianomomento di preghiera con la recitadell’Angelus e del rosario.

Francesco dona30 respiratori agli ospedali

Papa Francesco ha affidato 30 respiratori, acquistati nei giorni scorsi,all’Elemosineria apostolica perché siano consegnati ad alcune struttureospedaliere, che saranno presto individuate, nelle zone più colpite dalladiffusione di coronavirus. Con questo gesto concreto il vescovo di Romaha rilanciato l’impegno — suo personale e della Chiesa intera — a ri-spondere con la solidarietà e con la preghiera all’emergenza della pan-demia. Lo scorso 12 marzo, tramite il Dicastero per il servizio dello svi-luppo umano integrale, il Papa ha donato centomila euro alla Caritasitaliana per i servizi «a favore dei poveri e delle persone più deboli evulnerabili». Da parte sua, l’Elemosineria apostolica fin da subito halanciato l’iniziativa del «sacchetto del cuore» — anche con prodotti delleVille pontificie di Castel Gandolfo — per garantire i pasti ai senzatetto aRoma. Il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski ha anche personal-mente fatto sentire «la vicinanza e l’affetto» del Papa alle religiose inisolamento perché positive al coronavirus. E per rispondere alle emer-genze ha messo a disposizione il suo numero di cellulare: 348 1300123.

Padre Cantalamessa dedica la predica di Quaresima alla testimonianza di Maria ai piedi della croce

Madre dei dolori e della speranza

Aggiornamento del calendario

Celebrazioni della Settimana Santa presiedute dal Papa

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

dell’uomo. «La malattia isola e pervincerla dobbiamo isolarci. Ma sap-piamo che non siamo, non possiamoessere delle isole», ha affermato ilcardinale Matteo Zuppi in una re-cente intervista. E così continuava:«L’assenza ci fa capire l’imp ortanzadella presenza. È la dimostrazioneche non siamo fatti per vivere isolati.[...] È come un digiuno non voluto,non scelto, che ci aiuta però a dareun senso a tutto». Questo digiunorafforzi le nostre difese immunitariecontro le tentazioni della solitudine.Ci aiuti ad innalzarle contro il virusdell’autosufficienza. Per salvarci daun isolamento autoindotto, nonchéper riempire quello che il Papa hadefinito in un’omelia in streaming«l’abisso dell’indifferenza», l’abissoche separa i pochi ricchi epuloni daitanti Lazzaro di questo mondo.

Quando questi lunghi giorni diautoisolamento saranno conclusi, eusciremo di nuovo dalle nostre case,impegniamoci ad avere un cuore piùaperto al grido dell’altro, e imparia-mo a provare maggiore vergognaquando si invoca la costruzione dimuri sempre più alti. La pandemiaci mostra, paradossalmente, che sia-mo tutti legati. E che solo con unosforzo comune, di tutti, ne usciremo.Il mondo è interdipendente e i pro-blemi lontani vanno affrontati con lostesso atteggiamento e la stessa curadi quelli vicini, preoccupandosi dellasalute e della salvezza di tutti.

Questo, del resto, stiamo facendoobbedendo all’indicazione di restarein casa. Un impegno in favore dellacomunità, perché un anziano non ri-schi più del dovuto, perché il siste-ma sanitario non giunga al punto dirottura. «Qui, o ci salviamo tutti as-sieme, o non si salva nessuno», hadetto un giovane insegnante del sud,al nord per lavoro, che non ha volu-to mettere a rischio familiari, amici econterranei, e ha scelto di non parti-re. Lo stesso vale a livello globale: lapandemia ci insegna che la salvezzasi trova tutti insieme.

«Io vedo con chiarezza che la co-sa di cui la Chiesa ha più bisogno

Trovare nuovi modiper farci prossimi

«Stare presso la croce di Gesù» nonè la stessa cosa che «stare presso lacroce in genere». Non basta, cioè,stare nella sofferenza, rimanendocianche in silenzio. Ciò che conta, inrealtà, «non è la propria croce, maquella di Cristo. Non è il soffrire,ma il credere e così appropriarsidella sofferenza di Cristo». È quan-to ha sottolineato padre RanieroCantalamessa durante la predica diQuaresima di venerdì 27 marzo, re-gistrata nella cappella RedemptorisMater del Palazzo apostolico vatica-no e trasmessa in streaming sul por-tale Vatican News.

Il tema della riflessione, «Pressola croce di Gesù stava Maria suaMadre», ha offerto al predicatoredella Casa pontificia l’occasione perribadire l’importanza della fede. In-fatti, ha fatto notare, la cosa piùgrande di Maria sotto la croce «fula sua fede, più grande ancora chela sua sofferenza». San Paolo diceche il Vangelo è potenza di Dio«per tutti coloro che credono» (cfr.Rm 1, 16) e non — ha messo in evi-denza il cappuccino — «per tutti co-loro che soffrono», anche se le duecose «sono di solito unite tra di lo-ro». In ciò si trova «la fonte di tut-ta la forza e la fecondità della Chie-sa». Che vengono, ha aggiunto,

«dal predicare la croce di Gesù,cioè da qualcosa che agli occhi delmondo è il simbolo stesso dellastoltezza e della debolezza».

Ciò comporta «la rinuncia a ognipossibilità o volontà di affrontare ilmondo incredulo e spensierato coni suoi stessi mezzi che sono la sa-pienza delle parole, la forza delleargomentazioni, l’ironia, il ridicolo,

il sarcasmo e tutte le altre cose fortidel mondo». Bisogna rinunciare, hadetto, a «una superiorità umana»,perché possa venire alla luce e agire«la forza divina racchiusa nella cro-ce di Cristo». La maggioranza deicredenti, ha fatto notare, non è sta-ta «mai aiutata a entrare in questomistero che è il cuore del NuovoTestamento, il centro del kerigma eche cambia la vita».

Come discernere allora se si crederealmente nella croce di Cristo? Laprova è nel «prendere la propriacroce e andare dietro a Gesù». Ilsegno è «partecipare alle sue soffe-renze (Fil 3, 10; Rm 8, 17), esserecrocifissi con lui (Gal 2, 20), com-pletare, mediante le proprie soffe-renze, ciò che manca alla passionedi Cristo (Col 1, 24)». La vita interadel cristiano, ha aggiunto il cappuc-cino, deve essere «un sacrificio vi-vente, come quella di Cristo (cfr.Rm 12, 1)». Non si tratta solo disofferenza «accettata passivamente»,ma anche di «sofferenza attiva, vis-suta in unione con Cristo».

Sono esistiti nella Chiesa duemodi diversi di porsi davanti allacroce di Cristo: il primo, ha spiega-to padre Cantalamessa, «più carat-teristico della teologia protestante,basato sulla fede e l’a p p ro p r i a z i o n e ,

che fa leva sulla croce di Cristo», eil secondo, «coltivato, almeno inpassato, di preferenza dalla spiritua-lità cattolica», che insiste sul «sof-frire con Cristo, sul condividere lapassione di lui e, come nel caso dicerti santi, nel rivivere addirittura insé la passione di Cristo, fino a vede-re riprodotte in sé le sue stimmate».

L’ecumenismo spinge a «rico-struire la sintesi di ciò che nellaChiesa ha finito, a poco a poco, peressere contrapposto». Non si tratta,evidentemente, di mettere sullo stes-so piano «l’operato di Cristo equello nostro», ma di accogliere la«parola della Scrittura» che ricordacome la fede e le opere, l’una senzal’altra, siano “morte”. È la fede stes-sa nella croce di Cristo che «ha bi-sogno di passare attraverso la soffe-renza per essere autentica». La pri-ma lettera di Pietro, ha aggiunto,dice che la sofferenza è il “c ro g i u o -lo” della fede, che la fede ha biso-gno della sofferenza per essere puri-ficata, come l’oro nel fuoco (cfr. 1Pt 1, 6-7). La croce dell’uomo non è«in se stessa salvezza, non è né po-tenza né sapienza». Per se stessa è«pura opera umana, o addiritturacastigo». Diviene potenza e sapien-za di Dio in quanto, «accompagna-ta dalla fede e per disposizione diDio stesso, ci unisce alla croce diCristo».

Soffrire, ha fatto notare il predi-catore, «unisce alla croce di Cristoin modo non solo intellettuale, maesistenziale e concreto»; è una spe-cie «di canale, di via di accesso, allacroce di Cristo, non parallela allafede, ma facente un tutt’uno con es-sa». Il cappuccino ha poi sottoli-neato come occorra allargare l’oriz-zonte. Per l’evangelista Giovanni,che riferisce l’episodio, «la croce diCristo non è solo il momento dellamorte di Cristo, ma anche quellodella sua “glorificazione” e deltrionfo». La risurrezione, ha ag-giunto, «vi è già operante nel segnodello Spirito che si effonde (cfr. Gv7, 37-39; 19, 34)». Sul Calvario laVergine, dunque, «ha condiviso conil Figlio non solo la morte, ma an-che le primizie della risurrezione».Un’immagine di Maria ai piedi del-la croce, in cui «ella appare solo“triste, afflitta, piangente”, comecanta lo Stabat Mater, cioè solol’Addolorata, non sarebbe comple-ta». Sul Calvario, ella non è solo la«Madre dei dolori», ma anche la«Madre della speranza, Mater spei,come la invoca la Chiesa in un suoinno».

In seguito alla straordinaria situazione che si è venutaa determinare, a causa della diffusione della pandemiada Covid-19, e tenendo conto delle disposizioni forni-te dalla Congregazione del culto divino e la disciplinadei sacramenti, con Decreto in data 25 marzo 2020, siè reso necessario un aggiornamento in relazione alleprossime Celebrazioni Liturgiche presiedute dal SantoPadre Francesco: sia in ordine al Calendario, sia in or-dine alle modalità di partecipazione.

Si comunica, pertanto, che il Santo Padre celebrerài Riti della Settimana Santa all’Altare della Cattedra,nella Basilica di San Pietro, secondo il seguente calen-dario e senza concorso di popolo:

5 APRILE 2020, ORE 11Domenica delle Palme e della Passione del Signore

Commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemmee Santa Messa

9 APRILE 2020, ORE 18Giovedì Santo

Santa Messa nella Cena del Signore

10 APRILE 2020Venerdì Santo

ore 18: Celebrazione della Passione del Signore

ore 21: Via Crucis (sul Sagrato della Basilica di SanP i e t ro )

11 APRILE 2020, ORE 21Sabato Santo

Veglia pasquale nella notte santa

12 APRILE 2020, ORE 11Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore

Santa Messa del giorno

Al termine della Santa Messa il Santo Padre impar-tirà la Benedizione «Urbi et Orbi».

Città del Vaticano, 27 marzo 2020

Monsignor Guido MariniMaestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie

oggi è la capacità di curare le feritee di riscaldare il cuore dei fedeli, lavicinanza, la prossimità», aveva det-to il Papa nella lunga intervista con-cessa a «La Civiltà Cattolica» nel-l’agosto del 2013, quando aveva defi-nito la Chiesa un «ospedale da cam-po dopo una battaglia», espressioneche fece discutere ma che, a rilegger-la oggi, tanto fa pensare.

Il vescovo di Roma coglieva ilcuore dell’essere cristiani in ognitempo, in ogni contesto in cui si cer-ca di mettere in pratica la fede. «Vi-cinanza, prossimità»: oggi potrem-mo parlare di socialità. Cosa ne èdella socialità, in un tempo di di-stanziamento sociale? Essa è sfidatae limitata, per il bene stesso dellepersone che vorrebbero viverla. Maanche quando questa battaglia saràvinta, ci sarà bisogno di un “osp eda-le da campo”, prezioso quanto le te-rapie intensive di questi giorni, ingrado di restituire quel respiro diprossimità che il virus ha negato auna Quaresima mai così eccezionalee forse — chi può dirlo oggi? — adaltre stagioni del prossimo futuro.

Sono quindi convinto — per ri-spondere alla domanda iniziale —che questo tempo ci chiede di trova-re nuovi modi per farci prossimi.Con intelligenza e creatività lo sipuò essere anche a distanza e scopri-re chi è il nostro prossimo, oggi, inparticolare i più deboli, ma anchechi soffre lontano da noi per laguerra o la fame, situazioni che sem-brano ancora più lontane in questotempo. Se crediamo che “andrà tuttob ene”, come si legge nei mille mes-saggi scambiati in queste ore, dob-biamo anche puntare a uscire mi-gliori da questa prova, più consape-voli del tesoro di relazioni e di “re t i ”di cui abbiamo estremo bisogno. Siapriranno allora le porte incolpevol-mente chiuse di oggi, e cadranno imuri colpevolmente eretti ieri, che cihanno illuso, ma non ci hanno pro-tetto. Perché se siamo tutti sullastessa barca — come ha scritto unnoto giornalista — è bene che i portisiano aperti per tutti.

Rogier Van Der Weyden, «Tritticodella Crocifissione» (particolare, 1440-1445)