imprese territorio · stamperia artistica nazionale - torino questo numero viene stampato in 1900...

88
rivista di analisi economica I DISTRETTI INDUSTRIALI DEL TERZO MILLENNIO: DALLE ECONOMIE DI AGGLOMERAZIONE ALLE STRATEGIE D’IMPRESA Lo scorso 5 novembre si è tenuto a Milano presso Intesa San- paolo un convegno di presentazione di un volume sui distret- ti industriali edito da Il Mulino, curato da Fabrizio Guelpa (In- tesa Sanpaolo, Servizio Studi) e Stefano Micelli (Venice International University). Il volume raccoglie i risultati di un pro- getto di ricerca congiunto tra i due istituti che si è sviluppa- to nel corso degli ultimi tre anni. La tesi che viene proposta è che si stia passando da un model- lo di distretto in cui il fattore strategico principale è di carattere collettivo, a uno invece in cui assumono peso le strategie di tipo individuale. Il distretto “tradizionale” basato su fattori “collettivi” come l’equilibrio tra competizione e cooperazione, l’humus so- ciale, la divisione del lavoro, i bassi costi di transazione, ecc., verrebbe sostituito da uno “nuovo”, in cui la competitività si ba- sa in misura decrescente sui fattori tradizionali e in misura cre- scente su investimenti e strategie che hanno una natura pretta- mente “individuale” (o che possono essere effettuati in modo collettivo solo in misura limitata), come la R&S, il marketing, l’ICT, l’internazionalizzazione. Il territorio dovrà quindi fornire in misura crescente competenze di questo tipo per rimanere un fattore competitivo vincente. A parere degli autori, questa trasformazione, qualora portata a termine, è in grado di rilanciare fortemente i distretti, che hanno senza dubbio “sofferto” il nuovo contesto competitivo. Il distret- to del XXI secolo sarà piuttosto diverso rispetto al passato (pro- babilmente un po’ meno “puro”), ma comunque più adatto ad affrontare un diverso contesto competitivo. In questa sede si intende presentare brevemente il volume frut- to della ricerca effettuata. a cura di Studi e Ricerche per il Mezzogiorno pag. 58 di F. Guelpa segue pag. 6 numero 4 - novembre 2007 Imprese Territorio & a cura dell’Ufficio Studi Imprese e Territorio di Intesa Sanpaolo Alimentare, bevande e tabacco Tessile, abbigliamento, cuoio e calzature Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia Macchine e apparecchi meccanici Elettrotecnica e strumenti di precisione Mezzi di trasporto Totale manifatturiero 2,9 -2,1 -6,7 5,5 -0,3 0,6 2,6 2,7 3,9 4,6 10,7 10,4 13,4 9,0 -4,6 -2,2 -9,6 5,3 -3,6 2,4 -1,2 -2,7 3,0 0,8 14,2 14,1 30,2 7,9 42,6 31,5 40,7 32,1 31,5 27,2 35,7 42,4 34,3 40,6 34,3 33,4 31,8 37,1 Micro Guida ** 2005 2006* 2005 2006* 2005 2006* Fatturato % a/a Mol % a/a Mol % V.A. Nord ovest Nord est Centro Sud Totale Italia *stima 1,6 2,3 2,1 10,4 2,6 9,4 9,4 6,3 9,3 9,0 -3,0 2,0 -2,3 0,5 -1,2 10,5 11,7 8,1 -5,7 7,9 35,6 35,8 35,8 36,3 35,7 37,0 38,1 37,1 34,8 37,1 2005 2006* 2005 2006* 2005 2006* Fatturato % a/a Mol % a/a Mol % V.A. Appendice statistica segue a pag. 63 **Eventuali differenze rispetto a edizioni precedenti della Micro Guida sono riconducibili a un migliore aggiornamento dei bilanci in archivio oltre che un affinamento delle procedure di data quality L’impresa non grande come vero protagonista della specificità italiana Un confronto tra Italia e Spagna: la dinamica dei principali indicatori economici e la convergenza Banche e Imprese: un gioco di squadra? Il tasso di cambio e la specializzazione produttiva Innovare nell’industria chimica italiana Il cambiamento strutturale dell’economia nel Nord-Italia: uno sguardo di lungo periodo La Grande Distribuzione nel Mezzogiorno: struttura e proiezione territoriale di C. Colacurcio e L. Stanca pag. 10 a cura di Ufficio Studi Imprese e Territorio e SRM pag. 17 di S. Corona e C. Olearo pag. 36 di C. Pensa pag. 40 a cura di Federchimica pag. 45 di G. Vitali pag. 51

Upload: duongdat

Post on 14-Feb-2019

218 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

r i v i s t a d i a n a l i s i e c o n o m i c a

I DISTRETTI INDUSTRIALIDEL TERZO MILLENNIO:DALLE ECONOMIE DI AGGLOMERAZIONE ALLE STRATEGIE D’IMPRESALo scorso 5 novembre si è tenuto a Milano presso Intesa San-paolo un convegno di presentazione di un volume sui distret-ti industriali edito da Il Mulino, curato da Fabrizio Guelpa (In-tesa Sanpaolo, Servizio Studi) e Stefano Micelli (VeniceInternational University). Il volume raccoglie i risultati di un pro-getto di ricerca congiunto tra i due istituti che si è sviluppa-to nel corso degli ultimi tre anni.La tesi che viene proposta è che si stia passando da un model-lo di distretto in cui il fattore strategico principale è di caratterecollettivo, a uno invece in cui assumono peso le strategie di tipoindividuale. Il distretto “tradizionale” basato su fattori “collettivi”come l’equilibrio tra competizione e cooperazione, l’humus so-ciale, la divisione del lavoro, i bassi costi di transazione, ecc.,verrebbe sostituito da uno “nuovo”, in cui la competitività si ba-sa in misura decrescente sui fattori tradizionali e in misura cre-scente su investimenti e strategie che hanno una natura pretta-mente “individuale” (o che possono essere effettuati in modocollettivo solo in misura limitata), come la R&S, il marketing,l’ICT, l’internazionalizzazione. Il territorio dovrà quindi fornire inmisura crescente competenze di questo tipo per rimanere unfattore competitivo vincente.A parere degli autori, questa trasformazione, qualora portata atermine, è in grado di rilanciare fortemente i distretti, che hannosenza dubbio “sofferto” il nuovo contesto competitivo. Il distret-to del XXI secolo sarà piuttosto diverso rispetto al passato (pro-babilmente un po’ meno “puro”), ma comunque più adatto adaffrontare un diverso contesto competitivo.In questa sede si intende presentare brevemente il volume frut-to della ricerca effettuata.

a cura di Studi e Ricerche per il Mezzogiorno pag. 58di F. Guelpa segue pag. 6

numero 4 - novembre 2007

Imprese Territorio& a c u r a d e l l ’ U f f i c i o S t u d i I m p r e s e e Te r r i t o r i o d i I n t e s a S a n p a o l o

Alimentare, bevande e tabaccoTessile, abbigliamento, cuoio e calzatureVetro, ceramica, materiali per l'ediliziaMacchine e apparecchi meccaniciElettrotecnica e strumenti di precisioneMezzi di trasporto Totale manifatturiero

2,9-2,1-6,75,5

-0,30,62,6

2,73,94,6

10,710,413,49,0

-4,6-2,2-9,65,3

-3,62,4

-1,2

-2,73,00,8

14,214,130,27,9

42,631,540,732,131,527,235,7

42,434,340,634,333,431,837,1

Micro Guida**

2005 2006* 2005 2006* 2005 2006*

Fatturato % a/a Mol % a/a Mol % V.A.

Nord ovestNord estCentroSudTotale Italia*stima

1,62,32,1

10,42,6

9,49,46,39,39,0

-3,02,0

-2,30,5

-1,2

10,511,78,1

-5,77,9

35,635,835,836,335,7

37,038,137,134,837,1

2005 2006* 2005 2006* 2005 2006*

Fatturato % a/a Mol % a/a Mol % V.A.

Appendice statistica segue a pag. 63**Eventuali differenze rispetto a edizioni precedenti della Micro Guida sono riconducibili a un migliore aggiornamento dei bilanci in archivio oltre che un affinamento delle procedure di data quality

L’impresa non grande come veroprotagonista della specificità italiana

Un confronto tra Italia e Spagna: la dinamica dei principali indicatori economici e la convergenza

Banche e Imprese: un gioco di squadra?

Il tasso di cambioe la specializzazione produttiva

Innovare nell’industria chimica italiana

Il cambiamento strutturaledell’economia nel Nord-Italia:uno sguardo di lungo periodo

La Grande Distribuzione nelMezzogiorno: struttura e proiezione territoriale

di C. Colacurcio e L. Stanca pag. 10

a cura di Ufficio Studi Imprese e Territorio e SRM pag. 17

di S. Corona e C. Olearo pag. 36

di C. Pensa pag. 40

a cura di Federchimica pag. 45

di G. Vitali pag. 51

Page 2: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

2

Page 3: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

3

Direttore Responsabile:Lorenzo [email protected]

Vice Direttore:Alessandra [email protected]

Comitato di redazione:Claudio Colacurcio, Marco Lamieri, Manuela Marianera, Corinna Olearo, Cinzia Pepe

Hanno collaborato a questo numero:Claudio Colacurcio, Stefano Corona, Federchimica, Fabrizio Guelpa, Corinna Olearo,Cristina Pensa, SRM, Lorenzo Stanca, Ufficio Studi Imprese e Territorio, Giampaolo Vitali

Direzione, redazione, segreteria:Piazza S.Carlo, 156 - 10121 Torino - Tel. 011 555 7373 - Fax 011 555 [email protected]

Fotografie:Uliano Lucas

Realizzazione grafica:Partners - Torino

Stampa:Stamperia Artistica Nazionale - Torino

Questo numero viene stampato in 1900 copieed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007

La Redazione lascia agli autori la responsabilità delle opinioni espresse negli articoli firmati

numero 4 - novembre 2007

I distretti industriali del terzo millennio: dalle economie di agglomerazione alle strategie d’impresa di Fabrizio Guelpa 6

L’impresa non grande come vero protagonista della specificità italiana di Claudio Colacurcio e Lorenzo Stanca 10

Un confronto tra Italia e Spagna: la dinamica dei principali indicatori economici e la convergenza a cura di Ufficio Studi Imprese e Territorio e SRM 17

Banche e Imprese: un gioco di squadra? di Stefano Corona e Corinna Olearo 36

Il tasso di cambio e la specializzazione produttiva di Cristina Pensa 40

Innovare nell’industria chimica italiana a cura di Federchimica 45

Il cambiamento strutturale dell’economia nel Nord-Italia: uno sguardo di lungo periodo di Giampaolo Vitali 51

La Grande Distribuzione nel Mezzogiorno: struttura e proiezione territorialea cura dell’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno 58

Appendice statistica 63

Imprese Territorio&

Imprese Territorio&

Sommario

a c u r a d e l l ’ U f f i c i o S t u d i I m p r e s e e Te r r i t o r i o d i I n t e s a S a n p a o l or i v i s t a d i a n a l i s i e c o n o m i c a

Page 4: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

4 foto di Uliano Lucas

Page 5: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

5

Caro Lettore,

il quarto numero della rivista “Imprese e Territorio” tratta diversi temi al centro del dibattito corrente sull’evoluzione dell’economia italia-na. In particolare, la prima parte è dedicata a due aspetti caratteristici del sistema industriale - i distretti e la dimensione d’impresa - ri-visitati alla luce di nuovi paradigmi nello scenario competitivo.

L’articolo di Fabrizio Guelpa offre una sintesi dei principali risultati del volume “I distretti industriali del terzo millennio: dalle economie diagglomerazione alle strategie d’impresa”, frutto della collaborazione tra il Servizio Studi Intesa Sanpaolo e Venice Internationl Univer-sity. A questo segue il contributo di Claudio Colacurcio e Lorenzo Stanca che si concentra sul ruolo e lo sviluppo delle imprese nongrandi nello spiegare l’eccentricità della struttura produttiva italiana. Di maggiore dettaglio è l’analisi di Federchimica sul grado, le mo-dalità e le prospettive dell’innovazione nell’industria chimica.

Aspetti territoriali vengono affrontati dagli articoli di: Studi e Ricerche per il Mezzogiorno e Ufficio Studi Imprese e Territorio che affrontanoil dualismo territoriale dell’economia italiana, con particolare riferimento al confronto dei sentieri di convergenza delle regioni a sviluppo tar-divo fra Italia e Spagna; Giampaolo Vitali, che esamina il cambiamento strutturale dell’economia nel Nord-Italia attraverso un’analisi di lun-go periodo; Studi e Ricerche per il Mezzogiorno che si concentra sulle caratteristiche della grande distribuzione nel Mezzogiorno.

Infine, gli articoli di Cristina Pensa e di Stefano Corona e Corinna Olearo si focalizzano su temi legati alle evoluzioni recenti affrontatedalle imprese italiane: il primo analizza l’impatto dell’apprezzamento dell’euro sulla competitività dei prodotti italiani; il secondo ap-profondisce l’evoluzione del rapporto banca-impresa, alla luce del cambiamento strutturale dell’industria italiana, con particolare at-tenzione alle strategie di indebitamento delle imprese per classi dimensionali.

Come di consueto, la rivista si chiude con un’appendice statistica che raccoglie una serie di indicatori utili a valutare l’andamento delciclo economico e in particolare offre, a partire da dati proprietari, un quadro declinato per settore e per territorio dell’andamento deiconti delle imprese, arricchiti da una sintesi dei principali indicatori di bilancio, sia economici che patrimoniali.

Inoltre sono presenti gli indicatori di sintesi del clima di fiducia delle imprese manifatturiere ed estrattive, elaborati utilizzando i dati del-l'indagine congiunturale ISAE.

Ti saremo grati per ogni tuo suggerimento.

Lorenzo Stanca

numero 4 - novembre 2007Imprese Territorio& Editoriale

Page 6: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

6

I DISTRETTI INDUSTRIALIDEL TERZO MILLENNIO: DALLE ECONOMIE DI AGGLOMERAZIONEALLE STRATEGIED’IMPRESA

(segue dalla prima pagina)

di F. Guelpa

La risposta dei distretti al mutato scenario competitivo

Le imprese dei distretti industriali italiani stanno affrontando uncambiamento radicale dello scenario competitivo. L’emergeredelle economie asiatiche (Cina e India in primo luogo) el’introduzione dell’euro hanno reso obsolete le politiche tradizio-nali di contenimento dei costi e di imitazione dei leader a livellonazionale e internazionale. I primi anni di questo decennio han-no visto una faticosa transizione delle imprese distrettuali tradi-zionali verso un modello organizzativo e gestionale più adegua-to alle sfide della globalizzazione. Il percorso non può conside-rarsi concluso; ma è possibile oggi delineare i tratti specifici diun nuovo modo di competere su scala internazionale.Prima di tutto, sta cambiando il distretto industriale. Da una di-namica prevalentemente “orizzontale”, in cui i leader, quandopresenti, non erano centrali per il distretto nel suo complesso, sipassa a una struttura più “verticale” caratterizzata da una nuovagerarchia fra gli attori in gioco. Il fenomeno della delocalizzazio-ne, presente con intensità diverse a seconda dei diversi contestiterritoriali, ha spinto verso una maggiore codificazione delle re-lazioni fra imprese, in particolare con i fornitori esteri. La cre-scente estensione geografica delle reti di distribuzione richiedemodalità commerciali diverse da quelle tradizionalmente incardi-nate sulla fiducia e sulla conoscenza personale. Non è venutameno l’importanza del territorio: è cambiato piuttosto il rapportoche le imprese intrattengono con le istituzioni locali e, soprattut-to, con i nodi di produzione della conoscenza. La domanda diservizi sempre più qualificati (in campo finanziario, tecnologico,della comunicazione) spinge verso un rapido ammodernamentodelle tradizionali strutture di assistenza tecnica che hanno sup-plito in passato al deficit manageriale delle imprese distrettuali. In secondo luogo, si stanno trasformando le imprese dentro ildistretto. Le nuove sfide competitive hanno imposto il supera-mento di gap significativi. Un gap manageriale, in quanto le co-noscenze necessarie nel nuovo contesto competitivo hannouna natura profondamente diversa da quelle del contesto tradi-zionale. Un gap tecnologico: a lungo posta in secondo piano, la

sfida delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunica-zione è diventata una priorità con l’emergere dei nuovi produtto-ri localizzati nei paesi a basso costo del lavoro. In ultimo, un gapgenerazionale: imprenditori e manager sono chiamati a far spa-zio a nuove generazioni, spesso poco affascinate dalla tradizio-ne manifatturiera di molte delle nostre imprese e più inclini aesplorare nuove dimensioni terziarie della competitività. Gli sfor-zi avviati in questi anni hanno contribuito a formare nuovi modellidi comportamento, nuovi approcci al mercato, nuove forme diorganizzazione delle filiere produttive. Si assiste a una profondaevoluzione della morfologia delle imprese sul territorio; è unatrasformazione che richiede tempo per dispiegarsi in pieno, co-sì come ingenti risorse umane e finanziarie. Il dato più rilevante riguarda l’importanza di una nuova genera-zione di imprese leader, in rapida crescita dimensionale, carat-terizzate da una nuova qualità manageriale e da vantaggi com-petitivi basati sulla ricerca e sull’innovazione, non solo tecnolo-gica, ma intesa in senso “schumpeteriano”. La letteratura eco-nomica ha spesso etichettato queste imprese come “medie”,una via di mezzo fra la corporation di stampo manageriale e lapiccola impresa. L’analisi qui sviluppata mette in evidenza laqualità distintiva di queste imprese e la loro capacità di interpre-tare un modello manageriale considerato a lungo come esclusi-va delle grandi imprese trans-nazionali. A queste imprese spettail compito di dare qualità anche a un indotto locale che, nellamaggior parte dei casi, subirà un processo di selezione impe-gnativo. Si tratta di una fase di passaggio che in alcuni contestiassume contorni particolarmente difficili, ma che va consideratacome fisiologica rispetto al riassetto competitivo delle principalifiliere produttive del made in Italy.Nel lavoro si propone di analizzare la trasformazione dei distrettiindustriali italiani guardando proprio alle imprese leader comevettore del cambiamento. La tesi proposta è che il modello di-strettuale, contraddistinto da vantaggi competitivi di caratteresistemico, stia rapidamente assumendo contorni nuovi, in cuiacquisiscono un peso crescente le strategie deliberate degli at-tori, in particolare delle imprese. Il distretto marshalliano, basatosu un complesso equilibrio tra processi economici e sociali, tracompetizione e cooperazione, lascia spazio a distretti che siconfigurano come sistemi locali dell’innovazione, in cui la com-petitività si basa in misura crescente sugli investimenti e sullestrategie di imprese leader a livello internazionale. Questa tra-sformazione, qualora portata a termine, non porta con sé la finedel territorio come elemento qualificante della competitività del-le imprese: al contrario, il completamento del percorso avviatoin questi anni dipende proprio dalla capacità di rilanciare forte-mente la vocazione distrettuale dei nostri territori attraverso po-litiche coerenti con lo scenario competitivo del XXI secolo.Il ruolo del territorio può risultare strategico non soltanto in relazio-ne all’emergere di leadership. Nel momento in cui il distretto inter-nazionalizza, il ruolo del “capitale sociale”, che è tra i fattori fon-danti della competitività distrettuale, può ridursi, mettendo in gio-co il futuro dei distretti. Occorre quindi verificare quanto il capitalesociale sia in grado di supportare processi produttivi che dentro ildistretto sono sempre più terziari e sempre meno manifatturieri.Un territorio più ricco di skill e che conservi la capacità di generarefiducia e interazioni rimane, a nostro modo di vedere, uno dei fat-tori competitivi su cui deve puntare un Paese come il nostro.Il percorso avviato in questi anni non è un percorso facile, né il

*Fabrizio Guelpa è responsabile dell’Ufficio di Industry and Research di Intesa Sanpaolo

Page 7: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

7

suo esito può dirsi completamente scontato. Per andare in por-to, imprese e policy maker devono affrontare infatti una serie disfide. È necessario aumentare la dimensione media delle impre-se, favorendo fusioni e acquisizioni. È necessario favorire latransizione generazionale per accelerare un ricambio al verticedelle imprese. Le aziende meno capaci subiranno un’inevitabilesanzione di mercato e il personale non sempre troverà una col-locazione “automatica” nelle imprese sopravvissute, perchè leprofessionalità richieste sono e saranno diverse. Sul versantedelle politiche per la competitività, è necessario sviluppare pro-fessionalità e competenze oggi solo in parte presenti nei diversiterritori. Parte delle strutture di ricerca e di trasferimento tecno-logico oggi impegnate sul fronte dell’ammodernamento dei di-versi sistemi produttivi locali dovranno essere ripensate in modoradicale per dare risposte alle sfide cui sono oggi chiamate leimprese. Si pone, inoltre, un problema di monitoraggio delleperformance di imprese e sistemi locali dal momento che moltidegli indicatori economici classici come, ad esempio, la bilanciacommerciale o l’indice della produzione, assumono oggi unacapacità segnaletica minore rispetto al passato. Un sistema diimprese sempre più internazionale e terziarizzato trova sempremeno riscontro statistico negli indicatori tradizionali. Pur con queste incertezze, la via della trasformazione ci sembracomunque che sia stata imboccata con decisione. Nell’anno2000, la ricerca della Banca d’Italia sui distretti, curata da Si-gnorini, che costituisce ancora oggi uno dei capisaldi dell’analisiempirica sui distretti, si chiudeva con l’affermazione che i di-stretti sarebbero sopravvissuti, anche se non era prevedibile laforma con cui le imprese si sarebbero ancorate al territorio. Set-te anni dopo, questa incertezza è venuta parzialmente meno.Il presente studio intende dare evidenza empirica di questo pas-saggio, analizzando e interpretando i tratti distintivi del processodi trasformazione dei distretti così come li abbiamo conosciuti.La ricerca si basa sui risultati di un’indagine approfondita realiz-zata congiuntamente dal Servizio Studi di Intesa Sanpaolo e dalcentro di ricerca TeDIS della Venice International University. Lemetodologie di ricerca utilizzate sono molteplici: oltre a una ana-lisi dei dati ufficiali dell’Istat, il lavoro si basa su una serie di rileva-zioni statistiche originali svolte su un campione di circa 650 PMIdistrettuali, concentrate nei settori della Moda, della Casa, dellaMeccanica, cui sono stati abbinati i dati relativi al conto econo-mico e allo stato patrimoniale. I dati dell’osservatorio TeDIS con-sentono di valutare nel dettaglio le scelte strategiche delle im-prese, gli investimenti in tecnologia, il livello di internazionalizza-zione, gli elementi distintivi del vantaggio competitivo; a questidati sono state abbinate le informazioni presenti nei database diIntesa Sanpaolo relative alle principali grandezze economiche efinanziarie. È grazie a questa combinazione fra variabili di carat-tere industriale e variabili di bilancio che è stato possibile ricava-re indicazioni precise e originali sulle nuove strategie d’impresa,sulle performance effettivamente ottenute dalle imprese, non-ché informazioni chiave sul ruolo cruciale della finanza. L’idea è stata quella di verificare, nella pluralità di percorsi a livel-lo di distretto, ma anche a livello di impresa, quali possono es-sere nel concreto le strategie da seguire e quelle al contrario daevitare. Si sono utilizzati inoltre approcci diversi, casi studio edeconometria, per arrivare alla individuazione delle strategie vin-centi. Metodi diversi in simultanea riescono infatti a colmare inparte le reciproche lacune.

Il lavoro si sviluppa con una serie di contributi tra loro legati da unfilo rosso che evidenzia l’emergere di strategie individuali e lea-dership all’interno dei distretti, ma al contempo della persistenzadi un ruolo ancora vitale delle economie di agglomerazione, me-no determinante tuttavia in termini relativi rispetto al passato.Il primo studio, a cura di Giovanni Foresti e Stefania Trenti, intro-duce alcune prime evidenze alla base della discussione sul futu-ro dei distretti, mettendo in luce il loro peso e la loro evoluzionerecente a livello aggregato. La questione della consistenza delfenomeno distrettuale non è banale. Non esiste infatti una defi-nizione univoca dell’“oggetto” distretto, né una classificazionegeografica consolidata; l’oggetto dell’analisi assume contornimolto differenti a seconda delle scelte effettuate dai ricercatori.Una quantificazione dell’importanza dei distretti rimanda chiara-mente al quesito di quanto sia importante la competitività dei di-stretti nel contesto dell’economia italiana in generale. I dati sull’export e soprattutto quelli provenienti dai bilanci evi-denziano come, a cavallo del millennio, le imprese distrettualiabbiano affrontato una fase di profonda difficoltà e che da moltipunti di vista le aree distrettuali abbiano “sofferto” di più rispettoalle aree non distrettuali. Il suggerimento che ne viene è pertan-to che le aree distrettuali abbiano avuto problemi specifici da af-frontare, oltre a quelli tipici delle PMI e dei settori “tradizionali”.Lo stesso studio esplora poi una serie di segnali che indicanotuttavia un profondo processo di trasformazione, già realizzatoin parte, ma presumibilmente non concluso. Vengono messi inluce gli sforzi per mutare i mercati di sbocco, andando “più lon-tano” di quanto avveniva tradizionalmente: la configurazionenon ottimale dei mercati di sbocco (caratterizzati prevalente-mente da domanda che cresce poco) è un problema generaledella nostra industria e i distretti si stanno mostrando molto at-tenti nella ricerca di soluzioni. I distretti stanno poi perseguendostrategie di internazionalizzazione articolate, che non si limitanoai soli investimenti diretti. La ricerca mostra come venga “domi-nata” una catena di forniture provenienti dall’estero particolar-mente rilevante. I distretti, infine, mostrano i segnali più convin-centi che il nodo delle piccole dimensioni può essere affrontatocon successo: le aree distrettuali sono le sole nelle quali le im-prese di dimensione medio-grande stanno crescendo di peso.Lo studio successivo , a cura di Fabrizio Guelpa e Stefania Tren-ti, si concentra su una serie ulteriore di segnali che confermanoil processo di cambiamento in corso. Negli ultimi anni si registrauna crescente discrepanza tra le performance delle imprese, siasul piano reddituale che di crescita. Le imprese si stanno cioèpolarizzando in un insieme di “vincenti” e in uno di “perdenti”, in-dividuabili dentro i settori e anche dentro i distretti. In terministatici, i divari attuali sono amplissimi, tanto da rendere poco in-dicative analisi effettuate sui soli valori medi.Quello che colpisce in particolare è che questa crescita delle di-somogeneità riguarda anche i distretti, che per loro natura do-vrebbero essere trainati da fattori comuni, ed avere quindi al lorointerno una bassa varianza nelle performance. L’analisi suggeri-sce quindi che vi sia un ruolo crescente per i fattori strategici a li-vello di singola impresa, che determinano percorsi differenti per isingoli soggetti, a differenza del passato, quando, peraltro anchefuori dai distretti, il ruolo dei fattori “comuni” era molto intenso. Esempi di fattori strategici, dei quali in seguito si analizzeràl’importanza, possono essere l’innovazione, una politica di mar-chio, la costituzione di una rete commerciale, la costituzione di

Page 8: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

8

un network di fornitori di lungo periodo. Tali fattori per loro natu-ra non solo tendono a non distribuire i loro effetti al di fuori del-l’impresa se non in misura limitata, ma tendono anche a costrui-re barriere ai competitor non facilmente attaccabili anche nelmedio termine. Le performance superiori conquistate ed osser-vabili nel breve termine è probabile quindi che vengano conser-vate con un certo grado di persistenza nel tempo. Tutto ciò, oc-corre ricordarlo, avviene in un periodo in cui le pressioni compe-titive si sono sicuramente intensificate, cosa che dovrebbe por-tare, al contrario, a una maggiore volatilità delle performance.Nello studio si mette in luce come l’impatto quantitativo di que-ste tendenze non sia secondario e che il fenomeno si presenti inbuona parte dei settori e nei distretti.Quali strategie in particolare stanno emergendo tra le impresedei distretti? A questo tema è dedicato il lavoro di Maria Chiar-vesio e Stefano Micelli. Emerge con chiarezza un nuovo profilocompetitivo delle imprese. La dimensione manifatturiera tendea perdere l’importanza che aveva in passato, a vantaggio di fun-zioni terziarie che tendono a collocarsi in buona parte a monte ea valle della “fabbrica”. A monte, risulta importante una elevataattenzione alla ricerca e all’innovazione, anche nelle sue com-ponenti immateriali, come il design. A valle, risulta cruciale unnuovo approccio al mercato, con un marketing che mira arafforzare il prodotto, il marchio e il canale distributivo, per spin-gere il baricentro dell’impresa sempre più vicino al cliente finale.La manifattura non è più gestita necessariamente all’interno deiconfini proprietari dell’organizzazione, ma richiede tecnicheevolute di management per essere “governata” in modo ade-guato: si consolida un processo di selezione dei fornitori strate-gici su scala locale, nazionale e internazionale, prende piede unprocesso di rilocalizzazione verso paesi a basso costo del lavo-ro delle attività manifatturiere più “banali”, cresce il volume e laqualità degli investimenti diretti all’estero.Il lavoro di ricerca muove da una base statistica originale su cir-ca 650 PMI che consente di mettere a fuoco l’effettiva diffusionedi queste strategie nei distretti: l’analisi mette in evidenza la pre-senza di numerose aziende innovative, ma anche di un corpoconsistente di aziende ancora poco caratterizzate dal punto divista strategico. Le imprese più avanzate, definite come “a reteaperta”, sono caratterizzate sia da un elevato presidio dei mer-cati finali, sia da una proiezione internazionale della produzione. A questa parte introduttiva fa seguito il contributo di GiovanniForesti, Fabrizio Guelpa e Stefania Trenti, dedicato ad una anali-si econometrica che mira a verificare se le performance sono le-gate alle strategie descritte nel precedente contributo. Dal lavo-ro, condotto sullo stesso campione di imprese, emerge chiara-mente come la chiave della competitività si trovi in buona misu-ra, anche tra queste imprese di dimensione minore e in settori inbuon parte del made in Italy, all’interno del mondo dell’innova-zione, declinata tuttavia in senso ampio, non solo come capa-cità di ricerca e di brevettare, ma anche di design e di utilizzo dipartnership con i centri di competenza scientifica, qualil’Università. È emersa poi l’importanza di sostenere la capacitàcompetitiva conquistata con l’innovazione attraverso adeguatepolitiche di marketing. Di rilievo, inoltre, il ruolo di una dotazione diICT più elevata, con il ricorso ad un più ampio portafoglio di solu-zioni, che permettono di “lubrificare” i meccanismi di funziona-mento interno delle imprese e le interazioni con il mercato. Infine èrisultata importante anche l’internazionalizzazione produttiva, in

forme non necessariamente “hard” (come gli IDE), ma anche“soft” (ricorso a fornitori strategici). Il ruolo di questi fattori delineal’identikit del vincente a prescindere dal settore e dalla dimensio-ne delle imprese. Vale poi per le performance in termini di crescitacome per quelle in termini di profittabilità operativa. È emerso inol-tre come sia importante che le strategie siano perseguite con volu-mi sufficienti di spesa: la semplice introduzione di marchi o di ICTnon basta se i budget sono subottimali. Un mutamento culturale cisembra comunque che sia in corso: le imprese stanno capendoche non si può più competere sui fattori tradizionali. Una applica-zione adeguata di questa consapevolezza stenta tuttavia a mani-festarsi, complice forse anche la congiuntura sfavorevole dei primianni del nuovo secolo, che ha limitato le capacità di spesa.Il contributo successivo, a cura di Giovanni Foresti e StefaniaTrenti, approfondisce i fenomeni emersi analizzando alcuni spe-cifici settori nei quali operano più distretti, che sono paradigma-tici di alcune tendenze in corso. Ci si è concentrati sui distrettidel mobile (con focus su Brianza, Livenza-Quartiere del Piave,Manzano, Murgia, Pesaro), del tessile-abbigliamento (Biella,Prato, Schio-Thiene-Valdagno), della concia (Arzignano, S.Croce sull’Arno) e delle calzature (Fermo, Montebelluna, Rivieradel Brenta, Verona). Ci si è avvalsi poi di un campione di impresemolto più esteso di quello dei due precedenti capitoli. Sul piano metodologico, si è puntato in primo luogo a mettere inluce i diversi percorsi seguiti da distretti diversi appartenenti allostesso settore, e, in secondo luogo dalle singole imprese dentro idistretti, integrando l’analisi econometrica del contributo prece-dente. Con riferimento al primo aspetto, la finalità è stata di svi-scerare l’interazione tra le strategie a livello di impresa e le tradi-zionali economie di agglomerazione; il nuovo contesto competiti-vo vede un ruolo crescente per le prime, ma l’importanza delle se-conde non è comunque messa in discussione. Le differenze diperformance “tra” distretti appartenenti alla medesima filiera pro-duttiva è un indizio forte del ruolo tuttora ricoperto dal territorio. Ilconfronto delle diverse realtà aziendali evidenzia, infatti, il legamecon la storia di ciascun distretto. Laddove il ruolo del “territorio”non si è esaurito, ma anzi si è rinnovato offrendo conoscenza, ca-pitale umano e servizi avanzati, le imprese hanno trovato terrenofertile per rafforzarsi. Nei distretti in difficoltà il “territorio” è messoin discussione e sembra non offrire strumenti sufficienti ed ade-guati a sostegno delle imprese. In queste aree prevalgono le azio-ni individuali e le aziende di successo rimangono casi isolati.Le forti disomogeneità che emergono anche “nei” distretti con-fermano poi che nel tempo si è accresciuta l’importanza di fat-tori individuali legati alle scelte di posizionamento competitivodelle singole imprese. Dall’analisi emerge come la qualità delprodotto sia una variabile fortemente discriminante: le impresespecializzate nel top di gamma sono ben posizionate, non es-sendo “minacciate” dai produttori a basso costo e potendocontare, grazie alla progressiva apertura dei mercati, su nuovi“bacini di clienti” (i ricchi dei paesi emergenti). L’innovazione diprodotto e il design sono anch’essi importanti, consentendo al-le imprese di differenziare le produzioni, soddisfare le esigenzedella clientela e inseguire le tendenze della moda e, in alcuni ca-si, creare nuove nicchie di mercato. L’innovazione di processo èstrategica nella misura in cui, oltre a ridurre i costi, innalza la fles-sibilità produttiva e migliora il rapporto qualità/prezzo e il rispettodi elevati standard qualitativi. Le imprese di successo si avval-gono, inoltre, di un marchio proprio conosciuto o, nei casi di

Page 9: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

9

aziende piccole dell’abbigliamento e delle calzature e prive di ri-sorse finanziarie sufficienti, di marchi presi in licenza dalle griffesinternazionali. Il marchio è valorizzato anche attraversol’apertura di negozi monomarca.L’internazionalizzazione produttiva non funziona nei casi azien-dali in cui è volta al mero contenimento del costo del lavoro.Può, invece, divenire determinante se è anche intesa comestrumento per avvicinare importanti mercati di sbocco. Essa,inoltre, si deve inserire all’interno di un’organizzazione aziendaleche non trascura il rispetto degli standard qualitativi e investe ininnovazione, marketing e nella fase distributiva.Il ruolo dell’ICT in tutti i casi aziendali di successo non è mai finea se stesso, ma è sempre a supporto di un progetto strategicopiù ampio. In molti casi, infatti, è funzionale all’introduzione di in-novazioni di prodotto e di processo, accompagna i processi diinternazionalizzazione delle imprese e favorisce l’integrazionedelle varie fasi del processo produttivo e distributivo, rendendopiù efficienti i sistemi gestionali e produttivi.Il ruolo della dimensione finanziaria è oggetto di analisi nel con-tributo successivo, curato da Fabrizio Guelpa e Virginia Tirri. Lostudio muove dal quesito se il sistema finanziario, e in particola-re il sistema bancario, sia in grado di agire da volano del proces-so di trasformazione del sistema distrettuale, garantendo alleimprese il sostegno finanziario di cui necessitano. Il modello diimpresa che appare vincente sulla scena competitiva nazionaleed internazionale ha caratteristiche peculiari, che richiedono unmodo di fare banca molto diverso da quello “tradizionale”.Un’impresa presente sui mercati internazionali, propensa all’in-novazione e all’investimento in marchi e comunicazione, prontaall’uso di nuove tecnologie richiede strumenti di valutazione e diaffidamento fondati sulla profonda conoscenza delle strategieaziendali, dei driver competitivi di settore, dei percorsi tecnologi-ci, oltre all’analisi delle prospettive reddituali e finanziarie dell’im-presa nel medio termine. I costi di acquisizione di tali informazio-ni, spesso molto specifiche e riservate, rendono conveniente il fi-nanziamento delle imprese più innovative se il rapporto banca-impresa è basato su una relazione privilegiata, stabile e duratura. Muovendo dall’ipotesi che la relazione di clientela contribuisce adeterminare le condizioni di accesso al credito per le imprese,specie di quelle potenzialmente più esposte al rischio di razio-namento (quali le imprese innovative), questo contributo ha ilduplice obiettivo di descrivere alcuni dei principali cambiamentiin atto nel mercato bancario sotto il profilo del rapporto banca-impresa e analizzare le determinanti dei vincoli finanziari. Tra icambiamenti, si segnalano, in particolare, le spinte al supera-mento di modelli relazionali deboli, basati sulla dispersione dellerelazioni di clientela tra molti intermediari affidanti. Gli incentivialla concentrazione dei rapporti e al consolidamento di relazionibanca-impresa provengono, oltre che dalle caratteristiche spe-cifiche delle imprese innovative, anche dai cambiamenti struttu-rali del mercato bancario (concentrazioni e riorganizzazioni fun-zionali dei grandi gruppi) e dalla normativa sulla determinazionedel capitale regolamentare delle banche. I risultati ottenuti grazie a questionari somministrati a un cam-pione di 550 imprese suggeriscono che la disponibilità di credi-to bancario non manca alle imprese profittevoli e finanziaria-mente equilibrate. La presunta incapacità del sistema bancariodi assecondare le imprese in crescita non trova conferma neidati, dai quali invece emerge una significativa minore probabilità

di razionamento per le imprese che nel triennio 2002-2004 so-no cresciute di più. La presenza di una banca di riferimento prin-cipale non è significativamente associata alla probabilità di ra-zionamento, ma i vincoli finanziari sono minori per le impreseche hanno tra gli istituti finanziatori almeno una banca locale, atestimonianza del ruolo (positivo) ricoperto dalle forme di infor-med financing e dal legame della banca finanziatrice con il terri-torio nel mitigare i rischi di razionamento del credito. Non sonoemerse, inoltre, evidenze forti a favore dell’ipotesi che il sistemabancario sia più severo nei confronti delle imprese innovative.Il lavoro si chiude con una riflessione di Giancarlo Corò e Stefa-no Micelli sulle politiche pubbliche per il rilancio della competiti-vità di imprese e distretti. Lo studio parte da una lettura critica dialcuni aspetti fondativi del passato successo dei distretti, perdefinire i presupposti di una nuova politica industriale. La fram-mentazione delle filiere produttive, il ruolo del territorio come ri-sorsa produttiva, l’enfasi sul lavoro imprenditoriale rappresenta-no altrettanti elementi di modernità dell’esperienza dei distretti,a condizione che oggi il policy maker sia capace di guardare ol-tre i confini di una geografia tradizionale. L’allargamento delle re-ti produttive e commerciali, il rinnovamento dei saperi su scalaterritoriale, la qualificazione delle risorse umane rappresentanosfide praticabili a condizione di lasciare alle spalle una concezio-ne schematica di distretto, legata a un’ortodossia oggi superatadalla realtà economica. Più che su una riedizione del concetto didistretto marshalliano, è interessante ripensare il concetto di di-stretto come sistema locale per l’innovazione. In questa pro-spettiva, il concetto di distretto appare coerente con le recentideclinazioni in versione high tech e consente di riproporre, entrouna prospettiva aggiornata, strumenti di politica industriale fina-lizzati a collegare processi innovativi e territorio. Questa parte dello studio affronta, inoltre, le materie chiave diuna agenda politica per la competitività dei territori. Il tema delladiffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della co-municazione è affrontato a partire dall’analisi delle opportunitàdella banda larga: proprio attraverso le nuove infrastrutture ditelecomunicazione potranno passare servizi a valore aggiuntocruciali per le imprese di piccola e media dimensione. Il tema deltrasferimento tecnologico muove dall’analisi delle difficoltà cheattualmente incontrano i centri servizi attivi sul territorio. È ur-gente una politica di diversificazione di queste istituzioni in mo-do da allargare il raggio di azione di quelle più innovative, a van-taggio di un numero maggiore di imprese e sistemi territoriali. Illavoro continua riflettendo sul tema dell’internazionalizzazione,un capitolo particolarmente urgente nell’agenda del decisorepubblico. Si tratta di accelerare processi e soluzioni ampiamen-te collaudate in altri paesi e regioni, promuovendo con determi-nazione la concertazione fra stato e regioni.Gli ambiti di manovra per una politica specifica per i distretti sonoproblematici, perché oggetto di una continua ridefinizione fra livelliistituzionali. L’impianto legislativo nazionale maturato negli anni’90 non ha dato risultati apprezzabili, perché eccessivamente an-corato al nodo della definizione dei confini di distretto e a problemidi ordine statistico. La riforma del titolo V della Costituzione ha at-tribuito alle Regioni la possibilità di legiferare sul tema: è prematu-ro, allo stato attuale, proporre un bilancio esaustivo delle diverseesperienze regionali, anche se emerge con sempre maggiorechiarezza un quadro di esperienze normative che riflette e asse-conda, almeno in parte, la fase di trasformazione in corso.

Page 10: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

10

La dimensione d’impresa e l’eccentricità italiana

L’Italia è il paese delle piccole imprese, questa è storia nota.Non manca analisi sulle imprese che non faccia riferimento al-l’imprenditoria diffusa come segno distintivo del sistema indu-striale, talvolta nel senso virtuoso del piccolo è bello, sempre piùspesso in maniera preoccupata mettendo il cosiddetto nanismoal centro del dibattito sulle difficoltà del sistema produttivo adaccogliere le sfide della modernizzazione. Una tale struttura hanecessariamente influenzato anche le modalità e gli indirizzi disostegno pubblico alle imprese, che in quanto rivolti a una pla-tea così vasta hanno per esempio privilegiato strumenti auto-matici come il credito d’imposta e utilizzato il supporto alle PMIalla stregua di sinonimo per politica industriale. Ora, l’argomento che si intende esporre in questa analisi è duplice:1) a caratterizzare il sistema produttivo italiano rispetto ai mag-giori partner europei non è tanto e solo il peso delle PMI, quantoquello delle imprese non grandi (ING);2) negli ultimi decenni, ed in particolare dal 1990 ad oggi, a fron-te di una tendenza al consolidamento delle principali economieindustrializzate, con un conseguente aumento del peso dellegrandi aziende, si è verificato in Italia un fenomeno opposto, conaumento del peso delle PMI e delle ING, con un particolare in-cremento del peso di queste ultime. È evidente che nel dare contenuto ad affermazioni di questo ti-po è necessario chiarire il tipo di metrica cui si fa riferimento. Ilprimo elemento che pare ovvio prendere in considerazione èquello fissato in sede di Unione Europea che definisce Piccole eMedie imprese quelle con un fatturato fino a 50 milioni di euroe/o fino a 250 dipendenti. A questo tipo di ripartizione, che seb-bene rivesta i caratteri dell’ufficialità rimane comunque sostan-zialmente arbitraria, pare opportuno affiancarne un’altra che ve-de una fascia tra i 50 e i 500/300 milioni di fatturato qui identifi-cata come quella delle ING. Tale tipo di ripartizione trova riscontro nell’osservazione di unasostanziale discontinuità intorno appunto a una soglia colloca-bile tra i 300 e i 500 milioni di euro al di sotto della quale tendonoa prevalere, tra le altre cose, modelli organizzativi aziendali im-prenditoriali, anzichè strutture articolate e manageriali, el’accentramento della produzione in uno o pochi stabilimenti.Nel contempo si tratta di realtà frequentemente protese verso ilnuovo e verso modelli che consentono di gestire al meglio le sfi-de della globalizzazione.In questo lavoro facciamo riferimento al solo settore manifatturiero.In quanto naturalmente esposto alla concorrenza internazionale,questo dovrebbe mostrare tendenza di maggiore uniformità con lestrutture proprie degli altri paesi con un analogo livello di industria-lizzazione e di reddito pro-capite. Inoltre i paesi con cui viene effet-tuato il confronto sono gli altri principali paesi europei (Francia,Germania, Spagna, Regno Unito), dando per buona l’ipotesi, ba-

sata su evidenza aneddotica, che Stati Uniti e Giappone in primis,siano comunque più simili a questi ultimi che all’Italia.L’analisi fa riferimento a dati che di volta in volta sono relativi alnumero di dipendenti e al fatturato. Se da un lato si ritiene chequest’ultimo parametro (depurato da eventuali conseguenzedell’inflazione) sia maggiormente significativo rispetto a quellodel numero degli addetti (che può risentire di andamenti dellaproduttività del lavoro, delle normative sui rapporti di lavoro edella evoluzione verso settori più o meno labour intensive), dal-l’altro va tenuto conto del fatto che le classificazioni in base alnumero degli addetti sono decisamente più numerose.

L’insostenibile leggerezza delle grandi imprese italiane e il ruolo delle “non grandi”

Per numero di imprese l’Italia è di gran lunga il primo paese del-l’UE15, con una misura più che doppia rispetto alla Germania eun valore aggiunto dell’industria di meno della metà. In termini diaddetti medi impiegati, la dimensione non supera le 10 unità perimpresa, la metà circa dell’analoga misura in Francia, un terzo ri-spetto alla Germania. L’ordine di grandezza è molto simile consi-derando il fatturato medio per impresa, per cui il valore italiano è il40% di quello francese e il 25% di quello tedesco (tabella 1). La scarsità di grandi imprese, o meglio la loro debolezza relati-va, caratterizza indubbiamente il sistema produttivo italiano dalmomento che le unità con oltre 500 addetti sono responsabiliper il 24% del valore aggiunto della manifattura, rispetto al 54%della Germania e il 47% della Francia. Sarebbe tuttavia superfi-ciale ridurre l’eccentricità del nostro modello al generico, espesso omogeneizzante verso il basso, concetto di PMI, al cuiinterno ci sono certo le ING, ma si confondono realtà industria-li e processi evolutivi alquanto differenziati. In realtà, ciò che ap-pare come l’elemento davvero caratterizzante del nostro siste-ma produttivo, è il peso estremamente contenuto delle grandiaziende, e quindi, specularmente, la rilevanza delle aziende nongrandi, a prescindere dal ruolo rivestito dalle imprese minori.Se è vero che la quota italiana sull’industria europea, indipen-dentemente misurata come peso su occupazione, fatturatoo valore aggiunto, risulta inversamente proporzionale al tagliomedio delle imprese analizzate, il nostro paese mantieneuna posizione relativamente forte nella quasi totalità delle ING,non solo quindi nelle fascia delle imprese di minor dimensio-ne (grafico 1). Utilizzando un ipotetico indice di specializza-zione, dato cioè dal confronto della quota di ogni classe rispet-to al l ivello generale, i vantaggi competitivi dell’Ital iaproseguono ben oltre la soglia della piccola impresa. Un ulteriore aspetto su cui soffermare l’analisi è quello di mante-ner chiara la distinzione fra numerosità in senso stretto e rilevan-za economica. L’Italia ha infatti un numero assoluto di piccole im-prese di gran lunga superiore alla media europea, ma questa ca-

L’IMPRESA NON GRANDE COME VEROPROTAGONISTA DELLA SPECIFICITÀ ITALIANAdi Claudio Colacurcio e Lorenzo Stanca*

*Claudio Colacurcio è economista presso l’Ufficio Studi Imprese e Territorio di Intesa Sanpaolo; Lorenzo Stanca è Managing Partner di Mandarin Capital Partners

Page 11: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

11

ratterizzazione va attenuandosi al crescere della significativitàeconomica della variabile considerata. Se le piccole imprese so-no per esempio quantitativamente il doppio rispetto al numeromedio nei principali paesi europei, questo rapporto non si tradu-ce affatto nelle stesse proporzioni in termini di valore aggiunto,superiore invece solo della metà (tabella 1).C’è poi un problema di rilevanza assoluta dato dal fatto che laquota sul valore aggiunto nazionale del 93% delle imprese piùpiccole (quelle con meno di 20 addetti) è comunque di poco su-periore al 25%. Al contrario il 50% del valore aggiunto dell’indu-stria si concentra nella fascia successiva oltre cioè la soglia del-le piccole, ma comunque al di sotto di quella tradizionalmenteintesa per la grande impresa (500 addetti e oltre), il vero grandeassente del capitalismo italiano.I dati sulle esportazioni suggeriscono riflessioni analoghe met-tendo in evidenza come al di là di uno squilibrio puramente nu-merico in favore delle imprese più piccole, il nucleo forte del pre-sidio italiano sui mercati esteri possa riferirsi al raggruppamentodelle medie imprese che originano il 51% delle esportazioni, ri-spetto al 32% delle grandi e il 17% delle piccole (grafico 2), que-ste ultime peraltro fortemente concentrate in attività di trading. Se confrontiamo i dati sulle esportazioni con la realtà prevalentenel resto della UE, rileviamo un dato particolarmente interessan-te, seppur con le dovute cautele, legate al ridotto numero dipaesi per cui sono disponibili e confrontabili le informazioni oltreche differenze nei modelli di specializzazione. Il peso sulleesportazioni italiane delle imprese più piccole risulta di fatto infe-riore rispetto a quello della media dei paesi UE considerati, così

come quello delle imprese grandi. Sono invece le classi ascrivi-bili alla tipologia della impresa “non grande” a detenere quoteampiamente al di sopra dei livelli europei (tabella 2).Esiste in altre parole una classe intermedia di imprese, quelle“non grandi” in cui l’eccentricità del modello italiano appare deltutto evidente. Rispetto al più tradizionale e variegato gruppodelle piccole, questa tipologia d’impresa non sembra tuttaviaancora sufficientemente indagata.L’attenzione degli osservatori ha comunque iniziato a rivolgersialle nuove leve del capitalismo italiano soprattutto in ragione deirisultati ottenuti, in decisa controtendenza rispetto al generaleclima di sfiducia intorno all’economia. Secondo l’indagine di

181.614

16.960

9.392

7.014

2.505

1.148

767

219.400

Tabella 1: Numero di imprese e Valore Aggiunto manifatturieri per classe di addetti - 2001

1_19

20_49

50_99

100_249

250_499

500_999

GE_1000

Totale

Germania

201.729

17.082

4.103

2.046

656

251

114

225.981

Spagna

223.518

16.084

4.929

3.597

1.274

594

424

250.420

Francia

Numero di imprese

516.770

26.380

6.947

3.557

916

349

215

555.134

Italia

138.361

14.512

5.849

3.872

1.420

627

368

165.009

Regno Unito

36.986

23.308

29.462

52.801

47.092

47.605

175.134

412.387

1_19

20_49

50_99

100_249

250_499

500_999

GE_1000

Totale

Fonte: Eurostat

Germania

19.720

16.418

10.830

14.635

12.687

11.365

18.488

104.142

Spagna

26.270

21.808

14.590

24.928

22.183

23.819

73.592

207.189

Francia

Valore Aggiunto in mln di euro

54.297

31.786

23.129

27.580

18.033

14.725

33.284

202.833

Italia

31.929

21.546

20.390

31.373

28.801

30.783

64.221

229.042

Regno Unito

45

30

15

0Numero imprese

Grafico 1: Quota dell’Italia sull’industria manifatturiera euopea per classi d’impresa

c. 50_99d. 100_249

b. 20_49a. 1_19

g. GE_1000totale

f. 500_999e. 250_499

Fonte: Eurostat

Occupazione Fatturato Valore Aggiunto

Page 12: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

12

Unioncamere e MedioBanca per esempio tra il 1996 e il 2003, lemedie imprese industriali (identificate come società di capitaleche realizzano un fatturato annuo tra 13 e 290 milioni di euro,occupano fra 50 e 499 addetti e non sono controllate da impre-se di grande dimensione o da gruppi stranieri) hanno registratoun incremento del 42,8% del fatturato (contro il +26,4% dellegrandi imprese), del 51,7% delle esportazioni, del 33,3% del va-lore aggiunto (contro il +11,9% delle grandi), del 18% dei dipen-denti (-10,2% il corrispondente indicatore per le grandi). Comincia ad apparire chiaro che in queste classi si concentranooggi i vantaggi competitivi dell’Italia come sembra confermare illivello di produttività relativa organizzato per dimensioned’impresa (grafico 3). Fatto 100 il livello medio europeo, il valoreaggiunto per addetto è ampiamente inferiore nelle classi estre-me (quello della piccolissima e della grande impresa), mentre ri-mane superiore alla media europea nelle fasce intermedie, rag-giungendo il suo massimo in quella centrale.

Questi dati sembrano confermare ulteriormente il ruolo centraledelle ING nella nostra economia. Un’attenzione più rigorosa po-trebbe di fatto contribuire a meglio valorizzare questi soggetti so-prattutto alla luce delle trasformazioni in corso nel sistema indu-striale. Rispetto a uno stato dell’arte piuttosto deludente, un pri-mo passo sarebbe in realtà puramente definitorio, ma di ampiaportata in termini di chiarificazione, accessibilità e confrontabilitàdei dati. È evidente che, per analizzare le ING, una qualche metri-ca, necessariamente arbitraria, si rende necessaria ed è oppor-tuno che la classificazione utilizzata sia in grado di cogliere in ma-niera compiuta le caratteristiche del nuovo medio ceto imprendi-toriale. Le attuali definizioni, quantomeno quelle disponibili dallastatistica ufficiale per operare confronti internazionali, tendono amal rappresentare questo particolare insieme, appiattendoloperlopiù o sulla coda superiore di quella che agli occhi di un ope-ratore finanziario risulta di fatto come il gruppo della piccola im-presa o nella parte inferiore della distribuzione delle grandi. Ana-logamente, qualche problema d’interpretazione nasce dall’utiliz-zo del numero di addetti impiegati come elemento di stratifica-zione. Pur presentando indubbi vantaggi per via della sostanzia-le uniformità nel tempo e fra i paesi, i raggruppamenti così identi-ficati rischiano di non fornire adeguata e tempestiva informazio-ne sulla capacità delle imprese di generare valore. L’esperienzadiretta degli operatori, che assistendo finanziariamente le impre-se ne analizzano i loro profili reddituali e di patrimonializzazione,suggerirebbe alternativamente di identificare le ING con il criteriodi un fatturato non oltre i 500 milioni di euro, soglia intorno a cuiesiste una sostanziale discontinuità nei modelli di fare impresa.Una tale stratificazione non è tuttavia disponibile nelle statisticheufficiali, che, anche quando utilizzano il fatturato per individuarele soglie dimensionali, fanno precocemente iniziare l’ultima clas-se già sopra i 50 milioni, aggregando così imprese assoluta-mente grandi a operatori di media taglia. Per tenere conto diquesto break, l’unica alternativa è quindi quella di utilizzare basidati non pubbliche, riorganizzando le informazioni a partire daibilanci delle imprese.

90

60

30

0

Grafico 2: Quota su esportazioni e numero di imprese esportatrici per classe di addetti

EsportazioniNumero

Fonte: ISTAT

fino a 20 addetti da 20 a 500 addetti 500 e oltre

16,8

14,5

22,3

21,1

25,7

10,4

20,4

26,9

18,4

23,9

Media UE* Italia

Tabella 2: Quota sulle esportazioni delle imprese per classe di addetti

0-9

10-49

50-249

250-999

1000+

* Comprende 8 paesi (Belgio, Danimarca, Germania, Italia, Paesi Bassi, Austria,

Portogallo, Finlandia, Svezia

Fonte: Eurostat

100

80

60

40

20

0

Grafico 3: Produttività apparente (val agg per addetto) relativa dell'Italia (media principali paesi EU=100)

Fonte: Eurostat

a. 1_19 b. 20_49 c. 50_99 d. 100_249 e. 250_499 f. 500_999 g. GE_1000

100 %

80%

60%

40%

20%

0%

Grafico 4: Fatturato delle imprese manifatturiere per classi di turn over in mln di euro

Fonte: Bach e DB Orbis

Francia Spagna Italia Germania

0ltre 500150-50050-15010-500-10

55,5%6,4%3,3%

17,9%16,9%

74,5%7,1%3,5%

10,5%4,4%

40,3%11,4%

8,3%29,7%10,3%

79,6%4,1%2,3%

10,7%3,1%

Page 13: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

13

Al netto delle cautele per via dell’utilizzo di banche dati nonesattamente omogenee, questa nuova specificazione ci mo-stra più chiaramente una struttura produttiva fortemente diffe-renziata dalla media dei paesi europei. L’Italia si conferma ec-centrica e non per via esclusiva delle piccole imprese (grafico4). Come già visto nell’analisi relativa al peso sul totale delleesportazioni, anche la stratificazione per fatturato mostra unruolo relativamente contenuto delle imprese più grandi, la quo-ta delle piccole grossomodo in linea con i principali partner,mentre evidenzia un chiaro sovradimensionamento delle classiintermedie: rispetto al fatturato nazionale la quota delle impre-se fra 50 e 500 milioni di euro è prossima al 20%, un livello dop-pio di quello francese, triplo di quello tedesco.

L’analisi dinamica: il mito della tendenza alla concentrazione sfatato in Italia più che altrove

Dal paragrafo precedente è emerso come il peso delle INGsia oggi l’elemento chiave dell’eccentricità dell’Italia nel siste-ma industriale europeo. Procediamo ora ad analizzarel’evoluzione della struttura dimensionale del nostro sistemamanifatturiero rispetto a quella dei principali partner europei. I dati proposti evidenziano come l’emergere di un importan-te “ceto medio” industriale in Italia sia un processo di lungoperiodo, che le varie edizioni dei censimenti dell’industria do-cumentano piuttosto chiaramente. Purtroppo la limitataprofondità delle serie storiche, soprattutto per operare con-fronti internazionali, obbliga necessariamente a qualchesemplificazione, come l’impiego di classi di imprese basateesclusivamente sugli addetti, l’esclusione dall’analisi delle im-prese più piccole (esonerate dalle rilevazioni in alcuni paesi/ periodi), l’utilizzo principale di variabili riferite all’occupazio-ne e al numero delle imprese invece di grandezze più signi-ficative come valore aggiunto o fatturato.Fatte queste premesse, occorre innanzitutto mettere in lucecome la diminuzione della dimensione media delle impresenegli ultimi 30 anni non sia un fenomeno solo italiano, ma al

contrario condiviso fra i principali paesi europei: se prendia-mo a riferimento dati Istat e Ocse realtivi alla numerosità e al-le dimensioni medie in termini di numero di addetti, perFrancia e Germania questo indicatore è diminuito dell’ordi-ne del 5%, ancora di più in Italia e Inghilterra dove la dimen-sione si è ridotta di 15 punti e oltre (tavola 3). In tutti i paesi la dinamica complessiva è principalmente il ri-sultato di una perdita relativa delle imprese più grandi, chedovunque diminuiscono abbastanza sensibilmente il loropeso sull’occupazione manifatturiera. Le origini di questo pro-cesso sono certamente molteplici; semplificando si può ipo-tizzare un generale abbattimento dei costi d’ingresso e del-la dimensione critica per le imprese dovuti sia allo sviluppotecnologico, ma soprattutto all’incedere di nuove modalitàproduttive che hanno portato a un marcato incremento del-la produttività per addetto.In ogni caso, se la tendenza appare comune a più paesi, cisono tre aspetti (l’entità della diminuzione, lo scenario econo-mico di contorno e le evoluzioni più recenti), che fanno del-l’Italia un caso particolare in cui proprio l’emergere e il perma-nere di un nuovo soggetto industriale (le ING) sono un chiaroelemento di eccentricità nei modelli di sviluppo occidentali. La flessione della grande impresa in Italia è in primo luogo de-cisamente più sensibile che altrove. Le imprese oltre i 500 ad-detti hanno diminuito il loro peso sull’occupazione di circa 20punti, passando dal 34% del 1971 a un livello del 16% nel2001. In Francia e Germania (in cui i dati più recenti sconta-no anche il processo di riunificazione), la riduzione relativa del-la grande impresa inizia e finisce su livelli decisamente supe-riori, oltre che ammontare a un’entità decisamente piùcontenuta, meno di 10 punti percentuali nel corso degli ul-timi 30 anni. Pare possibile dire, dunque, che mentre inFrancia e in Germania si assiste a un calo del numero dei di-pendenti di grandi aziende che contano comunque ancoramolto, se non di più, in Italia siamo di fronte ad un progres-sivo calo tout court del peso delle grandi aziende.

100

100

100

100

100

100

100

100

117,0

95,1

99,9

107,0

100,2

94,8

87,4

92,8

119,2

84,6

96,8

94,0

99,6

97,1

77,3

85,8

118,1

85,4

99,6

94,1

108,6

95,8

70,2

76,5

Tabella 3: Andamento numero imprese e dimensione media(1970=100)

Italia

numero imprese

dimensione media

Francia

numero imprese

dimensione media

Germania

numero imprese

dimensione media

Inghilterra

numero imprese

dimensione media

Fonte: OECD, ISTAT

1970 1980 1990 2000

100 %

80%

60%

40%

20%

0%

Grafico 5: Italia, Occupazione manifattura per classi di impresa basate sul numero degli addetti

Fonte: Censimenti industria

1971 1981 1991 2001

33,7 30,5 22,1 16,6

32,7 32,7 32,9 34,2

15,1 15,7

17,1 19,4

18,4 21,1 27,9 30,0

100 - 499500 e oltre

20 - 4950 - 99

Page 14: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

14

100 %

80%

60%

40%

20%

0%

Grafico 8: Regno Unito, Occupazione manifattura per classi di impresa basate sul numero degli addetti

Fonte: OECD su Censimenti nazionali

1967 1977 1990 2001

52,9 58,3 45,6 39,4

33,8 27,5 33,4 33,9

8,6 7,6

10,3 12,6

4,8 6,6 10,6 14,1

100 - 499500 e oltre

20 - 4950 - 99

100 %

80%

60%

40%

20%

0%

Grafico 7: Germania, Occupazione manifattura per classi di impresa basate sul numero degli addetti

1962 1977 1990 2001

59,5 60,4 59,4 50,8

26,2 24,4 25,3 30,2

7,8 8,0 8,2 10,2

6,4 7,2 7,1 8,7

100 - 499500 e oltre

20 - 4950 - 99

100 %

80%

60%

40%

20%

0%

Grafico 6: Francia, Occupazione manifattura per classi di impresa basate sul numero degli addetti

1962 1977 1990 2001

54,5 57,1 47,5 44,2

25,7 25,2 27,3 29,9

9,3 8,111,0 10,4

10,5 9,6 14,2 15,4

100 - 499500 e oltre

20 - 4950 - 99

Se il nostro paese sconta quindi una flessione delle grandi im-prese industriali ben superiore a Francia e Germania, le informa-zioni desumibili dai censimenti dell’industria aiutano a differen-ziare la dinamica italiana anche rispetto a quella inglese. In ter-mini di entità, la diminuzione nel Regno Unito è assolutamenteparagonabile se non addirittura superiore, ma la principale diffe-renza consiste nel fatto che in Italia questo processo non hacoinciso con un processo di deindustrializzazione dell’econo-mia. All’importante diminuzione dell’occupazione nelle grandiimprese è corrisposta una tendenza di segno opposto negli ad-detti delle ING. La dinamica è ancora più evidente attraverso ilnumero di imprese manifatturiere attive, cresciute in Italia del20% per via della forte natalità nella fascia 20-499 addetti, dimi-nuite invece in Inghilterra del 26% e indice di uno spostamentodel sistema verso le attività dei servizi.

Più in generale, l’Italia è l’unico paese per cui la riduzione delladimensione media non è il risultato di due segni negativi, unaforte diminuzione della grande impresa e una chiara seppur piùlieve contrazione degli occupati nelle ING (tavola 4). Come giàtestimoniato dalla numerosità delle iniziative, positiva in unoscenario europeo di contrazione o al più stabile, sembra inveceessersi verificato un passaggio di testimone fra diverse tipologied’impresa, collegato allo sviluppo del principale elemento di-stintivo italiano nel panorama industriale internazionale, quellodei distretti. Uno scenario che possiamo ipotizzare per descri-vere lo sviluppo italiano è che le economie di agglomerazione e ivantaggi competitivi dei territori hanno sostanzialmente per-messo a imprese non grandi di mantenere le proprie posizionisui mercati anche senza la massa critica della grande impresa,sfruttando al contempo le opportunità derivanti da strutture pro-duttive altamente flessibili e parcellizzate. L’esistenza di retiinformali e l’integrazione su base territoriale e non equity delleproduzioni è stata sostanzialmente un’alternativa ad accentrarein un’unica grande impresa le singole funzioni. Simili meccani-smi permangono ancora oggi nel tessuto industriale e spieganol’esistenza di medie imprese al posto delle grandi trasversal-mente al settore d’osservazione, come anche un rapporto valo-re aggiunto su fatturato (una proxy della rilevanza di fornitoriesterni) fra i più bassi in Europa, quale che sia la fascia dimen-sionale considerata. Intorno al modello delle ING si è d’altrocanto organizzato il successo sui mercati internazionali del ma-de in Italy, che verso la fine degli anni ottanta superava la sogliadel 5% sulle esportazioni mondiali.Fra il 1980 e il 2001, è possibile inoltre confrontare l’andamentodel valore aggiunto per le imprese fra 20 e 500 addetti e quelleoltre questa soglia: il quadro che ne viene fuori è che l’emergeredelle medie imprese sia collegato a vantaggi competitivi dei

-52%

-38%

-26%

-67%

2%

-6%

-13%

-44%

Grande impresa ING

Tabella 4: Variazione dell'occupazione nell'industria manifatturieraper classe di impresa negli ultimi 30 anni

Italia

Francia

Germania

Regno Unito

Fonte: OECD, ISTAT

Page 15: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

15

nuovi soggetti, che infatti crescono maggiormente rispetto allegrandi imprese (grafico 9).Ancora una volta, rispetto agli altri paesi europei l’Italia fa sto-ria a sé. È l’unico dove la performance delle medie impresenegli ultimi 20 anni è stata abbondantemente superiore a quel-la delle grandi. In Francia e Germania, al contrario, queste mo-strano una crescita del valore aggiunto superiore a quello del-le medie e la perdita di occupazione già citata si spiegaprobabilmente più come indice di una riorganizzazione inter-na che di vera e propria perdita relativa. Il successo dal mo-dello incentrato sulle ING contribuisce probabilmente a spie-gare perchè in Italia la tendenza alla dispersione del tessutoproduttivo si sia mantenuta anche nell’ultimo decennio. So-prattutto nella seconda metà degli anni novanta Francia e Ger-mania, ma il fenomeno è condiviso fra tutti i principali paesiindustriali, hanno invertito la tendenza mostrando segnali diconsolidamento del proprio settore industriale (grafico 10).

L’emergere di nuovi protagonisti sui mercati internazionali, losviluppo di produzioni a forte intensità di conoscenza,l’allontanamento dei motori della crescita, l’apertura di mercatidei capitali transnazionali hanno di fatto offerto nuove opportu-nità alle imprese e contemporaneamente mostrato i limiti distrutture dimensionali non adeguate.Se negli altri paesi ciò è coinciso con un rinnovato protagoni-smo delle grandi imprese, la risposta italiana sembra invece affi-data al gruppo delle classi intermedie, che crescono non solopiù delle grandi, ma anche delle piccole, attardate queste ultime

da difficoltà crescenti sullo scenario competitivo. Il confrontodegli occupati fra le tre tipologie mostra infatti una dinamicachiaramente favorevole alle medie imprese, le uniche ad au-mentare negli anni novanta i propri addetti nel manifatturiero ri-spetto alla prolungata flessione delle grandi e un perdita secca(6,2%) anche di quelle con meno di 20 addetti. Sul fronte dello sviluppo internazionale per esempio, la man-canza di adeguate disponibilità finanziarie, strutture organiz-zative articolate e competenze manageriali complesse metto-no in evidenza tutti i limiti delle imprese più piccole. Nelcontempo, le grandi imprese, che fino agli anni ottanta han-no rappresentato il nocciolo duro della proiezione internazio-nale del paese, appaiono già da diversi anni in sostanziale ri-tirata da un’internazionalizzazione che ha storicamenteprivilegiato modelli di sviluppo non più attuali. L’inseguimentodi un modello multinazionale per le imprese italiane è inveceaffidato alle medie imprese, che hanno rappresentato la prin-cipale spinta propulsiva in direzione di un allargamento dellabase produttiva dalle sole 180 multinazionali della metà anniottanta alle attuali 5.500 imprese estere a controllo italiano.

La strada ancora da percorrere

Lo sviluppo delle imprese non grandi appare ancora in una fasevitale, e sembra essere ben lontanto il termine di un processoevolutivo partito dalla fine degli anni ‘70. L’Italia è tra l’altrol’unico paese europeo dove dimensione delle imprese in gene-rale e dimensione delle classi intermedie hanno analogo segnodecrescente, indice di una dinamicità del tessuto industriale,ma anche di una concentrazione ancora debole intorno al nuo-vo “ceto medio” industriale. Dal punto di vista finanziario, la rimozione dei vincoli alla crescitapassa quindi anche per aumentare la contendibilità delle impre-se rispetto a un passato, dove strutture familiari ostili e mercatidei capitali non adeguati hanno rallentato operazioni di M&A epiù in generale salti dimensionali delle imprese tramite il finanzia-mento esterno della crescita. Da questo punto di vista un ruoloimportante viene svolto a partire dalla fine degli anni ’90 dai fondidi Private Equity, che proprio sulle ING concentrano la gran partedelle loro attenzioni. In maniera particolare è da valutare positiva-mente il diffondersi in Italia di modelli di Private Equity basati suun utilizzo moderato della leva finanziaria e su una forte attenzio-ne allo sviluppo, anche e soprattutto internazionale, delle azien-de controllate. I fondi sembrano frequentemente giocare un ruo-lo importante nel risolvere situazioni complesse relative al ricam-bio generazionale del controllo dell’azienda. Quello della naturafamiliare del controllo di buona fetta delle ING è un tema impor-tante che non si è inteso in questa sede affrontare. È importantesottolineare comunque che l’attuale fase risulta cruciale per ilpassaggio di consegne intergenerazionale che molto spesso èoccasione per una transizione verso una più definita separatezzatra proprietà (o controllo) e gestione dell’azienda.Nel complesso, l’eccentricità italiana che in queste righe siè cercato di tratteggiare appare un fenomeno ancora tutto daapprofondire e tutto da studiare. Se all’inizio del nuovo seco-lo andavano prevalendo analisi e commenti incentrati sulla pre-visione di un inarrestabile declino del ruolo e del peso dell’e-conomia italiana, di cui la fine delle grandi imprese era uno deisegnali più appariscenti, da un po’ di tempo si sono andate

160

140

120

100

Grafico 9: Crescita del Valore Aggiunto (1981=100) per classe d'impresa 1981-2001

Grandi impreseMedie*

*fra 20 e 499 addettiFonte: Eurostat, Traù (1995), SME Database

Italia Germania Francia

149,5142,8

126,9

140,8

157,8

127,4

70%

60%

50%

40%

30%

20%

Grafico 10: Quota sulla produzione industriale delle imprese con meno di 250 addetti

20041996

Fonte: Eurostat

Germania Italia Spagna Francia Irlanda

31,4%

62,0%

38,9%

55,6% 53,2%

41,8%

31,1%

62,8%

36,7%

25,4%

Page 16: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

16

imponendo visioni che colgono nella capacità di reazione delsistema industriale italiano alle sfide poste da moneta unicae globalizzazione un segnale fondamentale di vitalità. Questotipo di analisi si concentrano sullo “spostamento verso la qua-lità” del modello di specializzazione delle nostre imprese,che anche se in settori prevalentemente maturi, sono riusci-te a ricavarsi posizionamenti competitivi di assoluto rilevo, spo-standosi appunto verso produzioni genericamente definibilicome di “maggiore qualità”, non senza subire una selezione“darwinana” che ha comportato l’uscita di mercato di molteaziende focalizzate sulla concorrenza di prezzo.Lo spostamento verso la qualità vede proprio le ING comeprotagoniste assolute. Ed è in gran parte alla loro capacità disostenere le sfide competitive a cui l’evoluzione del nostro si-stema industriale e quindi della nostra intera economia sonoaffidate. È evidente che la globalizzazione, intesa come for-te allargamento dei mercati di sbocco, ma anche del nume-ro dei potenziali concorrenti, premia le imprese di dimensio-ni più contenute, tendenzialmente più elastiche e menopenalizzate rispetto al passato preglobalizzazione dalla con-tenuta capillarità e dimensione della propria presenza fisicainternazionale.Per questa ragione, si può ritenere che le ING italiane siano can-didate a consolidare i successi degli ultimi anni, soprattutto sesapranno completare efficacemente i processi di proiezione in-ternazionale recentemente avviati e in corso di attivazione. Lastrada da percorrere è comunque ancora tanta. Una cosa èchiara, comunque: in base a quanto fin qui descritto, non pareproprio possibile parlare dell’Italia come il paese delle PMI.

Bibliografia

ICE (2006), “L’Italia nell’Economia Internazionale” Rapporto ICE 2005-2006, Me-trotipoISTAT, “Censimento dell’Industria e dei Servizi” Varie EdizioniMedioBanca Unioncamere, (2006) “ Le Medie Imprese Industriali 1996-2003” Traù (1997), “Recent Trends in the Size Structure of Italian Manufacturing Firms”Small Business Economics N. 9 Van Ark, B. and E. Monnikhof (1996), "Size Distribution of Output and Employ-ment: A Data Set for Manufacturing Industries in Five OECD Countries, 1960s-1990", OECD Economics Department Working Papers, No. 166, OECD

Page 17: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

17

UN CONFRONTO TRA ITALIA E SPAGNA: LA DINAMICA DEI PRINCIPALI INDICATORIECONOMICI E LA CONVERGENZAa cura di Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo e Studi e Ricerche per il Mezzogiorno

Questo articolo intende valutare i diversi percorsi di convergen-za in Italia e in Spagna delle regioni più arretrate. L’ipotesi inter-pretativa sottostante è che la disuguaglianza tra periferia e cen-tro in Spagna diminuisca più velocemente di quanto accada tranord e sud Italia. Ci si domanda quindi se le migliori performan-ce in Spagna possano essere spiegate richiamando il modellodi specializzazione favorevole delle aree periferiche spagnoleoppure se ci sia stata una migliore azione di policy e allocazionedelle risorse, in particolare dei fondi strutturali dell’Unione Euro-pea per le aree obiettivo 1.Entrambi i paesi mostrano aree geografiche in ritardo caratte-rizzate da valori di PIL pro-capite inferiori alla media nazionale.Ci si è chiesti quindi se i due paesi, che mostrano tassi di cresci-ta economica differenti, seguono entrambi un processo di con-vergenza oppure se seguono percorsi di crescita differenti.La prima parte dell’articolo consiste in un’analisi descrittiva checonfronta i modelli di specializzazione, la produttività e il PIL procapite delle aree obiettivo 1 nei rispettivi paesi (il sud Italia e le re-gioni sud-ovest della Spagna). La seconda parte consiste in un’analisi econometrica che, ispi-randosi ai contributi di Arbia, Basile e Piras, stima la velocità dicatch-up delle diverse aree all’interno dei due paesi attraversoun modello che spiega il tasso di crescita del PIL pro-capite infunzione del suo livello iniziale considerando la correlazione spa-ziale delle variabili.

Un confronto tra Italia e Spagna sui principali dati economicicon particolare riferimento alle “Convergence Regions”

Le variabili relative al PIL sono state prese in esame per com-prendere e presentare, anche attraverso una idonea rappresen-tazione grafica, i mutamenti che sono alla base degli stati tran-sitori di phasing-out1 nonché i meccanismi di base delconsolidamento dei risultati dei precedenti investimenti struttu-rali. Successivamente un’analisi sul "Valore Aggiunto" ha permes-so di misurare sinteticamente quanto la spesa remunera i fat-tori della produzione in termini di "lavoro" (cioè quantaoccupazione genera), e "capitale" (quanti profitti genera).Mentre nel complesso i dati di occupazione dell'Italia conferma-no un basso livello complessivo di disoccupazione, i dati del Mez-zogiorno - se valutati complessivamente - si presentano molto

meno incoraggianti. Va segnalata però la frattura interna alMezzogiorno tra le regioni caratterizzate da tassi di occupazio-ni elevati come l'Abruzzo, e le altre regioni dell’area. Analoga frat-tura si registra in Spagna e tale fenomeno deve far riflettere sul-la possibilità di centrare gli obiettivi occupazionali fissati dallaStrategia di Lisbona. I dati relativi alla numerosità delle impreseunitamente ai dati relativi al contributo occupazionale, al tassodi occupazione e disoccupazione, permettono di fornire unbreve spaccato sull’emergenza occupazionale delle regioni"obiettivo 1" in un’ottica di confronto con la macroarea di rife-rimento. I dati relativi alla Bilancia Commerciale mostrano cheentrambi i Paesi sono importatori netti di risorse per i flussi in va-lore che prevalentemente si hanno con i paesi dell'EuropaCentrale. I dati di valore dell’import-export hanno, infatti, permes-so di esprimere un primo giudizio sulla caratteristiche del com-mercio internazionale dei due Paesi messi a confronto nel pe-riodo 2004-2006. In particolare, l'evoluzione delle vendite all'estero segnameno marcatamente il divario spaziale Nord-Sud rispetto aldato di PIL e occupazione. Tra i due paesi inoltre c'è anchenotevole coincidenza nelle tipologie di merci esportate, ben-ché la Spagna sia caratterizzata da una maggiore specializ-zazione in alcuni settori. Questo riscontro permette di eviden-ziare come l'Italia mostri un grado di apertura internazionalepiù diversificato a livello settoriale. La vitalità e la conte-stuale fragilità del sistema imprenditoriale italiano è eviden-ziata nell'elevata numerosità delle imprese e dall'esiguitàdegli addetti per impresa. Aziende spesso inadatte a misu-rarsi con la dimensione internazionale: 3,58 è la dimensionemedia delle Unità Locali italiane contro 4,69 della Spagna. Inquesto caso - nei due paesi - la contrapposizione spazialeNord-Sud è più evidente in termini di dimensione mediache di numerosità e vitalità imprenditoriale.All’interno di questa analisi si innesta il tema dell’effetto degli aiu-ti nazionali e comunitari alle zone arretrate. Le aree dell’UnioneEuropea in cui il PIL pro-capite è inferiore all'80% della media del-l'Unione vengono definite "Convergence Regions" e pertantopossono richiedere aiuti economici per lo sviluppo. Questo te-ma verrà trattato in modo qualitativo. Non è obiettivo dello stu-dio valutare in modo quantitativo l’efficacia e l’impatto di questiaiuti, ma vengono riportate solo alcune statistiche descrittive.

1- “Phasing out” Le aree in phasing-out sono quelle che, in quanto comprese nell’Obiettivo 1 nel periodo di programmazione comunitaria 2000-2006, sono beneficiarie, nel nuovo ciclo di programma-zione 2007-2013, di un sostegno transitorio accordato in quanto la loro uscita dalle aree economicamente depresse è avvenuta per l’effetto statistico dell’allargamento dell’Ue a Paesi con PIL sensibil-mente inferiori alla media comunitaria e non solo per progressi economici. Tale sostegno transitorio, che termina nel 2013, è accordato al fine di rendere meno drastico il passaggio da un regime di so-stegno ad un altro riservato alle aree più prospere. Per l’Italia la regione in phasing-out è la Basilicata. “Phasing in” Le aree in phasing-in sono quelle che, comprese nell’Obiettivo 1 nel periodo di programmazione comunitaria 2000-2006, grazie ai progressi economici compiuti negli ultimi anni passano,nel nuovo ciclo di programmazione 2007-2013, nel quadro dell’Obiettivo Competitività regionale e occupazione e sono oggetto di stanziamenti finanziari speciali in virtù del loro precedente status di re-gioni Obiettivo 1. Per l’Italia la regione in phasing-in è la Sardegna.

Page 18: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

18

60

50

40

30

20

10

0

Grafico 1: Composizione % PIL al 2006

SpagnaItalia

Fonte: elaborazione SRM su dati Istat e Ine al 2007

Agricoltura Industria Costruzioni Servizi - Servizidi mercato

- Altre attivitàdi Servizi

Imposteindirette nette

Analisi del PIL

Il PIL Italiano ai prezzi di mercato del 2006 si stima pari a1.475.401 milioni di euro mentre il PIL della Spagna si attestasui 976.189 milioni (pro-capite, a prezzi correnti, Italia=25.065euro; Spagna=22.152 euro). In Italia la crescita nominale regi-strata dal PIL è stata del +3,7% rispetto al 2005. La crescita delProdotto Interno Lordo, espressa ai prezzi dell’anno preceden-te, è stata pari all’1,9% segnando una decisa accelerazione ri-spetto alla dinamica dell’anno precedente. L’aumento nominaleregistrato dalla Spagna è stato del 7,8% e la crescita reale del-l’economia spagnola è stata del 3,9%. Quattro sono le regioni italiane che hanno realizzato la crescitamaggiore in Italia nel corso del 2006: il Piemonte (che registra lacrescita più elevata) e il Veneto (al 4° posto in classifica con unaumento che sfiora il 5%) che in termini di peso relativo sul pae-se si avvicinano insieme al 20% del PIL, la Liguria e la Valled’Aosta che invece rivestono un peso sul PIL più modesto. Alcontrario tra le regioni che sono cresciute meno della media ri-troviamo in Italia tre regioni meridionali (Sardegna, Calabria e Si-cilia) unitamente alla regione dell’estremo Nord Est: il Friuli Ve-nezia Giulia. Quattro comunità autonome hanno contribuito allacrescita economica della Spagna nel 2006: Valencia (che è an-che la regione che insieme all’Andalusia, posta al sesto posto,registra il peso maggiore sul totale del PIL nazionale), Galizia,Marcia e Cantabria. In tutte e quattro il PIL a prezzi correnti ècresciuto più della media nazionale.In Spagna crescono meno Ceuta e Melilla, (rispettivamente1.442 e 1.334 milioni di euro di PIL e circa 70.000 abitanti) chepur appartenendo alla Spagna, si trovano nella costa settentrio-nale del Marocco. Stenta ad aumentare il PIL della regione del-l’Estremadura, zona povera della Spagna con uno scarso svi-luppo industriale e un elevato tasso di disoccupazione (22%). Acrescere meno è anche la regione di Navarra che, invece, è trale regioni più ricche della Spagna.

Il PIL pro-capite RegionaleNel 2005 il PIL pro-capite in termini di Parità di Potere d’Acquisto(PPA) dell’Italia, con riferimento ai paesi dell’UE a 25 (UE25=100), èpari a 100,7- appena sopra la media - contro il 97,9% della Spagna.La tendenza degli ultimi tre anni del PIL pro-capite, delle due nazionimesse a confronto, è però opposta: mentre l’Italia registra, infatti,una flessione di oltre 6 punti base (b.p.) tra il 2003 ed il 2005 la Spa-gna nel 2005 guadagna posizioni (3 b.p.) sul biennio 2003-2004.

La Composizione del PILPer quanto riguarda il peso dei macro settori sul PIL (grafico 1),l’incidenza dell’industria italiana (17,1%) nel 2006 risulta più ele-vata di quella della Spagna (15,5%) e le imposte indirette italianesuperano del 2,8% quelle spagnole attestandosi al 13,8% delPIL. L’agricoltura, pari al 2%, in calo sull’anno precedente, ha unruolo leggermente minore in Italia mentre le costruzioni registra-no un peso sul PIL pari alla metà della Spagna (costruzioni Italia:5%; costruzioni Spagna: 10,9%). La componente servizi, sud-divisa in servizi di mercato e altre attività si presenta in Italia me-no orientata al mercato (servizi di mercato: 42% contro il 47%della Spagna), ma resta per entrambe le nazioni la componentedi maggior rilievo (60%).

1.475.401

PIL 2006

3,7

Aumento %

Tabella 1: Crescita del PIL Anno 2006 - PREZZI CORRENTI (valori in milioni di €)

Italia 976.189

PIL 2006

7,8

Aumento %

Spagna

120.277

41.861

4.138

137.814

PIL 2006

8,2

2,8

0,3

9,3

Peso %

5,3

5,3

5,0

4,9

Aumento %

Le quattro regioni a maggior crescita

Piemonte

Liguria

Valle d’Aosta

Veneto

94.922

49.841

24.840

12.257

PIL 2006

9,7

5,0

2,5

1,25

Peso %

8,2

8,2

8,1

8,1

Aumento %

Comunidad Valenciana

Galicia

Región De Murcia

Cantabria

32.621

32.173

82.642

33.371

PIL 2006

2,2

2,2

5,6

2,3

Peso %

1,9

2,5

2,8

3,3

Aumento %

...le quattro a minor crescita

Sardegna

Calabria

Sicilia

Friuli Venezia Giulia

Fonte: elaborazione SRM su dati ISTAT, INE e Svimez 2007

1.442

1.335

16.134

16.478

PIL 2006

0,1

0,1

1,7

1,7

Peso %

6,3

6,7

6,9

7,2

Aumento %

Ceuta

Melilla

Extremadura

Comunidad Foral De Navarra

Page 19: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

19

Al 2006, nel complesso in Italia 11 regioni superano la media naziona-le (€ 24.951) ed anche la media UE 25 (€24.700) di PIL pro-capite.Sono tre le regioni che si collocano nella fascia più alta dellaSpagna in termini di PIL pro-capite relativo negli ultimi tre anni:Madrid, Navarra e Paesi Baschi. Esse registrano un livello supe-riore al 20% (Spagna=100). Nel complesso in termini di PIL pro-capite rapportato alla media Ue 25 sono soltanto 4 le regioni,contro le 11 dell’Italia, che superano l’Europa: Madrid, Navarra,Paesi Baschi e Catalogna. A superare la media nazionale (PILpro-capite Spagna € 22.152) è tutta l’area Nord Est della Spa-gna (e la provincia autonoma di Madrid).La fascia di PIL pro-capite con l’indice compreso “tra 80 ed il100” comprende 9 regioni, mentre sono soltanto tre le regioniche si distanziano dalla media in maniera più consistente: Casti-glia-La Mancia (78,3), Andalusia (77,9) ed Estremadura (68,0).Nel triennio 2004-2006 soltanto la Galizia ha registrato un cam-biamento di fascia, spostandosi dalla più bassa a quella conl’indice compreso “tra 80 e 100”. A corredo dell’analisi cartografica, le tabelle che seguono mostra-no i dati del PIL pro-capite regionale registrati in Italia e in Spagnatra il 2004 ed il 2006. Una breve indagine statistica permette di

Il contributo regionale al PIL pro-capitePer valutare il contributo di ciascuna regione alla crescita del PIL el’evoluzione registrata dal PIL pro-capite regionale negli ultimi treanni in Italia e Spagna si è fatto ricorso ad un confronto cartografi-co (grafico 2). Fatto 100 il PIL pro-capite medio nazionale sonostate individuate 4 fasce in cui è compreso l’indice di ogni regio-ne: PIL pro capite “inferiore ad 80”, “tra 80 e 100”, tra “100 e 120”e “superiore a 120”. In Italia sono 4 le regioni che al 2006 hannoregistrato un PIL pro-capite medio (Italia=100) superiore al 20%della media nazionale: la Valle d’Aosta (132,9), la Lombardia(128,8), il Trentino Alto Adige (123,8) e l’Emilia Romagna (121,4).Rispetto al 2005 perde posizione il Lazio che però resta in vettaalla fascia successiva (tra “100 e 120”), con un PIL pro-capitecompreso tra il 100 ed il 120% del livello medio.Soltanto 2 sono le regioni che si situano nella fascia con un PILpro capite “tra 80 e 100” e sono l’Umbria e l’Abruzzo. Guada-gna un posizionamento di fascia la regione Marche mentre laSardegna perde quota rispetto all’anno precedente. L’isola -che si colora di chiaro nel passaggio tra un anno all’altro - si po-siziona, infatti al 2006, insieme alle altre regioni del Mezzogiorno(escluso l’Abruzzo) al di sotto della media Italiana.

Grafico 2: PIL 2006 delle regioni rispetto alla media italiana e spagnola

tra 80 e 100fino a 80

oltre 120tra 100 e 120

PIL pro-capite 2004 - (Italia=100) PIL pro-capite 2005 - (Italia=100) PIL pro-capite 2006 - (Italia=100)

PIL pro-capite 2004 - (Spagna=100) PIL pro-capite 2005 - (Spagna=100) PIL pro-capite 2006 - (Spagna=100)

Page 20: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

20

raffrontare le dinamiche economiche delle due aree analizzate.Lo scarto quadratico medio (Sc2Me) evidenzia (Tabella 3) comenel triennio si registri una maggiore dispersione dei dati intornoal valore medio sia in Italia sia in Spagna dove il fenomeno si ac-centua nel 2006. Aumentano le differenze in valore assoluto trala regione più ricca e quella meno ricca; tale fenomeno si verificain maniera più accentuata nella penisola iberica: il differenziale“max-min” considerato in valore assoluto cresce, nel triennioconsiderato, del 5,5% in Italia e del 6,4% in Spagna. Conside-rando invece il differenziale tra massimo e minimo riferito al nu-mero indice (index) il valore tende a diminuire in Spagna perchési verifica un processo di convergenza che riguarda però lerealtà centrali che sono intorno al dato medio. Tale risultato èconfermato dalla successiva analisi dello scarto interquartilecalcolato sui dati regionali.

L’analisi sullo scarto interquartile, la cui formula è Sc=(Q3-Q1)/Mediana

viene svolta sui dati assoluti di PIL pro-capite realizzato nel2004-2006 da entrambe le nazioni e mostra:1) una minore dispersione dei valori centrali della Spagna. Ciòimplica un comportamento più omogeneo nei patterns delle re-gioni di seconda e terza fascia; ed infatti lo scarto interquartile siposiziona intorno a un valore di 0,25 contro lo 0,43 registrato inItalia nel 2006;2) la tendenza a una maggiore omologazione nel triennio nelleregioni spagnole che registrano un comportamento sempre piùsimilare; lo scarto interquartile si riduce in Spagna del 23% tra il2004 e il 2006 contro una riduzione dell’Italia dell’8%.I valori estremi delle regioni più povere continuano ad allonta-narsi da quello che è il processo di sviluppo complessivo mentre

108,9

214,7

132,5

122,6

121,9

121,0

119,2

117,8

115,2

113,7

111,0

108,1

106,9

97,6

82,2

81,2

76,8

74,7

73,1

68,6

60,5

52,3

48,5

46,0

45,8

41,0

Anno 2003 - Ue 25= 100

Tabella 2: PIL pro-capite in Europa in PPP (U25=100)

UE 15

Lussemburgo

Irlanda

Danimarca (P)

Austria

Paesi Bassi

Regno Unito

Belgio

Svezia (P)

Finlandia

Francia

Germania

Italia (P)

Spagna

Cipro

Grecia

Slovenia

Portogallo

Malta

Repubblica Ceca

Ungheria

Slovacchia

Estonia

Polonia

Lituania

Lettonia

(P) Previsioni

Fonte: Eurostat

108,7

238,6

137,1

124,4

122,7

121,8

118,4

117,4

116,2

112,3

109,3

108,7

105,8

97,6

82,8

82,0

79,1

72,4

70,3

69,2

60,1

51,9

51,2

48,8

47,8

42,8

Anno 2004 - Ue 25= 100

UE 15 (P)

Lussemburgo

Irlanda

Paesi Bassi

Austria

Danimarca

Belgio

Svezia

Regno Unito

Finlandia

Francia

Germania

Italia

Spagna

Cipro

Grecia

Slovenia

Portogallo

Repubblica Ceca

Malta

Ungheria

Slovacchia

Estonia

Polonia

Lituania

Lettonia

96,0

108,2

251,0

138,8

125,5

122,9

121,8

118,1

117,6

114,8

110,5

110,0

108,2

100,7

97,9

88,9

84,1

81,9

73,6

71,7

71,7

62,5

59,8

57,1

52,1

49,7

48,6

34,2

32,9

Anno 2005 - Ue 25= 100

UE 27

UE 15

Lussemburgo

Irlanda

Paesi Bassi

Austria

Danimarca

Belgio

Regno Unito

Svezia

Finlandia

Germania

Francia

Italia

Spagna

Cipro

Grecia

Slovenia

Repubblica Ceca

Malta

Portogallo

Ungheria

Estonia

Slovacchia

Lituania

Polonia

Lettonia

Romania

Bulgaria

Page 21: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

21

31.532

30.762

29.631

28.806

28.795

27.778

26.290

25.943

25.933

24.318

23.832

23.757

22.350

19.061

18.487

17.160

16.557

15.632

15.408

15.387

15.370

5.793

16.162

0,680302695

132,7

129,5

124,7

121,3

121,2

116,9

110,7

109,2

109,2

102,4

100,3

100,0

94,1

80,2

77,8

72,2

69,7

65,8

64,9

64,8

64,7

68,0

Regione Pro-capite Index

Tabella 3: Confronto sui dati di PIL pro-capite

Valle d'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Emilia Romagna

Lazio

Veneto

Piemonte

Friuli Venezia Giulia

Toscana

Liguria

Marche

Italia

Umbria

Abruzzo

Sardegna

Molise

Basilicata

Puglia

Campania

Calabria

Sicilia

Sc 2 Me

max - min

(max - min)/media

Fonte: Istat per i dati di PIL e popolazione 2004, 2005 e popolazione 2006 e Stima Svimez PIL 2006

PIL pro-capite a prezzi correnti (euro) 2004

31.793

31.269

30.343

29.301

29.163

27.718

26.744

26.298

26.202

24.693

24.123

24.075

22.712

19.576

19.335

17.569

16.919

16.020

15.912

15.667

15.489

5.791

16.304

0,67586131

131,8

129,6

125,8

121,5

120,9

114,9

110,9

109,0

108,6

102,4

100,0

99,8

94,2

81,2

80,2

72,8

70,1

66,4

66,0

64,9

64,2

67,6

Regione Pro-capite Index

Valle d'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Lazio

Emilia Romagna

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Piemonte

Toscana

Liguria

Italia

Marche

Umbria

Abruzzo

Sardegna

Molise

Basilicata

Sicilia

Puglia

Calabria

Campania

Sc 2 Me

max - min

(max - min)/media

PIL pro-capite a prezzi correnti (euro) 2005

33.154

32.147

30.878

30.286

29.510

28.870

27.632

27.520

27.160

26.035

25.022

24.951

23.515

20.182

19.658

18.381

17.767

16.606

16.473

16.113

16.102

5.944

17.052

0,683398956

132,9

128,8

123,8

121,4

118,3

115,7

110,7

110,3

108,9

104,3

100,3

100,0

94,2

80,9

78,8

73,7

71,2

66,6

66,0

64,6

64,5

68,3

Regione Pro-capite Index

Valle d'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Emilia Romagna

Lazio

Veneto

Piemonte

Friuli Venezia Giulia

Toscana

Liguria

Marche

Italia

Umbria

Abruzzo

Sardegna

Molise

Basilicata

Puglia

Sicilia

Campania

Calabria

Sc 2 Me

max - min

(max - min)/media

PIL pro-capite a prezzi correnti (euro) 2006

25.855

24.690

24.364

23.175

22.888

21.941

21.128

19.456

19.153

18.374

18.199

17.687

16.793

16.744

16.633

16.475

15.504

15.482

14.876

12.886

3.781

12.969

0,666581003

132,9

126,9

125,2

119,1

117,6

112,8

108,6

100,0

98,4

94,4

93,5

90,9

86,3

86,1

85,5

84,7

79,7

79,6

76,5

66,2

66,7

Regione Pro-capite Index

Com. de Madrid

Com. F. de Navarra

Pais Vasco

Cataluna

Illes Balears

La Rioja

Aragon

Spagna

Cantabria

Com. Valenciana

Castilla y Leon

Canarias

Region de Murcia

Ceuta

Princip. de Asturias

Melilla

Castilla/La Mancha

Galicia

Andalucia

Extremadura

Sc 2 Me

max - min

(max - min)/media

Fonte: Istituto Nazionale di Statistica

PIL pro-capite a prezzi correnti (euro) 2004

27.279

26.515

26.489

24.858

22.947

22.548

22.403

20838

20.554

19.782

19.057

18.879

18.860

18.533

18.304

17.322

16.870

16.314

16.100

14.051

3.866

13.228

0,634801804

130,9

127,2

127,1

119,3

110,1

108,2

107,5

100

98,6

94,9

91,5

90,6

90,5

88,9

87,8

83,1

81,0

78,3

77,3

67,4

63,5

Regione Pro-capite Index

Com. de Madrid

Pais Vasco

Com. F. de Navarra

Cataluna

Illes Balears

La Rioja

Aragon

Spagna

Cantabria

Castilla y Leon

Com. Valenciana

Canarias

Ceuta

Princ. de Asturias

Melilla

Region de Murcia

Galicia

Castilla/La Mancha

Andalucia

Extremadura

Sc 2 Me

max - min

(max - min)/media

PIL pro-capite a prezzi correnti (euro) 2005

28.850

28.346

27.861

26.124

24.456

23.786

23.495

22.152

21.897

21.244

20.239

20.171

19.929

19.924

19.868

18.400

18.335

17.339

17.251

15.054

5.298

13.796

0,62278801

130,2

128,0

125,8

117,9

110,4

107,4

106,1

100,0

98,8

95,9

91,4

91,1

90,0

89,9

89,7

83,1

82,8

78,3

77,9

68,0

62,3

Regione Pro-capite Index

Com. de Madrid

Pais Vasco

Com. F. de Navarra

Cataluna

Illes Balears

Aragon

La Rioja

Spagna

Cantabria

Castilla y Leon

Com. Valenciana

Ceuta

Melilla

Canarias

Princ. de Asturias

Region de Murcia

Galicia

Castilla/La Mancha

Andalucia

Extremadura

Sc 2 Me

max - min

(max - min)/media

PIL pro-capite a prezzi correnti (euro) 2006

Page 22: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

22

Spagna

Grafico 3: Un confronto Italia Spagna sui dati di PIL pro-capiteScarto interquarile=(Q3-Q1)/mediana

20052004

2006

Fonte: SRM su dati Istat, Ine e Svimez 2007

0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 0,4 0,45 0,5

Italia0,423

0,246

le regioni ricche registrano un’accelerazione. Il contributo allacrescita nazionale è in Spagna doppio rispetto all’Italia. L’analisi precedente può essere da supporto nel quadro dellanuova programmazione degli aiuti europei che si applicherannodal 2007 al 2013, in contemporanea con il prossimo periodo diprogrammazione dei fondi strutturali UE. Nel documento dell’Unione Europea si legge: “Gli aiuti di Statosono volti a promuovere lo sviluppo delle regioni più povere ecomprendono sovvenzioni dirette per gli investimenti e agevola-zioni fiscali a favore delle imprese. Gli orientamenti definisconole norme per la concessione, in particolare per scegliere le re-gioni ammissibili e per determinare l’entità massima consentitaper tali aiuti a finalità regionale. Secondo la politica comunitariadi coesione e in risposta alle richieste del Consiglio europeo diconcedere meno aiuti e di scegliere meglio i beneficiari, i nuoviorientamenti stabiliscono che gli aiuti a finalità regionali sianodestinati alle regioni più depresse dell’Unione, tenendo contoanche dell’esigenza di potenziare la competitività e di consenti-re un’agevole transizione”2. Il Fondo europeo di sviluppo regio-nale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo di coesio-ne contribuiscono al conseguimento di tre obiettivi - «Conver-genza», «Competitività regionale e occupazione» e «Coopera-zione territoriale europea» - nel seguente modo:La ragione di fondo dell’obiettivo Convergenza è promuoverecondizioni che favoriscano la crescita e fattori che portino a unaconvergenza reale per gli Stati membri e le regioni meno svilup-pate. Nell’UE27 questo obiettivo interessa - in 17 Stati membri -84 regioni con una popolazione di 154 milioni di persone, il cuiPIL pro capite è inferiore al 75% della media dell’unione nonché- su una base di esclusione progressiva (phasing-out) - altre 16regioni con 16,4 milioni di abitanti il cui PIL supera soltanto dipoco la soglia a causa dell’effetto statistico dell’UE allargata.L’importo disponibile contestualmente all’obiettivo convergen-za è di € 282,8 miliardi, pari a 81,5% del totale ed è ripartito co-me segue: € 199,3 miliardi per le regioni Convergenza, mentre€ 14 miliardi sono riservati alle regioni “phasing-out” e € 69,5miliardi al Fondo di coesione, il quale interessa 15 Stati membri3.Tra le regioni Italiane rientrano nell’area “Obiettivo 1” i seguentiaggregati:

per la Spagna:

2- IP05 1653 della Comunità Europea, Bruxelles, 21 dicembre 2005

3- da Politica regionale - inforegio http://ec.europa.eu/regional_policy/funds/2007/index_it.htm

Grafico 4: Confronto Italia-Spagna sulle regioni in Convergenza

Phasing-out RegionsConvergence Regions

Competitiveness and Employment RegionsPhasing-in Regions

Fonte: : European Commission- Regional Policy

Si

Si

Si

Si

Attualmente ob.1Regioni

5713,2

4021,7

2008,5

4968,9

Popolazione(migliaia)

71,78

72,49

67,93

71,98

Indice PIL pro-capite EU25=100

65,50

66,14

61,99

65,68

Indice PIL pro-capite EU15=100

Tabella 4: Stime UE sulle regioni Italiane in Convergenza

Campania

Puglia

Calabria

Sicilia

Page 23: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

23

Da quanto evidenziato dall’analisi effettivamente non si sonorealizzati ancora per le suddette regioni (fatta eccezione forseper la Galizia) quei processi di avvicinamento e convergenza.

Analisi dei dati occupazionali

Nel 1999, il tasso di disoccupazione in Spagna e Italia superavail 10%, almeno il doppio rispetto ai tassi di Lussemburgo, Porto-gallo, Paesi Bassi e Austria, inferiori al 5%. Tra le regioni d'Europa, le disparità sono ancora più forti. Negliorientamenti europei per l'occupazione si è tenuto conto di talidisparità e viene sottolineata, altresì, l'importanza degli enti lo-cali e regionali nella politica per l'occupazione.Al di fuori delle regioni Convergenza, l’obiettivo “competitivitàregionale” e “occupazione” intende rafforzare la competitività el’attrattività delle regioni nonché l’occupazione mediante un du-plice approccio. In primo luogo, i programmi di sviluppo sarannointesi ad aiutare le regioni ad anticipare e a promuovere il cam-biamento economico mediante l’innovazione e la promozionedella società della conoscenza, l’imprenditorialità, la protezionedell’ambiente e il miglioramento della loro accessibilità. In secon-do luogo, la creazione di migliori e più numerosi posti di lavorosarà promossa mediante iniziative di adattamento della forza la-voro e di investimento nelle risorse umane. In una UE di 27 Statisaranno complessivamente ammesse a fruire di tali finanziamen-ti 168 regioni, che rappresentano 314 milioni di abitanti. Tra diesse,13 regioni, in cui vivono 19 milioni di abitanti, rappresenta-no le cosiddette aree di “phasing-in” e sono oggetto di stanzia-menti speciali in virtù del loro precedente status di regioni “Obiet-tivo 1”. L’importo di €55 miliardi - dei quali €11.4 miliardi destina-ti alle regioni “phasing-in” - corrisponde a poco meno del 16%dello stanziamento totale. Sono interessate a questo obiettivoregioni site in 19 Stati membri. I precedenti programmi Urban IIed Equal sono stati integrati negli obiettivi «Convergenza» e«Competitività regionale e Occupazione».

Le dinamiche occupazionali in ItaliaNell’anno 2006 l’offerta di lavoro supera i 24,7 milioni con untasso attivo della popolazione in età da lavoro del 62,9%.(51,2% le donne). Il numero degli occupati supera i 23 milio-ni di persone con una crescita su base annua dell’1,5%. La cre-scita tendenziale, diffusa in tutte le aree del Paese, ha riguar-dato la componente maschile (0,8%) ma, soprattutto, lacomponente femmini le (2,4%). In part icolare crescel’occupazione nel settore dei servizi (+2,4%) e nell’agricoltu-ra con una crescita pari al 2%. Nel settore delle costruzioni glioccupati sono aumentati dello 0,9% mentre l’industria in sen-so stretto registra una contrazione dello 0,8%.Il tasso di disoccupazione per l’Italia si attesta, nel 2006, al6,9% in calo di 1,1 punti percentuali sull’anno precedente,

registrando però ancora una forte disparità in termini di di-stribuzione territoriale: si attesta infatti al 4% al Nord, al6,4% al Centro e al 12,2% nel Mezzogiorno. Il numero del-le persone in cerca di occupazione si attesta su 1,7 milionidi unità in forte calo rispetto all’anno precedente, però, in-fluisce sensibilmente il fenomeno delle fuoriuscite dal merca-to del lavoro, ossia di chi rinuncia a cercare un impiego. Il nu-mero delle persone in cerca di occupazione, informa semprel'Istat, si è infatti ridotto del 13,3% (-119.000 unità).

Si

Si

Si

Si

Attualmente ob.1Regioni

2.732,7

1.729,9

1.081,2

7.338,9

Popolazione(migliaia)

73,36

74,75

58,89

69,29

Indice PIL pro-capite EU25=100

66,94

68,20

54,64

63,23

Indice PIL pro-capite EU15=100

Tabella 5: Stime UE sulle regioni Italiane in Convergenza

Galizia

Castiglia - La Mancha

Estremadura

Andalusia

Fonte: European Commission- Regional Policy

ITALIA dati al 2006 (valori in migliaia)

24.727

23.018

6.057

16.961

1.709

6,90%

Tabella 6: I dati occupazionali dell’Italia

Popolazione attiva

Occupati

- Lav. Autonomi

- Lavoratori dipendenti

Pers in cerca di occupazione

Tasso di disoccupazione

SPAGNA dati al 2006 (valori in migliaia)

21.584

19.748

3.522

16.208

1.837

8,50%

Tabella 7: I dati occupazionali della Spagna

Popolazione attiva

Occupati

- Lav. Autonomi

- Lavoratori dipendenti

Pers in cerca di occupazione

Tasso di disoccupazione

-14% -12% -10% -8% -6% -4% -2% 0% 2% 4%

1,50%

1,50%

1,50%

0,20%

-1,10%

-13,70%

Tasso di disoccupazione (p.p.)

Pers. in cerca di occupazione

Lavoratori dipendenti

Lav. Autonomi

Occupati

Popolazione attiva

variazione % nel 2005

Fonte: elaborazione SRM su dati ISTAT

Le dinamiche occupazionali in SpagnaNel 2006 la popolazione attiva della Spagna supera i 20,5 milio-ni di persone con un tasso attivo della popolazione con oltre 16anni del 58,3% (47,9% l’occupazione femminile). Il numero de-gli occupati, che supera i 19,7 milioni, è aumentato del 4,1% ri-spetto all’anno precedente; il settore che registra il maggior in-cremento è quello delle costruzioni (7,8%), seguono i servizi(5,1%) e l’industria (0,4%) mentre l’agricoltura è in calo (-5,6%).Il numero dei lavoratori dipendenti raggiunge i 16,2 milioni di cuila maggior parte opera nel settore privato (13,3 milioni).Il numero dei disoccupati in Spagna supera gli 1,8 milioni, in ca-lo sull’anno precedente del 3,9%. Il tasso di disoccupazione nel2006 risulta pari all’8,5% della popolazione attiva.

Page 24: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

24

-4% -3% -2% 0% 1% 2% 3% 4% 5%-1%

Tasso di disoccupazione (p.p.)

Pers. in cerca di occupazione

Lavoratori dipendenti

Lav. Autonomi

Occupati

Popolazione attiva

-3,90%

4,60%

2,20%

4,10%

3,30%

-0,60%

variazione % nel 2005

Fonte: elaborazione SRM su dati ISTAT

Il tasso di disoccupazione regionale L’analisi di confronto regionale sui dati dell’occupazione mostracome l’Italia registra il tasso medio di disoccupazione più basso al2006 (+6,9%), ma mostra anche una maggiore disomogeneità neidati: ben 11 regioni registrano un tasso inferiore al 6% e tra questetre regioni quotano intorno al tasso fisiologico del 3% (Friuli VeneziaGiulia, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige). All’estremo opposto 5regioni registrano ancora un tasso superiore al 10%: Sicilia(13,3%), Campania (12,9%), Puglia (12,9%), Calabria (12,9%) eSardegna (10,6%). Emblematica di questa frattura occupazionaleè la situazione del 2005 dove non sono proprio presenti regionicon un tasso di disoccupazione compreso tra l’8 ed il 10%.

L’analisi regionale mostra che il tasso di disoccupazione più ele-vato per la penisola Iberica si registra in Estremadura (13,4%),seguita dall’Andalusia (12,7%) e le isole Canarie (11,7%). Il tas-so di disoccupazione più basso è registrato dalle regioni di Na-varra (5,3%), e Aragona (5,5%) mentre più numerose rispetto al-l’Italia quelle che si dispongono centralmente.

Analisi sui dati di Import-Export

Il caso dell’ItaliaA partire dal 2004 la bilancia commerciale italiana presenta unsaldo negativo che nel 2006 ha registrato un saldo passivo di21 miliardi di euro. L’export a quota 326,9 miliardi di euro cre-sce su base annua del 9% a fronte di una crescita dell’importdel 12,6%. Nell’anno gli scambi con l’Unione Europea (UE25)sono cresciute meno; l’export italiano nell’area è aumentatodel 7,1%, l’import del 7,9%. Il peso contributivo della macroa-rea europea sul totale dell’export e dell’import mondiale re-sta però superiore al 55%.I primi cinque paesi (grafico 8) assorbono oltre il 45% dell’exporttotale italiano e in particolare i maggiori scambi si hanno con laGermania che attrae il 13,1% delle esportazioni, seguita dallaFrancia con l’11,7%, dagli Stati uniti con il 7,5%, dalla Spagnacon il 7,2% e infine dal Regno Unito con il 6%. Nei confronti deiprimi cinque paesi si registrano flussi in uscita in crescita.

Grafico 7: Il tasso di disoccupazione regionale

da 8 a 10più di 10

meno di 6da 6 a 8

Tasso di Disoccupazione 2006

Tasso di Disoccupazione 2005

Italia 6,9%

Italia 7,8%Fonte: : SRM su dati Istat e INE

Tasso di Disoccupazione 2006

Tasso di Disoccupazione 2005

Spagna 8,51%

Spagna 9,6%

Page 25: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

25

Il 20,3% dei prodotti esportati dall’Italia proviene dal settore del-le Macchine e degli Apparecchi Meccanici, seguito a notevoledistanza dai Prodotti Chimici di Base e Autoveicoli (8%), Prodot-ti della Metallurgia, Prodotti Alimentari e Mobili.

Il contributo regionale all’exportLe prime tre regioni contribuiscono all’export italiano per il55%. A guidare la classifica italiana è la Lombardia (29%) se-guita dal Veneto (13,4%), e dall’Emilia Romagna (12,6%). Trale 12 regioni esaminate (grafico 10), ovvero quelle che con-tribuiscono alll’export nazionale per più del 2%, soltanto laPuglia realizza una flessione nell’export (-1,6%). A realizza-re la crescita maggiore dell’export è comunque la Basilica-ta (non presente nel grafico perché registra un peso inferio-re al 2%) con un +55% su base annua.

Il caso della SpagnaNel 2006 la bilancia commerciale della Spagna registra unavanzo nell’Import sull’Export di -89.687 milioni di euro.L’export a quota 169.871,9 milioni, in aumento sul 2005 del9,6% non compensa la crescita delle importazioni. In contrazio-ne nell’anno gli scambi con i paesi dell’UE a 25, dove nel 2006,l’import si riduce del 2,4% e le esportazioni calano del 1,7%. I principali partner commerciali della Spagna sono: Francia,che assorbe il 20% dell’export della Spagna, Germania(10,9%), Portogallo (8,8%) e Italia (8,5%) per cui l’export è cre-sciuto del 10% nell’ultimo anno.

200.842.414.743

211.297.112.835

220.104.912.399

221.040.468.946

260.413.251.087

272.989.616.927

269.063.520.444

264.615.606.357

284.413.361.016

299.923.416.151

326.992.357.791

Tabella 8: La bilancia commerciale italiana tra il 1996 ed il 2006 in Euro

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

Fonte: SRM su dati ISTAT

ExportAnno

165.930.261.696

184.678.142.220

195.625.266.967

207.015.167.490

258.506.604.606

263.756.567.157

261.225.870.242

262.997.973.848

285.634.441.583

309.292.049.032

348.348.484.019

Import

34.912.153.047

26.618.970.615

24.479.645.432

14.025.301.456

1.906.646.481

9.233.049.770

7.837.650.202

1.617.632.509

-1.221.080.567

-9.368.632.881

-21.356.126.228

Saldo

14%

12%

10%

8%

6%

4%

2%

0%

Grafico 8: L’Export dell’Italia per Paesi nel 2006

Var. su anno precedentePeso su totale

Fonte: elaborazione SRM su dati ISTAT-Coeweb 2007

Germania Francia Stati Uniti Spagna Regno Unito

13,1%

11,7%

7,5% 7,2%6,0%

8,8%

3,7%3,0%

5,2%

0,3%

Grafico 9: L’Export dell’Italia per Settori

Fonte: elaborazione SRM su dati ISTAT-Coeweb 2007

44,6% Altro

8,0% Autoveicoli, rimorchie semirimorchi8,0% Prodotti chimici di base20,3% Macchine e apparecchi meccanici

6,9% Prodotti della metallurgia5,4% Prodotti alimentari e bevande4,9% Mobili

27%

22%

17%

12%

7%

2%

-3%

Grafico 10 : L’Export delle Regioni

Var. su anno precedentePeso su Totale

Sono state considerate le Regioni con contributo all’export >2%Fonte: elaborazione SRM su dati ISTAT-Coeweb 2007

Lom

bard

ia

Vene

to

E. R

omag

na

Piem

onte

Tosc

ana

Lazio

Marc

he

Friu

li V.

G.

Cam

pani

a

Sicil

ia

Pugl

ia

Abru

zzo

Page 26: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

26

I prodotti esportati sono principalmente quelli relativi all’indu-stria. Il settore che esporta maggiormente è quello dei Veicoli(20,8%), seguono le Macchine e gli Apparecchi Meccanici (8%),Materiali Elettrici (7%) i Combustibili (+4,6%), Materiali Plastici(3,7%) e Farmaceutici (3,3%). Si tratta di settori che hanno regi-strato una crescita superiore al 5% nell’ultimo anno.

La tabella 9 mostra le principali categorie merceologiche delleesportazioni italiane e consente contemporaneamente di verifi-care se tra l’Italia e la Spagna vi sono delle differenze di tipologiadi produzione (sono evidenziati i settori presenti tra i primi 20 siain Italia che in Spagna). L’analisi, svolta nel corso del 2006, mo-stra che sui primi venti i settori comuni tra Italia e Spagna sono 9(quasi il 50%) e ciò evidenzia che i modelli di specializzazione diSpagna e Italia sono molto vicini. Il risultato di questa analisi mostra che, nel complesso,mentre per l’Italia il grado di concentrazione dell’export deiprimi 20 sottogruppi è pari al 29,6%, in Spagna tale valoresale al 41%, mentre già i primi 7 comparti contribuiscono peril 30% dell’export totale.

Dunque, in Spagna il peso dell’export è concentrato su un nu-mero più limitato di tipologie merceologiche.La specializzazione della struttura dell’export spagnolo appareulteriormente evidente se si considerano le quote dei primi tregruppi di attività (autoveicoli, parti e accessori di veicoli specialie derivati da petrolio), che da soli coprono il 21% delle esporta-zioni totali della Spagna; a livello italiano si registra una maggio-re differenziazione di attività: i primi tre gruppi (tutti appartenentia settori diversi) sfiorano solo il 9% del totale.

Indagine sulla dinamica imprenditoriale

Le imprese in EuropaA livello comunitario nel 2003 l’Italia risulta essere il paese con ilnumero di micro-imprese (<10 addetti) più elevato mentre laSpagna si posiziona al 4° posto. In termini percentuali infatti il47,1% delle imprese italiane presenta meno di 10 addetti controuna media UE25 del 30%.

Le imprese attive in Italia In Italia il numero delle imprese attive (Permanenti+Cessate, ta-bella 11) al netto di Agricoltura e Pesca5 è risultato pari alla fine del2006 a 3.952.675 (incluso Agricoltura e Pesca, il numero è statopari a 5.158.278) in crescita dell’1,3% sul 2005. Bilancio positivoall’anagrafe delle imprese nel corso del 2006: lo scorso anno in-

Il contributo regionale all’exportLe prime tre regioni che realizzano un contributo all’exportspagnolo di quasi il 50% sono la Catalogna con un peso del27,3%, Valencia con il 10,7% e Madrid con il 10,5%. Seguo-no i Paesi Baschi, l’Andalusia e la Galizia. Tutte le regioni esa-minate (peso>2% sull’export nazionale) registrano un saldopositivo su base annua.

I comparti merceologiciL’analisi merceologica delle esportazioni è stata sviluppata sullabase della classificazione Eurostat a 4 cifre, che consente disvolgere, a livello di “attività” merceologiche (1.630 in tutto),un’analisi molto disaggregata e, allo stesso tempo, sufficienteper consentire una visione sintetica.

20%

18%

16%

14%

12%

10%

8%

6%

4%

2%

0

Grafico 11: L’Export della Spagna per Paesi di destinazione

Var. su anno precedentePeso su totale

Fonte: elaborazione SRM su dati Agenzia Tributaria 2007

Francia Germania Portogallo Italia Regno Unito

18,7%

10,9%

8,8% 8,5%7,9%

6,8%

5,0%

0,9%

11,8%

3,0%

Grafico 12: L’Export della Spagna per Settori

Fonte: elaborazione SRM su dati Agencia Tributaria 2007

52,4% Altro

7,0% Materiale elettrico8,0% Macchine e apparecchi meccanici20,8% Veicoli

4,6% Combustibili3,7% Materiali plastici3,3% Prodotti farmaceutici

30%

25%

20%

15%

10%

5%

0%

Grafico 13: L’Export delle Regioni della Spagna

Var. su anno precedentePeso su totale

Sono state considerate le Regioni con contributo all’export nazionale >2%Fonte: elaborazione SRM su dati Agencia Tributaria 2007

Cata

luña

C. Va

lencia

na

Madr

id

Pais

Vasc

o

Anda

lucia

Galic

ia

Cast

illa

Leon

Arag

on

Nava

rra

Murc

ia

4- External Trade Detailed Data. Product classification: For detailed data, products are disseminated according to the Harmonized Commodity Description and Coding System (HS2, HS4)

5- Fonte : Unioncamere

Page 27: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

27

Parti ed accessori degli autoveicoli delle voci da 8701 a 8705

Oli di petrolio o di minerali bituminosi, diversi dagli oli greggi; …

Medicamenti (esclusi i prodotti delle voci 3002, 3005 o 3006) …

Autoveicoli da turismo ed altri autoveicoli costruiti principalmente per il trasporto di persone (diversi da quelli della voce 8702),…

Altri mobili e loro parti

Calzature con suole esterne di gomma, di materia plastica, di cuoio naturale o ricostituito e con tomaie di cuoio naturale

Oggetti di rubinetteria e organi simili per tubi, caldaie, serbatoi, vasche, tini o recipienti simili, compresi i riduttori

di pressione e le valvole termostatiche

Minuterie ed oggetti di gioielleria e loro parti, di metalli preziosi o di metalli placcati o ricoperti di metalli preziosi

Lavastoviglie; macchine ed apparecchi per pulire o asciugare le bottiglie o altri recipienti; …

Macchine ed apparecchi con una funzione specifica, non nominati né compresi altrove in questo capitolo

Autoveicoli per il trasporto di merci

Pompe per aria o per vuoto, compressori di aria o di altri gas e ventilatori; cappe aspiranti ad estrazione

o a riciclaggio, con ventilatore incorporato, anche filtranti

Vini di uve fresche, compresi i vini arricchiti d'alcole; mosti di uva, diversi da quelli della voce 2009

Mobili per sedersi (esclusi quelli della voce 9402) anche trasformabili in letti, e loro parti

Abiti a giacca (tailleurs),..., per donna o ragazza

Frigoriferi, congelatori-conservatori ed altro materiale, ... diverse dalle macchine ed apparecchi

per il condizionamento dell'aria della voce 8415

Pompe per liquidi, anche aventi un dispositivo misuratore; elevatori per liquidi

Piastrelle e lastre da pavimentazione o da rivestimento, verniciate o smaltate, di ceramica, cubi, tessere

ed articoli simili per mosaici, verniciati o smaltati di ceramica, anche su supporto

Altri tubi, tubi e profilati cavi (per esempio: saldati, ribaditi, aggraffati o a lembi semplicemente avvicinati), di ferro o di acciaio

Circuiti integrati ellettronici

Bauli, valigie e valigette, compresi i bauletti per oggetti di toletta e le valigette portadocumenti, …

Totale

10.313.405.459

10.247.612.733

9.088.370.902

7.633.829.029

5.531.484.635

5.425.881.638

4.995.654.687

4.147.517.814

4.070.708.678

4.022.467.835

3.533.520.552

3.274.676.013

3.195.272.762

3.067.385.903

2.951.941.563

2.744.418.395

2.668.294.365

2.459.162.081

2.438.017.760

2.430.846.897

2.401.582.295

326992357791

3,2%

3,1%

2,8%

2,3%

1,7%

1,7%

1,5%

1,3%

1,2%

1,2%

1,1%

1,0%

1,0%

0,9%

0,9%

0,8%

0,8%

0,8%

0,7%

0,7%

0,7%

3,2%

6,3%

9,1%

11,4%

13,1%

14,8%

16,3%

17,5%

18,8%

20,0%

21,1%

22,1%

23,1%

24,0%

24,9%

25,8%

26,6%

27,3%

28,1%

28,8%

29,6%

MondoProduct / Partner Quota % Quota cumulata

Tabella 9: Grado di concentrazione delle esportazioni delle prime 20 aree merceologiche - Italia e Spagna 2006

8708271030048703940364038481

71138422847987048414

2204940162048418

84136908

730685424202

Italia

Autoveicoli da turismo ed altri autoveicoli costruiti principalmente per il trasporto di persone (diversi da quelli della voce 8702) …

Parti ed accessori degli autoveicoli delle voci da 8701 a 8705

Oli di petrolio o di minerali bituminosi, diversi dagli oli greggi;…

Autoveicoli per il trasporto di merci

Medicamenti (esclusi i prodotti delle voci 3002, 3005 o 3006) …

Piroscafi, navi da crociera, navi traghetto, navi mercantili, maone e navi simili per il trasporto di persone o di merci

Monitor e proiettori, senza apparecchio ricevente per la televisione incorporato; …

Agrumi, freschi o secchi

Piastrelle e lastre da pavimentazione o da rivestimento, …

Olio d'oliva e sue frazioni, anche raffinati, ma non modificati chimicamente

Vini di uve fresche, compresi i vini arricchiti d'alcole; mosti di uva, diversi da quelli della voce 2009

Pneumatici nuovi, di gomma

Poliacetali, altri polieteri e resine epossidiche, in forme primarie;….

Prodotti laminati piatti, di acciai inossidabili, di larghezza uguale o superiore a 600 mm

Parti degli apparecchi delle voci 8801 o 8802

Calzature con suole esterne di gomma, di materia plastica, di cuoio naturale o ricostituito e con tomaie di cuoio naturale

Fili, cavi (compresi i cavi coassiali), ed altri conduttori isolati per l'elettricità ….

Motori a pistone, con accensione per compressione (motori diesel o semi-diesel)

Carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate

Altri mobili e loro parti

Profilati di ferro o di acciai non legati

Totale

19.082.511.750

8.664.430.693

6.454.916.047

5.061.386.562

4.653.525.535

2.439.322.328

2.155.877.108

2.127.525.488

2.067.230.012

1.720.517.894

1.568.144.856

1.511.932.414

1.365.098.442

1.350.046.752

1.330.851.775

1.267.335.720

1.226.591.444

1.205.920.991

1.201.804.741

933.346.764

908.943.523

163630724164

11,7%

5,3%

3,9%

3,1%

2,8%

1,5%

1,3%

1,3%

1,3%

1,1%

1,0%

0,9%

0,8%

0,8%

0,8%

0,8%

0,7%

0,7%

0,7%

0,6%

0,6%

11,7%

17,0%

20,9%

24,0%

26,8%

28,3%

29,6%

30,9%

32,2%

33,3%

34,2%

35,1%

36,0%

36,8%

37,6%

38,4%

39,1%

39,9%

40,6%

41,2%

41,7%

MondoProduct / Partner Quota % Quota cumulata

87038708

27108704300489018528805690815092204401139077219880364038544840820394037216

Fonte: Elaborazione SRM su dati Eurostat

Spagna

Page 28: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

28

fatti la base imprenditoriale italiana (esclusi i dati di agricoltura epesca) è cresciuta di 71.028 imprese. Il saldo positivo del 2006 èdato dalla differenza tra le 392.032 nuove iscrizioni e le 321.000cancellazioni verificatesi nel corso dell’anno. Ne è risultato un tas-so di crescita delle iscritte (tabella 11 del Bilancio Anagrafico)dell’1%. Pertanto, il rallentamento della vivacità delle imprese nonè stato determinato tanto dall’andamento delle società iscrittequanto dall’elevato numero delle imprese cessate che fa chiudereil 2006 con un saldo di nuove imprese inferiore del 23,7% al 2005.In termini percentuali la performance migliore è stata registratanel settore delle costruzioni (3,9%) seguito dai servizi (+2,3%)mentre il numero delle imprese che operano nell’industria ha re-gistrato una flessione dello 0,6% e le imprese del commercio simantengono sostanzialmente stabili.

Le imprese attive in SpagnaIn Spagna il numero delle imprese attive è aumentato del 5,1%attestandosi ai 3.336.6576 alla fine del 2006. La maggiore cre-scita è stata registrata nel settore delle costruzioni (7,9%) e neiservizi (5,6%) mentre il numero di unità dedicate al commercio eall’industria diminuisce leggermente rispetto all’anno preceden-te. Il numero delle imprese che operano negli altri servizi, man-tiene come negli anni precedenti la numerosità maggiore espri-mendo un complessivo 52,7% del totale.

Nel corso del 2006, 426.321 imprese (pari all’11,8% del totale)hanno iniziato un’attività economica mentre 260.122 impresehanno cessato l’operatività.Le imprese spagnole sono caratterizzate da una ridotta dimen-sione; il 51% (1,6 milioni di aziende) delle imprese presenta zerodipendenti ed oltre il 27,6% (881.000 aziende) un numero di di-pendenti compreso “tra 1 e 2”. Le imprese con “oltre 20 dipen-denti” rappresentano soltanto il 5,6% del totale.

Indagine sulle Unità LocaliSecondo i dati Eurostat al 2006 le Unità locali presenti in Italiaraggiungono i 4.096.869 unità e 14.664.629 lavoratori determi-nando una dimensione media di unità di 3,58 addetti. L’analisi èstata svolta prendendo in considerazione tutti i settori produttiviesclusi Agricoltura e Pesca. Si precisa pertanto che sono statipresi in considerazione i Settori: C. minerali energetici; D. Mani-

Imprese con meno di 10 addetti - % su totale - dati al 2003

47,1

40,5

39,7

38,6

35,9

32,6

29,8

29

28,9

27,3

25,1

24,3

23,3

21,5

21,1

20,6

19,6

19,6

17,7

12,5

Tabella 10: I Paesi Europei caratterizzati da un modello di piccola impresa

Italia

Polonia

Portogallo

Spagna

Ungheria

Rep. Ceca

UE 25

Belgio

Paesi Bassi

Slovenia

Austria

Svezia

Francia

Finlandia

Regno Unito

Lettonia

Danimarca

Germania

Lituania

Slovacchia

Fonte: elaborazione Ine su dati Eurostat

392.032

3.631.671

321.004

71.028

2006Italia

388.274

3.580.375

295.222

93.052

2005

1,0%

1,4%

8,7%

-23,7%

Var Annua

Tabella 11: Bilancio Anagrafico delle imprese Italiane

Iscritte (A)

Permanenti

Cessate (C)

Saldo (A-C)

Fonte: elaborazioni SRM su dati Infocamere 2007

643.530

750.324

1.423.804

1.135.017

3.952.675

2006Italia

647.273

722.424

1.421.866

1.109.816

3.901.379

2005

-0,6%

3,9%

0,1%

2,3%

1,3%

Var Annua

Tabella 12: Numero di imprese attive in Italia per settore

Industria

Costruzioni

Commercio

Servizi

Totale complessivo (*)

(*) al netto di agricoltura e pesca

Fonte: elaborazioni SRM su dati Infocamere 2007

6- Fonte Directorio Central de Empresas (DIRCE)

242.310

448.446

835.276

1.648.361

3.174.393

2006Spagna

244.359

488.408

845.229

1.758.661

3.336.675

2005

0,8%

8,9%

1,2%

6,7%

5,1%

Var Annua

Industria

Costruzioni

Commercio

Servizi

Totale complessivo

Spagna

426.321

2.910.336

260.122

166.199

2006

Attive (A)

Permanenti

Cessate (C)

Saldo (A-C)

Fonte: elaborazione SRM su dati DIRCE-Directorio Central de Empresas 2007

Tabella 13: Numero di imprese attive per settore in Spagna e Bilancio Anagrafico 2006

Page 29: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

29

fatturiero; E. Energetici, F Costruzioni, G. Commercio, H, Hotele Ristoranti, I Trasporti e Comunicazioni, K, Prodotti delle Atti-vità informatiche, Professionali ed Imprenditoriali.Il peso del commercio in Italia esprime la sua significatività an-che in termini di numerosità di unità locali con otre 1,388 mi-lioni di imprese (33,9% del totale). In tale voce sono ricompre-se sia le grandi imprese della distribuzione moderna che lepiccole imprese intermediarie del commercio. Segue, pernumerosità, il settore delle attività informatiche e ricerca checopre una fetta pari al 25,2% del totale. Al terzo posto si si-tua il comparto relativo alle costruzioni (14,4%) immediatamen-te prima del manifatturiero che copre il 14,1% del totale.

In termini di Unità Locali i dati Eurostat al 2004 esprimono un va-lore complessivo per la Spagna pari a 2.736.238 per un totale di12.830.835 addetti e una dimensione media di 4,68 lavoratoriper azienda. L’analisi è stata svolta prendendo in considerazio-ne tutti i settori produttivi esclusi Agricoltura e Pesca. Si precisapertanto che sono stati presi in considerazione i Settori: C. Mi-nerali energetici; D. Manifatturiero; E. Energia Elettrica Gas eAcqua, F Costruzioni, G. Commercio, H, Hotel e Ristoranti, ITrasporti e Comunicazioni, K, Prodotti delle Attività Informati-che, Professionali ed Imprenditoriali.Il settore del commercio (pari al 35,3% del totale, che assorbe ilmaggior numero di unità locali), insieme al settore dei prodottidelle attività informatiche e ricerca copre oltre il 56% della nu-merosità totale. Segue il settore delle costruzioni con il 15% equello degli altri servizi vendibili mentre il manifatturiero copresoltanto l’8,1% di quota sul totale delle unità locali. Trascurabile,in termini di numerosità il peso degli altri comparti produttivi.Il settore del commercio, cui afferiscono 964.577, unità impiegaoltre 3,2 milioni di lavoratori è però il comparto con la dimensio-ne media più contenuta (3,3 addetti).

La maggiore dimensione media di oltre 30,6 addetti delle realtàproduttive Italiane del settore elettricità, gas e acqua è legata al-la natura di matrice storica prevalentemente pubblica dellaaziende del comparto. La dimensione media delle Unità Localidel Manifatturiero che si attesta su una media di 8,08 addettiappare, difatti, ben più contenuta. Segue con una media di 7,53addetti il comparto dei Minerali energetici mentre supera i 5 ad-detti di media il settore dei Trasporti e Comunicazioni. In ultimaposizione il complesso settore del commercio la cui media di2,4 addetti risulta, come accennato, dall’aggregazione di realtàproduttive molto differenziate.

Commercio

Attività Inform., Professionali e Impresa.

Costruzioni

Manifatturiero

Hotels e Ristoranti

Trasporti e comunicazioni

Minerali energetici

Electricità, gas and Acqua

Totale

SettoreCodice

1.388.355

1.034.119

591.776

578.481

277.421

218.266

4.635

3.816

4.096.869

UL

33,9%

25,2%

14,4%

14,1%

6,8%

5,3%

0,1%

0,1%

100,0%

Peso su totale

Tabella 14: La numerosità delle Unità Locali Italiane per settore di attività

g

k

f

d

h

i

c

e

Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat

Italia

35

30

25

20

15

10

5

0

Grafico 14: La dimensione Media delle UL in Italia

Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat

Elet

tricit

àga

s e a

cqua

Mani

fattu

riero

Numero di addetti

Mine

rali

ener

getic

i

Trasp

orti

e com

unica

zzion

i

Hote

l e ri

stor

anti

Cost

ruzio

ni

Attiv

ità in

form

.,Pr

ofes

siona

li e I

mp.

Com

mer

cio

Commercio

Attività Inform., Professionali e Impresa.

Costruzioni

Hotels e Ristoranti

Trasporti e comunicazioni

Manifatturiero

Electricità, gas and Acqua

Minerali energetici

Totale

SettoreCodice

964.577

570.420

413.127

301.890

253.336

226.264

3.602

3.022

2.736.238

UL

35,3%

20,8%

15,1%

11,0%

9,3%

8,3%

0,1%

0,1%

100,0%

Peso su totale

g

k

f

h

i

d

e

c

Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat

Spagna

Tabella 15: La numerosità delle Unità Locali della Spagna per settore di attività

20

18

16

14

12

10

8

6

4

2

0

Grafico 15: La dimensione Media delle UL in Spagna

Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat

Elet

tricit

àga

s e a

cqua

Mani

fattu

riero

Numero di addetti

Mine

rali

ener

getic

i

Trasp

orti

e com

unica

zzion

i

Hote

l e ri

stor

anti

Cost

ruzio

ni

Attiv

ità in

form

.,Pr

ofes

siona

li e I

mp.

Com

mer

cio

Page 30: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

30

Il settore dei prodotti e delle attività informatiche impiega nelleoltre 570.000 aziende oltre 2,3 milioni di lavoratori mentre ilcomparto dell’energia elettrica gas e acqua è quello che registrala maggior dimensione (17,9 addetti sono impiegati in medianelle 3.600 aziende). Il settore manifatturiero si difende benecon una dimensione media di 11,4 addetti.L’analisi regionale mostra che in Italia il maggior numero di ULsi concentra in Lombardia che guida la classifica con un pe-so del 18,2%, seguita dal Veneto (+10,4%) e dal Lazio (8,7%).Nel complesso la quota regionale delle prime tre aree coprecirca il 50% del totale della numerosità. Significativa anche lavivacità imprenditoriale dell’Emilia Romagna (+8,6%) e dellaCampania (7,7%) che è la prima regione del Mezzogiorno checompare nella classifica.

Il maggior numero di Unità locali si concentra in Spagna nella re-gione della Catalogna (19,6%) seguita dalla regione Madrilena(16,1%) e dall’Andalusia (15,7%). Nel complesso la quota regio-nale delle prime tre aree copre circa il 50% del totale della nu-merosità. Di peso considerevole anche la comunità Valenziana,La Galizia e Castilla Y Leon.

La dimensione media delle Unità Locali italiane è di 3,58 ad-detti. Per svolgere un confronto cartografico si è calcolato il nu-mero indice corrispondente al valore della dimensione media(posta pari a 100) e si è distinta la dimensione media in 4 clas-si: indice “fino a 80” (corrispondente ad una dimensione me-dia di 2,8 addetti); indice tra “80 e 100” (corrispondente ad unadimensione media compresa tra 2,8 e 3,58 addetti); indice tra“100 e 120” (corrispondente ad una dimensione media com-presa tra 3,58 e 4,30 addetti); indice superiore a 120 (corri-spondente ad una dimensione media superiore a 4,3 addet-ti). Tale analisi ha permesso di evidenziare in primo luogoche non esistono in Italia regioni presenti in quarta fascia el’unica regione che sfiora il livello più elevato è la Lombardia conun indice pari al 119,6 (pari cioè ad una dimensione media di4,28) mentre le regioni più strutturate dell’Italia sono, oltre alLazio, le regioni dell’Italia Nord-orientale.Seguono le regioni Umbria, Toscana e Valle d’Aosta, tutte conuna dimensione media rispettivamente compresa tra 3,5 e 3,37addetti insieme ad Abruzzo - prima regione del Mezzogiorno conuna media di 3,26 - Liguria e Sardegna (3,5). Le regioni con unanumerosità di unità produttive più contenuta sono le restanti re-

Grafico 16: Il Numero delle Unità locali per regione in Italia

8,6% Emilia - Romagna

18,2% Lombardia10,4% Veneto8,7% Lazio

Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat

7,4% Toscana6,2% Sicilia

7,7% Campania7,6% Piemonte

2,4% Calabria

5,3% Puglia2,9% Liguria2,9% Marche

7,1% Altro

2,3% Sardegna2,2% Abruzzo

Grafico 17: Il Numero delle Unità locali per regione in Spagna

10,6% Comunidad Valenciana

19,6% Catalugña16,1% Comunidad de Madrid15,7% Andalucia

Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat

5,2% Pais Vasco

6,5% Galicia5,5% Castilla y Leon

2,9% Illes Balears

4,3% Castilla - La Mancha3,0% Región de Murcia2,9% Aragón

2,3% Principado de Asturias5,4% Altro

Grafico 18: La dimensione media delle imprese per Regione

da 100 a 120 (dim me tra 3,58 e 4,30)oltre 120 (dim me oltre 4,30)

Italia

da 80 a 100 (dim me tra 2,80 e 3,58)Fino a 80 (dim 2,80)

da 100 a 120 (dim me tra 4,69 e 5,63)oltre 120 (dim me oltre 5,63)

Spagna

da 80 a 100 (dim me tra 3,69 e 4,69)Fino a 80 (dim 3,69)

Italia 3,85

Spagna 4,69 (100)

Page 31: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

31

gioni del Sud con in ultimo la Sicilia e la Calabria che registranouna dimensione media di 2,54 lavoratori.La dimensione media delle Unità Locali spagnole è di 4,69 ad-detti (anche per la Spagna si è posto il valore medio pari a 100 esi è svolta la suddivisione in 4 classi). Le regioni più strutturatedella Spagna sono Madrid con una dimensione di 6,21 addetti ei Paesi Baschi (5,98). Seguono le regioni orientali della Spagna:Valenzia (4,96) e Catalogna (4,77) insieme alla regione di Navarra(4,99). Le regioni con una numerosità di unità produttive più con-tenuta sono la regione di Castiglia La Mancia (con una media di3,69) e l’Estremadura che, con un valore di 3,13 è l’unica regionecon una dimensione al di sotto anche della media Italiana.

Un’analisi spaziale della distribuzione del PIL pro capite

Con questa seconda parte dello studio si intende analizzare laconvergenza del PIL pro capite in Italia e Spagna al fine di com-pararle e comprendere se sussistano meccanismi di integrazio-ne e sostegno differenti per le regioni spagnole rispetto a quelleitaliane. In questa sezione si vuole investigare la distribuzioneterritoriale del PIL pro-capite e come questa sia cambiata neltempo, al fine di cogliere i differenti percorsi di convergenzaeconomica seguiti dall’Italia e dalla Spagna. In Italia il PIL è cresciuto nel 2006 del 3,7% a prezzi corren-ti e dell’ 1,9% a prezzi costanti, mentre in Spagna la cresci-ta ha raggiunto il 7,8% a prezzi correnti e il 3,9% in valore rea-le. Il valore molto elevato di crescita della Spagna potrebbe,ad una prima analisi, essere giustificato dai diversi livelli di PILpro capite iniziale dei due paesi, la Spagna parte da livelli piùbassi e quindi ci si può ragionevolmente attendere che cre-sca più velocemente. Come riportato nella sezione “Analisi delPIL”, il PIL pro-capite in termini di Parità di Potere d’Acquisto(PPA) dell’Italia, con riferimento ai paesi dell’UE a 25(UE25=100) nel 2005, è pari a 100,7 mentre in Spagna nel-lo stesso periodo si attesta a 97,9.Da una prima osservazione dei dati risulta che le aree che hannocontribuito maggiormente alla crescita economica della Spa-gna nel 2006 sono Valencia, Galizia, la Murcia e la Cantabria. Intutte e quattro il PIL a prezzi correnti è cresciuto più della medianazionale. La convergenza in Spagna da questi dati è evidente:la regione della Murcia, ad esempio, nel 1995 aveva un PIL procapite (PPA) di 8.491 Euro, in confronto ai 17.467 della regionepiù ricca, l’Asturia, e oggi è uno dei motori di crescita del paese.Anche in Italia, nonostante i minori livelli di crescita economica,alcune regioni si sono distinte per tassi di crescita superiori allamedia nazionale nel 2006: il Piemonte, il Veneto, la Liguria e laValle d’Aosta. Le regioni che sono cresciute meno sono inveceSardegna, Calabria, Sicilia e Friuli Venezia Giulia. Sul territorioitaliano non si rileva quindi, da una prima analisi descrittiva, uncatch-up delle regioni più povere del Mezzogiorno che conti-nuano ad avere tassi di crescita inferiori alla media nazionale.Questa seconda parte dello studio cerca di comprendere econfrontare in modo più approfondito i percorsi di convergenzaseguiti dai due paesi attraverso statistiche parametriche e nonparametriche. Prima vengono presentate le distribuzioni delreddito pro capite a livello provinciale attraverso l’utilizzo di sti-matori kernel della densità di distribuzione empirica al fine di co-gliere spostamenti nel tempo della forma delle distribuzioni. Par-tendo da questa osservazione viene stimato un primo indicatore

di convergenza (convergenza-β). Viene quindi calcolato l’Indicedi Moran al fine di evidenziare la presenza di fenomeni di correla-zione spaziale. Infine viene stimata una funzione di crescita eco-nomica su dati panel che tiene conto della dipendenza spaziale.

I datiIn questa sezione del lavoro vengono usati i valori del PIL pro-ca-pite (in logaritmo) dal 1995 al 2004 utilizzando il database REGIOdi Eurostat. Si tratta di una base dati geo-referenziata di statisti-che regionali armonizzate. Le localizzazioni territoriali seguono laclassificazione NUTS (Nomenclature of Territorial Units for Stati-stics). I livelli di aggregazione disponibili sono NUTS1, che descri-ve le 78 regioni europee, NUTS2, che corrisponde a 211 unitàamministrative (regioni per l’Italia) e NUTS3 che disaggrega il terri-torio europeo in 1.093 unità locali (le provincie per l’Italia). Per po-ter calcolare statistiche territoriali è necessario conoscere anchela georeferenziazione (coordinate topografiche) delle località con-siderate al fine di calcolare le regioni confinanti e le distanze tra leregioni e dalla periferia al centro. In questo caso i dati relativi allacoordinate spaziali (shapefiles) sono molto più difficili da reperire:per questo motivo si è deciso di limitare le analisi che richiedonoinformazioni geografiche ad un livello di disaggregazione NUTS2.

La distribuzione spaziale del PILSeguendo un’impostazione neoclassica saremmo spinti a ritene-re che all’interno di uno Stato dove sussista libera circolazione dipersone e capitali, non debbano esserci differenze significativenei livelli di prodotto pro-capite fra diverse regioni, come invece siosserva nelle realtà oggetto di studio. Da un punto di vista teoricoil tema della convergenza economica delle regioni è stato trattatoda Krugman (1991) nel contesto della nuova geografia economi-ca e da Barro e Sala-i-Martin (1991) focalizzandosi sulla crescita.Il PIL per abitante a parità di potere d’acquisto del Mezzogiorno èpari al 74% della media UE25, inferiore ai valori di Spagna, Greciae Portogallo. Fra le regioni meridionali, l’Abruzzo si caratterizzaper il più elevato valore di PIL per abitante (91% dell’UE25); ancheMolise, Sardegna e Basilicata si collocano sopra i valori medi me-ridionali, mentre il valore più basso si osserva in Calabria (69%).

2400

2200

2000

1800

1600

1400

Grafico 19: PIL proviciale pro-capite (PPA) medio per anno e deviazione standard intorno alla media di Italia e Spagna

SpagnaItalia

Fonte: Eurostat, REGIO

1995 1997 1999 20032001

Page 32: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

32

7e-05

6e-05

5e-05

4e-05

3e-05

2e-05

1e05

0e+00

Grafico 20: Stima kernel della densità di distribuzione empirica del PIL pro capite (PPA) nelle province italiane e spagnole (NUTS3)

1995 2001 2004 Media PIL−pc ANNO regioni obiettivo 1

0 10000 30000

ITALIA

dens

ityde

nsity

20000

0.00012

0.00010

0.00008

0.00006

0.00004

0.00002

0.000000 10000 30000

SPAGNA

20000

Fonte: Eurostat, REGIO

2001

1995

N = 21 Bandwidth = 2460

N = 17 Bandwidth = 1367

Queste informazioni descrittive evidenziano una elevata variabi-lità all’interno delle regioni Italiane e suggeriscono la necessita diinvestigare in modo più approfondito le distribuzioni territoriali.Dall’osservazione dei valori del PIL pro-capite (PPA) provinciale(NUTS3) medio per ogni anno e la deviazione standard intornoalla media in Italia e Spagna (Grafico 19) si può osservare che ivalori convergono. Mentre l’Italia è partita da valori assolutimaggiori nel 1995 i tassi di crescita della Spagna sono statimaggiori in media, in particolare dal 2002 al 2004. Questa evi-denza suggerisce la presenza di un break nel percorso di cre-scita delle province italiane. La deviazione standard delle pro-vince italiane dalla media nazionale è maggiore di quella spa-gnola indicando una maggior eterogeneità di valori in Italia. In Italia è evidente uno spostamento verso destra della distribu-zione dal 1995 al 2001, indicando quindi una densità maggioredi province con valori di PIL pro-capite più elevati, mentre la di-stribuzione rimane molto simile dal 2001 al 2004: il percorso dicrescita sembra rallentare in questo periodo. In tutti gli anni con-siderati si riscontra una distribuzione quasi bi-modale. La pre-senza di due livelli modali potrebbe attribuirsi a difformità territo-riali che permangono negli anni. Questa ipotesi appare qualitati-vamente verosimile: come si può osservare dal grafico 20 il va-lore medio del PIL pro-capite delle regioni italiane Obiettivo 1 UE(convergence regions) nel 2001, indicato da una linea tratteg-giata rossa, si attesta in prossimità del valore modale inferiore (disinistra) della distribuzione. La stessa analisi in Spagna mostraun percorso di crescita costante del PIL pro-capite provincialedal 1995 al 2001 e dal 2001 al 2004, con un conseguente spo-stamento verso destra della distribuzione. Osservando la formadella distribuzione si nota che, oltre uno spostamento verso de-stra (crescita) del valore modale, la distribuzione si normalizza,smussandosi e perdendo in parte la forma bimodale.

Questa osservazione potrebbe spingerci a ritenere che siano di-minuite le difformità territoriali sotto l’ipotesi che la forma bimo-dale, chiaramente presente nel 1995 ma che tende ad attenuar-si negli anni successivi, possa attribuirsi a difformità territoriali.Come per l’Italia anche per la Spagna il valore medio del PIL procapite delle regioni obiettivo 1 nel 1995 si attesta relativamentevicino alla moda della distribuzione nel 1995 supportando in mo-do qualitativo debole questa ipotesi.Dall’osservazione di queste statistiche non parametriche si puòprovare a stimare la velocità di convergenza delle province neidue paesi verso il punto di equilibrio al fine di capire se sussistaquindi una velocità di convergenza significativamente differente. Uno degli approcci più comunemente utilizzati è quello dellaconvergenza β, che consiste nello stimare un modello cross-section che spieghi i tassi di crescita in funzione dei livelli inizialidi prodotto pro-capite. Il valore atteso del coefficiente β è nega-tivo, poiché ci si attende che regioni più ricche crescano più len-tamente delle regioni più povere, dando prova dell’esistenza diconvergenza tra le regioni. Un secondo approccio (definito con-vergenza σ) misura invece la disuguaglianza complessiva tra leregioni e verifica la riduzione della differenza nel tempo.Il modello β come suggerito da Sala-i-Martin (1992) è specifica-to in questo modo:

(1)

dove è il tasso di crescita del PIL pro capite nel periodoconsiderato e il parametro λ rappresenta la velocità di conver-genza delle diverse aree i e l’errore ε si assume sia distribuito se-condo una normale . Per poter stimare il modello con ilmetodo dei minimi quadrati si definisce , il modello di-venta quindi:

(2)

Ci si attende che β assuma valori negativi statisticamente signi-ficativi poiché si assume che le regioni che partono da un valoredi PIL pro-capite minore crescano più velocemente.I risultati della stima sono riportati nella Tabella 16.Per entrambi i paesi il coefficiente β ha il segno negativo atteso,indicando quindi che le province a PIL pro-capite minore cresco-no più velocemente. Il valore assoluto del coefficiente è legger-mente inferiore per l’Italia e i livelli di significatività statistica neidue paesi sono differenti. Mentre per la Spagna il parametro ri-sulta significativamente diverso da 0 al 99% con un t-value circadi 3,9 la significatività è molto inferiore per l’Italia (90%) con un t-value di 1,8. La velocità di convergenza delle zone più poveredella Spagna verso lo steady-state risulta quindi maggiore rispet-to a quanto accada in Italia. Questa semplice metodologia di sti-ma non tiene conto della correlazione spaziale e della distanzageografica in modo esplicito. Non si considerano quindi tutti queifattori come esternalità e spillover che portano ad economiegeograficamente dipendenti tra loro. In letteratura (Armstrong,1995; Fingleton, 1999; Rey e Montouri, 1999; Baumont et al.,2000) si è dimostrato che il prodotto pro-capite risulta distribuitotra le economie secondo una forte struttura territoriale che sfug-ge del tutto a questa prima misura di convergenza proposta.

iii

it yyy

εβα ++=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛,0

,0

,lnln

( )2,0 σ≈N

( )tit yy ,0, /ln

( ) ik

i

iii

it

ye

yy

,0

,0

,

ln1

ln

λαμ

εμ

−−+=

+=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

( )ke λβ −−= 1

Page 33: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

33

Dove N é il numero delle aree considerate (regioni), Xi è valoredel PIL pro-capite (PPA) nell’area i-esima, Xj è lo stesso valoredella nell’area j e Wi,j è il peso legato alla dipendenza territorialetra l’area i e l’area j. Per calcolare la matrice Wi,j sono state utiliz-

zate le adiacenze: se l’area i confina con l’area j allora Wi,j=1, al-trimenti Wi,j=0. Le adiacenze per Italia e Spagna sono riportatenel Grafico 21. Le adiacenze delle isole sono state imposte inbase alle regioni sulle coste con minore distanza chilometrica.Questo indice compara i valori di ciascuna area con tutte le altree l’interpretazione è simile al coefficiente di correlazione di Pear-son e varia tra -1.0 e + 1.0. L’indice di Moran si presta ad un te-st-t poiché è possibile stimare la deviazione standard7. I valori diI-Moran e di significatività del test-t sotto l’ipotesi nulla che la di-pendenza spaziale sia casuale sono riportati nella Tabella 17.Risulta evidente che in Spagna esista una minore dipendenzaspaziale del PIL pro-capite e che questa dipendenza tenda a di-minuire ne tempo. I valori di dipendenza risultano significativi (li-vello di probabilità 0,01) per ogni anno. Anche in Italia la dipen-denza spaziale diminuisce nel tempo ed ha valori ancora più ele-vati e significativi. Da un punto di vista economico questo feno-meno di correlazione spaziale può avere molteplici spiegazioni.

Per comprendere quanto la struttura territoriale influenzi la di-stribuzione del PIL pro-capite si può misurare l’autocorrelazionespaziale, ossia verificare la correlazione di una variabile con sestessa nello spazio. Se si individua qualche pattern caratteristi-co di localizzazione di una variabile, allora c’è autocorrelazione:se aree vicine sono più simili di quelle lontane alloral’autocorrelazione sarà positiva, viceversa se le aree vicine sonopiù diverse di quelle lontane allora è negativa. Come prima analisi di polarizzazione territoriale del PIL pro-ca-pite in Italia è Spagna abbiamo calcolato l’indice “I” di Moran.(Moran, 1950). L’indice viene calcolato come:

∑ ∑ ∑∑ ∑

−−=

i j i iji

i j jiji

XXW

XXXXWNI

2

,

,

)()(

))((

Tabella 16: Stime convergenza β per Italia e Spagna, aree NUTS3

-0,185382 -0,034078 -0,0008386 0,038853 0,143326

Min. 1Q Mediana 3Q Max

Spagna

Residui

3,325 e-01

5,074 e-06

2,322 e-02

1304 e-06

14,32

-3,89

<2e-16(***)

0,00018(***)

Stime Std. Error T value Pr(>|t|)

Coefficienti

Intercetta

β

Signif.: 0,001(***); 0,01(**); 0,05(*); 0,1(.)

Residual standard error: 0,05858 on 101 degrees of freedom

Multiple R-Squared: 0,1303

Adjusted R-squared: 0,1217

F-statistic: 15,13 on 1 and 101 DF

p-value: 0,00018

-0,196985 -0,033187 -0,003854 0,026315 0,134283

Min. 1Q Mediana 3Q Max

Italia

Residui

5,414 e-01

-5,058 e-06

3,616 e-02

2,796 e-06

14,973

-1,809

<2e-16 (***)

0,0767(.)

Stime Std. Error T value Pr(>|t|)

Coefficienti

Intercetta

β

Signif.: 0,001(***); 0,01(**); 0,05(*); 0,1(.)

Residual standard error: 0,05211 on 48 degrees of freedom

Multiple R-squared: 0,06382

Adjusted R-squared: 0,04432

F-statistic: 3,272 on 1 and 48 DF

p-value: 0,07672

Fonte: Eurostat, REGIO

Grafico 21: Adiacenze utilizzate per il calcolo della matrice W

Adiacenze Spagna

44

42

40

38

36

-8 -6 -4 -2 0 2 4

Adiacenze Italia

48

46

44

42

40

38

5 10 15 20

7- La deviazione standard dell’indice di Moran è calcolata come: ∑∑ ∑ ∑ ∑

−+=

ij ij

ij ij i j ijijij

wN

wNwwNSE

22

2222

))(1(

)()(3

Page 34: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

34

La vicinanza geografica facilita fenomeni di diffusione della co-noscenza tacita tra imprese vicine. I progressi tecnologici svi-luppati in un’area hanno quindi una maggior probabilità didiffondersi prima nelle aree confinanti. Infine gli spillover dellatecnologia e della conoscenza accumulati in una certa areapossono quindi aumentare l’efficienza produttiva dell’area. L’utilizzo di statistiche standard, come ad esempio i minimi qua-drati utilizzati nella stima del modello di convergenza β, assu-mono che i dati siano indipendenti; la presenza di autocorrela-zione spaziale significativa viola questa assunzione poiché il ve-rificarsi di un certo evento in un’area, modifica la probabilità chelo stesso evento si verifichi in un’area vicina. Per questo motivo,seguendo la metodologia proposta da Arbia G, Basile R. e PirasG. (2005), proponiamo una stima del modello di crescita su datipanel con autocorrelazione spaziale.

Seguendo Arbia G, Basile R. e Piras G. (2005) l’equazione 2può essere riscritta in questo modo:

Dove ρ è il parametro che cattura l’effetto di interazione spazialee indica quindi quanto il tasso di crescita di una certa area sia

i

n

j i

itjii

i

it

yy

wyyy

ερβα +⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∑

=1 ,0

,

,,0

,0

,lnlnln

determinato dal tasso di crescita della aree adiacenti. Il terminedi errore si assume sia distribuito normalmente e sia indipen-dente sia dal valore iniziale del PIL pro-capite sia dal temine diinterazione spaziale. Per poter sfruttare la dimensione temporale l’equazione di cre-scita viene proposta in forma panel in questo modo:

Dove t indica l’inizio del periodo di riferimento e t+k la fine delperiodo. Si è deciso di stimare in questo modo la crescita mediaannua, i risultati sono riportati nella Tabella 18.

ti

n

j it

iktjiiti

it

ikt

yy

wyyy

,

1 ,

,

,,

,

,lnlnln ερβα +⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∑

=

++

Questa seconda regressione panel è eseguita su dati regionaliNUTS2 e non provinciali (come invece la prima regressione pre-sentata). I coefficienti β per entrambi i paesi hanno il segno attesonegativo e sono entrambi significativi. Anche i coefficienti ρ sonoentrambi significativi e con segno positivo come atteso. In questaseconda regressione il valore sia di β sia di ρ risulta molto simile

0,7668039

0,7608420

0,7725100

0,7589894

0,7611191

0,7499850

0,7559949

0,7316037

0,7432523

0,7109653

I-Moran

4,6174

4,5880

4,6554

4,5730

4,5823

4,5214

4,5534

4,4125

4,4741

4,2879

Deviaz. Standard

1,94284E-06

2,23759E-06

1,61664E-06

2,40406E-06

2,29948E-06

3,07226E-06

2,63948E-06

5,10838E-06

3,83672E-06

9,01961E-06

P-ValueAnno

Tabella 17: Autocorrelazione spaziale PIL pro-capite regionale

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

Italia

0,4301252

0,4333282

0,4356367

0,4215347

0,4240994

0,4104397

0,4086904

0,4082580

0,4047543

0,3987690

I-Moran

3,0651

3,0776

3,0889

3,0086

3,0080

2,9231

2,9160

2,9145

2,8941

2,8571

Deviaz. Standard

0,001088

0,001043

0,001004

0,001312

0,001315

0,001733

0,001773

0,001781

0,001901

0,002138

P-ValueAnno

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

Fonte: Eurostat, REGIO

Spagna

-2,30E-02

Min.

-5,30E-03

1st Qu.

3,14E-04

Mediana

2,56E-17

Mean

5,30E-03

3rd Qu.

2,98E-02

Max.

Italia

Residui

-0,281491

0,325932

0,020157

0,033578

-13,9646

9,7066

< 2,2e-16 (***)

< 2,2e-16 (***)

Stime Std. Error Z value Pr(>|z|)

Coefficienti

β

ρ

Signif.: 0,001(***); 0,01(**); 0,05(*); 0,1(.)

Total Sum of Squares: 0,036933

Residual Sum of squares: 0,014494

Rsq: 0,607570

F: 122.309

P(F>0): 0,008142

Tabella 18: Stime convergenza con autocorrelazione spaziale per Italia e Spagna, aree NUTS2.

-1,98E-02

Min.

-4,87E-03

1st Qu.

3,06E-04

Mediana

7,38E-17

Mean

4,60E-03

3rd Qu.

1,84E-02

Max.

Spagna

Residui

0,235072

309555

0,031427

0,045825

-7,4800

6,7551

7,438e-14(***)

1,427e-(***)

Stime Std. Error Z value Pr(>|z|)

Coefficienti

β

ρ

Signif.: 0,001(***); 0,01(**); 0,05(*); 0,1(.)

Total Sum of Squares: 0,0076954

Residual Sum of squares: 0,0040782

Rsq: 0,47005

F: 31044

P(F>0): 0,0316847

Fonte: Eurostat, REGIO

Page 35: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

35

nei due paesi. In entrambi i casi il coefficiente è leggermente mag-giore per l’Italia. L’interpretazione di β in questo caso è differentepoiché la regressione è calcolata sui tassi di crescita annui, β indi-ca quindi l’impatto del valore iniziale del PIL pro capite sul tasso dicrescita dell’anno. Con questo secondo modello, che tiene contodell’interazione spaziale, l’Italia risulta avere una propensionemaggiore a crescere in quelle zone dove la crescita è stata menoelevata negli anni precedenti. Anche la componente spaziale, ρ ,risulta più rilevante in Italia che in Spagna, come gia colto dall’indi-ce di Moran. La maggior correlazione/polarizzazione spaziale inItalia sembra quindi essere l’elemento che consente di spiegare idiversi livelli di convergenza nei due paesi.

Conclusioni

L’Italia e la Spagna hanno una struttura produttiva ed un tessutoeconomico simile per molti aspetti. La Spagna, come l’Italia,presenta un quadro di specializzazione settoriale concentratosui settori tradizionali. Entrambe le economie sono caratterizza-te da una forte prevalenza di piccole e medie imprese (l’Italia è ilpaese con il numero di micro-imprese (meno di 10 addetti) piùelevato in Europa mentre la Spagna si posiziona al 4 posto). En-trambi i paesi avevano livelli di disoccupazione elevati: nel 1999il tasso di disoccupazione in entrambi i paesi superava il 10%,circa il doppio di Lussemburgo, Portogallo, Paesi Bassi e Au-stria. Entrambi i paesi avevano ed hanno alcune regioni cherientrano negli obiettivi di intervento comunitario attraversol’erogazione di fondi strutturali.È quindi lecito domandarsi se i due paesi, simili per molti aspet-ti, abbiano seguito percorsi di crescita differenti e come questipercorsi abbiano influenzato il processo di convergenza delleregioni più povere. Il tema della convergenza economica intra-nazionale è tuttora al centro del dibattito economico, questostudio non vuole proporre metodi innovativi per affrontarlo, masemplicemente cercare di cogliere, attraverso statistiche de-scrittive, parametriche e non parametriche, quali siano le dina-miche in atto. Da questa prima analisi risulta che i due paesi, ol-tre a mostrare tassi di crescita profondamente diversi, sembra-no seguire anche un processo di convergenza regionale diffe-rente. Per le regioni povere della Spagna è stato più facile cre-scere perché tutto il paese è cresciuto velocemente. In Italia in-vece le regioni più povere del Mezzogiorno continuano ad allon-tanarsi da quello che è il processo di sviluppo complessivo delpaese. Allo stesso tempo alcune regioni del sud relativamentepiù ricche registrano un’accelerazione nella crescita. Mentre laSpagna, nel complesso, ha sfruttato le opportunità offerte daifondi erogati dall’Unione Europea per aumentare i valori di oc-cupazione delle convergence regions, in Italia si registra in ge-nerale un basso livello complessivo di disoccupazione, cheperò rimane ancora elevato nel Mezzogiorno. Queste dinamiche sono confermate sia osservando la distribu-zione territoriale del PIL pro-capite negli anni nei due paesi, sia dastime econometriche della velocità di convergenza sub-naziona-le. La presenza di una forma di bipolarismo nella distribuzione delprodotto pro capite tra le province italiane può fornire indicazionisulla presenza di uno sviluppo a “doppia velocità” dell’economiaitaliana. Le stime econometriche forniscono una conferma dellaminor velocità del processo di convergenza italiano che pare es-sere dovuto a fenomeni di forte polarizzazione territoriale.

Bibliografia

Arbia G e Piras G. (2005). “Convergence in per-capita GDP across Europeanregions using panel data models extended to spatial autocorrelation effects”.Working paper ISAE, n.51.Arbia G, Basile R. e Piras G. (2005). Using Spatial Panel Data in Modelling Re-gional Growth and Convergence”. Working Paper ISAE, n. 55.Armstrong, H. (1995), “Convergence among regions of the European Union,1950-1990”,Papers in Regional Science, Vol. 74, pp. 143-52.Barro, R., Sala-i-Martin, X. (1991), “Convergence across states and regions”,Brookings papers on Economic Activity, Vol. 1, pp. 107-82.Baumont, C., Ertur, C., Le Gallo, J. (2000), “Convergence des régions européen-nes: une approche par l’écométrie spatiale”, Working Paper, n. 2000-03, LA-TEC, University of Burgundy.Fingleton, B. (1999), “Estimates of time to economic convergence: an anlysisof regions of the European Union”, International Regional Science Review, Vol.22, pp. 5-35.Iezzi S. (2006). “La polarizzazione territoriale del prodotto pro capite: un’anali-si del caso italiano sulla base di dati provinciali”, Temi di discussione del servi-zio studi Banca d’Italia, n. 611.IPI e Confindustria (2007). “Check-up Mezzogiorno”, Dosier IPI.Krugman, P. R. (1991), “Increasing returns and economic geography”, Journalof Political Economy, Vol. 99, pp. 483-499.Rey, S. J., Montouri, B. D. (1999), “U.S. regional income convergence: a spatialeconometric perspective”, Regional Studies, Vol. 33, pp. 143-56.

Page 36: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

36

BANCA E IMPRESE: UN GIOCO DI SQUADRA?di Stefano Corona e Corinna Olearo*

La recente letteratura economica è ormai concorde nell’affer-mare che il sistema industriale italiano sia riuscito a emergeredalle difficoltà incontrate nell’ultimo quinquennio, tra le tante: lamaggiore pressione competitiva dei mercati emergenti, la note-vole crescita del valore della nostra divisa, l’aumento dei costidelle fonti energetiche. I dati relativi alla performance delle im-prese nel periodo 2000-20061 confermano questa ripresa nonsolo in termini assoluti - il fatturato estero è cresciuto del 22%,quello domestico del 12% - ma anche con un confronto con leprincipali economie europee - i margini di profitto sono cresciutiin misura superiore a quelli di Francia e Germania.Bisogna certamente dare merito alle singole imprese per la lorotenuta sui mercati internazionali2. Un ruolo non secondario è tut-tavia spettato anche al sistema bancario che ha dato ossigenoal processo di trasformazione industriale, assecondando lenuove esigenze delle imprese. Le banche hanno offerto creditopiù abbondante, a minor costo e di maggiore qualità. Il peso de-gli impieghi sul prodotto interno lordo è cresciuto nell’ultimo de-cennio in media di circa 4 punti percentuali all’anno, acceleran-do nell’ultimo biennio. Negli ultimi 4 anni i prestiti alle impreseinoltre sono cresciuti del 35 percento in Italia, del 23 in Francia esono diminuiti in Germania.L’ampia disponibilità di liquidità e il basso livello dei tassi di interes-se, sia in termini nominali che reali, hanno incentivato lo sviluppodell’attività a lungo termine (grafico 1), risultata in dinamica moltopiù vivace degli investimenti. E le ultime rilevazioni della Bancad’Italia3 confermano la persistenza di questo trend: il credito ban-cario continua a crescere a un ritmo elevato (10,2% sui dodicimesi in agosto), trainato dai prestiti a lunga scadenza (11,2%). Nella fase di stagnazione del ciclo economico (2002-2005), incui le imprese italiane si sono trovate a fronteggiare la spintacompetitiva dei paesi emergenti, il sistema bancario ha assicu-rato il suo sostegno, attraverso l’erogazione diretta di finanzia-menti a lungo termine o tramite l’allungamento delle scadenzedi prestiti già in essere. Quest’ultima circostanza ha datol’opportunità alle imprese di programmare il rientro del debito dipari passo con la ristrutturazione dei processi produttivi e distri-butivi imposti dalla globalizzazione, consentendo, nel contem-po, alle banche di non aumentare il proprio carico di sofferenze. L’aiuto finanziario fornito dal sistema bancario in questi anni èderivato anche da un progressivo consolidamento delle relazio-ni, che ha favorito le imprese che, pur in temporanea difficoltà,vantavano strategie di sviluppo valide e sostenibili. In altri termini,il più stretto rapporto tra banche e imprese ha migliorato la capa-cità di selezione delle prime, tanto che il rapporto tra sofferenze eimpieghi riferito al settore produttivo si è costantemente ridottofino all’odierno minimo del 4,3%. Si può evincere pertanto unaprofonda trasformazione nei processi di valutazione del meritocreditizio: se fino a qualche anno fa questa derivava essenzial-

In questi anni sia le grandi banche, forti di una gamma di of-ferta sofisticata e adeguata alla crescente internazionalizzazio-ne dell’attività delle imprese, sia le banche locali, che sfrutta-no il vantaggio competitivo dato dalla maggiore prossimità conil cliente e dalla radicata conoscenza della struttura economi-co-sociale del territorio, hanno guadagnato quote di merca-to nel credito al settore produttivo. Ciò è avvenuto a scapitodelle banche di medie dimensioni, con operatività a caratte-re prevalentemente regionale o interregionale, meno veloci nel-l’adattarsi ai mutamenti della domanda.Assodata la maggiore disponibilità delle banche a offrire creditoalle imprese, risulta interessante indagare se questa tendenzaabbia beneficiato il tessuto industriale nella sua interezza, oppu-re se abbia agito in maniera discrezionale a seconda delle carat-teristiche dell’impresa.

mente dall’informativa contabile, oggi la decisione sulla conces-sione o meno del finanziamento tiene conto anche di fattori im-materiali, ovvero della potenzialità competitiva dell’impresa ri-conducibile alla tecnologia applicata alla produzione, alla capa-cità di ricerca e innovazione di prodotto, alla qualità delle struttu-re distributive, alla competenza ed esperienza del management.Sotto una diversa prospettiva, è possibile affermare che il pro-cesso di consolidamento in atto nel settore bancario negli ultimi15 anni non ha prodotto, come paventato da molti, un raziona-mento per le imprese, segnatamente PMI. Al contrario, anche aseguito dei dissesti finanziari di alcune grandi imprese all’iniziodegli anni 2000 (Enron, Swiss Air, Parmalat), l’attività creditiziadelle banche italiane si è gradualmente rifocalizzata sulle PMI,che notoriamente costituiscono la struttura portante dell’econo-mia italiana. Il drastico ridimensionamento dell’attività con il largecorporate (specialmente estero) ha annullato la suddivisione defacto dell’attività bancaria, che vedeva i grandi gruppi bancaricome finanziatori della grande impresa, contrapposti alle banchelocali, più vicine alle imprese di dimensione più piccola.

60

50

40

30

20

10

0

Grafico 1: Indebitamento delle imprese in % del PIL

Titoli a breve termine

Fonte: Banca d’Italia

Prestiti bancari a medio e lungo termineTitoli a lungo termine Prestiti bancari a breve termine

1997 1998 20001999 2001 2002 2003 20052004 2006

1- Per un maggiore approfondimento, “Eppur si muove, come cambia l’export italiano”, a cura di A. Lanza e B. Quintieri, Rubettino editore, 2007.

2- A. Lanza e L.Stanca “Segnali di riposizionamento nelle strategie degli esportatori italiani”, Imprese e Territorio N. 1, 2006.

3- Banca d’Italia Bollettino Economico n.50, Ottobre 2007

*Stefano Corona è economista presso l’Ufficio di Industry and Credit Research di intesa Sanpaolo; Corinna Olearo è economista presso l’Ufficio Studi Imprese e Territorio di Intesa Sanpaolo

Page 37: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

37

Questi risultati inducono a diverse riflessioni. La correlazionepositiva tra redditività e dimensione d’impresa è facilmente giu-stificabile dalle caratteristiche proprie delle grandi imprese, cherispetto a quelle minori possono contare su strutture organizza-tive articolate, competenze manageriali complesse, maggiori li-velli di investimenti fissi e patrimonializzazione. Per quanto ri-guarda il minor utilizzo di credito bancario da parte delle grandie micro imprese, bisogna dare due distinte spiegazioni ai rispet-tivi raggruppamenti. Il rapporto banche-grandi imprese ha infat-ti tradizionalmente una storia a sé rispetto a quello delle altre im-prese. Maggiormente orientate all’export, le grandi imprese perrimanere tali devono crescere o perlomeno tenere la propria po-sizione sul mercato domestico come su quello estero. A tal fine,ossia per poter affrontare politiche di internazionalizzazione, ri-

Si ritiene spesso che le imprese minori incontrino problemi di fi-nanziamento più seri rispetto a quelle maggiori4. Le prime, infat-ti, hanno maggiori difficoltà nel dimostrare il proprio merito dicredito: non sottoscrivono contratti con fornitori o clienti pubbli-camente visibili, non emettono titoli negoziabili oggetto di valu-tazione nei mercati ufficiali e non sono seguite regolarmente da-gli analisti. Ulteriore fattore discriminatorio è la minore disponibi-lità di garanzie collaterali che potrebbero proteggere i creditorida eventuali effetti di selezione avversa o moral hazard. Altra caratteristica d’impresa che può ingenerare una sorta dirazionamento da parte delle banche è il livello di innovazione.L’elevata variabilità della profittabilità degli investimenti e lamaggiore rischiosità che caratterizzano un’impresa innovativapossono indurre le banche a limitarne l’offerta di credito. Laquestione, pur ampiamente dibattuta, è stata confermata innumerosi studi5. La presente analisi si pone l’obiettivo diverificare le precedenti considerazioni analizzando i dati dibilancio delle imprese attraverso la misurazione della redditività,della struttura dell’indebitamento e della patrimonializzazioneper dimensione e livello di innovazione.

La dimensione aziendale

A una prima analisi dei principali indicatori di bilancio dell’universodelle imprese manifatturiere italiane (dati CEBI6) emergono risultaticoerenti con la tendenza dei dati macro. Le imprese manifatturieremostrano in generale un miglioramento nella loro posizione finan-ziaria e in particolare un consolidamento nel rapporto banca-im-presa. La struttura patrimoniale delle imprese è diventata negli an-ni più solida: il rapporto tra risorse interne e ricorso al debito si èriequilibrato verso il primo (grafico 2), rendendo le imprese menoesposte alla variabilità della reperibilità delle fonti esterne. A suavolta, l’indebitamento finanziario, in particolare quello bancario, èmigliorato in termini qualitativi data la maggiore incidenza dellescadenza più lunghe (grafico 3); tali evidenze sono segno sia diuna maggiore oculatezza nelle scelte di patrimonializzazione delleimprese, che sembrano aver cominciato a sfruttare fonti di mag-giore stabilità all’interno dell’azienda, sia di un’offerta di credito daparte delle banche che meglio risponde alle esigenze di crescitadel sistema industriale. Disaggregando questi risultati per classidimensionali d’impresa7, la tendenza generale cela in realtà un’e-levata varianza tra i diversi raggruppamenti (Tab 1).Innanzitutto, mano a mano che aumenta la dimensione dell’im-presa, migliore risulta essere la sua performance, sia in terminidi redditività operativa (ROE8) che redditività delle vendite(ROS9). Si nota inoltre che le grandi e le micro imprese ricorronoal debito bancario (in rapporto all’indebitamento finanziario to-tale) in misura inferiore rispetto alle piccole e medie aziende. Infi-ne, risulta che le grandi imprese fanno maggior ricorso al debitobancario a lunga scadenza.

1,6

1,4

1,2

1,0

0,8

0,6

0,4

Grafico 2: Struttura finanziaria (patrimonio netto/debiti finanziari totali)

grandi imprese medie imprese micro imprese piccole imprese

2000 2001 2002 2003 20052004 2006

Fonte: Cebi

50

45

40

35

30

25

Grafico 3: Debiti finanziari LT su totale debiti finanziari

grandi imprese medie imprese micro imprese piccole imprese

2000 2001 2002 2003 20052004 2006

Fonte: Cebi

18,1

17,4

17,3

12,9

ROEMedia 2004-2006

8,0

8,3

8,0

7,4

ROS

26,5

38,1

35,9

27,9

Indeb.Bancario%

42,1

32,7

32,3

34,9

Indeb.Bancario LT%

Tabella 1: Redditività e indebitamento per classe dimensionale d’impresa

Grandi imprese

Medie imprese

Piccole imprese

Micro imprese

Fonte: Cebi

4- The SME financing gap, volume 1, Theory and evidence, OCSE, 2006.

5- Silvia Magri, The financing of small innovative firms: the Italian case, temi di discussione Banca d’Italia 2007, Blass and Yosha (2003), Anghion (2004)

6- Sono stati considerati i bilanci dell’universo delle imprese manifatturiere dal 2000 al 2006.

7- Le imprese considerate appartengono al settore industriale - manifatturiero. Per le finalità dello studio il campione è stato disaggregato per classi dimensionali di fatturato. Sono state individuate quat-tro classi: micro imprese (fino a 2 milioni di fatturato), piccole imprese (da 2 a 10 milioni di fatturato), medie imprese (da 10 a 50 milioni di fatturato), grandi imprese (oltre i 50 milioni di fatturato).

8- Calcolato come rapporto tra utile netto e patrimonio netto

9- Rapporto tra Margine Operativo Lordo e fatturato

Page 38: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

38

strutturazione, rischi di esportazioni in mercati lontani, necessi-tano di investimenti complessi e consistenti. Il credito bancarionon basta, e per questo si rivolgono a fonti alternative, ossia aforme di finanziamento più orientate al mercato - la quotazionein borsa, operazioni di private equity e venture capital. Questerichiedono una struttura di governance molto complessa e co-munque elevati costi organizzativi10 che difficilmente possonoessere sostenuti dalle imprese di minori dimensioni. Da qui laminor quota di debito bancario per le grandi imprese.Queste considerazioni contribuiscono a comprendere l’elevataquota di debito bancario per le imprese di piccole e medie di-mensioni, che rispetto alle grandi risentono di problemi di asim-metrie informative, moral hazard, scarsa notorietà dell’impresaa livello nazionale, assenza di rating, incidenza dei costi fissi diemissione, ecc, tutti elementi di ostacolo all’accesso a fonti al-ternative. Non è dunque solo una questione di diverse esigenzedi finanziamento, ma anche una disponibilità di offerta menoampia. A testimonianza di ciò, diversi studi mettono in luce laquasi assenza di operazioni di venture capital e private equitynei confronti di piccole e medie imprese11.Se per le grandi imprese il minor indebitamento bancario è rivela-tore della possibilità di usufruire di fonti alternative, non si può direaltrettanto per le micro imprese. Piuttosto quest’ultime, risultandomaggiormente razionate dal settore bancario e escluse dal mer-cato dei capitali, ricorrono principalmente a fonti interne12.Altro risultato degno di nota è la maggior componente di debitobancario a lunga scadenza per le grandi rispetto alle piccole emedie imprese, ulteriore segno di maggiore stabilità finanziariadelle prime. È noto, infatti, che un elevato rapporto debito a bre-ve/debito a lungo costituisce un indicatore di fragilità finanziariadal momento che non permette un corretto matching tra le attività(molte delle quali sono a lungo termine se l'impresa vuole investi-re) e le passività (che risultano totalmente a breve termine). Infatti,di fronte a una situazione congiunturale avversa oppure a unoshock settoriale negativo le imprese possono vedersi negato ilrinnovo del debito (che essendo a breve necessita di un continuorinnovo) e trovarsi in improvvisa crisi di liquidità. Il motivo di tale differenza tra le classi dimensionali può essere ri-collegato a quanto detto sulle difficoltà che incontrano le piccole emedie imprese ad accedere a fonti alternative al debito bancario:un finanziamento a lungo rispetto a quello a breve comporta lanecessità di un flusso informativo diretto al creditore piuttosto arti-colato in quanto servono business plan, piani finanziari, analisi dirischio. Tradizionalmente, l’eccessiva esposizione verso passivitàa breve costituisce una caratteristica strutturale delle imprese ita-liane e tuttora la componente a breve termine continua a rappre-sentare una quota maggioritaria del debito finanziario (più del60%); alla luce di questi dati, il graduale aumento di scadenze alungo termine è segno di un’importante variazione di tendenzache sta coinvolgendo il rapporto tra banca e impresa.Al di là di questi aspetti che delineano un ambiente creditizio par-ticolarmente favorevole per le grandi imprese, un segnale chiara-mente positivo proviene dalla convergenza del costo del creditoper le diverse classi d’impresa (grafico 4). Non sorprende tanto ladiminuzione dei tassi d’interesse, che hanno seguito la diminuzio-

ne del tasso ufficiale di sconto, quanto la tendenza a convergeretra le varie classi d’impresa.Fino a pochi anni fa gli oneri finanziari erano particolarmente ele-vati per le imprese di dimensioni minori sostanzialmente per duemotivi: esse dovevano rinnovare ripetutamente prestiti a breveper finanziare investimenti nel lungo periodo; i prestiti di importominore erano più onerosi di quelli di importo maggiore a causa diuna componente fissa significativa dei costi di finanziamento.Sembrerebbe che entrambi i fattori siano venuti meno.

14

12

10

8

6

4

2

0

Grafico 4: Oneri finanziari/debiti finanziari; %

grandi imprese medie imprese micro imprese piccole imprese

2000 2001 2002 2003 20052004 2006

Fonte: Cebi

7,1

31,3

37,8

2,5

8,0

38,1

32,0

2,4

7,9

35,3

31,8

2,7

7,8

27,6

33,5

2,6

8,7

22,9

45,9

2,5

9,0

35,3

35,4

2,5

8,8

33,2

36,7

2,6

6,2

25,8

38,2

2,2

Imprese non innovativeMedia 2004-2006 Imprese innovative

Tabella 2: Redditività e indebitamento

Grandi

ROS

debito bancario

deb bancario LT

costo credito

Medie

ROS

debito bancario, % totale debito

deb bancario LT, % totale debito

costo credito

Piccole

ROS

debito bancario

deb bancario LT

costo credito

Micro

ROS

debito bancario

deb bancario LT

costo credito

Fonte: Cebi

10- Crescita dell’impresa e complessità finanziaria, F. Guelpa in Rapporto banca-impresa in Italia, Bancaria Editrice, 2007.

11- Tra gli altri, Crescita dell’impresa e complessità finanziaria, F. Guelpa in Rapporto banca-impresa in Italia, Bancaria Editrice, 2007.

12- Credito e microimprese nella provincia italiana, Giovanna Morelli, Carocci Editore, 2005.

Page 39: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

39

Le imprese che investono in qualità

Diverse analisi relative alla recente performance dell’industriaitaliana specificano che le imprese che hanno registrato risultatimigliori, in particolare nei mercati internazionali, sono quelle chehanno investito in asset immateriali, ossia quelle imprese chehanno cercato di difendere il proprio prodotto da una concor-renza puramente di prezzo. Risulta allora interessante verificarese questa tipologia d’imprese abbia potuto contare sul suppor-to del sistema bancario e, più in generale, se vi sia uno specificorapporto banca-impresa.Al fine di individuare le imprese che maggiormente hanno effet-tuato investimenti in qualità, brand e innovazione13, il campioneè stato suddiviso in imprese che effettuano investimenti in im-mobilizzazione immateriali (in rapporto al totale attivo) in misurasuperiore alla media per classe d’impresa (Tabella 2).Non sorprende che all’interno di tutte le classi d’impresa, le im-prese più innovative sono quelle che hanno registrato una reddi-tività più elevata (ROS), a conferma che il miglioramento qualita-tivo dei prodotti è una strategia vincente per l’impresa.Per quanto riguarda il rapporto con le banche, risulta che le im-prese innovative presentano una minor quota di indebitamentobancario e una maggiore consistenza di credito a lungo termi-ne. Il primo aspetto, può essere interpretato sia come sceltadelle imprese innovative di fare ricorso a forme alternative al cre-dito bancario, sia come minore propensione delle banche aconcedere prestiti alle imprese innovative. Data l’ampia disponi-bilità di fonti di credito per le grandi imprese, sembrerebbe piùprobabile che queste, a fronte di investimenti più complessi,facciano maggiore ricorso al mercato dei capitali. È probabileinvece che le banche, nel concedere credito alla imprese di di-mensioni minori, preferiscano quelle che intraprendono in misu-ra minore investimenti potenzialmente rischiosi. Queste ultime,pertanto, faranno maggiore ricorso a fonti interne14.Il maggiore ricorso a debiti a lungo termine, infine, non solo risul-ta coerente con la necessità delle imprese innovative di effettua-re investimenti a lungo termine, ma mette in luce la disponibilitàdelle banche a offrire credito a diversa scadenza a seconda del-le esigenze delle imprese.

Conclusioni

Per quanto persistano differenze tra le classi dimensionali, questevanno assottigliandosi e le banche hanno supportato l’industriacon un credito a buon mercato, abbondante e di migliore qualità. Negli ultimi mesi, tuttavia, lo scenario rischia di mutare e i vinco-li di liquidità si fanno più stringenti. Le banche devono pertantocontinuare a dare respiro a questo circolo virtuoso selezionandoal meglio i propri interventi senza innescare un razionamento in-differenziato del credito e agendo in maniera sinergica agliobiettivi di fondo del paese. È importante lavorare per rimuoverequei vincoli strutturali che ancora caratterizzano le imprese,consentendo l’accesso a strumenti per rafforzarsi nel nuovoscenario competitivo. I margini riguardano soprattutto il vincolofinanziario alla crescita, dal punto di vista dimensionale e dellacapitalizzazione (ancora inferiori alla media europea).

Le imprese, dalla loro parte, devono proseguire il cambiamentostrutturale avviato negli ultimi anni. Se le istituzioni e il sistemacreditizio agiranno in uno spirito di sistema alle imprese non re-sterà che fare le imprese, mantenendo alto il clima degli investi-menti, proseguendo la crescita dimensionale, la ricerca dellaqualità e del presidio dei nuovi mercati.

13- D’ora in avanti distingueremo questo raggruppamento con il termine di “imprese innovative”.

14- Silvia Magri, “The financing of small innovative firms: the Italian case”, temi di discussione Banca d’Italia

Page 40: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

40

IL TASSO DI CAMBIO E LA SPECIALIZZAZIONE PRODUTTIVAdi Cristina Pensa*

Il tasso di cambio

Dal 2001 l’euro ha iniziato a rafforzarsi nei confronti del dollaro,la principale valuta per gli scambi internazionali, e nel corso del2003 si è apprezzato quasi del 20 per cento rispetto a esso(+19,94, grafico 1). Nello stesso periodo, un apprezzamentodella stessa entità si è realizzato anche nei confronti della valutacinese, e, in misura inferiore, dello yen (+11,4 per cento) e dellasterlina inglese (+10 per cento). Soltanto nel 2005 l’euro si è leg-germente svalutato, sebbene con ritmi diversi, nei confronti del-le principali valute (a eccezione dello yen). Dal 2006 è ripresa in-vece la fase di rivalutazione della moneta unica nei confronti del-la moneta giapponese, dello Yuan1 e del dollaro. Da più parti, voci rilevanti nel panorama economico-politico eu-ropeo sostengono l’esperienza di separare la responsabilitàdella Banca Centrale europea per il controllo dell’inflazione tra-mite la politica monetaria dagli effetti di questa sul cambio del-l’euro, il cui livello deve invece rispondere alla necessità di so-stenere la crescita, la protezione dell’industria dalle politichemercantiliste di altri stati e l’occupazione. La preoccupazionesorge in quanto è difficile essere liberisti in un mondo provata-mente mercantilista. Sebbene sia giusto che anche l’Europaconduca una attiva politica del cambio come americani, giap-ponesi, cinesi, coreani, brasiliani, indiani, insomma tutti i paesiche contano sulla scena economica, hanno finora fatto, lo sco-po non deve però essere esclusivamente il sostegno della do-manda estera europea, ma l’equità: l’euro non deve essere lasola variabile di aggiustamento dell’intero equilibrio monetarioglobale. Il rafforzamento dell’euro, avvenuto in questi ultimi anni,se da una parte aiuta i paesi europei importatori netti di petrolioe delle commodity in genere a mitigare il costo delle importazio-ni di materie prime energetiche e non, le cui quotazioni sono au-mentate nello stesso periodo di oltre il 50 per cento, dall’altra ènegativo per la continua perdita di competitività degli esportato-ri europei, ove si assuma che gli esportatori trasferiscano com-pletamente la variazione del tasso di cambio ai prezzi all’espor-tazione espressi in valuta straniera. In realtà, l’evidenza empiricanon avvalora questa tesi. Un’altra riflessione riguarda il contesto internazionale nel qualegli esportatori del 21° secolo devono operare ovvero un mondoche sta cambiando così repentinamente e profondamente in cuinon valgono le regole che valevano quindici anni fa, quindi inquesta nuova realtà un apprezzamento così sostanzioso, glo-

bale (nei confronti delle principali valute di riferimento) e duraturonon avrà come risultato certo una caduta delle esportazioni cheinvece potrebbero anche rimanere a livelli elevati per diversi mo-tivi (bravura degli imprenditori-esportatori, potere di mercato emaggiore specializzazione produttiva).Gli esportatori, infatti, non trasferiscono sui prezzi all’espor-tazione espressi in moneta del paese importatore la loro per-dita di competitività, in quanto in generale cercano piuttostodi compensarla, almeno, inizialmente, intaccando i loro mar-gini di profitto2. La mancanza del completo trasferimento dell’apprezzamentodel cambio fa sì che il miglioramento delle ragioni di scambionon sia automatico e che quindi l’effetto positivo via reddito di-sponibile3 non sia garantito. Inoltre, l’aggiustamento del profittoin funzione dell’apprezzamento del cambio sotto determinatecondizioni si può anche protrarre per un lungo periodo: se ilmark-up così garantito è più che sufficiente a compensarel’imprenditore, se i competitor non hanno altri strumenti di con-correnza che il prezzo e se l’imprenditore-esportatore penaliz-zato dal cambio riesce a migliorare qualitativamente e a specia-lizzarsi sui prodotti nei quali ha un potere di mercato forte. Un modo più semplice per limitare il problema della perdita dicompetitività è quello di vendere direttamente in euro, non soloperché in genere è molto arduo vendere nel Nord America o nelMessico con una valuta che si apprezza continuamente, ma an-che perché una volta fissati i prezzi in dollari questi sono sogget-ti ad un continuo deprezzamento e quindi i ricavi convertiti in eu-

*Cristina Pensa è economista presso il Centro Studi Confindustria

1- La recente rivalutazione dello Yuan è poca cosa rispetto al deprezzamento del recente passato e alle cospicue riserve valutarie accumulate in questi anni da Pechino, a causa anche del regime di cam-bio fisso, solo recentemente cambiato, che ancorava la moneta cinese al dollaro. Inoltre questa fase di leggera svalutazione appare essere terminata (nei primi mesi del 2007 l’euro ha continuato ad ap-prezzarsi nei confronti della moneta cinese).

2- In questo caso intaccare i margini di profitto significa non far aumentare il profitto della stessa entità dell’apprezzamento del cambio. Ovviamente il grado di pass-through varia a seconda del prodot-to esportato e a seconda del mercato di destinazione, dipendendo dai competitor che gli esportatori nazionali si trovano a fronteggiare. Il completo o parziale trasferimento della variazione del tasso dicambio dipende anche molto dal potere di mercato che gli esportatori detengono per quello specifico prodotto esportato e in quel determinato mercato di destinazione.

3- L’impatto positivo sul reddito disponibile dell’apprezzamento del cambio è dovuto anche al contenimento dell’inflazione che tende ad accrescere il reddito reale.

160

150

140

130

120

110

100

90

80

Grafico 1: Andamento dei tassi di cambio a confronto (2001=100)

Dollaro verso Euro Sterlina verso Euro Renminbi verso Euro Yen verso Euro

2001 2002 2003 20052004 2006 2007

Fonte: nostre elaborazioni su dati FMI

Page 41: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

41

ro nei bilanci aziendali risultano, nella maggior parte delle volte,molto più bassi di quelli attesi. L’area dell’euro, in cui non sonopresenti i problemi di conversione, non è l’unico mercato in cui lamoneta principalmente usata nelle contrattazioni internazionali èl’euro; la moneta europea si sta affermando con forza anche inaltre realtà economiche, prima fra tutte l’Europa centro-orientale(dove più del 90 per cento delle transazioni commerciali vengonofatturate in euro); segue la Turchia con una percentuale legger-mente al di sotto (80 per cento), e la stessa OPEC, dove la mo-neta unica sta diventando la preferita (più del 70 per cento degliscambi internazionali vengono trattati in euro e il resto in dollari);infine anche nell’EFTA4 l’euro si sta affermando, decisamente,con una quota appena al di sotto dell’80 per cento.

I mercati

Quali sono i nostri principali mercati di destinazione?La geografia delle nostre esportazioni è in continua evoluzione ecambia seguendo i paesi più dinamici, nei quali la domandaestera si sta rafforzando. L’Europa continua ad essere il nostromercato di destinazione preferenziale, essendo indirizzato ver-so di esso il 70 per cento delle nostre esportazioni (tab. 1). Alsuo interno però nel corso degli ultimi 15 anni si è ridotto note-volmente il peso dei paesi appartenenti alla vecchia Unione Eu-ropea a 15, passando dal 63,3 per cento del 1991 al 52 percento del 2006. Nello stesso periodo i nuovi entranti e tutti gli al-tri paesi dell’Europa centro-orientale hanno triplicato il loro pe-so, passando dal 4,1 per cento al 12,5 per cento nel 2006. Dal2000, le esportazioni italiane verso i paesi dell’Europa centro-orientale non hanno mai smesso di crescere e, dal 2004, annoin cui la maggior parte dei paesi dell’aggregato sono entrati a farparte dell’Unione Europea, le relazioni commerciali di questipaesi con l’Italia si sono intensificate. Il continente americano haconsolidato rafforzando la domanda per i prodotti italiani;

l’incremento si è equamente distribuito tra i paesi sviluppati delNord-America e quelli in via di sviluppo del centro-sud. Sonoaumentate anche le quote delle esportazioni italiane nel conti-nente asiatico, anche tale incremento non è stato rilevante co-me ci si poteva aspettare, dal momento che l’Asia Orientalecomprende la Cina che rappresenta il terzo importatore mon-diale. Rilevante è l’incremento della domanda medio-orientale edella Asia centrale, sebbene essa copra ancora una quota tra-scurabile degli scambi internazionali italiani.

L’EuropaI nostri partner storici, Germania, Francia e Regno Unito (tab. 2)hanno un ruolo predominante nelle nostre esportazioni, ma il lo-ro peso, negli ultimi quindici anni, si è ridotto notevolmente: nel2006, ad esempio, la Spagna ha superato il Regno Unito. Inparticolare la Turchia, la Polonia, la Romania e in misura supe-riore la Federazione Russa hanno raggiunto, e nel caso dell’ulti-ma superato, il 2 per cento delle esportazioni italiane mondiali.Nel 1991 la Romania occupava appena lo 0,15 per cento delleesportazioni italiane nel mondo, la Polonia lo 0,5, la Russia lo0,7 e infine la Turchia l’1 per cento. Il dato rilevante da tenere inconsiderazione riguarda il fatto che negli ultimi anni l’area del-l’Europa centro-orientale ha ricoperto un ruolo rilevante perl’economia dell’Italia, sebbene i singoli paesi che ne fanno partericoprano un peso ancora trascurabile. Ovviamente in tutti que-sti mercati la valuta usata quasi esclusivamente è l’euro; in que-sto caso per i produttori italiani è più semplice valutare l’intensità

4- Nel Nord America e nel Messico il dollaro americano monopolizza tutti i contratti (in particolare in Messico il 100 per cento delle transazioni avvengono in dollari). Nel caso del continente asiatico la si-tuazione è variegata, ovvero in Giappone, nei NICS e in India c’è una netta predominanza dell’euro come valuta di contrattazione, mentre in Cina continua ad essere preferita la moneta degli Stati Uniti,sebbene il suo primato sia ormai esiguo (il 55 per cento delle contrattazione avvengono in dollari e il resto in euro).

73,85

63,30

4,14

6,41

4,35

10,05

7,71

2,35

10,61

3,78

0,47

6,36

1991

69,50

55,45

7,94

6,11

3,50

15,09

11,14

3,95

10,58

3,31

0,66

6,61

2000

71,61

51,95

12,52

7,15

3,88

11,41

8,38

3,03

11,79

4,16

1,15

6,48

2006

Tabella 1: Quote delle esportazioni italiane nei principali continenti(rispetto al mondo)

Europa

Unione Europea a 15

Europa centro-orientale

Altri paesi europei

Africa

America

America settentrionale

America Centro-meridionale

Asia

Medio Oriente

Asia Centrale

Asia orientale

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

20,99

15,19

5,11

6,66

4,20

3,40

2,52

3,15

0,68

0,49

1,05

1,83

0,15

1,54

1,08

0,36

58,00

1991Paese*

15,19

12,75

6,28

6,93

3,31

2,77

2,23

2,67

0,97

1,48

1,78

2,08

1,03

1,39

1,01

0,93

46,70

2000

13,14

11,69

7,23

6,04

3,89

2,88

2,45

2,39

2,34

2,10

2,07

1,99

1,69

1,10

1,07

0,99

44,02

2006

Tabella 2: Quote delle esportazioni italiane in Europa

Germania

Francia

Spagna

Regno Unito

Svizzera

Belgio

Austria

Paesi Bassi

Federazione Russa

Polonia

Turchia

Grecia

Romania

Portogallo

Svezia

Ungheria

Area Euro

*Ordinati in senso decrescente rispetto alla quota 2006

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Page 42: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

42

della potenziale flessione dei margini di profitto a favore dellacompetitività, in quanto non c’è il passaggio intermedio dovutoal cambio con la valuta di turno relativa al paese importatore.In generale da questi dati emerge un quadro in cui nei paesi piùdinamici e di nuova industrializzazione gli esportatori italianiguadagnano quote di mercato, mentre nei partner storici si per-dono quote di mercato in misura superiore a questi guadagni.

L’AmericaL’America nel suo complesso rappresenta meno del 12 per centodelle esportazioni italiane nel mondo. La concentrazione dei pro-dotti italiani è praticamente tutta negli Stati Uniti, che coprono piùdel 66 per cento delle esportazioni italiane verso il continente ame-ricano. Il Canada rappresenta meno dell’1 per cento rispetto almondo, mentre sono raddoppiate le esportazioni verso il Messico,per cui sembra che i prodotti italiani venduti nel mercato siano sta-ti immuni dalla continua e recente rivalutazione dell’euro (tab. 3). Èrilevante constatare che è il dollaro americano l’unica valuta usataper le contrattazioni internazionali in Messico, mentre nell’areaMercosur di cui fa parte il Brasile l’euro è riuscito a strappare il pri-mato al dollaro come valuta di riferimento. Gli esportatori italiani inMessico per consolidare e rafforzare la loro presenza potrebberoaver messo in atto sia una strategia dei prezzi volta a traslare sulmark-up tutta la perdita di competitività dovuta al cambio, oppureè possibile che, in forza del loro potere di mercato, abbiano potutospuntare prezzi più elevati rispetto ai concorrenti. Per cercare di di-rimere la questione è necessario considerare quale tipologia diprodotti gli italiani esportano e quali sono i loro competitor.

6,89

0,82

0,39

0,54

0,28

0,31

0,11

0,04

0,00

0,07

1991Paese*

10,24

0,90

0,70

0,95

0,42

0,29

0,17

0,06

0,12

0,09

2000

7,55

0,83

0,79

0,68

0,23

0,21

0,14

0,13

0,12

0,10

2006

Tabella 3: Quote delle esportazioni italiane in America

Stati Uniti

Canada

Messico

Brasile

Argentina

Venezuela

Cile

Antille Olandesi

Bermuda

Colombia

*Ordinati in senso decrescente rispetto alla quota 2006

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

L’AsiaLe esportazioni italiane verso il continente asiatico si sono intensifi-cate nel corso degli ultimi quindici anni e la quota dei prodotti italia-ni indirizzati al continente asiatico è passata dal 10,6 del 1991all’11,8 per cento del 2006. All’interno dell’Asia c’è stata una riallo-cazione degli scambi commerciali (tab. 4): negli ultimi dodici anni leesportazioni italiane verso il Giappone si sono ridotte di quasi unpunto percentuale, mentre è aumentata, anche se solo di un pun-to percentuale, la quota delle esportazioni italiane verso la Cina.Anche i paesi esportatori netti di petrolio, tra cui gli Emirati Arabi, inmisura maggiore, e l’Arabia Saudita hanno incrementato la lorodomanda di prodotti italiani. In quest’ultimo caso due fattori hanno

I settori

Quali sono i nostri settori vincenti all’estero? I prodotti italiani maggiormente richiesti nei tre continenti (Euro-pa, Asia e America) sono in ordine di importanza: macchine eapparecchi meccanici, prodotti dell’industria tessile e dell’abbi-gliamento, mezzi di trasporto, macchine elettriche, elettronicheed ottiche. La distribuzione tra i principali mercati di destinazio-ne cambia sia a seconda del continente di appartenenza che aseconda del grado di sviluppo del paese in questione. In tutti e tre i continenti le macchine e gli apparecchi meccanicihanno il primato come bene maggiormente esportato, con quo-te che mediamente superano il 20 per cento.

AsiaLa richiesta maggiore delle macchine e apparecchiature mec-caniche proviene dall’Asia, che copre una quota media5 pari al28,4 per cento. I principali paesi importatori sono la Cina, con

influito sul miglioramento delle esportazioni italiane nei paesi OPECin generale e negli Emirati Arabi e in Arabia Saudita in particolare:l’aumento consistente e repentino del reddito pro-capite e la su-premazia dell’euro come valuta di fatturazione. L’euro rappresentaanche la moneta di riferimento negli scambi internazionali adHong-Kong. La Cina, invece, preferisce considerare come valutadi fatturazione il dollaro, anche perché fino al 2005 vigeva un regi-me di cambio fisso tra la moneta cinese e la valuta americana. Laquota che le esportazioni italiane hanno nei confronti del terzo im-portatore mondiale, la Cina, appare trascurabile (al di sotto del 2per cento). Il fatto che anche per la Corea del Sud e Singapore gliscambi con l’Italia non siano decollati, anzi siano diminuiti nel cor-so degli ultimi anni (l’intenso sviluppo tecnologico che il loro grandevicino ha avuto, la Cina, il loro stesso cambiamento a livello di mo-dello di specializzazione che li ha portati ad essere meno dipen-denti dai paesi sviluppati occidentali), suggerisce che il fenomenosia nel complesso legato anche all’intensificazione degli scambi in-tra-area, molto diffusa all’interno del continente asiatico. L’India,l’altro gigante asiatico, definito l’ufficio del mondo per la sua voca-zione terziaria piuttosto che industriale ha invece più che raddop-piato la sua domanda di beni italiani. La domanda estera indiana èstata sostenuta principalmente dal notevole incremento che il red-dito pro capite ha avuto negli ultimi dodici anni.

1,19

2,12

0,76

1,64

0,81

0,93

0,37

0,38

0,74

1994Paese*

0,91

1,67

0,67

1,26

0,60

0,70

0,39

0,32

0,62

2000

1,74

1,37

1,01

0,98

0,74

0,68

0,66

0,56

0,53

2006

Tabella 4: Quote delle esportazioni italiane in Asia

Cina

Giappone

Emirati Arabi Uniti

Hong Kong

Arabia Saudita

Corea del Sud

India

Iran

Singapore

*Ordinati in senso decrescente rispetto alla quota 2006

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Page 43: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

43

una quota superiore al 50 per cento (54 per cento), e la Coreadel Sud (26,6 per cento, tab. 5). È importante rilevare che laquota di esportazioni italiane di macchine e apparecchiaturemeccaniche in Cina è diminuita di più di 20 punti percentuali nelcorso degli ultimi dodici anni, passando da una quota superioreal 67 per cento del 1994 ad una appena superiore al 44 percento nel 2006. Dal momento che la riduzione è stata continuae ininterrotta dal 1994, periodo in cui non c’era ancora l’euro, laperdita di quote di mercato non è imputabile all’apprezzamentodegli ultimi anni rispetto al dollaro, quindi l’erosione della quotava ricercata in altre determinanti. I due principali fattori che po-trebbero spiegare tale andamento sono: i) il salto che hanno fat-to quasi tutti i paesi di nuova industrializzazione sulla frontieratecnologica, specializzandosi in tempi rapidi in produzioni relati-vamente qualificate; ii) il frutto di un processo di delocalizzazio-ne attuato dai più importanti produttori italiani, con l’obiettivo diridurre i costi di trasporto e sfruttare i vantaggi economici che ilgoverno e la struttura economica cinese mettono a disposizio-ne degli investitori stranieri. Un altro fattore da considerare è laredistribuzione del commercio internazionale che è in atto nel-l’area asiatica (nell’ultimo ventennio il commercio intra-area èpiù che raddoppiato). L’Unione Europea, che rappresentava ilpiù importante fornitore cinese fino alla metà degli anni 80, nel2006 ha perso il suo primato, e nello stesso tempo i paesi asia-tici hanno più che raddoppiato il loro peso come fornitori dellaCina, passando dal 16,7 per cento del 1985 a quasi il 38 percento del 2005. Contemporaneamente alla perdita di quote dimercato delle macchine e apparecchiature meccaniche italianein Cina altri prodotti italiani, che rientrano soprattutto nei settoritradizionali (tra cui cuoio, abbigliamento e prodotti in metallo),hanno invece guadagnato quote di mercato. Anche negli altriprincipali mercati di destinazione asiatici, Corea del Sud eHong-Kong, gli esportatori italiani di macchine e apparecchimeccanici hanno perso quote di mercato (l’unica eccezione èrappresentata dal Giappone nel quale i fornitori italiani hannomantenuto costante la loro quota). Il secondo settore in ordine di importanza per le esportazioniitaliane nel continente asiatico è quello tradizionale delle indu-strie tessili e dell’abbigliamento, che rappresentano quasi il 13per cento delle esportazioni italiane nel continente asiatico. Ilprimo acquirente italiano dei prodotti tessili e dell’abbigliamen-to è il Giappone, con una quota pari al 30,7 per cento, seguonoHong-Kong (23,8 per cento) e Corea del Sud (18,9 per cento).Anche nel caso dei prodotti tessili e dell’abbigliamento la quotadetenuta dagli esportatori italiani nei confronti del Giappone edella Corea del Sud si è ridotta negli ultimi dodici anni; in parti-colare la riduzione è stata particolarmente imponente per i pri-mi (11 punti percentuali) e più contenuta per i secondi (3 puntipercentuali). Degno di nota è l’effetto positivo in termini di pesodelle esportazioni italiane dell’abbigliamento verso Hong-kong(gli esportatori italiani hanno guadagnato quote di mercatopassando dal 24 per cento nel 1994 al 26,3 nel 2006). La quo-ta verso la Cina, sebbene aumentata negli ultimi dodici anni(dal 2,2 per cento al 4,1 nel 2006), ha subito una riduzione ri-spetto al picco raggiunto nel 2000.Il terzo prodotto in ordine di importanza nel mercato asiatico so-no le macchine ed apparecchiature elettriche, elettroniche ed

ottiche; la quota più rilevante è detenuta in Cina (11 per cento),mentre negli altri paesi considerati - Corea del Sud e Hong-Kong - la quota italiana si aggira intorno al 10 per cento. È inte-ressante notare che soltanto ad Hong-Kong la posizione degliesportatori italiani di macchine e apparecchiature elettriche si èconsolidata nel tempo, passando da una quota del 6,4 per cen-to nel 1994 al 12,4 nel 2006; negli altri due paesi, Cina e Coreadel Sud, sebbene la quota delle esportazioni sia aumentata nelcorso del tempo dal 2000 si è assistito ad una continua se purleggera riduzione.

5- Per quota media si intende quella calcolata negli anni presi in considerazione in questa analisi: 1994/1995/1999/2000/2006.

9,83

30,69

5,89

7,68

MerceGiappone

Media annua*

53,97

4,46

11,24

4,34

CinaMedia annua*

13,40

23,78

10,10

1,81

Hong-KongMedia annua*

26,58

18,88

10,03

3,15

Corea del SudMedia annua*

Tabella 5: Quote settoriali delle esportazioni italiane nel continente asiatico

Macchine e apparecchi meccanici (DK)

Prodotti dell'industrie tessile edell'abbigliamento (DB)

Macchine elettriche ed apparecchiatureelettriche, elettroniche

ed ottiche (DL)

Mezzi di trasporto (DM)

*1994/95/99/00/06

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT

L’AmericaNel continente americano il settore delle macchine e apparecchimeccanici rappresenta la quota maggiore delle esportazionisettoriali italiane (22,2 per cento, tab. 6). Il Brasile è il paese delcontinente con la quota più elevata (32,1 per cento), seguono ilCanada (25,7) e gli Stati Uniti (17,6). Il settore delle macchine eapparecchi meccanici sembra essere un settore vincente per-ché nei tre principali mercati di destinazione americani la quotanon solo si è sempre mantenuta ad elevati livelli, ma in Brasile ein Canada si è anche rafforzata (nel primo la quota è passata dal28 per cento nel 1994 al 35 nel 2006).I mezzi di trasporto sono il secondo prodotto in ordine di impor-tanza per il mercato americano, con una quota inferiore al primo(14,3 per cento). I produttori italiani di mezzi di trasporto hannotrovato nel Brasile, come il primo settore considerato, il princi-pale acquirente americano. La quota brasiliana delle esporta-zioni italiane di mezzi di trasporto sebbene sempre elevata hasubito una riduzione cospicua e continua dal 1994, passandodal 42 per cento al 15 per cento nel 2006. Tale contrazione nonpuò essere assolutamente attribuita all’apprezzamento dell’eu-ro in quanto è precedente al suo avvento, ed è sicuramente inparte imputabile alla delocalizzazione produttiva avvenuta daparte delle principali imprese italiane del settore e in parte allasostituzione dei fornitori italiani da parte di altri economicamen-te più vantaggiosi. Negli altri due paesi Canada e Stati Uniti, laquota si è consolidata nel tempo sebbene non abbia mai rag-giunto i picchi brasiliani (7 e 14 per cento rispettivamente).

Page 44: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

44

17,57

11,47

12,99

8,92

9,80

MerceStati Uniti

Media annua*

32,07

25,3

2,68

11,64

3,00

BrasileMedia annua*

25,74

5,3

6,42

9,03

9,34

CanadaMedia annua*

Tabella 6: Quote settoriali delle esportazioni italiane nel continente americano

Macchine e apparecchi meccanici (DK)

Mezzi di trasporto (DM)

Altri prodotti delle industrie

manifatturiere (DN)

Macchine elettriche ed apparecchiatureelettriche, elettronicheed ottiche (DL)

Prodotti dell'industrie tessile edell'abbigliamento (DB)

*1994/95/99/00/06

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT

L’EuropaAnche per l’Europa le macchine e gli apparecchi meccanici so-no i prodotti italiani maggiormente richiesti, con una quota pros-sima al 18 per cento (tab. 7). Nella maggior parte dei principalipaesi europei di destinazione dei prodotti italiani la quota nell’ul-timo decennio si è mantenuta pressoché costante, mentre inve-ce in Belgio, in Svizzera e in Spagna, in misura ancora maggio-re, ci sono state perdite di quote di mercato rilevanti. Le perditesi sono iniziate a rilevare nel biennio 1999-2000, e si sono acui-te negli ultimi anni (soprattutto in Spagna). La indubbia perdita dicompetitività relativa rispetto ai possibili concorrenti non euro-pei (che utilizzano una valuta di fatturazione debole e quindi piùeconomica) che la moneta europea ha subito negli ultimi quat-tro anni può spiegare in parte la riduzione delle quote in quei de-terminati paesi, ma potrebbe essere anche il frutto del cambia-mento profondo e repentino che ha contraddistinto il commer-cio internazionale: la delocalizzazione produttiva, l’emergere dinuovi attori altamente competitivi e specializzati nella scena in-ternazionale, come la Cina. I mezzi di trasporto sono il secondoprodotto in ordine di importanza; tale prodotto risulta vincente in

quanto nella maggior parte dei paesi europei le quote si sonoconsolidate e rafforzate specialmente in Austria, Spagna, Re-gno Unito e Germania. In Francia e nei Paesi Bassi la quota deimezzi di trasporto italiani è rimasta costante negli ultimi dodicianni, ma nel biennio 1999-2000 ha subito un incremento perpoi ritornare ai livelli della metà degli anni 90.Il terzo prodotto, beni delle industrie tessili e dell’abbigliamento,è diminuito nella maggior parte dei principali paesi europei adeccezione della Svizzera e dei Paesi Bassi. La riduzione più co-spicua è avvenuta in Germania e in Austria, dove la quota negliultimi dodici anni si è dimezzata passando rispettivamente dal16 per cento del 1994 all’8 per cento del 2006 e dal 14 per cen-to al 7 percento. Tale perdita di quote non è imputabile all’euroforte in quanto il declino è antecedente alla nascita della monetacomune. Quindi le cause vanno imputate alle già citate possibi-li spiegazioni (vedi sopra).

Osservazioni conclusive

I settori che resistono e si consolidano nel tempo come impor-tanti trainanti dell’offerta internazionale italiana sono concentratisoprattutto nel raggruppamento ad elevata intensità di ricerca esviluppo o a offerta specializzata, mentre gli altri, soprattuttoquelli tradizionali, perdono potere principalmente tra i loro clientistorici, i paesi europei, e invece consolidano la loro posizionenei paesi in via di sviluppo. Da una prima analisi dei dati emergeche la continua rivalutazione del cambio non ha indebolito la po-sizione italiana, perché anzi in alcuni settori e per determinatimercati di destinazione essa si è invece consolidata proprio nelmomento di massima rivalutazione. In un mondo in cui i compe-titor cambiano molto velocemente sia in termini di paesi che diprodotti, sembrerebbe che la variabile tasso di cambio abbia unruolo, almeno di impatto, più ridimensionato e meno potente ri-spetto al passato.Da una prima analisi dei dati sembrerebbe quindi che l’elasticitàdella domanda dei prodotti italiani al prezzo si sia ridotta negli ul-timi anni rispetto a quella degli anni ottanta. Un modo di forniremaggiore robustezza empirica a queste prime conclusioni - ov-vero di sviluppare ulteriormente questa analisi- è naturalmentequello di effettuare un esercizio econometrico che metta a con-fronto le due elasticità nelle diverse fasi considerate (in partico-lare i primi anni ottanta e gli ultimi dieci anni).

16,50

13,64

9,60

7,64

11,30

11,70

5,53

15,65

10,98

10,72

18,90

7,74

6,74

6,69

12,53

7,82

12,06

15,69

9,42

8,49

8,23

16,11

11,25

10,86

8,14

12,89

7,17

6,04

22,01

12,46

10,02

9,80

11,93

9,94

3,79

18,79

14,53

10,24

7,72

8,21

10,83

6,64

15,16

13,17

12,66

8,11

10,84

9,43

5,89

16,41

10,40

10,72

11,16

9,01

12,35

5,64

Tabella 7: Quota settoriale delle esportazioni italiane nel continente europeo

Macchine e apparecchi meccanici (DK)

Mezzi di trasporto (DM)

Prodotti dell'industria tessile e dell'abbigliamento (DB)

Prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (DG)

Metalli e prodotti in metalli (DJ)

Macchine elettriche ed apparecchiature elettriche,

elettroniche ed ottiche (DL)

Altri prodotti delle industrie manifatturiere (DN)

*1994/95/99/00/06

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT

MerceFrancia

Media annua*Belgio

Media annua*Svizzera

Media annua*Austria

Media annua*Spagna

Media annua*Regno Unito

Media annua*Germania

Media annua*Paesi Bassi

Media annua*

Page 45: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

45

INNOVARE NELL’INDUSTRIA CHIMICA ITALIANAa cura di Federchimica, Direzione Centrale Analisi Economiche - Internazionalizzazione

Formule organizzative per una ricerca strutturata

Questo articolo prende spunto da un’indagine condotta da Fe-derchimica (Federazione Nazionale dell’Industria Chimica) sul-l’innovazione nelle imprese di chimica fine e specialistica1. Lachimica fine e specialistica è quel settore della chimica che ac-quistando le materie prime dalla chimica di base le trasforma inuna grande varietà di intermedi impiegati nei settori industriali. Inquesto settore assumono quindi rilevanza non tanto le dimen-sioni degli impianti, che nella maggior parte dei casi sono ridot-te, ma piuttosto la capacità di soddisfare le necessità dei clienti. Si ritiene che i motivi di interesse per questa analisi al di fuori del-l’ambito chimico possano essere connessi a due fattori. Innan-zitutto, l’impresa chimica, per sua natura (cambiare la materia),deve fare innovazione di prodotto e farla sempre più basata sul-la ricerca. Per questo motivo analizzare le dinamiche dell’inno-vazione e gli aspetti organizzativi di questa impresa può fornireindicazioni valide - prima o poi - anche per gli altri settori mani-fatturieri italiani. In secondo luogo il compartimento analizzatoha uno strettissimo legame con il made in Italy. Di fatto, buonaparte dell’innovazione tecnologica di prodotto nei settori utilizza-tori nasce dall’utilizzo innovativo di sostanze e prodotti chimici.Di più, ciò vale in particolare attraverso una partnership con im-prese chimiche italiane o con impianti presenti in Italia. E questoperché le esigenze espresse dai distretti industriali e dalle PMIitaliane sono quasi sempre molto particolari e trovano rispostepiù aderenti alle loro necessità in chi vive lo stesso modello di im-presa. Di conseguenza i processi innovativi chimici sono deter-minanti nel guidare il made in Italy verso il necessario sposta-mento nella direzione dell’innovazione di prodotto, come prere-quisito per mantenere una base produttiva nel nostro Paese. Da qui anche la centralità della chimica fine e specialistica nellepolitiche industriali, in particolare nella Priorità “Nuove Tecnolo-gie per il made in Italy” in fase di avvio all’interno dell’iniziativa“Industria 2015” del Ministero dello Sviluppo Economico. Il campione dell’Indagine è costituito da un ampio numero di im-prese con capitale a maggioranza italiano. Si è deciso di esclu-dere le multinazionali estere in quanto i risultati potrebbero es-sere distorti e fuorvianti qualora l’attività di ricerca e innovazionesia sviluppata all’estero o comunque siano in essere progettiche coinvolgono diverse filiali. Diversamente da quanto spessosi pensi, la chimica non è caratterizzata solo da imprese di grandidimensioni. Anzi nei settori della chimica fine e specialistica pre-valgono le piccole imprese: nel campione il 61% delle imprese hameno di 50 addetti. L’Indagine è avvenuta attraverso una serie diinterviste telefoniche con i responsabili della ricerca e innovazionein azienda, e si è avvalsa di una serie di domande chiuse e aperte. In un contesto sempre più attento alle tematiche relative all’in-

novazione è di grande interesse analizzare il caso della chimica.Le valutazioni e i risultati che seguono possono fungere daspunti di riflessione per l’intero sistema industriale.L’industria chimica è un’industria basata sulla scienza, ciò fa sìche le imprese di chimica abbiano l’innovazione di prodotto nelloro DNA. Secondo i dati Istat (Community Innovation Survey),nell’industria manifatturiera italiana l’innovazione avviene so-prattutto attraverso l’acquisto di macchinari e impianti innovativisviluppati da imprese terze. Al contrario, per l’impresa chimical’innovazione è tipicamente generata in house ed è essenzial-mente di prodotto e non semplicemente di processo. Infatti,dall’Indagine risulta che, nella maggior parte dei casi, l’attivitàinnovativa sia svolta da un’unità dedicata, cioè il laboratorio diR&S (nel 96% delle aziende intervistate). In questo senso la chi-mica ha già da tempo compiuto il passaggio dall’innovazione diprocesso all’innovazione di prodotto che tutta l’industria mani-fatturiera dovrebbe compiere. Oggi il semplice acquisto di mac-chinari innovativi, essendo questi ormai facilmente disponibilianche ai produttori dei paesi emergenti, non è più in grado dicreare un vantaggio competitivo difendibile nel tempo.La chimica fine e specialistica per sua stessa definizione, po-nendosi tra la chimica di base e gli utilizzatori finali, comportaun’estrema differenziazione degli impieghi. Si va dalla chimica fi-ne che vende ancora all’interno della chimica stessa, all’ausilia-ristica che offre i suoi prodotti ai settori tipici del made in Italy -quali il tessile, il cuoio, l’arredamento - ma anche alla cosmeticae alla farmaceutica. È perciò un settore particolarmente “perva-sivo” che gioca un ruolo fondamentale per il successo dei setto-ri clienti trasferendo loro le innovazioni sviluppate al suo interno.Quello che caratterizza di più le imprese chimiche italiane èl’intensità del rapporto con il cliente. In effetti, tradizionalmente,la loro capacità di stare sul mercato si basa su flessibilità, spe-cializzazione, forti competenze tecniche e una profonda cono-scenza del mercato. Insieme queste caratteristiche consentonodi soddisfare al meglio e in tempi rapidi le richieste del cliente,creando spesso vere e proprie partnership volte alla messa apunto di prodotti innovativi e personalizzati. Proprio una relazio-ne così profonda consente alle imprese chimiche di innovare erinnovare continuamente i prodotti dei propri clienti, anche sequesti operano in mercati cosiddetti maturi. In questo senso, lachimica specialistica italiana ha rappresentato una delle chiavi divolta del successo del Made In Italy, contribuendo spesso in mo-do decisivo ad alimentarne la competitività e il riconoscimentointernazionale per gli elevati standard di qualità e innovazione. La storia recente dell’industria di chimica fine e specialisticaparla tuttavia di grandi cambiamenti intervenuti nel contesto

1- L’Indagine “Innovare nelle imprese di chimica fine e specialistica” è reperibile all’indirizzo web: http://www.federchimica.it/content.asp?Id=57#scienza

Page 46: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

46

competitivo globale in tempi molto brevi e con forti conseguen-ze per la realtà italiana. La globalizzazione ha portato sulla sce-na nuovi protagonisti provenienti dai paesi emergenti, la cuiconcorrenza colpisce questo settore due volte. Per via diretta,in particolare con riferimento ai prodotti più indifferenziati e sem-plici da un punto di vista tecnologico. Tuttavia il danno maggioreavviene per via indiretta, perchè la globalizzazione ha portato acrisi di competitività nei settori tradizionali di specializzazionedell’industria manifatturiera italiana che rappresentano impor-tanti settori clienti della chimica. Ciò ha causato, in alcuni casi, lacessazione dell’attività di imprese clienti e, più in generale, una si-tuazione di difficoltà che porta i clienti a concentrare l’attenzionesul prezzo tralasciando, a volte, una logica di più lungo termine.In questo contesto, il sentiero di sviluppo per le imprese del set-tore è piuttosto stretto e la compressione della redditività rischiadi trasformarsi in un circolo vizioso di taglio dei costi e degli inve-stimenti che esporrebbe ulteriormente all’aggressione dei paesiemergenti e renderebbe difficile migliorare la qualità e il conte-nuto tecnologico dei prodotti.La chimica non può certo essere considerata un settore matu-ro. Esistono, infatti, aree che presentano una forte contiguitàcon discipline scientifiche in fase di sviluppo (pensiamo anchesolo al ruolo delle nanotecnologie), in grado di generare una se-rie di breakthrough le cui implicazioni commerciali solo ora si co-minciano a vedere. D’altro canto è indubbio che - all’interno del-la chimica, e anche della chimica fine e specialistica - sia in attoun processo di commoditization che tende a rendere numerosiprodotti sempre più indifferenziati (o percepiti come tali dal clien-te) e quindi ad appiattire la competizione su meri fattori di costo.Il ruolo principe della chimica fine e specialistica nei confronti deisettori clienti è sempre consistito nel trasferire innovazione favo-rendo la generazione di nuovi prodotti da parte degli utilizzatorie rivitalizzando prodotti “maturi”. Il rilancio del settore passaquindi necessariamente da un rilancio dello sforzo di innovazio-ne. Tale sforzo deve avere come scopo, non solo quello di sod-disfare i bisogni del mercato, ma di anticiparli perpetrando uncambiamento qualitativo dell’innovazione che porti le aziende afare sempre più ricerca strutturata e quindi essere in grado disfruttare le conoscenze di frontiera. Questa sfida si rende ancorpiù complessa in un settore caratterizzato, in Italia, da aziendedi piccole dimensioni. Nel contempo ciò rende ancor più inte-ressante per l’intero sistema industriale italiano, l’attenzione airisultati di questa analisi.

Una visione a 360° sull’innovazione

Dalle analisi empiriche emerge che l’innovazione è una variabilecompetitiva chiave che si riflette non tanto sulla profittabilità im-mediata delle imprese innovative, quanto sulla persistenza neidifferenziali di profittabilità. In effetti, l’attivazione di processi in-novativi produce risultati nel medio-lungo periodo: in particolare- al di là dell’esito dello specifico progetto - ha effetti sulle com-petenze e sui processi organizzativi delle imprese i quali, a lorovolta, comportano una maggiore profittabilità che persiste an-che al di là dello specifico sforzo innovativo che l’ha generata. Questo risultato è importante soprattutto per le imprese piccolee medie in quanto l’innovazione aumenta sistematicamente laloro probabilità di sopravvivere in prima istanza e di crescere inseconda. L’innovazione risulta inoltre associata ad una maggio-

re performance in termini di esportazioni. Ciò vale non solo per leimprese che investono pesantemente in R&S, ma - più in genera-le - per tutte quelle coinvolte in attività innovative misurate attra-verso gli investimenti in progettazione e sviluppo. Effettivamente,quindi, l’innovazione è una leva competitiva fondamentale nellemani delle imprese per costruirsi un futuro di crescita e sviluppo.Nell’approfondire attraverso l’Indagine le tematiche relative a ri-cerca e innovazione nelle imprese chimiche, si è partiti dai se-guenti presupposti:- non esiste una definizione univoca, ma, al contrario, una no-tevole varietà di attività che portano le imprese a innovare;- le statistiche ufficiali (ad esempio sulle spese di Ricerca e Svi-luppo o sui brevetti) non rappresentano a pieno gli sforzi di inno-vazione e tendono a sottostimare le attività portate avanti, inparticolare, dalle aziende medio-piccole.L’innovazione è un fenomeno estremamente complesso. Leanalisi teoriche ed empiriche evidenziano che ricerca e innova-zione hanno certamente a che vedere con investimenti dedicatiin laboratori e personale qualificato, ma hanno molto a che ve-dere anche con il riposizionamento strategico nei confronti dellaclientela, attraverso il perseguimento di politiche di differenzia-zione. In tale ambito la tecnologia conta, ma deve essere ac-compagnata da processi organizzativi in grado di attivare un rin-novamento continuo e sistematico volto ad anticipare i bisognidel cliente attraverso la rapida introduzione di nuovi prodotti el’offerta di servizi complementari. Occorre inoltre individuare eutilizzare al meglio non solo le risorse interne, ma anche quelledisponibili al di fuori dei confini aziendali (ad esempio, nel mon-do della ricerca pubblica). Di conseguenza, in questa sede, si èdeciso di adottare una visione a 360°: - cogliendo aspetti non solo quantitativi, ma anche qualitativi;- approfondendo i contenuti dell’attività di innovazione, ma an-che gli aspetti gestionali, organizzativi e strategici;- evidenziando i cambiamenti in atto nelle imprese con riferi-mento a tutti questi aspetti.

Le risorse interne per la R&S

Nell’industria chimica, più che in altri settori, l’innovazione tec-nologica si basa sempre più sull’attività di ricerca e vede coin-volto il laboratorio di R&S. Di conseguenza, la capacità innovati-va di un’impresa dipende fortemente dalle risorse interne ad es-sa dedicate in termini di addetti e competenze. La tensione ver-so l’innovazione è piuttosto diffusa e non risulta inferiore nellepiccole imprese:- l’incidenza media degli addetti di R&S sul totale risulta addirit-tura superiore rispetto alle imprese di dimensioni maggiori (13%a fronte di una media del 10%);- la presenza di imprese che dedicano alla R&S una quota delfatturato superiore al 3.5% è in linea con la media del setto-re (un terzo circa).La dimensione, spesso piccola, delle imprese crea, però, pro-blemi di massa critica, soprattutto con riferimento alla ricercapiù di frontiera. Solo il 18% delle imprese del campione disponedi almeno 10 addetti dedicati alla R&S e nelle imprese con menodi 50 addetti l’unità di R&S si compone in media di 3 persone.Le imprese che hanno scelto di perseguire una politica di fortevocazione innovativa (da qui in avanti indicate con il nome di“Best Performer”) dedicano decisamente più risorse alla R&S: in

Page 47: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

47

media 29 addetti che rappresentano una quota importante deltotale (18% del totale addetti). Va rilevato in proposito che non sitratta solo di imprese di grandi dimensioni.La presenza di laureati nel laboratorio di R&S indica che l’attivitàrichiede un forte background scientifico e non solo competenzedi natura tecnica, legate all’esperienza e alla conoscenza del mer-cato in cui si opera. La quota di laureati nel laboratorio di R&S èpari al 60% circa indipendentemente dalla dimensione aziendale,quasi a suggerire l’esistenza di una sorta di parametro “naturale”. In generale le imprese esprimono scarso interesse per i dottoridi ricerca: il 73% dichiara di non assumerli. È evidente chel’inserimento in realtà piccole può presentare difficoltà oggetti-ve. Tuttavia, ci si deve domandare se una maggiore offerta didottorati con forti conoscenze su tematiche di interesse indu-striale possa aumentare significativamente gli investimenti in ri-cercatori di eccellenza aprendo un certo numero di imprese an-che a stimoli verso una ricerca più di frontiera.La maggioranza delle imprese (65%) evidenzia la separazionetra i laboratori di R&S e Controllo Qualità. Si tratta di un risultatoimportante in quanto ciò consente di avere persone interamen-te dedicate alla ricerca del nuovo. In un numero rilevante di casiperò, soprattutto tra le piccole imprese (47% contro una mediadel 16% nel totale delle aziende), ciò non avviene con il rischio diportare avanti i progetti innovativi in maniera discontinua nei “ri-tagli di tempo” rispetto al lavoro di routine.

L’importanza strategica dell’innovazione all’interno dell’azienda

In generale emerge un impegno significativo delle imprese chi-miche nella R&S in termini sia di risorse dedicate, sia di compe-tenze. Tuttavia, la possibilità di portare avanti progetti innovativiè condizionata dal ruolo strategico riconosciuto alla R&S in am-bito aziendale e da aspetti di tipo organizzativo e gestionale. Lacapacità di dare visione strategica alla ricerca e innovazioneemerge quale elemento di criticità. Carenze su questo fronterappresentano un limite a quanto le risorse dedicate alla R&S,anche significative, possono esprimere. I progetti innovativi ri-schiano infatti di non essere valutati secondo il loro effettivo po-tenziale e di essere portati avanti in modo poco organico e “oc-casionale”. La figura del responsabile di ricerca emerge comecentrale nel fare fronte a queste problematiche, orientando edando coerenza all’attività di R&S all’interno dell’azienda. Tipi-camente la sua funzione consiste nel:

3

2

13%

60%

Tabella 1: Addetti dedicati alla R&S

N° medio

- di cui laureati

Quota sul tot. addetti

Quota laureati su addetti R&S

Fonte: Federchimica - Aispec

Note: piccole = meno di 50 addettimedie = 50-249 addettigrandi = 250 addetti a oltrebest performer = imprese selezionate ex post come le più innovative

Piccole

7

4

9%

64%

Medie

44

27

7%

62%

Grandi

9

5

10%

61%

Totale imprese

29

17

18%

62%

Best performer

- definire il portafoglio dei progetti di ricerca in coerenza conle strategie aziendali,- gestire le risorse in modo efficiente per conseguire gliobiettivi definiti,- interagire con l’esterno identificando le nuove conoscen-ze funzionali allo sviluppo dell’impresa e sviluppando le re-lative competenze. Nella stragrande maggioranza delle imprese analizzate dall’in-dagine (92%) è presente un responsabile della ricerca. Tuttavia,nella metà dei casi circa, questi riveste anche altre funzioni equindi non si occupa dell’attività del laboratorio di R&S a tempopieno. Ciò avviene, per ovvie ragioni, principalmente nelle pic-cole imprese. Infine spesso si tratta di una figura che si occupaprevalentemente di attività tecnico-scientifiche, mentre un profi-lo manageriale - presente nella maggior parte delle imprese aforte vocazione innovativa - garantisce visione strategica all’atti-vità di ricerca e innovazione.In effetti dall’Indagine emerge che, in presenza di una figurainteramente dedicata e con competenze manageriali, l’impresariesce a interagire di più e meglio con il pubblico ottenendo siafinanziamenti all’innovazione (100% dei casi contro il 15% del-le altre imprese), sia collaborazioni proficue con la ricercapubblica (presenti e ritenute soddisfacenti nel 62% dei casi con-tro il 21% delle altre imprese).

0%

23%

70%

7%

Piccole % di interesse

43%

26%

21%

10%

Mediee grandi

17%

25%

50%

8%

Totaleimprese

67%

0%

33%

0%

Bestperformer

Tabella 2: Presenza e funzioni del responsabile di ricerca

Dedicato e manager

Dedicato e tecnico

Non dedicato

Non presente

Fonte: Federchimica - Aispec

La natura sovente familiare delle imprese fa sì che nel 57% deicasi il vertice aziendale intervenga nel processo decisionale en-trando anche nel merito tecnico dei progetti innovativi. Ciò puòrappresentare un punto di forza in quanto indice di centralità ri-conosciuta alla R&S, ma diventa un limite se si traduce in unmodello verticistico e padronale. Per la natura pervasiva dei ri-sultati dell’innovazione, è invece importante che la pianificazio-ne coinvolga sistematicamente i più alti livelli del managementnelle diverse aree aziendali (R&S, produzione, marketing, vendi-

Page 48: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

48

te). Questo avviene nel 67% dei casi, se si considerano le im-prese a forte vocazione innovativa.La stragrande maggioranza delle imprese chimiche (92%) con-ferma la presenza di progetti strutturati con un orizzonte tempo-rale medio lungo, questo è un importante risultato in quanto so-lo attraverso progetti di più ampio respiro è possibile ottenerevalidi risultati. Tuttavia, la quota di imprese che riconosce un im-portanza centrale a questi progetti si riduce al 45%. Si evidenziaquindi una parziale sottovalutazione del ruolo dell’innovazionequale strumento per alimentare vantaggi competitivi difendibilinel tempo. Spesso però ciò è legato anche all’impossibilità - da-ta la ridotta dimensione aziendale - di portare avanti un buonnumero di progetti strutturati.

L’atteggiamento reattivo o proattivo nel soddisfare il mercato con l’innovazione

Per molte imprese (41%) - soprattutto di piccole dimensioni -rappresenta un fattore di successo fondamentale un’innovazio-ne volta soprattutto a soddisfare le richieste del cliente attraver-so la messa a punto di prodotti personalizzati e “chiavi in mano”.Prevalgono allora progetti di breve durata - tipicamente inferioreall’anno - e contano la flessibilità e la rapidità, la creatività e lecompetenze tecniche. Una quota maggioritaria del campione (il59%) si propone anche di anticipare le richieste del mercato at-traverso progetti innovativi di più ampio respiro. Si tratta soprat-tutto di aziende medio-grandi ma non solo (ben il 47% delle im-prese con meno di 50 addetti). È chiaro che il rapporto con ilcliente è una fonte di stimolo fondamentale per l’innovazione,tuttavia le sue richieste non possono allontanarsi molto dall’e-sperienza dei prodotti esistenti. Una politica puramente reattivarisulta, perciò, rischiosa soprattutto nell’attuale contesto com-petitivo. Rispetto a una politica reattiva alle richieste del cliente,una politica di ricerca più ambiziosa volta a generare prodotti nuoviconsente, invece, di adattarsi alle dinamiche del mercato, di modi-ficare il mercato stesso dettando le regole della competizione.In molte imprese i progetti di R&S si basano soltanto sulle cono-scenze disponibili internamente. In realtà innovare richiede lacapacità di dialogare con l’esterno al fine di leggere il mercato,capire dove sta andando e sfruttare tutto il bacino delle cono-scenze e delle opportunità tecnologiche presenti. A tale propo-sito la ricerca pubblica è una fonte di informazione rilevante perun buon numero di imprese medie e grandi (42%), ma solo inpochi casi (7%) per quelle piccole. Le aziende più votate all’in-novazione gli attribuiscono decisamente più importanza (67%).Proprio la ricerca pubblica offre un’opportunità di dialogo im-portante per l’impresa al fine di sfruttare conoscenze e tecnolo-gie che non sono in suo possesso. Si evidenzia d’altro cantouna difficoltà diffusa nel combinare competenze interne edesterne. In particolare, la scarsa collaborazione tra ricerca pub-blica e industria (continuativa solo nel 29% delle imprese e rite-nuta poco soddisfacente nel 52% dei casi) rappresenta un’im-portante occasione perduta, soprattutto per le imprese di di-mensioni piccole e medie. In generale più della metà delle im-prese che collaborano con la ricerca pubblica (52%) non neconsidera soddisfacenti i risultati. Tra le piccole imprese loscontento è più diffuso (60%). Questi risultati sono frutto di unadifficoltà di dialogo: dal punto di vista delle aziende, la ricercapubblica è poco orientata al mondo applicativo ed è difficile indi-

viduare una struttura adeguata a causa dell’interesse solo versodeterminati settori (tipicamente la farmaceutica). A ciò si ag-giungono i tempi troppo lunghi sia a livello decisionale, sia a li-vello di realizzazione e possibili problemi con riferimento allaproprietà intellettuale degli esiti della ricerca e al know how tra-sferito all’azienda. Un dialogo proficuo consentirebbe invece disuperare la mancanza di massa critica, di integrare le compe-tenze presenti in azienda e di sfruttare apparecchiature e tecno-logie sofisticate.

13%

37%

50%

Piccole % di interesse

53%

21%

26%

Mediee grandi

29%

31%

40%

Totaleimprese

50%

17%

33%

Bestperformer

Tabella 3: Rapporti di collaborazione con la ricerca pubblica

Continuativa

Occasionale

Nessuna

Fonte: Federchimica - Aispec

40%

60%

Piccole % di interesse

57%

43%

Mediee grandi

48%

52%

Totaleimprese

75%

25%

Bestperformer

Tabella 4 : Esiti della collaborazione con la ricerca pubblica

Soddisfacente

Non soddisfacente

Fonte: Federchimica - Aispec

Un settore che sta cambiando pelle puntando sull’innovazione

Il contesto competitivo in cui operano le aziende chimiche stacambiando molto velocemente: negli ultimi 3-5 anni è aumenta-ta la concorrenza nell’offerta dei prodotti chimici, ma soprattut-to molte imprese clienti si sono trovate in difficoltà dinnanzi ainuovi produttori dei paesi emergenti. Consapevole dei rischiche questo aspetto comporta ben il 73% delle imprese di chimi-ca fine e specialistica dichiara di essere intervenuto al fine dirafforzare ricerca e innovazione e l’impegno è altrettanto diffusotra le piccole e le medio-grandi aziende.Dove il cambiamento è più radicale comporta non solol’aumento delle risorse dedicate, umane e finanziarie, ma ancheuna diversa natura del modo di innovare e forti cambiamenti a li-vello organizzativo. Il 21% delle imprese ha avviato il passaggio da un’innovazioneessenzialmente attivata da richieste esplicite del cliente a una piùfondata su progetti di ricerca a medio lungo termine conl’obiettivo di offrire prodotti effettivamente nuovi e non solo mi-gliorati o meno costosi rispetto a quelli della concorrenza. Ciò inalcuni casi ha comportato una completa ristrutturazione dellaazienda per aumentare l’orientamento al mercato e al tempostesso creare rapporti forti con il mondo accademico. Il 15% del-le imprese ha inoltre migliorato gli strumenti di programmazionee valutazione dei progetti di ricerca attraverso l’individuazione diobiettivi chiari fin da subito, la creazione di team interfunzionaliper la definizione delle strategie, l’adozione di sistemi di certifica-zione della qualità che prevedono anche precisi iter proceduraliin tale ambito con l’obbiettivo di ottenere una visione strategicadell’innovazione. In molti casi questa nuova impostazione hacomportato anche l’ampliamento del numero di persone dedi-cate alla R&S e/o l’assunzione di personale più qualificato e/o un

Page 49: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

49

maggiore impegno in termini finanziari. Tuttavia non in tutte le imprese prevalgono cambiamenti radica-li. Questi tendono a concentrarsi nelle medio grandi realtà, men-tre le imprese più piccole, nella maggior parte dei casi, si con-centrano su una politica di innovazione focalizzata sull’assisten-za al cliente e sul miglioramento continuo. Vi è però un’impor-tante eccezione: il 15% di loro ha attuato una strategia di diver-sificazione verso settori o nicchie che offrono maggiori opportu-nità e sono più ricettive nei confronti dell’innovazione. Ciò dimo-stra che non è mancata una reazione alla concorrenza dei paesiemergenti anche tra le piccole aziende.

Dimensione aziendale: un vincolo, ma non insuperabile

Dall’Indagine in generale non emerge una minore tensione ver-so l’innovazione da parte delle piccole imprese, ma piuttosto undiverso modo di innovare.- Tendono ad innovare in risposta a una richiesta esplicita delcliente e a mettere a punto prodotti spesso personalizzati. Inmolti casi, infatti, il cliente rappresenta in assoluto la fonte diinformazione più importante per l’avvio e la realizzazione di pro-getti innovativi.- L’innovazione si configura prevalentemente come incremen-tale e volta all’aggiornamento e all’ampliamento del portafo-glio prodotti attraverso l’imitazione della concorrenza,l’ottimizzazione dei processi e dei formulati, il miglioramentocontinuo della qualità e del servizio reso al cliente.- Anche i cambiamenti attuati al fine di potenziare la ricerca el’innovazione - attività entrambe molto diffuse tra le piccole im-prese - tendono a mantenere questa impostazione focalizzatasull’assistenza al cliente e sul miglioramento continuo La dimensione ridotta effettivamente pone dei vincoli alla ca-pacità innovativa. Innanzitutto impedisce il raggiungimentodella massa critica necessaria a una ricerca più di frontiera,caratterizzata da orizzonti temporali lunghi ed elevato ri-schio di insuccesso. Questo significa anche che - laddovesono presenti progetti più strutturati - questi rischiano di es-sere perseguiti con scarsa continuità, nei ritagli di tempo ri-spetto al lavoro di routine.Le piccole imprese incontrano maggiori difficoltà anche neldialogo con l’esterno e faticano quindi a sfruttare tutto il ba-cino di conoscenze e opportunità tecnologiche disponibili. Inparticolare, considerano pressoché irrilevante la ricerca pub-blica quale fonte di informazione per l’avvio e la realizzazio-ne di progetti innovativi. Di conseguenza, presentano rapporti di collaborazione menointensi con la ricerca pubblica e risultano per lo piùinsoddisfatte degli esiti. I problemi nell’interazione con il

pubblico emergono anche con riferimento ai finanziamentipubblici a sostegno dell’innovazione. In entrambi i casil’ostacolo fondamentale è dato dal fatto che queste impresenon si possono permettere di perdere tempo. In molti casi,quindi, la diffidenza è sufficiente ad impedire qualsiasirapporto. Si tratta di un’importante occasione perduta: persuperare la mancanza di massa critica, per integrare lecompetenze presenti in azienda, per sfruttare apparecchiaturee tecnologie sofisticate. Le imprese segnalano anche cheuna collaborazione con la ricerca pubblica necessita uncontinuo scambio di informazioni e il controllo su obiettivi etempi di realizzazione. In altre parole si evidenzia la necessitàdi dedicare molto tempo ai progetti di collaborazione con laricerca pubblica poiché il semplice appalto all’esterno non darisultati significativi. Riconoscere che il vincolo dimensionaleesiste non significa però affermare che sia insuperabile.L’Indagine evidenzia che sono presenti un numero significativodi piccole realtà in grado di adottare una strategia diinnovazione più aggressiva: puntando sull’introduzione diprodotti assolutamente nuovi e non solo migliorati, dotandosidelle forme organizzative più idonee a favorire l’innovazione,collaborando con successo con la ricerca pubblica.

Innovare distinguendo tra vincoli reali e percepiti

Spetta ad ogni azienda valutare il contesto in cui opera, i suoifattori di successo e, di conseguenza, la sua politica di innova-zione. È importante però chiedersi se un vincolo esiste effetti-vamente oppure è solo frutto di una percezione soggettiva. Inproposito è indicativo mettere a confronto la diversa valutazio-ne espressa da due imprese operanti nello stesso settore:- “Siamo in un settore maturo. Da 15 anni sul mercato nonvengono introdotte innovazioni di tipo tecnologico”;- “Facciamo prodotti tecnologici non offerti da altre imprese”.Questo tema emerge anche quando si chiede alle imprese diidentificare i principali fattori di ostacolo all’attività di innovazione.- Un problema effettivo può essere quello del mancato ritor-no dell’investimento. Diventa sempre più difficile ricercare ilnuovo e quindi, talvolta, il costo può superare il ritorno del-l’investimento. Per questo motivo, alcune imprese segnala-no l’importanza di ampliare il più possibile gli orizzonti geo-grafici del proprio mercato.- Al contrario, indicazioni quali la rigidità delle normative, loscarso interesse dei clienti e la non difendibilità dell’innova-zione sembrano in buona parte frutto di una proiezione all’e-sterno di limiti interni alla azienda stessa. Un’innovazioneforte è in grado di aggirare tutti questi ostacoli. Tanto è veroche le imprese a forte vocazione innovativa attribuiscono lo-ro molto meno peso.- Sul fronte dei vincoli interni, in modo apparentemente pa-radossale, sono le imprese a forte vocazione innovativa a sen-tirsi più limitate. Questo emerge con riferimento sia alle infor-mazioni in possesso sui mercati e sulle tecnologie, sia allecompetenze presenti in azienda (in ogni caso la quota di ri-spondenti è più che triplicata). Considerata la situazione di for-te transizione che caratterizza tutto il settore della chimica fi-ne e special istica, bisogna ritenere che questo rivel iessenzialmente la maggiore consapevolezza dei problemi, pro-pria di chi li sta affrontando con decisione.

27%

53%

20%

Piccole % di interesse

28%

6%

67%

Mediee grandi

27%

35%

38%

Totaleimprese

17%

17%

67%

Bestperformer

Tabella 5: Cambiamenti effettuati negli ultimi 3-5 anni per potenziare ricerca e innovazione

Nessun cambiamento

Cambiamento

incrementale

Cambiamento radicale

Fonte: Federchimica - Aispec

Page 50: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

50

Il prototipo dell’azienda a forte vocazione innovativa

In conclusione può essere interessante delineare il profilo tipicodelle imprese che sono risultate fortemente votate all’innovazione. Queste aziende, attraverso l’innovazione, perseguono finalitàinnanzitutto di crescita. Di conseguenza, non si accontentanomai delle posizioni acquisite. Ciò significa che - pur attribuendomolta importanza all’assistenza al cliente - mirano anche ad an-ticiparne i bisogni attraverso l’introduzione di prodotti assoluta-mente nuovi. Per fare questo, devono avere sempre in vita pro-getti di ricerca volti a precostituire una scorta di conoscenze e ri-sultati. Attribuiscono quindi molta importanza ai progetti a me-dio lungo termine, normalmente programmati su due anni o più. Chiaramente avendo deciso di fondare la loro strategia propriosull’innovazione, dedicano ad essa molte risorse.- Spendono in R&S una quota del fatturato pari all’8%, doppiarispetto alla media del settore.- Sono dotate di un laboratorio di R&S distinto da quello diControllo Qualità al fine di garantire la presenza di persone dedi-cate a tempo pieno alla ricerca.- Nel laboratorio di R&S impiegano mediamente il 18% degli ad-detti (contro una media del 10%), il che consente loro di disporredi una certa massa critica e di una buona presenza di laureati.- Mostrano interesse anche verso i dottori di ricerca.Investire risorse significative però non è sufficiente. Gli aspettiorganizzativi, infatti, sono considerati cruciali per favorire in mo-do sistematico un’innovazione profittevole. In questo ambito unruolo centrale è riconosciuto al responsabile della ricerca chedeve accompagnare fortissime competenze tecnico-scientifi-che con spiccate capacità manageriali. Tipicamente la sua fun-zione comporta:- la definizione del portafoglio dei progetti di ricerca in coerenzacon le strategie aziendali; - la gestione delle risorse in modo efficace ed efficiente perconseguire gli obiettivi definiti;- l’interazione con l’esterno identificando le opportunità e lenuove conoscenze funzionali allo sviluppo dell’impresa e acqui-sendo le relative competenze. In effetti, rispetto alle altre, le im-prese a forte vocazione innovativa riescono a interagire megliocon il mondo pubblico conseguendo sia finanziamento all’inno-vazione, sia collaborazioni soddisfacenti con la ricerca.Le imprese innovative ritengono fondamentale la capacità didialogare con l’esterno. La continua interazione con il cliente consente di identificareprogetti di ricerca fin da subito orientati al mercato. Nessuno, in-fatti, può più permettersi un approccio puramente science ba-sed in cui ci si interroga solo in un secondo tempo sulle poten-zialità applicative di una data tecnologia. D’altro canto, essendo orientate verso una ricerca di frontiera ingrado di sfruttare gli ultimi sviluppi della ricerca di base e appli-cativa, collaborano sistematicamente con la ricerca pubblica. Atale proposito, sottolineano che non è conveniente dare sempli-cemente in appalto esterno un progetto di ricerca; bisogna, in-vece, avere un continuo scambio di informazioni e il controllo suobiettivi e tempi di realizzazione. Un ulteriore aspetto critico consiste nei processi decisionali allabase della programmazione e della valutazione dei progetti vol-ta ad evitare una gestione occasionale e poco integrata dell’in-novazione. Normalmente il vertice aziendale definisce le linee

strategiche avvalendosi delle competenze di un team interfun-zionale in cui sono presenti i più alti livelli del management - valea dire i responsabili della R&S, del marketing, delle vendite, dellaproduzione - e, talvolta, anche consulenti esterni. Questo con-sente di valutare fin da subito i progetti in base alle ricadute chepossono generare in tutte le aree dell’azienda e di individuarequelli a maggiore potenziale.Dall’indagine emerge chiaramente che le imprese fortementevotate all’innovazione sono tali quale esito di una precisa sceltastrategica che si ripercuote su tutta l’attività e l’organizzazioneaziendale. In effetti, gli studi empirici sull’innovazione hanno evi-denziato che l’innovazione produce risultati in termini di perfor-mance aziendale nel medio-lungo periodo. Questo perchè haeffetti sulle competenze e sui processi organizzativi delle impre-se i quali, a loro volta, comportano una maggiore profittabilitàche persiste anche al di là dello specifico sforzo innovativo chel’ha generata.

Page 51: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

51

IL CAMBIAMENTO STRUTTURALEDELL’ECONOMIA NEL NORD-ITALIA:UNO SGUARDO DI LUNGO PERIODOdi Giampaolo Vitali*

Il dibattito economico sul cambiamento in atto nell’economiaitaliana - che si focalizza soprattutto sugli effetti del processo ditransizione dallo storico modello industriale verso il nuovo mo-dello dell’economia della conoscenza - deve essere contestua-lizzato nei singoli territori che compongono l’economia naziona-le, essendo quest’ultima fortemente variegata non solo in termi-ni settoriali e dimensionali, ma soprattutto in termini territoriali.Per tale motivo, merita elaborare le statistiche strutturali di lungoperiodo, quali sono i censimenti industriali, distinguendo tra ma-croaggregato del Nord-Italia e il resto del Paese, al fine di coglie-re in modo più netto ed evidente il cambiamento in atto. Infatti, idati medi nazionali nascondono al loro interno situazioni profon-damente differenti e non possono essere utilizzati per interpre-tare un fenomeno che si distribuisce a macchia di leopardo eche avanza in alcuni ambiti prima che in altri.A questo proposito il Nord-Italia è sicuramente il territorio anticipa-tore del processo che qui si vuole individuare e che si diffonderàpiù chiaramente anche nel resto del sistema economico italiano.Possiamo utilizzare le informazioni sul Nord-Italia per distin-guere al suo interno due esperienze di sviluppo industriale chestanno ora convergendo in un unico modello: da una parteil vecchio triangolo industriale del Nord-Ovest che ha persogran parte delle sue caratteristiche di base (CSS, 2007); dal-l’altra le regioni del Nord-Est, con la loro robusta - e relati-vamente recente - attività manifatturiera, che è alla base delloro sviluppo economico. La convergenza delle due aree ver-so un modello comune a entrambe non è che un riflesso del-la “nuova economia italiana”, caratterizzata da profonde novitàche si inseriscono in vario modo nella storia industriale di cia-scun territorio (Berta, 2004 e Cipolletta 2007).L’attuale fase di sostituzione delle attività manifatturiere con atti-vità terziarie, che tramite il processo di deindustrializzazione e diterziarizzazione dell’economia definisce le grandi linee del nuovomodello di sviluppo del Nord-Italia, comporta infatti una sostitu-zione di grandi imprese con imprese di medie dimensioni, unacrescita di nuovi settori ad alta tecnologia a scapito dei settori tra-dizionali, la diffusione di nuove forme organizzative che mediantel’outsourcing attivano una intensa subfornitura sul territorio1.La fotografia che qui si vuole descrivere può essere utile tantoai policy maker, per definire scelte politiche che supportino ilcambiamento e rafforzino gli effetti socialmente positivi dellostesso (minimizzandone gli effetti negativi), quanto agli opera-tori economici, per comprendere maggiormente le macro-tipo-

logie di imprese su cui potranno investire e con cui avrannoopportunità di crescita.Tanto i territori regionali, quanto i singoli settori economici, par-tono da basi diverse per giungere a un modello comune di cre-scita, quello caratterizzato da un’attività manifatturiera molto ri-dotta quantitativamente rispetto al passato, ma molto più robu-sta dal punto di vista qualitativo (Lamieri e Lanza, 2006). Tutti ifattori produttivi sono coinvolti nell’evoluzione in atto. Per esem-pio, il cambiamento dentro l’ambito occupazionale è evidente,con un peso dei tecnici e delle figure professionali specializzateche è ormai molto elevato; anche le caratteristiche del capitaleinvestito nelle attività economiche sembrano destinate a cam-biare, con la necessità di finanziare investimenti in capitale in-tangibile e non più in “semplice” capitale fisso.

I dati salienti

Prima di affrontare l’esame della metamorfosi dell’economia delNord-Italia, giova ricordare le specificità economico-industriali delsuo modello di sviluppo e la sua evoluzione nel corso del tempo2.Il primo elemento da considerare riguarda il grado di industrializ-zazione della macro-regione: è un elemento con forti valenzestoriche, che caratterizza ancora oggi il Nord-Italia, quale areaeuropea ad intensa attività industriale. A fronte di questa foto-grafia statica, il filmino dinamico dell’evoluzione del livello di in-dustrializzazione nel corso del tempo indica una forte riduzionedella specializzazione manifatturiera del Nord-Italia, che staconducendo la macro-regione verso una maggiore similitudinecon il resto della nazione.La seconda importante specificità del territorio concerne la di-versa presenza dei settori industriali, che alternano casi di fortespecializzazione a casi di despecializzazione geografica: alcuneindustrie, quali la chimica, la gomma-plastica, i macchinari, so-no talmente radicate nel Nord-Italia da rappresentare il 70-80per cento dell’intera industria nazionale3. Viceversa, esistono siasettori poco presenti nel Nord-Italia, come il cuoio, alimentari elavorazione minerali, sia settori che erano una forte specializza-zione del passato ma che oggi non sono più rappresentativi diquesto territorio, come nel caso degli autoveicoli.La terza variabile che caratterizza la struttura economica delNord-Italia è rappresentata dalla geografia della crescita eco-nomica, che ha fortemente favorito alcuni poli di sviluppo bendeterminati: un numero limitato di province assorbe una quota

1- In generale, ma soprattutto nel Nord-Est, tale flusso economico è intercettato principalmente da micro imprese e auto imprenditori, più che da imprese strutturate nelle forme organizzative più tradizionali.

2- Per un’analisi più approfondita sul cambiamento economico del Nord-Italia si veda Berta (2007) e, più in particolare, Vitali (2007), da cui il presente contributo ha tratto ampio materiale.

3- Ricordiamo che la popolazione del Nord-Italia è il 45% della popolazione italiana e determina il 54% del PIL.

*Giampaolo Vitali è economista presso il Ceris-Cnr

Page 52: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

52

molto elevata dell’occupazione industriale, come nei casi di To-rino, Milano, Genova, Verona, Padova. Esistono anche numero-se aree infra-provinciali, i distretti industriali, che mostrano unaforte concentrazione di attività produttive in territori molto ri-stretti (Beccattini, 2000). Peraltro, anche in questo ambito ilcambiamento genera effetti diffusivi, con la concentrazionegeografica delle attività industriali che tende ad attenuarsi nelcorso del tempo a favore di una maggiore diffusione dello svi-luppo sul territorio: lo svuotamento occupazionale dei verticidello storico “triangolo industriale” del Nord-Ovest (CSS, 2007)e l’ampliamento dell’economia diffusa nelle regioni del Nord-Estcomportano una minore concentrazione geografica delle atti-vità produttive sia dentro il Nord-Italia che nel confronto con ilresto del Paese (Basile e Mantuano, 2006).Infine, la quarta importante specificità del Nord-Italia è in partelegata alle elevate dimensioni delle sue imprese: mentre la di-mensione media delle imprese nel Nord-Italia è stata storica-mente più alta del contesto nazionale, oggi ciò vale solo in alcu-ni comparti e territori, come nell’esempio delle imprese del Pie-monte (Vitali, 2002). Al contrario, in tutto il Nord-Italia è evidentel’emergente ruolo della media impresa, il nuovo attore dimen-sionale che raccoglie le sfide ormai perse dalle imprese di gran-di dimensioni, tanto a livello internazionale quanto in ambito tec-nologico (Mediobanca-Unioncamere, 2007).Come si evincerà dai dati economici, questo modello di svilup-po ha subito sostanziali modifiche nel corso del trentennio1971-2001: il Nord-Italia è diventato più simile al resto dell’eco-nomia nazionale e al suo interno il Nord-Ovest tende ad esserepiù simile al Nord-Est. La dinamica occupazionale indica infattiuna perdita delle specificità territoriali tipiche del Nord-Italia: tan-to in termini di ruolo trainante del comparto manifatturiero, chedi specializzazione dei singoli settori industriali, che di specifi-cità dimensionali delle imprese o di concentrazione territorialedello sviluppo, le caratteristiche del Nord-Italia stanno diventan-do un po’ più simili a quelle del resto del Paese. Il Nord-Italia si colloca nella fase della cosiddetta “terziarizzazio-ne” dell’economia (o fase post-industriale), con il progressivospostamento dell’attività economica dalle funzioni manifatturie-re a quelle dei servizi. Dal lato delle imprese, merita ricordare co-me la diversa velocità di crescita della domanda di servizi rispet-to a quella di beni materiali comporti minori opportunità di svi-luppo per le imprese manifatturiere, tant’è che si lega il terminedi terziarizzazione a quello di deindustrializzazione. Con que-st’ultimo processo si intende l’impoverimento continuo e irrever-sibile di un'area industrializzata, fatto che comporta una minoreproduzione locale e una forte riduzione del numero di lavoratorioccupati nelle imprese industriali, nonché una minore perfor-mance economico-finanziaria delle imprese manifatturiere.Nel Nord-Italia il cambiamento in corso si traduce in un nuovoruolo del terziario, che sostituisce l’industria manifatturiera nelrappresentare il motore dello sviluppo locale. Probabilmente, laparticolarità dell’evoluzione del terziario nel Nord-Italia è forsequella di avere un elevato peso nel comparto dei servizi per le im-prese, settore che tende a raccogliere le fasi produttive esterna-lizzate dalle imprese manifatturiere. Talvolta, si assiste infatti a unvero e proprio spostamento di occupazione dalla grande impre-

sa manifatturiera alle imprese dei servizi. Questo fenomeno, piùpresente nel Nord-Ovest che nel Nord-Est, comporta la nascitadi forti legami di interdipendenza tra il terziario e il comparto indu-striale, con una forte dipendenza anche a livello congiunturale.

Il cambiamento della struttura economica

Il Nord-Italia è caratterizzato dalla presenza, ormai storica, delcomparto industriale: soprattutto nel Nord-Ovest, la storia dellosviluppo economico è coincisa con la rivoluzione industrialeoperata dalla componente manifatturiera (Crepax, 2002), chedal XIX secolo in poi rappresenta il motore dello sviluppo econo-mico, e anche sociale, di tutta l’area. I dati di lungo periodo confermano l’elevato peso dell’occupa-zione manifatturiera sul totale degli occupati (tabella 1), soprat-tutto in Piemonte e in Veneto. Nel 1971 tale valore era ben 18punti percentuali più alto della media del resto del Paese4 e, an-che se si è ridotto fortemente nel corso del tempo, oggi conti-nua a rappresentare una forte connotazione della sua struttura.L’informazione più recente, quella relativa al 2005 di fonte Istat-Asia, conferma ulteriormente la dinamica degli ultimi due de-cenni e la distanza che rimane con il resto della nazione: nel2005 il peso del manifatturiero del Nord-Italia era pari al 32 percento dell’intera occupazione, mentre nel resto del paese erasolo il 23 per cento5.

Dentro il Nord-Italia il vecchio triangolo industriale perde granparte del proprio apparato produttivo, riducendo il peso dellamanifattura al di sotto del dato del Nord-Est. Ricordiamo chequest’ultimo nel 1971 era meno industrializzato del Nord-Ove-st, al contrario di quanto avviene oggi.All’interno del Nord-Ovest sono soprattutto il Piemonte e laLombardia a determinare - con il loro peso e gli effetti dellaristrutturazione e della riconversione produttiva - le sorti indu-striali del macro aggregato territoriale, mentre nel Nord-Est ilVeneto mantiene un forte connotato industriale, insieme all’E-milia-Romagna.Il ripiego del comparto manifatturiero avviene all’interno di unperiodo di forte crescita economica e occupazionale: nelperiodo 1971-2001 si assiste a un aumento del 24 per cen-to dell’occupazione totale del Nord-Italia, che passa dai 6,8milioni del 1971 agli 8,5 milioni del 2001. Ma il dato più inte-ressante riguarda la ricomposizione interna di tale grandez-za: il profondo mutamento avvenuto nel sistema economico

52,9

56,7

46,0

35,0

49,0

52,0

44,5

35,5

43,4

44,3

42,0

30,3

38,1

37,4

39,1

27,6

Tabella 1: Peso percentuale dell’industria manifatturiera sul totale occupazione (1971-2001)

Nord-Italia

di cui:

Nord-Ovest

Nord-Est

Resto del Paese

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

1971 1981 1991 2001

4- Valore nazionale al netto del Nord-Italia.

5- La fonte utilizzata è l’archivio sulle imprese Istat-Asia e non è confrontabile con i dati censuari indicati nella tabella 1.

Page 53: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

53

ha fatto venire meno il ruolo preponderante del comparto in-dustriale e ha favorito il settore dei servizi. Nel periodo con-siderato, l’occupazione del comparto industriale si riducedai 4,3 milioni di addetti del 1971 ai 4,1 milioni del 2001, men-tre l’occupazione nei servizi cresce del 70 per cento passan-do dai 2,5 milioni di addetti del 1971 ai 4,3 milioni del 2001.L’evoluzione dei dati assoluti si riflette in una modifica del pe-so relativo di ciascun comparto: è significativo il forte incre-mento manifestato dal terziario, che nel 2001 diventa il set-tore più importante del sistema economico del Nord-Italia,mostrando che il profondo processo di riconversione e ristrut-turazione dell’attività industriale è stato più che compensatodallo sviluppo delle attività terziarie. Anzi, si potrebbe ancheipotizzare un legame sinergico tra i due comparti, che non sa-rebbero sostitutivi l’uno dell’altro, quanto complementari:come vedremo più avanti, una parte del terziario, i servizi perle imprese, cresce grazie alla presenza del sistema industria-le, mentre quest’ultimo delega al terziario una parte delle at-tività precedentemente presenti al proprio interno.Il Piemonte è la regione in cui il processo di ristrutturazione èparticolarmente pesante6: l’occupazione del comparto indu-striale si riduce dai 776 mila addetti del 1971 ai 519 mila del2001, mentre l’occupazione nei servizi passa dai 512 mila ad-detti del 1971 ai 775 mila del 2001. Il totale dell’occupazionepiemontese non si modifica sostanzialmente nel corso del tem-po, mostrando che il profondo processo di riconversione e ri-strutturazione industriale viene assorbito, dal punto di vista oc-cupazionale, dalle attività terziarie.La Lombardia conferma il suo rilevante peso nel contesto italia-no - ben 3 milioni di occupati sono ivi presenti nel 2001 - ma so-prattutto rappresenta il polo terziario del Nord-Italia. La dinami-ca dell’occupazione della Lombardia vede un calo degli occupa-ti industriali tra il 1971 ed il 2001 (-14 per cento) che è molto me-no intenso del Piemonte, mentre l’aumento avvenuto nel com-parto terziario è elevatissimo (+87 per cento). Quest’ultima dina-mica ha determinato un significativo aumento (+19 per cento) neltotale dell’occupazione del sistema economico lombardo.

La specializzazione manifatturiera

Un secondo importante elemento da considerare per definire ilcambiamento in atto dentro il settore industriale concerne laspecializzazione del Nord-Italia in alcuni settori manifatturieri.Il confronto tra il peso detenuto da ciascun comparto nel Nord-Italia e il corrispondente peso detenuto nell’economia italianaci permette di ottenere un indice di specializzazione economicache evidenzia i settori maggiormente presenti nella macro-re-gione. Il rapporto viene espresso su base 100: un indice chesupera significativamente 100 evidenzia una specializzazioneproduttiva, e cioè un peso relativo del settore superiore allacorrispondente importanza detenuta a livello nazionale; quan-do l’indice è significativamente inferiore a 100 si nota una de-specializzazione, cioè una scarsa importanza di tale settorenella regione considerata.Nella tabella 2 i maggiori indici di specializzazione sono nella

metalmeccanica, gomma-plastica, industria elettrico-elettroni-ca, macchinari, chimica-farmaceutica. L’insieme dei settori dispecializzazione del Nord-Italia determina circa il 50 per centodell’occupazione industriale nel 2001. Dal punto di vista storico,tale specializzazione si è mantenuta nel corso del trentennioconsiderato, anche se si è attenuata in molti casi. Un caso a parte è rappresentato dalla parabola compiuta dalsettore dei mezzi di trasporto, che mostrava una forte specializ-zazione nel 1971 che è addirittura scomparsa nel 2001 a causadel processo di delocalizzazione della produzione della Fiat nelSud-Italia (Enrietti e Lanzetti, 2002). La chiusura degli impiantiFiat di Chivasso (1993) e Lingotto (1982) e la riduzione di Mira-fiori e di Arese si riflettono nelle statistiche industriali di lungo pe-riodo in modo netto7.

La specializzazione nel settore dei mezzi di trasporto rimanesoltanto per il Piemonte: nel 1971 i mezzi di trasporto pesavanonell’economia piemontese circa due volte di più di quanto essipesassero dell’economia nazionale; nel 2001 tale proporzione,pur riducendosi a una volta e mezza la media nazionale, è sem-pre significativamente elevata. Nel caso della Lombardia, laspecializzazione è individuabile soprattutto nell’industria chimi-ca, che addirittura cresce nel corso del tempo e raggiunge nel2001 l’indice di 150, che denota un peso regionale del 50 percento più alto del corrispondente peso nazionale. Gli altri casi di specializzazione del Nord-Italia sono nei mobi-li/legno in Trentino e Veneto, gli alimentari in Trentino, il tessi-le/abbigliamento in Veneto ed Emilia-Romagna.

6- Un approfondimento sull’evoluzione del sistema economico piemontese è presente in Vitali (2002).

7- Le statistiche censuarie qui utilizzate si riferiscono alle unità locali, e cioè agli stabilimenti presenti in ogni singola provincia; se si fossero utilizzati i dati riferiti alle imprese si sarebbero considerati con-giuntamente tutti gli occupati dei vari stabilimenti sparsi sul territorio e appartenenti giuridicamente alla stessa impresa.

56

90

45

58

94

56

100

181

52

135

269

142

195

89

62

91

38

62

105

50

94

149

60

138

244

118

123

109

65

95

35

72

99

32

102

166

59

137

235

117

106

100

67

85

27

79

97

28

115

161

68

136

220

118

85

91

Tabella 2: Indici di specializzazione industria manifatturiera (Nord-Italia su resto del paese)*

Alimentari

Tessile

Cuoio

Legno

Carta

Coke e raffinazione

Chimica e farmaceutica

Gomma e plastica

Lavorazione minerali

Metalmeccanica

Macchinari

Elettrico-elettronica

Mezzi di trasporto

Altre industrie

manifatturiere

* indice > 100 = specializzazione settoriale

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

1971 1981 1991 2001

Page 54: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

54

La dinamica occupazionale

Nel corso del trentennio qui considerato, la dinamica occupa-zionale dei singoli settori è risultata profondamente differente:alcuni settori hanno mantenuto l’occupazione industriale deidecenni precedenti, altri l’hanno ridotta pesantemente.I settori industriali che hanno subito con maggiore evidenza latrasformazione del sistema economico sono i minerali non me-talliferi, i mezzi di trasporto, il tessile, il cuoio (tabella 3), tutticomparti che hanno ridotto l’occupazione più di un terzo rispet-to al 1971. Al contrario, nel caso della meccanica e dei macchi-nari si assiste a un aumento significativo dell’occupazione (10 e20 per cento, rispettivamente), mentre tutti i rimanenti compartisono risultati più o meno stazionari rispetto al 1971.In alcuni casi, la dinamica del Nord-Italia e delle sue regioni si

contrappone a quella in atto nel resto del Paese. Questo fatto èevidente se consideriamo il peso detenuto dal Nord-Italia all’in-terno del contesto nazionale: il peso occupazionale dell’indu-stria manifatturiera del Nord-Italia si è ridotto, passando dal 71per cento dell’occupazione nazionale nel 1971, al 66 per centonel 2001, segno di un indebolimento relativo di questo compar-to economico. Al contrario, il peso del terziario si mantiene co-stante, intorno al 53-55 per cento del dato nazionale. Le specificità del Nord-Italia si possono individuare anche nei set-tori industriali che nel 2001 rimangono rilevanti rispetto al livello na-zionale, quali la gomma-plastica, che rappresenta ancora il 75 percento dell’industria nazionale, e i macchinari, che pesano per circal’80 per cento del totale nazionale. Al contrario, ci sono dei com-parti poco importanti se confrontati con il contesto italiano: peresempio, la despecializzazione del Nord-Italia è significativa nellalavorazione del cuoio (è solo il 35 per cento del totale nazionale).

Il terziario

Merita a questo punto evidenziare le principali caratteristichedel settore terziario nel Nord-Italia. I suoi comparti più importanti sono quelli del commercio e deiservizi alle imprese, anche se occorre sottolineare il ruolo del turi-smo (alberghi e ristoranti), che nel Nord-Italia pesa più dei servizifinanziari. Quest’ultima affermazione è “quasi valida” anche inLombardia, la capitale finanziaria del Paese, ove il comparto turi-stico ha un’occupazione appena inferiore a quella della finanza.La dinamica nel trentennio è ovviamente molto positiva, con unaumento dell’occupazione nel corso del tempo del 70 per cento(tabella 4). I settori che in questo intervallo di tempo hanno au-mentato maggiormente l’occupazione sono i servizi alle impre-se (+923 per cento) e l’intermediazione finanziaria (+132 percento). Gli altri comparti sono aumentati di meno della mediadell’intero terziario.

All’interno del settore dei servizi, il comparto del commercio gio-ca un ruolo rilevante, rappresentando il 39 per cento degli occu-pati nel 2001 (tabella 5). Tale peso è in netta diminuzione rispettoal valore del 1971 (53 per cento), segno dell’emergere del nuovocomparto dei servizi per le imprese: l’importanza di quest’ultimocresce dal 4 per cento del 1971 al 22 per cento del 2001.In realtà, la presenza complessiva del comparto dei servizi nelNord-Italia è sottodimensionata rispetto quanto accade nel restodel paese. Tale despecializzazione può essere analizzata nel det-taglio settoriale, al fine di individuare quali siano i pesi relativi deisingoli settori. Dalla tabella 6 si evince che la despecializzazionenel terziario è comune a tutti i suoi comparti tranne i casi dei ser-vizi finanziari e dei servizi alle imprese. Questi due comparti sonoinfatti relativamente più presenti nel Nord-Italia rispetto al restodel paese e rappresentano una specificità sicuramente legata al-la tradizione industriale del Nord-Italia. È altresì interessante sot-tolineare la despecializzazione nei servizi pubblici, frutto di unascarsa presenza delle attività della pubblica amministrazione.Il ruolo dei servizi finanziari e dei servizi alle imprese spinge ad ac-cettare l’ipotesi di complementarietà tra sistema industriale esettore dei servizi: la crescita del secondo sarebbe in parte da at-tribuirsi alla storica presenza del primo.

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

107,4

94,5

115,5

109,3

117,6

96,5

92,4

110,0

101,4

118,0

118,1

113,1

104,5

108,7

107,9

107,4

82,4

95,9

89,2

113,9

71,0

75,9

90,9

82,1

105,0

109,7

105,8

82,9

106,5

96,0

102,6

58,0

68,7

87,9

101,8

54,9

67,6

108,5

79,4

111,5

119,7

99,9

60,2

102,6

89,5

Tabella 3: Nord-Italia: dinamica dell’occupazione manifatturiera(indice 1971=100)

Alimentari

Tessile

Cuoio

Legno

Carta

Coke e raffinazione

Chimica e farmaceutica

Gomma e plastica

Lavorazione minerali

Metalmeccanica

Macchinari

Elettrico-elettronica

Mezzi di trasporto

Altre industrie

manifatturiere

Totale

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

1971 1981 1991 2001

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

120,5

133,8

122,5

170,0

201,3

112,5

127,6

127,9

143,6

115,7

219,4

481,1

125,1

145,3

123,9

166,6

131,1

232,5

1023,0

142,0

170,2

Tabella 4: Nord-Italia: dinamica dell’occupazione del terziario(indice 1971=100)

Commercio

Alberghi e ristoranti

Trasporti

e comunicazioni

Intermediazione

finanziaria

Servizi alle imprese

Servizi pubblici,

sociali e personali

Totale terziario

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

Addetti1971

Addetti1981

Addetti1991

Addetti2001

Page 55: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

55

Le dimensioni di impresa

Il modello di sviluppo del Nord-Italia è di tipo duale: mentre nelNord-Ovest si è basato sulla grande impresa, qui presente inmodo nettamente superiore a quanto si registra per il resto delPaese, nel Nord-Est è invece l’impresa di piccole dimensioniquella che caratterizza il sistema economico locale. Queste differenze sono evidenti soprattutto nell’ambito manifat-turiero, dove il Nord-Ovest raccoglie il 16 per cento dell’occupa-zione nelle imprese con più di 250 addetti (tabella 7). La corri-

spondente percentuale per il Nord-Est è del 13 per cento, abba-stanza vicina a quella del resto del Paese (11 per cento) e delNord-Italia nel suo complesso (14 per cento). La fotografia del 2001 è in realtà il risultato di un processo di con-vergenza tra i modelli di sviluppo qui esaminati, se si considerache il peso delle grandi imprese del Nord-Ovest nel 1971 era ad-dirittura del 38 per cento, sei punti percentuali in più del Nord-Ita-lia e ben 17 in più del Nord-Est. Il processo di convergenza deimodelli di sviluppo, frutto della crisi della grande impresa localiz-zata soprattutto nel Nord-Ovest, ha reso quindi questa regionemolto più simile al Nord-Est e al resto del Paese.

99

108

97

108

111

91

98

109

95

107

113

96

98

105

92

107

113

96

96

100

95

106

112

92

Tabella 6: Indici di specializzazione terziario (Nord-Italia su resto del paese)

Commercio

Alberghi e ristoranti

Trasporti

e comunicazioni

Intermediazione

finanziaria

Servizi alle imprese

Servizi pubblici,

sociali e personali

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

Addetti1971

Addetti1981

Addetti1991

Addetti2001

53,3

11,2

18,8

5,8

3,6

7,3

100,0

50,4

11,7

18,0

7,8

5,7

6,4

100,0

46,9

11,1

14,9

8,8

12,0

6,3

100,0

38,8

11,0

14,4

8,0

21,7

6,1

100,0

Tabella 5: Nord-Italia: Composizione percentuale occupazione terziario

Commercio

Alberghi e ristoranti

Trasporti

e comunicazioni

Intermediazione

finanziaria

Servizi alle imprese

Servizi pubblici,

sociali e personali

Totale terziario

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

Addetti1971

Addetti1981

Addetti1991

Addetti2001

31

31

31

42

Tabella 7: Distribuzione percentuale occupati industria manifatturiera per classi dimensionali (2001)

Nord-Ovest

Nord-Est

Nord-Italia

Italia senza Nord

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

Micro imprese1 - 9 addetti

30

34

32

31

Piccole imprese10 - 49 addetti

23

23

23

16

Medie imprese50 - 249 addetti

16

13

14

11

Grandi imprese250 +

100

100

100

100

Totale

32

22

34

7

11

21

27

14

22

4

35

23

Tabella 8: Nord-Italia: distribuzione percentuale occupati nei settori manifatturieri per classi dimensionali (2001)

Alimentari, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento, cuoio

Legno, carta, stampa e editoria

Coke e petrolio

Chimica, gomma e plastica

Minerali non metalliferi

Prodotti in metallo

Macchinari

Macchine elettriche

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale industria manifatturiera

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

Micro imprese1 - 9 addetti

24

39

35

29

30

33

42

31

29

12

38

33

Piccole imprese10 - 49 addetti

24

28

23

30

35

32

22

32

25

24

23

27

Medie imprese50 - 249 addetti

20

11

8

34

24

14

9

23

24

60

4

17

Grandi imprese250 +

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

Totale

Page 56: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

56

Se disaggreghiamo il dato di sintesi del comparto manifatturieronei suoi settori (tabella 8), notiamo come vi siano profonde diffe-renze tra le varie tipologie di industrie: mentre nei mezzi di tra-sporto ben il 59 per cento dell’occupazione è presente in unitàlocali aventi più di 250 addetti, nel settore del legno e in quellodella meccanica tale peso è limitato all’8 per cento.L’andamento che si evidenzia nel comparto manifatturiero èsimile a quanto avviene nel comparto terziario, anche se ledifferenze tra aree/settori sono meno pronunciate, tanto nel1971 che nel 2001.Rapportando il numero di occupati al numero delle unità lo-cali otteniamo la dimensione media delle attività economiche.Tale dimensione media varia a seconda del settore economi-co considerato, soprattutto a causa delle caratteristichedella tecnologia utilizzata nella produzione del manufatto odel servizio, della forma organizzativa tipica di tale settore, delmercato di riferimento, delle variabili istituzionali e normati-ve legate al fisco, al mercato del lavoro, al mercato di approv-vigionamento delle materie prime, ecc. Generalmente, ilcomparto industriale necessita di dimensioni medie d’impresapiù elevate del terziario. Nel Nord-Italia l’industria occupa me-diamente 9,8 addetti per unità locale, dato superiore del 50per cento di quello del resto del Paese (6,3).L’elemento più interessante riguarda la dinamica di tale variabiledimensionale: nel corso del tempo la dimensione media delcomparto industriale si è progressivamente ridotta, passandoda 13,3 addetti del 1971 a 9,8 addetti nel 2001, con una ridu-zione del 26 per cento. Al contrario, la dimensione media delleimprese dei servizi è rimasta praticamente invariata.Tra le varie regioni, merita ricordare che in Piemonte la ridu-zione della dimensione media è più accentuata rispetto al da-to lombardo, effetto della ristrutturazione delle imprese digrandi dimensioni. All’interno del comparto manifatturieroemerge con notevole chiarezza la relazione esistente tra di-mensione e tipologia di settore, effetto delle diverse econo-mie di scala tecniche. Infatti, a fronte di settori in cuil’organizzazione del lavoro e la tecnologia consentono di uti-lizzare attività di piccole dimensioni, si notano alcuni setto-ri ad elevate economie di scala il cui sfruttamento obbliga adorganizzare imprese e stabilimenti di dimensioni maggiori. Nelprimo caso citiamo gli alimentari, il legno, la carta, i prodot-ti in metallo, tutti settori in cui il numero di addetti per unitàlocale è inferiore alla media; nel secondo gruppo inseriamola chimica e i mezzi di trasporto, ove la dimensione d’impresaè superiore alla media dell’industria manifatturiera. Merita sot-tolineare che lo stesso settore può avere dimensioni differen-ti a seconda della regione, e cioè del contesto socio-econo-mico e istituzionale in cui è inserito. Per esempio, dalconfronto dei dati regionali emerge che in Piemonte a paritàdi settore le dimensioni d’impresa sono superiori a quelle del-la Lombardia; ciò è valido soprattutto nel caso del tessile, del-la chimica e dei mezzi di trasporto.Oltre al confronto dei livelli raggiunti dalle dimensioni medie neidiversi settori e nelle regioni che compongono il Nord-Italia, i da-ti censuari ci consentono di esaminare la dinamica decennaleche la dimensione media registra nel corso del tempo. Comegià affermato si assiste ad una netta riduzione del numero me-dio di addetti per unità locale: fatto pari a 100 la dimensione me-dia del 1971, nel 2001 si registra nel Nord-Italia un indice di 74,

pari ad una diminuzione del 26 per cento della dimensione me-dia. Il corrispondente dato del Nord-Ovest è 63, indicante unariduzione del 37 per cento delle dimensioni di impresa.In alcuni settori, tale riduzione mostra una dinamica maggiore: sitratta delle macchine elettriche e dei mezzi di trasporto, che nel2001 hanno raggiunto la dimensione di un terzo rispetto a quel-la di inizio periodo. Al contrario, in altre industrie la caduta delladimensione media è meno evidente, come nel caso del tessile (-6 per cento nel trentennio). Nel settore del legno-carta-editoriasi assiste addirittura ad un aumento della dimensioni di impresa(+8 per cento). Alla base del cambiamento in corso dentro il si-stema industriale vi è probabilmente la crisi economica che hacolpito negli ultimi due decenni le imprese di grandi dimensioni,molto più presenti nel Nord-Italia che nel resto del Paese. Legrandi imprese determinavano buona parte delle specificità ter-ritoriali sopra descritte: attive nel comparto industriale, e non neiservizi, soprattutto nei settori dei mezzi di trasporto e della me-talmeccanica; con una forte concentrazione nelle province diGenova, Torino e Milano. È probabilmente la crisi della grandeimpresa a rendere le variabili quantitative del Nord-Ovest più si-mili a quelle del Nord-Est, proprio perché la piccola impresamostra migliori segni di vitalità, tanto a Est quanto a Ovest.I dati censuari che evidenziano il processo di ristrutturazioneche ha colpito la grande impresa nel Nord-Italia sono emblema-tici a questo proposito: il numero di grandi unità locali si riducenettamente, tra il 1971 e il 2001; gli addetti occupati nei grandistabilimenti si riducono del 60 per cento nel corso del trenten-nio; i settori in cui la grande dimensione subisce un forte ridi-mensionamento sono proprio quelli delle specializzazioni indu-striali tradizionali, quali il tessile-abbigliamento, la metalmecca-nica, la lavorazione dei minerali non metalliferi (tabella 9).

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

82

52

104

142

76

84

102

97

92

102

76

87

66

28

58

71

49

43

46

63

60

74

49

54

59

22

37

44

40

27

33

57

45

44

65

40

Tabella 9: Nord-Italia: dinamica occupazione nelle unità locali con più di 250 addetti (indice 1971=100)

Alimentari,

bevande e tabacco

Tessile,

abbigliamento, cuoio

Legno, carta,

stampa e editoria

Coke e petrolio

Chimica,

gomma e plastica

Minerali non metalliferi

Prodotti in metallo

Macchinari

Macchine elettriche

Mezzi di trasporto

Altre

industrie manifatturiere

Totale

industria manifatturiera

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Censimenti industriali

Addetti1971

Addetti1981

Addetti1991

Addetti2001

Page 57: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

57

Nel caso del terziario, l’analisi della dimensione media delleunità locali mostra una maggiore omogeneità delle organizza-zioni d’impresa nei diversi settori e anche nei diversi territori delNord-Italia. Mentre la dimensione media dell’intero compartodei servizi non cambia sensibilmente nel corso del trentennioconsiderato, tra i singoli comparti del terziario si individuano ca-si di forte riduzione della dimensione, come nel caso dei servizifinanziari8 la cui media cala del 45 per cento nel trentennio, alter-nati a casi di aumento della dimensione, come nel commercio,negli alberghi/ristoranti, nei servizi pubblici.

Alcune note conclusive

Il modello di sviluppo economico del Nord-Italia è caratterizzatoda alcune specificità storiche, molto evidenti nel 1971, che ten-dono ad attenuarsi nel corso del tempo. La fotografia scattata al2001 mostra infatti un Nord-Italia un po’ più simile al resto delPaese, con le sue specificità territoriali in forte attenuazione:- la minore specializzazione manifatturiera, al cui interno i settoridella metalmeccanica, dei macchinari e della chimica hanno ri-dotto la forte leadership nazionale;- il venir meno della leadership nazionale in un settore storica-mente importante come quello degli autoveicoli;- la riduzione dell’elevata dimensione media delle imprese e de-gli stabilimenti, soprattutto nel campo manifatturiero;- la minore concentrazione delle attività economiche nelle pro-vince del triangolo industriale o nei distretti industriali di più anti-ca industrializzazione.Il nuovo modello economico, che segue il percorso di crescitadelle altre regioni europee di più antica industrializzazione, pro-duce l’effetto di avvicinare i dati strutturali del Nord-Italia alle ca-ratteristiche del modello esistente nel resto del Paese, a quella“Terza Italia” che dalle regioni centrali ha ormai coinvoltol’economia del Meridione lungo l’asse adriatico: anche il nuovomodello del Nord-Italia è basato sul terziario, sulle piccole im-prese, sull’economia diffusa nel territorio (Trigilia, 2007). Nel periodo 1971-2001 si assiste a un aumento dell’occupazionetotale del Nord-Italia, associato ad un calo dell’occupazione delcomparto industriale e ad una crescita dell’occupazione nei servi-zi. Il dato più interessante è proprio la composizione interna delladinamica occupazionale: il profondo mutamento avvenuto nel si-stema economico ha fatto venire meno il ruolo preponderante delcomparto industriale e ha favorito il comparto dei servizi. La trasformazione investe tutte le imprese, senza distinzione didimensione, localizzazione territoriale, tipologia produttiva. In-fatti, la crisi economica che ha coinvolto negli ultimi due decennile imprese di grandi dimensioni si riverbera anche sulle impresedi dimensioni inferiori, costringendole ad affrontare con nuovistrumenti manageriali la globalizzazione dei mercati ed il cam-biamento tecnologico. Stessa affermazione vale se confrontia-mo le regioni di più antica industrializzazione, quelle del Nord-Ovest, con le regioni del Nord-Est: mentre le prime subiscono ilcambiamento in termini di minore importanza del compartomanifatturiero a favore dell’ascesa di un terziario avanzato e in-novativo, le seconde sono più coinvolte nelle modifiche organiz-zative e produttive in atto nei tradizionali distretti industriali. Infi-

ne, anche il confronto tra settori tradizionali e settori ad alta tec-nologia vede coinvolti tutte le tipologie di operatori: la crisi del-l’Olivetti negli anni novanta conferma che non è sufficiente esse-re inseriti in un settore innovativo per evitare di subire i cambia-menti nell’economia mondiale, che hanno effetti tanto sui pro-dotti tradizionali quanto su quelli a maggior contenuto di ricerca.Dentro il Nord-Italia, la dualità dello sviluppo che contrappone ilNord-Ovest al Nord-Est mostra due percorsi di evoluzione diffe-renti: nonostante la storica presenza del manifatturiero nel Nord-Ovest, la specificità industriale oggi è una tipica caratteristica delNord-Est, mentre nel Nord-Ovest la crescita del terziario è sup-portata soprattutto dal terziario per il sistema produttivo, al cui in-terno i servizi per le imprese e i servizi finanziari sono fortementelegati alla componente manifatturiera dell’economia. Per tale motivo, è probabile che il processo di terziarizzazionedel Nord-Italia non si dovrà accompagnare necessariamente aun processo di deindustrializzazione dell’area: l’interdipendenzatra i due comparti fa sì che la mutazione in atto nel settore in-dustriale trovi un adeguato supporto nel settore terziario, co-me mostrano i dati censuari di lungo periodo.

Bibliografia

R.Basile e M.Mantuano, L’agglomerazione manifatturiera in Italia: un’analsi ba-sata sui dati di censimento per i Sistemi Locali del Lavoro, Imprese & Territorio,n.1, Torino, 2006G. Becattini, Distretti industriali e sviluppo locale, Bollati Boringhieri, Torino, 2000G.Berta, Metamorfosi. L’industria italiana fra declino e trasformazione, Egea, Mi-lano, 2004G.Berta (a cura di), La questione settentrionale, in corso di pubblicazione su An-nali Fondazione Feltrinelli, Milano, 2007I.Cippolletta (a cura di), L’industria su misura.Breve storia della continua rincor-sa dell’economia italiana, I Quaderni di Economia Italiana, n.3, 2007, RomaN.Crepax, Storia dell’industria in Italia, Bologna, 2002CSS. Libro bianco per il Nord-Ovest. Dall’economia della manifattura all’econo-mia della conoscenza, Marsilio Editori, 2007A.Enrietti e R.Lanzetti, La crisi Fiat Auto e il Piemonte, Contributi Ires, Torino, 2002M.Lamieri e A.Lanza, La ripresa passa attraverso la qualità: un’analisi del po-tere di mercato delle imprese italiane, Imprese & Territorio, n.1, Torino, 2006Mediobanca-Unioncamere, Le medie imprese industriali in Italia (1996-2003), Mi-lano, 2007C.Trigilia, Piccole imprese e picole città: il modello italiano di sviluppo sociale edeconomico, Imprese & Territorio, n.2, Torino, 2007G.Vitali, Il taccuino dell’economia piemontese, Regione Piemonte, Torino, 2002G.Vitali, Gli indicatori della trasformazione, in G.Berta (2007) op.cit.

8- Nel caso dei servizi finanziari è molto evidente la differenza metodologica che sussiste tra dimensione d’impresa e dimensione dell’unità locale: la prima si riferirebbe alla grandezza della impresa ban-caria, dimensione tendenzialmente in aumento a causa del processo di concentrazione in corso sia a livello internazionale che nazionale; la seconda si riferirebbe alla grandezza dello sportello/agenziabancaria, dimensione in netta riduzione grazie alla liberalizzazione degli sportelli bancari e all’uso delle tecnologie informatiche.

Page 58: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

58

LA GRANDE DISTRIBUZIONE NEL MEZZOGIORNO: STRUTTURA E PROIEZIONE TERRITORIALE“La Grande Distribuzione nel Mezzogiorno: struttura e proiezio-ne territoriale” rappresenta una delle ultime ricerche prodotte daSrm. Il lavoro chiarisce il meccanismo che sta alla base della re-te distributiva italiana, ne approfondisce gli elementi strutturali,economici e normativi e in particolare chiarisce l’orientamentodelle imprese distributive che operano soprattutto al Sud pro-ponendosi di mettere in evidenza i punti di forza e i punti di de-bolezza di questa espansione. Il commercio da “non protagoni-sta a primo attore nel Sud” è, dunque, l’oggetto della ricercache, peraltro, sarà presentata il 29 novembre a Roma presso lasede del CNEL. Oggetto di questo articolo è presentare i princi-pali spunti di riflessione tratti dalla ricerca.Per arrivare a definire il quadro del sistema distributivo italiano emeridionale, presentare tutti gli attori in gioco e definirne ruolo efunzioni, la ricerca ha adottato una tecnica definita di “funnel-pro-cess” o ad imbuto. La complessità dello studio sta anche nellaconsiderazione di fondo che non esiste una definizione univoca etantomeno statica di Grande Distribuzione Organizzata (GDO) epertanto si è tentato - attraverso il riferimento a varie fonti e 23 te-stimonianze di chiarire le logiche che sottendono alle aggregazio-ni di impresa che compongono il complesso mondo della GDOche in questo settore prendono il nome di “supercentrali”, “cen-trali o gruppi” e “centri decisionali”. Un mosaico complesso di at-tività in cui gli elementi normativi, territoriali e le tendenze dei con-sumatori sono stati analizzati in ogni dettaglio.La Grande Distribuzione è un settore composito che spazia dal-l’alimentare, al tessile, ai mobili, ai prodotti high tech, un mosai-co di realtà diverse che attualmente sembra essere caratteriz-zato da una forte standardizzazione nei prodotti offerti. Poiché,infatti, la quantità di insegne presenti sul territorio non è elevatis-sima la differenziazione si riduce ma, sempre più, il territorio di-verrà il fattore competitivo strategico in grado di determinare ilsuccesso di un sistema, che ruota intorno al format distributivorealizzato. Si prevede infatti la nascita di un bisogno di differen-ziazione locale (che peraltro i grandi distributori già hanno rece-pito come risulta dai prodotti Dop e Doc che presentano sugliscaffali). Per poter differenziare i prodotti su larga scala occorreche la filiera produttiva sia composta da imprese di grande pro-fessionalità con insegne e prodotti originali e fedeli alla loro storia.In termini di scenario si può affermare che, l’attenzione deiGrandi Distributori, sia italiani che stranieri, si sta via via semprepiù concentrando sul Mezzogiorno. In un futuro molto prossimole aziende che hanno la capacità di presidiare il territorio nazio-nale (Auchan, Carrefour e Coop) si espanderanno sempre piùnell’area di riferimento. Anche molte imprese locali, con dimen-sioni significative, si presenteranno all’appuntamento con ilmercato locale con interessanti piani di espansione in quanto

godono, già, di un vantaggio competitivo dato dalla conoscen-za del consumatore e del mercato locale. Nel Mezzogiorno - laDistribuzione moderna e con essa la Distribuzione straniera -sarà sempre più presente, dunque, sia per la presenza di spaziche per volontà degli attori.Stiamo parlando di un settore con un fatturato del solo despecia-lizzato, alimentare e non pari a circa 88.000 milioni di euro, con unpeso (tabella 1) dell’11% sulle vendite dell’UE a 25 contro il 23%della Francia, 19% della Gran Bretagna e il 16% della Germania.Negli ultimi 20 anni il settore distributivo si è trasformato in ma-niera significativa in risposta ai mutamenti sociali e complessitàdei bisogni di un’economia divenuta sempre più globale inter-pretando anche quelli che sono stati gli orientamenti degli stili divita dei cittadini e determinando anche trasformazioni di interefotografie di aree cittadine.“In molti casi - ci spiega la professoressa Corinna Morandi do-cente di urbanistica al Politecnico di Milano e direttore del Labo-ratorio Urb&com - attraverso la localizzazione di attività com-merciali integrate si configurano nuove, consistenti polarità terri-toriali, che modificano anche la gerarchia dei luoghi centrali. Inquesta riorganizzazione delle funzioni, che vede in parallelo losviluppo della diffusione urbana ed il condensarsi delle attività invecchie e nuove polarità, le attività commerciali integrate sonoun elemento economicamente e socialmente rilevante”.

Le dinamiche di crescita del comparto

L’interpretazione di quello che è il quadro attuale è molto difficileda delineare vista la forte dinamica del settore sostenuta dallacosiddetta riforma Bersani della fine degli anni ’90 ulteriormenteaccentuata dai provvedimenti dell’estate del 2006.Tale riforma ha favorito la spinta al pluralismo dell’offerta com-merciale in relazione anche alle tipologie di struttura stessa conun progressivo ammodernamento della rete di vendita. La gran-de distribuzione manifesta, una maggiore spinta innovativa euna tendenza a privilegiare forme nuove, dalle grandi superficispecializzate, ai centri commerciali, ai parchi commerciali. Il primo aspetto da evidenziare è la tendenza ad una crescitacostante che nel futuro proseguirà - anche secondo Federdistri-buzione - ad un ritmo lento, ma regolare. Il sistema distributivoappare, comunque, complessivamente in sviluppo: non si fer-ma in termini di numerosità del parco esercizi, anche se i super-mercati rallentano rispetto alla crescita registrata nel 2004 (gra-fico 1) . In particolare a partire dal 2001 il numero degli ipermer-cati nel sud continua ad aumentare nonostante il peso del nu-mero degli ipermercati del sud sul totale del paese si mantengaal 20%, quello dei supermercati al 30%.

a cura di SRM*

*Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno

Page 59: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

59

A livello di macro-obiettivi la ricerca evidenzia che il fenomenoGrande Distribuzione Organizzata ha assunto caratteristichemature di sviluppo in Italia (in termini di reddito, occupazione ereti) e si avvia a consolidamento nel Mezzogiorno.Nonostante lo sviluppo delle grandi imprese commerciali, larealtà della distribuzione italiana è ancora fortemente un fenome-no locale pluriregionale e le imprese che formano la rete distribu-tiva sono caratterizzate da tale limitazione territoriale; sono cioèimprese ancora piccole dimensionalmente se confrontate alleaziende commerciali europee. Il fenomeno è giustificato dal fattoche le difficoltà legislative, organizzative, logistiche ed economi-che che le imprese italiane devono affrontare, aumentano pro-porzionalmente allo sviluppo della rete di vendita. Per superaretali difficoltà uno degli strumenti cui le imprese distributive stannofacendo ricorso è l’organizzazione dell’intera supply chain.Attualmente non c’è una realtà della catena della Grande Distri-buzione Organizzata di proprietà italiana che sia presente in ma-niera consistente sui mercati stranieri - mentre è vero il contra-rio. Il futuro molto prossimo si prospetta dunque caratterizzato

dal un fenomeno di concentrazione delle imprese italiane: ilmercato è europeo, gli stranieri operano sul mercato italianomentre gli italiani non riescono ad uscire dai confini nazionali ead affermarsi stabilmente sui mercati stranieri. Nell’Italia meridionale i dati attuali mostrano ancora una grandevivacità della numerosità del commercio, inteso in senso ampio,che rappresenta ancora una valvola di sfogo occupazionale e,infatti, in termini di numerosità la tendenza dei punti di venditatradizionali è ancora di crescita, accompagnata dallo sviluppocrescente dei nuovi format distributivi. I processi di globalizza-zione in atto stanno però esercitando una forte pressione sullePMI commerciali locali che si difendono concentrandosi su pro-dotti di nicchia di elevata qualità. L’ingresso nel mercato di gran-di corporation commerciali in grado di esprimere enormi volumidi acquisto e vendita è però comunque garantito da processi dialleanze con le imprese distributive interne e dallo sviluppo degliinteressi economici in gioco.

“La realizzazione di superfici commerciali, soprattutto di grandio grandissime dimensioni, non è indifferente rispetto al territorioin cui si colloca, anzi è generatrice di effetti molto importanti, siadi tipo fisico - primo fra tutti l’impatto sulle reti di viabilità e sulpaesaggio - sia di tipo socioeconomico con esternalità positive(generazione di risorse economiche e creazione di posti di lavo-ro) e negative, legate al frequente innescarsi di processi di inde-bolimento del commercio di prossimità.”1.La Grande Distribuzione Organizzata muove risorse economi-che molto importanti e di questo i Comuni e le Regioni sonoconsapevoli, al punto da incoraggiare la localizzazione di mediee grandi strutture di vendita. I presidi territoriali hanno però do-vuto mediare, ed in alcuni casi - soprattutto nel Mezzogiorno - lapolitica commerciale ha dovuto dare il tempo e l’opportunità af-finché il vecchio commercio di vicinato trovasse nuove stradeper accrescere la sua vitalità economica. La Ricerca ha inteso spiegare il complesso meccanismo che re-gola il mercato distributivo partendo dal legame tra i principali at-tori del sistema che sono l’”Industria distributiva, “la Normativa”,le “Attività Finanziarie”, ed il “Consumatore”. I meccanismi di ric-chezza del sistema distributivo sono messi in luce dalla ricerca at-traverso l’approfondimento delle tematiche chiave di ogni aspettocon tutti i principali operatori del settore (es. per il fattore Territoriosono stati intervistati gli assessori regionali e per l’aspetto Urbani-

227

32.618

3.268

36.779

32.748

3.698

6.391

4.616

6.368

6.044

4.330

996

1.735

35.373

488.118

60.578

1.602

19.516

2.469

5.466

25.596

52.491

118.323

74.790

Nr. di impreseVendite al dettaglio in negozi non specializzati

2.255

178.141

15.605

169.412

140.984

14.764

23.033

14.157

18.827

15308

10.653

2.296

3.182

63.113

800.000

87.453

1.261

11.998

1.302

2.065

8.639

10.174

21.152

4.402

Fatturato inmilioni di €

9.931.718

5.461.420

4.775.122

4.606.224

4.305.106

3.992.455

3.604.021

3.067.006

2.956.423

2.532.842

2.460.185

2.305.221

1.834.179

1.784.220

1.638.948

1.443.645

786.954

614.752

527.177

377.772

337.525

193.826

178.761

58.859

Fatturato medio per

impresa (€)

Tabella 1: Vendite al dettaglio in Europa

Lussemburgo

Francia

Danimarca

UK

Germania

Finlandia

Belgio

Austria

Svezia

Norvegia

Irlanda

Slovacchia

Slovenia

Spagna

UE 25

Italia

Estonia

Portogallo

Cipro

Lithuania

Ungheria

Rep. Ceca

Polonia

Romania

Fonte: Elaborazione SRM su dati Eurostat

1- Dall’intervista alla Professoressa Morandi, Dipartimento di Architettura Urb&Com, Politecnico di Milano

0,3

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0

-0,05

Grafico 1: Crescita annua degli Ipermercati e dei Supermercati nel Mezzogiorno

Ipermercati % Sud Supermercati % Sud

1995 1996 1997 19991998 2000 2001 20032002 2004 2005

Fonte: Elaborazione SRM su dati Ministero Sviluppo Economico 2007

Page 60: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

60

stico ci si è rivolti al Politecnico di Milano, per il fattore Attività Fi-nanziarie ci si è rivolti ad esempio alla Agos Banca, per il fattore In-dustria sono stati intervistati Federdistribuzione ed i principalioperatori del Mezzogiorno, per interpretare le principali esigenzedei consumatori ci si è rivolti a Federconsumatori).L’analisi condotta non ha inteso solo misurare le distanze territo-riali ma si orienta a una verifica di modelli di sviluppo in chiavemoderna compatibile con le richieste e le dinamiche territoriali.Piuttosto che inseguire solo valutazioni di carattere quantitativo,a cui si potrebbe troppo semplicisticamente associare un giudi-zio di modernità, si è preferito indagare i meccanismi che sonoalla base dello sviluppo commerciale delle diverse regioni per ca-pire come si è orientata la struttura normativa, infrastrutturale, or-ganizzativa, finanziaria della Grande Distribuzione in Italia.Va chiarito dunque che modernità distributiva non vuol direstandardizzazione e azzeramento delle differenze, ma permettedi innestare quel processo evolutivo secondo logiche di merca-to senza che ciò elimini gli elementi virtuosi del dettaglio sia intermini economici, ma anche e soprattutto sociali, relazionali edi valorizzazione delle nicchie di qualità.Una delle dinamiche più evidenti che risultano dall’analisi riguardain particolare lo sviluppo dei format commerciali. In futuro semprepiù si assisterà allo sviluppo di nuovi format pensati come luoghidi ritrovo dove le persone passeranno il tempo libero, per cui, alleattività tradizionali si aggiungeranno sempre nuove funzioni. Sidovranno dunque trovare nuove ancore per attrarre il consuma-tore. Quindi il format originale è destinato a modificarsi ma apparedifficile capire quali saranno le tendenze future. Il percorso più lo-gico, secondo il parere degli intervistati, sembra essere quello divalorizzare la gestione dei Centri Commerciali e dei moderni boxdistributivi all’interno del perimetro delle città, con il food che per-derà sempre più appeal a favore del non-alimentare.

Alcuni fattori interpretativi

La ricerca ha individuato quattro tendenze chiave che attraver-seranno il sistema commerciale italiano che richiedono politichecommerciali convergenti tra le Amministrazioni locali, i sottoin-siemi distributivi della Grande Distribuzione Organizzata e lePMI commerciali, ed imprenditoriali in genere, che quanto piùpossibile dovrebbero puntare a superare e non a strumentaliz-zare logiche antagonistiche.

Il modello di sviluppo della grande distribuzione vagestito e non subito. Lo sviluppo del canale distributivo “mo-derno”proseguirà per volontà del mercato e dei consumatori. Ilprocesso di crescita dimensionale delle superfici, l’aumento deiservizi offerti, la globalizzazione dell’offerta di prodotti, la crescitadegli investimenti esteri nel territorio, la spinta alla riorganizzazio-ne delle strutture interne della nostra rete distributiva, il connessosnellimento ed efficientamento a vantaggio del consumatorerappresentano dati di fatto che uniscono elementi di positivitàevidenti in termini di redditività di mercato, mix di offerta e gene-razione di valore indotto sul territorio ad alcuni elementi evidentidi squilibrio delle forze in gioco e di eccessiva standardizzazione.Pertanto valorizzare, a livello locale, tali indubbie dinamiche disviluppo dei diversi canali distributivi implica l’adozione di linee diindirizzo e di policy che puntino a contenere il più possibile glisquilibri di sistema e favorire, nel contempo lo sviluppo ordinatodelle forza competitive di mercato.

La pianificazione del territorio diviene elementocentrale. La capacità progettuale di integrazione del model-lo di sviluppo distributivo sempre di più dovrà coordinarsi conil processo di sviluppo, riqualificazione, ammodernamentodelle città e del territorio. L’obiettivo per il Mezzogiorno in par-ticolare potrà essere quello di massimizzare i vantaggi loca-lizzativi della GDO legati al fatto che ci si trova in una fasenon ancora satura di sviluppo. Pertanto, lo sforzo progettua-le e di pianificazione urbanistica deve essere coerente conle caratteristiche dei territori attraverso modalità di gestioneunitaria delle attività (Town Centre Management). Poca atten-zione è stata infatti dedicata al tema della necessità di tro-vare una regia comune per la valorizzazione e la gestione deiCentri Commerciali e dei moderni box distributivi all’internodel perimetro delle città; questo fenomeno può inserirsi in ma-niera coerente con la programmazione europea che sempredi più vuole incentivare lo sviluppo economico produttivo al-l’interno delle città.

Il rapporto grande distribuzione-PMI commerciali.Appare evidente che alle PMI commerciali non è legittimo pro-spettare il possibile freno della Grande Distribuzione attraversopolicy ostative, ma occorre intervenire con azioni volte a creareper le PMI quelle condizioni esterne di competitività che il siste-ma della Grande Distribuzione genera autonomamente in termi-ni di logistica, impianti, strutture, urbanistica ecc. al contempo lestesse attività di nicchia e di commercio al dettaglio dovrannosostenere la propria attività di riqualificazione di mercato e nellenuove opportunità che anche il mercato distributivo stesso con-tinuerà a proporre.

Il comparto produttivo locale e la grande distribuzione.I rapporti tra i due settori sono caratterizzati da evidenti elemen-ti di debolezza, ma anche da taluni fattori di forza e spinte po-tenziali all’accrescimento competitivo, in particolare, delle PMIproduttive. Mentre per le grandi imprese le problematiche sonoin parte legate alla difesa, alla visibilità del marchio e alla facilereplicabilità dei prodotti, nei confronti delle aziende di minore di-mensione, la distribuzione può attuare forme di potere tese allacoercizione, generando conflitto e, talvolta, dipendenza da par-te dell’industria. Infatti, per vendere alla GDO, le piccole e medieaziende devono affrontare degli investimenti specifici. Per sod-disfare l’esigenza in termini di volumi, qualità e continuità dellafornitura, le PMI produttive dovranno ammodernare o ampliarela capacità produttiva, investire in competenze e risorse umaneche siano in grado di dialogare con i buyer, migliorare la dota-zione finanziaria ed i sistemi informativi ed, infine, adottare stan-dard operativi che permettano una coerente interfacciabilitàcon la distribuzione.L’interruzione del rapporto con la distribuzione, creerebbe serieminacce al proseguimento delle attività in maniera profittevole,per cui, spesso, le aziende di produzione accettano di sottosta-re a condizioni commerciali poco vantaggiose nel breve pur didare continuità al rapporto, aspettandosi vantaggi nel lungo.Le aziende meridionali dovrebbero invece attuare una più ef-ficace politica di marketing sia verso il consumatore che ver-so il distributore. Per fare ciò, è fondamentale crescere velo-cemente in competenze, senza però appesantire la struttura.Questo si può raggiungere attraverso un maggiore ricorso al-la cooperazione orizzontale, oltre che a una integrazione ver-ticale nella filiera in maniera tale da poter affrontare le azien-

Page 61: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

61

de della distribuzione con struttura e competenze adeguate.Focalizzando l’attenzione sulla realtà meridionale, in termini dipolicy, diviene pertanto fondamentale il ruolo degli enti localiche attraverso le linee di indirizzo della normativa possono svol-gere un ruolo strategico di sviluppo di sistema, guidati ancheda esperienze virtuose di altre regioni e di altri stati europei.

Spunti di riflessione per il Mezzogiorno

Dalle esperienze che percorrono l’Europa e l’Italia occorre indivi-duare quello che è più vantaggioso per il Mezzogiorno. Porsi og-gi in maniera propositiva di fronte al grande mutamento che sista realizzando nelle nostre città è dunque lo scopo della ricerca.- Per crescere è necessario pensare all’interesse del consuma-tore del Sud come elemento centrale. Il consumatore non vuoleperdere l’identità che vede racchiusa anche nei propri prodottitradizionali e quindi andrà bene il recupero delle produzioni lo-cali benché inserito all’interno del circuito distributivo;- Le liberalizzazioni della normativa nel Sud saranno un’opportu-nità di crescita e sviluppo del territorio se saranno in grado di poten-ziare le esternalità positive (ricchezza e occupazione) riducendo almassimo le negative (indebolimento del commercio di prossimità);- Il percorso evolutivo del commercio nel Sud potrà anche favori-re l’ulteriore evoluzione delle moderne strutture ripensate nell’otti-ca di sviluppo dei centri urbani e di recupero delle aree dimesse. Iprocessi si innestano dunque sul ruolo nuovo affidato alle città an-che nell’ottica della programmazione europea di 2007-2013.- Luoghi del commercio innovativi per l’offerta merceologica eper la qualità progettuale, integrati da attività legate al tempo li-bero e alla cultura potranno contribuire alla valorizzazione dellespecificità territoriali del Mezzogiorno, sostenendo efficace-mente sia la domanda locale che quella turistica. Le analisi e le elaborazioni evidenziate nel corso della ricerca, i fat-tori di competitività analizzati saranno approfonditi nel corso delconvegno e potranno contribuire al superamento delle criticità edelle particolarità riscontrate sul territorio. Nel Mezzogiornol’avvento della distribuzione moderna può rappresentare dunqueun’opportunità molto importante per valorizzare i prodotti del ter-ritorio (che vanno dall’alimentare, al tessile, al mobile) che sonopotenzialmente molto attraenti e ben accolti tra i consumatori.

Bibliografia

ANCD, (2006) Federalismo commerciale, concorrenza e liberalizzazione delmercato distributivo, IV Rapporto ANCD sulla legislazione commerciale.ASSOCIAZIONE SRM (2006), “Il sistema agroalimentare nel Mezzogiorno: analisidella crisi ed idee per il rilancio”, Rassegna Economica ,n. 2 dicembre, Napoli.ASSOCIAZIONE SRM (2006), Le filiere produttive meridionali: competitività,innovazione e sentieri di sviluppo, Napoli, Giannini editore.ASSOCIAZIONE SRM (in corso di pubblicazione), Poli logistici, infrastrutturee sviluppo del territorio. Il Mezzogiorno nel contesto nazionale, europeo e delMediterraneoAUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, (2007), Maz-zantini G. e Oliva G (a cura di) Qualità della regolazione e performance econo-miche a livello regionale: il caso della distribuzione commerciale in Italia, RomaBACCARANI C., (2005) Imprese Commerciali e Sistema Distributivo, Giapichel-li Editore, TorinoBANCA D’ITALIA (2006), Viviano E (a cura di) . “Entry Regulations and LabourMarket Outcomes :Evidence from the Italian Retail Trade Sector”, Tema di di-scussione n. 594BARABASCHI N., BONISSONE A., DE NOVELLIS E MUNGO F., (2005) Rap-porto sulla distribuzione intermedia, a cura di Scuola Superiore CTSP e REF- Ricerche per l'economica e la finanza, giugno.BRUNETTA G., LUCERI B., MORANDI C. TAMINI L., “Polarità commerciali e

trasformazioni territoriali. Un approccio interregionale. Piemonte, Lombardia,Emilia Romagna”, Atti del Seminario, Centro Incontri Regione Piemonte, 13febbraio 2007CARDINALI M.G. e PELLEGRINI D:, (2003) “Innovazione e Comunicazione delvalore dell’insegna” Convegno Internazionale, le tendenze del marketingCNCC (2003), L’industria dei Centri commerciali in Italia, Directory Soci, MilanoCOMMISSIONE EUROPEA, (1999), Libro Bianco del Commercio, BruxellesCOPPOLA F.S., CAPASSO S., FERRARA O., (2005) “Il sistema agroalimenta-re nel Mezzogiorno: le sfide dell’industria agroalimentare”, Rassegna Econo-mica n. 2, dicembre, NapoliCOPPOLA F.S., PANARO A.(2003) “Le politiche regionali di sviluppo rurale nel-le aree Obiettivo 1: risultati e prospettive” Rassegna Economica n. 2, dicem-bre, Napoli.FEDERDISTRIBUZIONE, (2006), Aspetti di criticità per il settore del commer-cio moderno, Milano GIRARDI U. (2004), “Federalismo commerciale, valorizzazione dei centri sto-rici e delle aree urbane, monitoraggio dei prezzi”, in Dal decreto Bersani al fe-deralismo commerciale, alla valorizzazione del territorio, a cura di INDIS -ANCD, Maggioli editore, RiminiINDICOD-ECR, (2006) “Intercettare la domanda nell’Italia che cambia, Testimo-nianze e Strategie per il largo consumo, Atti del convegno, Milano, Novembre. IRES Piemonte, (2005), Varbella L. (a cura di), “Carrello e sportello: il commer-cio diversifica”, rapporto sulla distribuzioneISMEA, (2006), Caratteristiche strategiche delle centrali d’acquisto alimenta-ri in Italia.LUGLI G: (2006), “Evoluzione dei rapporti di canale nella marca commercia-le “, Convegno M@rcaLUGLI G. e PELLEGRINI L.(2005), Marketing distributivo, Utet, TorinoLUGLI G., CRISTINI G (2001). Category Management. Come creare sintoniatra il marketing industriale e commerciale,Il sole 24 OreMINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, (2005) Rapporto sul sistemadistributivo Analisi economico - strutturale del commercio italiano. MORANDI C., (2003), Il commercio urbano-Esperienze di valorizzazione in Eu-ropa, Libreria Clup, MilanoMORANDI, C., (2006)“Le trasformazioni del commercio urbano. Riferimenti acasi italiani e europei”, in I luoghi del commercio, Atti del convegno, Vercelli.MORANDI C., (2005) Milano. La grande trasformazione urbana, Masilio, VeneziaPELLEGRINI D., (2005), “Dalla televisione al punto vendita: le nuove traietto-rie del valore tra comunicazione e retailing”, Congresso internazionale Frncia-Italia, “Le tendenze del Marketing in Eurupa”PELLEGRINI L., (2001), Il commercio in Italia - Dalla bottega all'ipermercato,Il Mulino editore, BolognaSCHENKEL M e STURAM D.(2004), La composizione dei consumi delle fami-glie europee fra transizione e allargamento, Università di Udine USAI G.(2004),L'evoluzione del commercio tra innovazione e tradizione, Cedam, PadovaSITL ITALIA, (2006) Workshop, “Logistica della filiera Agroalimentare” ParmaSOMEDIA, (2006) Strategie e strumenti di gestione per accrescere la reddi-tività dei nuovi format commerciali, Atti del convegno, Ottobre, MilanoSOLOW R. (2003) How to start again in Europe, Lavoce.infoTAMINI L. (2007), Atti Le dinamiche economiche e la trasformazione del ter-ritorio. Un esempio i luoghi del commercio e dell’entertainment, Politecnico diMilano Facoltà di ArchitetturaTAMINI L. (a cura di), (2005) Commercio e politiche territoriali: 4 temi emer-genti, Bergamo University Press, Edizioni Sestante, BergamoTRADELAB per INDICOD (2002), I processi di interfaccia con l’industria. MilanoUNIVERSITA’ BOCCONI (2005) “Vendite e Trade Marketing” collana Manage-ment n. 13 (a cura di Vicari S, Castaldo S) Egea MilanoWHYSALL P (1998) A stakeholder prospective on the city centre” in Marke-ting & Managing Urban Centres, Proceedings, The Manchester MetropolitanUniversity

Page 62: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

62 foto di Uliano Lucas

Page 63: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

63

numero 4 - novembre 2007Imprese Territorio& Appendice statistica

Fatturato nazionale, estero e per branche 65

Produzione industriale per branche 66

Prezzi alla produzione per branche 66

Ordinativi nazionali ed esteri 67

Congiuntura estera 68

Consumi delle famiglie per categoria merceologica 70

Indebitamento delle famiglie per strumento finanziario 71

Bilanci delle imprese per settore 72

Bilanci delle imprese per regione 76

Indicatori di bilancio per regione e per settore 80

Bilanci delle imprese per classi di fatturato 85

Clima di fiducia delle imprese 87

Page 64: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della
Page 65: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

65

87,8

89,6

100,8

101,5

102,1

101,8

104,0

106,2

114,4

104,7

103,3

103,0

106,7

103,7

104,8

106,8

108,8

107,4

106,5

108,3

110,6

108,3

110,8

113,6

112,3

114,4

116,1

113,0

120,6

113,6

115,8

115,6

118,4

115,8

114,3

117,4

116,4

121,7

117,8

120,2

124,7

86,8

87,7

101,1

101,7

103,3

101,3

104,0

110,6

123,9

104,7

105,3

106,3

109,8

106,6

108,0

113,2

116,4

112,6

112,1

114,0

117,9

116,3

119,2

120,3

119,5

123,4

123,4

120,8

129,2

127,3

126,6

128,3

132,1

130,3

131,1

136,5

132,2

135,4

137,6

137,3

144,7

87,5

89,0

100,9

101,5

102,4

101,7

104,0

107,4

116,9

104,7

103,8

103,9

107,6

104,5

105,7

108,6

110,9

108,8

108,0

109,8

112,6

110,5

113,0

115,4

114,3

116,8

118,0

115,1

123,0

117,3

118,7

119,0

122,1

119,7

118,8

122,6

120,7

125,4

123,1

124,8

130,1

87,3

86,6

101,1

99,8

100,1

100,0

104,7

108,3

119,8

107,9

106,3

104,8

110,4

105,8

104,6

109,3

109,0

108,1

108,1

111,0

114,6

111,1

114,7

116,2

115,6

118,7

120,7

118,7

129,6

120,0

122,1

123,2

127,2

123,8

123,9

126,6

125,2

129,6

129,2

129,9

136,3

89,7

92,9

100,8

103,9

103,5

99,5

103,1

104,5

116,3

99,1

101,7

98,9

104,9

101,4

103,4

106,4

113,8

106,4

103,4

105,4

109,4

105,7

112,1

115,8

112,8

116,9

119,9

110,7

121,0

119,0

119,8

118,0

123,6

121,7

121,8

129,4

123,0

130,5

124,7

130,1

139,3

87,6

89,6

100,4

101,5

100,0

95,7

98,0

99,6

103,7

94,5

96,2

95,3

101,4

95,9

96,8

102,0

106,0

102,4

100,0

102,4

101,9

103,5

103,3

103,9

100,2

104,0

103,0

101,0

105,6

103,0

104,5

104,8

107,4

104,9

104,4

107,6

105,2

109,2

108,6

106,6

111,9

93,1

94,2

100,8

103,1

106,6

106,0

103,9

104,2

110,5

103,1

103,2

103,1

102,0

102,8

105,0

104,3

105,3

104,9

104,1

106,4

106,6

106,5

106,6

108,3

108,9

111,1

110,8

109,8

114,0

109,9

113,1

112,6

113,9

112,5

112,0

111,2

111,7

114,6

112,4

112,8

115,0

Indice (base 2000=100)

periodo nazionale estero totaletotale beni intermedi

totale beni strumentali

totale beni di consumodurevoli

totale beni di consumo non durevoli

Indice destagionalizzato del fatturato dell'industria italiana

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2005/1

2005/2

2005/3

2005/4

2005/5

2005/6

2005/7

2005/8

2005/9

2005/10

2005/11

2005/12

2006/1

2006/2

2006/3

2006/4

2006/5

2006/6

2006/7

2006/8

2006/9

2006/10

2006/11

2006/12

2007/1

2007/2

2007/3

2007/4

2007/5

2007/6

2007/7

2007/8

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo su dati CONISTAT

Page 66: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

66

96,9

94,5

100,4

98,4

95,7

95,0

95,0

93,9

96,4

94,0

94,4

93,9

95,5

93,1

92,4

94,2

94,9

94,3

93,0

93,6

93,9

94,6

95,1

95,3

94,9

96,7

96,5

96,3

96,8

96,4

97,9

97,9

98,6

97,1

96,5

96,6

96,0

96,6

96,8

96,0

97,3

96,4

96,6

100,5

99,0

97,6

94,5

93,6

92,0

97,7

89,9

89,5

89,8

92,0

91,0

92,0

93,5

94,6

92,9

92,3

93,1

93,8

94,1

96,4

97,3

98,1

97,2

97,9

95,8

98,6

97,0

99,1

98,8

101,6

100,6

100,4

100,3

98,5

99,9

99,0

100,0

100

89,0

92,9

100,7

99,1

95,9

92,4

92,1

89,2

90,5

88,3

87,7

86,2

92,7

88,2

88,5

90,9

91,0

90,5

87,4

89,6

89,7

88,5

89,3

90,7

87,7

91,0

91,0

90,5

91,3

89,9

91,8

91,7

93,1

90,1

90,5

91,9

91,0

92,3

91,2

89,4

92,6

98,3

99,3

100,6

100,8

99,2

99,7

98,5

96,4

97,2

96,7

95,5

93,6

100,4

96,7

97,4

97,1

98,1

96,1

94,9

94,3

95,5

95,1

98,5

95,0

95,3

98,8

99,3

96,6

97,3

95,6

98,0

97,5

99,9

99,5

95,6

98,3

96,4

96,3

95,2

96,6

99,7

96,5

96,3

100,4

99,3

98,0

97,4

97,1

96,3

98,8

94,8

95,3

95,2

97,2

96,1

96,1

97,1

97,6

96,5

95,7

96,3

97,3

97,7

98,3

98,2

97,7

98,5

98,9

98,6

99,2

98,2

99,4

99,7

101,0

99,7

98,9

99,2

98,6

99,3

99,0

99,3

100,2

Indice (base 2000=100)

totale

totale beni di consumo non durevoli

totale beni di consumo

durevolibeni

strumentalibeni

intermediperiodo

Indice destagionalizzato della produzione industriale italiana

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2005/1

2005/2

2005/3

2005/4

2005/5

2005/6

2005/7

2005/8

2005/9

2005/10

2005/11

2005/12

2006/1

2006/2

2006/3

2006/4

2006/5

2006/6

2006/7

2006/8

2006/9

2006/10

2006/11

2006/12

2007/1

2007/2

2007/3

2007/4

2007/5

2007/6

2007/7

2007/8

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo su dati CONISTAT.

96,3

94,9

100,1

101,2

101,5

103,0

108,1

110,8

116,5

111,1

111,1

111,2

111,2

110,9

110,4

110,3

110,3

110,4

110,6

111,1

111,2

112,1

113,0

113,8

114,8

115,9

117,0

117,6

118,3

118,4

119,0

119,2

119,2

120,0

120,6

121,1

122,2

122,7

122,8

123,0

123,3

98,0

98,8

100,0

101,4

102,4

103,2

105,0

106,8

108,6

106,2

106,3

106,4

106,5

106,6

106,8

106,8

107,0

107,1

107,1

107,1

107,2

107,6

107,8

108,1

108,2

108,5

108,6

108,7

108,8

109,0

109,1

109,2

109,4

110,2

110,3

110,6

110,8

110,8

110,9

110,9

111,1

97,7

98,4

100,0

101,5

103,2

103,9

105,2

106,5

108,9

106,1

106,3

106,5

106,6

106,4

106,3

106,5

106,4

106,6

106,8

107,0

107,0

107,6

108,0

108,4

108,8

109,1

108,9

109,2

109,3

109,1

109,4

109,5

109,7

110,6

111,2

111,1

110,9

111,4

111,3

111,4

111,5

97,8

98,3

100,0

103,1

105,1

107,2

108,1

108,7

110,5

108,3

108,4

108,6

108,5

108,5

108,6

108,8

109,0

109,0

108,7

109,0

109,2

109,5

109,6

109,9

110,0

110,3

110,7

110,9

111,0

110,9

111,0

111,0

111,3

111,9

111,9

111,8

112,1

112,5

112,7

113,0

113,5

94,5

94,3

100,0

101,9

102,1

103,7

106,5

110,8

117,0

108,7

109,0

110,0

110,1

109,8

110,5

110,8

111,4

111,7

112,6

112,2

112,6

113,9

114,3

115,0

116,2

117,0

117,4

118,6

118,8

117,8

118,1

118,2

118,4

118,4

118,9

119,4

120,0

120,5

120,6

121,0

121,3

Indice (base 2000=100)

totale

totale beni di consumo non durevoli

totale beni di consumo

durevolibeni

strutmentalibeni

intermediperiodo

Indice destagionalizzato dei prezzi alla produzione dell'industria italiana

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2005/1

2005/2

2005/3

2005/4

2005/5

2005/6

2005/7

2005/8

2005/9

2005/10

2005/11

2005/12

2006/1

2006/2

2006/3

2006/4

2006/5

2006/6

2006/7

2006/8

2006/9

2006/10

2006/11

2006/12

2007/1

2007/2

2007/3

2007/4

2007/5

2007/6

2007/7

2007/8

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo su dati CONISTAT.

Page 67: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

67

88,2

90,2

100,5

96,3

97,3

93,8

96,8

98,7

108,8

97,8

97,3

96,9

96,8

96,7

98,5

99,8

99,6

98,2

98,1

101,0

104,2

104,3

108,6

103,6

105,8

107,4

108,1

111,4

117,1

111,4

110,8

108,1

109,4

107,8

107,0

111,4

112,6

113,6

112,8

114,7

116,8

87,2

87,2

100,7

97,8

102,6

98,6

103,7

111,5

127,5

104,3

108,5

105,1

106,9

107,9

111,9

119,6

115,8

113,8

113,9

114,2

116,1

118,6

121,0

118,2

138,2

128,4

123,8

122,9

138,9

127,1

126,4

134,6

132,3

127,0

129,8

138,8

132,3

139,4

152,1

146,9

140,8

87,8

89,0

100,5

96,8

99,0

95,3

98,9

102,7

114,6

99,8

100,7

99,4

99,9

100,2

102,6

105,8

104,6

103,0

103,0

105,1

107,8

108,7

112,4

108,1

115,8

113,8

112,9

114,9

123,8

116,2

115,6

116,2

116,4

113,7

114,0

119,8

118,7

121,5

124,8

124,5

124,1

Indice (base 2000=100)

periodo nazionale estero totale

Indice destagionalizzato degli ordinativi dell'industria italiana

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2005/1

2005/2

2005/3

2005/4

2005/5

2005/6

2005/7

2005/8

2005/9

2005/10

2005/11

2005/12

2006/1

2006/2

2006/3

2006/4

2006/5

2006/6

2006/7

2006/8

2006/9

2006/10

2006/11

2006/12

2007/1

2007/2

2007/3

2007/4

2007/5

2007/6

2007/7

2007/8

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo su dati CONISTAT.

Page 68: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

68

100,0

100,6

107,3

129,6

148,6

158,3

170,3

160,1

161,7

163,2

164,5

166,0

168,1

170,5

172,6

175,3

178,1

179,4

180,2

181,2

Valori medi unitari (2000=100) in dollari

Congiuntura Estera

Italia

100,0

99,0

101,5

118,3

128,9

129,7

134,8

129,1

129,7

130,5

131,2

132,0

133,2

134,9

135,8

137,0

138,4

140,1

141,6

142,5

Germania

100,0

107,7

109,0

130,7

141,4

140,4

135,0

123,2

123,7

124,3

124,5

125,0

125,9

126,9

127,4

128,3

129,2

130,2

130,9

131,4

Francia

100,0

93,6

97,4

108,0

121,5

125,5

130,9

126,3

127,2

128,0

128,6

129,1

129,9

131,0

131,9

132,8

133,8

134,8

135,5

136,3

Regno Unito

100,0

99,2

98,2

99,7

103,6

106,9

110,7

108,5

108,9

109,3

109,7

109,9

110,3

110,7

111,1

111,5

112,0

112,5

112,9

113,3

USA

100,0

91,4

87,6

90,9

96,0

96,1

95,3

94,3

94,4

94,5

94,6

94,7

95,0

95,3

95,4

95,6

95,9

96,1

96,1

96,1

Giappone

100,0

96,3

97,2

106,7

116,0

121,6

128,4

123,4

124,1

124,9

125,5

126,0

126,9

127,8

128,4

129,0

129,9

130,7

131,3

131,8

Mondo

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

giu-06

lug-06

ago-06

set-06

ott-06

nov-06

dic-06

gen-07

feb-07

mar-07

apr-07

mag-07

giu-07

3,8%

4,0%

3,9%

4,0%

3,9%

3,6%

3,5%

3,5%

3,5%

3,4%

3,4%

3,5%

3,5%

3,5%

3,5%

3,5%

3,5%

3,6%

3,6%

3,6%

Quote delle esportazioni sul totale del commercio mondiale - dati in valore, destagionalizzati (US$ correnti)

Italia

8,6%

9,3%

9,5%

10,0%

10,0%

9,4%

9,4%

9,2%

9,2%

9,2%

9,2%

9,3%

9,3%

9,4%

9,4%

9,5%

9,5%

9,6%

9,6%

9,6%

Germania

4,7%

4,8%

4,8%

4,9%

4,7%

4,3%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,0%

Francia

4,4%

4,4%

4,3%

4,1%

3,7%

3,6%

3,6%

3,7%

3,7%

3,7%

3,6%

3,6%

3,6%

3,5%

3,5%

3,5%

3,4%

3,4%

3,3%

3,2%

Regno Unito

12,3%

11,9%

10,8%

9,7%

9,0%

8,7%

8,6%

8,7%

8,7%

8,7%

8,7%

8,7%

8,7%

8,6%

8,6%

8,6%

8,6%

8,6%

8,6%

8,6%

USA

7,5%

6,6%

6,5%

6,3%

6,2%

5,7%

5,4%

5,5%

5,5%

5,5%

5,5%

5,4%

5,4%

5,4%

5,4%

5,4%

5,3%

5,3%

5,3%

5,2%

Giappone

3,9%

4,3%

5,1%

5,8%

6,5%

7,3%

8,1%

7,7%

7,7%

7,8%

7,9%

7,9%

8,0%

8,1%

8,2%

8,3%

8,3%

8,3%

8,4%

8,5%

Cina

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

giu-06

lug-06

ago-06

set-06

ott-06

nov-06

dic-06

gen-07

feb-07

mar-07

apr-07

mag-07

giu-07

Page 69: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

69

3,8%

3,8%

3,6%

3,3%

3,0%

2,8%

2,6%

2,7%

2,7%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

2,6%

Quote delle esportazioni sul totale del commercio mondiale - dati in volume, destagionalizzati

Italia

8,6%

9,0%

9,1%

9,0%

9,0%

8,8%

8,9%

8,8%

8,8%

8,8%

8,8%

8,9%

8,9%

8,9%

8,9%

9,0%

9,0%

9,0%

9,0%

8,9%

Germania

4,7%

4,3%

4,3%

4,0%

3,8%

3,7%

3,9%

4,2%

4,2%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,1%

4,0%

Francia

4,4%

4,5%

4,3%

4,0%

3,6%

3,5%

3,5%

3,6%

3,6%

3,6%

3,6%

3,5%

3,5%

3,5%

3,4%

3,4%

3,3%

3,3%

3,2%

3,1%

Regno Unito

12,3%

11,5%

10,6%

10,3%

10,0%

9,9%

10,0%

9,9%

9,9%

9,9%

10,0%

10,0%

10,0%

10,0%

10,0%

10,0%

10,0%

10,0%

10,0%

10,0%

USA

7,5%

6,9%

7,2%

7,4%

7,5%

7,2%

7,3%

7,2%

7,3%

7,3%

7,3%

7,2%

7,3%

7,3%

7,3%

7,3%

7,2%

7,2%

7,2%

7,2%

Giappone

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

ND

Cina

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

giu-06

lug-06

ago-06

set-06

ott-06

nov-06

dic-06

gen-07

feb-07

mar-07

apr-07

mag-07

giu-07

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo su dati IMF

Page 70: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

70

6,2

5,3

1,5

-5,7

-4,9

7,8

19,4

25,2

20,9

4,0

-8,1

-11,6

-7,8

-4,0

0,5

4,5

4,1

4,2

3,8

2,9

3,6

3,4

3,0

3,1

2,1

2,8

3,7

3,3

4,2

4,1

4,2

4,2

4,0

3,7

3,5

2,9

3,8

3,9

3,1

3,0

2,0

2,3

3,4

3,3

4,3

4,5

4,3

4,3

2,0

2,1

1,5

-1,1

-0,2

0,9

-1,4

-0,9

-1,5

-2,2

0,3

2,0

1,4

1,5

2,6

3,6

8,3

3,1

-0,1

2,1

0,8

0,7

3,5

3,3

2,0

3,2

1,0

-0,3

3,1

2,1

2,2

1,0

7,3

4,8

4,6

-0,6

1,2

3,5

0,9

4,2

1,4

2,8

5,9

2,9

5,5

6,0

4,2

4,8

2,6

3,3

2,8

3,2

6,3

3,6

4,1

3,4

1,6

3,4

3,4

4,3

5,3

4,7

5,4

5,8

4,5

2,6

5,0

3,6

7,4

5,5

4,3

4,3

0,5

2,5

0,2

0,8

2,3

1,0

2,4

2,2

3,8

0,7

3,5

-4,0

2,3

7,1

3,5

2,0

-1,6

-0,8

3,7

3,7

5,4

5,9

1,3

2,5

Consumi delle famiglie per categoria merceologica

Q1 2003

Q2 2003

Q3 2003

Q4 2003

Q1 2004

Q2 2004

Q3 2004

Q4 2004

Q1 2005

Q2 2005

Q3 2005

Q4 2005

Q1 2006

Q2 2006

Q3 2006

Q4 2006

Risparmio delle famiglie

Consumi domestici famiglie

Consumi al dettaglio di cui: Vestiti e scarpe Farmaceutica Macchine e moto Hotel e trasporti

Telefonia e servizi postali Beni durevoli

Var % sul periodo corrispondente dell'anno precedente

-1,2

-0,7

-0,9

-3,0

-0,4

12,5

9,8

1,8

-3,9

-3,3

-2,9

-2,1

0,3

0,8

1,6

1,8

0,6

0,9

0,8

0,5

1,3

0,7

0,4

0,6

0,3

1,4

1,3

0,2

1,3

1,3

1,4

0,2

0,5

0,8

1,0

0,6

1,4

0,8

0,3

0,5

0,4

1,1

1,3

0,4

1,3

1,3

1,1

0,4

0,2

0,1

0,0

-1,4

1,1

1,3

-2,4

-0,8

0,5

0,5

0,1

0,8

0,0

0,6

1,1

1,8

0,3

-0,1

0,2

1,8

-1,0

-0,2

2,9

1,7

-2,3

1,0

0,8

0,3

1,0

0,0

0,8

-0,8

0,0

-0,7

1,8

-1,7

1,9

1,5

-0,7

1,5

-0,9

2,9

2,3

-1,4

1,7

3,3

0,7

-0,9

-0,3

2,0

0,4

1,1

2,7

-0,6

0,9

0,4

0,9

1,2

0,9

1,2

1,9

0,7

1,5

1,6

-0,6

1,2

3,1

-0,1

3,0

-0,5

1,9

-0,1

-0,7

1,5

-0,4

0,5

0,7

0,2

1,0

0,3

-3,8

-2,9

3,4

-0,5

2,4

1,7

-0,1

-1,9

-1,2

2,5

4,4

-1,9

0,4

3,0

-0,2

-0,7

Q1 2003

Q2 2003

Q3 2003

Q4 2003

Q1 2004

Q2 2004

Q3 2004

Q4 2004

Q1 2005

Q2 2005

Q3 2005

Q4 2005

Q1 2006

Q2 2006

Q3 2006

Q4 2006

Risparmio delle famiglie

Consumi domestici famiglie

Consumi al dettaglio di cui: Vestiti e scarpe Farmaceutica Macchine e moto Hotel e trasporti

Telefonia e servizi postali Beni durevoli

Var % sul trimestre precedente

1,7

11,7

0,2

-1,9

3,8

3,3

3,0

4,2

3,5

3,4

2,8

4,3

1,1

-0,4

-0,4

2,3

3,3

2,1

1,5

2,1

3,9

2,4

3,2

5,1

3,0

4,4

3,1

5,3

3,9

5,3

1,0

2,0

0,9

3,7

1,3

3,7

2003

2004

2005

2006

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo su dati Datastream

Risparmio delle famiglie

Consumi domestici famiglie

Consumi al dettaglio di cui: Vestiti e scarpe Farmaceutica Macchine e moto Hotel e trasporti

Telefonia e servizi postali Beni durevoli

Page 71: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

71

13,6

13,3

12,6

12,1

12,9

13,4

13,2

13,3

13,0

12,8

12,7

11,7

11,2

11,6

12,8

13,0

11,8

11,1

11,1

10,4

10,8

9,9

10,2

9,8

10,2

10,1

8,8

7,6

8,3

8,4

8,0

8,8

15,7

15,2

15,3

15,7

15,9

17,0

16,3

16,4

16,5

15,7

15,6

16,3

15,7

15,8

16,1

15,3

15,5

15,0

14,5

14,6

14,3

14,0

15,3

12,5

12,5

12,3

11,6

11,2

10,4

9,4

6,4

6,5

19,7

18,9

17,9

17,6

18,2

18,6

18,4

18,5

17,7

17,5

17,5

17,4

16,6

17,3

19,4

19,0

17,1

16,6

16,2

15,0

15,7

14,0

14,0

12,5

13,3

12,9

10,6

8,4

9,6

9,4

9,1

10,3

5,2

5,6

5,1

3,8

4,9

5,4

5,1

5,2

5,3

5,2

5,1

2,2

2,0

2,1

2,2

3,4

2,7

1,6

2,1

2,0

1,9

1,9

2,4

4,5

4,5

4,6

4,6

4,8

5,3

6,3

6,7

7,1

Indebitamento delle famiglie per strumento finanziario

Creditial consumo

Variazione % sul periodo corrispondente dell'anno precedente

gen-05

feb-05

mar-05

apr-05

mag-05

giu-05

lug-05

ago-05

set-05

ott-05

nov-05

dic-05

gen-06

feb-06

mar-06

apr-06

mag-06

giu-06

lug-06

ago-06

set-06

ott-06

nov-06

dic-06

gen-07

feb-07

mar-07

apr-07

mag-07

giu-07

lug-07

ago-07

AltriprestitiMutui

Indebitamentodi cui:

11,9

12,9

11,1

14,2

16,0

14,9

18,7

18,1

16,0

3,2

4,8

2,4

Creditial consumo

2004

2005

2006

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio Intesa Sanpaolo su dati Datastream

AltriprestitiMutui

Indebitamentodi cui:

0,7

0,7

0,5

0,8

1,6

1,6

1,4

0,3

0,9

1,1

1,3

0,3

0,2

1,1

1,6

1,0

0,5

1,0

1,4

-0,3

1,2

0,3

1,6

0,0

0,6

1,0

0,4

-0,2

1,2

1,1

1,0

0,4

0,8

1,0

1,9

1,5

2,1

2,4

1,5

0,1

1,1

1,3

0,0

1,6

0,3

1,1

2,1

0,9

2,3

1,9

1,1

0,1

0,9

1,0

1,1

-0,8

0,2

0,9

1,5

0,5

1,5

1,0

-1,7

0,2

0,8

1,0

0,3

1,8

2,1

1,8

2,3

0,5

0,8

1,6

1,6

1,7

0,1

1,6

2,1

1,4

0,4

1,3

2,0

-0,5

1,4

0,1

1,6

0,3

0,7

1,3

0,0

-0,6

1,5

1,2

1,7

0,6

0,6

0,3

0,5

-0,9

0,7

1,2

0,0

-0,1

0,8

0,2

1,2

-2,3

0,5

0,4

0,6

0,2

0,0

0,1

0,5

-0,2

0,7

0,2

1,7

-0,2

0,5

0,4

0,6

0,3

0,5

1,0

0,9

0,2

Creditial consumo

Variazione % sul mese precedente

gen-05

feb-05

mar-05

apr-05

mag-05

giu-05

lug-05

ago-05

set-05

ott-05

nov-05

dic-05

gen-06

feb-06

mar-06

apr-06

mag-06

giu-06

lug-06

ago-06

set-06

ott-06

nov-06

dic-06

gen-07

feb-07

mar-07

apr-07

mag-07

giu-07

lug-07

ago-07

AltriprestitiMutui

Indebitamentodi cui:

Page 72: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

72

2000Fatturato

(milioni di euro)

72.495

54.206

19.707

7.661

38.660

17.422

64.870

27.774

27.624

81.505

82.559

58.367

47.963

29.868

630.681

2001

79.967

56.646

21.988

8.286

39.747

16.098

65.260

28.994

31.149

83.942

87.390

67.115

46.272

32.211

665.065

2002

84.959

56.645

21.528

8.995

41.027

17.549

67.528

30.218

33.038

85.328

90.997

63.316

66.766

33.708

701.601

2003

87.155

55.491

19.848

9.090

39.693

20.639

66.829

31.502

34.138

87.974

93.180

61.469

63.567

33.317

703.895

2004

90.530

54.404

19.061

10.600

43.158

23.566

70.541

33.463

39.487

109.202

99.596

66.642

69.526

35.523

765.300

2005

93.154

52.723

19.187

11.102

44.200

31.196

75.075

34.560

36.845

110.028

105.040

66.429

69.929

35.782

785.249

2006*

95.633

53.262

21.435

12.266

45.908

36.051

79.991

37.916

38.549

127.899

116.242

73.309

79.317

38.676

856.104

Coperturarispetto a Istat

77%

80%

80%

55%

86%

74%

94%

86%

85%

79%

93%

98%

98%

74%

85%

Bilanci delle impreseAnalisi per Settori Manifatturieri

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

2000Valore aggiunto(milioni di euro)

12.774

12.770

3.750

1.857

10.025

2.002

15.197

7.282

8.631

21.344

22.377

15.272

11.229

6.642

151.150

2001

13.770

12.927

3.938

2.015

10.700

1.604

15.146

7.817

9.649

21.370

23.491

16.083

10.756

6.995

156.262

2002

14.807

13.022

3.978

2.169

11.175

1.430

15.831

7.837

10.139

21.563

24.653

15.715

10.885

7.321

160.526

2003

15.454

12.481

3.804

2.159

10.636

1.892

15.506

7.996

10.246

22.332

24.922

16.020

11.233

7.286

161.966

2004

15.146

12.050

3.754

2.540

11.953

2.442

16.104

8.197

11.292

26.942

26.353

18.092

12.754

7.722

175.341

2005

15.365

11.767

3.687

2.675

12.041

2.978

16.594

8.090

10.433

26.230

27.371

17.893

12.913

7.853

175.889

2006*

15.408

11.439

3.977

2.892

12.082

2.302

17.090

8.288

10.550

28.888

29.681

19.495

14.789

8.216

185.182

Coperturarispetto a Istat

78%

69%

69%

44%

78%

97%

97%

80%

79%

67%

86%

84%

93%

63%

78%

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Page 73: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

73

2000Margine Operativo Lordo

in milioni di euro

5.654

4.833

1.470

737

4.008

1.397

6.960

2.800

3.804

8.004

8.120

5.027

3.871

2.467

59.155

2001

6.290

4.834

1.457

798

4.428

1.056

6.841

3.206

4.351

7.522

8.270

4.829

3.374

2.520

59.777

2002

6.838

4.649

1.418

795

4.568

759

7.020

2.955

4.649

7.213

8.337

4.499

2.146

2.537

58.384

2003

7.342

4.041

1.242

718

3.942

1.131

6.569

2.820

4.497

7.302

7.679

4.548

2.653

2.215

56.701

2004

6.860

3.700

1.254

914

4.820

1.560

6.812

2.800

4.690

10.260

8.344

5.840

3.433

2.328

63.617

2005

6.542

3.651

1.222

922

4.629

2.075

6.951

2.634

4.242

9.754

8.786

5.629

3.516

2.322

62.874

2006*

6.364

3.648

1.373

1.047

4.561

1.445

7.211

2.563

4.275

11.722

10.036

6.422

4.577

2.526

67.865

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

2000Numero imprese attive:

peso del settore sul totale

8,6

12,3

4,0

2,7

8,8

0,3

3,3

4,6

5,4

16,0

11,8

9,7

4,1

8,4

100,0

2001

8,6

12,0

4,0

2,9

8,6

0,3

3,3

4,6

5,5

16,3

11,8

9,6

4,1

8,4

100,0

2002

8,9

11,5

4,0

3,0

8,7

0,3

3,2

4,5

5,4

16,5

11,9

9,4

4,2

8,4

100,0

2003

8,8

11,3

3,9

3,0

8,7

0,3

3,1

4,5

5,4

16,8

12,0

9,3

4,3

8,5

100,0

2004

8,9

11,0

3,7

3,2

8,7

0,3

3,0

4,5

5,4

17,1

12,0

9,2

4,4

8,7

100,0

2005

9,0

10,6

3,7

3,2

8,7

0,3

3,0

4,5

5,3

17,2

12,2

9,1

4,4

8,8

100,0

Coperturarispetto a Istat

17%

23%

23%

10%

38%

100%

69%

47%

27%

24%

39%

25%

63%

20%

25%

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Page 74: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

74

2001Fatturato

(var % annua)

10,3

4,5

11,6

8,2

2,8

-7,6

0,6

4,4

12,8

3,0

5,9

15,0

-3,5

7,8

5,5

2002

6,2

0,0

-2,1

8,5

3,2

9,0

3,5

4,2

6,1

1,7

4,1

-5,7

44,3

4,6

5,5

2003

2,6

-2,0

-7,8

1,1

-3,3

17,6

-1,0

4,3

3,3

3,1

2,4

-2,9

-4,8

-1,2

0,3

2004

3,9

-2,0

-4,0

16,6

8,7

14,2

5,6

6,2

15,7

24,1

6,9

8,4

9,4

6,6

8,7

2005

2,9

-3,1

0,7

4,7

2,4

32,4

6,4

3,3

-6,7

0,8

5,5

-0,3

0,6

0,7

2,6

2006*

2,7

1,0

11,7

10,5

3,9

15,6

6,5

9,7

4,6

16,2

10,7

10,4

13,4

8,1

9,0

Coperturarispetto a Istat

77%

80%

80%

55%

86%

74%

94%

86%

85%

79%

93%

98%

98%

74%

85%

Bilanci delle impreseAnalisi per Settori Manifatturieri

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

2001Valore aggiunto(var % annua)

7,8

1,2

5,0

8,5

6,7

-19,8

-0,3

7,4

11,8

0,1

5,0

5,3

-4,2

5,3

3,4

2002

7,5

0,7

1,0

7,6

4,4

-10,8

4,5

0,3

5,1

0,9

4,9

-2,3

1,2

4,7

2,7

2003

4,4

-4,2

-4,4

-0,5

-4,8

32,3

-2,1

2,0

1,1

3,6

1,1

1,9

3,2

-0,5

0,9

2004

-2,0

-3,5

-1,3

17,7

12,4

29,1

3,9

2,5

10,2

20,6

5,7

12,9

13,5

6,0

8,3

2005

1,4

-2,3

-1,8

5,3

0,7

22,0

3,0

-1,3

-7,6

-2,6

3,9

-1,1

1,2

1,7

0,3

2006*

0,3

-2,8

7,9

8,1

0,3

-22,7

3,0

2,4

1,1

10,1

8,4

9,0

14,5

4,6

5,3

Coperturarispetto a Istat

78%

69%

69%

44%

78%

97%

97%

80%

79%

67%

86%

84%

93%

63%

78%

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Page 75: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

75

2001Margine Operativo Lordo

(var % annua)

11,2

0,0

-0,9

8,3

10,5

-24,4

-1,7

14,5

14,4

-6,0

1,8

-3,9

-12,8

2,1

1,1

2002

8,7

-3,8

-2,7

-0,4

3,1

-28,1

2,6

-7,8

6,9

-4,1

0,8

-6,8

-36,4

0,7

-2,3

2003

7,4

-13,1

-12,4

-9,7

-13,7

48,9

-6,4

-4,6

-3,3

1,2

-7,9

1,1

23,6

-12,7

-2,9

2004

-6,6

-8,4

1,0

27,2

22,3

38,0

3,7

-0,7

4,3

40,5

8,7

28,4

29,4

5,1

12,2

2005

-4,6

-1,3

-2,6

0,9

-4,0

33,0

2,0

-5,9

-9,6

-4,9

5,3

-3,6

2,4

-0,3

-1,2

2006*

-2,7

-0,1

12,4

13,6

-1,5

-30,4

3,7

-2,7

0,8

20,2

14,2

14,1

30,2

8,8

7,9

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Page 76: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

76

Fatturato(milioni di euro)

Bilanci delle impreseAnalisi per regione di riferimento della sede operativa dell'impresa

2000

70.151

1.541

225.279

8.594

79.306

18.240

13.718

60.497

41.677

7.104

14.664

32.311

10.749

1.474

13.390

10.817

3.945

1.052

9.818

6.356

630.681

2001

73.562

1.643

225.824

8.835

83.661

18.799

13.955

74.934

41.332

7.812

18.267

33.019

10.543

1.627

16.922

12.887

4.204

1.437

9.702

6.098

665.065

2002

91.433

1.388

225.714

8.975

85.332

18.832

15.611

81.450

41.800

8.337

19.750

31.429

13.535

1.585

19.237

15.509

3.839

1.881

9.245

6.718

701.601

2003

85.154

1.578

227.173

9.412

86.454

18.648

9.055

82.865

41.864

8.360

19.669

39.780

13.204

1.455

20.039

15.467

3.961

2.032

10.681

7.044

703.895

2004

91.336

1.576

252.695

10.681

92.481

19.668

8.979

93.007

43.419

9.778

21.022

40.482

13.687

1.500

19.890

16.930

3.945

2.127

14.364

7.734

765.300

2005

92.683

1.626

256.484

11.413

94.247

20.039

9.363

94.088

44.754

9.613

22.044

41.455

14.105

1.594

20.336

17.572

4.114

2.241

17.779

9.700

785.249

2006*

102.032

1.875

278.638

12.557

102.153

22.722

11.492

102.910

50.059

8.653

24.085

42.443

15.338

1.660

22.759

18.522

5.177

2.269

18.999

10.878

856.104

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

Valore aggiunto(milioni di euro)

2000

18.214

337

54.830

2.275

18.948

4.570

2.549

14.947

8.940

1.678

3.632

8.241

2.791

275

2.840

2.184

759

237

1.786

1.117

151.150

2001

18.348

391

53.106

2.265

19.785

4.602

2.563

18.211

8.868

1.712

4.406

8.554

3.036

343

3.461

2.848

833

336

1.646

949

156.262

2002

18.519

353

53.458

2.306

20.342

4.660

2.391

19.698

9.129

1.920

4.848

8.428

3.333

342

4.278

2.873

672

413

1.589

975

160.526

2003

17.412

465

54.646

2.363

20.289

4.617

2.147

19.679

9.206

1.909

4.780

9.047

3.276

335

4.651

2.909

659

477

2.003

1.095

161.966

2004

18.898

515

61.353

2.537

21.344

4.890

2.215

21.511

9.780

2.125

4.858

8.606

3.343

340

4.661

3.364

713

487

2.403

1.397

175.341

2005

19.044

509

60.465

2.728

21.719

4.914

2.377

21.887

9.909

2.066

5.091

8.411

3.437

328

4.495

3.220

650

506

2.537

1.596

175.889

2006*

20.465

707

63.517

2.869

23.295

5.385

2.322

23.071

10.393

2.041

5.496

9.072

3.570

338

4.630

3.248

788

495

2.461

1.472

185.182

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

Page 77: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

77

Margine Operativo Lordo(milioni di euro)

2000

6.829

117

21.365

929

7.726

1.609

1.035

5.977

3.629

715

1.343

3.008

1.291

87

1.035

781

346

66

761

506

59.155

2001

6.790

174

20.080

908

7.844

1.567

1.100

7.170

3.504

670

1.642

3.017

1.414

135

1.246

1.105

377

86

653

296

59.777

2002

5.294

144

19.718

891

8.011

1.591

706

7.667

3.524

815

1.838

3.131

1.472

124

1.437

886

272

137

531

196

58.384

2003

4.661

256

19.725

864

7.490

1.499

636

7.152

3.311

777

1.630

3.488

1.372

147

1.536

824

197

164

702

270

56.701

2004

5.632

324

23.611

953

7.812

1.662

691

7.580

3.634

866

1.512

3.132

1.333

147

1.571

1.199

261

174

1.017

506

63.617

2005

5.713

322

22.493

1.027

7.910

1.561

808

7.863

3.567

821

1.599

2.949

1.403

122

1.359

1.108

194

169

1.147

741

62.874

2006*

6.737

849

24.070

1.078

8.974

1.845

752

8.603

3.711

851

1.838

3.258

1.413

133

1.307

1.040

296

156

926

617

67.865

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

Numero imprese attive:peso della regione sul totale

2000

8,5

0,2

28,9

1,0

12,3

2,3

1,6

9,4

8,8

1,3

3,2

6,2

1,9

0,3

5,2

3,6

0,4

0,9

2,7

1,3

100,0

2001

8,3

0,1

26,8

1,0

12,6

2,3

1,5

10,3

8,8

1,3

3,6

6,0

2,0

0,4

5,7

3,8

0,5

1,0

2,5

1,4

100,0

2002

7,8

0,1

27,4

1,0

12,2

2,2

1,5

10,2

8,4

1,3

3,6

5,8

2,0

0,4

6,4

4,1

0,5

1,1

2,6

1,4

100,0

2003

7,6

0,1

26,9

1,0

12,4

2,1

1,4

10,1

8,5

1,3

3,6

5,9

2,0

0,4

6,5

4,2

0,5

1,2

2,8

1,4

100,0

2004

7,2

0,1

27,0

1,0

13,0

2,3

1,3

10,3

8,3

1,3

3,5

6,0

1,9

0,3

6,4

4,2

0,5

1,1

2,8

1,4

100,0

2005

7,2

0,1

26,6

1,1

13,0

2,4

1,4

10,5

8,4

1,3

3,8

6,0

2,0

0,3

6,4

4,0

0,4

1,1

2,7

1,4

100,0

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Page 78: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

78

Fatturato(var % annua)

Bilanci delle impreseAnalisi per regione di riferimento della sede operativa dell'impresa

2001 2002 2003 2004 2005

4,9

6,6

0,2

2,8

5,5

3,1

1,7

23,9

-0,8

10,0

24,6

2,2

-1,9

10,4

26,4

19,1

6,6

36,7

-1,2

-4,1

5,5

24,3

-15,5

0,0

1,6

2,0

0,2

11,9

8,7

1,1

6,7

8,1

-4,8

28,4

-2,6

13,7

20,3

-8,7

30,9

-4,7

10,2

5,5

-6,9

13,7

0,6

4,9

1,3

-1,0

-42,0

1,7

0,2

0,3

-0,4

26,6

-2,5

-8,2

4,2

-0,3

3,2

8,0

15,5

4,9

0,3

7,3

-0,1

11,2

13,5

7,0

5,5

-0,8

12,2

3,7

17,0

6,9

1,8

3,7

3,1

-0,7

9,5

-0,4

4,7

34,5

9,8

8,7

2006*

10,1

15,3

8,6

10,0

8,4

13,4

22,7

9,4

11,9

-10,0

9,3

2,4

8,7

4,1

11,9

5,4

25,8

1,3

6,9

12,1

9,0

1,5

3,1

1,5

6,9

1,9

1,9

4,3

1,2

3,1

-1,7

4,9

2,4

3,1

6,3

2,2

3,8

4,3

5,3

23,8

25,4

2,6

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

Valore aggiunto(var % annua)

2001 2002 2003 2004 2005

0,7

16,0

-3,1

-0,5

4,4

0,7

0,5

21,8

-0,8

2,0

21,3

3,8

8,8

25,1

21,8

30,4

9,8

41,9

-7,8

-15,1

3,4

0,9

-9,7

0,7

1,8

2,8

1,3

-6,7

8,2

2,9

12,1

10,0

-1,5

9,8

-0,5

23,6

0,9

-19,4

23,0

-3,4

2,7

2,7

-6,0

31,7

2,2

2,5

-0,3

-0,9

-10,2

-0,1

0,8

-0,6

-1,4

7,3

-1,7

-2,0

8,7

1,3

-1,9

15,3

26,0

12,4

0,9

8,5

10,9

12,3

7,3

5,2

5,9

3,2

9,3

6,2

11,3

1,6

-4,9

2,0

1,6

0,2

15,6

8,2

2,1

20,0

27,6

8,3

2006*

7,5

38,9

5,0

5,2

7,3

9,6

-2,3

5,4

4,9

-1,2

8,0

7,9

3,9

3,3

3,0

0,9

21,4

-2,0

-3,0

-7,8

5,3

0,8

-1,2

-1,4

7,5

1,8

0,5

7,3

1,7

1,3

-2,7

4,8

-2,3

2,8

-3,6

-3,6

-4,3

-8,9

3,8

5,6

14,2

0,3

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

Page 79: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

79

Margine Operativo Lordo(var % annua)

2001 2002 2003 2004 2005

-0,6

49,7

-6,0

-2,3

1,5

-2,7

6,2

20,0

-3,5

-6,3

22,3

0,3

9,6

54,8

20,4

41,5

8,9

29,7

-14,3

-41,4

1,1

-22,0

-17,7

-1,8

-1,8

2,1

1,6

-35,8

6,9

0,6

21,6

11,9

3,8

4,1

-8,1

15,3

-19,8

-27,7

59,4

-18,6

-33,9

-2,3

-12,0

78,2

0,0

-3,0

-6,5

-5,7

-9,9

-6,7

-6,1

-4,6

-11,3

11,4

-6,8

18,8

6,9

-7,1

-27,9

19,8

32,1

38,0

-2,9

20,8

26,7

19,7

10,3

4,3

10,8

8,5

6,0

9,7

11,4

-7,3

-10,2

-2,8

0,1

2,3

45,5

32,6

6,2

45,0

87,5

12,2

2006*

17,9

163,3

7,0

5,0

13,5

18,2

-7,0

9,4

4,1

3,6

15,0

10,4

0,7

9,1

-3,9

-6,1

52,7

-7,7

-19,3

-16,6

7,9

1,4

-0,7

-4,7

7,8

1,3

-6,1

17,0

3,7

-1,8

-5,2

5,7

-5,8

5,2

-17,5

-13,5

-7,6

-25,6

-2,8

12,7

46,2

-1,2

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Page 80: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

80

Bilanci delle impreseIndice di redditività

Analisi per regione di riferimento della sede operativa dell'impresaRapporto

MOL/fatturato2000 2001 2002 2003 2004 2005

9,7

7,6

9,5

10,8

9,7

8,8

7,5

9,9

8,7

10,1

9,2

9,3

12,0

5,9

7,7

7,2

8,8

6,3

7,8

8,0

9,4

9,2

10,6

8,9

10,3

9,4

8,3

7,9

9,6

8,5

8,6

9,0

9,1

13,4

8,3

7,4

8,6

9,0

6,0

6,7

4,9

9,0

5,8

10,4

8,7

9,9

9,4

8,4

4,5

9,4

8,4

9,8

9,3

10,0

10,9

7,8

7,5

5,7

7,1

7,3

5,7

2,9

8,3

5,5

16,2

8,7

9,2

8,7

8,0

7,0

8,6

7,9

9,3

8,3

8,8

10,4

10,1

7,7

5,3

5,0

8,1

6,6

3,8

8,1

6,2

20,6

9,3

8,9

8,4

8,4

7,7

8,2

8,4

8,9

7,2

7,7

9,7

9,8

7,9

7,1

6,6

8,2

7,1

6,5

8,3

2006*

6,6

36,3

8,5

8,7

8,9

8,1

7,5

8,5

7,7

10,2

8,2

7,0

9,0

8,2

6,7

5,7

5,9

6,4

4,7

6,0

8,0

6,2

19,8

8,8

9,0

8,4

7,8

8,6

8,4

8,0

8,5

7,3

7,1

9,9

7,6

6,7

6,3

4,7

7,6

6,4

7,6

8,0

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

2000 2001 2002 2003 2004 2005Rapporto

MOL/fatturato

7,8

8,9

7,5

9,6

10,4

8,0

10,7

10,1

13,8

9,8

9,8

8,6

8,1

8,3

9,4

7,9

8,5

6,6

9,6

11,1

6,6

10,5

11,1

14,0

9,0

9,5

7,2

7,3

7,8

9,0

8,0

8,2

6,6

8,8

11,1

4,3

10,4

9,8

14,1

8,5

9,2

7,1

3,2

7,5

8,3

8,4

7,3

6,3

7,9

9,9

5,5

9,8

9,0

13,2

8,3

8,2

7,4

4,2

6,6

8,1

7,6

6,8

6,6

8,6

11,2

6,6

9,7

8,4

11,9

9,4

8,4

8,8

4,9

6,6

8,3

2006*

6,9

7,4

6,7

8,5

9,8

4,0

8,8

6,8

11,1

9,2

8,8

8,8

5,9

6,8

8,0

7,0

6,9

6,4

8,3

10,5

6,7

9,3

7,6

11,5

8,9

8,4

8,5

5,0

6,5

8,0

Alimentare, bevande e tabacco

Tessile, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Analisi per Settori Manifatturieri

Page 81: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

81

Bilanci delle impreseIndice di struttura

Analisi per regione di riferimento della sede operativa dell'impresaRapporto

capitale investito/patrimonio netto2000 2001 2002 2003 2004 2005

1,34

1,35

1,33

1,36

1,37

1,64

1,49

1,84

1,46

1,68

1,50

1,50

1,05

1,42

1,44

1,36

1,21

5,35

1,96

2,10

1,44

1,49

1,16

1,33

1,35

1,34

1,75

1,58

1,71

1,34

1,70

1,45

1,43

1,05

1,46

1,49

1,52

0,92

3,50

1,91

2,09

1,44

1,57

1,28

1,35

1,28

1,31

1,59

1,77

1,70

1,34

1,62

1,36

1,25

1,06

1,42

1,48

1,44

0,87

2,16

2,02

1,89

1,43

1,62

1,39

1,35

1,26

1,34

1,57

1,44

1,29

1,29

1,52

1,44

1,27

1,27

1,37

1,40

1,47

1,01

2,12

1,73

1,79

1,38

1,58

1,25

1,33

1,18

1,31

1,47

1,39

1,25

1,20

1,45

1,45

1,18

1,18

1,46

1,43

1,39

1,11

2,07

1,68

1,74

1,35

2006*

1,55

1,55

1,25

1,21

1,24

1,45

1,32

1,18

1,33

1,35

1,29

1,36

1,32

1,18

1,53

1,25

1,25

2,07

1,45

1,35

1,31

1,55

1,36

1,26

1,14

1,26

1,44

1,45

1,22

1,25

1,37

1,39

1,39

1,21

1,42

1,40

1,34

1,32

2,07

1,58

1,73

1,31

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

2000 2001 2002 2003 2004 2005Rapporto

capitale investito/patrimonio netto

1,54

1,24

1,14

1,78

1,45

1,53

1,32

1,45

1,37

1,91

1,30

1,16

1,55

1,38

1,44

1,56

1,21

1,18

1,67

1,56

1,42

1,37

1,42

1,41

1,90

1,20

1,15

1,63

1,33

1,44

1,60

1,22

1,10

1,52

1,45

1,73

1,34

1,43

1,31

1,87

1,18

1,17

1,78

1,33

1,43

1,56

1,24

1,12

1,47

1,58

1,53

1,29

1,48

1,25

1,44

1,21

1,18

1,93

1,31

1,38

1,48

1,19

1,05

1,46

1,79

1,55

1,22

1,48

1,22

1,36

1,16

1,13

1,82

1,32

1,35

2006*

1,46

1,11

0,99

1,38

1,72

1,55

1,12

1,58

1,22

1,25

1,15

1,09

1,84

1,24

1,31

1,51

1,15

1,02

1,41

1,73

1,77

1,13

1,49

1,21

1,27

1,17

1,06

1,89

1,32

1,31

Alimentare, bevande e tabacco

Tessille, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Analisi per Settori Manifatturieri

Page 82: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

82

Bilanci delle impreseLiquidità

Analisi per regione di riferimento della sede operativa dell'impresaRapporto liquidità immediate e differite/passività correnti

2000 2001 2002 2003 2004 2005

0,09

0,06

0,10

0,10

0,09

0,13

0,09

0,12

0,10

0,09

0,15

0,13

0,20

0,07

0,10

0,11

0,04

0,08

0,11

0,12

0,11

0,08

0,06

0,11

0,10

0,09

0,09

0,07

0,12

0,11

0,11

0,14

0,16

0,22

0,09

0,10

0,10

0,05

0,09

0,09

0,07

0,11

0,07

0,05

0,11

0,10

0,10

0,11

0,06

0,11

0,11

0,09

0,14

0,08

0,18

0,06

0,09

0,09

0,05

0,08

0,09

0,06

0,10

0,08

0,06

0,11

0,10

0,10

0,12

0,06

0,11

0,11

0,10

0,12

0,11

0,12

0,08

0,10

0,09

0,06

0,07

0,08

0,06

0,10

0,09

0,06

0,12

0,10

0,11

0,16

0,08

0,11

0,13

0,10

0,12

0,15

0,11

0,06

0,09

0,09

0,05

0,08

0,08

0,06

0,11

2006*

0,10

0,15

0,12

0,11

0,11

0,12

0,10

0,12

0,11

0,11

0,12

0,12

0,11

0,06

0,10

0,09

0,04

0,10

0,08

0,07

0,12

0,10

0,06

0,13

0,11

0,11

0,13

0,08

0,12

0,11

0,11

0,13

0,13

0,11

0,09

0,10

0,09

0,09

0,09

0,08

0,06

0,12

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

2000 2001 2002 2003 2004 2005Rapporto liquidità immediate e differite/passività correnti

0,09

0,10

0,13

0,09

0,12

0,05

0,09

0,09

0,12

0,09

0,14

0,09

0,12

0,14

0,11

0,09

0,10

0,11

0,10

0,13

0,05

0,12

0,10

0,10

0,09

0,13

0,12

0,12

0,14

0,11

0,08

0,10

0,11

0,10

0,13

0,04

0,12

0,10

0,10

0,09

0,12

0,10

0,06

0,12

0,10

0,09

0,10

0,12

0,09

0,15

0,07

0,12

0,09

0,12

0,09

0,12

0,12

0,05

0,12

0,10

0,10

0,12

0,14

0,10

0,16

0,14

0,13

0,10

0,11

0,09

0,13

0,13

0,06

0,15

0,11

2006*

0,09

0,12

0,12

0,09

0,16

0,10

0,09

0,09

0,11

0,10

0,13

0,14

0,07

0,14

0,12

0,09

0,13

0,13

0,10

0,17

0,10

0,14

0,10

0,12

0,10

0,14

0,14

0,07

0,13

0,12

Alimentare, bevande e tabacco

Tessille, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Analisi per Settori Manifatturieri

Page 83: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

83

Bilanci delle impreseIndice di equilibrio finanziario di breve termine

Analisi per regione di riferimento della sede operativa dell'impresaRapporto

crediti a bt(**) / debiti bt2000 2001 2002 2003 2004 2005

1,44

1,50

1,52

1,54

1,61

1,32

1,27

1,80

1,50

1,34

1,32

1,44

1,44

1,39

1,38

1,41

1,06

0,99

1,29

1,14

1,50

1,51

1,71

1,59

1,56

1,66

1,40

1,20

1,86

1,50

1,29

1,39

1,35

1,58

1,45

1,39

1,46

1,16

0,94

1,41

1,22

1,55

1,29

1,52

1,61

1,71

1,67

1,39

1,35

1,92

1,59

1,40

1,48

1,50

1,53

1,46

1,31

1,57

1,21

0,99

1,46

1,20

1,56

1,32

1,36

1,65

1,65

1,70

1,47

1,22

1,68

1,65

1,48

1,52

1,44

1,48

1,37

1,32

1,47

1,17

1,02

1,40

1,29

1,55

1,31

1,44

1,66

1,57

1,69

1,45

1,37

1,67

1,69

1,47

1,53

1,43

1,54

1,46

1,41

1,54

1,21

1,07

1,40

1,23

1,56

2006*

1,31

1,23

1,63

1,64

1,66

1,35

1,29

1,61

1,52

1,58

1,52

1,33

1,43

1,45

1,22

1,58

1,24

1,15

1,52

1,36

1,52

1,31

1,66

1,68

1,67

1,69

1,45

1,26

1,62

1,58

1,52

1,54

1,37

1,45

1,40

1,36

1,51

1,15

1,07

1,40

1,21

1,55

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

2000 2001 2002 2003 2004 2005Rapporto

crediti a bt(**) / debiti bt

1,52

1,67

1,54

1,54

1,34

1,12

1,63

1,46

1,46

1,79

1,38

1,48

1,29

1,43

1,50

1,50

1,73

1,66

1,58

1,37

1,16

1,69

1,49

1,55

1,82

1,45

1,58

1,29

1,51

1,55

1,57

1,82

1,77

1,67

1,44

1,38

1,68

1,47

1,56

1,84

1,46

1,64

1,06

1,58

1,56

1,53

1,85

1,78

1,73

1,39

1,47

1,72

1,52

1,60

1,67

1,47

1,66

1,11

1,60

1,55

1,60

1,82

1,78

1,79

1,39

1,19

1,77

1,54

1,65

1,67

1,48

1,64

1,15

1,61

1,56

2006*

1,57

1,83

1,82

1,81

1,35

1,16

1,74

1,54

1,65

1,69

1,38

1,60

1,05

1,61

1,52

1,60

1,81

1,74

1,78

1,37

1,12

1,84

1,54

1,62

1,67

1,43

1,62

1,10

1,63

1,55

Alimentare, bevande e tabacco

Tessille, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

**include il magazzino

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Analisi per Settori Manifatturieri

Page 84: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

84

Bilanci delle impreseIndebitamento

Analisi per regione di riferimento della sede operativa dell'impresaRapporto

debiti bt / debiti mlt2000 2001 2002 2003 2004 2005

5,2

5,2

4,9

3,9

4,7

3,7

7,6

1,4

5,5

3,5

4,7

3,2

4,2

4,8

4,1

3,4

2,7

5,8

3,0

3,2

3,8

4,3

5,6

4,5

3,5

4,5

4,3

8,8

1,6

5,5

3,5

4,5

3,6

3,9

4,6

4,2

4,6

3,0

4,3

3,0

2,8

3,6

5,3

4,8

4,5

3,6

4,6

4,4

11,0

1,7

5,2

3,8

5,0

5,3

5,1

4,8

3,7

4,2

3,3

4,1

2,8

3,6

3,8

5,8

3,9

4,4

3,6

3,9

3,8

9,4

3,9

4,9

3,6

5,0

4,3

5,5

5,3

3,5

4,2

3,5

3,6

3,7

3,5

4,4

4,3

4,3

3,8

4,1

3,9

4,0

5,1

4,4

4,6

3,7

4,6

4,2

5,0

4,1

3,4

3,8

3,7

3,3

3,7

3,2

4,0

2006*

4,8

7,6

3,8

3,9

4,4

4,9

6,8

4,3

4,9

3,6

4,8

4,1

4,5

5,0

3,8

3,6

4,6

3,1

3,6

4,1

4,2

4,9

6,8

3,5

4,0

4,1

4,4

6,0

4,1

4,7

3,8

4,4

3,5

5,2

3,9

3,5

3,6

3,4

3,4

3,7

3,3

3,9

Piemonte

Valle D'Aosta

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

Umbria

Marche

Lazio

Abruzzo

Molise

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Totale Italia

2000 2001 2002 2003 2004 2005Rapporto

debiti bt / debiti mlt

3,8

5,5

7,4

3,4

4,6

4,8

4,6

5,3

3,2

1,8

5,6

6,6

2,6

4,2

3,8

3,4

5,4

6,6

3,4

3,2

5,3

4,3

4,7

3,4

1,8

5,4

6,1

3,0

4,5

3,6

3,4

5,3

6,7

4,2

3,5

4,8

3,9

4,8

3,5

1,9

5,4

5,8

5,2

5,2

3,8

3,6

4,2

5,1

4,1

3,5

5,5

4,3

3,9

3,4

4,4

5,5

5,1

5,0

4,4

4,4

3,7

4,1

5,2

3,6

2,1

3,8

4,2

4,1

3,4

4,9

5,4

4,5

3,8

4,0

4,0

2006*

3,7

4,2

5,4

3,4

2,4

5,3

3,7

3,9

3,2

5,2

5,7

4,4

4,6

4,1

4,2

3,8

4,2

5,5

3,3

2,4

4,3

3,4

3,6

3,1

4,8

5,0

4,3

4,1

3,9

3,9

Alimentare, bevande e tabacco

Tessille, abbigliamento

Prodotti in pelle e cuoio

Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)

Carta, editoria e stampa

Prodotti energetici

Chimica e Farmaceutica

Articoli in gomma e materie plastiche

Vetro, ceramica, materiali per l'edilizia

Metallo e prodotti in metallo

Macchine e apparecchi meccanici

Apparecchi elettrici e di precisione

Mezzi di trasporto

Altre industrie manifatturiere

Totale manifatturiero

*stima

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

Analisi per Settori Manifatturieri

Page 85: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

85

2000 2001 2002 2003 2004 2005

2000 2001 2002 2003 2004 2005

Bilanci delle impreseAnalisi per classi di fatturato**

Fatturato(milioni di euro) 2000

micro

piccola

media

grande

Totale

Valore aggiunto(milioni di euro)

micro

piccola

media

grande

Totale

Margine Operativo Lordo(milioni di euro)

micro

piccola

media

grande

Totale

Numero imprese attive(peso della classe sul totale)

micro

piccola

media

grande

Totale

*stima

** micro fino a 2 mln di europiccola 2-10 mln di euromedia 10-50 mln eurogrande oltre 50 mln euro

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

46.972

121.443

157.904

304.363

630.681

2001

47.329

127.404

171.802

318.530

665.065

2002

50.320

130.559

175.314

345.407

701.601

2003

52.703

131.070

173.177

346.945

703.895

2004

54.502

138.229

183.717

388.852

765.300

2005

53.440

138.355

186.751

406.702

785.249

14.505

31.773

37.980

66.891

151.150

14.620

33.122

40.769

67.751

156.262

15.587

34.186

41.641

69.112

160.526

16.354

34.345

41.334

69.933

161.966

16.897

35.948

43.167

79.329

175.341

16.314

35.613

43.361

80.601

175.889

4.239

11.355

15.196

28.365

59.155

4.080

11.685

16.107

27.905

59.777

4.079

11.664

16.091

26.550

58.384

3.905

10.896

15.289

26.610

56.701

4.134

11.421

15.705

32.357

63.617

3.812

10.967

15.502

32.593

62.874

2000 2001 2002 2003 2004 2005

70,3

22,0

6,3

1,3

100,0

68,9

22,9

6,8

1,4

100,0

69,6

22,4

6,5

1,4

100,0

70,7

21,7

6,2

1,4

100,0

69,5

22,5

6,5

1,5

100,0

2006*

2006*

2006*

52.919

145.041

200.167

457.404

856.104

16.020

36.687

44.990

87.407

185.182

3.892

11.449

16.131

36.436

67.865

69,4

22,4

6,6

1,5

100,0

Page 86: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

86

Fatturato(Var % annua)

micro

piccola

media

grande

Totale

Bilanci delle impreseAnalisi per classi di fatturato**

Valore aggiunto(Var % annua)

micro

piccola

media

grande

Totale

Margine Operativo Lordo(Var % annua)

micro

piccola

media

grande

Totale

*stima

** micro fino a 2 mln di europiccola 2-10 mln di euromedia 10-50 mln eurogrande oltre 50 mln euro

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati Centrale dei Bilanci e Intesa Sanpaolo

2001

0,8

4,9

8,8

4,7

5,5

6,3

2,5

2,0

8,4

5,5

4,7

0,4

-1,2

0,4

0,3

3,4

5,5

6,1

12,1

8,7

-1,9

0,1

1,7

4,6

2,6

2002 2003 20052004

2001

0,8

4,2

7,3

1,3

3,4

6,6

3,2

2,1

2,0

2,7

4,9

0,5

-0,7

1,2

0,9

3,3

4,7

4,4

13,4

8,3

-3,5

-0,9

0,5

1,6

0,3

2002 2003 20052004

2001

-3,8

2,9

6,0

-1,6

1,1

0,0

-0,2

-0,1

-4,9

-2,3

-4,3

-6,6

-5,0

0,2

-2,9

5,8

4,8

2,7

21,6

12,2

-7,8

-4,0

-1,3

0,7

-1,2

2002 2003 20052004

-1,0

4,8

7,2

12,5

9,0

2006*

-1,8

3,0

3,8

8,4

5,3

2006*

2,1

4,4

4,1

11,8

7,9

2006*

Page 87: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

87

•••••••••••••••••

•••••••••••••••••

••••••••••••••••

•••••••••••••••••

Clima di fiducia delle imprese

C Estrazione di Minerali

D Totale manifattura

DA Alimentari, bevande e tabacco

DB Tessili e abbigliamento

DC Cuoio, pelletteria, calzature

DD Legno, sughero, paglia (no mobilio)

DE Carta, stampa, editoria

DF Cockerie, raffinerie di petrolio

DG Prod. chimici, fibre sintet. e artific.

DH Articoli in gomma e materie plast.

DI Lavorazioni minerali non metalliferi

DJ Metallurgia, fab. prod. in metallo

DK Macchine ed apparecchi meccanici

DL Apparecchiature elettrotecniche

DM Mezzi di trasporto

DN Altre industrie manifatturiere

Totale

PiccoleSettore attivita economica Medie Grandi Totale

Dimensione impresa

••••••••••••••••••••

••••••••••••••••••••

••••••••••••••••••••

••••••••••••••••••••

Piemonte e Vallé

Liguria

Lombardia

Trentino Alto Adige

Veneto

Friuli V.G.

Emilia Romagna

Marche

Toscana

Umbria

Lazio

Campania

Abruzzo

Molise

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

Italia

ConsumoRegione Intermedi Investimento Totale

Destinazione economica

Page 88: Imprese Territorio · Stamperia Artistica Nazionale - Torino Questo numero viene stampato in 1900 copie ed è stato chiuso in Redazione il 9 novembre 2007 ... il quarto numero della

Call for PapersIn previsione del prossimo numero della rivista “Imprese e Territorio” che uscirà a marzo 2008, se foste interessati a pubblicare un articolo su temi dieconomia industriale o territoriale compreso tra le 5 e le 15 cartelle, potete farcelo pervenire entro il 1 febbraio 2008, dandocene conferma entro il 20gennaio 2008, inviando un abstract di 5-10 righe.Per ulteriori informazioni o chiarimenti, potete contattare:

Alessandra LanzaResponsabile Ufficio Studi Imprese e [email protected]/5552437

88

•••••••••••••••••

Nord Ovest

•••••••••••••••••

Nord Est

•••••••••••••••••

Centro

•••••••••••••••••

Sud e Isole

•••••••••••••••••

TotaleSettore attivita economica

Area

C Estrazione di Minerali

D Totale manifattura

DA Alimentari, bevande e tabacco

DB Tessili e abbigliamento

DC Cuoio, pelletteria, calzature

DD Legno, sughero, paglia (no mobilio)

DE Carta, stampa, editoria

DF Cockerie, raffinerie di petrolio

DG Prod. chimici, fibre sintet. e artific.

DH Articoli in gomma e materie plast.

DI Lavorazioni minerali non metalliferi

DJ Metallurgia, fab. prod. in metallo

DK Macchine ed apparecchi meccanici

DL Apparecchiature elettrotecniche

DM Mezzi di trasporto

DN Altre industrie manifatturiere

Totale

•••••

Piccole

•••••

Medie

•••••

Grandi

•••••

TotaleSettore attivita economica

Nord Ovest

Nord Est

Centro

Sud e Isole

Totale

Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Imprese e Territorio su dati ISAE, Inchiesta congiunturale sulle imprese manifatturiere ed estrattive.

Dimensione impresa

Queste tabelle presentano in modo sintetico il clima di fiducia delle imprese manifatturiere ed estrattive utilizzando i dati dell'inchiestacongiunturale ISAE. L’indice "clima di fiducia" è calcolato come media aritmetica dei saldi dei giudizi su livello degli ordini, livello dellescorte e attese sulla produzione sommato a 100. Tutti i saldi così calcolati sono stati destagionalizzati utilizzando la metodologiaTRAMO-SEATS.

L’indicatore sintetico del clima di fiducia (semaforo) esprime il livello di fiducia delle imprese attraverso immagini:• Clima di fiducia < 95• Clima di fiducia >=95 e <=105• Clima di fiducia >105

* Dimensione d’impresa: piccole fino a 100 dipendenti, medie da 101 a 499 dipendenti e grandi 500 dipendenti e oltre