il terzo incomodo. critica della fecondazione eterologa di riccardo ferrigato - estratto

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Lontano dai percorsi comuni e dai riferimenti scontati, questo libro cerca pregi e difetti, contraddizioni e meriti della fecondazione eterologa; una pratica controversa che viene indagata non solo attraverso la voce dei filosofi, ma spaziando tra riferimenti letterari e cinematografici e tenendo sempre un saldo richiamo alla vita di tutti i giorni.

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S P I R A G L I

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Riccardo Ferrigato

Il terzo incomodo

Critica della fecondazione eterologa

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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

ISBN 978-88-215-9503-5

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La guerra insomma era tutto quello che non si capiva.‘Sta cosa non poteva andare avanti.

Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte

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INTRODUZIONE

La selva dei perché

Sulle navi mercantili,l’olio per i marinai è più scarso che il latte di regina.

Vestirsi al buio, mangiare al buio e andare al buio, incespicando,verso il pagliericcio, è la sorte usuale.

Ma il baleniere, come cerca la materia della luce, così nella luce vive.Herman Melville, Moby Dick

Perché un libro?

Una mattina ti svegli con un problema. Se fosse il sal-do di una rata del mutuo, la soluzione da cercare sarebbe evidente, hai bisogno di soldi, ma è una questione diver-sa, non è chiaro cosa ti serva per risolverla e neppure quale sia, in effetti, la tua vera diffi coltà. Ecco com’è un “problema fi losofi co”. Molti iniziano da una crepa, da un breve ragionamento, a volte soltanto dalla sensazione che qualche cosa non torni; è come vedere un volto, notare che c’è un tratto strano, un errore, un’imperfezione, una mancanza; è accorgersi di non riconoscere più qualcuno che, a rifl etterci per bene, forse non si è mai conosciuto.

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Ponendosi di fronte a un problema fi losofi co è anzi-tutto necessario “inquadrarlo”: è proprio come descri-vere un personaggio per il romanziere, perché se la descrizione lo tratteggia in modo adeguato, si intrav-vedono anche le zone d’ombra su cui concentrare l’at-tenzione. Uno dei maggiori scrittori americani, Don De Lillo, ha descritto così un personaggio del suo Great Jones Street:

Forse il particolare più bizzarro del Dottor Pepper era il fatto che non portava occhiali. Aveva quel tipo di fac-cia che per essere completa ha bisogno di occhiali, occhiali classici senza montatura in bilico sulla punta del naso, ma l’assenza di quel dettaglio serviva solo a confermarne la fuggevolezza e l’abilità, tanto che veniva quasi istintivo completare mentalmente il viso, riempire con l’immagina-zione quello che veniva solo proposto allo sguardo1.

Si intuisce il potente richiamo della curiosità? Trovar-si di fronte a un problema fi losofi co non è un completo straniamento, non è come svegliarsi la mattina trasfor-mati in un «enorme insetto immondo»: è più un addor-mentarsi a fatica mentre una zanzara ti tormenta. Se quando ti svegli lei è ancora lì, allora ha proprio deciso che sei tu quello attorno al quale ronzare: la devi cercare, scovare e ragionare su come liberartene. E, nel caso della fi losofi a, schiacciarla non è mai la soluzione adeguata.

1 Don DeLillo, Great Jones Street, Einaudi, Torino 2009, p. 154.

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Bene, un giorno mi sono svegliato e un problema mi ronzava intorno: era una domanda che andava posta sul-la fecondazione eterologa, ma non sapevo bene quale fosse la domanda, e tanto meno conoscevo la risposta. A prima vista la questione era questa: «Se ci fosse la neces-sità, potrei avere un fi glio con la fecondazione assistita eterologa?». In verità vedremo subito come questo inter-rogativo, apparentemente così semplice, richieda alcuni chiarimenti prima di poter cercare una buona risposta.

Perché la fecondazione eterologa?

La fecondazione assistita eterologa è diventata un mio problema in un certo luogo e in un preciso momento: l’ho avvertito in Italia nel 2014, nei mesi successivi alla sentenza della Corte Costituzionale che ne dichiarava illegittimo il divieto sancito dalla legge n. 40. Soprattut-to, credo non sia casuale, è sorto durante un certo tratto della storia della mia vita: ho l’età in cui si convive, ci si sposa e si pensa ai fi gli, e così le questioni legate all’ete-rologa, prima ancora che questioni «calde», «centrali nel dibattito pubblico» o «à la page», sono questioni “mie”, su cui mi interrogo pensando alla mia stessa esistenza e al suo signifi cato. Per questo la domanda che ho posto è declinata alla prima persona singolare e si rivolge pro-prio a me: «Se ci fosse la necessità, potrei avere un fi glio con la fecondazione eterologa?». Sono convinto che la fi losofi a debba impastare la propria vita alla polvere del-

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le università ma, come Agostino, Pascal o Kierkegaard, prediligo la fi losofi a al singolare, che mette in questione prima di tutto se stessi.

Il problema dell’eterologa ha però una sua genealogia e inizia ben prima della mia nascita: ci siamo incontrati qui e ora, è vero, ma la sua storia è molto più lunga della mia e andrà brevemente ripercorsa. Dell’eterologa si ini-ziò a discutere un secolo e mezzo fa grazie alla proposta di congelare e conservare il seme maschile avanzata da Paolo Mantegazza, scienziato, antropologo e professo-re all’Università di Pavia. Della crioconservazione parlò pubblicamente già nel 1866: il primo vantaggio pratico di questa scoperta sarebbe stato il grosso aiuto offerto nel campo dell’allevamento di animali, consentendo di migliorare razze equine e bovine. Fin dal principio, però, si fantasticò di “romantiche” applicazioni umane: «Potrà anche darsi che un marito morto sui campi di battaglia potrà fecondare sua moglie anche fatto cadavere»2. Non solo: lo stesso Mantegazza propose, dopo molti anni, di utilizzare queste tecniche per la fecondazione eterolo-ga. Era consapevole dello scandalo che avrebbe potuto sollevare e si permise di accennarvi solo attraverso una relata refero, un trucco che anche gli scrittori usano per confessare, attraverso la voce dei propri personaggi, le più profonde e disturbanti convinzioni: «Mi fu consi-

2 P. Mantegazza, “Sullo sperma umano. Ricerche” in Reale istituto lom-bardo di scienze e lettere, Rendiconti. Classe di Scienze matematiche e naturali, vol. III, 1866, p. 189.

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gliato ingenuamente», scrive, «da una signora in cui tentai tre volte inutilmente l’atto operatorio di cui mi sto occupando [la fecondazione con il seme del marito, nda]: “Se col seme di mio marito non riuscite, sostituite quello di un altro uomo, più giovane e robusto. Io non voglio sapere chi lo abbia fornito, e quindi non commet-to alcun peccato”»3. Ecco l’eterologa: un’inseminazione artifi ciale che usi gameti maschili o femminili di almeno un individuo esterno alla coppia allo scopo di realizzare una fecondazione. La prima eterologa in realtà precede questa provocazione di Mantegazza: è infatti del 1884, opera del dottor William Pancoast, ma solo a metà del Novecento nuove tecniche di crioconservazione permi-sero la diffusione della prassi4.

In Italia le prime banche del seme risalgono agli anni Settanta ma «restavano, per così dire, nell’ombra, non essendo ben chiaro se la donazione di seme fosse o meno consentita dall’ordinamento». Bisognerà aspetta-re il 1984 perché il Ministero della Salute istituisca una commissione di studio che «pur esprimendo un netto sfavore per la fecondazione “eterologa”, non approdava a proporne il divieto assoluto, ma si limitava ad auspi-carne “una disciplina rigorosa circa le condizioni di

3 P. Mantegazza, “Nota sulla fecondazione artifi ciale della donna” in “Gaz-zetta degli ospitali”, VIII, II, 1887, p. 82. Poco cambierebbe se il professore, così come mi diverte pensare, si fosse inventato quella storia di sana pianta per poter, diciamo così, lanciare la pietra nello stagno e nascondere la mano.

4 Sulle origine dell’eterologa consiglio il bel volume di E. Betta, L’altra genesi. Storia della fecondazione artifi ciale, Carocci, Roma 2012.

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ammissibilità”»5. Una circolare del ministro della Salute Costante Degan del 1985 vietò la donazione di gameti in strutture pubbliche, legittimando di fatto la pratica in quelle private. Il divieto assoluto arrivò in Italia con la legge n. 40 del 2004, ma dopo un decennio tale divieto è stato rimosso da una sentenza della Corte di Cassazione: «Occorre constatare che esso [il divieto dell’eterologa, nda], impedendo alla coppia destinataria della legge n. 40 del 2004, ma assolutamente sterile o infertile, di uti-lizzare la tecnica di PMA [procreazione medico assistita, nda] eterologa, è privo di adeguato fondamento costitu-zionale».

Con la sentenza 162 del giugno 2014, il dibattito avrebbe dovuto prendere nuovo vigore. In attesa della nuova legislazione la situazione era quanto mai instabi-le, legata a linee guida e leggi regionali, e, nel dicembre del 2014, lo Stato ha reso disponibili i fondi necessari alla creazione di una banca del seme italiana. La doman-da di questo libro – «Se ci fosse la necessità, potrei avere un fi glio con la fecondazione eterologa?» – non si vuole tradurre in una questione di diritto, anche se nasce in un momento di confusione legislativa. Non voglio discute-re del tema sul piano giuridico, ma devo segnalare che quei mesi hanno dato spazio alla mia ricerca su que-sta tecnica di concepimento, anche perché il dibattito

5 E. Dolcini, “La fecondazione assistita “eterologa”. Una questione aper-ta”, in F. Poggi, Diritto e bioetica. Le questioni Fondamentali, Carocci, Roma 2013, p. 17.

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pubblico non ha segnato momenti di approfondimento apprezzabili.

Perché non fare chiarezza?

Sgombrato il campo dalle leggi, dai ricorsi, dalle brut-ture giuridiche e dalla pochezza degli interventi politici sul tema, entriamo in quello più arioso della fi losofi a. Molte sono le strade che potrei imboccare: anche qui sarà davvero utile escludere tutto ciò di cui non discute-remo per evitare fraintendimenti.

La signora di cui riferiva Paolo Mantegazza aveva chiaro un problema, lo stesso che ha impedito al pro-fessore di parlare apertamente della sua idea. La fecon-dazione eterologa chiama in causa la morale – «Io non voglio sapere chi lo abbia fornito, e quindi non commet-to alcun peccato», diceva quella donna a proposito del gamete da utilizzare. Benché si tratti di problemi “fi lo-sofi ci”, specifi co subito che qui non intendo affrontare né il tema del peccato, né mi occuperò di morale. Ho infatti il desiderio, spero non la presunzione, di ricerca-re quanto è necessario sapere “prima” di una qualsiasi scelta morale.

La fortuna di queste righe risiede proprio nel momen-taneo disinteresse per qualsiasi posizione morale. Non è compito di questo scritto dare giudizi morali, permettere o vietare questa pratica; la mansione di cui mi sto incari-cando è più limitata: descrivere i fatti. Capire, cioè, cosa

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signifi chi scegliere la fecondazione assistita eterologa e cosa comporti, perché per assumere la responsabilità delle proprie azioni, o anche soltanto per scegliere con la necessaria contezza, bisogna sapere quali signifi cati stiamo toccando, quali complicati meccanismi stiamo mettendo sotto sforzo. Non voglio sostenere qui che la morale o la legge non siano importanti, ma temo che non lo sarebbero per me. Ho bisogno di scavare ancora più a fondo.

Per questi motivi il mio libro intende occuparsi di eti-ca, non di morale, usando questi due termini nelle acce-zioni tipiche della fi losofi a di Baruch Spinoza: la morale si interroga su come dovrebbe essere la vita dell’uomo e la sua domanda fondamentale è “cosa posso fare?” Da notare che quel “posso” si riferisce a un ideale di cosa sia giusto e di cosa sia sbagliato; la rifl essione morale impli-ca l’esistenza di qualcosa che possa guidare l’azione (e, allo stesso tempo, permettere di giudicarla). La mora-le, insomma, prevede un’idea del Bene. La prospettiva dell’etica di Spinoza, invece, è tutt’altra.

Nella sua opera principale, l’Etica, scrive: «La perfe-zione delle cose deve essere valutata soltanto in base alla loro natura e potenza»6. Cosa signifi ca? Per fortuna ce lo ha spiegato Gilles Deleuze nelle sue lezioni su Spi-noza: vuol dire che «nell’etica non si giudica mai»7 per-ché essa non fa riferimento a vette ideali da raggiungere,

6 B. Spinoza, Etica, Editori Riuniti, Roma 1988, p. 122.7 G. Deleuze, Cosa può un corpo, ombre corte, Verona 2007, p. 79.

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ma analizza quanto esiste per capire quali siano le sue possibilità materiali, altrimenti dette la loro natura e la loro potenza. «Il punto di vista di un’etica è: di cosa sei capace? Cosa ti è possibile fare? Riprendiamo la solleci-tazione di Spinoza: cosa può un corpo?»8.

Si tratta di una prospettiva interessante anche per chi si affaccia sul mondo avendo ben chiaro, dentro di sé, cosa considerare giusto e cosa sbagliato. L’analisi etica, infatti, non facendo riferimento ad alcuna realtà trascen-dente, permette un confronto e un dibattito con meno compromessi; in altre parole, è più semplice, per me, discutere di cosa “può fare” un essere umano (in sen-so etico) che di quanto “debba fare” (in senso morale), limitandomi alla ricerca di quali siano le sue caratteristi-che e su come queste gli permettano di agire9.

I lettori più accorti avranno notato un lieve sposta-mento: Spinoza parla di “corpo”, io mi sono riferito alle possibilità di un “essere umano”. C’è una certa differen-za. Nelle pagine che seguono mi chiederò infatti cosa può fare un essere umano e cosa invece gli è vietato, in senso etico e non morale secondo la distinzione appena fatta. Ma cos’è un essere umano? A seconda della pur

8 Ivi, p. 80.9 Chiarisco che questa distinzione tra etica e morale è tipica di Spinoza,

ma non è condivisa dalla maggior parte della fi losofi a. Per ciascun pensato-re che il lettore incontrerà, il rapporto tra etica e morale potrà subire for-ti spostamenti e ben diverse caratterizzazioni. Di fatto, l’etica di Spinoza è un’ontologia, cioè uno studio dell’essere. In campo umano potremmo anche concederci la forzatura di chiamarla “antropologia”, se servisse per rendere meglio comprensibile al lettore quanto andiamo dicendo.

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vaga defi nizione che ne do, la mia indagine può prendere strade differenti. Resterò a un livello di grande appros-simazione: considero l’uomo o la donna come esseri viventi caratterizzati da una soggettività, ovvero dalla possibilità di scegliere liberamente la propria condotta e di interpretare liberamente il mondo che li circonda. Liberamente, ma all’interno delle possibilità materiali defi nite dall’etica. Mi sembra di essere stato abbastan-za generico da poter mettere d’accordo i più: andiamo avanti, avremo tempo di tornare su questo punto10.

La domanda centrale rimane la medesima: se fosse necessario, potrei avere un fi glio con la fecondazione eterologa? Quel “potrei” è da intendersi nel senso spi-noziano: ho la possibilità di farlo? Un uomo può farlo? Che domanda assurda! Ci sono persone che ogni giorno concepiscono in questo modo, quindi la risposta appare scontata. Tuttavia il motivo per cui sto scrivendo è pro-

10 Questa posizione defi nisce un campo tanto vasto da poter trovare con-cordi molti alti esponenti della storia della fi losofi a. Anche per il già citato Spi-noza la libertà è la cifra dell’umano: cfr. la parte V dell’Etica, “Della Potenza dell’Intelletto, ossia della Libertà Umana”. Per esempio, mi rifarò, qui e più avanti, alla corrente dell’esistenzialismo, specie di quello ateo. Perché? Perché esso non chiama in causa nessuna presenza divina che potrebbe far storcere il naso ad alcuni lettori. Per Jean-Paul Sartre «l’uomo [...] è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso un avvenire» (J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 1990, p. 29). D’altra parte anche il Catechismo della Chiesa Cattolica scrive: «La libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé» (1731). Sarà poi la morale a indicare come indirizzare questa libertà, ma come ho detto, di morale non mi occuperò in queste pagine.

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prio questo: quella mattina mi sono svegliato pensando che né io né voi possiamo farlo e, via via, me ne sono sempre più convinto. Credo che, nel senso comune in cui intendiamo quel procedimento, ci sia negata la pos-sibilità di farlo non a causa di una legge dello Stato, della nostra morale o del dio di ciascuno: io sono convinto che non possiamo farlo nello stesso modo in cui non pos-siamo volare o vivere per mille anni, che non possiamo perché siamo esseri umani, se non a condizione di fallire miseramente nei nostri propositi.

Non so se, alla fi ne di questo libro, mi darete ragio-ne. Spero però vogliate seguirmi mentre vi spiegherò come sono giunto a questa assurda – apparentemente assurda – conclusione.

Prima domanda supplementare:perché non spiegare più precisamenteciò di cui stiamo parlando?

Pur senza entrare in tecnicismi scientifi ci, inutili ai nostri scopi, sarà bene andare più nello specifi co del tema, introducendo qualche termine imprescindibile. La “fecondazione artifi ciale”, questo forse potrei darlo per scontato, è l’insieme di quelle tecniche e di quelle pras-si che servono a ottenere il concepimento umano fuori dalla sfera della relazione sessuale. Come si sarà inteso leggendo le parole di Paolo Mantegazza, ci sono due possibilità: il gamete maschile e gamete femminile pos-

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sono essere dei membri della coppia, e allora parliamo di “fecondazione artifi ciale omologa”, oppure almeno uno dei due può provenire da un donatore esterno alla coppia: è questo il caso della “fecondazione artifi ciale eterologa” di cui discuteremo qui.

Ad essere donati possono essere sia i gameti maschi-li sia quelli femminili, anche se in questo secondo caso il procedimento è molto più complesso. Un’ulterio-re distinzione, utile ma non fondamentale nel nostro percorso, è quella tra fecondazione “intracorporea” o “extracorporea”: essa avviene all’interno delle vie geni-tali femminili, nel primo caso, o all’esterno, cioè in pro-vetta, nel secondo. Nella fecondazione artifi ciale extra-corporea, che può essere eterologa o omologa, gli ovuli saranno fecondati e, successivamente, trasferiti in utero.

Inutile addentrarsi maggiormente nelle tecniche di fecondazione: la distinzione che più interesserà il nostro percorso sarà infatti quella tra omologa ed eterologa.

Seconda domanda supplementare: perché te la prendi con i fi gli o con i genitori “non biologici”?

Va riconosciuto che criticare la fecondazione etero-loga non è semplice. Da una parte questa pratica si pro-pone alti scopi a fronte dei quali qualsiasi discussione o critica pare cadere: contro il problema della sterilità, che provoca insoddisfazione, senso di inadeguatezza e molte altre sofferenze, propone una tecnica capace di

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far nascere nuove vite. In nome della dignità, dell’egua-glianza, della felicità: chi può vietarla, sconsigliarla o perfi no biasimarla? D’altra parte la fi losofi a – diceva Merleau-Ponty – è reimparare a vedere il mondo, assu-mere nuovi punti di vista, e la fecondazione eterologa ci costringe a fare lo stesso, scontrandosi con il paradig-ma biologico della genitorialità, il modo in cui ci pare di essere soliti guardare il mondo. Sembrerebbe che, accet-tando l’eterologa, smetteremmo di far coincidere il con-cetto di genitore biologico con quello di genitore tout court; rifi utandola, rafforzeremmo invece la nostra idea di genitore nella sua base genetica. Un problema di cui parlare potrebbe allora essere questo: possiamo dire che uno dei genitori di un bambino nato attraverso l’eterolo-ga non lo sia “per davvero”, dato che non ha preso parte al concepimento? È questo il tema? Che se decidessi per l’eterologa non sarei padre “davvero”?

La questione, posta in questi termini, si rivela del tut-to illusoria: ciascuno di noi sa che avere fi gli – chiamarli e considerarli tali – benché non siano fi gli biologici non è certo una novità sconvolgente da attestare alla fecon-dazione eterologa. Aiuterà qui ricordare la scrittrice Michela Murgia che, nel 2009, ha pubblicato il romanzo Accabadora. In sardo signifi ca “colei che fi nisce”: l’opera affronta dapprima e soprattutto un tema caro all’etica, quello dell’eutanasia o dell’accompagnamento alla mor-te. Tzia Bonaria, la sarta che nella sua piccola comunità ha il compito di provvedere alla fi ne pietosa, in vecchiaia sceglie di prendere con sé Maria, una bambina che cre-

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scerà come una fi glia, nata da una donna che non può allevarla. Siamo proprio all’apertura del romanzo: «Fil-lus de anima. È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra»11.

Quello che colpisce è che in quella comunità rurale e dalle radici antichissime, esista una defi nizione per ciò che noi chiameremmo, forse banalizzandola, un’ado-zione: Maria fa parte dei «fi llus de anima», appunto, un nome che la contrappone ai “fi gli del corpo”, quasi a suggerire una superiorità di questo legame per colo-ro che considerano preminente l’anima sul corpo. Una discendente non biologica per una donna sterile, una fi glia “per davvero”, addirittura una fi glia dell’anima in quanto scelta, voluta, desiderata, secondo una tradizione che è il vero istituto giuridico di quella comunità. Tzia Bonaria non ha dubbi di fronte alla maestra di Maria quando quest’ultima le riferisce che la bambina, se le si chiede di disegnare la madre, disegna la vecchia signora: «La madre naturale, per Maria, è quella che lei disegna quando le chiedono di disegnare sua madre»12. Fine del-la storia.

Ecco perché non è questo il tema che toccheremo: sarebbe inutile – a tratti ridicolo – formulare la classifi ca delle relazioni tra genitori e fi gli, di anima e di corpo, tanto più che potrebbe non portarci ai risultati sperati,

11 M. Murgia, Accabadora, Einaudi, Torino 2009, p. 3.12 Ivi, p. 20.

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cioè alla comprensione del vero problema. Non intendo quindi mettere in discussione la possibilità della costru-zione di una relazione genitoriale tra un adulto e un gio-vane a prescindere dal loro legame di sangue.

Terza domanda supplementare: perché questo libro di fi losofi a mi sembra strano?

Forse ci si starà chiedendo che razza di libro sia que-sto, dato che ci si trovano, nelle prime pagine, alcune citazioni di romanzieri e meno di fi losofi . In effetti, quel-lo che avete davanti sarà un percorso lineare, ma vario-pinto, dove la fi losofi a incrocerà il romanzo, ma anche tradizione, storie vere, cinema e perfi no sport. Credo che questi strumenti aiutino a comunicare concetti com-plessi, senza il bisogno di tradirli e, al contrario, descri-vendoli in maniera più vivida.

Per esempio, dalla fi losofi a antica viene una nota rifl essione sul tema dei “fi gli d’anima”: nella Repubbli-ca di Platone troviamo un passo tanto noto da non aver bisogno di lunghi approfondimenti. Il fi losofo sostiene che i guardiani della sua città ideale debbano affi dare i propri discendenti alle cure della comunità senza poter-li riconoscere, così da dover poi considerare ciascun concittadino come un padre, una madre, un fi glio o un fratello perché tale potrebbe essere, biologicamente. La città è retta da legami di sangue generalizzati perché impossibili da defi nire. La natura di questo rapporto è

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ben illustrata quando a Socrate – che sta esponendo le sue idee sul tema – viene domandato:

Secondo la tua legge, essi avranno una parentela esclusi-vamente nominale, oppure dovranno agire sempre in con-formità a questi nomi e comportarsi con i padri nel modo previsto dalla legge, riservando loro tutta la reverenza, il riguardo e la sottomissione dovuta ai genitori [...]?

Socrate sembra pronunciare la risposta con un sorriso sarcastico, mentre i suoi occhi porcini si stringono in due fessure sottilissime.

Sarebbe ridicolo che nomi propri venissero proferiti sol-tanto con la bocca, senza essere accompagnati da azioni corrispondenti13.

Anche in questo passo vediamo l’equiparazione di fi gli biologici e non, ma quello che la scrittrice sarda ci ha consegnato, la defi nizione di “fi gli d’anima”, rag-giunge una tale profondità da non poter essere trala-sciata, è come una piccola luce che squarcia il buio e illumina scenari profondi. D’altronde gli scrittori sono i «sacerdoti della parola»14, coloro che se ne prendono massimamente cura, e sarà grazie a loro che prosegui-remo il nostro percorso, intravvedendo i signifi cati più

13 Platone, Repubblica, V, 463 D seg.14 Cfr. S. Petrosino, Il magnifi co segno, San Paolo, Cinisello Balsamo

(Mi) 2015.

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intimi oltre le parole, che non potranno certo mancare, della fi losofi a.

Come anticipato, nel libro troverete anche esempi differenti, legati alla vita quotidiana o a particolari even-ti. In questo caso non è la cura della parola ad essere ricercata, ma la possibilità di slegarsi da una rifl essione astratta per planare sul mondo e «reimparare a vederlo», scrutarlo dal punto di vista che ci andremo formando. Lo stesso chiederemo al cinema, chiamato in causa per la sua capacità di dare forma plastica a determinate rifl es-sioni o contraddizioni, rendendocele, ancora una volta, più vicine e concrete.

La domanda fi losofi ca, in effetti, parte dalla nostra esistenza, ed è ad essa che deve approdare, anche se nella sua formulazione principale può sembrare arida e quasi banale. Prima di tutto dovremo infatti chiederci: che cos’è la fecondazione eterologa?

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INDICE

Introduzione. La selva dei perché pag. 7Perché un libro? » 7Perché la fecondazione eterologa? » 9Perché non fare chiarezza? » 13Prima domanda supplementare: perché non spiegare più precisamente ciò di cui stiamo parlando? » 17Seconda domanda supplementare: perché te la prendi con i fi gli o con i genitori “non biologici”? » 18Terza domanda supplementare: perché questo libro di fi losofi a mi sembra strano? » 21

1. SUPERARE LA MANCANZA » 25Le tre vie » 31Obiezione Zanardi » 40Ritorno all’eterologa » 44

2. AMORE E NON » 48La prima fecondazione eterologa » 48Uno sguardo esistenziale » 54

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158 I L T E R Z O I N C O M O D O

Io, te, e nessun altro pag. 57La fecondazione eterologa e i suoi limiti » 64La scelta di essere cosa » 69Cosa signifi ca tutto questo » 74

3. IMPIEGARE, CONTARE, PAGARE » 79Il linguaggio chiuso » 80La funzione di donare » 84Produrre e provocare » 88Numeri, cifre, pesi, misure » 94Un razionale inebetimento » 97La città dei corpi » 101Il prezzo è esatto, ma ingiusto » 104

4. NOMEN OMEN » 109Cos’è il dono? » 111I tre momenti del dono » 114Altri donatori » 119Victoria » 122Perché non esistono né “donatori” né “donatrici” di gamete » 125Mio e tuo » 128Un nuovo nome » 132Il terzo incomodo » 134Oltre il problema dell’anonimato » 137

Conclusione (?) » 143Conoscere una parte » 145La vita in technicolor » 148Altre coppie, stessi problemi » 149

Indice dei nomi » 155

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