il patriarca e il parà - la...

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1. V ENECUBA. VENEZUELA PIÙ CUBA, CHÁVEZ PIÙ CASTRO: L’ANTIAME- rica per definizione. Certo non la troviamo sul planisfero. Per ora. Ma il progetto di fusione controllata fra le due rivoluzioni domina le carte mentali dei rispettivi líde- res máximos. Un Piemonte latinoamericano destinato a riunire il subconti- nente nel nome di Simón Bolívar e José Martí, eroi eponimi venecubani. Una confederazione votata ad attrarre nella sua orbita la Bolivia di Evo Morales, l’Ecuador di Rafael Correa, il Nicaragua del redivivo Daniel Orte- ga e forse l’Argentina neoperonista di Néstor Kirchner, nel nome dell’eman- cipazione dall’«imperialismo» statunitense. Per convertire al «socialismo del XXI secolo» popoli e paesi della regione e del mondo intero. Megalomanie? Probabile. Ma se solo una piccola quota di tali fantasie dovesse concretiz- zarsi – e in qualche misura sta accadendo – gli Stati Uniti non potrebbero restare indifferenti. Già non lo sono. Non fosse che per il rango energetico del Venezuela, paese Opec da cui gli Usa traggono l’11% circa delle loro im- portazioni di petrolio. Venecuba forse non sorgerà mai, ma alla Cia esiste già. Nell’agosto scorso l’allora zar dell’intelligence Usa, John Negroponte, oggi vice di Con- doleezza Rice al Dipartimento di Stato, creava la Missione speciale Vene- zuela-Cuba. Da novembre a guidarla è Norman A. Bailey, veterano di scuola reaganiana. Nella sede di Langley si precisa che Cuba e Venezuela sono nell’ordine i due Stati più spiati dell’emisfero occidentale. Il malanda- to, ottuagenario Fidel Alejandro Castro Ruz e il fratello Raúl, suo facente funzioni, sembrano però avviati a cedere il primato al vigoroso tenente co- lonnello venezuelano Hugo Chávez, che da presidente eletto sta acceleran- do la costruzione di un regime autoritario quanto visceralmente antiameri- cano. Lo stesso George W. Bush ha chiesto di «seguire più attentamente» il CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA Il patriarca e il parà 7

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1.VENECUBA. VENEZUELA PIÙ CUBA, CHÁVEZ PIÙ CASTRO: L’ANTIAME-rica per definizione.

Certo non la troviamo sul planisfero. Per ora. Ma il progetto di fusionecontrollata fra le due rivoluzioni domina le carte mentali dei rispettivi líde-res máximos. Un Piemonte latinoamericano destinato a riunire il subconti-nente nel nome di Simón Bolívar e José Martí, eroi eponimi venecubani.Una confederazione votata ad attrarre nella sua orbita la Bolivia di EvoMorales, l’Ecuador di Rafael Correa, il Nicaragua del redivivo Daniel Orte-ga e forse l’Argentina neoperonista di Néstor Kirchner, nel nome dell’eman-cipazione dall’«imperialismo» statunitense. Per convertire al «socialismo delXXI secolo» popoli e paesi della regione e del mondo intero. Megalomanie?Probabile. Ma se solo una piccola quota di tali fantasie dovesse concretiz-zarsi – e in qualche misura sta accadendo – gli Stati Uniti non potrebberorestare indifferenti. Già non lo sono. Non fosse che per il rango energeticodel Venezuela, paese Opec da cui gli Usa traggono l’11% circa delle loro im-portazioni di petrolio.

Venecuba forse non sorgerà mai, ma alla Cia esiste già. Nell’agostoscorso l’allora zar dell’intelligence Usa, John Negroponte, oggi vice di Con-doleezza Rice al Dipartimento di Stato, creava la Missione speciale Vene-zuela-Cuba. Da novembre a guidarla è Norman A. Bailey, veterano discuola reaganiana. Nella sede di Langley si precisa che Cuba e Venezuelasono nell’ordine i due Stati più spiati dell’emisfero occidentale. Il malanda-to, ottuagenario Fidel Alejandro Castro Ruz e il fratello Raúl, suo facentefunzioni, sembrano però avviati a cedere il primato al vigoroso tenente co-lonnello venezuelano Hugo Chávez, che da presidente eletto sta acceleran-do la costruzione di un regime autoritario quanto visceralmente antiameri-cano. Lo stesso George W. Bush ha chiesto di «seguire più attentamente» il

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progetto chavista. E Negroponte ha invitato il Congresso a «preoccuparsi delsignor Chávez» 1.

I vertici militari Usa sono allertati. Nella base aerea di MacDill, a Tam-pa (Florida), sede del Comando Centrale (Centcom), l’attenzione è concen-trata sul Venezuela in quanto teatro della guerra globale al terrorismo. Tremappe illustrano le poste in gioco. La prima proviene da un sito di al-Qå‘ida e segnala in verde gli spazi conquistati nel mondo dall’islamismomilitante. La seconda, anch’essa frutto delle officine cartografiche di Osa-ma bin Laden, proietta lo scenario globale di qui a cent’anni: un pianetatutto verde, il «califfato virtuale». La terza, prodotta dal Centcom, dipinge ingiallo le aree strategiche in cui Washington e alleati combattono per impedi-re che quel califfato diventi reale: Medio Oriente, parti dell’Asia, Corno d’A-frica, ma anche Venezuela e Triple Frontera (carta 1), dove si toccano Bra-sile, Argentina e Paraguay (e si trova la riserva d’acqua più importante almondo, il bacino del Guaraní). In questi territori sudamericani, secondo glianalisti del Centcom, sono da tempo infiltrati gruppi terroristi come Õizbul-låh, Õamås e perfino al-Qå‘ida 2.

Visto da Bush, Chávez è dunque un nemico su scala doppia. In ambitocontinentale, dai Caraibi alla Terra del Fuoco, dove d’intesa con i fratelli Ca-stro sta radicando una testa di ponte anti-Usa (progetto Venecuba). In proie-zione globale, in quanto connivente con i terroristi, frequentatore di pessimecompagnie – dal presidente iraniano Ahmadi-Nejad al bielorusso AleksandrLukasenko e al nordcoreano Kim Jong-Il – e insieme promotore di pericoloseintese energetiche con cinesi, iraniani, russi (dai quali acquista aerei, elicot-teri e kalashnikov). Sempre da apostolo della lotta contro il «diavolo» Bush.

Quanto il presidente degli Stati Uniti consideri seria la minaccia chavi-sta lo si è sperimentato nel suo viaggio latinoamericano, che dal 9 al 14marzo l’ha portato in Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala e Messico. Laprima grande missione subcontinentale di Bush. Arrivato alla Casa Biancacon l’idea di fare dell’America Latina la sua priorità, causa guerra al terro-rismo il leader Usa ha finito per metterla tra parentesi, tanto da citarlaun’unica volta (gennaio 2001) nei suoi sette discorsi sullo stato dell’Unione.Il suo è stato dunque un tardivo atto di riparazione all’insegna dell’«I care»,con l’obiettivo implicito di offuscare la stella chavista.

Nel corso del periplo attorno all’aspirante caudillo Bush ha studiata-mente evitato di pronunciarne il nome. Non occorre psicoanalisi per inter-pretare tale forzoso silenzio. Bush ha seguito il consiglio del Dipartimento diStato e di influenti think tank, dalla Heritage Foundation al Council on Fo-reign Relations, che lo invitavano a non cadere nella trappola retorica di

1. E. GOLINGER, «Bush Orders More CIA Activity in Venezuela», Venezualanalysis.com, 19/1/2007. Cfr.www.venezuelanalysis.com/news.php?newsno-21962. N. IKEDA, «Venezuela y Triple Frontera en mapa de lucha antiterrorista», Associated Press,24/11/2006.

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Chávez 3. Per lui come per Fidel e per molti altri leader sudamericani di ierie di oggi, se gli Usa non esistessero bisognerebbe inventarli. Su chi scaricarealtrimenti le proprie frustrazioni, a chi attribuire i propri fallimenti?

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3. Cfr. S. JOHNSON, A. COHEN, W.L.T. SCHIRANO, «Countering Hugo Chávez’s Anti-U.S. Arms Alliance», He-ritage Foundation, Executive Memorandum No. 1010, 6/9/2006, www.heritage.org/research/national-security/em1010.cfm. A conclusioni analoghe giunge R. LAPPER nel suo Living with Hugo. U.S. PolicyToward Hugo Chávez’s Venezuela, Council on Foreign Relations Press, Crs n. 20, November 2006.

Ciudadde l’Este

Foz do IguaçúPuerto Iguazú

PARAGUAYBRASILE

ARGENTINA

Rio

Par

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Ma proprio il rifiuto assoluto di discutere il caso Chávez – la sua ta-buizzazione – ha attirato l’attenzione dei media sul duello a distanza fra idue leader. Giacché il presidente venezuelano non ha trattenuto l’istintobattagliero e ha intrapreso un parallelo tour anti-Bush. Dall’Argentina allaBolivia, dal Nicaragua alla Giamaica e ad Haiti (9-13 marzo), Chávez haelargito promesse di aiuti, attingendo alla retorica socialpopulista e alle ge-nerose quanto strategiche elargizioni energetiche, su cui sta costruendo lasua rete di influenza regionale e transcontinentale. Una contro-tournéeculminata il 9 marzo nel fiammeggiante comizio allo stadio Ferrocarril diBuenos Aires, con il beneplacito di Kirchner, mentre sulla sponda oppostadel Río de la Plata, a Montevideo, Bush incontrava il suo omologo uru-guayano Tabaré Vázquez in un clima da stato di assedio.

Chi ha vinto il duello? Se restassimo alla superficie, opteremmo per Chá-vez, non fosse che per l’accoglienza tra il glaciale e l’ostile ricevuta da Bushquasi dappertutto. Ma l’applausometro non è un buon indicatore. Anzituttoperché il presidente americano partiva da sottozero. Il fallimento delle ricet-te neoliberiste sponsorizzate da Washington negli anni Ottanta e Novanta,il naufragio del progetto di area panamericana di libero scambio e l’impo-polarità della guerra al terrorismo hanno spinto al parossismo l’insofferen-za subcontinentale verso il colosso del Nord. Eppoi Bush è un’«anatra zop-

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Grafico 1. L’immagine dei leader sudamericani: 2006-media

Esprima la sua valutazione dei seguenti leader di paesi stranieri, su una scala da 0 (moltonegativa) a 10 (molto positiva).

Fonte: Latinobarómetro 2006.

5.8Luis Inácio Lula da Silva

Fidel Castro

0 1 2 3

5.5

5.4

5

5

5

4.6

4.6

4.5

4.4

4 5 6 7

Alan García

George W. Bush

Hugo Chávez

Tabaré Vázquez

Evo Morales

Néstor Kirchner

Álvaro Uribe

Michelle Bachelet

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pa». Con un Congresso ostile e un consenso domestico al minimo storiconon può fabbricare grandi strategie.

Non che il suo contraddittore sia amatissimo nella regione. Anzi, standoall’ultimo sondaggio disponibile (dicembre 2006), Chávez eguaglia Bush nel-le valutazioni negative dei latinoamericani (39%), mentre è sotto di due pun-ti nei giudizi positivi (28% contro 30%). Fidel Castro sta anche peggio (27% afavore, 41% contro). In una scala da 0 a 10, Chávez e Bush condividono unmodesto 4,6, appena meglio del leader cubano (4,4) (grafici 1 e 2) 4.

Soprattutto, Bush ha constatato che nessuno dei suoi interlocutori in-tende farsi manipolare da Chávez, né sogna di aderire a un polo bolivaria-no, tantomeno a una confederazione fra Venezuela e Cuba. Se nel casodella Colombia di Uribe o del Messico di Calderón non potevano darsi dub-bi, la conferma più importante è venuta dal brasiliano Lula. Un classicoesempio di «right left» – «sinistra di destra» o «sinistra giusta» nel gioco di pa-role americano. Una linea di governo che non indulge al servilismo verso lasuperpotenza Usa, ma esprime una geopolitica prudente e persegue politiche

4. Cfr. Latinobarómetro 2006, www.latinobarometro.org

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Grafico 2. L’immagine dei leader sudamericani: 2006 (%)

Esprima la sua valutazione dei seguenti leader di paesi stranieri, su una scala da 0 (moltonegativa) a 10 (molto positiva)

Fonte: Latinobarómetro 2006.

Luis Inácio Lula da Silva

Alan García

Valutazione negativa (0-3)

Valutazione media (4-6)

Valutazione positiva (7-10)

0 10 20

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16

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39

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27

2943

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2834

39

2733

41

2649

25

1948

33

40 50 60 70

Tabaré Vázquez

Fidel Castro

Hugo Chávez

Evo Morales

Néstor Kirchner

George W. Bush

Álvaro Uribe

Michelle Bachelet

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macroeconomiche ortodosse, privilegiando la stabilità sulla crescita (intor-no al 3,7%) e sulla lotta alla disoccupazione. Il Brasile è semplicementetroppo grande per accodarsi a qualsiasi partner sudamericano. Figurarsi alVenezuela radicalpopulista. Certo, l’accordo di principio tra Lula e Bush perlo sviluppo dell’etanolo come biocarburante alternativo ai prodotti petrolife-ri non sembra aprire prospettive ravvicinate. Basti considerare che il Brasilene produce circa 17,5 miliardi di litri all’anno, per il 90% destinati al con-sumo interno, contro i 132 miliardi previsti per il 2017 dal progetto ameri-cano mirato ad abbattere del 20% la dipendenza dal petrolio. Eppure l’inte-sa ha un palese significato geopolitico. Avverte Chávez che Brasile e StatiUniti stanno collaborando per minarne la petropolitica.

Il presidente venezuelano sarà pure un «Perón col petrolio», ma la suaarma energetica non è definitiva né infinita. La sua battaglia in seno all’O-pec per mantenere il prezzo del greggio oltre i 50 dollari al barile, soglia ne-cessaria al Venezuela per finanziare insieme welfare domestico e geopoliti-ca globale, non può garantirlo nel medio-lungo periodo.

Per ora i numeri sono comunque dalla parte di Chávez. Oggi il Fondomonetario internazionale presta solo 50 milioni di dollari annui all’Ameri-ca Latina, pari all’1% del totale, contro l’80% del 2005. Quanto all’aiutoUsa nella regione, nel 2007 toccherà quota 1.600 milioni di dollari. Nel2006, intanto, Chávez ha attinto alla sua rendita energetica per prestare2.500 milioni di dollari all’Argentina, 1.500 alla Bolivia e 500 milioni al-l’Ecuador, sussidi petroliferi a parte (2.000 milioni alla sola Cuba). Un mat-ch impari, che spiega l’irradiamento venezuelano in America Latina. E illu-stra il declino della dottrina Monroe, reso bene dal commento del giornaleconservatore brasiliano O Estado de São Paulo al viaggio di Bush: sotto il ti-tolo «Il misero pacchetto di Zio Paperone», si ricorda che gli aiuti Usa allaregione «equivalgono a cinque giorni di guerra in Iraq, una goccia d’acquaappetto all’oceano di petrodollari in cui il chavismo naviga a tutta forza,dall’Argentina al Nicaragua» 5.

Le tournée parallele di Bush e Chávez consentono di mettere a fuoco lacangiante mappa geopolitica dell’America Latina (carta a colori 1). A parti-re dall’asse Cuba-Venezuela, o Venecuba, che tende a ramificarsi priorita-riamente in Bolivia ed Ecuador (ideologia più idrocarburi e sicurezza), poiin Nicaragua, con supporti anche in Argentina (peronista ma soprattuttodebitrice a Chávez dell’acquisto di una corposa quota dei suoi buoni del Te-soro), Paraguay, Uruguay, Haiti e Giamaica, più o meno sensibili alle sire-ne della petropolitica chavista, orientamenti ideologici a parte. Cile, Perú,Honduras, Costa Rica, Panamá e Repubblica Dominicana mantengono di-stanze variabili ma piuttosto ampie da Venecuba, mentre Colombia, Guate-mala e El Salvador restano legati agli Usa, con il Messico più smarcato. Il

5. Cit. in J. RUTENBERG, L. ROHTER, «Visit by Bush Fires Up Latins’ Debate Over Socialism», The New YorkTimes, 9/3/2007.

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Brasile è a parte. Come superpotenza regionale, tiene a mantenere buonirapporti con tutti, Bush e Chávez compresi. Le dimensioni paracontinentalie le ambizioni geopolitiche globali – come testimonia la rivendicazione diun seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dal 1945 a oggi– inducono Brasília a osservare con serena condiscendenza il balletto degliallineamenti e riallineamenti regionali intorno al fenomeno Chávez.

2. Ma chi è il tenente colonnello Hugo Rafael Chávez Frías, nato il 28luglio 1954 (sotto il segno del Leone, come il Libertador) a Sabaneta de Ba-rinas, nella profonda provincia venezuelana, da umile famiglia llanera?Che cosa vuole? Quanto realistici sono i suoi progetti?

Il presidente è un’icona vivente. La sua immagine campeggia ovunquein Venezuela, negli uffici pubblici come in altarini improvvisati. È disponi-bile persino sotto forma di pupazzetto con batteria. Infatti Chávez è un mo-to perpetuo. Dorme tre o quattro ore a notte, beve almeno venti tazzine dicaffè al giorno, studia valuta decide proclama su tutto e di tutto. Ed è estre-mamente sensibile al giudizio altrui: un suo critico di sinistra, TeodoroPetkoff, lo paragona a Zelig.

Il culto del «nuovo Bolívar» o del «secondo Fidel», campione della rivolu-zione roja rojita (il colore del bolivarismo), è a uno stadio avanzato. Vi con-tribuisce lui stesso, iperattivo e onnipresente genio della comunicazione, co-me dimostrano le fluviali performance televisive nel suo programma dome-nicale «Aló Presidente!». In un paese spaccato in due, fra ricchi quasi sem-pre bianchi e poveri quasi sempre colorati, Chávez ama ricordare la suaparabola di meticcio che s’è fatto da sé. Come osserva il suo grande ammi-ratore e «fratello maggiore» Fidel Castro, Hugo si considera una «mescolan-za di indio», attribuendosi qualche goccia di sangue bianco, a mitigare itratti autoctoni 6. Ma si sente anzitutto un soldato, un missionario armatodella rivoluzione bolivariana e del «socialismo del XXI secolo». Avverte: «So-no un sovversivo a Miraflores» (il palazzo presidenziale, n.d.r.) 7. Si conside-ra il vendicatore dei venezuelani, dopo i quarant’anni di puntofijismo(1958-’98), l’oligarchia bipartitica segnata dalla corruzione e dall’ineffi-cienza contro cui aveva tentato il suo primo assalto al potere, con il fallitogolpe del 4 febbraio 1992 che ne farà comunque un personaggio pubblico.E da meticcio si erge a campione del multiculturalismo, a difensore dell’or-goglio indigeno (carta a colori 2).

Chávez ha superato brillantemente varie prove elettorali, dall’avventoalla presidenza nel 1998 fino alla trionfale riconferma del 3 dicembre2006, con il 63% dei voti (portando alle urne il 74% dell’elettorato), via la

6. F. CASTRO, I. RAMONET, Autobiografia a due voci, Milano 2007, Mondadori, p. 492.7. Intervista di J.V. RANGEL a H. CHÁVEZ FRÍAS, 4/3/2007, durante il programma televisivo José Vicente hoy,trascrizione disponibile in Venezuelanalysis.com, 13/3/2007, www.venezuelanalysis.com/articles.php?art-no=1985

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decisiva vittoria nel referendum del 2004 (il 59,25% si espresse per la suaconferma a Miraflores). Ma negli ultimi tempi la vena autocratica e l’ag-gressività verbale contro il «diavolo» Bush hanno preso il sopravvento. Saràperché pensa di agire e parlare anche a nome di Fidel. O perché sente che aguidarlo sono forze ultraterrene. Capita che durante una riunione lasciuna sedia vuota, perché vi si possa accomodare lo spirito di Bolívar 8.

Né si sente vincolato a una dottrina, essendo stato variamente influen-zato dal marxismo e dal militarismo fascistoide, dalle guerriglie maoiste edai carapintadas. Con qualche slittamento antisemita, tipico di uno dei suoimaestri, l’ideologo argentino Norberto Ceresole, cultore del caudillismo, teo-ria del potere basata sul rapporto diretto duce-popolo, al di sopra di qual-siasi vincolo legale. Il caudillo, secondo Ceresole, «non ha altra legge che lasua volontà». E Chávez, suggeriva l’obliquo Ceresole (amico dei montoneroscome del dittatore argentino Viola), è stato scelto il 6 dicembre 1998 comeduce dei venezuelani: «Una persona fisica, non un’idea astratta o un “par-tito” generico, è stata delegata da questo popolo a esercitare il potere (…)C’è dunque un ordine sociale maggioritario che trasforma un ex capo mili-tare in un caudillo nazionale» 9. Chávez darà poi ordine di togliergli di tor-no quel «vecchio vagabondo», scomparso nel 2003. Ma non ha dimenticatola sua lezione. Lui stesso si è cimentato nella difesa del caudillismo: «La fun-zione del caudillo in certe epoche storiche è quella di mobilizzatore di mas-se, di rappresentante di una massa con cui si identifica: una funzione chela massa gli riconosce, senza che ci sia un procedimento formale, legale odi legittimazione. (…) Se una persona così (un caudillo, n.d.r.) dedicasse lavita, dedicasse i suoi sforzi a collettivizzare, servendosi del suo potere “miti-co”, leader, progetti, idee: se si verificasse tutto questo, allora (…) io giustifi-cherei la presenza di un caudillo»10. Un autoritratto. Perfetto anche per Fi-del. L’idealtipo del líder máximo venecubano.

Ma se il rivoluzionario cubano coltiva il suo patriottismo nel giardinomarxista-leninista, Chávez è molto più eclettico. Cita indifferentementeGramsci e Chateaubriand. Il suo romanzo preferito pare sia Il generale nelsuo labirinto di Gabriel García Márquez, centrato su Simón Bolívar, simbo-lo dell’anticolonialismo latinoamericano (carta 2). Ma un visitatore russol’ha recentemente colto a leggere L’uomo a cavallo di Pierre Drieu La Ro-chelle, che nel suo anelare a tutto ciò che negasse la democrazia e il merca-to si avvicinò al nazismo prima di suicidarsi il 16 marzo 1945. L’eroe diquesto romanzo ambientato nella Bolivia della seconda metà dell’Ottocen-to, Jaime Torrijos, mezzo inca e mezzo spagnolo, «grande soldato e grande

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8. C. MARCANO, A. BARRERA TYSZKA, Hugo Chávez, il nuovo Bolívar, Milano 2007, Baldini Castoldi Da-lai, p. 175.9. N. CERESOLE, Caudillo, Ejército, Pueblo. El Modelo Venezolano o la Postdemocracia, Enero, 1999,citato in A. GARRIDO, Mi amigo Chávez. Conversaciones con Norberto Ceresole, Caracas 2001, AlbertoGarrido, p. 8.10. C. MARCANO, A. BARRERA TYSZKA, op. cit., pp. 404-405.

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(Alla Gran Bretagna nel 1833)

Caracas

VENEZUELA GU

YAN

ASU

RIN

AM

EG

UYA

NA

FRA

NCE

SE

COLOMBIA

PERÚ

BOLIVIA

BRASILE

PARAGUAY

ARGENTINA

CILE

URUGUAY

ECUADOR

HONDURAS

EL SALVADOR

COSTARICA

NICARAGUA

PANAMÁ Santa Fé de Bogotá

Quito

LimaCuzco

Arequipa

La Paz

Santiago

Buenos AiresMontevideo

Pôrto Alegre

ISOLE FALKLAND

San PaoloRio de Janeiro

Belo Horizonte

Salvador de Bahia

Brasilia

BelémManaus

O c e a n o P a c i f i c o

A m a z z o n i a

M a t o G r o s s o

O c e a n o A t l a n t i c o

Rio delle Amazzoni

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RIO BRANCO(fino al 1962)

al Brasile 1905alla Colombia 1922

al Perú 1942

al Perú 1909

al Perú 1902

al Brasile 1905

al Brasile 1927

al Brasile 1870

(Alto Perú fino al 1825)

al Brasile 1895

allíArgentina 1874

al Cile 1884

al Brasile 1903

Ambato1835

Pisagua1879

Tarapacá1879

Calama1879

Cerro Cora

Caseros1852

Pavon1861Cepeda

1859

1839

18391839

18391903

1819

1811

1822

18211822

1825

1816

1828

1818

1811

Repubblica della GrandeColombia dal 1819 al 1830

Confederazione del Perú e della Bolivia dal 1836 al 1839

Confederazione delleProvince Unite dell’AmericaCentrale dal 1823 al 1839

Battaglie dellaGuerra del Pacifico(1879-1884)

Confini attuali

Altre battaglie

Anno d’indipendenza

Uruguay indipendentedal 1828

Paraguay dopo la guerra del Chaco (1932-1935)

Panamá indipendentenel 1903 1822

2 - LE INDIPENDENZE SUDAMERICANE

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asceta» alla ricerca delle sue origini, sollecita la fantasia del presidente, avi-do di modelli.

La ricerca del Chávez autentico è probabilmente inutile. Sappiamo soloche, come Fidel, pur non disprezzando alcuni tratti della way of life norda-mericana, adorando anzi il baseball, usa gli Stati Uniti come bersaglio e le-va della sua azione. E che non tiene gran conto delle regole liberaldemocra-tiche, pur evitando di calpestarle del tutto. Per ora.

Per capire che cosa Chávez vuole potremmo affidarci al motto del pri-mo ambasciatore americano che ebbe a che fare con lui, John Maisto: «Sibadi alle sue mani, non alla sua bocca» 11. Traduzione: è un ciarlatano. Lasua retorica rivoluzionaria è per il consumo domestico. Lo stesso presidenterassicurava Maisto, nel 1999: «Non si preoccupi, ambasciatore. So dove sitrova la linea rossa, e io non l’attraverserò» 12.

Ma oggi pensiero e azione sono meno divaricati. Chávez comincia a fa-re quello che dice e a teorizzare ciò che fa, esibendolo come «socialismo delXXI secolo». Lui stesso spiega che nella vita di un uomo ci sono varie fasi. Og-gi Chávez è all’apice dell’impeto rivoluzionario. I suoi obiettivi strategici sonoben visibili: il nucleo geopolitico neobolivariano, che a partire da Venecubaliberi l’America Latina dall’egemonia statunitense e si affermi come uno deisoggetti del nuovo mondo multipolare; a questo fine, la sua repubblica boli-variana diventerà «socialista», ergo fondata sulla concentrazione del poterenelle mani del presidente-caudillo, senza più controlli né equilibri, salva la«volontà popolare», ossia il vincolo carismatico-plebiscitario fra «guida» e«masse». Una «democrazia rivoluzionaria», secondo la definizione chavistadel regime cubano. Chávez non nasconde di puntare alla presidenza vitali-zia, quanto meno fino al 2030 13.

Il percorso è nella Nuova mappa strategica tracciata nel novembre 2004per promuovere il Salto Adelante, la svolta rivoluzionaria che culminerà nelnuovo socialismo. Nel gennaio di quest’anno Chávez ha ottenuto dall’As-semblea nazionale – totalmente in sua mano per rinuncia degli oppositori apartecipare alle elezioni parlamentari in quanto truccate – la facoltà di go-vernare per decreto fino a metà 2008. Anche se resistendo alle pressioni go-vernative diversi media restano critici nei suoi confronti, alcuni in modoviscerale, il presidente sta avanzando verso la concentrazione del poterenella sua persona. Ogni decisione, ogni programma è di Chávez, ubiquo te-stimonial di una rosseggiante autopromozione permanente. Avendo messosotto controllo la magistratura, affidato i principali uffici pubblici a uominidi fiducia, riaccentrato lo Stato a scapito degli autonomismi – in particola-re nella regione petrolifera di Zulia, da cui proviene il capo dell’opposizione

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11. Ivi, p. 30512. Ivi, p. 307.13. Così nel discorso pronunciato dal presidente venezuelano il 15 agosto 2005 nel Panteón Nacional,durante la commemorazione del bicentenario del giuramento di Simón Bolívar al Monte Sacro, cit. inC. MARCANO, A. BARRERA TYSZKA, op. cit., p. 433.

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Manuel Rosales – l’obiettivo è adesso il partito unico chavista, da battezzarePartito socialista unito del Venezuela. Alcuni degli alleati, fra cui il Partitocomunista, non vogliono la fusione per decreto e chiedono di discuterne,ciò che profondamente irrita il presidente.

Il tratto decisivo del chavismo è la militarizzazione del potere. Dei 52governi conosciuti a partire dall’indipendenza effettiva (1821, dieci annidopo l’emancipazione formale dalla Spagna), 35 sono stati guidati da mili-tari o loro fantocci. Chávez crede profondamente nell’etica militare e nellafunzione sociale delle Forze armate. Sono migliaia gli ufficiali da lui asse-gnati a dirigere uffici civili. Temendo un possibile golpe, il presidente si èpreoccupato di armare milizie paramilitari a lui devote, con compiti socialie di difesa del territorio. Sullo sfondo lo spettro di un’invasione americana,agitato per compattare il paese nell’orgoglio patriottico.

Il più grande successo di Chávez sono le «missioni». Così il colonnello habattezzato le iniziative di welfare in campo sanitario, educativo, sportivo,accanto alla distribuzione di alimenti di base a prezzi sussidiati. Per i mi-lioni di poveri del paese, questo conta molto più di qualsiasi limitazione del-la democrazia o delle libertà. Prima il mangiare, poi la legge. La forte popo-larità del capo e i suoi ripetuti successi elettorali poggiano sull’assistenziali-smo. Il successo di questo peculiare welfare è ben visibile, ma non sembrane possa scaturire una struttura produttiva di qualche respiro né un cetomedio più consistente, necessario a ridurre stabilmente la polarizzazionefra straricchi ed emarginati. Sarebbe peraltro miope trascurare l’effetto delle«missioni», specie in un paese e in un continente che hanno sperimentato ladevastazione delle ricette liberiste imposte da Washington via Fondo mone-tario internazionale.

Per sostenere le «missioni» Chávez deve disporre di adeguate risorse pub-bliche, spesso gestite personalmente dal presidente, in barba a ogni contabi-lità. Di qui la marcia forzata verso il completamento del programma di na-zionalizzazioni, a partire dagli idrocarburi fino alle telecomunicazioni eall’energia elettrica. Le compensazioni per le aziende private pesano sul bi-lancio statale, ma Chávez può ora disporre delle principali leve dell’econo-mia venezuelana.

Per le companies, che alla fine dello scorso decennio spuntavano anco-ra contratti estremamente vantaggiosi, la stagione in cui potevano fare ilbello e il cattivo tempo nell’Eldorado venezuelano è trascorsa (carta 3). Tassee royalties petrolifere sono in crescita. Ed è Chávez a dettare le nuove condi-zioni di sfruttamento del suo tesoro energetico, limitando il ruolo dellegrandi multinazionali e aprendo il mercato alle aziende pubbliche cinesi,iraniane, russe e di altri partner disposti ad assumersi il rischio di operarein un territorio «geopoliticamente scorretto». Così nel bacino dell’OrinocoExxonMobil, ConocoPhillips, Chevron e Total sono invitate a collaborare al-l’estrazione del greggio con la compagnia di Stato Petróleos de Venezuela

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S.A. (Pdvsa) in posizione privilegiata (una quota di almeno il 60% nellejoint ventures). I termini delle intese non soddisfano le majors, ma l’alterna-tiva è tra partecipare allo sfruttamento dei massimi giacimenti mondiali dipetrolio extrapesante secondo le regole decise da Chávez o lasciare il campoalla concorrenza.

Secondo le bulimiche stime di Pdvsa, nei 55 mila chilometri quadratidella Fascia dell’Orinoco giacciono 236 miliardi di barili di petrolio, cheaggiunti ai 79,7 miliardi di riserve accertate proietterebbero il Venezuela alprimo posto nel mondo, davanti all’Arabia Saudita. Per valutare queste ri-serve Pdvsa si è servita dell’expertise di alcune compagnie di Stato amiche,con le quali Chávez ha stretto intese dal forte retrosapore geopolitico: Gaz-prom (Russia), Petrobras (Brasile), Cnpc (Cina), Petropars (Iran), Petro-Vietnam, Enarsa (Argentina), Ongc (India) e Petronas (Malaysia), oltre al-la compagnia privata spagnola Repsol.

Il petrolio è il principale strumento della geopolitica chavista e la massimafonte di entrate per lo Stato (grafici 3, 4 e 5). Da quando Chávez ne ha preso ilcontrollo, purgandola degli avversari ma anche di manager e lavoratori ca-paci, i conti della Pdvsa sono piuttosto opachi. Gli analisti internazionali sti-mano una produzione petrolifera nazionale vicina ai 2,8 milioni dibarili/giorno, 500 mila meno di quanti dichiarati dallo Stato. Agli Stati Unitisono andati nel 2006 1,5 milioni di b/g, l’8% in meno rispetto all’anno prece-dente. Insomma, l’interdipendenza petrolifera Caracas-Washington resiste –con qualche affanno – alle intemperie provocate dalla retorica chavista, cosìcome gli scambi commerciali in genere. Ma Chávez fornisce greggio a prezziscontati ai paesi centroamericani e caraibici, con un trattamento privilegiatoper Cuba, cui spettano 92 mila barili annui, scambiati con migliaia di medi-ci e istruttori inviati dal regime castrista a supporto delle misiones chaviste.

Meno rilevante il gas, anche se il Venezuela vanta riserve per 152 trilio-ni di piedi cubi e conta di scoprirne altri 100-200 trilioni offshore (carta 4).Tanto che Chávez suggerisce a Kirchner e a Morales di fondare una «Opecdel gas» sudamericana, pur se il Venezuela non è un esportatore e gli altridue partner vendono gas solo in ambito subcontinentale. In questo scenariocampeggia un improbabile progetto a sfondo geopolitico, il Gasdotto delSud, più noto come Hugoducto. Chávez immagina un circuito gasifero su-damericano imperniato su Caracas di difficile realizzazione per i costiastronomici e perché i partner, brasiliani in testa, non vogliono offrire alVenezuela, già superpotenza petrolifera, troppi strumenti di ricatto energeti-co (carta a colori 3).

Che cosa può minacciare Chávez? Come impedire la cubanizzazionedel Venezuela o addirittura l’espansione del castrochavismo nel continentesudamericano? L’opposizione di centro-destra – radicata nei ceti benestantie alimentata da alcuni intellettuali, pur sempre una minoranza – oscillatra rassegnazione, recriminazioni su brogli elettorali che gli osservatori in-

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ternazionali hanno escluso, e tentazioni golpiste. Ma se nel 2002 la longamanus di Bush e di Aznar aveva dato luce verde alla fallita sollevazioneanti-Chávez, oggi Washington assume un profilo basso. La speranza deisuoi avversari è che «Don Regalón» – il presidente-Babbo Natale che conti-nua a distribuire petrodollari ovunque possibile, inclusa Londra e alcuniquartieri poveri negli Stati Uniti – cada vittima della propria generosità. Al-la lunga, la rendita energetica non pare in grado di sostenere il ritmo delleelargizioni mirate al mantenimento del consenso interno e alla diffusionedel chavismo nel mondo. C’è bisogno di imponenti investimenti e di nuoveinfrastrutture. Malgrado la bonanza energetica, i conti pubblici zoppicano.Si prospettano nuove tasse, mentre l’inflazione corre oltre il 17%. Per fre-narla è in preparazione una curiosa miniriforma monetaria, basata sullareintroduzione di un pezzo da 12,5 centesimi che negli anni Sessanta, aitempi del «Venezuela saudita», simboleggiava la stabilità della divisa locale.

Ma il sistema di potere chavista appare oggi sufficientemente ramificato– e armato – da poter reggere l’impatto di una crisi economica. A meno chenon sia davvero devastante, e accompagnata da una tale erosione del con-senso per il caudillo da spingere qualcuno dei suoi attuali alleati a cambiarecampo. Accanto ai cosiddetti «taliban», i duri e puri del chavismo, nella ga-lassia neobolivariana si distinguono infatti alcuni moderati, poco propensial salto nella «postdemocrazia», come l’ex vicepresidente José Vicente Rangel.

Grafico 3. Riserve accertate di petrolio e produzione petrolifera dell’emisfero occi-dentale, 2006*

* Gennaio-agosto.** Incluse le sabbie oleose.Fonte: Oil and Gas Journal; Eia, Short Term Outlook.

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Oppure Chávez potrebbe finire vittima della propria pulsione allo scon-tro permanente, che lo spinge talvolta verso l’avventurismo. Prima di am-malarsi gravemente, il vecchio Fidel sapeva frenare il suo pupillo e orientar-lo secondo realismo. Da quando il líder máximo è impegnato a recuperareuna salute accettabile, sembra che il paracadutista di Miraflores arrischiqualche passo troppo più lungo della gamba. Come nella fallita battagliaper la conquista di un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, quandodopo 47 votazioni Chávez ha dovuto ingoiare un candidato di compromes-so a lui piuttosto ostile: Panamá.

3. Fidel Castro è un uomo fortunato. Nello scorcio estremo della vita,quando sembrava condannato all’oblio, all’orizzonte del patriarca cubano èapparso Hugo Chávez. L’ultima carta per realizzare il sogno di Fidel: espor-tare la rivoluzione in America Latina. Visto dall’Avana, il «nuovo Bolívar» èl’inviato della Provvidenza che porterà a compimento la parabola castrista,a un tempo ultrapatriottica e internazionalista, avviata 48 anni fa con iltrionfale ingresso dei barbudos all’Avana (carta a colori 4). Il 14 dicembre2004, quando il líder máximo appunta sul petto di Chávez le insegne dell’Or-dine Carlos Manuel de Céspedes, non esita a inserirlo nel Pantheon della teo-logia rivoluzionaria latinoamericana: «Sono convinto da molto tempo chequando arriva la crisi nascono i leader. Così nacque Bolívar, quando l’occu-pazione della Spagna da parte di Napoleone e l’imposizione di un re stranie-ro crearono le condizioni propizie all’indipendenza delle colonie spagnolein questo emisfero. Così nacque Martí, all’ora propizia per portare avanti la

Grafico 4. Produzione e consumo di petrolio in Venezuela, 1980-2006*

* Gennaio-agosto.Fonte: Eia, International Energy Annual; International Petroleum Monthly; Short Term EnergyOutlook.

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rivoluzione per l’indipendenza di Cuba. Così è nato Chávez, quando la ter-ribile situazione sociale e umana nel Venezuela e nell’America Latina ren-deva urgente lottare per la seconda e vera indipendenza» 14.

È da Fidel che parte l’idea della confederazione Cuba-Venezuela, aper-ta a Bolivia e Nicaragua – dove stanno penetrando le misiones castrochavi-ste – oltre che all’Ecuador e ad altri nemici del «diavolo» a stelle e strisce.Nelle strade dell’Avana s’incrociano manifesti inneggianti all’Alba – l’Alter-nativa Bolivariana per le Americhe, asse economico-geopolitico di marcacastrochavista, cui hanno aderito boliviani e nicaraguensi – con le bandie-re stellate di Cuba e Venezuela che sfumano l’una nell’altra, a suggerirne lafusione (vedi foto di Danilo Manera in quarta di copertina).

Dunque, Venecuba come trampolino geopolitico che proietta Fidel oltrel’isola, nella nuova funzione di mentore dell’emulo di Bolívar. La differen-za di età e di esperienza consente al dittatore cubano di atteggiarsi a mae-stro. Un saggio protettore, costretto a raffreddare gli eccessi di esuberanzadel discepolo. E tiene a farlo sapere. Così quando nell’aprile 2002 i golpistisi avvicinano a Miraflores, Castro implora Chávez di arrendersi, per guada-gnare tempo: «Hugo, non immolarti! Non fare come Allende. Allende era so-lo, non aveva neanche un soldato. Tu hai dalla tua gran parte dell’esercito.Non dimetterti, non rinunciare!» 15.

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Grafico 5. Export petrolifero venezuelano verso gli Stati Uniti, 1960-2005

* Gennaio-agosto.Fonte: Eia, Annual Energy Review.

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14. Discorso pronunciato da Fidel Castro il 14 dicembre 2004 nel teatro Carlos Marx all’Avana,www.cuba.cu/gobierno/discursos/2004/ing/f141204c.html15. F. CASTRO, I. RAMONET, op. cit., p. 493.

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Fra i due c’è una linea telefonica diretta, tornata calda dopo che Fidelè parso riprendersi dalle operazioni chirurgiche che l’estate scorsa l’avevanocostretto a cedere «provvisoriamente» i poteri al fratello Raúl. Il quale noncondivide l’entusiasmo del líder máximo per Chávez. È considerato un prag-matico fautore della ricetta cinese: «Libertà economica, controllo politico, ri-stabilimento delle relazioni con gli Stati Uniti, garantendo a questi ultimiche non vi saranno spargimenti di sangue (la crisi potrebbe provocare vio-lente esplosioni sociali) per impedire la fuga verso il territorio nordamerica-no di milioni di cubani affamati», stando a Carlos Franqui, un ex compa-gno che lo conosce bene (e lo detesta) 16. Non sarà facile per Raúl vestirsi daDeng Xiaoping. Molti cubani sono talmente affezionati all’egualitarismo dapreferire le certezze di un welfare minimo alla competizione capitalistica,magari pagandosi le medicine. E lavorando a ritmi cinesi.

Con i suoi 75 anni, Raúl non può guardare molto avanti. L’ombra delcarismatico fratello continua a condizionarlo, tanto più se tornerà formal-mente alla guida del paese. «Per fortuna non mi telefona troppo», ammiccaRaúl.

I fratelli Castro incarnano il conflitto fra filocinesi e chavisti che secon-do alcuni analisti divide la dirigenza cubana. Con i sostenitori del paradig-ma venezuelano che forse vedono nell’integrazione fra i due paesi l’oppor-tunità di importare qualche elemento di democrazia. Perché l’influenzaCuba-Venezuela è reciproca. Se i missionari castristi diffondono con l’esem-pio (e con successo) i loro precetti sociali nei barrios più miserabili dellecittà venezuelane, entrano pur sempre in contatto con un paese dove alcu-ne fondamentali libertà «borghesi» resistono e dove il dibattito pubblico,malgrado la stretta chavista, attinge a tutti i colori dell’arcobaleno politico-ideologico. È troppo immaginare un effetto di retroazione a Cuba?

Forse la partizione fra filocinesi e chavisti è solo un gioco delle parti. Oalmeno è tenuta sotto controllo dal regime. Di sicuro le bottiglie di champa-gne frettolosamente stappate la scorsa estate a Miami dagli esuli cubanihanno dato nuova forza a Fidel. Il quale è ricomparso in televisione, natu-ralmente insieme al «fratello» Hugo. Nessuna rivolta, neppure un atto di vio-lenza hanno finora segnato la successione soft, che potrebbe paradossal-mente rientrare se la convalescenza di Fidel procederà come i suoi ammira-tori sperano. Ne ha ancora molti, nell’isola e non solo. Grazie a Chávez – egrazie agli Stati Uniti, che con l’embargo e con i 638 attentati falliti hannocontribuito a farne una superstar – l’ultimo dittatore dell’emisfero occiden-tale può oggi compiacersi nell’idea di non morire senza erede.

IL PATRIARCA E IL PARÀ

16. C. FRANQUI, Cuba, la rivoluzione: mito o realtà. Memorie di un fantasma socialista, Milano 2007,Baldini Castoldi Dalai, p. 615.24