il nuovo diario di anna frank testo teatrale liberamente ... · jonah dai, che senza di me ti...
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IL NUOVO DIARIO DI ANNA FRANK
Testo teatrale liberamente tratto (per gentile concessione
rilasciatami dalla Guanda) dal romanzo “Prove per un incendio”
di Shalom Auslander (Guanda, Milano, febbraio 2012)
Personaggi
Solomon Kugel, un ebreo di mezz’età
Anna Frank, la martire del nazismo
Will Rosebud, un vicino di casa
Jonah Kugel, figlio di Solomon
Elie Wiesel, scrittore ebreo
Moses Shapiro, editore
Marta Nussbaum, madre di Solomon
Solomon Kugel è un ebreo problematico di circa 45 anni che si è
appena trasferito nella provinciale Stockton lasciando la
tumultuosa New York. E’ separato e vive con l’anziana e un po’
isterica madre Marta e il figlio 14enne Jonah. Lavora in
un’agenzia di recupero crediti e cerca di inserirsi nel nuovo
ambiente, riattando un’ampia ma obsoleta abitazione, quella che le
sue magre finanze gli hanno consentito di affittare. Deve quadrare
troppe situazioni insieme: l’arteriosclerosi della madre, le
tempeste ormonali del figlio, la conflittualità sul lavoro,
l’invadenza del vicino Rosebud, ebreo come lui ed esageratamente
gentile e mellifluo. Il cocktail della nuova situazione è
difficilmente sopportabile: troppi problemi tutti insieme. I suoi
nervi stanno per cedere. Vediamo come.
PRIMA SCENA
SOLOMON Jonah dove sei? Possibile che devo sempre giocare a
nascondino con te? In questa casa a malapena mi oriento. Poi ti ci
metti pure tu…
JONAH E dai cercami. Inseguimi. Perdi un po’ di pancia. Papà,
non hai mai avuto una casa così grande. Goditela!
SOLOMON Sai, a volte rimpiango che tu non sia rimasto con tua
madre. Avreste fatto proprio una bella coppia voi due. E io….
JONAH Dai, che senza di me ti annoieresti. E quando mamma ti
ha lasciato quanti pianti che ti sei fatto! Io li ricordo tutti. Per una
settimana non sei uscito di casa. Ti lamenti ma da solo non ci sai
stare.
SOLOMON Sono cose che a un padre non si dicono (sorridendo).
Magari si pensano ma non si dicono. Io avevo altro rispetto per
mio padre. Già, ma tu che ne puoi sapere… neanche l’hai
conosciuto mio padre, altro secolo... che ne sai di quando
eravamo ebrei in fuga, in cerca di un mondo e di una terra? E alla
fine ce l’hanno data. Ma, dentro, non abbiamo trovato pace. E a te
rimane quello che abbiamo costruito, anche se non te ne frega
niente.
JONAH Mi pare che hai sempre un motivo per essere solo e triste.
E dagli co ‘sto ebraismo, io mi sento americano. Ma arrangiati. Io
esco!
E sbatte la porta.
Solomon, bofonchiando, con il suo incedere un po’ curvo, da
uomo profondamente triste e contrito, sale le scale che cigolano.
La casa versa in uno stato di semi-abbandono.
Solomon guarda le casse piene di cose che chiederebbero solo di
essere sistemate (da giorni). Fissa gli oggetti come a cercare una
comunicazione personale con l’inanimato. Fa sì con la testa. E
continua a parlare come se Jonah fosse ancora nei paraggi, ma
disponibile, pacatamente, a non replicare, pia illusione.
SOLOMON Fai un figlio e ne ricavi questo: il nulla…Da un
rapporto né una consolazione né un aiuto. E non ti ricordi neanche
più perché l’hai fatto e quando l’hai fatto. E come è successo, già i
particolari tecnici che pure hanno la loro importanza… già, perché
poi la persona da cui è uscito non può neanche
testimoniare…chissà dov’è…
Guarda il vuoto, si rende conto di fantasticare, ma non ha perso un
salvifico umorismo di fondo. Le sue tergiversazioni sono interrotte
dal suono del campanello. Solomon accoglie con un moto di stizza
la segnalazione sonora. Avrebbe preferito continuare il proficuo
soliloquio. E sa già chi è. Rifà in senso inverso le scale e dopo un
minuto è in grado di aprire la porta.
SOLOMON Ah, ti aspettavo (lo dice con un’ironia che
l’interlocutore non è in grado di decrittare).
WILL ROSEBUD Come va il nostro eroe? Fa progressi?
Comincia ad apprezzare la quieta vita di provincia?
SOLOMON Piano piano, troppe domande tutte insieme. Lo sai
che a New York per fare tante domande ci mettono una settimana?
E che lì gli ebrei sono molto più discreti. Mi stavo chiedendo che
fine avevi fatto. Una domanda la faccio io invece: mi daresti una
mano a sistemare di sopra?
WILL Non è una domanda, è troppo scontata, certo che ti aiuto.
Dai che ti faccio compagnia, saliamo insieme.
SOLOMON (rassegnato e un po’ scettico) Allora procediamo. Ma
stai attento a non inciampare.
WILL Piuttosto quando torni al lavoro? Sono sei giorni che ti sei
chiuso in casa ma non mi pare che migliori l’ordine della stessa!
SOLOMON Guarda, per il lavoro che c’è…comunque continui
con le domande, le spari a raffica. E la butti sempre sul personale.
Ti ho mai fatto domande io del tipo: “Perché ti sei sposato?
Perché non hai fatto figli? Cosa pensi dell’utilità della Bibbia? In
fin dei conti ci conosciamo solo da qualche settimana. Non
potresti andarci più leggero? Le tue domande sono retoriche e
letali. Te ne faccio una io a cui non saprai rispondere. Sai quanti
semi ha una melagrana? Beh, te lo dico io: secondo tradizione
613, quante sono le prescrizioni della Torah. Già ma tu sei uno dei
nuovi ebrei che preferiscono definirsi israeliti! E te ne faccio una
seconda più semplice, così tagliamo corto e te la ripeto, repetita
juvant: mi daresti una mano a sistemare di sopra?
Solomon inizia a scartabellare da una cassapanca voluminosa. Ma
non è dentro a uno schema di praticità. Prende in mano gli oggetti
e li rimette nel baule come se fosse impossibile trovargli una
destinazione ma anche un senso. Will lo guarda perplesso e non
procede, aspettando indicazioni dal padrone di casa.
WILL Allora capo, che dobbiamo fare? Non mi pare che tu abbia
le idee molto chiare.
SOLOMON Purtroppo la chiarezza non è di questo mondo. E in
questo momento meno che meno dentro di me…so che più che
aiutarmi vuoi farmi compagnia e io ti assecondo. Tu non sai dove
mettere le mani ma neanche io. Del resto non ti ho chiesto io di
venire. Quindi quando vieni sei pregato di non destabilizzarmi
troppo.
Solomon si siede, incassa la testa tra le spalle. Parla tra sé e sé.
“Poteva anche capitarmi di peggio, che so io, un vicino con la
sindrome di Asperger o quella di Stoccolma...”.
SECONDA SCENA
Solomon sta facendo i…compiti a casa. La sua ditta per
concedergli il permesso per il trasloco gli ha affidato un po’ di
pratiche da assolvere a casa. Solomon sembra concentrato ma al
piano di sopra lo tormentano rumori che si fanno via via sempre
più insistenti. Solomon è pigro, sembrerebbe propenso ad
aspettare che cessino, da soli. Ma il rumore monta. Come se
volesse farsi notare o richiamare la sua attenzione. Più nolente che
volente, neghittosamente, Solomon risale le scale che scandiscono
la sua fatica quotidiana, ma anche la sua pena, e aguzza l’orecchio
nell’ascesa, mette le cinque dita all’altezza dell’orecchio destro.
Ora che è al piano di sopra, localizza il rumore all’altezza di uno
sgabuzzino dove il precedente inquilino ha lasciato avanzi di
trasloco, pregandolo di rottamarglieli in un secondo tempo.
Solomon ha accettato l’incombenza. Il rumore si fa insistente, non
è un topo che si aggira tra scarti di magazzino ma, più
probabilmente, una mano umana che bussa e reclama attenzione.
Solomon è moderatamente curioso, ma anche un po’ impaurito, Il
coraggio non è la sua dote precipua. La voce non si rivela. Il
rumore discreto cessa, poi riprende senza logica. Solomon sa che,
se aprisse di botto la porta dello sgabuzzino, la paura potrebbe
folgorarlo e, di più, gli oggetti, soprattutto, presumibilmente,
elettrodomestici di terza mano, potrebbe travolgerlo, stipati come
sono fino all’inverosimile nello sgabuzzino. Quindi fa quello che
farebbero tutti quelli dotati di uno spiccato senso comune. Mette
timidamente l’occhio nella toppa approfittando dell’assenza di una
chiave.
SOLOMON Chi è, c’è qualcuno?
Più che un appello è un impercettibile sibilo che si augura di non
avere risposta alcuna.
VOCE IGNOTA E CAVERNOSA E PURE TREMOLANTE
Certo che c’è qualcuno.
Solomon ha un sobbalzo. Ha udito la voce umana ma non ha
messo a fuoco. Ora fa appello a tutto al suo sangue freddo e dalla
toppa cerca la panoramica visiva a 180 gradi almeno. E vede un
corpo informe, con la veste lacera, una carnagione bianca che
sembra provenire dall’aldilà. Una carnagione insalubre, inumana,
fuori da tutti gli standard di una possibile esistenza in vita.
VOCE IGNOTA E CAVERNOSA Sono Anna Frank.
Solomon rilascia una risatina incredula e nervosa. “Non solo un
mezzo cadavere”- sembra pensare- “Ma anche demente”. Sorvola
sull’identità.
SOLOMON Ma che ci fai qui, come sei riuscita a sopravvivere? E
che bella sorpresa mi ha fatto il mio inquilino! Aspetta che ti
libero.
ANNA FRANK Bloccati, qui sto e qui rimango. Fanculo. Ferma
‘ste mani. Questa casa è mia. Non perché l’abbia comprata ma
perché qui il destino mi ha dato in sorte di rimanere.
SOLOMON Perché credi di essere Anna Frank? Anna Frank è
morta, un mito. E’ finita con la pubblicazione del famoso Diario.
Chi vuole sapere qualcosa di Anna Frank deve andare a
Amsterdam… al museo.
ANNA FRANK Si me l’hanno detto…poveri idioti. Falsità
dell’essere umano. Divinizzare un personaggio e chiuderlo dentro
un museo. Non sono un santino…mi manca solo il museo delle
cere, ma sono viva e vegeta. Dovrei chiedere i diritti d’autore.
Fanculo. Io sono l’unica Anna Frank legittimamente esistente al
mondo anche se mi hanno scoperto post mortem. Ma poi è stato
un boom, tutti devono riconoscerlo…persino fior di scrittori. E io
non ero una professionista. Mi sono fatta da me.
SOLOMON Senti, io non credo una parola di quello che dici ma
devi uscire da là dentro…
ANNA FRANK Prova ad aprire quella porta e ti denuncio. Alla
lobby ebraica magari. Che dici, da che parte staranno? Dalla tua o
da quella di Anna Frank? Miserabile ebreo, non ti darò fastidio.
Ho bisogno di concentrazione per scrivere il mio secondo libro: “Il
nuovo diario di Anna Frank”. Già nel titolo è scritto il suo
successo. Lo sai che l’Unesco ha inserito il mio primo libro
nell’elenco delle “Memorie del mondo”. Hemingway e Garcia
Marquez non sono arrivati a tanto. E loro non scrivono più, io
continuo…
SOLOMON Ma come vivi, come respiri, cosa mangi in questa
topaia? E parlo di casa mia.
ANNA FRANK Un po’ d’ossigeno arriva. C’è un quintale di
miglio sufficiente a sfamare un kibbutz e c’è una fontanella per le
emergenze che mi disseta. Il mio stomachino è allenato al poco o
al nulla ormai da 50 anni. Si è talmente ristretto da farmi dubitare
che sia un organo. E non mi dispiace di averti conosciuto. Sono
vent’anni che non parlo con nessuno. Per risalire a un dialogo
devo ricordarmi di cinque inquilini fa. Gli ultimi erano
cattolici…tu capisci. Non ci poteva essere comunicazione… mi è
capitato anche un mormone, Faceva certi discorsi…immagino che
sia cambiato anche l’yiddish. Ma che succede là fuori?
SOLOMON Ti chiamo Anna, cosi ti rassereni…non c’è bisogno
che ti dica che fuori c’è una grande confusione. Non voglio dire
che si stava meglio prima. Quantunque…dicono che c’è una crisi
talmente grande e forte da risultare quasi una terza guerra
mondiale. Dove i morti strisciano. Cadaveri che raccogliamo non
per lo scoppio di una granata…
ANNA FRANK Quel poco che so mi basta. Per quello che mi
rimane da vivere. …che abbiamo vinto la guerra lo so pure se
l’ammasso degli alleati è stato informe e c’è stato bisogno di una
bomba atomica non so quanto utile in Giappone. So che la
circoncisione va ancora forte…che siamo ancora divisi in falchi e
colombe, che non è necessariamente la divisione tra bene e male.
Che devo dire grazie persino ai russi se sono qui. Che a furia di
diventare troppo ortodossi noi ebrei abbiamo sciupato la creatività
che era innata perché se dobbiamo sempre pensare a cosa è giusto
e sbagliato nella religione…Però mi dicono che c’è uno che va
forte. Come si chiama: Woody Alien? E’ vero che ha venduto più
libri di me?
SOLOMON Allen cara. Davvero non sai niente del mondo degli
ultimi quaranta anni? Allen ha praticamente smesso di fare film,
replica le solite battute. Ora colleziona cartoline di città: Roma,
Barcellona, Parigi. E’ il Bignami del cinema. Devo crederti Anna
Frank? Mi sembra troppo grossa. Devo crederti?
ANNA FRANK Ma fai come ti pare. Io qui sto fino a che non
avrò finito il libro e avrò rivelato al mondo qualche altra novità.
Magari meno comoda del primo diario. Che l’editore ci ha messo
anche del suo per venderlo meglio…e tanti hanno provato a
metterci le mani, a impiastricciarlo. Stavolta spero che non
andranno avanti a forze di perizie calligrafiche e di esami da
laboratorio sulla mia biro. Male che vada tu potrai testimoniare
per me, no? Del resto tutto fa brodo. Ma come si fa a intitolare una
mia prima edizione “Il retrocasa”? Ti credo che per due anni non
se n’è venduta una copia! Poi, insisti insisti, l’Olocausto prendeva
forma, i nazisti andavano alla sbarra e io crescevo, si credeva a
quello che avevo scritto. Loro a processo e io rinascevo,
letteralmente. A qualcuno il dubbio restava ma il successo è uno
schiacciasassi, livella le incertezze e macina gli scettici. Finché
tirano fuori i diari segreti di Hitler e Mussolini si discute e si
vende. Pure se loro stanno dall’altra parte. Tra autori di best seller
ci si intende…
Solomon scende frettolosamente le scale. Va prendere una copia
del “Diario di Anna Frank” che è uno dei pochi libri già sistemati
nella libreria della nuova casa, al piano di sotto. Risale, va
all’ultima di copertina del libro. Confronta la foto con quello che
ha visto nello sgabuzzino, sia pure dall’angolo visuale di una
toppa. E’ perplesso. Dalla ragazzina incupita della sua edizione a
questa vecchia rincagnata, malmessa e senz’età, il passo non è
breve.
SOLOMON Non dico che sei un’altra persona. Certo, gli anni
passano per tutti e tutte…
ANNA FRANK Non mi aspettavo complimenti da te, gastarbeiter
malnato. E’ per questo che ho pensato che la foto del mio nuovo
diario sarà la stessa. La gente deve capire che per me il tempo si è
fermato, non si è mai mosso. Si muovano gli altri con l’illusione
che le cose migliorino. Io ho fermato il tempo con quello choc.
SOLOMON Dunque (riprendendo in mano il libro) ora dovresti
avere 83 anni…non dico che te li porti bene che sarebbe una
bugia. Però, considerando la vita che hai fatto…
ANNA FRANK Ohi, io sto da trent’anni chiusa qui e ‘sto dannato
libro mi viene fuori con qualche difficoltà. Del resto che fretta
c’è? Lo finirò un minuto prima di morire.
TERZA SCENA
Solomon è a colloquio con la madre, Marta Nussbaum che ha una
camera al piano di sotto. Ragionano.
SOLOMON Se te la dico così ti sembrerà troppo grossa.
MARTA NUSSBAUM Spara, è una vita che ascolto le tue
farneticazioni. La capacità di giudizio lasciala a me. Basta uno in
famiglia, anzi meglio una. Ah l’Olocausto, maledetti tedeschi, che
dio se li prenda in gloria! Quanto ho sofferto nei loro campi di
concentramento.
SOLOMON Ancora insisti, tu mi parli di Olocausto ma i campi di
concentramento li hai visti in foto. Ti ricordo che sei nata nel
1946. La guerra te l’hanno sparecchiata quando ancora non eri
nella pancia di tua madre. Quando sei nata hai trovato le cose
sistemate, fortunatamente per te. Comunque, per farla breve, al
piano di sopra abbiamo un’illustre ospite. Una che non dice di
essere Angelina Jolie, peccato per me, ma nientemeno che Anna
Frank.
MARTA Ah ah, (sonora risata) figlio che smentisce la madre. E
poi, riprendendosi e tornando all’argomento principale di
discussione.
MARTA E’ perché non dice di essere Golda Meir? In quanto a
bruttezza sarebbe una bella lotta. Israele ha bisogno di vecchi e
nuovi eroi.
SOLOMON Non posso escludere che sia lei… somiglia… Mi
racconta dei particolari che suonano veritieri. Sa di aver venduto
32 milioni di copie col suo libro. Pensa, scherza col fuoco e col
cinismo. Così, sotto traccia, mi ha aggiunto che con l’Olocausto
ha perso sei milioni di copie perché tanti sono gli ebrei che sono
morti. E mi ha detto che i diritti d’autore attendono i suoi ignari
eredi in una compiacente banca svizzera. Mancava solo che mi
snocciolasse l’Iban. Mi ha detto che è sparita perché non se la
sentiva di gestire tutto quel successo, di rispondere alle domande
dei giornalisti etc...E che poi con la sparizione ci ha preso gusto.
Un po’ come il mostro di Loch Ness. Meno c’è, meglio è. Più è
assente, più ne senti la mancanza. E’ per questo che si è messa
fuori dal mondo. Non siamo ancora arrivati alla puntata del perché
sia finita proprio dentro la nostra storia in questo buco di mondo a
Stockton ma penso che ci arriveremo. Prima o poi…
MARTA Volevi essere al centro di qualcosa d’importante nella
tua vita. Ora ci sei, non per tuo merito magari ma…
SOLOMON Si mamma, ma ora come facciamo? E’ troppo grossa
per noi da gestire.
MARTA Beh, così sembra una scomodità assoluta. Ma solo i
piccoli uomini non sanno trasformare un disagio in
un’opportunità. Lascia che ci pensi un po’ mamma tua. E non dire
niente a Jonah, almeno per il momento.
QUARTA SCENA
Solomon compulsa il telefono servendosi di un’operatore (il
computer non fa per lui).
SOLOMON Si, scusi, vorrei il numero della Moses Shapiro
Enterprise. Si, non il numero privato, quello della ditta. Si, scrivo
0371 345678. Ok grazie, perfetto.
Tira un grosso sospiro prima di comporre il numero.
SOLOMON Pronto, Moses Shapiro? Ah è la segretaria. No, non
voglio prendere appuntamento. Non mi conosce il signor Shapiro.
No, non devo proporre un libro. Non c’è bisogno che scriva una
mail. Mi basta dargli un’informazione. Semplice, semplice. Roba
di un minuto.
Di minuti ne aspetta due Solomon e gli sembrano un’eternità.
Shapiro al telefono da proprio l’idea di uno che non vuole perdere
tempo e neanche l’annuncio che alla cornetta c’è un ebreo come
lui, l’ignoto e sconosciuto Solomon Kugel, lo spinge a essere più
gentile. Ma semmai, “gentili” sono gli altri, i non ebrei.
SHAPIRO Dica signor Kugel ma dica velocemente.
SOLOMON Senta, ho una notizia non grossa: ENORME! E non si
meravigli perché già mi sono meravigliato abbastanza io.
SHAPIRO Dica dica, sono tutt’orecchi.
SOLOMON Beh, io vivo a Stockton. Lei non mi conosce e questo
poco conta. Ma mi trovo a ospitare in casa, come una clandestina,
nientemeno che Anna Frank.
Silenzio assoluto alla cornetta per trenta secondi
SHAPIRO (contrito) Ha le prove? Già tre volte mi hanno
segnalato un caso del genere negli ultimi dieci anni. L’America è
piena di mitomani, c’è chi si auto-denuncia per l’attentato alle
Torri Gemelle, figurarsi…
SOLOMON Le basta una carta d’identità ancorché
abbondantemente scaduta? C’è scritto che è nata a Francoforte sul
Meno il 12 giugno del 1929, l’anno di Wall Street. E,
sensibilmente, non mi pare ancora morta…glielo dice uno che la
tiene a pensione completa e gratis.
SHAPIRO Senta, signor Kugel. E’ stato tanto cortese a
chiamarmi. Glielo dico una volta, una volta sola. Io e lei non ci
siamo mai parlati. Lei non ha mai fatto il numero del mio studio.
Lei neanche sa della mia esistenza. Anna Frank, come il mondo
sa, è morta nel 1945. In confidenza io posso anche crederle ma se
Anna Frank è viva io smetto di vendere una sola copia del suo
diario. Mi evapora il mito, mi si dissolve, peggio che se fosse
morta ad Auschwitz. Capisce, qui non è amore della verità ma
difesa di un baluardo che per noi ebrei è molto importante. Un
punto di riferimento esistenziale e storico, capisce….la nazione
andrebbe in crisi e la mia casa editrice in rovina. Ci lavorano 80
persone…lo capisce? 80 famiglie che contano su 80 stipendi. E su
Anna Frank. E’ lei che, idealmente, li nutre. Inevitabilmente,
inguaribilmente morta. E per sempre….Io passerei dei guai
giudiziari se si scoprisse il cadavere. Magari mi accuserebbero di
ricettazione di capolavoro, se non di occultamento di cadavere. E
poi ci pensa ai negazionisti? Riscriverebbero la storia del mondo.
Già abbiamo tanti nemici sparsi per il globo. Se non ci aiutiamo
un po’ tra noi! Mi capisce? Mi ha capito (urlando)? Voglio dirle
che non ci possiamo permettere di immaginare, solo immaginare,
una Anna Frank viva.
Sillabando aggiunge
SHAPIRO Non sta nell’ordine delle cose. Non del probabile. Dico
del possibile.
SOLOMON (mesto) Si, ho capito. Fin troppo ho capito. Però c’è
un risvolto non troppo positivo per lei. Se lei, realmente, non sa
che Anna Frank è viva, non sa neanche che sta scrivendo un bis
del primo successo che si chiamerà “Il nuovo diario di Anna
Frank”. Dunque, quando questo secondo libro uscirà lei del primo,
presumibilmente, non riuscirà a venderne una sola copia. Capisce?
Pronto, pronto?
Solomon si rende conto che Shapiro ha attaccato la cornetta dopo
la sua ultima intimazione e nulla ha sentito di questa minaccia.
QUINTA SCENA
Solomon prende carta e penna. E scrive al Premio Nobel Elie
Wiesel di cui si è preventivamente procurato l’indirizzo. Scrive e
legge commentando ad alta voce
« Dietro di me sentii il solito uomo domandare:
- Dov'è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca”
SOLOMON Grande Elie, come scrivi bene!
Caro dottor Wiesel,
io l’ho sempre ammirata e riconosciuta come uno dei dieci
(cancella) cinque personaggi dell’ebraismo più importanti nella
storia del mondo. Da qualche giorno mi trovo alle prese con un
problema per me apparentemente insuperabile e che quindi mi
pregio di porgere alla sua devota attenzione. Lei è scrittore, è
saggio è Nobel, è tante cose che senza dubbio saprà indicarmi la
strada giusta per uscire dall’impasse. Lei, come me, vive negli
Stati Uniti e quindi, in un certo modo, è secolarizzato e uomo di
mondo e sa come comportarsi in casi del genere anche se, forse, a
lei un caso del genere non è mai capitato. Poi, se vogliamo trovare
altri elementi che facilitino la soluzione del caso potrei aggiungere
che lei è nato all’estero, come la de cuius ed è quasi suo coetaneo
perché nato nel 1928. Dunque, da tutti questi elementi che le ho
elencato (non voglio farla lunga, scusi se sono prolisso) avrà
capito che sto parlando di Anna Frank e non della riesumazione
della salma ma di una Anna Frank realmente esistente, domiciliata
malauguratamente (cancella) occasionalmente nella mia nuova
dimora di Stockton. Che fare? Il dubbio se l’è posto anche Lenin e
non so come l’abbia risolto. Io non sono Lenin ma ho bisogno di
spazzarlo via in pochi giorni o poche ore e non perché la suddetta
Frank non mi paga l’affitto (per quello varrebbe la supposta
solidarietà tra ebrei, quantunque..) ma perché non posso sentirmi
sulla testa la responsabilità di un popolo. Io me la sono trovata in
casa. Qualcuno lo prenderebbe come un onore. Io lo prendo come
un problema. Ne ho già tanti dei miei….Non le parlo della mia
vita. Di mio figlio Jonah, di mia madre Marta perché non voglio
annoiarla. Qualunque cosa avrà la bontà di suggerirmi sarà un
onesto e sincero dono del cielo. Se poi lei riterrà che, per il bene
del nostro popolo, la notizia debba rimanere segreta (come mi ha
suggerito un nostro correligionario di cui, per prudenza, non le
faccio il nome) io sono pronto a allinearmi a questo suo eventuale
illuminato intervento.
In fede, ringraziando anticipatamente solidale
Solomon Kugel
SESTA SCENA
Al piano di sotto, Marta e Jonah attendono con pazienza che
Solomon scenda le scale dopo uno dei suoi fitti e confidenziali
colloqui con Anna Frank.
C’è un clima da consiglio di famiglia. Ma Solomon non sembra
proprio avere in mano il pallino della situazione
MARTA Solomon, io e Jonah abbiamo pensato di parlarti…
SOLOMON Ne sono lieto e mi preoccupo perché penso che
questo sia avvenuto solo un paio di volte nella vita in comune che
ci è stata data da vivere.
Marta e Jonah si guardano imbarazzati. Jonah fa segno a Marta di
proseguire.
MARTA Avremmo avuto un’idea…
SOLOMON Oh, mica vi sarete coalizzati contro di me?
MARTA Se ci è venuta un’idea è per il bene della famiglia vista la
situazione che si è venuta a creare…
SOLOMON Mamma, non ti eri raccomandata di essere discreta?
MARTA Ho dovuto dire tutto a Jonah. Ormai è grande. E poi
quando ti ho raccomandato di non dirgli niente è perché pensavo
di dirgli io tutto, essendo molto più adatta di te a dire certe cose…
SOLOMON Ti ringrazio per la fiducia, a prescindere. Comunque
mi pare che la situazione che si è venuta a creare, per usare
l’espressione che tu usi, riguardi solo me. Come titolare della casa
e come, diciamo così, curatore della situazione stessa. Io parlo con
il nostro problema, io scrivo a personaggi che possano risolverci il
problema, io telefono ad altri nostri fratelli che possano sbrogliare
la situazione. Insomma mi do tanto da fare e spero che questo sia
riconosciuto dalla nostra piccola ma esuberante comunità.
MARTA. Già, ma non mi pare che la tua attività abbia prodotto
dei frutti…tu arrivi fino a un certo punto e poi ti fermi. Sei un
ebreo meditabondo, non un uomo d’azione risoluto.
SOLOMON Il tuo senso critico nei confronti della vita è
particolarmente sviluppato riguardo alle mie attività, da quando
sono nato, praticamente. Ti ringrazio mamma.
MARTA Beh, veniamo al punto. Se vuoi saperla tutta l’idea è
venuta a Jonah che è una mente brillante. Dato che abbiamo
questo personaggio in casa potremmo ricavarne una sorta di
rimborso spese. Che ne diresti se pubblicizzassimo l’evento?
Pensavamo a dei manifesti per annunciare la notizia agli abitanti
di Stockton. E, subito dopo, inaugurare delle visite a pagamento.
Chi vuole vedere Anna Frank ci paga cinque dollari e prego si
accomodi. Se lei poi, preparata, è appena un po’ gentile e risponde
a qualche domanda magari acchiappiamo qualche mancia. Lei si
potrebbe prendere un 20% dei nostri guadagni. Mi pare una
percentuale equa.
Solomon avvampa, le sue gote s’arrossano. Fa un grosso sospiro,
come nei momenti di maggiore tensione della sua vita. Poi
prorompe.
SOLOMON Voi siete completamente fuori di testa. Non
riconosco né mia madre né mio figlio. Tu Jonah ti fai troppe pippe
e ora comincio a pensare realmente che incidano sul tuo sviluppo
neuro-vegetativo. Quanto a te mamma, l’arteriosclerosi, oltre a
alimentare la tua tendenziale avarizia, ti sta corrodendo, minando
la tua capacità di giudizio. Le tue sinapsi girano a vuoto. Abbiamo
in casa un mito che è anche una donna, una scrittrice, una
correligionaria, una…. (non gli viene la parola). Insomma, Anna
Frank, basta la parola, nome e cognome. Io sto pensando a un
modo nobile di uscirne e voi invece vi fate venire la grande idea di
una super-marchetta, chiedendo anche la complicità della
poveraccia. Non ho veramente parole. Proposta bocciata in un
millesimo di nano secondo.
MARTA Fai come ti pare ma il nostro consiglio era buono. Se dai
pubblicità alla sua esistenza in vita il problema, come dici tu, ti si
sgonfia in un amen. Invece di chiedere consigli ai luminari,
affidati a chi ha esperienza della vita, chi sa cos’è Goebbels e il
gas dei campi di concentramento. Vuoi procurare un futuro sereno
a tuo figlio Jonah? Vuoi tornare al lavoro? Vuoi liberarti in un
amen di Anna Frank? Dai retta a mamma tua. La pubblicità è
l’anima del commercio…arriveranno le sirene a portarla via. Dove
vuole lei…a Amsterdam a Tel Aviv…non credo che abbia più
parenti viventi… una telecamera a casa Kugel non ha mai rovinato
nessuno. Un pizzico di notorietà può aiutarti nella carriera. Poi
magari potrai scriverlo tu il libro: “Come ho ritrovato Anna
Frank”.
Solomon volge indignato le spalle alla madre, apre la porta di
casa, la sbatte e se ne va, indignato.
SETTIMA SCENA
Solomon bussa a casa del vicino in cerca di lumi.
SOLOMON Ti posso chiedere un consiglio.
WILL Ma prego, a cosa debbo l’onore? E’ la prima volta che vieni
a casa mia.
SOLOMON Beh, spero che non sia l’ultima. Volevo chiederti un
consiglio. Un consiglio molto generale.
WILL Sentiamo.
SOLOMON Secondo te la Torah è in grado darci una direzione e
una risposta per tutti i casi difficili in cui ci imbattiamo nella vita?
WILL Caspita, che domandona. Ti stai proprio aprendo. Vedi che
la permanenza a Stockton comincia farti bene? Beh, provo a
rispondere, così a intuito. Sai non è che io sia così osservante fino
in fondo. Secondo me certi libri che sono stati scritti un mucchio
di secoli fa conservano la patina del tempo. Cioè valgono in un
senso molto relativo. Il loro scopo è formare un individuo che sia
in grado da sé per sé di dare delle risposte. Non è un jukebox che a
tutto risponde.
SOLOMON Si, è una risposta saggia. Anche io la penso così.
WILL Vedi, io mi illudo di ragionare fuori dagli schemi e dagli
integralismi. Posso immaginare che un ebreo che viva a contatto
coi palestinesi si senta assediato. E come ci sentiamo liberi noi che
siamo nella libera America! Dove si possono leggere ancora libri
dissacranti come quelli di Shalom Auslander e film politicamente
scorretti come quelli di Sacha Baron Cohen, il cognome più
universalmente ebreo che esista sulla faccia della terra. Peraltro
noi ebrei siamo i migliori detrattori di noi stessi ma fino a che la
critica rimane in famiglia. Che se ci offende e ci sfotte uno di
un’altra religione ci incazziamo e quanto sappiamo essere
aggressivi! E che vuoi che all’ebreo di Tel Aviv la Torah dia una
risposta sulle norme della perfetta convivenza con i palestinesi?
Sarebbe onestamente pretendere troppo. E se anche fosse mi pare
che i risultati non si vedano. Con tutti i miei limiti forse faccio
prima io a darti una risposta consonante all’epoca in cui viviamo.
Beh, dunque vuoi aprirti, dirmi ‘sta cosa?
SOLOMON No, scusa non ti offendere ma mi fermo qua. Un
giorno ti spiegherò. Sappi solo che raccontarti tutto vorrebbe dire
metterti nel guai. Dunque un giorno mi sarai grato per il mio
silenzio.
WILL E sì un giorno, un giorno…siete tutti bravi a alimentare la
curiosità del vicino curioso per poi mollarlo in mezzo a una strada.
Vuoi un kirsch?
SOLOMON A quest’ora, sei matto?
WILL Questa tua venuta di oggi mi sembra tanto simile a un
coitus interruptus. Stuzzicare e poi sopire. ‘Sta cosa viene da
lontano, mi sa che è tattica molto ebraica…
SOLOMON No, guarda non c’è nessuna intenzione malevola. Ti
basterà sapere che ne sanno di meno i miei familiari. A loro non
ho chiesto un consiglio del genere. Se nomino la Torah a mia
madre Marta è capace di prodursi in una conferenza sulla teoria
dell’arianesimo. E poi da quella è capace di arrivare a una feroce
tirata contro Hitler.
WILL Quello che è fantastico è che siete una famiglia immersa
ancora nella seconda guerra mondiale. A parte tuo figlio Jonah che
se ne frega. Io al 1943 non ci penso mai e non è solo una questione
anagrafica. In fondo a voi la guerra vi ha solo sfiorato…
SOLOMON Questo mi sembra un giudizio superficiale ma ne
parleremo un’altra volta. Diciamo che ti aspetto a casa mia
dopodomani per un’altra ripassata al fatidico trasloco?
WILL Agli ordini capo, per servirla. Dammi un colpo di telefono
e ci sarò.
OTTAVA SCENA
Solomon apre febbrilmente con un tagliacarte la raccomandata
veloce arrivata un minuto prima. Spera che le sue pene stiano
finalmente per finire. Legge ad alta voce per dare compiutezza alla
realtà che gli sfugge.
Gentile signor Kugel,
sono molto lieto che abbia pensato a me per questo problema così
intricato, per questa situazione sconvolgente che potrebbe
cambiarle la vita. Ho riflettuto a lungo su quanto mi sottopone e
non pensi che butti di getto questa risposta. Ho consultato il mio
rabbino di fiducia e ho anche parlato a lungo con un politico, mio
amico personale, il sottosegretario agli esteri, non so se lo
conosce. Anzitutto deve pensare in un contesto più grande. Questo
non è il problema personale della famiglia Kugel ma una faccenda
di Stato che investe le stesse competenze del Mossad e i delicati
equilibri della nostra comunità ebraica negli Stati Uniti, ben oltre i
confini della sua piccola Stockton. Anna Frank come lei sa è un
simbolo di riconoscimento della nostra amata nazione ed è
un’icona che si è perpetuata per almeno quattro generazioni dalla
data ufficiale della sua morte (a questa punto scrivo presunta per
la massima fiducia nelle sue affermazioni e nel suo
riconoscimento) dal 1945 in avanti. Pensi cosa vuol dire: 67 anni
di fiducia e di pietà per questa martire del nazismo che, seppure
piegata (molto teoricamente) da una malattia apparentemente
banale, pagò tutte insieme le dure condizioni di vita di un campo
di concentramento. E’ come se nella vita di Anna Frank si
riconoscessero e si metabolizzassero tutte le privazioni di milioni
di persone. Se devo fare un paragone o, meglio, tanti paragoni, è
come Garibaldi per l’Italia, Simon Bolivar per il Venezuela, Che
Guevara per Cuba. Ora cosa penserebbe lei da italiano se le
facessero sapere che Garibaldi faceva il doppio gioco con lo Stato
della Chiesa, che Simon Bolivar con la rivoluzione curava degli
interessi personali e che Che Guevara non è mai andato veramente
d’accordo con Fidel Castro? Glielo dico io, semplicemente si
ridimensionerebbe il mito, lo metteremmo tra parentesi, ne
dubiteremmo nel profondo. Nella storia del mondo il revisionismo
ha avuto sempre questo intento distruttivo e centinaia di storici ci
si sono applicati con ferocia cercando di trovare il proprio posto al
sole. Vede, la mia missione è stata proprio esattamente contraria,
nello specifico, trovare pezzo a pezzo le prove dell’Olocausto e
mostrarle al mondo per consolidare l’enorme genocidio
consumato ai nostri danni. E’ per questo che mi hanno dato il
Nobel, non per altro, mi creda. E poi, una volta eretta questa
inconfondibile base di verità, ho faticato a tenerla in piedi perché
era come un punching ball su cui tutti si volevano esercitare. Da
rivoluzionario cercatore della verità sono diventato conservatore
della verità stessa. Perché, veda, nella storia certe volte vale la
massima latina: quaeta non movere. Più banalmente con il
sottotitolo “per non andare incontro a guai peggiori”. Oggi il
nostro paese è minacciato dalla bomba atomica di vicini militaristi
e non ci possiamo permettere di rischiare di discutere una realtà
che si è fatta verità. Ci sono stati momenti della storia più
dialettici dove si potevano rimettere in gioco verità consacrate,
dogmi. Non sicuramente questo. Dunque la prego di non fare
alcuna rivelazione su quanto scoperto e di attendere che il governo
israeliano giunga a una ratio meditata sulla situazione. Nel
frattempo, stia tranquillo, avrà un riconoscimento economico per il
disturbo, questo almeno l’ho ottenuto per lei. Lei non deve trovare
la soluzione e preoccuparsi di niente. Lei sa che abbiamo dei
servizi segreti molto efficienti. Quando sarà il momento arriverà
da lei una squadra speciale che eliminerà il problema.
Con stima,
suo Elie Wiesel
Solomon ripete tre volte con pena “Eliminerà il problema,
eliminerà il problema. Eliminerà il problema?”.
NONA SCENA
Solomon corruga la fronte e rimette mano ai prospetti finanziari, i
virtuali compiti a casa.
Bussano alla sua porta accostata
JONAH Padre, posso?
SOLOMON Si, vieni pure.
JONAH Hai deciso qualcosa per Anna Frank?
SOLOMON No, meno che meno. Sai come si dice? Poche idee e
pure confuse.
JONAH Senti, hai un minuto da dedicarmi?
SOLOMON Certo, siamo qui, ancorché molto imbarazzati.
JONAH Volevo dirti prima di tutto che io sono solidale con
quanto deciderai. Ho dato l’assenso a nonna più che altro per non
scontentarla. Mi sembra che avesse fissato dei prezzi troppo bassi.
SOLOMON E’ già qualcosa.
JONAH E poi volevo chiederti…mi parli di Anna Frank. Io ho
provato a leggere il suo diario ma mi sono fermato alla terza
pagina. Puoi farmi un riassunto, un bignamino. Sai, non vorrei che
un giorno poi i miei amici, sapendo la situazione, mi facessero
delle domande…
SOLOMON Ah, vedo che il tuo è un interesse storico e umano
profondo…
JONAH Tu capisci. Che gli dico? Ce l’avevo in casa ma per me
era una perfetta estranea? Magari quando ti gira bene mi farai
avere un autografo.
SOLOMON Certo, è un caso umano il tuo.
JONAH Senti ma io e nonna Marta non le possiamo parlare?
SOLOMON No, meglio di no. Sai, è una specie di istrice. Voi
ragazzi direste “rompicoglioni”.
JONAH Sai, mi fa impressione che aveva due solo anni più di me
quando è morta. Io non penserei mai di scrivere un diario. Magari
un post su facebook, ma niente di lungo… ma per Israele cosa ha
fatto? Ha combattuto i nazisti? Ne ha ucciso qualcuno?
SOLOMON Ma no, devi pensare a una ragazzetta timida
(allora…) che voleva difendersi dal nazismo e, ritrovandosi
scrittrice, ha fatto un grande affresco d’epoca, volontario e,
secondo me, in parte anche involontario. Sono quei libri che
crescono nell’immaginario popolare fino a esplodere a imperitura
fama.
JONAH Mi stai dicendo che di pratico Anna Frank non ha fatto
una mazza?
SOLOMON Eh, come ragioni…Non è un video game. La
letteratura ha radici profonde, che erompono quando meno te
l’aspetti. Quando poi il tema di fondo è l’Olocausto…con cui il
libro della Frank va a incastrarsi. E’ stato come fare bingo. E bada
bene che Anna, la sua morte presunta, non fu attribuita al
massacro diretto da parte dei nazisti ma dovuta ad un’epidemia di
tifo esantematico, una di quelle malattie che, se curate a New
York, ma anche ad Amsterdam, sarebbero costate solo una
scocciante convalescenza. Evidentemente invece in qualche modo
lei sarebbe riuscita a curarsi e a scamparla.
JONAH Ma ‘sto Olocausto è una specie di grande incendio?
SOLOMON Ehi, neanche i nazisti l’avrebbero definito così. E’
l’uccisione e lo sterminio di milioni di persone. E tutte insieme. E’
quello che fa la forza e lo scandalo.
JONAH Eh, credo di aver capito. Una cosa come il Ku Klux
Klan?
SOLOMON Più grave Jonah, più grave… quantunque la comica
dissacrante Sarah Silverman abbia fatto quella famosa battuta al
vetriolo e cioè: “Se ci fossero stati i neri in Germania durante la
seconda guerra mondiale l’Olocausto non sarebbe successo. Non
agli ebrei almeno”. E’ una battuta, prendila per quello che vale.
Insomma è per farti capire che l’Olocausto è uno sterminio delle
minoranze nella ruota impazzita della storia. Che ti serva per la
vita: ebrei, zingari, più che altro rom, omosessuali, comunisti. Ma
si è visto anche comunisti che hanno ammazzato comunisti…si è
visto tutto nella storia.
DECIMA SCENA
Solomon bussa alla camera di Marta al piano di sotto e poi,
proditoriamente, entra, senza aspettare il “via libera”.
SOLOMON Mamma, che stai facendo?
MARTA Lo vedi no?
E indica col dito.
Solomon ammira sconcertata una bacheca dove Marta ha allineato
una gran quantità di foto in bianco e nero. C’è sempre lei in primo
piano con un cerchietto rosso a puntualizzarne il viso. E la
sequenza è incredibile. Lei che scalcia Hitler, lei nel campo di
concentramento di Buchenwald. Lei con la bandiera rossa che
guida un carro armato che sta visibilmente entrando a Berlino. Lei
sottobraccio a Ben Gurion. E, in ordine di sequenza, lei che
stampa un bacetto sulla guancia di Anna Frank bambina.
SOLOMON (con voce alterata) Ma cos’è, il museo degli orrori?
MARTA Non sai quante cose si possono fare con il computer che
ti ostini a non usare. E con fotoshop soprattutto. Ho ricostruito un
po’ di storia attraverso i momenti salienti della mia vita.
SOLOMON Si, soprattutto quelli che non hai vissuto. Ma ti rendi
conto. Tu stai facendo involontariamente l’apologia del nazismo!
Hai come il complesso d’Edipo. Dove Edipo è la seconda guerra
mondiale che non hai vissuto. L’ideologia è una cosa, la vita
vissuta un’altra. Neanche tua madre è morta in un campo di
concentramento. Siamo ebrei trasferiti negli Stati Uniti da quattro
generazioni!
MARTA Tutti l’abbiamo vissuta la seconda guerra mondiale, sia
pure di rimbalzo. E io ne porto ancora i segni. Non l’abbiamo
vinta la guerra?
Alza la manica e fa vedere un tatuaggio, chiaramente di quelli fatti
con l’henné, che riporta il segno distintivo (con tanto di numero)
degli ebrei detenuti nei campi di concentramento.
SOLOMON Questa è paranoia o schizofrenia, non so. Poi da
questo arrivi alla proposta di vendere Anna Frank come un
hamburger di McDonald’s….comunque volevo dirti che ora tiro le
somme. La incontro, le parlo e la finiamo con questa storia.
UNDICESIMA SCENA
Mentre sale verso il ripostiglio deciso a farla finita, Solomon
pensa che, in definitiva, Moses Shapiro doveva essere in combutta
con Anna Frank. Doveva averla occultata lui dopo aver pubblicato
il primo manoscritto, intimandole di rimanere al sicuro in una
soffitta. E ora si giocava la carta del secondo libro, mostrando a
Solomon un finto terrore per la scoperta dell’esistenza in vita della
sciagurata, per tenere fede al bluff. Per pubblicare il secondo libro
si sarebbe inventato il ritrovamento di un ulteriore misterioso
testo, miracolosamente ritrovato, e così avrebbe sbancato ogni
classifica di vendita. Sarebbe stato un botto superiore alla prima
uscita. Dunque Shapiro e Anna Frank si tenevano coperti e lui,
involontariamente, era chiamato a coprire il gioco. Davvero molto
scorretto!
SOLOMON Ciao Anna, tutto bene? Procedi?
ANNA FRANK Guarda un po’!
E gli mostra una piramide di fogli accatastati
ANNA FRANK Sono arrivata a pagina 322. Perlomeno di quelle
scritte a mano. Vado un po’ lenta così ma che vuoi per me il
tempo è una libera interpretazione della vita. Senti un po’, ho letto
dalla prima all’ultima riga quel giornale che mi hai portato,
Haaretz. Ma davvero siamo diventati così? Ho gioito per la
liberazione del calciatore Mahmoud Sarsak. L’abbiamo arrestato
tre anni fa, non si sa perché, mentre andava in Cisgiordania a
raggiungere la nazionale di calcio palestinese. L’hanno messo
dentro per “detenzione amministrativa” che vuol dire tutto e
niente. Un po’ come la mia di detenzione…solo che la mia è
volontaria. Pare che sia stato decisivo il suo sciopero della fame
durato tre anni. Se mai si giocherà una partita di calcio tra Israele e
Palestina mi sa che questo avrà una gran voglia di farci un gol…E
senti cosa ha dichiarato al New York Times la figlia di un
sopravvissuto all’Olocausto residente a Tel Aviv: “Mi sento nella
Germania del 1933 o del 1936 perché leggo dei commenti
nausebondi sugli immigrati, un problema con cui il resto del
mondo fa i conti da tempo, con maggiore o minore
responsabilità”.
SOLOMON Non so se ti fa bene leggere certe cose.
ANNA FRANK Perché, vuoi che il mondo dopo il 1945 rimanga
quella bella cartolina che ci hanno lasciato i tedeschi?
SOLOMON Vedi, non voglio giustificarci. Ma noi abbiamo il
complesso dell’assedio. Ci sentiamo come se la guerra non fosse
finita. Dunque penso che la parte migliore di noi sia fuori di
Israele. E’ quella che si è evoluta, ha viaggiato, si è meticciata. Ha
sposato bianchi, neri, gialli, fuori dai precetti. Gli altri sono rimasti
confinati dietro un virtuale muro. Non voglio dire, ma una sorta di
campo di concentramento. Come te a Auschwitz.
ANNA FRANK Bergen Belsen, ignorante. Ma ti ho detto che lì ho
conosciuto Shaul Ladany, un marciatore che si è fatto i Giochi
Olimpici e ha vissuto pure la tragedia di Monaco? ‘Sti fatti del
mondo mi sconvolgono, fanculo. Ora sono scandalizzati a Tel
Aviv perché per la corte di appello di Colonia la circoncisione di
un bambino è un reato da perseguire penalmente, una lesione
corporale che deve essere punita. Qualcuno dei nostri ha
dichiarato che è il peggior attentato alla nostra religione
dall’Olocausto in avanti. Mi pare un po’ grossa.
SOLOMON Meravigliati pure, è normalità. E il provvedimento
tocca pure i musulmani di Germania.
ANNA FRANK Poi ho letto di economia. C’è questa Merkel che
sa molto di Reichstag. Viene dalla Germania Orientale,
eufemisticamente giudicata Germania democratica. Non ti pare un
po’ Hitler quando dice che “l’Europa deve viaggiare al ritmo della
locomotiva-Germania?” Oh, ma tu non sarai mica tedesco? ‘Sto
cognome Kugel mi suona un po’ strano. E poi, scusa, questi si
sciacquano tutti la bocca con l’Europa unita. Ma poi leggo tutte
dichiarazioni di questo tipo: il primo ministro italiano che afferma:
“Non siamo la Grecia”. Gli irlandesi che rilanciano: “Non siamo
ridotti come la Spagna e il Portogallo”. E così via. Ma allora si
riprendessero la loro nazione e le loro monete nazionali! Ma di
quale Europa parlano? Ti dico l’ultima e poi taccio. Un irriverente
scrittore ebreo ne ha sparata una forte in un’intervista. Tieniti. Ha
detto:“Non c’è niente di comico nella Shoah. Comico è
l’ottimismo di chi spera che non succeda “mai più”, a patto che si
mantenga viva la paura- il ministero della paura- le armi in casa, le
bombe di Israele. In fondo il più ottimista era Hitler, a pensare che
bastasse sterminare gli ebrei per eliminare i mali della storia. Se
scoprissi che aveva ragione sarei il primo a uccidermi”. Ma senti
un po’!
SOLOMON Guarda, ci vuole poco a creare la psicosi. Guarda i
nostri cugini americani dopo l’11 settembre! Ora per superare gli
sbarramenti e i controlli all’aeroporto di New York ti devi munire
di una pazienza superiore alla logica di quello a cui ti
sottopongono. Comunque, veniamo a noi…sarei curioso di sapere
di cosa parla il tuo nuovo diario.
ANNA FRANK Eh, quante ne vuoi sapere. Parla di una che si è
salvata dall’Olocausto e poi ha visto il mondo dal buco di una
serratura. E che ha capito come quel “mai più si ripeterà” era
falso. Perché la forza del mondo è ancora governata dalla violenza
e dalla sopraffazione, dall’odio di razza, dall’odio religioso, dalla
brama del petrolio, del potere. Questo in un’interpretazione
naturalmente molto libera. Dunque i nazisti di ieri sono i bancari
di oggi, gli investitori di borsa, i plutocrati. Poi parlo anche di altre
cosette che riguardano la nostra razza: ma tu lo sai che l’architetto
ebreo Kallenbach aveva quella che si definisce un’affettuosa
amicizia con il mahatma Gandhi? Ecco, anche queste cose
interessano il mio vasto pubblico.
SOLOMON Molto interessante. Anche tu ridotta al gossip? Ma te
ne devi andare. Tu sei una scrittrice e un punto di riferimento ma
io devo vivere. Ne farai un ulteriore gran libro ma io devo
campare e non all’ombra di un mito. Non posso dedicarmi a pieno
tempo a te. I tuoi grandi teorici protettori se ne fregano di te. Ho
chiamato il centro Simon Wiesenthal. Sai che hanno fatto quando
gli ho detto che avevo in casa una profuga che non era una
rifugiata politica e che si chiamava Anna Frank? Hanno messo
giù. Un “clic” e fanculo. Per l’editore Shapiro sei morta (ma forse
finge). Elie Wiesel ha preso tempo e se pensa a te parla di
“eliminare il problema”. Chi usava un’espressione simile? Per la
mia famiglia sei vista come un possibile affare. Hai, ho, il nemico
anche in casa. E per me, che sono il più sensibile di tutti, sei solo
un fastidio. Dimostrerò al mondo che non ho più il complesso
dell’Olocausto. Dimostrerò con una semplice telefonata che siamo
tutti eguali, che un ebreo può cacciare un ebreo. Questa è vera
profonda, maiuscola democrazia.
VOCE FUORI CAMPO. Perlomeno questo può avvenire in un
grande e libero paese come gli Stati Uniti.
Compone il numero della Polizia. “Scusate, ho bisogno del vostro
aiuto. Mi trovo in casa una vecchia in stato di indigenza,
farneticante. Credo che abbia perso la memoria o che sia una
barbona vaniloquente, mitomane e un po’ megalomane, fate voi.
Mandate anche uno psichiatra. E, mi raccomando, venite in forze,
si magari anche con una camicia di forza. Potrebbe scalciare o
accusarvi di complottare contro l’ebraismo. Quante ho dovuto
sentirne io! Pensate, dice di essere Anna Frank. Esiste il reato di
“sottrazione d’identità?” Si, si sono a completa disposizione…