il mestiere delle armi (psicologia militare)

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Page 1: Il Mestiere Delle Armi (Psicologia Militare)

uello delmilitare èun mestiereche ha una

sua storia, anticacome il mondo,una sua cultura,sia teorica chepratica, una suaetica e una suapsicologia, di cuioggi sappiamomolte più coseche in passato.

Sappiamo, adesempio, che nonè la forza brutada sola a decide-re le sorti di unconflitto, maanche, se nonsoprattutto, fon-damentali fattoripsicologici come,tra altri, la sor-presa dell'attac-co, l'esibizione diun potenzialeoffensivo maggio-re di quello real-mente disponibi-le, l'ingannodell'avversario, ilsostegno morale,la coesione deicommilitoni...

Per gli elevatis-simi livelli distress che devonoessere gestitinelle operazionimilitari, inoltre,chi entra nel"mestiere delle

armi" viene sot-toposto ad unaddestramentodel tutto partico-lare, che non silimita al soloapprendimentodell'uso degliarmamenti, delletattiche e dellestrategie, ina checoinvolge anche

vi e cognitividell'intera perso-na, chiamando incausa gli ideali dionore, amicizia,lealtà, disciplinaed obbedienza.

Paolo Uccello", Batta-glia di San Romano(1432), Firenze,Galleria degli Uffizi:

(Foto: Rabatti Domingie,Archivio Giunti.

osta

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Il mestiere

delle armi

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42 - Psicologia militare

"BUON SELVAGGIO":IL SOGNO DEGLI ILLUMINISTI

E ra opinione degli Illuministi che la guerrafosse frutto della civilizzazione. Secondo laloro teoria del "buon selvaggio", le popola-zioni primitive sarebbero state fondamental-

mente pacifiche. La guerra non sarebbe comparsafino all'avvento dell'agricoltura, con la costruzionedi villaggi stabili, la scomparsa del nomadismo e l'af-fermarsi di una vera e propria territorialità. Peccato,però, che ciascuna di queste affermazioni si sia rive-lata falsa. La ricerca etnologica ci offre numerosedocumentazioni di scontri fra diverse tribù che siritenevano pacifiche, scontri presumibilmente fina-lizzati al dominio del territorio da riservare alla cacciae alla raccolta di frutti e radici.

I boscimani del Kalahari, ad esempio, come moltedelle popolazioni africane, non solo prendevano par-te a conflitti armati, ma facevano uso di una formad'aggressività ritualizzata anche nelle loro pratiche dimagia nera. Ancora oggi i boscimani !Kung manife-stano una paura particolare nei confronti di coloroche parlano un linguaggio straniero e distinguonochiaramente fra membri del proprio gruppo e mem-bri ad esso estranei, suggerendo in tal modo unapredisposizione emozionale alla manifestazione diaggressività intergruppo.

Anche i ritrovamenti archeologici hanno dimo-strato l'illusorietà dell'ipotesi di un'età della pietraparticolarmente pacifica (Figura 1). Molti crani diaustralopitecine, scimmie fossili morfologicamentemolto simili all'uomo, sono stati rinvenuti con lesio-ni imputabili all'uso di armi rudimentali e alla forza.Roper (1969) ha esaminato crani e reperti ossei ap-partenenti a pitecantropi (specie di Homo erectusvissuta circa 700.000 anni fa, rinvenuta a Giava e inalcune parti della Cina) e ad individui vissuti in Eu-ropa durante le glaciazioni dal wurmiano, giungen-do alla conclusione che molte delle ferite riscontratenon potevano essere fatte derivare che da lotte eaggressioni. Mohr (1971) ha studiato 158 ferite nelle

ossa di antenati umani vissuti fra il periodo paleoliticoe quello neolitico, giungendo alle stesse conclusioni.In 47 casi le ferite riguardavano la testa, in 16 gli artisuperiori, in 14 gli arti inferiori, in 16 la colonnavertebrale, in 3 lo sterno e in un caso le pelvi. Alcuneferite della colonna vertebrale e degli arti erano do-vute all'uso di frecce di pietra, mentre le lesioni alcranio erano imputabili ad asce di pietra.

LA PSICOLOGIA MILITAREDI SUN TZU E SUN PIN

Ipiù antichi trattati di strategia militare si possonofar risalire a due autori cinesi, Sun Tzu e SunPin, contemporanei di Piatone (v-iv secolo a. C) ,autori rispettivamente dell'Arte della guerra e dei

Metodi militari (Sawyer, 1999). Entrambi i trattati sonoper noi di estremo interesse, in quanto interpretanola strategia e l'arte della guerra ponendo un accentoparticolare sui fattori psicologici: «Soggiogare il ne-mico senza combattere», vi si legge, «rappresenta lavera vetta dell'arte militare [...]. Chi guida un eser-

Figura 1 - Qui sopra:steatite intagliata daeschimesi di Povun-gnituk (Baia di Hud-son) raffigurante unduello con pugnali. Asinistra: scena rupe-stre preistorica rap-presentante una bat-taglia ("Les Dogues",George de la Gasulla,C astiglia).

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cito deve agire tenendo presenti questi principi: con-quistare un regno senza produrre danni è preferibile,distruggerlo è solo una seconda opzione». Ma comesoggiogare il nemico senza combattere, o combat-tendo il meno possibile? Sun Tsu e Sun Pin hannoquattordici risposte da dare:

1) Con la sorpresa: «Di solito, in battaglia, un gene-rale muove le truppe con metodi ortodossi, ma vincegrazie a strategie non ortodosse».

2) Evitando il ristagno: «Quando impegnate i vostriuomini in conflitti di lunga durata le loro armi per-dono il filo e il loro ardore cala».

3) Con un uso massiccio dell'intelligence. L'ultimocapitolo dell'Arte della guerra è anche il primo trattatosull'uso dello spionaggio a fini strategici: «II mezzocon cui i sovrani illuminati e i sagaci generali agisco-no, vincono e si distinguono tra le masse è la cono-scenza anticipata dei fatti».

4) Con un'accurata selezione del personale: «La vit-toria dipende dalla fiducia incondizionata, da un chiaroconferimento delle ricompense, dalla capacità di sfrut-tare le debolezze del nemico, ma soprattutto dallaselezione delle truppe».

5) Utilizzando una tattica d'esaurimento, anzichéd'attacco diretto e di distruzione: «Movimenti lentie frequenti disimpegni sono i tranelli con cui si indu-ce il nemico a inseguirvi incoscientemente».

6) Gratificando i militari che si sono distinti nelleoperazioni: «Dopo aver vinto uno scontro, fate sfi-lare i soldati in parata in modo da esaltare gli animi».

7) Simulando una forza ed un potenziale bellicosuperiori a quelli effettivi: «Schierare un gran nume-ro di stendardi e bandiere è il mezzo per far insorgereil dubbio nel nemico»(l'esagerazione del po-tenziale offensivo, ricor-diamo, costituisce la stra-tegia più diffusa nell'am-biente animale per in-durre un avversario allafuga o alla sottomissio-ne: Figura 2).

8) Con un addestra-mento duro e il pia possibilerealistico: «Allenamentosevero e alacrità incessan-te sono i metodi con cuisi affrontano gli assalti inprofondità».

non avrà autorità, e se manca di autorità, le truppenon saranno disposte a morire per lui [...]. Il generaledeve conoscere la vittoria. Se non sa in cosa consistail successo, non sarà risoluto».

11) Manifestando risolutezza: «Se il generale si di-batte continuamente tra ciò che è giusto e ciò che èsbagliato può essere sconfitto».

12) Assicurandosi che le. popolazioni civili siano fa-vorevoli alle operazioni dell'esercito: «Se il popolonutre rancore per l'esercito, questo può essere scon-fitto».

13) Mantenendo alta la comunicazione con le famiglied'appartenenza: «Se il soldato è preoccupato per lapropria casa può essere sconfitto». Questo fattore,insieme al precedente, viene oggi definito "homefront", o "fronte domestico", vale a dire il back-ground del soldato (famiglia, nazione, ecc).

14) Curando che le informazioni e i comandi nonsiano ambigui: «Se gli ordini vengono cambiati dicontinuo e le truppe sono mantenute nell'ambiguità,l'esercito sarà sconfitto». . ,

DA SUN TZU E SUN PIN A CLAUSEWITZ

P

9) Con un'efficienteorganizzazione logistica: «Numerose fonti di approv-vigionamento e molte provviste sono i mezzi perfacilitare la vittoria».

10) Sviluppando le capacità di leadership degli uf-ficiali: «II generale deve essere un uomo retto. Se nonlo è, allora non potrà essere severo. Se non sarà severo

Figura 2 - La strategia psicologica d'intimorire l'avver-sario esagerando gli aspetti del corpo legati all'espres-sione della forza sono molto utilizzati nel regno animale.In questa illustrazione di Darwin (1872), il cane di de-stra, rizzando pelo e coda aumenta illusoriamente la suamassa e la sua altezza. Il cane di sinistra cerca invece diinibire l'aggressività di un rivale abbassando il corpo ela coda, diminuendo così massa e altezza apparenti.

er quanto incredibile possa sembrare, la psi-cologia militare di Sun Tzu e Sun Pin haattraversato i secoli, al punto che le regoleche abbiamo appena riassunto sono tuttora

parte integrante della cultura militare contempora-nea. L'esempio recente più appariscente di applica-zione dei dettami di strategia indiretta di Sun Tzu eSun Pin («vincere senza combattere», «conquistare il

territorio nemico intat-to») è dato dalla guerrafredda fra Stati Uniti eUnione Sovietica. Que-sta, com'è a tutti noto, sifondava sul potere deter-rente, e quindi soprattut-to psicologico, del po-tenziamento degli arse-nali nucleari. Ilpotenzia-le distruttivo aveva rag-giunto un punto tale cheun eventuale conflittonon sarebbe risultatoconveniente nemmeno

per il vincitore.Altri esempi di strate-

gia indiretta si possono trarre dalle operazioni deiservizi segreti. Celebre il caso della decifrazione delcodice criptografico di Enigma, un apparecchio ci-frante dotato di tastiera e un complicato sistema mec-canico che, nella seconda guerra mondiale, venivautilizzato dalle forze armate tedesche per trasmettere,

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44 — Psicologia militare

con un codice segreto,gli ordini riguardanti gliobiettivi da colpire. Gra-zie agli studi di alcunimatematici polacchi einglesi, fra cui il celebreAlan Turing, il teorizza-tore dei calcolatori, gliinglesi riuscirono a de-cifrare gli ordini trasmessida Enigma, contribuen-do in modo decisivo acolpire molti obiettivi te-deschi e a salvare molteunità inglesi, propriograzie all'informazione enon all'uso della forza. Lostesso Churchill fu untenace assertore della ne-cessità di potenziare iservizi segreti per soppe-rire all'inferiorità strate-gica e militare dell'In-ghilterra: azioni di com-mando, giochi di ingan-ni, menzogne e disinfor-mazioni costruite ad artefurono il tratto distinti-vo della "guerra segre-ta" degli alleati.

Un altro esempio distrategia indiretta, inquesto caso trascurata,può essere costituito dal-l'"home front" negativoche si era pericolosamen-te prodotto durante ilconflitto in Vietnam trale truppe americane.Questo conflitto, coni'ènoto, a un certo puntocominciò ad essere for-temente contestato dallapopolazione e da moltipolitici degli Stati Uniti. I militari in combattimento,pertanto, ben presto non si sentirono più appoggiatidalla loro nazione e ciò non solo diminuì le loromotivazioni, ma aumentò anche notevolmente il lorosenso d'isolamento, lo stress e l'odio verso i civili,odio che portò alla fine anche ad inutili e gratuiteatrocità.

La strategia indiretta e psicologica di Sun Tzu eSun Pin si contrappone vistosamente a quella diretta,teorizzata dal famoso generale prussiano Karl vonClausewitz (1780-1831), che è stata alla base dellescienze militari nelle guerre dell'Ottocento e nei due

Figura 3 — Sopra: una trincea tedesca della Prima guer-ra mondiale: il "ristagno", dicevano Sun Tsu e Sun Pin,compromette armi e morale. Sotto: un lagunare in adde-stramento. Rumori, odori, pericoli, ecc, devono essereil più possibile realistici, al fine di aumentare l'autosti-ma ed acquisire dimestichezza con le proprie reazioniallo stress.

grandi conflitti mondia-li. Un'operazione mili-tare, per Clausewitz,deve porsi come obiet-tivo l'abbattimento (nonYesaurimento, come inve-ce raccomandavano SunTzu e Sun Pin) dell'av-versario. «La guerra è unatto di forza», scrivevasenza giri di parole Clau-sewitz, «all'impiego del-la quale non esistono li-miti [...]. Gli spiriti uma-nitari potrebbero imma-ginare che esistano me-todi tecnici per disarma-re o abbattere l'avversa-rio senza infliggerglitroppe ferite e che siaquesta la finalità autenti-ca dell'arte militare. Perquanto seducente ne sial'apparenza, occorre di-struggere tale errore poi-ché, in questioni così pe-ricolose come la guerra,

sono appunto gli errori che risultano dallabontà d'ani-mo quelli maggiormente perniciosi».

IL COSIDDETTO FATTORE X

Ila base delle teorizzazioni di Clausewitz, so-stanzialmente, vi è la logica secondo cui unnemico abbattuto non potrà più risorgere

.per vendicarsi, ma questa logica non tieneconto del fatto che un tale accanimento conducesolitamente ad un'escalation distruttiva anche nei con-

A!

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fronti di chi lo persegue. Esaminando a fondo la suaopera, ci si accorge che, in verità, anche in Clau-sewitz non vengono trascurati gli elementi "morali",tanto da dedicare alcuni capitoli al talento del capo,alle virtù militari dell'esercito (spirito di corpo, ono-re, coraggio, abilità, resistenza, entusiasmo) e al sen-timento nazionale, ma lo scopo rimane comunquediverso da quello di Sun Tzu e Sun Pin, essendoesclusivamente quello di subordinare le capacità psi-cologiche alla forza militare.

In linea con Sun Tzu e Sun Pin si dimostrò inveceLev Tolstoj, quando sollevò, in Guerra e pace, la que-stione di quello che lui chiamò "fattore x". Ripor-tiamo quel brano: «In guerra la forza degli eserciti èdata dal prodotto della massa dei soldati moltiplicataper qualcos'altro, uno sconosciuto fattore x. La scienzamilitare, esaminando nella storia l'immenso numerodi casi in cui la massa di un esercito non corrispon-deva alla sua forza e in cui piccoli eserciti ne hannoconquistato di grandi, riconosce a mala pena l'esi-stenza di questo fattore sconosciuto e cerca di indi-viduarlo qualche volta in certe disposizioni geome-triche delle truppe, qualche volta nella superioritàdelle armi e più spesso nel genio del comandante.Nessuno di questi fattori tuttavia conduce a risultatiche concordano coi fatti storici. Per scoprire questosconosciuto fattore x uno deve rinunciare alla falsacredenza che esalta l'attività degli eroi nella storiamilitare; x è lo spirito di corpo, il maggiore o minordesiderio di combattere e di far fronte ai pericoli avantaggio di tutti i soldati che compongono l'eserci-to, che è diverso dal porsi la questione se essi stannocombattendo con comandanti geniali o no, con ran-delli o con un'arma da fuoco che spara trenta volteal minuto».

Oggi, il fattore x di Tolstoj è stato scomposto daglipsicologi in tre componenti principali: il morale, lacoesione, che può essere sia indotta dall'addestramen-to, sia autonomamente sviluppata dal militare attra-verso le esperienze vissute con i compagni, e lo spiritodi corpo. Il lettore si accorgerà come in essi riaffiorinocontinuamente le idee di Sun Tzu e Sun Pin.

IL MORALE

S econdo i manuali dell'esercito statunitense, ilmorale si definisce come lo stato mentale, emo-zionale e spirituale di un soldato. Vi si legge:«Si parla di morale alto se il militare si sente

felice, speranzoso, sicuro di sé, apprezzato per il suooperato e, viceversa, di morale basso se il militare sisente triste, depresso, non apprezzato per la sua con-dotta». Il morale, tuttavia, non è solo sinonimo distato d'animo individuale, ma è legato strettamenteal rapporto con i commilitoni e, nello specifico, alla

capacità di "remare all'unisono", collaborare, uniregli sforzi al fine di raggiungere una meta comune.L'importanza assegnata dalla psicologia militare al-l'entusiasmo e alla perseveranza con cui un militares'impegna nelle attività del proprio gruppo, sia essola squadra, il plotone, la compagnia, non trova egualinella vita civile, poiché la collaborazione fra commi-litoni è questione di vita e di morte.

Tra i principali fattori che influenzano il moralepossiamo citare il successo nelle operazioni, il fattoche queste portino a risultati tangibili in tempo breve(il "ristagno" delle posizioni e la guerra di trinceasono estremamente logoranti psicologicamente), lasuperiorità in termini di tecnologia delle armi, latempestività nei rifornimenti di viveri e muniziona-menti, una leadership efficace, adeguate condizioniigieniche, un buon vettovagliamento, la bontà del-l'addestramento, che deve essere stato il più possibilerealistico, ovvero con comportamenti, percezioni(uditive, tattili, olfattive, ecc), pericoli, ecc, il piùpossibile simili a quelli che saranno presenti nel corsodelle operazioni reali (Figura 3).

Un'importanza non secondaria nel determinare ilmorale rivestono infine i fattori che afferiscono al-l'"home front". Si tratta, come si è detto, del soste-gno della popolazione civile alle operazioni militari,della possibilità di mantenere contatti telefonici epostali con i familiari e, soprattutto, del fatto chenelle famiglie d'appartenenza non vi siano problemidi salute, finanziari e di sicurezza.

L'EDUCAZIONE ALLA COESIONE

Promuovere la solidarietà all'interno del grup-po è stato da sempre al centro di qualsiasiaddestramento militare e, per millenni, la co-esione fra commilitoni ha significato anche,

se non soprattutto, vicinanza fìsica. Rimanere unitie vicini in battaglia è sempre stato un mezzo percreare una barriera impenetrabile nelle operazionidifensive, per nascondere eventuali armi da impiega-re sfruttando il fattore sorpresa, o una potente massadi sfondamento e di dispersione delle linee avversarienelle operazioni offensive.

Ancora oggi, nelle operazioni di ordine pubblico,un piccolo plotone di forze dell'ordine è in grado difar fronte ad una folla numericamente molto supe-riore, proprio grazie alla compattezza, alla vicinanzafisica, all'unità d'azione. Un plotone compatto puòfendere una folla, disgregandola, o può isolare glielementi più facinorosi. Se i membri delle forze del-l'ordine agissero individualmente verrebbero facil-mente sopraffatti. L'unione fisica permette inoltre didifendersi reciprocamente. Questa necessità rendeanche conto del perché l'obbedienza al superiore,

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Figura 4 - Marciare insieme aumenta la coesione e la collaborazione fra i commilitoni. Basta che uno soltanto nonsi muova in sincronia con gli altri per compromettere il passo dell'intero plotone.

insieme alla chiarezza deisuoi ordini, rivestano unruolo così importantenell'etica militare. Se isoldati prendessero delledecisioni in modo auto-nomo, senza alcun co-ordinamento, si trove-rebbero presto isolati,con la conseguenza di la-sciare i compagni senzaprotezione, oppure dimettersi nell'impossibi-lità di essere soccorsi.

Anche se ormai damolto tempo le opera-zioni militari non si conducono più con i soldatischierati ed allineati in fronti contrapposti, formati daplotoni ben squadrati che marciano ed eseguono tuttele azioni all'unisono, è tuttavia sintomatico che sifaccia tuttora largo uso, soprattutto nell'addestramento"formale", del marciare insieme. Non si tratta solo diuna questione d'etichetta prescritta dai vari cerimo-niali, ma di un vero e proprio modo di favorire,attraverso la condivisione e la sincronizzazione dicomportamenti uguali (che includono, oltre al passo,anche la postura complessiva del corpo, l'orienta-mento del viso e dello sguardo, la gestione dell'arma,ecc), la coesione del gruppo (Figure 4, 5 e 7).

Figura 5 - La mano tenuta alta dietro la schiena deter-mina un arretramento del busto all'indietro, la testa e losguardo si alzano e aumenta l'aspetto marziale.

Attraverso interviste estatistiche condotte fraun numeroso campionedi combattenti impegna-ti in prima linea durantela seconda guerra mon-diale, Marshall (1947)determinò che ciò chespinge al combattimen-to un soldato in situazio-ni estreme di pericolo,più che ragioni ideolo-giche, come l'aspirazio-ne alla giustizia o il pa-triottismo, è la presenza,o la presunta vicinanza,

di un commilitone. Alla domanda: «Che cos'è chespinge un soldato ad atti d'eroismo e a comportarsicoraggiosamente?», la maggior parte dei militari ri-spose che l'amicizia, la consapevolezza di essere de-positari della fiducia e della confidenza dei propricompagni d'armi e la lealtà erano le motivazioni prin-cipali. Alla stessa conclusione giunsero altre ricercheche analizzarono le cause che avevano portato unaparte dei militari a sviluppare dei forti disturbi psico-logici. La ragione principale di una nevrosi da stressda combattimento risultò l'isolamento del soggettoin situazioni di pericolo, ovvero l'interruzione dellesue relazioni interpersonali.

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Psicologia dell'uniforme

Una delle strategie psi-cologiche più comu-ni per "dominare"

senza colpo ferire è quelladi esagerare, enfatizzare,quegli elementi del corpoe del portamento che han-no un significato diretto disuperiorità. Persone alte,ad esempio, incutono piùrispetto e soggezione dipersone basse. Anche lespalle larghe, accompa-gnate da un girovita stret-to, che attribuisce al bu-sto un profilo a V, una mu-scolatura sviluppata, unavoce bassa e profonda, unportamento eretto, con losguardo alto, e la visibili-tà nel gruppo sono fattoridecisivi nel trasmetteredominanza. Le uniformi,specialmente quelle da ce-rimonia, presentano unaserie di accorgimenti tesiad enfatizzare proprioquesti aspetti corporei.

Partiamo dall'altezza:l'uso di copricapi alti nonha solo la funzione di pro-teggere il militare dalle av-versità atmosferiche, maanche e soprattutto quel-la di aumentarne l'altezzapercepita. Copricapi alti sitrovano in eserciti appar-tenenti a culture moltodistanti (si pensi ai capi in-diani) e possono raggiun-gere altezze considerevo-li, ad esempio come quellidi Figura 4. Possono esse-re di pelliccia, stoffa, me-tallo lucente, come nei co-razzieri, e decorati conpiume, come nel caso de-gli alpini e dei bersaglieri.

Per quanto riguarda lalarghezza delle spalle, no-tiamo l'uso di giubbe conspalline più o meno deco-rative ed evidenti, a secon-da del grado. Nei casi piùeclatanti, sono in metallocon frange, mentre a voltesono costituite da sempli-ci imbottiture o risvolti distoffa su cui sono appun-tati i gradi sotto forma digalloni, barre, stellette,

torri, greche. Tutto ciò fa-vorisce l'impressione dispalle possenti e larghe e,come per il copricapo, il

.loro uso è stato riscontra-to in culture molto diversefra loro (Figura 6).

Per favorire la forma aV, sopra la giubba c'è uncinturone, spesso di colo-re bianco, di stoffa o pel-le , che stringe il girovita, ei bottoni metallici e lucen-ti della giubba sono dispo-

sti in modo divergente ver-so l'alto, come si osservain Figura 7.

Per quanto riguarda lavisibilità, si può notarenelle uniformi l'uso fre-quente di colori contra-stanti, come il rosso dellagiubba ed il nero dei pan-taloni delle guardie realiinglesi, l'uso della sciarpaazzurra degli ufficiali ita-

Figura 6 — Artifici per en-fatizzare le spalle in un in-diano Yanomano, in unamaschera del teatro tradi-zionale giapponese e in unritratto dello Zar Alessan-dro II di Russia (da Eibl-Eibesfeldt, 1995).

Figura 8 — Uniforme da combattimento.

Figura 7 — 1 bottoni della giacca non procedono paral-lelamente, ma sono più vicini al livello dei fianchi e di-vergono progressivamente fino al livello delle spalle, au-mentando la percezione di busto a V con spalle larghe.

liani, posta trasversal-mente sul busto, l'adozio-ne di bottoni in metallo lu-cente , l'uso di ghette bian-che. La dominanza è an-che trasmessa da un'ele-vata ornamentazione e ciòsi traduce, nelle uniformimilitari, nell'uso di mo-strine e fregi, che identifi-cano il corpo d'apparte-nenza, e di cordoni, cor-delline, placche, pendagli,dragoni, ed anche nel-l'adozione di armi bianchecome lo spadino o la scia-bola, nel caso di ufficiali esottufficiali. L'abbiglia-mento con grosse giubbe,cinturoni e copricapi pe-santi contribuisce, tra l'al-tro , a rendere i movimentipiù rigidi e per questo piùmarziali.

Naturalmente, questeesigenze divengono oppo-ste nelle uniformi da com-battimento (Figura 8) incui prevalgono questionidi praticità, mimetismo,leggerezza.

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48 - Psicologia militare

La sensazione di perdita dell'appar-tenenza ad un gruppo in grado di aiu-tare e proteggere si configura quindicome un fattore cruciale. Ciò risultaconfermato anche dal fatto che in uni-tà altamente coese le vittime da stressrisultano fortemente ridotte rispetto adunità formate da uomini non ben affia-tati. Anche per questo oggi si fa semprein modo che l'unità minima ad esserespostata non sia mai il singolo militare,ma il gruppo (la squadra o il plotone),in modo da non spezzare i legami in-terpersonali. Non è detto, infatti, cheun soldato che ha eccellenti prestazio-ni operando con certi commilitoni siatale anche con altri.

IL VISSUTO DI COESIONE

La formazione di profondi lega-mi è favorita essenzialmente dadue fattori. Da un lato, sia du-rante il periodo di addestramen-

to, sia in situazioni operative, i militarivivono insieme giorno e notte, condi-videndo quindi, oltre al lavoro, i pasti,il riposo diurno e notturno, il tempolibero, ecc. Dall'altro, queste personeaffrontano insieme situazioni pericolose e altamenteattivanti: gli psicologi sanno che se due persone vi-vono insieme un'esperienza particolarmente forte ecoinvolgente, sia in senso positivo che negativo, fradi loro si forma in modo repentino un legame pro-fondo. Pensiamo, ad esempio, alla facilità con cui glistudenti entrano in relazione fra di loro prima disostenere un esame, o alla velocità con cui, nei mo-menti di spavento, ci rapportiamo ad altri col contat-to visivo e verbalmente. Quando è operativo, il mi-litare vive in una condizione di rischio notevole, avolte anche con la responsabilità della vita di altri.Muovendosi in situazioni così stressanti, finisce inpochissimo tempo con lo stabilire legami fortissimidi lealtà, fiducia e collaborazione con i commilitoni.

Tale effetto è talmente forte che, nell'arco di pochigiorni, possono svilupparsi legami così saldi da supe-rare quelli che, nell'ambito civile, normalmente s'in-staurano fra colleghi che lavorano insieme da anni.Affrontare certe prove fisiche con i compagni (Figu-ra 9), ad esempio, non serve soltanto ad apprenderetecniche utili alle operazioni future e ad acquisiresicurezza, fiducia e autostima, ma anche a familiariz-zare con le reazioni mentali e fisiologiche allo stress,proprie e dei compagni, in definitiva ad incrementa-re la conoscenza reciproca e la coesione del gruppo.

Figura 9 -aumenta la

Superare insieme ad altri militari prove fisiche impegnativeconoscenza reciproca e la coesione dei membri di un'unità.

LO SPIRITO DI CORPO

C on l'espressione "spirito di corpo" s'intendeil sentimento di fierezza di appartenere adun'unità dotata di una storia gloriosa e contradizioni onorevoli, di cui si è i diretti eredi.

Alpini, bersaglieri, granatieri, ecc, percepiscono lagloria e l'onore del corpo a cui appartengono e perquesto sono motivati a perpetuarla. Quel che avvie-ne negli studenti di Oxford o di Cambridge, che sisentono investiti di un onore particolare nel frequen-tare quelle antiche e gloriose università, avviene anchenei militari: più il corpo è d'elite, più l'orgoglio diappartenervi sale (si pensi alla Folgore, in Italia, o aiMarines e ai Rangers, negli Stati Uniti).

Lo spirito di corpo è favorito da tratti distintivi,come indossare una particolare divisa e determinatemostrine, disporre di una certa insegna, avere unmotto, un gergo o un canto particolari, è alimentatodalla conoscenza della storia e delle imprese dell'uni-tà d'appartenenza ed è anch'esso, come la coesione,direttamente proporzionale alla durezza dell'adde-stramento. Molte ricerche hanno infatti confermatoche quanto maggiori sono le difficoltà, sia psicologi-che che fisiche, che il militare deve superare perentrare in un determinato corpo, tanto maggiore è la

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Morale, coesione, spirito di corpo — 49

sua autostima e la fierezza di appartenere ad un grup-po distinto, privilegiato, esclusivo. L'aspirazione a farparte di un gruppo del genere gioca un ruolo deci-sivo nel motivare un giovane ad arruolarsi e a supe-rare i periodi d'addestramento, caratterizzati da faticae difficoltà non indifferenti.

SE IN QUEI POCHI MINUTI...

S e è vero che l'apparato di colori, simboli, ab-bigliamenti, motti, canti, grida, gesti, posture,attrezzature e quant'altro accompagna la figu-ra del militare fa sostanzialmente parte di una

ritualizzazione della forza finalizzata alla prevenzionee alla deterrenza, è però altrettanto vero che, primao poi, si presenta la necessità dell'intervento effetti-vo. Intervento che, per i militari del nostro Paese,attiene soprattutto a questioni di sicurezza ed ordinepubblico, o a missioni all'estero tese alla promozionee al mantenimento della pace, ma che per molti altrimilitari, in molte altre parti del mondo, continua adessere sinonimo, oggi come millenni addietro, diguerra vera e propria, con il devastante carico emo-tivo dell'antico: «Uccidi se non vuoi essere ucciso».

Nei progressi tecnologici degli armamenti si è sem-pre visto un vantaggio in più rispetto all'immediatoaumento del potenziale bellico: quello del progres-sivo allontanamento fisico dei fronti, con la conse-guente riduzione, o eliminazione, del coinvolgimentoemotivo del militare derivante dal contatto faccia afaccia con il nemico. L'uso di pietre da scagliare e poidi frecce, tutta l'arte balistica che ha preceduto eaccompagnato la polvere da sparo, lo sviluppo dellearmi da fuoco e dell'artiglieria, infine l'avvento del-l'aereonautica e della missilistica hanno segnato undistanziamento sempre maggiore delle parti in con-flitto. Ciò non toglie, però, come la storia e le cro-nache ci dicono, che in certi momenti e in certicontesti i contatti fra le parti avverse possano tornarea ripresentarsi. Affidiamo la descrizione di uno diquesti momenti alle parole di Peter Baumm, che inEines Menschen Zeit così racconta un episodio dellaprima guerra mondiale:

«Nella valle dell'Aisne le mattine d'autunno eranosovente nebbiose. Poiché molti tiravano di fucile,ma nessuno era cacciatore, si era sviluppata una riccafauna di piccoli animali selvatici. Il nostro maggioreera ghiotto di pernici. Si era fatto portare il suo equi-paggiamento da caccia e nelle mattine di nebbia andavaa caccia fra i reticolati. Invece del berretto da ufficialeegli portava, con grande spasso dei suoi soldati, uncappellaccio e in mano aveva un bastone; alla spallateneva appesi il fucile e il carniere. Non c'è dubbioche, abbigliato in quel modo, avesse l'aria di un cac-ciatore.

Per noi le sue spedizioni di caccia erano una que-stione delicata. Non volevamo perdere il nostrocomandante e perciò, di nascosto, avevamo piazzatodue mitragliatrici per proteggerlo nel caso che uncolpo di vento improvviso disperdesse la nebbia. Unamattina avvenne ciò che temevamo: si alzò il vento.La nebbia scomparve in pochi secondi, proprio nelmomento in cui il maggiore si trovava davanti alreticolato francese, a pochi metri dalla trincea nemi-ca. La cosa più ovvia sarebbe stata che egli si fossegettato a terra, su quel suolo un po' ondulato e co-perto di erba alta, e avesse cercato di tornare indietrofino a noi, ma con nostra sorpresa il maggiore non lofece. E noi dimenticammo di sparare.

I francesi dovevano essere ben più sbalorditi dinoi. Con cautela spiarono oltre il parapetto; nessunosparò. Forse uno alzò il fucile, ma il maggiore lominacciò col bastone da caccia, come avrebbe fattoFederico il Grande. E d'un tratto dieci o dodici sol-dati francesi uscirono dal riparo, ridendo e gridando:"Bonne chasse, ColonellBonnechasse!". Il maggio-re li salutò amichevolmente con la mano e poi, conuna lepre in spalla, tornò lentamente verso la nostratrincea. Se in quei pochi minuti in cui egli avevacostituito un ottimo bersaglio fosse stato colpito dauna pallottola mortale, tanto i francesi quanto i tede-schi l'avrebbero considerato un assassinio. Dopo altricinque minuti, uccidere un nemico già non era piùun assassinio. Quale segreto si annida in questa con-traddizione?».

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Marco Costa è Ricercatore presso il Dipartimento di Psico-logia dell'Università di Bologna e Docente di Psicologia gene-rale presso l'Accademia Militare di Modena. Può essere contat-tato all'indirizzo: [email protected]