il manuale della marca – l. minestroni · il manuale della marca – l. minestroni riassunto di...

25
IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è un attore razionale che segue i principi dell’economicità. Il consumo varia in funzione del reddito ma non tanto quanto l’aumento del reddito. Marcuse: la produzione detta il consumo. L’uomo è conformato ai bisogni dell’industria capitalistica e felice di esserlo, si riconosce nell’oggetto del consumo. Weber: il consumo è un agire sociale dotato di senso e va interpretato alla luce dei comportamenti collettivi i quali sono causa di mutamento della struttura sociale. OGGI SI RITIENE CHE SIA IL CONSUMO A PLASMARE LA CULTURA E LA PRODUZIONE. Annullati i vincoli di status, è mutato il concetto di identità sociale, che si costruisce anche attraverso i consumi. La marca diventa un modo per comunicare se stessi. Bauman sostiene che abbiamo l’ansia di restare sempre “in anticipo” rispetto alle tendenze e alle mode del branco, in risposta ad un bisogno di riconoscimento sociale. La marca ha insito un principio di reciprocità che è assimilabile al concetto di dono di Mary Douglas: ci offre codici di espressione e costruzione identitaria ed è un oggetto sociale, con forte valenza relazionale, perché crea legame tra le persone. Per questo siamo disposti a spendere anche più del valore reale in cambio di quel valore aggiunto, che “trascende” il valore economico. SI PARLA DEL CONCETTO DI VALUE FOR ME AL CONTRARIO DEL VALUE FOR MONEY. Le marche esercitano un forte potere emotivo, sviluppano brand attachment cioè attaccamento alla marca, e brand resonance, una forma di relazione ancora più intensa e resistente. CENNI STORICI La marca all’inizio era essenzialmente marchio, cioè un segno di riconoscimento che il produttore apponeva sulle commodity, i beni indifferenziati, e serviva più che altro al dettagliante per riconoscerne la provenienza. Per il consumatore non faceva differenza una marca o l’altra, a fare la differenza era il consiglio esperto del venditore. E’ con l’industrializzazione e il consumo di massa che nasce la marca. La commodity viene brandizzata, cioè gli viene attribuito un valore aggiunto, cosicché il riso non è riso se non è Riso Gallo oppure lo zucchero non ha lo stesso sapore se non è Eridania. I beni prima indifferenziati acquistano ora una valenza simbolica nella mente del consumatore a seconda del marchio che vi è impresso. La competizione è forte tra le aziende e alle persone serviva una guida per scegliere nel vasto mercato dei prodotti. Si ricorre alla pubblicità e al packaging per differenziarsi e accattivarsi il cliente.

Upload: trinhphuc

Post on 16-Feb-2019

328 views

Category:

Documents


12 download

TRANSCRIPT

Page 1: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI

Riassunto di Matteo Pratelli

DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS

Keynes: il consumatore è un attore razionale che segue i principi dell’economicità. Ilconsumo varia in funzione del reddito ma non tanto quanto l’aumento del reddito.

Marcuse: la produzione detta il consumo. L’uomo è conformato ai bisognidell’industria capitalistica e felice di esserlo, si riconosce nell’oggetto del consumo.

Weber: il consumo è un agire sociale dotato di senso e va interpretato alla luce deicomportamenti collettivi i quali sono causa di mutamento della struttura sociale.

OGGI SI RITIENE CHE SIA IL CONSUMO A PLASMARE LA CULTURA E LA PRODUZIONE.

Annullati i vincoli di status, è mutato il concetto di identità sociale, che si costruisceanche attraverso i consumi. La marca diventa un modo per comunicare se stessi.

Bauman sostiene che abbiamo l’ansia di restare sempre “in anticipo” rispetto alletendenze e alle mode del branco, in risposta ad un bisogno di riconoscimento sociale.

La marca ha insito un principio di reciprocità che è assimilabile al concetto di dono diMary Douglas: ci offre codici di espressione e costruzione identitaria ed è un oggettosociale, con forte valenza relazionale, perché crea legame tra le persone. Per questosiamo disposti a spendere anche più del valore reale in cambio di quel valoreaggiunto, che “trascende” il valore economico.

SI PARLA DEL CONCETTO DI VALUE FOR ME AL CONTRARIO DEL VALUE FOR MONEY.

Le marche esercitano un forte potere emotivo, sviluppano brand attachment cioèattaccamento alla marca, e brand resonance, una forma di relazione ancora piùintensa e resistente.

CENNI STORICI

La marca all’inizio era essenzialmente marchio, cioè un segno di riconoscimento cheil produttore apponeva sulle commodity, i beni indifferenziati, e serviva più che altro aldettagliante per riconoscerne la provenienza. Per il consumatore non faceva differenzauna marca o l’altra, a fare la differenza era il consiglio esperto del venditore.

E’ con l’industrializzazione e il consumo di massa che nasce la marca. La commodityviene brandizzata, cioè gli viene attribuito un valore aggiunto, cosicché il riso non èriso se non è Riso Gallo oppure lo zucchero non ha lo stesso sapore se non è Eridania. Ibeni prima indifferenziati acquistano ora una valenza simbolica nella mente delconsumatore a seconda del marchio che vi è impresso. La competizione è forte tra leaziende e alle persone serviva una guida per scegliere nel vasto mercato dei prodotti.Si ricorre alla pubblicità e al packaging per differenziarsi e accattivarsi il cliente.

Page 2: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

Nel dopoguerra in Italia il consumo ascende a simbolo di status sociale. Arriva lagrande distribuzione americana nei supermercati. Cambia la mentalità delle personeche gradatamente sostituiscono i prodotti artigianali con quelli di marca: si passa daun’etica del risparmio a quella del consumo-valore. Negli anni ’60 si fa più forte ilconcetto di status e Alberoni parla di beni di cittadinanza per indicare quei beniindispensabili per dimostrare l’ascesa ad uno status superiore, come la televisione o lalavatrice. Lo stile di vita diventa più frenetico e cresce l’anonimato specie nelle città,le persone usano le marche per risparmiare tempo e per essere guidata nei consumi.

Negli anni ’70 c’è un’inversione di tendenza data dalla crisi petrolifera e dalmovimento Hippie che boicotta la marca e le multinazionali. Nell’89, con la caduta delmuro di Berlino, si legittima definitivamente il consumismo e crescono a dismisura gliinvestimenti pubblicitari delle imprese. Nascono le emittenti private, Mediaset primafra tutte, e il consumo viene abbinato all’entertainment.

Con la nuova crisi economica del ’93, il consumatore si orienta al risparmio, per cuiproliferano gli hard discount. Il consumatore diventa sempre più esigente e attentoalla performance dei prodotti e alla loro dimensione simbolica e sociale. Verso la finedegli anni ’90 e per tutti gli anni 2000 Internet costituisce una svolta nellacomunicazione di marca, che riesce a raggiungere così pubblici sempre più vasti.

DISCIPLINA DEL MARCHIO

Il marchio o trademark è un simbolo distintivo che indica il diritto esclusivo ad usareuna certa forma, grafia, colore. Il marchio registrato ha valore giuridico, cioè da dirittoalla tutela legale della proprietà intellettuale di quel segno o nome. Anche unsuono può essere registrato come marchio, come nel caso del rombo della HarleyDavidson o dell’intro della 20th Century Fox. Il vincolo alla registrazione di un marchioè la sua riproducibilità grafica, quindi un odore difficilmente verrà registrato acausa della difficoltà nell’isolare graficamente quella specifica essenza, tra le migliaiadi sfumature possibili, attraverso una formula chimica.

In Italia un marchio deve essere registrato presso l’UIMB (Ufficio italiano marchi ebrevetti) ed ha validità decennale. Decorsi i 10 anni può essere rinnovato. In Italia unmarchio non verrà registrato se contrario all’ordine pubblico e al buon costume. Inoltreil marchio può perdere la sua capacità distintiva, cioè “volgarizzarsi”, a causadell’uso generalizzato prolungato. Per esempio nylon, thermos, cellophane, sono tuttimarchi che hanno subito una volgarizzazione e sono diventate parole di uso comuneper indicare tutta una categoria di prodotti.

GLI APPROCCI ALLA MARCA

L’approccio di marketing pone enfasi sull’azienda che usa la marca per raggiungereil consumatore e vendere il suo prodotto. Essa ha lo scopo di identificare il prodotto oservizio, distinguerlo dalla concorrenza, offrire valori, sicurezza e garanzia.

L’approccio finanziario pone enfasi sullo stretto legame tra forza di un brand evalore finanziario dell’azienda. Motivo per cui molte aziende negli anni’90 hannoconcentrato diversi marchi sotto una sola grande corporate.

Page 3: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

L’approccio semiotico interpreta la marca come produttore di significati. Ogni marcagenera un discorso di marca da sé e attorno a sé. Gli annunci fanno spesso ricorso aelementi dalla forte valenza simbolica per guidare il lettore verso una determinatachiave di lettura del messaggio di marca. Ciò che interessa non è l’esperienza d’usodel prodotto, ma l’esperienza di decodifica e interpretazione del messaggio che ilprodotto rappresenta. Floch utilizza il quadrato semiotico di Greimas per rappresentareil sistema di valori che ciascuna marca incarna.

L’approccio testuale vede la marca come un generatore di mondi possibili. Ognunodi noi attinge a questi mondi per strutturare e organizzare la propria comprensione delmondo e della vita quotidiana. Umberto Eco pone in risalto come l’interpretazionedegli universi testuali sia una continua battaglia per la negoziazione dei significati, unmeccanismo che richiede cooperazione: da una parte la marca deve incuriosire illettore senza dire tutto e dall’altra il lettore deve aver voglia di completare il pezzomancante, interpretare il messaggio e farlo proprio attraverso l’esperienza delconsumo.

L’approccio metaforico vede la marca come metafora di qualcos’altro. Il MulinoBianco per esempio è la perfetta metafora di un mondo buono e genuino, intriso dielementi mitici legati alla tradizione e al mangiare sano. La marca è metafora di unaprestazione o beneficio (Volvo=sicurezza) ma anche di uno stile di vita o di uno statussociale. Altre metafore sono:

- marca come specie vivente: sopravvive la marca che meglio si adatta alcambiamento

- marca come persona: più la marca si comporta come una persona e piùpossibilità avrà di attrarre “suoi simili” e quindi consumatori

- marca come racconto: la marca crea un “orizzonte d’attesa” per il consumatore,al pari di un racconto per il lettore, fatto di promesse, linguaggi, stili dicomunicazione che spingono il suo “lettore implicito” o target a proseguire nellalettura-esperienza di consumo

- marca come territorio: la marca può essere considerata al pari di un territoriocon una sua popolazione, un suo linguaggio, una sua cultura e bandiera. Ilmanagement della marca deve difendere senza sosta questo territorio dalleaggressioni esterne dei competitors o può decidere di attaccare per primoattraverso operazioni di brand extension per esempio. Viceversa il territorio puòessere una marca a tutti gli effetti e applicare i principi del branding

- marca come metonimia: nel caso della volgarizzazione della marca un marchio,per esempio, scotch (di proprietà della 3M) viene usato per indicare tutti i nastriadesivi di quel tipo

- marca come medium: la marca può essere considerata un medium, cioè unmezzo di comunicazione, in quanto permette il trasferimento di messaggi dauna comunità all’altra. Per esempio l’azienda la utilizza per mediare i significatiche vuole trasferire al consumatore e attraverso i quali il consumatore media lapropria esperienza di consumo.

LA MARCA OGGI

Ogni marca ha il proprio mondo o brand-world cioè il proprio sistema di segni cheognuno di noi può utilizzare per esprimersi e organizzare la sua esperienza quotidiane.

Page 4: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

Cioè ognuno crea il proprio personal brandscape, il proprio paesaggio di marca,riconoscendosi in determinati brand piuttosto che altri. Una giornata qualsiasipotrebbe persino essere riassunta in funzione delle marche di cui ci circondiamo.

La marca è story-teller, racconta una storia, la propria, frutto di un’attenta strategianella quale condensa i propri valori e veicola significati per lo più accessibili e familiarie quindi di facile memorizzazione. Attraverso lo story-telling la marca riesce a riempiredi pathos anche gli oggetti di consumo più banali. E’ importante che la storia siacoerente nel tempo (brand consistency).

Inoltre la marca è polisensuale, in quanto cerca di coinvolgerci attraverso tutti i sensi(per es. LG Chocolate) e crossmediale, cioè tende a utilizzare più canali mediatici inmodo complementare e integrato, adattando i contenuti alle peculiarità del canalestesso. La crossmedialità implica inoltre una marca sempre più 2.0 che spinge gliutenti alla partecipazione attiva (per es. televoto di X-Factor o NikeID e lapersonalizzazione della scarpa) e alla produzione e condivisione dei contenuti, gli user-generated contents, come i contest artistici lanciati per la promozione di un film. Lamarca è poi sempre più disseminata. Basta pensare alle Winx di Iginio Straffi chehanno dato vista ad un vastissimo merchandising e persino a un musical. La marca siè inoltre ibridata cioè si assiste spesso a marche che abbracciano più categoriemerceologiche, come Harry Potter (libro e film) oppure compiono operazioni di co-branding (Hello Kitty e Skype) o ancora nascono dove erano solo dominio di fantasia(la birra Duff dei Simpson immessa nel mercato).

La marca usa sempre più il linguaggio delle emozioni, punta al cuore dei consumatoried è attiva socialmente (citizen brand) per es. attraverso azioni di cause-relatedmarketing; utilizza il punto vendita per mettersi in mostra (per es. temporary store) oper offrire un’esperienza unica (Hard Rock Café).

In definitiva la marca punta oggi a generare la brand experience, che tanto più èarticolata tanto più sarà memorabile e efficace nel generare valore per il consumatoree, di conseguenza, per la marca stessa.

FUNZIONI DELLA MARCA

La marca è una sorta di guida nel vasto mercato dei prodotti tra i quali sarebbeimpossibile scegliere secondo la logica di Keynes, quella del decisore razionale chevaluta tutte le alternative e sceglie quella che gli offre il miglior rapporto costo-beneficio. In realtà quello di scelta di un prodotto è un processo euristico cioèdominato da scorciatoie di pensiero che ci consentono di ridurre lo sforzo cognitivorichiesto dalla scelta.

La marca è la nostra prima scorciatoia cognitiva perché ci offre garanzie di qualità edi valore (reale o percepito) riducendo così il rischio legato alla scelta di un prodottoche non si conosce, o di cui si ha scarsa competenza. La nostra sensibilità alla marcanel processo di scelta dipende proprio dalla quantità di informazioni che possediamo,ma anche da fattori personali e affettivi.

LA FIDUCIA

Page 5: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

Per ottenere effetto sul consumatore la marca deve lavorare molto e guadagnarsi lafiducia del consumatore. Solo le marche più forti ci riescono. Infatti la fiducia siconquista col tempo, attraverso un ripetuto processo di esperienza-apprendimento daparte del consumatore. Inoltre la fiducia è influenzata anche dal comportamento e daivalori della marca che devono essere condivisi dal consumatore e coerenti nel tempo.

LA PROMESSA DI MARCA

Ogni marca promette al consumatore di generare valore per lui attraverso lasoddisfazione di un determinato bisogno reale o astratto (il cosiddetto end benefit). E’la reason why o reason to believe, il motivo per cui credere alla marca stessa epreferirla ad altre (“Dash lava più bianco”). In questo senso la marca è democraticaperché consente al consumatore la possibilità di cambiare se la promessa non vienesoddisfatta.

RIDUZIONE DEL RISCHIO

Oltre che il rischio funzionale legato alle caratteristiche d’uso del prodotto, la marcaassolve anche la funzione di riduttore di rischio fisico e finanziario. Per esempio sevoglio una macchina sportiva e veloce e scelgo una Ferrari, so per certo che saràveloce, non mi lascerà a piedi o peggio senza freni, sarà costosa, ma in termini dirapporto qualità-prezzo saranno soldi ben spesi. Inoltre avere una Ferrari costituirà perme un vantaggio di immagine azzerando il rischio sociale dovuto ad uno scarsoapprezzamento del mio acquisto. In questo modo avrò soddisfatto il mio desiderio diavere una macchina sportiva e provandola esperirò un benessere psicologico chemitigherà il pensiero dell’ingente somma spesa. Inoltre così facendo non avrò persotempo a scegliere tra le tante marche di auto sportive, andando a colpo sicuro sullamigliore della categoria.

Insomma si può affermare che un brand come Ferrari sia un brand forte a tutti glieffetti, offrendomi garanzie sulla performance, possibilità di personalizzazione erispondendo ad un mio bisogno edonistico nel migliore dei modi. La marca infatti èanche fonte di piacere. Per finire so anche che Ferrari è impegnata socialmenteattraverso la Fondazione Enzo Ferrari, assolvendo quindi a una funzione etica erafforzando nella mia mente l’immagine della marca.

LE PRIVATE LABEL

Le marche sono essenziali tanto per i consumatori, quanto per i produttori e idistributori. La marca consente all’impresa di aumentare la propria valutazionefinanziaria e di avere maggior potere contrattuale con i distributori. Questi a lorovolta si servono delle marche più forti per vendere meglio i prodotti sui propri scaffali(secondo la logica per cui maggiore è la quota di mercato detenuta dalla marca,migliore è la propria posizione sullo scaffale). Tuttavia i distributori da diversi annihanno introdotto le proprie private label cioè marche private che portano il nome deldistributore (per es. bagnoschiuma a marchio Carrefour), il quale commissiona aaziende esterne la produzione della propria gamma di prodotti.

Le private label offrono al distributore un doppio vantaggio per via dei bassi prezziapplicabili e del maggior margine di profitto, oltre che da una libertà di

Page 6: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

posizionamento del prodotto sullo scaffale, indipendentemente dalla logica dellequote.

Il distributore può scegliere la strategia di posizionamento della private label che nonsempre segue una logica low price, infatti può essere:

- marca di primo prezzo, di solito con prezzi inferiori del 50% rispetto alla marcaleader di mercato

- marca premium, con prezzo anche del 30% superiore alla marca leader- marca insegna, sotto la quale si collocano la maggior parte dei prodotti, con un

prezzo in media del 25% inferiore alla marca leader- marca bio, si tratta di prodotti biologici per cui anche del 15% più cari della

marca leader (per es. Esselunga Bio, prima in Italia con 250 prodotti bio).

In base alle ricerche di mercato i consumatori sembrano percepire una effettivaconvenienza delle private label anche sul piano qualitativo e quindi non è il prezzol’unico fattore a guidarne la scelta. Inoltre le private label si servono di strategie dicamuffamento e imitazione sistematica della marca leader sul piano del nome e delpackaging per ridurre al minimo la differenza percepita e desensibilizzare ilconsumatore alla marca. Carrefour, per esempio, diede battaglia a Mulino Biancoimitando i suoi prodotti con lo slogan “altrettanto buoni, meno cari”.

AGGIUNTA MIA. Non ditelo alla Minestroni, non me ne assumo la responsabilità se poivi boccia! In realtà le maggiori private label (Carrefour, Conad, Coop, ecc.) stringonoaccordi con le marche leader per farsi produrre i prodotti che poi rivendono comemarca insegna o primo prezzo. Per fare degli esempi il riso FIOR FIORE COOP èprodotto da Riso Scotti; Il latte UHT Coop è prodotto da Granarolo; la Colomba Conad èprodotta da Paluani e i Wurstel Conad sono Beretta; i tortellini Carrefour sono GiovanniRana e il gelato Esselunga è Sammontana. Solo per citarne alcuni (fontehttp://www.guidaacquisti.net/il-trucco-per-acquistare-prodotti-di-marca-a-meta-prezzo).Che ci guadagna allora la marca leader? Ci guadagna eccome perché in questo modosi aggiudica anche la fetta di mercato low price che altrimenti sarebbe stata occupatadal distributore, riservando a quest’ultimo un giusto margine di profitto ovviamente.Così al distributore non cambia niente e sono tutti contenti. Al consumatore cambiainvece che così facendo può risparmiare anche il 50% acquistando lo stesso prodotto“di marca”!

IDENTITA’ DI MARCA

Per identità di una marca si intende l’insieme dei significati e dei significanti che lamarca trasmette al mercato, al fine di ricavarne un vantaggio competitivo suiconcorrenti in termini di distintività e valore aggiunto. Senza un’identità la marcasarebbe solo un logo su una confezione. E’ la marca che decide che identità veicolaree costruire nel tempo: è il suo carattere, il suo potere emotivo e contrattuale con ilconsumatore, la sua mission e vision. L’identità incarna in sostanza valori diprodotto (corrispondono in genere col prodotto di punta, per es. Nutella-Ferrero,iPhone-Apple), contenuti emotivi (alla base di una relazione duratura), valorisociali (assunzione di responsabilità, principi etici, ecc.) e cultura d’impresa (iprincipi che guidano l’impresa, x es. P&G = innovazione).

LA VERSIONE DI AAKER

Page 7: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

L’identità di marca ha una struttura concentrica costituita da due cerchi. Quellointerno è la core identity, il nucleo della marca, costituito dai suoi elementi piùcaratterizzanti, che rispecchiano i valori e la strategia e dovrebbero rimanere stabilinel tempo, anche in caso di operazioni di estensione a nuovi mercati o prodotti (brandextension, brand stretching, ecc.). Il cerchio esterno è invece l’extended identity,cioè l’insieme degli aspetti di marca che pur non essendo core partecipano a costruirel’identità complessiva della marca, come la sua personalità, i suoi benefici emotivi el’immagine del suo utilizzatore ideale.

IL PRISMA DI KAPFERER

Kapferer concettualizza l’identità di marca attraverso un prisma ideale, chegraficamente corrisponde a un esagono. I sei lati rappresentano ognuno unadimensione e tutte le dimensioni dell’identità si influenzano reciprocamente. Ledimensioni sono:

- luogo fisico (lato nord-ovest), è il dominio concreto della marca, l’elementotangibile e distintivo che la marca evoca immediatamente. Può essere unsimbolo, un personaggio, un prodotto capostipite o una qualità (Barilla=blu,Volvo=sicurezza, Ferrero=cioccolata, Bialetti=omino coi baffi)

- personalità (lato nord-est), è il carattere della marca che si forma non appenauna marca comincia a comunicare. Spesso si ricorre a un testimonial cheriassume le qualità della marca e ne diventa portavoce. Può essere unpersonaggio reale e famoso (Ferilli per poltronesofà, Brignano per Lavazza) oun personaggio di fantasia (cowboy Marlboro, Mastro Lindo, Super Mario perNintendo). A volte l’imprenditore stesso si espone in prima persona (GiovanniRana).

- cultura (lato est), è l’universo di culturale che la marca veicola, fatto della suastoria, delle sue tradizioni, dei suoi valori ed espressioni.

- relazione (lato ovest), è l legame simbolico che si crea con l’interlocutore, ilpatto con il consumatore, il discorso sociale della marca. Nike con il Just do it! oL’Oreal con Perché voi valete si sono entrambe rivolte alle persone con unchiaro messaggio

- riflesso (lato sud-ovest), costituisce l’immagine esterna che la marca riflette,che si identifica con il suo consumatore tipo (per es. consumatoreApple=persona smart). E’ diverso dal target. Infatti i due possono anche noncoincidere come nel caso di Nike che con le Air Jordan si rivolgeva ai giocatori dibasket professionisti, tuttavia è riuscita a creare, di riflesso, l’immaginedell’utilizzatore ideale della marca: chi indossa Nike è una persona atletica e locomunica al mondo

- mentalizzazione (lato sud-est), è la rappresentazione interna che l’individuosi fa della marca (contrario del riflesso). Kapferer suggerisce come la Porsche siamentalizzata dal consumatore-tipo come un traguardo da raggiungere, unsegno del proprio successo. Al contrario ciò che il guidatore Porsche rifletteall’esterno è l’immagine di uno “sbruffone esibizionista”. La prima ha unavalenza positiva, l’altra negativa. Al contrario Lacoste è riuscita a far coinciderele due dimensioni, in quanto la mentalizzazione del consumatore Lacoste èquella di membro di un club sportivo ma non esclusivo, democratico. In Franciala marca è riuscita a trasmettere di riflesso un’immagine molto simile.

Page 8: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

LE ENCICLOPEDIE DI SEMPRINI

Semprini considera l’identità di marca in chiave sistemica, come frutto dell’incastro ditre sotto-sistemi che chiama Enciclopedie:

- l’Enciclopedia della Produzione, che racchiude la cultura e i valori dell’azienda,gli obiettivi di breve e lungo termine, il mix di comunicazione, la visione delcontesto di socio-culturale e di mercato, la prefigurazione degli altri sottosistemi

- l’Enciclopedia del Contesto, che è determinata dall’ambiente esterno (mercato,cultura, legislazione, concorrenza, ecc.) e dall’influenza delle altre Enciclopedie

- l’Enciclopedia della Ricezione, che include atteggiamenti, motivazioni, valori,pratiche di consumo e interpretazione della Produzione e del Contesto.

CAMBI DI IDENTITA’: IL CASO DASH

La marca deve stare molto attenta a mantenere un’identità coerente nel tempo.Quando si decide di attuare una strategia di modifica alla propria identità si corre ilrischio che le persone non ci riconoscano più. E’ quello che è successo a Dash quandodecise, nel 2006, di cambiare il claim con il quale aveva annunciato la propria forzaper decenni “Dash, più bianco non si può” in “Dash, più luce alla tua vita”. La scelta,dettata da un’esigenza di ringiovanimento e rassicurazione della non aggressività delprodotto, si è rivelata un flop totale. Infatti la marca non era più riconoscibile, avevaperso l’attributo pratico di “prodotto sbiancante” per assumere una connotazione piùastratta e esistenziale, che i consumatori non hanno apprezzato.

IDENTITA’ DI GENERE: CASO YORKIE

A volte i brand possono decidere di eleborare scelte identitarie molto selettive eristrette ad una precisa categoria. Yorkie è una barretta al cioccolato della Nestlé cheha scelto un posizionamento particolare: quello di baretta “per maschi” e lo hacomunicato in modo ben chiaro attraverso claim come It’s not for girls con il sibolo di“vietato alle femmine”. Partendo dal concetto che mangiando la cioccolata gli uominiaffermano la propria mascolinità (in quanto masticano rumorosamente, fanno tantesmorfie e si sporcano di più) Yorkie ha deciso di diventare il veicolo di quellariaffermazione di genere, rivolgendosi esclusivamente al pubblico maschile.

USP e UEP

La Unique Selling Proposition è una teoria di successo elaborata negli anni ’40 daRosser Reeves e applicata ancora oggi, secondo la quale le comunicazioni di marcache funzionano di più sono quelle che puntano su un solo elemento distintivo oproposizione di vendita. Bisogna comunicare ai consumatori promesse uniche, che laconcorrenza non può offrire e che siano così forti e rilevanti per le persone daspingerle all’acquisto. L’USP rientra nelle strategie di posizionamento, in base allequali la marca decide come vuole essere rappresentata nella mente delle persone.M&M’s per esempio venne lanciata da Reeves che la annunciò come “il cioccolato chenon si scioglie in mano”, indicando un solo elemento di chiara distintività rispetto aicompetitor.

Quasi contemporaneamente Leo Burnett elaborò un concetto diverso, ma altrettantoefficace: la teoria della Unique Emotional Plus, secondo la quale è il contenuto

Page 9: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

emozionale insito nella marca o prodotto la cosa più importante. E’ grazie ad esso chela marca instaura un rapporto di vicinanza alle persone e conferisce al suo prodotto,anche al più banale, un vantaggio competitivo. Un UEP si può ottenere dotando lamarca di un set di attributi di personalità attraenti e coinvolgenti, emozionali, peresempio utilizzando un brand character che riassuma in sé questi tratti. Un caso disuccesso a cui Burnett applicò la sua teoria è quello di Marlboro. Da marca di sigarettefemminili, il brand voleva rivolgersi ad un target maschile per cui Burnett pensò dicreare un testimonial mitico, l’Uomo Marlboro, macho e forte, il prototipo del cow-boyamericano.

Sia l’USP che l’UEP costituiscono quello che Aaker ha chiamato brandeddifferentiator, cioè l’elemento che serve a creare un punto di differenziazione per lamarca. I differenziatori in genere giovano particolarmente a brand giovani e, perriassumere, possono consistere in:

- una funzione (Gatorade reintegra i sali minerali)- un attributo (Riso Gallo è pronto in 5 minuti)- un ingrediente o tecnologia che aggiunge valore alla marca (Activia con Bifidus

Actiregularis, North Face con tecnologia Gore-Tex)- un servizio di marca (su Amazon puoi pagare con PayPal)- un programma di marca (Programma fedeltà Mille Miglia di Alitalia)

e infine

- un beneficio emotivo o di auto espressione, detto anche end benefit cioè unvalore aggiunto più implicito e astratto, ma comunque di grande forza, insitonell’utilizzo del prodotto. Per es. il detersivo che lava più bianco già al primolavaggio permette alla mamma di risparmiare tempo da dedicare alla famiglia oa sé stessa (beneficio emotivo); oppure “se sostengo Greenpeace sono attentoall’ecologia” (beneficio auto espressivo).

NAMIN E LOGO

Naming

Il momento della scelta di un nome per la marca è cruciale perché quel nome laidentificherà nella mente del consumatore e difficilmente potrà essere cambiato senzaconseguenze negative per il brand. Il nome può essere descrittivo del prodotto(Pagine Gialle) o evocativo, cioè rimandare a significati e associazioni simboliche(Apple non c’entra niente con un computer, ma rimanda a freschezza, informalità,semplicità, innovazione). Il nome deve difendibile legalmente per cui non sipotrebbe mai chiamare una azienda petrolifera “Diesel”, perché non sarebbedenotativo di proprietà essendo una semplice descrizione della categoria. Tuttavia lo sipuò utilizzare per una marca di jeans. Il nome in questo caso è sia una garanzia per ilbrand di differenziazione dalla concorrenza, sia per il consumatore che può orientarsipiù facilmente nel mercato.

La strategia di naming del brand deve rientrare in un’ottica a lungo termine e puòinfluenzare anche la brand architecture stessa come nel caso di Ford che storicamentea chiamato moltissimi modelli con la lettera “F” iniziale (Fiesta, Fusion, Focus,ecc.) odi IKEA, che sceglie nomi da uomo per sedie o librerie e nomi da donna per per tende

Page 10: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

e tessuti. Così facendo la marca dona coerenza interna al proprio brand e questo haovviamente un riflesso positivo sull’immagine del consumatore. La scelta di un nomesbagliato può compromettere la vendita di un prodotto, specie se non si tengono inconto fattori culturali. Per es. la Chevrolet Nova, che vendette benissimo negli USA,fu un flop in Messico, dove il nome dell’auto richiamava l’espressione spagnola “nova”, cioè “non funziona”. In alcuni casi quindi è essenziale valutare un re-naming, chepuò anche essere utile a comunicare un’identità nuova (per es. nel caso di acquisizionicome per Omnitel che è diventata Vodafone).

Logo

Il logo svolge, assieme al nome, le funzioni principali di identificazione,differenziazione e memorizzazione del brand. Il logo è una garanzia di qualità per ilconsumatore. Con esso il brand comunica la propria identità, personalità. Il logodovrebbe evocare gli attributi fondamentali della marca o prodotto, esprimere sintoniaal proprio target (utilizzandone i codici espressivi) ed essere coerente al brand name(utilizzando uno stile che ne evochi il contenuto). Il logo è di solito costituito da unlettering e da un simbolo. Il simbolo può essere figurativo (il coniglietto di Playboy),astratto (swoosh di Nike) o anche un personaggio (Ronald McDonald, Mastro Lindo).

Packaging

E’ il contenitore del prodotto, quindi serve a proteggerlo e a preservarlo, ma è ancheun potente veicolo di comunicazione con il consumatore. Esso racconta una storia,quella del brand, ma anche scelte stilistiche di design, innovazione e cura dei dettagli.

Pay-off

Il pay-off è lo “slogan” che spesso accompagna la marca ovunque vada, specialmentenei messaggi pubblicitari, e dovrebbe condensare in una breve espressione ilposizionamento, i valori e il DNA di una marca. Alcuni pay-off di successo: il Just do it!di Nike che invita all’azione; il No Limits di Sector che esorta a non porsi limiti; ilPerché voi valete di l’Oreal, un appello al valore individuale; il Think Different di Apple,un appello a pensare fuori dal coro.

IMMAGINE DI MARCA e REPUTAZIONE

L’immagine di una marca è l’insieme delle percezioni e delle associazioni che iconsumatori si formano nella propria memoria in riferimento alla marca stessa.

Cosa contribuisce a formare l’immagine? Le caratteristiche del prodotto e l’esperienzadiretta della marca sono fondamentali, infatti un consumatore insoddisfatto si formeràun’immagine pessima della marca (e farà anche cattiva pubblicità peggiorando labrand reputation). Inoltre contribuiscono anche la comunicazione della marca, siadiretta attraverso la pubblicità, che indiretta attraverso la rappresentazione che nedanno i media. Fatti di cronaca negativi che coinvolgono la marca possono esseremolto dannosi per la brand image. Inoltre una comunicazione debole, poco efficace oincoerente può essere altrettanto deleteria. Anche la contraffazione costituisce negliultimi anni un grande problema specialmente per la case di moda che vedonoindebolirsi l’appeal della marca a causa della sua volgarizzazione (specialmentequando è ingannevole, cioè il consumatore non si accorge della differenza).

Page 11: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

A volte ad un’azienda serve un cambiamento di immagine in quanto riconosce che ilproprio brand ha un’immagine antiquata o connotata negativamente dal pubblico. Unastrategia da perseguire è l’introduzione sul mercato di prototipi, termine usato perprimo da Kapferer, il quale riporta il caso Mercedes che negli anni ’90 era ormaipercepita come una macchina per “ricchi pensionati” o “manager in carriera”.Pomposa, ostentativa, poco dinamica. La casa automobilistica optò allora perl’introduzione del prototipo “Classe A”, un’auto giovane, dalla forte personalità,compatta, che poteva contare sulla qualità e lo stile Mercedes, ma rivolgendosi ad untarget più giovane e dinamico. Oppure Nike, che da marca dura e inflessibile, troppotecnica, maschilista. Decise di attuare un cambio di rotta a seguito del sorpassostorico da parte di Reebok, nel 1987, sul fronte del mercato femminile. Nike introdussenuovi prototipi rivolgendosi anche al pubblico femminile e ad attività “più ricreative”(interval training) che esulassero dal dominio assoluto del running.

Una marca può essere minacciata dalle cosiddette fonti parassite come il me too o illook alike di alcuni brand inferiori che mirano a seguire e a mimetizzarsi con la marcaleader, intaccandone la fetta di mercato. Anche il brand extension, lo stretching o illicensing sono due pratiche che se non attentamente studiate a tavolino possonorivelarsi dei grandi fallimenti e indebolire l’immagine (Chiquita con il lancio dei sorbettialla banana durante una crisi del mercato o Pierre Cardin che arrivò a firmare qualsiasicosa concedendo in licenza il proprio marchio e diminuendone il valore). Inoltre l’usoprolungato di un testimonial può cannibalizzare l’immagine della marca in favore diquella del testimonial stesso. Infine l’identità fantasma, che rientra nella sfera dellasoddisfazione del cliente, intacca l’immagine quando la marca crea delle aspettative divalore che poi si rivelano infondate (Microsoft con Windows Vista).

La brand reputation, a differenza della brand image, si riferisce non a ciò che lagente percepisce della marca, ma a ciò che effettivamente dice di essa, a come neparla. La reputazione di una marca aiuta il consumatore nel momento dell’acquista,ovvero la sceglie perché “ne ha sentito parlare bene”. Ha una forte connotazionemorale, infatti è fortemente influenzata comportamento sociale della marca, lacosiddetta brand citizenship. Oggi la marca si espone moltissimo ad attacchi alla suareputazione specialmente sul web, dove le notizie viaggiano velocissime e su scalaglobale.

Diversa, è la brand awareness (collegata alle euristiche di pensiero tipo “se laconosco vuol dire che è buona”), cioè la notorietà di marca, che partecipa allamisurazione della brand equity, il valore complessivo di una marca. Essa può esseremisurata attraverso prove di ricordo spontaneo (unaided recall) o di riconoscimento(aided recall). Le marche che per prime vengono in mente quando si pensa ad unadeterminata categoria merceologica sono dette Top of Mind e corrispondono in genereai leader di mercato (per es. macchine sportive = Ferrari, Lamborghini, Maserati). Lamarca dominante è la prima citata e a volte l’unica di una categoria (magari perché hainventato la categoria, come Red Bull per gli Energy drink).

FEDELTA’ ALLA MARCA

La fedeltà alla marca o customer loyalty è la misura dell’attaccamento deiconsumatori al brand. Indica il tasso di ri-acquisto cioè la capacità del brand digenerare una scelta ripetuta di acquisto nel tempo di un determinato prodotto o

Page 12: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

servizio. Nella piramide della fedeltà di Aaker, l’autore individua diversi gradi di fedeltàche vanno dal più basso, cioè “l’acquirente infedele”(la cui discriminante è il prezzo),all’acquirente soddisfatto con costi di cambiamento, a quello “innamorato dellamarca” fino a quello pienamente coinvolto, che si riconosce nell’utilizzo della marca inquanto adempie ai propri bisogni di auto espressione e riconoscimento sociale. Inquesto caso la variabile prezzo può diventare irrilevante.

La fedeltà alla marca risente di alcuni fattori come l’acquisto d’impulso, che per suanatura non prevede una pianificazione. Si è ormai soliti considerare fedeli iconsumatori che riacquistano la marca nel 50% dei casi (40% nel mercatoautomobilistico). Le marche utilizzano strategie di custode retention, cioè difidelizzazione, per esempio attraverso la distribuzione di carte fedeltà, le qualipermettono di accumulare sconti e premi, ma sono anche un ottimo strumento disegmentazione dei clienti, sulla base di dati reali sulle abitudini di acquisto deglistessi, che consentono alle aziende di elaborare strategie mirate. Lle norme vigenti inmateria di privacy (24 febbraio 2005) stabiliscono che le informazioni trattenute con leCarte Fedeltà non possono essere conservate per più di 2 anni (per le ricerche dimercato) e devono rispettare i dati sensibili del cliente riducendo al minimo leinformazioni personali.

POSIZIONAMENTO

Come il nome stesso suggerisce il posizionamento di una marca o prodotto si riferiscea come l’azienda decide di collocarsi nella mente del consumatore target rispetto allaconcorrenza. Una strategia di posizionamento efficace dovrebbe quindi puntare su unelemento di differenziazione che sia rilevante per il cliente.

Lo strumento più usato per elaborare una strategia di posizionamento è la mappapercettiva, cioè un sistema cartesiano dove vengono collocate le marche concorrentirispetto ad alcune variabili scelte arbitrariamente (per es. qualità e prezzo), sulla basedella percezione dei consumatori. In questo modo il brand che vuole posizionarsi puòrendersi conto di quali rischi dovrà affrontare e quali barriere in ingresso possonoesserci. Potrà decidere di attaccare direttamente la marca leader (scelta rischiosa)oppure di rivolgersi ad una nicchia, ma in entrambi i casi dovrà avere ben chiaro ilproprio target di riferimento. Per far questo il brand dovrà segmentare il pubblico inbase a caratteristiche demografiche (età, sesso, reddito), ma soprattutto in base aibisogni, gli stili di vita, la cultura, i valori.

Le leve di posizionamento possono essere diverse e dipendono dalle caratteristichedel prodotto e dalla categoria di consumo. Possono essere tangibili, cioè fare leva subenefit concreti offerti dalla marca (prezzo, tecnologia, occasioni d’uso, ecc.), oppureintangibili, che riguardano la sfera emotiva del consumatore. Possono ricorrere ad untestimonial famoso, puntare sull’effetto paese di origine (“il vero parmigiano italiano”)o porsi in antitesi con un concorrente (“rispetto a X noi siamo più convenienti”).

Quando non si può attaccare la marca leader perché troppo forte e con mezzifinanziari superiori, il brand può sceglier di posizionarsi al di sotto di essa. Caso disuccesso è quello della Hertz, che non potendo competere con Avis, leader nelmercato del noleggio auto, si posizionò come la numero 2 senza vergognarsene, con ilmotto we try harder, cioè ci “impegnamo sodo”. Oppure quello di 7-Up che si firmò

Page 13: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

come la uncola, la “non cola” non potendo imitare Coca-Cola, ma facendosi amare perla sua personalità.

MODELLI DI POSIZIONAMENTO

Kapferer propone il quadrilatero, un modello di riferimento per costruire una correttastrategia di posizionamento fatto di quattro domande essenziali a cui l’azienda devesaper rispondere prima di inserirsi sul mercato:

- perché? cioè la reason to believe, il motivo per cui il consumatore dovrebbescegliere la marca

- per chi? cioè a chi si rivolge la marca, qual è il suo target (Bear è nata comemarca per surfisti, adesso si rivolge a chiunque voglia “sentirsi surfista”)

- quando? cioè l’occasione di consumo, il tipo di fruizione che appartiene allamarca (Fiesta per quando “non ci vedi più dalla fame”; Coca-Cola è riuscita aposizionarsi come la bevanda per ogni occasione con il motto Always Coca-Cola)

- contro chi? cioè avere ben chiaro il proprio ruolo rispetto ai competitor (Dixanè competitor diretto di Dash; De Cecco di Barilla; Burn di Red Bull, ecc.).

Lombradi semplifica il modello utilizzando la metafora del territorio, che risponde alladomanda “che cos’è il prodotto?”, seguita dal target (per chi?) e dal beneficio (cosaoffre la marca?).

LA MARCA CORPORATE

Per Corporate si intende l’impresa che sta dietro il brand, ovvero un portafoglio dibrand. Di solito infatti noi conosciamo solo le marche perché sono le uniche ad esserepubblicizzate, mentre la Corporate non compare, rimane nell’ombra, con lo scopo dicoordinare ed elaborare le strategie per le diverse divisioni di prodotto (businessunit) e di curare gli aspetti prettamente economici (le economie di scala) e finanziaridella marca. Inoltre ha la responsabilità di allineare tutti i suoi brand sotto un sistemadi valori comune, ma ha pure una responsabilità sociale che, se mal gestita puòripercuotersi negativamente sui propri brand (effetto della fonte).

Fino alla fine degli anni ’80 in Occidente si pensava che dovessero essere solo lemarche a parlare, in quanto la Corporate doveva rimanere solo un soggettofinanziario, una questione di azionisti e investitori insomma. Uno degli esempi piùesemplari è P&G o Unilever, entrambe con decine di brand diversi al proprioportafoglio e che, tuttavia, non si sono mai firmate (freestanding brand). Tuttavia negliultimi anni si è assistito ad una inversione di tendenza in quanto le Corporate hannocapito l’importanza di comunicare con il cliente.

A fare da modello sono stati i giapponesi che da sempre utilizzano questo approccio.Le grandi industrie nipponiche come Yamaha e Mitsubishi, infatti, firmano col proprionome tanti prodotti differenti (architettura monolitica), dalle moto ai motori per lanautica, ai pianoforti, ai beni alimentari. In Giappone, infatti, la reputazionedell’azienda produttrice è fondamentale per costruire legami solidi con i consumatori.Tuttavia anche loro ultimamente si stanno invece convertendo in parte al modellooccidentale, in quanto in alcuni mercati è più vantaggioso differenziare che unificaresotto la stessa effige.

Page 14: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

E così L’Oreal nel 1998 ha cominciato ad utilizzare una sola visual identity e un sollopay-off “perche voi valete” per tutti i suoi prodotti, capendo l’importanza di curare lamarca corporate. Ultimamente anche P&G, che è sempre rimasta silente, sta facendoCorporate branding attraverso una comunicazione autoreferenziale che ne esaltaconcetti come la mission e la vision. La prima esalta lo scopo d’impresa, lagiustificazione dell’esistenza della marca, che si riassume nel Brand MissionStatement (Ikea “creare una vita quotidiana migliore per la maggior parte della gente”o Nike “Creare Sogni”). La vison invece è incentrata su uno scenario futuro dainseguire, gli obiettivi di lungo termine del brand (Pepsi “Essere il catalizzatore delcambiamento di un’intera generazione”). Alcune Corporate come Gruppo Barilla oNestlé, pur non comunicando in modo esplicito, usano codici espressivi affini ecoerenti in tutta la loro comunicazione di marca, rendendosi riconoscibili e fungendoda garante dei vari sub-brand (si parla di Endorsed brand).

LA BRAND EQUITY

Anche la marca Corporate, come i suoi sub-brand, ha un valore di marca o brandequity che è fatto di elementi tangibili e intangibili (asset). Tra quelli intangibilitroviamo la brand identity, la brand image (che partecipa per circa il 5% del poterecontrattuale della marca) e la brand reputation (che si forma nel tempo).

Gli approcci alla misurazione del valore di una marca sono essenzialmente di tre tipi.Si dicono:

- consumer based quelli che si basano sul valore percepito dal consumatore - asset based quello che si basano sugli asset (tangibili e intangibili)- business oriented quelli che prendono in considerazione quanto, in termini

monetari, brand image, brand awareness e loyalty siano in grado diinfluenzare la risposta dei consumatori alle politiche di marketing (detto effettodifferenziale; è positivo quando per es. la marca influisce provoca bassasensibilità del consumatore all’aumento del prezzo o alla diminuzione degliinvestimenti in pubblicità).

MODELLO CBBE DI KELLER

Secondo il modello CBBE la forza di un brand è rappresentata da tutto ciò che i clientihanno appreso o sperimentato nel tempo in merito a quel brand. Il modello CBBE(Consumer Based Brand Equity) è oggi utilizzato per mettere a punto brand forti,infatti studia con approccio cognitivista come riuscire a stabilire nella mente deiconsumatori set di idee e percezioni sul brand, che siano funzionali al posizionamentocompetitivo dell’impresa. I tre elementi della brand equity sono conoscenza del brand,effetto differenziale e la risposta alle politiche di marketing.

Se la marca non riesce a provocare alcun effetto differenziale si associa allecommodity, la merce comune. La chiave del valore del brand è, secondo Keller, propriola conoscenza del brand stesso che si traduce in brand awareness , la forza delricordo della marca stessa, e brand image la forza delle associazioni positive al brandnella mente del consumatore. La conoscenza della marca offre un triplice vantaggio:quello di apprendimento (“ho capito che questa marca fa telefoni ”), quello diconsiderazione (“ho capito che questa marca fa telefoni buoni”), quello di scelta (“neldubbio tra questa e quella marca scelgo questa perché la conosco”).

Page 15: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

Secondo Keller il brand riesce a sedimentarsi nella mente del consumatore attraversol’esposizione ripetuta alla marca stessa. Ma la quantità non basta, le esposizionidevono essere di qualità per creare associazioni positive, forti e durature.

LA PIRAMIDE CBBE

Keller identifica 4 stadi che portano alla creazione di una marca forte. Si tratta di unmodello generativo riferito alla capacità della marca di creare valore per ilconsumatore. Ogni stadio corrisponde al livello di una piramide, per cui partendodalla base si ha:

- STADIO 1 (base della piramide): prominenza del brand , cioè lo stadio in cuil’impresa deve creare consapevolezza della marca. La marca deve rendersiriconoscibile e memorizzabile, facendo si che il pubblico la identifichi con unaspecifica categoria merceologica (Risponde alla domanda “chi sei?”)

- STADIO 2 (secondo livello): immagine/performance del brand , cioè lo stadio incui l’impresa deve lavorare per imprimere nella mente del consumatore ilsignificato della marca. E’ il momento in cui il consumatore si crea un’idea dicosa sia il brand (immagine) e di cosa fa (performance), sia direttamente(esperienza di consumo) sia indirettamente (Marketing, pubblicità). Rispondealla domanda “cosa sei?”

- STADIO 3 (3° liv): giudizi/sensazioni sul brand, cioè il momento in cui la marcadeve creare una risposta positiva all’immagine che si è creata. Il consumatorecrea cioè giudizi di valore riferiti a alla marca, in particolare in termini di qualità,credibilità, considerazione, superiorità del brand. Anche le sensazioni sonoimportanti; il consumatore dovrebbe sviluppare una reazione emotiva positivaall’esperienza col prodotto. (risponde alla domanda “cosa penso di te? chesensazioni mi susciti?”)

- STADIO 4 (vertice): Risonanza, l’ultimo stadio, quello in cui la marca deveriuscire a trasformare la risposta positiva del consumatore in un relazione attiva(active engagement) e duratura (fedeltà). La risonanza si riferisce all’intensitàdel legame psicologico/affettivo tra individuo e marca, al senso di attaccamentoe di comunità. E’ il vero “feeling” con la marca, cioè il massimo valore per ilconsumatore.

A Keller è stato criticato l’approccio troppo cognitivista, accusato di non aver lasciatoabbastanza spazio ad una lettura interpretativa della marca da parte del consumatore,alla sua capacità di contrattazione e filtro. Il consumatore viene più visto come un“terreno vergine” su cui il brand può lavorare a suo piacimento e imprimere il propriosegno.

BAV (Brand Assett Valuator)

Il BAV è uno strumento di misurazione della brand equity messo a punto nel 1993dall’agenzia pubblicitaria Young & Rubican. Tale modello compara tra loro migliaia dibrand permettendo di valutarne lo stato di salute attuale e le potenzialità future.

Esso utilizza un sistema di assi cartesiani che formano 4 quadranti (Power Grid). Dasud a nord si misura la Forza di una marca (diversità e rilevanza), mentre da ovest aest la sua Statura (familiarità e stima). La Forza è il potenziale di crescita futura ovitalità della marca ed è composto dalla sua diversità, cioè cosa la rende differente

Page 16: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

dalle altre, e dalla rilevanza, cioè se questa differenza la rende realmente importantenella mente del consumatore. La Statura indica la grandezza della marca, ciò che hacostruito nel tempo ed è la combinazione di: familiarità cioè il grado di conoscenzaprofonda del brand, la capacità di considerarla “di casa”; e stima cioè quanto la marcaè apprezzata, tenuta in considerazione dai consumatori. Una stima superiore allafamiliarità è tipica delle marche giovani, il contrario è tipico delle marche percepite dibassa qualità.

La combinazione di Forza e Statura colloca la marca in uno dei quadranti del PowerGrid. Dalla sua posizione possiamo capire l’età anagrafica del brand:

- nel quadrante di Sud-Ovest si collocano le marche appena nate, che nonhanno né forza né statura in quanto all’inizio del loro ciclo di vita;

- nel quadrante di Nord-Ovest si trovano le marche che stanno acquistandoForza ma non hanno ancora Statura. Da qui possono diventare marche dinicchia e restarvi, oppure diventare mass brand e crescere di statura fino alquadrante di nord-est;

- nel quadrante di Nord-Est si trovano le marche leader di mercato, imegabrand o mass brand.

- nel quadrante di Sud-Ovest infine si trovano le marche in declino, che hannoperso Forza (vitalità) ma hanno ancora una loro Statura perciò possono rivivereuna nuova fase di crescita e ritornare nel quadrante sud-ovest. Oppure possonocadere nel dimenticatoio.

LA BRAND PERSONALITY

Le ricerche psicologiche hanno indagato le motivazioni profonde dietro le scelte diconsumo. Ne è scaturito che la marca è uno strumento che l’individuo usa per ridurrela distanza tra sé ideale e se reale. La ragione è da ricercare nella relazione affettivache il soggetto instaura con la marca, specie se questa ha una personalità vicina alui.

Su questa base molte marche hanno di recente sviluppato un approccio basato sullametafora marca-persona, che permette di comunicare più efficacemente,connotando il discorso col consumatore di elementi prettamente umani. Oggi leimprese analizzano il rapporto del consumatore con la marca in termini di stima,familiarità, amicizia tutti aggettivi che si riferiscono più alle persone che ai prodotti(per es. sentiment analysis) .

La personalità della marca è essenziale nel stabilire un legame profondo con lepersone. Basti pensare a Coca-Cola che durante i blind-test della Pepsi Challenge, lasfida lanciata da Pepsi Cola, perdeva in termini di gusto al quale i consumatoripreferivano Pepsi. Eppure all’atto pratico dell’acquisto vinceva sempre Coca-Cola, gliamericani non la tradivano. Apple ha fatto un chiaro uso della metafora marca-personaper comunicare una personalità più user-friendly, dopo i tempi dello spot dal tono cupostile Orwell 1984 per il lancio del Mac, che l’aveva troppo disumanizzata. Nello spot del2006 Apple ritorna in chiave più umoristica impersonando il Mac con un ragazzo smarte casual, in netto contrasto col PC, un uomo maturo con problemi di obesità, unbusinessman decisamente poco “cool”. I due diventano l’immagine di due mondiopposti, due modi di essere agli antipodi (http://www.youtube.com/watch?v=l_MkOODq6Tg).

Page 17: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

La personalità di una marca si esprime, nel modello di Jennifer Aaker degli anni ’90,attraverso 5 dimensioni o Big Five: SINCERITA’ – ECCITAZIONE – COMPETENZA –SOFISTICAZIONE – RUVIDEZZA.

IL TERRITORIO DELLA MARCA

BRAND EXTENSION E STRETCHING

Per estensione di marca si intende un’operazione con cui la Corporate decide diestendere il dominio del proprio brand ad altri prodotti tendenzialmente affini al corebusiness dell’impresa. Questa pratica esplose negli anni ’80 quando le Corporate siaccorsero che era molto più economico capitalizzare il valore di una marca già solidapiuttosto che crearne una nuova. Infatti il prodotto-estensione della marca usufruiscedel cosiddetto effetto alone della marca madre, cioè dei vantaggi connessi afamiliarità e prestigio del brand. In questo modo le marche hanno attuato moltissimeoperazioni di estensione che si distinguono in:

- line extension o estensioni di linea, quando l’impresa immette varianti delprodotto originario, ma rimanendo saldamente ancorata al posizionamentoprimario (per es. Gran Soleil Ferrero al Limone, mandarino e caffè; oppureMercedes Classe E, Classe E, M; Coca-Cola in PET o lattina, ecc.)

- brand extension per cui la marca si spinge verso nuovi comparti merceologici,ma comunque molto affini o complementari a quello primario (per es. Liquore alcaffè di Starbucks, spazzolino di Mentadent). A volte il brand sfrutta la propriaesperienza e credibilità per estendersi a nuovi mercati come Parmalat con isucchi freschi, ma rimanendo comunque in un settore contiguo cioè quello dellebevande “naturali”. Oppure il brand può sfruttare la propria immagine come nelcaso dei cosmetici firmati Jennifer Lopez.

- brand stretching, a differenza delle altre due in questo tipo di estensione lamarca si allontana dal core business avventurandosi in mercati nuovi, che nonerano dominio dell’impresa. E’ un’operazione delicata che va valutata conattenzione. Un caso di successo è quello di Virgin che ha dato il proprio nome auna bevanda a base di cola, a una compagnia area, una radio, una palestra,ecc.). Ma ci sono anche tanti fallimenti come quello del profumo firmato Zippo odel cappotto della Samsonite.

CO-BRANDING

Il co-branding è un accordo tra 2 o più marche della stessa Corporate (Gilette eBraun entrambi P&G) o di imprese diverse che intendono avvalersi l’uno dell’immaginee dell’esperienza dell’altro nella propria specifica area di competenza, per dare vita aun business comune. L’accordo può avere valore temporaneo (McDonald con gli HappyMeal firmati dai grandi marchi come Disney) o di lungo termine.

Il co-branding può avere valore funzionale quando una azienda presta il proprioknow-how tecnologico ad un’altra come nel caso di IBM con i microprocessori Intel-Inside. Oppure simbolico se la marca presta ad un’altra i propri attributi simbolici epsicologici come nel caso della Pegeout 206 “Sweet Years” o della Citroen C3 firmataD&G.

Page 18: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

Può inoltre consistere in operazioni di licensing in cui il marchio concede i propri dirittiin licenza ad un'altra azienda (Hello Kitty e Samsung).

Alcuni rischi insiti nel co-branding si possono avere nel caso di operazioni a lungotermine in cui la perdita di forza o il danno di immagine di una delle marche coinvoltepuò nuocere anche all’altra. Inoltre è fondamentale che si basi su una strategiacorretta. Per esempio Mercedes a metà anni ’90 è stata brava ad accorgersi che il co-branding con Swatch, con la quale voleva produrre la “Swatcmobile”, era destinata adiventare un fallimento e a danneggiare l’immagine di marca. Infatti il concept dellaSwatchmobile era quello di macchina compatta e leggera, con sportelli intercambiabili,insomma fin troppo fragile rispetto allo standard di qualità e robustezza Mercedes. Lacasa tedesca decise perciò di cambiare rotta e risolvere l’accordo con Swatch,trasformando la Swatchmobile in Smart, che fu invece un grande successo.

L’INVECCHIAMENTO DELLA MARCA

Mentre una volta si parlava di ciclo di vita della marca come di un processoinarrestabile che coinvolgeva tutte le marche dal nascita all’inevitabile declino, oggi siè convinti che l’invecchiamento della marca può essere arrestato e controllato. Unamarca deve essere in grado di leggere i cambiamenti in atto nella società, nelmercato e tra i consumatori, e mantenere sintonia con essi. Deve essere in gradodi mutare costantemente adattandosi al cambiamento senza mai perdere la propriafisionomia. Cambiare senza cambiare.

Marche come Coca-Cola perdurano al cambiamento senza invecchiare mai.Mantengono cioè la propria consistency, ovvero la propria coerenza, compattezza earmonia con l’ambiente. ATTUALITA’, RILEVANZA E SERIALITA’ sono le parole chiave.Essere attuali significa essere in sintonia con i valori e le tendenze in atto; l’attualitàinclude i segni che la marca usa. La comunicazione è infatti fondamentale ed èimportante che i segni che la marca usa (logo, ecc) si rigenerino spesso in rapportoall’evolversi delle attese dei consumatori. Essere rilevanti vuol dire offrire semprebenefici significativi per il cliente, mentre essere seriali significa essere coerenti nelmutamento, adattarsi senza tradire il DNA di marca.

I fattori di invecchiamento che una marca deve tenere in considerazione sonomolteplici e dipendono sia da caratteristiche della marca stessa sia da elementiesterni. Un prodotto sarà tanto più suscettibile all’invecchiamento tanto più saràsofisticato e ad alto contenuto tecnologico. Se il core business dell’impresa è legatoall’innovazione, infatti, essa dovrà mutare molto più rapidamente di una che producearticolo di lusso. I FMCG (Fast Moving Consumer Goods) cioè i beni di largo consumosono quelli più soggetti ad invecchiamento precoce. Inoltre il target è un elementocruciale da monitorare continuamente: più è ristretto e omogeneo più sarà elevata laripercussione sulla marca in caso di invecchiamento, mentre un pubblico più esteso edifferenziato lascia maggiore possibilità di manovra. Le marche leader e quelle piùanziane sono quelle che più di tutte devono stare al passo coi tempi per non perderela propria quota di mercato, specie se operano in un mercato altamente competitivo.Le marche più giovani hanno ovviamente meno pressioni. Infine la visibilità di unamarca è inversamente proporzionale alla sua capacità di restare giovane. Infatti piùuna marca è visibile più invecchia come effetto collaterale della sovraesposizione delconsumatore.

Page 19: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

Nel processo di invecchiamento contano sia fattori oggettivi e tangibili come lecaratteristiche del prodotto, ma anche che soggettivi, legati alle percezioni delconsumatore. La marca può valutare il propria età percepità attraverso metodi quali-quantitativi, in riferimento al brand, al prodotto e alla comunicazione di marca.Continui cambi di agenzia pubblicitaria oppure un packaging obsoleto sono fattorideleteri.

Usando una metafora si può dire che le marche che meglio resistonoall’invecchiamento, i brand sempreverdi, sono quelli in grado di cogliere lo Zeitgeist,nome con cui nella filosofia romantica viene indicato lo spirito del tempo, il climaideale e culturale che caratterizza un’epoca e la sua società.

LA MARCA E LE EMOZIONI

Gli attributi emotivi della marca acquisiscono una valenza sempre maggiore per ilconsumatore, tanto da costituire dei veri e propri motivi di scelta o reason to believe. Iprodotti che rispondono a esigenze edonistiche (piacere) prima ancora che funzionalesi moltiplicano. La pubblicità da anni ormai associa determinate marche e prodottiall’esperienza emotiva che il loro uso comporta. Primi fra tutti i brand del settoreautomobilistico (piacere di guida, “dominio della strada”), ma anche dell’industriaelettronica o delle telecomunicazioni (“se non hai un iPhone non hai un iPhone”) i qualifanno leva su autostima, amore, felicità, ricompensa sociale, parlando prima al cuoreche al cervello.

Conferme del potere emotivo dei brand nell’influenzare la scelta d’acquisto vengonoanche della neurobiologia e in particolare dal neuromarketing, ovvero l’applicazionedelle tecniche della neuroscienza allo studio del comportamento di consumo. In unostudio del 2004 Mclure ha per esempio scoperto che la vista del marchio Coca-Colaattivava nei soggetti le aree legate alla memoria affettiva, molto più di quanto facessePepsi, motivo per cui le persone la preferivano alla seconda anche se nei blind-testavevano detto l’esatto contrario. Questo perché nei blind-test la marca noninfluenzava le percezioni dei soggetti, che si basavano solo su stimoli informativiprovenienti dal gusto.

Pare, da un altro studio del 2008 con risonanza magnetica, che la vista di marcheapprezzate attiverebbe l’amigdala, cioè l’area del cervello legata al sistema dellaricompensa, che si attiva anche in relazione a stimoli come eros e amore, e ingenerale in relazione a gratificazioni materiali. Al contrario le marche disprezzateattivano in noi il cingolo anteriore, cioè l’area deputata al percezione del rischio e delpericolo, la stessa che si attiva in situazioni di paura o disgusto.

Il valore emozionale della marca o emoziona equity è dato da diversi elementi comestimoli sensoriali (colori, grafica, design, odori, sapori, sensazioni tattili, simboli),stimoli relazionali (linguaggio della marca, soddisfazione delle aspettative,interattività, presenza fisica nei contesti quotidiani) e infine stimoli di natura simbolicae affettiva (personalità, capacità di far immaginare e sognare, innovazione, continuitànelle generazioni).

Gobé ha definito come Emotional branding la capacità della marca di emozionare econnettersi con l’individuo non più “consumatore”. Infatti per lui oggi la marca deve

Page 20: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

parlare a persone, non a semplici acquirenti, deve considerare i loro bisogni, la lorosensibilità. Ascoltarli, prima che vendergli qualcosa. Dialogare con essi. L’onesta dellamarca deve tramutarsi in un patto di fiducia con le persone, qualcosa da conquistareall’interno di una relazione profonda. Non basta più la semplice visibilità (ubiquità), lamarca deve essere presente, interagire col pubblico, creare engagement emotivo edesperienziale (per esempio nel punto vendita).

IL LOVEMARK

Il lovemark è un termine coniato da Kevin Roberts (CEO dell’agenzia Saatchi &Saatchi), per descrivere quei brand che hanno fatto un salto di qualità fino a crearequasi una “relazione d’amore” con il proprio pubblico. Al pari dell’innamoramento ilovemarks causerebbero un comportamento che a volte può essere irrazionale, unasorta di fedeltà incondizionata da parte delle persone. Essi sono caratterizzati da altorispetto e stimolano continuamente la relazione col pubblico attraverso mistero,intimità e sensualità. A differenza di essi I marchi che godono solo di rispetto restanobrand; quello che suscitano solo amore senza rispetto sono mode passeggere. I marchiche non hanno né amore né rispetto sono solo “prodotti”.

GLOBALIZZAZIONE

La globalizzazione è un fenomeno per cui l’impresa tende ad espandersi e ramificarsifino ad assumere dimensioni globali. A partire dagli anni ’90 le grandi corporate cheoperavano a livello internazionale hanno decentralizzato la distribuzione a livellolocale, ma mantenendo una solida struttura di coordinamento centrale che decide glistandard dei prodotti e garantisce un’offerta per lo più omogenea in tutto ilmondo. Hello Kitty, costituisce un ottimo esempio di marca che in poco tempo siadiventata globale: attraverso una serie di accordi di licensing oggi è distribuita in oltre40 paesi e firma circa 22.000 prodotti. Il gattino giapponese estremamente dolce efemminile, disegnato da Ikuzo Shimizu, riassume in sé i tratti della cultura nipponicache sono diventati ampiamente esportabili in tutto il mondo.

Il motto dell’impresa globale è “think global, act local”: essa tende cioè a creareprodotti in grado di soddisfare pubblici molto ampi, seguendo una logica distandardizzazione di prezzo, distribuzione e comunicazione globale. Per farlo adottaun’ottica locale, per adattare i prodotti alle esigenze e preferenze dei singoli paesi.Pr esempio P&G non ha considerato questo aspetto quando ha modificato la propriastrategia di comunicazione di Dash in Italia. Decise di rompere col tipico formato“doorstep”, orientato ad un ambiente familiare e casalingo, per passare a messaggipiù “universali”, ma così facendo l’impatto sul pubblico femminile perse molta dellasua efficacia. Infatti il brand deve tenere in considerazione aspetti culturali, etici,religiosi e normativi che variano da paese a paese.

Caso emblematico è quello del caffè che è associato ad usi molto diversi a secondache ci sia trovi in Italia (concentrato ed energetico), in Germania (relax) o negli USAdove è consumato molto diluito. Diversi brand provarono ad intraprendere una strada“globale” (come caffè Splendid) ma senza successo. Solo Nescafé di Nestlé riuscìnell’impresa riuscendo a diffondere in tutto il mondo la propria bevanda, persino inItalia dove la posizionò come “caffè all’inglese” mirando ad un pubblico giovane. Illy

Page 21: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

invece ha adottato il linguaggio dell’arte, un linguaggio universale, e si è affermata nelmondo come il vero caffè made in italy.

MCDONALDIZZAZIONE

Ritzer, sociologo americano, parla di mcdonaldizzaizone della società riferendosi allecaratteristiche di efficienza, prevedibilità, calcolabilità e controllo che caratterizzano legrandi multinazionali come McDonald. La catena di fast food rappresental’applicazione per eccellenza di questi concetti, riuscendo a realizzare il grandeapparato burocratico teorizzato da Weber. McDonald ricorre infatti all’estremastandardizzazione di prodotti e procedure, al punto che il fattore umano viene ridottoal minimo. Tutto è estremamente controllabile e prevedibile e segue un oculato pianodi gestione dei costi preciso al secondo. Dalla grandezza dei cetrioli al peso deglihamburger, alle caratteristiche del pane, tutto deve essere uguale da New York aPechino, in modo da fornire al cliente un’esperienza unica e distintiva ovunque si trovi.Il Big Mac è un panino talmente uguale a stesso da essere diventato un indice dimisura informale del potere di acquisto di una moneta (Big Mac Index).

Ritzer parla anche di globalizzazione del nulla riferendosi alla capacità dellemultinazionali occidentali di annullare il carattere locale dell’offerta. La multinazionalech segue gli obiettivi di crescita globale o “grobalization” lo fa a discapito di prodotti orealtà tradizionali sul territorio in cui si insedia. L’impresa crea forme sociali adattabilia qualsiasi contesto perché private del contenuto distintivo che invece caratterizza lerealtà locali. I centri commercial in questo sono l’esempio tipico del nulla essendo“non-luoghi”, uguali a sé stessi in qualunque parte del mondo. Allo stesso modoesistono le non-cose (Dolce&Gabbana, Ikea, ecc.), le non-persone (commessi dei fast-food, televenditori) e i non-servizi (bancomat, Amazon, pompe selfe-service deibenzinai, ecc).

NUOVI LINGUAGGI DELLA MARCA

L’evoluzione dei linguaggi della marca è andata di pari passo con quella delletecnologie di comunicazione. In particolare Internet è stato determinante nelmodificare l’approccio della marca al pubblico che segue strade sempre più below theline, meno istituzionali e più informali. Anche il consumatore è cambiato diventandomultitasking, esigente, più irraggiungibile di prima. La marca si serve affianca oggi agliinvestimenti in advertising tradizionale anche quelli in attività non convenzionali. Ilbrand da sempre più spazio ai consumatori, dandogli la possibilità di partecipare econdividere idee e contenuti, arricchire l’esperienza di marca. YouTube è l’incarnazionedel brand partecipativo, in quanto i suoi contenuti sono per lo più user-generate epersino i profitti sono divisi con gli utenti.

Il brand site è diventato uno strumento indispensabile per relazionarsi al pubblico,anche qui attraverso una logica quanto più interattiva e coinvolgente, unaprosecuzione online della brand experience.

Gli altri media emergenti sono:

- gli eventi carattere territoriale (per es. Red Bull con il FlugTag e l’IcarusRevenge, eventi dedicati a mezzi di trasporto e di volo creati dai partecipanti)

Page 22: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

- promozioni (Coca-Cola che offre ai clienti italiani una collezione di borraccedistribuite da Autogrill)

- grande distribuzione (per es. il concorso organizzato da Pepsi per il lancio delfilm 007 Casino Royale, con distribuzione di centinaia di gadget neisupermercati italiani)

- punto vendita monomarca (Apple Store e Niketown)- temporary store - Hotel (Yahoo sponsorizza la catena Sheraton fornendo postazioni Internet nei

principali hotel)- ristorazione - palestre, intrattenimento, trasporti (Illy offre ai clienti Frecciarossa il caffè freddo

in lattina)- affissioni e chioschi interattivi (cabine telefoniche insonorizzate by Nokia negli

USA)- blog, buzz e viral marketing, community- quotidiani e magazine online- arredo urbano (Kit Kat a Londra sponsorizza cabine telefoniche e panchine)- product placement- co-branding

PRODUCT PLACEMENT

E’ la pratica di far comparire un marchio o un prodotto all’interno di contenuti audio-visivi come film, telefilm, programmi tv o videogame. Avviene senza il tipicoavvertimento esplicito di carattere commerciale in quanto tende ad integrarsi nellatrama e nella scenografia. L’inserzionista può corrispondere al produttore uncompenso monetario (product fee) o extra monetario (barterting) come la fornitura diattrezzature o servizi gratuiti. Secondo alcuni autori l’origine del product placamentsarebbe da ricercare nell’usanza medievale del mecenatismo, con cui i nobili sifacevano ritrarre e poi donavano il quadro alle chiese che in questo modo attiravanofedeli. La prima pellicola cinematografica a contenere un product placamento è il filmdei fratelli Lumiére in cui alcuni operai escono dall’omonima fabbrica. I film di 007sono pieni di questo tipo di comunicazione (Martini, Don Perignon, Aston Martin, ecc.)e la Apple ne fa uso da molto tempo.

In Italia il product placement ha vissuto periodi controversi in quanto negli anni ’80 lanostra legislazione l’ha bandito come “pubblicità ingannevole”. In seguito, con unaserie di leggi europee, è stato riammesso e sdoganato dal film di Ozpetek CuoreSacro. Garofalo è una delle marche italiane che fa molto uso del product p. connumerose collaborazione con la casa di produzione Cattleya e accordi con Cinecittàper il co-finanziamento di opere prime.

Il product p. può essere verbale collocato all’interno dei dialoghi (scrip placement),visivo cioè su un elemento della scenografia come un veicolo o un berretto (screenplacement) oppure integrato quando cioè si interseca a tutti gli effetti con lasceneggiatura (plot placement, tipo Il Diavolo Veste Prada).

I vantaggi del product p. sono senza dubbio il basso costo per contatto, la possibilitàdi raggiungere target specifici, ma anche il maggior effetto di risonanza ottenibilecompenetrando il brand all’interno di un contesto narrativo come un film di per sé

Page 23: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

molto coinvolgente. Infine l’effetto testimonial dato dall’associazione del brand a unpersonaggio famoso. La marca ne ottiene un rafforzamento in termini di brand imagee brand personality, ma anche di posizionamento, scegliendo contenuti mirati alproprio target e ai propri valori. Inoltre nel product p. vige il low clutter cioè non puòesserci un affollamento di marche concorrenti.

Il rischio principale sta nel fatto che l’efficacia dell’operazione di p.p. è legata alrisultato del film/programma in termini di gradimento e questo non è prevedibile apriori. Si dovrà tenere in considerazione sia un fattore quantitativo come il livello diesposizione al brand nel corso del film (quante volte appare), ma anche qualitativocioè il livello di integrazione della marca o prodotto all’interno della trama. Se è bassoo di semplice scenografia si parla di placement commerciale; se è alto e integrato conla sceneggiatura e la costruzione dei personaggi si parla di placement culturale.

IL BLOG DI MARCA

Il blog può essere uno strumento di grande valore per l’azienda che vuole dialogarecon il proprio pubblico interno (blog aziendale), ma anche esterno. E’ unadimostrazione di apertura del brand nei confronti del pubblico, all’interno del quale siaccettano critiche e suggerimenti. E’ l’antitesi della comunicazione generalista, ilmonologo di marca one to many.

L’azienda produttrice di lucchetti Kryptonite risentì in modo disastroso dellasottovalutazione del potere dei blog. Infatti nel 2004, un video che mostrava comeaprire i suoi lucchetti con una penna bic divenne in poco tempo virale nei blog, e inpoco tempo un caso mediatico. L’azienda non replicò e non cerco di difendersi o didialogare, ma venne coperta di insulti e ridicolizzazioni in rete. Dopo 10 mesi laKryptonite provvedé a sotituire i lucchetti difettosi, ma ormai aveva creato un danno diimmagine difficilmente recuperabile, che invece avrebbe potuto contenere se avessedialogato con il pubblico.

LE TRIBU E LE COMMUNITY ONLINE

Alcune marche più di altre sono riuscite a creare un linking particolare con il propriopubblico, tanto da esercitare un potere aggregante, diventare un segno diappartenenza per intere comunità. Si definiscono tribù della marca cioè microsocietà caratterizzate da valori e costumi comuni. Prima fra tutte Harley Davidson cheha dato origine alla tribù degli “harleysti”, i quali hanno fan club propri e si ritrovano inmotoraduni. Sono marche capaci di creare un attaccamento forte e autentico, il linkingvalue, detto anche bonding.

Il web ha favorito il diffondersi spontaneo o “suggerito” dalla marca di comunità onlineo brand community, luoghi della rete in cui i fan di una marca si ritrovano perdiscutere e condividere la propria esperienza di marca. Ferrero per es. ha lanciato nel2003 il sito mynutella.it , la community italiana ufficiale di Nutella. Ma ci sono anchetanti forum e blog nati spontaneamente per esempio attorno ad Apple o Android.

MARKETING VIRALE

Il viral marketing è una forma di marketing non convenzionale che sfrutta ilcosiddetto effetto “passaparola”. La parola stessa indica il contagio provocato da

Page 24: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

contenuti dall’altamente coinvolgenti ed emozionali. La sua caratteristica è anchequella di cercare un comportamento proattivo delle persone, il quale è lui stesso aveicolare il messaggio condividendolo. La marca stimola l’interesse del pubblicospesso anticipando contenuti che non vengono svelati completamente fin da subito(teaser), generando in questo modo attesa attorno al prodotto. Il buzz marketing è unasua variante per creare “rumore” attorno ad una argomento; ha una componente diviralità meno spontanea e più indotta.

Un caso famoso di marketing virale è quello di Dove, che ha ottenuto una grande ecocon il video Evolution. Nato come iniziativa in rete, il video è diventato subito viralefino ad ottenere un riconoscimento ufficiale con il Grand Prix all’edizione 2007 delFestival della Pubblicità di Cannes. La Dove voleva accendere interesse su unatematica importante come la distorsione intenzionale della nostra percezione dellabellezza femminile, che ruota attorno al mondo della moda e della cosmesi. Lo falanciando un messaggio positivo e accolto da tante donne comuni, quello di bellaautentica, la Real Beauty, e scegliendo in seguito ragazze normali nei propri spotanziché modelle.

GUERRILLA MARKETING

E’ un termine coniato da Levinson per definire operazioni di marketing svolte incontesti urbani, a basso costo e con un alto impatto emotivo. Si tratta anche qui dioperazioni non convenzionali, che mirano a sorprendere e divertire, rivolgendosisoprattutto a micro target. La forza del guerrilla marketing sta nella capacità dicoinvolgere il pubblico al di fuori del contesto classico della pubblicità, quando lasoglia di attenzione (advertising consciousness) è abbassata. Anche qui si puntasull’effetto del passaparola innescato da un’esperienza altamente coinvolgente. Comeper il viral marketing si tratta di strategie pull cioè trainate dal pubblico stesso, coneffetti più potenti della pubblicità classica (push) seppur ottenuti con budget ridotti.Non tutti i prodotti si adattano a questo tipo di strategia di “guerriglia”: sono più adattiquelli ad alto contenuto innovativo, che escono dagli standard e cercano l’originalità.

IL SUBVERTISING

Deriva dall’unione dei termini subvert e advertising. Si tratta infatti di una forma dipubblicità con lo scopo di scuotere le coscienze attraverso messaggi dal fortecontenuto dissacrante o parodistico. Il Subvertising mira spesso ad attaccare legrandi multinazionali sul fronte dei comportamenti antietici che li caratterizzano. I temicaldi sono spesso l’ambiente, il nucleare, la violenza sugli animali, la censura, losfruttamento del lavoro, ecc. Alcune dele tecniche usate sono quella deldetournement (annunci pubblicitari, loghi e pay-off usati in contesti che ne cambiano ilsignificato), del fake (sostituzione di cartelloni), del camouflage, dello sniping (con lebombolette spray, gli stencil, ecc.) e il site cloning (clonazione dei siti web di marca).Nel 1999 è nata anche Adbusters la rivista simbolo del subvertising, che è diventata diculto per il popolo No Global.

AGGIUNTA MIA. Greenpeace è maestra nel subvertising e di recente ha lanciato unacampagna di sensibilizzazione contro Shell, accusata di aver di recente firmato una

Page 25: IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI · IL MANUALE DELLA MARCA – L. MINESTRONI Riassunto di Matteo Pratelli DA HOMO OECONOMICUS a HOMO RECIPROCANS Keynes: il consumatore è

partnership con LEGO per imbonire l’opinione pubblica e distogliere l’attenzione daquello che combina nell’Artico con i suoi pozzi petroliferi. “Il gigante del petrolio vuoletrivellare l'Artico e usa Lego per ripulire la sua immagine", denuncia Greenpeace sullasua pagina Facebook. Shell sta pericolosamente manipolando i bambini di oggi chesaranno gli adulti di domani, è per questo che Greenpeace ha lanciato una petizionesul sito legoblockshell.org che mira a raggiungere le 500.000 firme. Il tutto è statoaccompagnato anche dall’hashtag #BlockShell sui social e da un video virale moltocoinvolgente (http://www.youtube.com/watch?v=qhbliUq0_r4).