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Il giardino dei simboli Liturgia, teologia ed arte nella cultura del Cristianesimo
Le Feste cristiane: Maria e i Santi nella storia,
nella Liturgia e nell’arte
Trento, venerdì 1 dicembre 2017
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Il culto di Maria Madre di Dio
Ogni anno, la Santa madre Chiesa, nel giorno solenne dell’Epifania del Signore, dopo
la proclamazione dell’Evangelo, fa risuonare per bocca del diacono o del presidente,
l’Annuncio della Pasqua annuale e delle Feste ad essa collegate:
Fratelli carissimi, la gloria del Signore
si è manifestata e sempre si manifesterà
in mezzo a noi fino al suo ritorno.
Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo
e viviamo i misteri della salvezza.
Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo
del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che
culminerà nella Domenica di Pasqua il 1° aprile.
In ogni domenica, Pasqua della settimana,
la santa Chiesa rende presente questo grande
evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.
Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:
Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 14 febbraio.
L’Ascensione del Signore, il 13 maggio.
La Pentecoste, il 20 maggio.
La prima domenica di Avvento, il 2 dicembre.
Anche nelle feste della santa Madre di Dio,
degli Apostoli, dei Santi e nella Commemorazione
dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra
proclama la Pasqua del suo Signore.
A Cristo che era, che è e che viene, Signore
del tempo e della storia, lode perenne
nei secoli dei secoli.
Amen.
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Per trattare il nostro argomento, circa le Feste e il culto della Sanata Madre di Dio,
prendiamo avvio da questo testo che risuona in tutte le chiese nel giorno dell’Epifania
del Signore per il fatto che la Chiesa, Una Santa Cattolica e Apostolica, conosce per
sé unicamente la celebrazione del suo Signore e Sposo, solo da Lui, il Crocifisso
Risorto e dalla sua luce intramontabile promanano tutte le altre celebrazioni.
Va inoltre ricordato subito che il culto della santa Madre di Dio entrò nella Liturgia in
epoca più tarda rispetto a quello ben più antico che era tributato ai Martiri.
Nell’iconografia, la Vergine Maria compare già dall’epoca delle Catacombe e sempre
in riferimento alla sua divina Maternità. Scorriamo una piccola antologia di immagini
dell’antichità.
Dalla preghiera della Chiesa ci è stato tramandato un antichissimo tropario in onore
di Maria risalente al secolo III e ancora oggi utilizzato, pressoché quotidianamente,
nelle Antifone mariane della Liturgia delle Ore.
Il papiro in lingua greca, e risalente al III secolo, fu ritrovato ad Alessandria d’Egitto
venne acquistato dalla John Rylands Library di Manchester nel 1917 e pubblicato per
la prima volta nel 1938; presenta una scrittura a lettere onciali, alta e diritta, stretta e,
nello stesso tempo, ariosa, con elementi ornamentali. Questo aspetto decorativo ha
fatto ritenere vari studiosi che il papiro fosse un esemplare destinato come modello
per un incisore. Questo piccolo foglio (14x9,4 cm), rovinato sul lato destro, riporta
dieci righe di testo (completamenti in parentesi):
[Υ]ΠΟ [ΤΗΝ CΗΝ]
ΕΥCΠΛ[ΑΓΧΝΙΑΝ]
ΚΑ[Τ]ΑΦΕ[ΥΓΟΜΕΝ]
ΘΕΟΤΟΚΕ Τ[ΑC ΗΜΩΝ]
ΙΚΕCΙΑC ΜΗ Π[Α]
ΡΙΔΗC ΕM ΠΕΡΙCΤΑCΕΙ
ΑΛΛ ΕΚ ΚΙΝΔΥΝΟΥ
ΡΥCΑΙ ΗΜΑC
Μ[Ο]ΝΗ Α[ΓΝΗ, ΜΟΝ]
Η ΕΥΛΟ[ΓΗΜΕΝΗ]
Sub tuum praesidium confugimus,
Sancta Dei Genetrix.
Nostras deprecationes ne despicias
in necessitatibus,
sed a periculis cunctis
libera nos semper,
Virgo gloriosa et benedicta. Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,
Santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche
di noi che siamo nella prova,
ma liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta.
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Come negli Evangeli così anche nella Liturgia Maria, Colei che “tutte le generazioni
proclameranno beata” si mostra nella più totale discrezione.
Nel 1947, il papa Pio XII nella sua Lettera Enciclica sulla Liturgia, intitolata:
“Mediator Dei”, “Il Mediatore tra Dio e gli uomini”, scriveva:
Tra i Santi, poi, ha un culto preminente Maria Vergine, Madre di Dio. La sua vita,
per la missione affidatale da Dio, è strettamente inserita nei misteri di Gesù Cristo, e
nessuno, di certo, più di lei ha calcato più da vicino e con maggiore efficacia le orme
del Verbo Incarnato, nessuno gode di maggiore grazia e potenza presso il Cuore
sacratissimo del Figlio di Dio, e, attraverso il Figlio, presso il Padre celeste. Essa è
più santa dei Cherubini e dei Serafini, e senza alcun paragone più gloriosa di tutti gli
altri Santi, essendo «piena di grazia», Madre di Dio, e avendoci dato col suo felice
parto il Redentore. A Lei, che è «Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza
nostra» ricorriamo tutti noi «gementi e piangenti in questa valle di lacrime», e
affidiamo con fiducia noi e tutte le nostre cose alla sua protezione. Essa è diventata
Madre nostra mentre il Divin Redentore compiva il sacrificio di Sé, e perciò, anche a
questo titolo, noi siamo figli suoi. Essa ci insegna tutte le virtù; ci dà suo Figlio, e,
con Lui, tutti gli aiuti che ci sono necessari, perché Dio «ha voluto che tutto noi
avessimo per mezzo di Maria».
Per questo cammino liturgico che ogni anno ci è aperto di nuovo, sotto l’azione
santificatrice della Chiesa, confortati dagli aiuti e dagli esempi dei Santi, soprattutto
della Immacolata Vergine Maria, «accostiamoci con cuore sincero, con pienezza di
fede, purgati il cuore da coscienza di colpa e lavati il corpo con acqua pura», al
«grande Sacerdote», per vivere e sentire con Lui, e penetrare per suo mezzo «fino al
di là del velo» ed ivi onorare il Padre celeste per tutta la eternità.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica Sacrosanctum
Concilium, al Capitolo V, tratta dell’Anno Liturgico e dunque colloca nel corso della
celebrazione dell’Anno della Divina Grazia, la memoria della Tuttasanta Madre di
Dio:
“Nella celebrazione del ciclo annuale dei misteri di Cristo, la santa Chiesa venera
con speciale amore la Beata Maria Madre di Dio, congiunta indissolubilmente con
l’opera salvifica del Figlio suo; in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della
Redenzione, e contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa
tutta desidera e spera di essere” (SC 103.
Nel fare memoria del suo Signore, la Chiesa celebra con gioia riconoscente la Madre
sua. E le feste e memorie della Madre di Dio, anche se introdotte in tempi successivi,
punteggiano tutto il corso dell’Anno liturgico.
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Nel 1960, a Nazareth in Galilea, alcuni archeologi intenti a degli scavi sotto la
Basilica bizantina dell’Annunciazione riportarono alla luce una antica colonna con
l’iscrizione “kaîre Mariâm”, le parole di saluto dell’angelo inviato alla Vergine (Lc
1,28), segno della venerazione che già quei lontani fratelli di fede avevano verso la
Madre del Signore. Del resto, come abbiamo visto poco sopra, un papiro greco del
terzo secolo ci fa conoscere l’epoca di composizione dell’antifona mariana “Sub tuum
praesidium”, (Sotto la tua protezione), che ancora oggi chiude la preghiera liturgica
notturna della Compieta.
Come si accennava va notato come il culto dei Martiri sia più antico di quello
tributato a Maria che ricevette impulso decisivo dal Concilio di Efeso (a. 431) con la
solenne definizione della sua divina Maternità. Da allora Oriente ed Occidente fecero
a gara nell’innalzare chiese in onore alla Madre di Dio (si pensi per l’Occidente a S.
Maria Maggiore in Roma), si composero inni e preghiere e nei calendari delle diverse
Chiese entrarono celebrazioni liturgiche e feste in onore di Maria. Così nel Canone
Romano, certo prima del 440 si introdusse la memoria “della gloriosa sempre
Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo”.
Esaminiamo l’elenco delle feste e delle memorie di Maria Madre di Dio nel corso
dell’Anno liturgico:
in Avvento: Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, inoltre non
sia vano ricordare che questo Tempo è il vero “mese di maggio” della Liturgia
cristiana;
Tempo di Natale: s. Famiglia, Solennità della Santa Madre di Dio;
Tempo ordinario: B. Maria Vergine di Lourdes, Visitazione della Beata
Vergine Maria, Cuore Immacolato di Maria, B. Vergine Maria del Monte
Carmelo, Dedicazione della Basilica di S. Maria Maggiore, Assunzione della
Beata Vergine Maria, B. Vergine Maria Regina, Natività della B. Vergine
Maria, B. Vergine Maria Addolorata, B. Vergine Maria del Rosario,
Presentazione della B. Vergine Maria.
Nel corso di tutto l’Anno liturgico la celebrazione della memoria di Santa
Maria in sabato.
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Il culto dei martiri e dei santi
Chiese, musei, strade, mostre, crocicchi, con grande frequenza si vedono immagini e
figure che i nostri vecchi sapevano riconoscere e interpretare, mentre noi, “gente
informatica” non siamo più in grado di riconoscere.
Sono personaggi della Bibbia, dei Vangeli, della storia bi-millenaria della Chiesa. È
già molto quando si individuano la figura del Cristo, di Dio Padre e di Maria (anche
se, nel caso delle Vergine, non ne riconosciamo la tipologia).
Un tempo si usava scrivere il nome (e per le sante icone è tuttora obbligo e necessità),
ma il tempo e l’uso dell’arte occidentale hanno dimenticata questa tradizione.
Come dunque leggere l’immagine della storia sacra, come riconoscere i campioni
della santità cristiana?
“Tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo Gesù Cristo”.
Ogni Domenica e ogni festa, la Chiesa nella Dossologia grande, il Gloria a Dio
nell’alto dei cieli, inno antichissimo risalente al V secolo dell’era cristiana,
celebrando il suo Signore e Sposo lo definisce il “solo Signore il solo Altissimo, il
solo Santo”. Se dunque Cristo Signore è il “solo Santo”, che senso ha di parlare dei
Santi?
La riflessione si deve anzitutto aprire alla realtà battesimale; il Mistero di grazia che
ha segnato l’esistenza del cristiano fin dalle origini. Dono d’amore infinito,
preveniente, di Dio che ha ri-crea nella filiazione divina e incorpora a Cristo Signore
“fatto uomo per noi uomini e per la nostra salvezza”; rende membra di Lui, partecipi
dei suoi doni e dunque partecipi anche della sua Santità.
Va dunque considerato quale aspetto principale, che nella vita del battezzato, la
santità prima di essere punto d’arrivo è un necessario punto di partenza, in quanto
partecipazione della Grazia dello Spirito Santo che viene ad inabitare il battezzato ed
è inserimento vivo e vitale nel Corpo di Cristo che è la Chiesa.
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Rende quindi membra di Lui dell’unico Corpo di cui Cristo è il Capo. È evidente che
la santità è dunque, per pura grazia, nel battezzato l’avvio della vita nel tempo, come
punto di partenza, resi santi per grazia, quanto è chiesto è di conformarsi a quel Dono
per poterne realizzare tutti i benefici.
Ciò che attende al termine della vita terrena, se vi è stata coerenza con il Battesimo
donato, sarà divenire “simili a lui perché lo vedremo così come egli è”; secondo
quanto afferma l’apostolo Giovanni nelle sue Lettere.
Dunque, più che sforzarsi a diventare santi si dovrebbe semplicemente: lasciarsi
guidare, per diventare ciò che già si è per grazia.
In un celebre discorso il papa san Leone Magno esordì dicendo: “Riconosci cristiano
la tua dignità”. Il “Catechismo della Chiesa Cattolica” afferma:
460 Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo « partecipi della natura divina » (2
Pt 1,4): «Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio,
Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo
così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Ireneo di Lione, Adv Haer).
«Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio». (s. Atanasio, De Incarn.);
«L’Unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità,
assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei» (s. Tommaso
d’Aquino, Uff. Corpus Domini).
La Chiesa da sempre ha custodito la memoria di quei suoi figli che si sono lasciati
configurare a Cristo Signore, e questo a partire dai Martiri.
Ma cos’è la santità? Abbiamo visto che è dono battesimale, ma approfondendo ora
possiamo ricordare l’Evento del Calvario, nel primo venerdì santo della storia,
secondo la narrazione che ci riporta l’evangelista Luca 23,39-43: “Uno dei malfattori
appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro
invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato
alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato
per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati
di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me
sarai nel paradiso»”.
Ecco dunque il “modello” della santità cristiana: colui che riconosce Cristo e il suo
Regno e si affida totalmente a lui. È bello considerare come negli affreschi e mosaici
raffiguranti il Giudizio universale, che il buon ladrone si trova già all’interno della
porta del paradiso prima ancora che Pietro, dall’esterno, seguito dai santi, apra la
porta.
La santità segna la storia del cristianesimo come adesione alla Volontà di Dio e come
imitazione di Cristo in docilità allo Spirito Santo.
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Afferma il Prefazio II dei Santi: “Il loro grande esempio e la loro fraterna
intercessione ci sostengono nel cammino della vita perché si compia in noi il tuo
mistero di salvezza”; e il Prefazio della Solennità di tutti i Santi si esprime così:
“Verso la patria comune noi, pellegrini sulla terra, affrettiamo nella speranza il
nostro cammino, lieti per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa, che ci
hai dato come amici e modelli di vita”.
Ai santi il popolo credente si rivolge chiedendo l’intercessione e il sostegno per
camminare nelle vie di Dio. L’intercessione dei santi può, per chi crede, ottenere la
grazia materiale, ma soprattutto suscita la fede, anima la speranza, sostiene nella vita
nella carità (amore), cioè le virtù teologali, quelle che conducono a Dio e sono via
della salvezza.
Aspetto caratteristico del Santo e la libertà. L’adesione a Dio e alla divina Volontà è
piena e totale. Santo è colui che veramente sa pregare cioè sa ascoltare, sa obbedire
“Ascoltare”, lo sappiamo bene è anzitutto verbo che rivela “amore”, “accoglienza”,
non è il semplice “sentire”, dono della facoltà uditiva, ma è piuttosto “fare posto”; in
una parola è “obbedire”, come del resto appare dal significato etimologico del
termine.
Uno splendido testo del profeta Osea, mostra il Signore che parla al popolo suo,
come ad una sposa: “Ecco la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo
cuore” (Os 2,16).
Instancabile, il Signore, Fonte di ogni esistenza e di ogni bene, si fa vicino alle sue
creature e si rivela con delicata bontà. La sua azione è sempre preveniente.
“La attirerò a me”. Nessuno, infatti, può ardire di compiere il primo passo. Nella
pienezza dei tempi, il Verbo fatto Carne, dirà ai discepoli di ogni tempo: “Nessuno
può venire a me se il Padre non lo attrae”.
Prima di essere impegno e sforzo dell’uomo, pregare (ascoltare-obbedire), è dono
dall’Alto. Dono da accogliere, da custodire e a cui corrispondere.
“La condurrò nel deserto”. Il primo segno: “essere condotti”.
Il luogo: “nel deserto”, spazio “contradditorio” il deserto, perché luogo di fatica e di
arsura bruciante, del rigore notturno e dei serpenti velenosi, ma anche luogo del
silenzio, dell’intimità, del colloquio amoroso.
“E parlerò al suo cuore”. Ancora di Dio l’azione: il “parlare”. Rivelarsi,
manifestarsi, farsi conoscere, esperienza nuziale. “Al suo cuore”: l’intimità, la
profondità della persona: la sede del volere, dell’agire, dello scegliere, dell’essere, in
una parola: dell’amore.
Le Sante Scritture sono percorse da un invito struggente del Signore Dio al suo
popolo: “Ascolta popolo mio. Ascolta, Israele. Popolo mio se tu mi ascoltassi”. Come
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si diceva sopra: “ascoltare”, prima di essere facoltà sensoriale è qualità del cuore.
“Ascoltare” è verbo dell’amore.
Per il dono dell’udito, l’uomo “sente”. Per scelta del cuore e della mente, per
decisione della volontà l’uomo “ascolta”. Cioè accolgle, fa spazio, si lascia
trasformare. Se per “sentire” non occorrono atti di volontà, per “ascoltare” è
necessario operare una scelta: creare il silenzio, custodire la quiete, cessare il
movimento.
Chi, infatti, vuole imparare a pregare deve anzitutto comprendere che: pregare è
tacere.
Adorare, è porsi, con stupore, la mano sulla bocca. Tacere, fare silenzio. Per attivare
la facoltà dell’“ascolto”. Poi solo dopo seguirà il “pregare” il “dire”, come risposta
dell’amato all’Amante che, per Primo, ha preso l’iniziativa.
Splendidamente il Salmo 64, Inno di rendimento di grazie, che preghiamo servendoci
della traduzione greca dei LXX dicendo: “A Te si deve la lode o Dio in Sion”, nel
testo originale ebraico recita testualmente, “Per Te il silenzio è la lode o Dio, in
Sion”. Profonda intuizione mistica, sponsale. A Dio, dà lode, il silenzio accogliente e
adorante di chi si abbandona a Lui fiducioso, senza nulla chiedere.
Ascoltare la Parola significa deporre ogni occupazione e cura, per fare spazio e creare
il silenzio interiore, pio, consapevole, orante, fruttuoso.
Dio è il Santo Santo Santo. Questo termine per sé significa: “separato”, “il totalmente
altro”
Ma soffermiamoci un momento. Che vuole dire “Santo Santo Santo”?
Il “Tre-volte-Santo” è Dio: Tuttosanto per definizione. Il “Santo” non è solo, per
analogia ai santi del cielo, colui che non fa peccato, che vive la carità e la irraggia.
È il Trascendente per definizione, inarrivabile dalle realtà umane. È Colui che attrae a
sé, “santifica”, rende simili a sé, “consacra” alla sua Persona gli uomini che lo
accettino.
Santità divina è perciò anche Bontà infinita, che si comunica, che dunque prima
purifica. Che consacra alla santità divina che si deve espandere nel mondo tra gli
uomini, sotto la legge severa: “Siate santi, poiché Io sono Santo!” (Lev 19,2).
“Santità” è comunione: e non a caso, lo Spirito Santo è la divina Comunione
(koinônía) che unisce eternamente il Padre con il Figlio, ed unisce la Trinità Unita
con gli uomini dopo averli però uniti tra essi in comunione di fede, di speranza, di
carità, di vita apostolica.
Dio, il Santo il “Separato” si fa vicino, per così dire non teme di “contaminarsi della
povertà umana.
L’uomo che entra in rapporto vero e profondo con Dio e partecipa della sua Santità,
non sa e non può giudicare chi è, o non è, Santo. Ma si può riconoscere la santità
dell’uomo dai segni esteriori che opera e che lo mostrano.
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Santo è colui che porta alle estreme conseguenze la sua adesione a Cristo fino a farne
il centro e il fine della sua esistenza e fino a lasciarsi “configurare” a Lui.
Non a caso, al termine della vita di una persona buona si dice: “è morta in odore di
santità”. (Solo di passaggio possiamo ricordare il segno di corpi incorrotti dei santi, o
emananti profumo).
Nella Chiesa vi sono dunque persone indicate con il titolo di “santo”, figure venerate,
ricordate in giorni definiti, nel “dies natalis”, e considerati intercessori presso Dio.
La comunità credente li chiama anche “servi di Dio” e nei secoli si è premurata di
redigere un catalogo che divenisse testo esemplare per il popolo cristiano.
Per la Chiesa, santo è colui che ha ritrovato la condizione umana delle origini; Dio
infatti, aveva creato l’uomo “a sua immagine e somiglianza”, partecipe della Vita
divina e se il peccato ha deturpato il dono della creazione, senza però distruggerlo, la
redenzione lo ha restaurato mirabilmente, nella Veglia Pasquale, ogni anno, dopo la
prima lettura, che narra appunto l’opera creatrice di Dio, nella Colletta che segue, la
Chiesa prega dicendo: “… illumina i figli da te redenti perché comprendano che, se
fu grande all'inizio la creazione del mondo, ben più grande, nella pienezza dei tempi,
fu l’opera della nostra redenzione, nel sacrificio pasquale di Cristo Signore”.
E già prima, nel Preconio pasquale, il Solenne annuncio che apre la Veglia, il diacono
aveva cantato: “Felice colpa che ci hai meritato di avere un tale e così grande
Redentore”.
A riprova della santità come recupero della grazia originale abbiamo l’esempio di
Francesco di Assisi; nel giardino di Eden prima del peccato, Adamo in pace con tutto
il creato aveva dato il nome agli animali, vivendo in armonia con essi. Francesco con
la sua conversione al Signore e il suo abbandono a “Madonna povertà” ridiventa
quasi un Adamo nuovo capace, secondo i “Fioretti” di parlare col terribile lupo di
Gubbio, ripristinando una sorta di armonia delle origini; basti pensare poi anche agli
altri racconti dei “Fioretti” e al “Cantico delle creature” da lui composto.
I primi Santi: i Martiri
“Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che
era e che viene, e dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il
testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto
di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei
secoli dei secoli. Amen” (Apc 1,4-6).
Cristo è il Testimone fedele, il Martire. Il martirio è presentato come un
combattimento nel quale il testimone muore per non venir meno alla sua
testimonianza.
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Coloro che imitano Cristo “nella testimonianza alla verità” sono i Martiri, i
Testimoni che meglio e più di tutti realizzano l’immagine vera di Cristo che si dona
per la salvezza dell’uomo. Ad essi, partecipi dell’offerta del loro Signore, si
attribuisce il merito di aver a loro volta contribuito nel portare salvezza dell’uomo.
In primo luogo tali testimoni fedeli sono: la Vergine Maria, San Giovanni Battista, gli
Apostoli e di seguito le schiere innumerevoli di coloro che non si vergognarono di
Cristo e non si piegarono nel culto agli idoli per avere risparmiata la vita.
Una prima narrazione di persecuzione è tramandata a noi in una “Lettera sui martiri
di Lione” riferita da Eusebio di Cesarea nella sua opera: Storia ecclesiastica, in
questo testo non è riportata una commemorazione, ma è solamente un’informazione
per i cristiani di Africa.
Non era sentita la necessità di tramandare gli Atti del martirio, e il martire era
ricordato nell’anniversario del suo “dies natalis” con una commemorazione che
vedeva riuniti i familiari e anche la comunità cristiana convocata dal vescovo per la
Frazione del pane, la Celebrazione eucaristica. In seguito si aggiunse un sermone con
l’elogio, e col passare del tempo la lettura pubblica della vita o della Passio, cioè il
racconto del martirio sopportato dal Testimone di Cristo.
La Passio di Perpetua, Felicita e compagni, martirizzati a Cartagine nel 203 sotto
Settimio Severo, può essere ritenuta la prima e vera propria commemorazione.
Nel III secolo sono tramandati gli Atti del vescovo San Fruttuoso di Tarragona, in
Spagna, martirizzato sotto Valeriano nel 257-58, questo scritto rende testimonianza
della diffusione in Spagna del culto dei martiri.
Da quell’epoca, il secolo III, anche a Roma si diffonde l’uso della commemorazione
dei martiri come era uso in Africa e in Spagna. Sul finire del secolo IV la venerazione
dei santi è un fatto sentito fortemente dalla pietà cristiana e si va diffondendo
ovunque.
La perseveranza nella confessione di fede, fino al sangue, era sempre più evidente
con le persecuzione sistematiche, si può ricordare particolarmente quella di
Diocleziano del 304-305 con grande numero di martiri.
Le varie chiese locali, immediatamente riconoscono e proclamano la santità dei
martiri, facendo memoria presso luogo della loro deposizione e celebrando i Divini
Misteri. In tal modo i cristiani pregavano per il Martire, ma insieme lo invocavano
quale intercessore presso Dio.
Di questo abbiamo una testimonianza a Roma nei graffiti della Memoria Apostolorum
circa l’anno 260, nelle Catacombe di San Sebastiano, dove si riteneva che un periodo
per un periodo, fossero stati traslati i corpi degli apostoli Pietro e Paolo (verso il 258)
per evitarne il trafugamento sotto la persecuzione di Valeriano il quale nel 257 fece
chiudere gli edifici di culto; confiscare i cimiteri e gli altri luoghi di culto e fece
esiliare gli ecclesiastici; nel 258 ordinò di uccidere i vescovi arrestati confiscando i
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loro beni nel tentativo di annientare la Chiesa. Tra i suoi martiri si ricordano: papa
Stefano I, papa Sisto II e i suoi diaconi tra cui Lorenzo, Cipriano vescovo di
Cartagine e Dionisio di Alessandria. Nella Memoria Apostolorum si trova un graffito
di un certo Vittore che memora Pietro e Paolo.
Nella “Depositio Martyrum”, nel “Cronografo Filocaliano” del 354, opera di Furio
Dionigi Filocalo. si trova un elenco con il giorno e il luogo della sepoltura, “la
deposizione”, oltre a questo elenco dei martiri il testo riporta anche un calendario e
una descrizione di Roma.
Patroni e intercessori.
Prima di parlare dei Patroni ed Intercessori penso opportuna una precisazione circa la
preghiera. Come si accennava sopra, pregare-adorare, è anzitutto tacere. Poi la
preghiera si esprime con queste modalità: è lode, azione di grazie, intercessione,
supplica.
Intercedere è pregare “a favore di”, è porsi tra Dio e l’uomo. La figura
dell’intercessore percorre tutta la Sacra Scrittura, basti pensare ad Abramo, a Mosè, ai
profeti, per arrivare all’Intercessore per eccellenza: Cristo Signore.
Il servizio dell’intercessione è compito sacerdotale-battesimale che ogni battezzato
deve adempiere; ancor più quindi si può ritenere sia compito di quanti stanno più
prossimi a Dio: Martiri e Santi. Loro presso Dio adempiono al servizio della lode e
dell’intercessione.
Nella Passio di Perpetua e Felicita si trova un bel riferimento all’intercessione e alla
guarigione ottenuta dall’intercessione. Perpetua nelle visioni che a prima del suo
martirio anzitutto vede suo fratello ammalato e dice: “Compresi che da allora in
avanti ero degna di pregare per lui e che dovevo farlo”. In una visione avuta in
seguito vede il fratello guarito.
Da tale testimonianza si evince che “l’imitazione di Cristo” da parte del martire
diviene per lui quasi “obbligo” all’intercessione a favore dei fratelli.
Intercedere fa parte della “sequela Christi”.
Cristo si è fatto intercessore anche per i suoi aguzzini: “Gesù diceva: «Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34) e secondo
l’insegnamento della Lettera agli Ebrei (7,13), Gesù Cristo: “è sempre vivo per
intercedere a loro favore”.
Nella Tradizione della Chiesa è di regola che la preghiera sia sempre rivolta al Padre,
e così fece il Cristo nella sua vita storica terrena intercedendo per gli uomini.
Come Cristo agiscono Maria e i martiri, a loro si possono rivolgere i fedeli ancora
pellegrini sulla terra. Quanti hanno raggiunto Dio, infatti, sono nella pienezza e non
dimenticano coloro che hanno amato sulla terra, facendone memoria al cospetto di
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Dio e presentando Lui le loro necessità, ma va considerato che la famiglia dei santi si
allarga non solo a quanti furono familiari secondo la carne, ma a tutta la famiglia più
vera e grande dei “fratelli nella fede”.
Nell’eternità si stabilisce una diversa genealogia, che non cancellando quella della
natura, l’amplia, nel respiro dello Spirito Santo, alla famiglia di Dio. Così il tema
della nuova “parentela” nella famiglia di Dio si allarga a quello del “patronato”.
“Patrono” è termine giuridico del latino classico, per definire il difensore, l’avvocato,
non si tratta quindi solo di un protettore a cui rivolgersi occasionalmente, ma è
persona da cui si attende di essere difesi nel giudizio di Dio, sia individuale che finale
(cfr. Icona della Deesis).
Individuare il proprio patrono, sia per la persona sia per una categoria, significa
instaurare un rapporto di fiducia, pubblico, fondato su una comunanza avvertita e che
precede la scelta e sentita come disegno di provvidenza e come realtà vincolante.
Il primo legame e dato dal nome “imposto nel Battesimo”. Altri legami si originano
dal lavoro, dalle condizioni, da malattie, da prove da affrontare, da situazioni di vita o
coincidenze di tempo di spazio. Infatti non c’è situazione della vita dell’uomo che
non sia stata santificata dalla testimonianza della fede.
Nulla del creato è estraneo alla salvezza, per cui ogni attività trova sempre un suo
specifico intercessore. Il patrono si mostra come protettore a cui rivolgersi e insieme
come modello da imitare. Data la concretezza del cristianesimo, affinché si stabilisca
un “patronato“ è necessario un punto di contatto che sia reso visibile
nell’iconografia.
Decisivo per stabilire un patronato e la sua storia, la sua vita e, nel caso dei martiri gli
strumenti ad essi legati.
Santa Lucia, nella cui Passio si fa riferimento alla vista e agli occhi è invocata
per la vista ed è patrona degli oculisti.
Apollonia, cui furono strappati denti, è patrona dei dentisti ed è invocata contro
il mal di denti.
Santo Stefano, lapidato, è patrono dei cavatori e tagliatori di pietre.
Matteo evangelista, l’esattore, è patrono dei contabili.
San Benedetto, fondatore di monasteri è patrono degli ingegneri che
costruiscono.
Agata, martirizzata al seno è invocata contro i tumori al seno (malattia allora
ignota) e da sempre patrona dell’allattamento.
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Ai Patroni così individuati ci si affida con devozione e essi divengono modelli di vita.
Si stabilisce, in tal modo, un rapporto tra protettore e protetti che si rifanno al loro
esempio.
Patroni di luoghi e di popoli.
I luoghi dove i santi hanno vissuto acquistano una loro rilevanza, si sviluppa una
geografia del sacro costituita dai luoghi che godono di uno speciale patrocinio perché
furono abitati o segnati dalla vita del santo.
Per i santi vescovi è normale lo stabilirsi del loro patrocinio sulle città dove hanno
esercitato il sacro ministero.
Per ogni santo ha rilevanza il luogo della nascita, della vita, della sepoltura, della
custodia delle reliquie.
La libertà di culto stabilita da Costantino con l’Editto del 313, favorì il sorgere della
delle chiese erette presso le sepolture dei martiri o sulla tomba stessa (San Pietro, San
Paolo, Santa Agnese, il Calvario, la Resurrezione, la Natività a Betlemme).
La pratica di edificare chiese presso o sulla tomba del martire è sostenuta dal
desiderio di essere raggiunti dalla “virtus” del Santo stesso, “virtus” che si manifesta
in modo speciale dove è deposto il Corpo santo.
La “virtus” è desiderabile perché produce la “salus”, la salvezza: salute per i viventi e
salvezza per l’eternità.
Da questo momento si sviluppa il tempo in cui le reliquie sono state fortemente
cercate desiderate e loro diffondersi contribuisce all’unità della Chiesa.
Tertulliano, nella sua “Apologia del cristianesimo” scrive: “Il sangue dei martiri è
seme dei nuovi cristiani”.
La Chiesa nata dal martirio di Cristo considera, nella sua realtà locale, che il sangue
dei martiri, dei suoi martiri, è dono di fecondità, di crescita e di vita.
Così l’importanza delle reliquie, che generano una vera geografia del sacro. Luoghi
di riferimento sono le tombe degli Apostoli poi la Terrasanta e i luoghi dei martiri e
dei santi. In riferimento al proprio santo patrono si forma e si esprime l’identità
culturale di un popolo (cfr. i longobardi e il loro patrono san Michele Arcangelo), si
arriva anche ad assumerne il nome; basti ricordare s. Ambrogio e di conseguenza “gli
ambrosiani”, i milanesi.
Va inoltre annotato come in tutta l’Italia la festa del patrono cittadino è anche festa
civile, segno indicante l’importanza storica e civile del legame con il patrono. Non
solo la città, le arti e mestieri hanno i loro Patroni, ma anche gli Stati hanno i loro
protettori.
Lo stesso mondo della politica non è alieno alla santità, pur non essendo una sfera
propria della Chiesa. Numerosi Santi europei testimoniano come sia possibile servire
Dio nell’impegno politico e sociale: Leopoldo III d’Austria, Fernando di Castiglia,
Luigi IX, San Nicola di Flue, eremita, e consigliere dei delegati dei Cantoni svizzeri.
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Non di rado una città o una nazione, hanno più di un patrono; al principale si
uniscono altri, collegati ad eventi particolari. Pensiamo al Continente europeo e anche
alla nostra Nazione italiana.
Infine ricordiamo che anche elementi di assoluta modernità, come ad esempio la
televisione, hanno come patrono un santo vissuto in tempi lontanissimi, basti pensare
a Santa Chiara appunto patrona della televisione e dei mezzi di comunicazione.
Le immagini.
A motivo dell’Incarnazione di Cristo, le immagini entrano di diritto nel culto della
Chiesa e dai tempi più remoti, i cristiani si servirono delle immagini sacre come
mezzo per suscitare la devozione e di conseguenza il cammino di santificazione
guardando ai santi come modello a cui conformarsi “nell’imitazione di Cristo”.
Le prime immagini che possediamo, provengono dall’arte funeraria: pittura nelle
catacombe, sarcofagi. Le immagini rappresentavano: i Sacramenti la storia della
salvezza e di seguito la figura dei defunti e dei martiri. Dopo l’Editto costantiniano il
patrimonio iconografico si arrichì attingendo alle arti figurative dell’arte romana:
scene della Maiestas Domini, gli apostoli, specie Pietro e Paolo, compaiono i primi
ritratti dei santi che ornano le tombe. L’immagine risulta utile perché porta a guardare
il santo martire e spinge ad imitarne le virtù.
Il Papa Gregorio Magno, nel 600 circa, riconobbe nelle immagini: “la Scrittura degli
illetterati”. Essi con questo mezzo erano istruiti “nella realtà della fede”. Non si
adora l’immagine, ma essa conduce e insegna “ciò che si deve adorare”.
La lotta contro le immagini.
A quanti si opponevano alla raffigurazione delle immagini, la Chiesa rispose
ribadendone la liceità. Luca Evangelista sovente è raffigurato mentre dipinge l’icona
della Madre di Dio.
Nel 730 l’imperatore bizantino Leone III Isaurico, ordinò la distruzione di tutte le
icone per eliminare quanto reputava idolatria. La lotta fu lunga, sanguinosa e
dolorosa e trovò in San Giovanni Damasceno il teologo difensore dell’icona che
indicava, a fondamento della liceità delle immagini, l’Incarnazione del Verbo di Dio.
La controversia fu risolta dal Concilio di Nicea II, nel 787, che sciolse ogni dubbio e
affermando solennemente la legittimità dell’immagine precisando che: “l’onore reso
all’immagine in realtà appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera
l’immagine venera la realtà di chi in essa è riprodotto”. Di seguito il Canone III del
Concilio Costantinopolitano IV affermò: “Ciò che nella Scrittura Sacra ci è
comunicato con le parole, l’immagine ce lo annuncia e lo rende presente mediante i
colori”. Del resto ricordiamo che il termine. “iconografo” significa letteralmente
“scrittore di icone”.
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Affermata quindi la legittimità delle immagini delle Divine Persone e di quanti sono
partecipi della famiglia di Cristo, le immagini hanno affollato le chiese e le case dei
cristiani per essere esempio e sostegno alla devozione e nella fede. Dal secolo VIII in
poi le immagini dei santi non più legate al luogo della sepoltura assunsero una loro
autonomia come Intercessori e Patroni, diffondendosi ovunque. Oriente e Occidente
via via assunsero strade diverse: l’Oriente conservò fedeltà immutata all’icona mentre
l’Occidente percorse altre vie.
La raffigurazione dei Santi.
Nello scorrere del tempo le raffigurazioni si sono molto diversificate, dalle figure
appena abbozzate si è passati a immagini con forte richiamo ritratto; si pensi all’icona
di San Pietro nel monastero di Santa Caterina al Sinai e San Paolo in un affresco di
Efeso, con forte realismo. Dal ritratto, sovente con il nome, si verrà ad aggiunge una
sorta di elemento particolari: gli attributi, cioè i segni che identificano la vicenda dei
santi in modo che una sola immagine può evocare tutta la storia.
Gli attributi
L’“attributo”, specie nel caso dei Patroni, è d’importanza fondamentale perché
mediante esso i fedeli riconoscono sì il Santo, ma anche loro stessi, perché colgono il
segno della santità da lui vissuta e l’impegno che i fedeli stessi devono assumere.
Così sia gli abitanti di Santhià in Piemonte (contrazione del nome Sant’Agata), sia
cittadini di Catania in Sicilia, riconoscono nella figura della giovane donna che reca
su un piatto i suoi seni, quale offerta al cielo, la loro patrona: Sant’Agata, e la la
possono riconoscere ovunque sia raffigurata in ogni chiesa dell’orbe Cristiano.
Lo stesso si può dire di ogni patrono e santo. L’attributo inoltre, consente di
identificare il santo di cui non è possibile avere una precisa indicazione della
fisionomia, quando età e condizioni potrebbero confondersi con altri; basti pensare ai
santi vescovi i quali hanno tutti la mitria, il pastorale, il Vangelo, cioè le insegne del
loro ministero, ma come distinguere l’uno dall’altro?
S. Ambrogio: l’alveare, i flagelli.
S. Nicola: tre borse, la dote per tre fanciulle; tre fanciulli salvati dall’oste.
Agostino: cuore ardente con tre frecce; citazione del “cuore inquieto” e segno
della Trinità.
Lazzaro: una piccola bara.
Biagio un pettine da cardatore: segno del suo martirio.
Questi attributi fanno riferimento ad episodi della vita del santo. Di solito gli attributi
possono essere uno o più: il principale ed altri. Per i martiri gli attributi possono
essere gli strumenti del martirio:
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Lorenzo la graticola, Agata i seni. A volte una geografia più ricca e vivace e
pittoresca, com’è il caso per Santa Lucia la cui passione allude agli occhi, mostra la
martire con gli occhi su un piccolo piatto. Inoltre quanto più ricca e la Passio tanto
più numerosi possono essere gli attributi. È il caso di Santa Barbara, il cui carnefice
sarebbe stato il padre stesso che fu incenerito da un fulmine. Così la santa, a motivo
dei tuoni che accompagnano abitualmente i fulmini, è ritenuta patrona di chi utilizza
armi e cannoni e ha tra i suoi attributi anche il fusto di un cannone.
Il medesimo discorso vale per Sant’Antonio abate, raffigurato abitualmente col
porcellino, egli probabilmente non ebbe nulla che vedere con quell’animale, ma fu
simbolo della sua vittoria sul maligno.
Un segno che accomuna i santi è la bellezza, espressione della santità; quindi
l’aureola. Altri tratti comuni sono la posizione eretta per tutti, il velo per le vergini, le
corone, gli strumenti del martirio, per tutti martiri la palma e la corona.
Ecco il significato:
La posizione eretta: indica la prontezza ad agire.
Gli occhi al cielo: “cercate le cose di lassù” (Col 3,1).
Nubi e raggi di luce: “Dio è luce in lui non ci sono tenebre” (Giovanni).
Velo: segno della verginità e del martirio, nella cultura romana erano velate le
spose, le vestali sposi caste della divinità. Nel mondo cristiano portano il velo
le vergini consacrate.
Croce crocefisso: attributo di molti santi, segno della loro adesione a Cristo.
Libro del Vangelo: tipico degli Apostoli e dei loro successori vescovi.
Il rosso: nella rappresentazione dei martiri, fuoco e sangue. In Roma antica il
rosso era segno del comando e dell’impero, rinvia all’effusione del sangue,
poiché chi è a capo deve essere il più pronto degli altri al sacrificio. Nella
Chiesa cattolica lo stesso vale per i cardinali.
Palma e corona: Segno dei martiri.
Aureola o nimbo: disco luminoso dietro il capo simbolo della luce divina.
Strumenti del martirio: emblemi della gloria in riferimento alla Croce di Cristo.
Per i vescovi, ci sono anche questi simboli: la tunica bianca che ricorda la veste che
Erode fa indossare a Gesù, segno della castità; il cingolo: corda con cui fu legato
Cristo e che lega al servizio di Cristo chi la porta, anch’essa segno di castità; la stola,
il giogo di Cristo; la Casula o pianeta, veste regale, ricorda la tunica senza cuciture
del Signore; la cattedra, luogo del vescovo; il pastorale; il Vangelo; il pallio, simbolo
dell’agnello portato sulle spalle dal buon pastore; la mitra copricapo dei leviti; i
guanti; l’anello, segno sponsale; il piviale.
Le Sacre conversazioni: i santi intorno alla Madre di Dio nei polittici, i santi sono
raffigurati con i loro attributi.
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Gruppi di santi:
gli Apostoli
i quattro evangelisti
i quattro dottori dell’Occidente: Gregorio Magno, Agostino, Ambrogio,
Girolamo
i quattro dottori dell’Oriente: Atanasio, Basilio, Gregorio di Nazianzo,
Giovanni Crisostomo
Santi Intercessori: sono 14 santi che erano molto invocati nel medioevo, tra
essi: Barbara contro i fulmini e la morte improvvisa; Biagio contro il mal di
gola; Ciriaco contro le possessioni diaboliche; Cristoforo contro gli incidenti di
viaggio.
Le foto non sono molto adatte alle esigenze del culto
gli attributi possono essere: Animali, vegetali, armi, oggetti, persone, simboli.
Pio XII, Mediator Dei: Le feste dei Santi
Nel corso dell’anno liturgico si celebrano non soltanto i misteri di Gesù Cristo, ma
anche le feste dei Santi, nelle quali, sebbene si tratti di un ordine inferiore e
subordinato, la Chiesa ha sempre la preoccupazione di proporre ai fedeli esempi di
santità che li spingano ad adornarsi delle stesse virtù del Divin Redentore.
È necessario, difatti, che noi imitiamo le virtù dei Santi, nelle quali brilla in vario
modo la virtù stessa di Cristo, come di Lui essi furono imitatori. Poiché in alcuni
rifulse lo zelo dell’apostolato; in altri si dimostrò la fortezza dei nostri eroi fino
all’effusione del sangue; in altri brillò la costante vigilanza nell’attesa del Redentore;
in altri rifulse il verginale candore dell’anima e la modesta dolcezza della cristiana
umiltà; in tutti, poi, arse una fervidissima carità verso Dio e verso il prossimo.
La Liturgia pone davanti ai nostri occhi tutti questi leggiadri ornamenti di santità
perché ad essi salutarmente guardiamo, e perché «noi che godiamo dei loro meriti
siamo accesi dai loro esempi». È necessario, dunque, conservare «l’innocenza nella
semplicità, la concordia nella carità, la modestia nell’umiltà, la diligenza nel
governo, la vigilanza nell’aiutare chi soffre, la misericordia nel curare i poveri, la
costanza nel difendere la verità, la giustizia nella severità della disciplina, perché
nulla in noi manchi di ogni virtù che ci è stata proposta ad esempio. Queste sono le
tracce che i Santi, nel loro ritorno alla patria, ci lasciarono, perché seguendo il loro
cammino, possiamo seguirli nella beatitudine». E perché anche i nostri sensi siano
salutarmente impressionati, la Chiesa vuole che nei nostri templi siano esposte le
immagini dei Santi, sempre, però, allo stesso fine, che cioè «imitiamo le virtù di
coloro dei quali veneriamo le immagini»
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Sacrosanctum Concilium
“La Chiesa ha inserito inoltre nel ciclo dell’anno anche le memorie dei Martiri e
degli altri Santi che, giunti alla perfezione con l’aiuto della multiforme grazia di Dio
e già in possesso della salvezza eterna, in cielo cantano a Dio la lode perfetta ed
intercedono per noi.
Nel giorno natalizio dei santi, infatti, la Chiesa predica il mistero pasquale nei Santi
che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati; propone ai fedeli i loro
esempi, che attraggono tutti al Padre per mezzo di Cristo, e implora per i loro meriti
i benefici di Dio” (SC 104).
La Chiesa, infine, nei vari tempi dell’anno, secondo una disciplina tradizionale,
completa la formazione dei fedeli per mezzo di pie pratiche spirituali e corporali, per
mezzo dell’istruzione, della preghiera, delle opere di penitenza e di misericordia.
Pertanto al sacro Concilio è piaciuto stabilire quanto segue (SC 105).
Come dicevamo ogni Domenica e Festa nell’inno del Gloria la Comunità celebrante
si rivolge al suo Signore e proclama: “Tu solo il Santo”. La santità appartiene,
dunque, al Dio “Santo Santo Santo” ed al Figlio suo “il Signore” venuto nella nostra
carne e storia.
Ma fin dall’inizio della storia dell’Alleanza Dio ha voluto fare partecipe il suo popolo
di tale dono (Es 19,5-6) e per la venuta tra noi del Figlio, Dio ha comunicato la sua
santità alla Chiesa, a ciascun membro di essa (1 Pt 2,9). Così l’apostolo Paolo si può
rivolgere ai cristiani delle diverse Chiesa con l’appellativo di “santi” (cfr. Rom 1,7;
15,25).
Da questa connotazione di santità, legata al Dono battesimale, il passo è breve nel
collegarla in modo particolare a quei battezzati che avevano vissuto e testimoniato in
pienezza la loro appartenenza a Cristo, i Martiri, e dopo l’era delle persecuzioni a
quei fedeli che avevano brillato nella comunità per la luminosità dei loro esempi, i
confessori. Si cominciò a commemorare il loro “dies natalis”, il passaggio dal tempo
all’eternità, invocandone l’intercessione presso Dio.
Così dunque nacque e si sviluppò il culto dei santi. Al centro della celebrazione della
fede, è chiaro, sta il Cristo Signore e Sposo della Chiesa e solo accanto a Lui, come
piccoli raggi di luce riflessi dalla Pietra preziosa che è il Signore, la Comunità
credente fa memoria di coloro che con intensità vissero il Mistero di Cristo nel tempo
della loro vita e del loro passaggio al Padre.
La Chiesa, dunque, da l’appellativo di “santi” anzitutto a Maria, agli Apostoli, ai
Martiri e a quanti già partecipano della gloria del Signore nel Regno suo, e che
sempre stanno in comunione con noi pellegrini nel tempo e bisognosi della loro
intercessione, al fine di raggiungerli nella medesima eterna gloria.
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Come abbiamo detto sopra, nel giorno dell’Epifania, il 6 gennaio, per antica
tradizione la Chiesa, proclamando solennemente la data della Pasqua annuale e delle
principali feste dell’Anno liturgico, conclude il gioioso annuncio così:
“Anche nelle feste della Madre di Dio, degli Apostoli, dei Santi e nella
commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la
Pasqua del suo Signore. A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e
della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Amen!”.
Prendiamo in considerazione due esempi di Santi Martiri, della prima ora, san
Policarpo di Smirne e sant’Ignazio di Antiochia.
Siamo davanti a due Testimoni che gloria della Chiesa delle origini e di ogni tempo,
che, nutriti dell’Eucarestia, seppero trasformare il loro stesso martirio in una vera
“Eucarestia” celebrata con l’offerta della stessa vita.
Nella sua Lettera ai cristiani di Roma, Ignazio di Antiochia che fu martire a Roma
verso il 107 scrive:
Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio,
se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza
inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è
possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle
fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere
perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto
non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo,
quando il mondo non vedrà più il mio corpo. Pregate il Signore per me
perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi comando come Pietro e
Paolo: Essi erano Apostoli, io un condannato, essi erano liberi io a tuttora
uno schiavo. Ma se soffro sarò affrancato in Gesù Cristo e risorgerò libero
in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla.
Il 23 febbraio 155 fu condotto al martirio il vescovo Policarpo, ecco come si svolsero
i fatti e come pregò, quasi una Prece eucaristica, questo glorioso testimone.:
Non lo inchiodarono, ma lo legarono.
Con le mani dietro la schiena
e legato come un capro
scelto da un grande gregge per il sacrificio,
gradita offerta preparata a Dio,
guardando verso il cielo disse:
“Signore Onnipotente
Padre di Gesù Cristo
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tuo amato e benedetto Figlio
per cui mezzo abbiamo ricevuto la tua conoscenza.
O Dio degli angeli e delle potenze
di ogni creazione e di ogni stirpe di giusti
che vivono alla tua presenza.
Io ti benedico perché mi hai reso degno
di questo giorno e di quest’ora,
di prendere parte nel numero dei martiri
al calice del tuo Cristo,
per la resurrezione della vita eterna
dell’anima e del corpo
nell’incorruttibilità dello Spirito Santo.
In mezzo a loro
possa io essere accolto al tuo cospetto
in sacrificio pingue e gradito
come prima l’avevi preparato, manifestato e realizzato,
Dio senza menzogna e veritiero.
Per questo e per tutte le altre cose
Ti lodo, ti benedico e Ti glorifico
per mezzo dell’eterno e celeste gran Sacerdote Gesù Cristo,
Tuo amato Figlio,
per il quale sia gloria a te
con lui e lo Spirito Santo
ora e nei secoli futuri.
Amen”.
Appena ebbe alzato il suo Amen e terminato la preghiera, gli uomini della
pira appiccarono il fuoco. La fiamma divampava grande. Vedemmo un
prodigio e a noi fu concesso di vederlo. Siamo sopravvissuti per narrare
agli altri questi avvenimenti. Il fuoco facendo una specie di voluta, come
vela di nave gonfiata dal vento girò attorno al corpo del martire. Egli stava
in mezzo, non come carne che brucia ma come pane che cuoce, o come oro
e argento che brilla nella fornace. E noi ricevemmo un profumo come di
incenso che si alzava, o di altri aromi preziosi.
San Martino di Tours: nato nel 316 in Pannonia, l’odierna Ungheria, esercitò il suo
ministero nella Gallia del tardo impero romano. Morì l’8 novembre 397. Si ritiene il
primo santo non martire proclamato dalla Chiesa Cattolica, è venerato anche da
quella Ortodossa e da quella Copta. La sua memoria si celebra l’11 novembre, giorno
della sua deposizione avvenuta nella città di Tours.
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Il Martirologio Romano
Il Martirologio Romano è un libro liturgico e costituisce la base dei Calendari
Liturgici che ogni anno determinano le feste religiose. La prima edizione ufficiale
risale al XVI secolo e fu approvata da papa Gregorio XIII nel 1586.
Nei primi tempi della storia del Cristianesimo si prese uso di conservare memoria di
coloro che morirono per causa della loro fede: i martiri.
Ogni chiesa particolare aveva un suoMartirologio, cioè un elenco di martiri; ben
presto si diede importanza al giorno del loro passaggio alla vita eterna, detto il dies
natalis, e si prese a commemorare il giorno della loro morte per celebrare la loro
memoria, particolarmente nel luogo ove riposavano le loro spoglie.
Nel XVI secolo si decise di unificare i vari martirologi in un solo elenco nel quale
trovassero posto tutti i santi e i beati riconosciuti come tali dall’autorità della Chiesa
Cattolica: la grande opera di revisione fu affidata da papa Gregorio XIII e dal
cardinale Guglielmo Sirleto al cardinale Cesare Baronio che la completò nel1586:
venne allora pubblicato il primo Martyrologium Romanum.
Successivamente vi furono apportate aggiunte e modifiche (le prime già nel1593,
1602 e poi nel 1613) e furono realizzate nuove edizioni: fondamentali le revisioni
volute dai papi Urbano VIII (1630), Clemente X (1673) e Benedetto XIV (1749).
Attualmente il martirologio è curato dalla Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti.
L’edizione più recente è del 2001; quella precedente era stata compilata nel 1956, ma
in seguito alle numerose canonizzazioni e beatificazioni fatte, in particolare durante il
pontificato di san Giovanni Paolo II, si decise di aggiornarlo, riformandolo secondo il
dettato del Concilio Ecumenico Vaticano II.
In quest’ultima revisione sono stati esclusi quei santi o beati dei quali non si hanno
notizie certe e documentate. In totale annovera 6538 voci.
Il nome dei santi è accompagnato da una breve nota comprendente il luogo di morte,
la qualifica di santo o beato, il titolo denotante il suo “status” ecclesiale (apostolo,
martire, dottore della Chiesa (maestro della fede), missionario, confessore, vescovo,
presbitero, vergine, coniuge, vedovo, figlio), l’attività e il carisma.
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Conferenza stampa di presentazione del nuovo Martirologio Romano
Card. Jorge Arturo Aedina Estévez
1. La santità nella vita cristiana
La vocazione cristiana è vocazione alla santità. “Siate perfetti come è perfetto il
vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 48)..”Siete stati eletti affinché diventaste santi ..
ed immacolati” (Ef 1, 4). Il Concilio Vaticano II ha ricordato solennemente questa
verità cattolica della vocazione universale alla santità, spiegando come ogni discepolo
di Cristo può e deve, con l’aiuto della grazia di Dio, camminare verso la santità,
percorrendo la sua esistenza terrena attraverso i differenti stati di vita secondo la
vocazione particolare di ciascuno. I santi sono, infatti, i cristiani che sono stati
coerenti con il loro battesimo, avendo capito in profondità il senso della vita cristiana.
Recentemente il Santo Padre Giovanni Paolo II ha insistito vigorosamente nella
Lettera Apostolica Novo millenio ineunte sull’insegnamento del Concilio Vaticano Il
per quanto riguarda la vocazione di tutti i fedeli alla santità. Ecco le sue parole:
“E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il
cammino pastorale è quella della santità. Non era questo forse il senso ultimo
dell’indulgenza giubilare, quale grazia speciale offerta da Cristo perché la vita di
ciascun battezzato potesse purificarsi e rinnovarsi profondamente?
Mi auguro che, tra coloro che hanno partecipato al Giubileo, siano stati tanti a godere
di tale grazia, con piena coscienza del suo carattere esigente. Finito il Giubileo,
ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta più che mai un’urgenza
della pastorale.
Occorre allora riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della
Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla «vocazione universale alla
santità». Se i Padri conciliari diedero a questa tematica tanto risalto, non fu per
conferire una sorta di tocco spirituale all’ecclesiologia, ma piuttosto per farne
emergere una dinamica intrinseca e qualificante. La riscoperta della Chiesa come
«mistero», ossia come popolo «adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito», non poteva non comportare anche la riscoperta della sua «santità», intesa nel
senso fondamentale dell’appartenenza a Colui che è per antonomasia il Santo, il «tre
volte Santo» (cfr. Is 6, 3). Professare la Chiesa come santa significa additare il suo
volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla
(cfr. Ef 5, 25-26). Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun
battezzato.
Ma il dono si traduce a sua volta in un compito, che deve governare l’intera esistenza
cristiana: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4, 3). È un
impegno che non riguarda solo alcuni cristiani «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o
grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità».”
(NMI, n. 30)
Non è per caso che nei primi tempi della Chiesa, i cristiani venivano chiamati
semplicemente, nella letteratura neotestamentaria, “i santi”. Quando la Chiesa ricorda
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i santi e nutre verso di loro un senso di venerazione, non toglie a Dio l’onore a Lui
dovuto, ma Gli rende grazie per la vittoria della grazia nei suoi figli che hanno dato
testimonianza di santità. L’onore tributato ai santi è in definitiva la riconoscenza
dell’azione della grazia, magnifica e splendente, in questi figli del Padre, membra di
Cristo e templi dello Spirito Santo. Il culto dovuto ai santi, che mai può essere
confuso con l’adorazione, la quale è dovuta solo a Dio Uno e Trino, non deve essere
distaccato dal culto offerto a Dio, fonte e origine di ogni bene. Nel venerare i santi
non possiamo dimenticare che la loro pienezza cristiana non è frutto di un impegno
soltanto umano, ma è un riflesso della santità di Dio e frutto della sua grazia. La
Chiesa vede nei santi innanzitutto esempi di fedeltà alla grazia battesimale, e anche
validi intercessori dinanzi a Dio che possono aiutarci con le loro preghiere.
2. Il Martirologio
Già nei primi tempi della storia cristiana ci fu un particolare impegno per conservare
la memoria di quei discepoli di Cristo che avevano sparso il loro sangue nelle
persecuzione, come testimonianze della loro fedeltà fino alla morte. Col tempo, nelle
chiese particolari furono composti elenchi dei nomi dei martiri morti in quella chiesa,
ma non fu raro il caso di uomini o donne morti in altri luoghi il cui martirio ebbe
grande risonanza e che per ciò venivano ricordati anche in altre Chiese. In una tappa
questi elenchi contenevano soltanto nomi di martiri. Col passare del tempo furono
aggiunti nomi di vescovi, monaci e vedove che avevano dato grande esempio di
santità e la cui memoria fu conservata in benedizione.
Le Chiese particolari non curavano soltanto la conservazione della memoria dei
martiri ed altri santi, ma ben presto il giorno del loro passaggio alla vita eterna, il
«dies natalis»; la nascita alla vita definitiva nella casa del Padre fu un’occasione per
celebrare la loro memoria, particolarmente nel luogo ove riposavano le loro spoglie.
Si conservano diverse omelie dei santi Padri dell’antichità cristiana pronunciate in
occasione dell’annuale ricorrenza del “natalizio” soprattutto dei martiri.
3. Dai martirologi al Martirologio
Per parecchi secoli ci furono diversi martirologi particolari corrispondenti alle varie
Chiese particolari. Man mano lo svolgimento delle comunicazioni, il senso della
cattolicità e la moltiplicazione delle narrazioni sulle vite dei santi condussero alla
compilazione di un Martirologio Romano, nel quale trovassero posto tutti i Santi e
Beati riconosciuti come tali dall’Autorità della Chiesa. Il primo Martirologio Romano
risale al XVI secolo e fu approvato dal Sommo Pontefice Gregorio XIII nell’anno
1586.
La canonizzazione è un atto pontificio che include quattro elementi: il giudizio sulla
santità, la convinzione che colui che è dichiarato santo gode della beatitudine del
Regno dei cieli, la proposta della sua vita come esempio per gli altri cristiani, sempre
da ammirare ma non sempre né in tutto da poter essere imitata, e l’invito ai fedeli di
rivolgersi al santo, se così vogliono, per implorare la sua intercessione presso Iddio
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nelle loro necessità spirituali o materiali. La canonizzazione di un santo non significa
che obbligatoriamente sia celebrato dappertutto, ciò che invece accade con i santi la
cui memoria viene inserita nel calendario universale del Rito romano.
Dal secolo XVII in poi, la “canonizzazione” viene preceduta dalla “beatificazione”, la
quale è un atto pure pontificio che autorizza il culto del beato limitatamente, ristretto
abitualmente al luogo della nascita, dell’apostolato, di prolungata residenza, della
morte e della sepoltura. Per i beati religiosi il loro culto è abitualmente concesso a
tutta la famiglia religiosa alla quale sono appartenuti. Anche i beati trovano posto nel
martirologio, sia quelli che sono stati ufficialmente beatificati, sia quelli che
godevano da tempo immemorabile della qualifica di “beati” e venivano onorati con
un culto corrispondente.
4. L’uso del Martirologio
Per secoli la lettura del Martirologio del giorno seguente fece parte dell’Ufficio di
Prima, quando questa parte dell’Ufficio veniva celebrata in coro, sia nei capitoli
secolari, sia nei monasteri o conventi. Nelle comunità che non celebravano l’Ufficio
Divino in coro, non era raro che il Martirologio venisse letto nel refettorio. Oggi non
esiste più l’Ufficio di prima, e dunque il Martirologio va letto nelle comunità che
pregano la Liturgia delle Ore in coro, in un momento appropriato. Sarebbe
auspicabile che le comunità che non pregano la Liturgia delle Ore in coro, trovino un
momento opportuno per la lettura del Martirologio, offrendo così a tutti i membri
della comunità la possibilità di ricordare i nostri fratelli eminenti che godono della
beatitudine celeste e ci spingono con l’esempio della loro vita.
5. Il Martirologio attuale
L’edizione tipica del martirologio Romano che offriamo oggi alla Chiesa è stata
preceduta da altre. L’ultima risaliva all’anno 1956.
Dopo quell’edizione sono avvenute numerosissime beatificazioni e canonizzazioni:
soltanto sotto il pontificato di Sua Santità Giovanni Paolo II il numero delle
beatificazioni arriva a più di milleduecento e le canonizzazioni superano le
quattrocento. Si tratta dunque di un’edizione aggiornata, ma che è ampiamente
tributaria delle edizioni anteriori. Nella preparazione di questa edizione la
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha consultato i
Bollandisti ed il Pontificio Comitato per le Scienze storiche, oltre ad altre ricerche.
Pensiamo che sia un lavoro abbastanza maturo, ma non si può escludere che ulteriori
ricerche scientifiche richiedano correzioni nelle edizioni future. La Congregazione
per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ringrazia in anticipo tutte le
persone e istanze qualificate che vorranno esaminare la presente edizione del
Martirologio Romano ed inviarci le loro osservazioni in vista di successivi
miglioramenti.
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INTERVENTO DI S.E. MONS. FRANCESCO PIO TAMBURRINO
Il Martirologio e il Concilio.
La prima edizione tipica post-conciliare del Martirologio Romano è il frutto maturato
sul dettato del Concilio Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, n° 111). Questa opera
monumentale è frutto di un impegno protrattosi per oltre un ventennio e ha
comportato il ricorso a un attento esame teologico, storico e pastorale (SC, n° 23) del
materiale e l’applicazione di una sana e coerente analisi critica (SC, n° 92, c), perché
rispondesse all’esigenza di ripristinare il culto dei santi nella sua più genuina
autenticità e potesse fornire così ai fedeli veri e opportuni esempi da imitare.
L’interesse per il Martirologio Romano.
Si intuisce, perciò, come il Martirologio sia in grado di catalizzare intorno a sé
interessi svariati, non soltanto del mondo dei fedeli, che a questo libro si rivolgono
per attingervi i modelli esemplari di spiritualità e di vita cristiana, ma anche del
mondo accademico e degli studiosi di liturgia, che in questo testo vedono realizzarsi
istanze conciliari non prive di grande attualità, anche alla luce del recentemente
dibattuto rapporto tra scienze umane e vita della Chiesa.
Fin dai tempi della sua prima edizione post-tridentina ad opera del Cardinale Cesare
Baronio nel 1585, il Martirologio Romano attirò su di sé interessi e critiche, che anzi
a quell’epoca ebbero l’effetto di anticiparne addirittura la pubblicazione.
Nel corso dei secoli, fino al 1913, esse generarono un susseguirsi di oltre 130
revisioni del testo, che però, eseguite per lo più senza vera cura, né autentico spirito
critico, non fecero che moltiplicare nell’opera gli errori, anziché ridurli.
L’edizione odierna del Martirologio: limiti e rapporti con l’opera del Baronio.
L’edizione attuale del Martirologio si caratterizza, pertanto, rispetto al passato, per
uno sforzo non soltanto di aggiornarne il contenuto con l’aggiunta dei nuovi santi e
beati proclamati tra i pontificati di Pio XII e di Giovanni Paolo II, ma anche di
trasmettere tradizioni autentiche concernenti il culto dei santi più antichi, eliminando
-per quanto possibile- errori inesorabilmente confluiti da martirologi altomedioevali
nell’opera del Baronio e nelle sue revisioni.
Per quanto concerne le epoche più antiche, nel Martirologio Romano attuale
convergono tutti i santi e i beati il cui culto sia stato ufficialmente riconosciuto dalla
Chiesa, con esclusione di tutti coloro, sui quali gravino dubbi derivanti da tradizioni
spurie, incerte o del tutto leggendarie, e sono inclusi soltanto coloro della cui
esistenza si abbia prova empirica attraverso la memoria ab immemorabili di un culto
ad essi prestato, trádita dalla presenza del loro nome negli antichi calendari. In totale,
6538 voci.
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Ma è opportuno ricordare che il Martirologio Romano non mira con ciò in nessun
modo a rappresentare l’edizione a stampa di un elenco completo di tutti i santi da
Abele il giusto fino ad oggi. La presenza di un santo al suo interno significa
semplicemente la certezza che esiste un culto approvato dalla Chiesa; l’assenza, al
contrario, denota la mancanza di un culto ufficialmente autorizzato.
Correzioni.
L’operazione più poderosa e complessa sul piano redazionale è stata sicuramente la
verifica dei dati storici relativi ai santi più antichi, che ha determinato la soppressione
di figure di dubbia identità o di rettifica delle date di culto. A tale scopo, si sono resi
necessari una scrupolosa consultazione delle fonti liturgiche, tra cui soprattutto
calendari e martirologi antichi, e l’accertamento dell’attendibilità dei dati trasmessi
dalle varie tradizioni cultuali, con risultati ad ampio raggio, dagli spostamenti di data
alla soppressione di singole figure o gruppi di santi, frequentemente sottoposti a
rettifiche e ricomposizioni.
L’applicazione dei criteri forniti, in merito, dal bollandista Hippolyte Delehaye nei
suoi monumentali commentari al Martirologio, ritenuti validi anche dagli attuali
studiosi di agiografia, ha costituito il punto di riferimento per le molteplici variazioni
apportate, soprattutto sul piano della riscrittura formale del testo risalente al Baronio.
Struttura degli elogi.
Per ogni giorno dell’anno il testo attuale presenta l’elenco dei santi, dei quali è nota la
data della memoria liturgica, di solito coincidente con il dies natalis, che corrisponde,
secondo l’antica tradizione con il giorno emortuale. Il catalogo procede, all’interno
del singolo giorno, secondo un ordine cronologico, con la sola eccezione dei santi del
Calendario generale di Rito romano, il cui elogio, in virtù della loro importanza
universale viene sempre collocato al principio della lista e contraddistinto sul piano
grafico da un corpo lettera di maggiore dimensione. La menzione del nome dei santi è
accompagnata, secondo tradizione, da una concisa notizia comprendente il luogo di
morte, la qualifica di santo o beato, il titolo denotante lo status ecclesiale del
personaggio (apostolo, martire, maestro della fede, missionario, confessore, vescovo,
presbitero, vergine, coniuge, vedovo, figlio), l’attività e il carisma. Tale notizia,
contrassegnata da un numero d’ordine progressivo in cifre arabe, per favorirne
attraverso gli indici un più immediato reperimento, cerca di rievocare la figura del
santo, tratteggiandone una succinta ed essenziale descrizione, ispirata a quel criterio
formale di semplicità consona con la liturgia romana. Quando il numero è seguito da
asterisco, esso significa che il santo ha un culto locale.
Elogi per i santi del Calendario generale.
Per le figure del Calendario generale, l’ossatura formale degli elogi risponde a criteri
strutturali definiti: i vocaboli sollemnitas, festum o memoria posti in testa all’elogio
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richiamano il corrispondente grado liturgico; nel caso, invece, di memorie ad libitum,
gli elogi hanno inizio direttamente con il nome del santo. In questi casi gli elementi
geografici e topografici sono dislocati, anziché all’inizio, in altre parti del testo. In
generale, comunque, l’esigenza di sottolineare l’esemplarità dei vari santi e rilevare
gli aspetti più significativi del loro carisma, ha reso necessaria la riscrittura per la
quasi totalità degli elogi del Martirologio.
Alcuni accorgimenti.
Tra gli accorgimenti adottati in tal senso, si è anche provveduto a ridurre al minimo
ogni tipo di accenno cronologico che menzionasse governatori, sovrani o notabili,
sotto cui il vir Dei ha reso la sua testimonianza a Cristo. Se i nomi degli imperatori
romani o dei regnanti che avevano autorizzato alcune delle più note persecuzioni
sono stati, in generale, conservati, risulteranno invece trascurati quelli di personaggi
minori, che non si presterebbero a una immediata comprensione da parte di chi non
sia in possesso di una competenza storica specialistica.
A questa scelta supplisce, comunque, almeno in parte l’ordine progressivo di
disposizione dei santi all’interno del singolo giorno, secondo una successione
cronologica, che richiama, per quanto genericamente, l’epoca in cui il santo è vissuto.
L’anno di morte è, invece, esplicitamente citato nell’Indice posto in calce al volume.
Per analoghe ragioni si sono soppressi anche i nomi dei Papi, quando citati come puro
mezzo di allusione cronologica. Si sono omessi gli elementi circa la gloria postuma
dei santi, i miracoli da essi operati o il destino delle loro reliquie. Pertanto, laddove
sia noto il dies natalis del santo e sia possibile evitare richiami a circostanze quali
l’ordinazione episcopale o sacerdotale, la traslazione o l’invenzione di reliquie,
oppure i miracoli ed elementi cultuali – spesso peraltro introdotti da tradizioni tardive
– inclusi i cenni alle date di beatificazione o ai decreti di concessione di culto, ogni
dato è stato sostituito con elementi riguardanti la forma di santità cristiana vissuta dal
santo e il suo significato per la Chiesa.
L’indicazione della data del giorno.
Il testo degli elogi è preceduto dalla datazione del giorno, designato in tre modi: con
indicazione del giorno e del mese, secondo l’uso moderno; con la scansione dei mesi
in calende, none e idi, secondo l’uso romano; e secondo l’uso del calendario lunare. Il
computo lunare è stato mantenuto anche in questa edizione tipica per varie ragioni:
esso costituisce la base del calendario ebraico, ma anche di alcune Chiese cristiane,
come la Copta e l’Etiopica, e anche per il rispetto dovuto alle comunità cristiane che
vivono in nazioni ove il computo civile è lunare, come il Viet Nam, la Cina, la
Malesia e in parte della Corea. Anche il mondo islamico segue il calendario lunare.
Tuttavia, la ragione decisiva è costituita dal fatto che, per il nesso del calendario
cristiano con quello ebraico, la Pasqua – perno di tutto l’anno liturgico – è stabilita
nella domenica immediatamente successiva al 14 di Nisan, al plenilunio dopo
l’equinozio di primavera. E sempre con il computo lunare viene determinata la
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Quaresima e la Cinquantina pasquale che si conclude con la Pentecoste e influisce
anche sul computo delle settimane del tempo ordinario.
… la geografia e il respiro universale del Martirologio.
Questa prospettiva di valorizzazione delle culture «diverse» risponde, del resto,
appieno alla dimensione universale della santità di cui il Santo Padre si è fatto in
questi anni promotore. Proprio in questa chiave si inserisce la particolare cura
riservata nel nuovo Martirologio ai nomi geografici, che, d’accordo anche qui con un
tradizionale aspetto presente già a partire dai Martirologi «storici» della tarda
antichità e del Medioevo, procede con una precisa indicazione dei toponimi legati alla
memoria e, in particolare, al luogo di morte del santo, seguiti anche dal nome della
regione in cui essi erano situati all’epoca del santo. Tali designazioni toponimiche,
aiutano a delineare una autentica «geografia della santità», che assume un respiro
cattolico e abbraccia popoli, realtà ed esperienze di tutto il mondo, superando le
barriere politiche, ideologiche, culturali e in qualche caso anche confessionali.
L’Indice.
Si è stimato, infine, opportuno mantenere al Martirologio Romano il carattere di libro
liturgico, circoscrivendo gli strumenti di appendice al solo indice alfabetico dei santi
e dei beati nominati nel testo, corredato dal rimando al giorno di commemorazione e
dalle indicazioni del numero d’ordine all’interno dell’elenco diario e dell’anno di
morte, posto tra parentesi. Un ulteriore sforzo è già in programma, anche in vista
della preparazione delle traduzioni in lingua volgare e della possibilità di eventuali
aggiunte, per la compilazione di un volume di sussidio, contenente indici più
articolati e rinvii complementari, con ordinamento multiplo dei santi e dei beati, per
cognome, categorie, titolo liturgico, nonché per mesi, secoli e aree geografiche, sia un
inventario topografico dei nomi di luogo e, forse, anche un catalogo delle fonti.
Libro liturgico.
Concludendo, è importante rilevare la caratteristica più peculiare del Martirologio
Romano: esso non è un repertorio agiografico, né un semplice catalogo di personaggi
illustri della Chiesa, bensì un libro liturgico riformato secondo il dettato del Concilio
Vaticano II. Esso costituisce la base dei calendari liturgici che ogni anno determinano
le feste sia del Signore che del Santorale. Perciò il Martirologio – secondo la
tradizione – è stato nuovamente corredato di tutti gli elementi rituali per l’annuncio
comunitario dopo un’ora canonica o in altri momenti della giornata: alla mensa o
all’officium capituli per le comunità monastiche e canonicali. La lettura liturgica del
Martirologio non ha lo scopo di comunicare notizie, ma di celebrare la santità di
Cristo e dei suoi santi e annunciare ai cristiani che «non sono più stranieri e ospiti, ma
concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2, 19), chiamati a proclamare le
meraviglie di Cristo nei suoi servi e a imitarne gli esempi.
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