il forte

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034 APRILE 2012 3,00 Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio. la festa è finita A MILANO E BARCELLONA LA MAFIA SERVE DA BERE SUI NAVIGLI 8 COMMERCIANTI SU 10 NE SONO CONVINTI, MENTRE TRA LE RAMBLAS C’È CHI COMPILA UNA WHITE LIST.

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Scrutare l'orizzonte da una rocca. Tra mura sbrecciate e gabbiani in volo. Per riscoprire una pace commovente. Racconto di Alessandro Dantonio. Illustrazione di Maria Giovanna Lanfranchi.

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aprile 2012€ 3,00

poste italiane Spa Spedizione in abbonamento postaleD. l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, lO/Mi roserio.

la festa è finita a milano e barcellona la mafia serve da bere Sui Navigli 8 cOMMerciaNti Su 10 Ne SONO cONviNti, MeNtre tra le raMblaS c’è chi cOMpila uNa white liSt.

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scrittori nel cassetto| a Cura Di | SCUoLA hoLDeN | www.scuolaholden.it

SCruTare l’orizzoNTe Da uNa roCCa,Tra Mura SBreCCiaTe e GaBBiaNi iN Volo.per riSCoprire uNa paCe CoMMoVeNTe.

il forte| raCCoNTo | ALeSSANDro DANToNIo | illuSTrazioNe | mArIA gIoVANNA LANfrANChI

Si è trattato di stare lì, tra muri sbrecciati di pietra scura, altissimi, bui come lava raf-freddata dal tempo, e di una compattezza, talmente fredda al tatto, eppure eterea, quasi che non fosse roccia ma ipotesi, perseveranza o incubo. La mattina il sole, che sorgeva da dietro al basso colle, illuminava di un bianco gelido la folle rigida rupe su cui si abbatteva il peso dell’immane affaticata costruzione. Per tutti quegli anni sono stato lì a guardarlo, a scrutarne la luce balorda e macabra, e la bru-mosa cappa, che si spandeva come una mel-ma sui rigidi muri, e sopra i miei pensieri, e

Ho vissuto per anni in un castello tra i monti.

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oltre quelli, fino giù nella valle. Allora spesso mi portavo, più avanti nel mattino, in cima al torrione più alto. Da lì vedevo la profonda valle infilarsi tra i monti, e le terrazze di viti e orti, fin dove arrivava lo sguardo, e il resto poi perdersi nella foschia.

L’osservazione continua ringraziava, per così dire, il cielo di quella sua attitudine. La calma, la compostezza di ciò che pare irre-prensibile e dolce e che si spande sugli occhi e si fissa come un languore nello sguardo, vi-bra nei gesti e mi trascina, come un usuale compito mai completamente svolto, ma ogni volta iniziato.

Sono stato la mia unica pace, io sono la mia unica voce in questa guerra. Sono la posizione, la mia postazione sul colle, da lì bombardo continuamente la vita con la mia vita e mi prendo le rivincite, le solite rivin-cite. È un cannoneggiamento continuo, e persevero da anni. E così mi ritrovo ancora qui, distratto dalle tempeste, emotivo come il vento, facile, persino facile, e carico fino all’orlo di mille e una falsità, delicato magari, si, come un alambicco che goccia dopo goccia dopo goccia, fuoriesce la calma placida di un composto forte di alcool che brucia dentro.

Su questa nuda rocca, e oltre ancora, anche più in alto, inspiegabilmente certe mattine arrivano i gabbiani pur non essendoci mare se non a distanza di centinaia di chilometri. Veleggiano grassi nel vento freddo, portati dalle correnti s’alzano e s’abbassano senza una visibile fatica, come fossero fatti d’aria, pieni e puliti nel moto spaziale di quel loro aereo aggraziato muovere. Poi spariscono, di colpo, e non ne vedo più, neanche uno, di-spersi nello spazio.

Dalle siepi più in basso, specie di ginestre ormai nel loro pieno giallo, s’affacciano su un frusciare d’ali. Gli svolazzi da lì in mezzo si elevano al mattino. Sono piccoli uccelli. I loro cinguettii intensi, continui, si mescola-no con l’odore dell’aria e il dolce suo conti-nuo muovere, anch’essi particelle leggere, in perenne moto.

Il muro alto che guardo di fronte a me è grigio, fatto di blocchi enormi di pietra. È il muro grosso di un forte. È il castello. Così massiccia è la sua costruzione, eppure non appesantisce più di tanto il paesaggio che si

vede intorno. Infilato tra le montagne, come un oggetto per noi prezioso è appoggiato sullo scaffale di una libreria, di un mobile, iperbole significativa, messo in bella mostra tra le bel-lezze naturali, assolute e imponenti. Guardo il muro, cerco di capirne la vasta estensione con un unico sguardo. Trascorsa qualche ora lo tocco. Mi rimanda una leggera scossa. Non so se è il freddo della pietra o se è un’imper-cettibile vibrazione, quasi un movimento tel-lurico. È come se il contatto tra di noi avesse provocato un improvviso e brevissimo sisma. Oppure semplicemente elettricità statica tra materia, carne e pietra, che si sono incrocia-te, sentite, e forse si ameranno.

Sento un forte desiderio di contatto fisico con quella fredda, fascinosa forma e rudez-za, con il silenzio, fiero e quasi intangibile, la consapevolezza tragica dell’imponderabi-le inevitabilità. Così mi spoglio, denudo la mia carne, mi avvicino e abbraccio, un po’ tremando, ma calmo, la pietra. La copro, la spalmo della mia pelle e la sento ora che mi tocca, che mi accoglie. Restiamo così, abbrac-ciati, per un po’. È un senso di pace, commo-vente. Non è facile staccarsi, noi fieri amanti e solidi.

I miei occhi sono così limpidi, le labbra umide, tutta la sua superficie è ora meno fredda, la nostra durezza è esplicata e appa-re lì, ovvia. Cristalli piccolissimi nella roccia brillano nella luce del sole. Così da vicino, pare uno spazio infinito, e una ricca mera-viglia.

Prende così spesso un senso di spaesamen-to a guardare un paesaggio, provoca ebbrezza, e vertigine, e un afflusso di calore sanguigno alla testa. Mentre mi rivesto penso che mi sto travestendo da qualcun altro, da clown. Ho la faccia tutta bianca, le guance rosse, un naso gigante, un sorriso sprovveduto che piange e le mani gigantesche che fremono. Mi sento lucido come una pepita, e tagliente, e ho una gran sete. Sistemo la bocca sotto la fonte, si riempie d’acqua, è fredda, inizio a deglutirne i sorsi pieni. Il sole taglia in due aria e ombre, il cielo si scompone e ricompone in nubi e az-zurro. Io siedo a terra, tra la valle in basso e il torrione. Non è una calma questa che possa dirsi diversa, eppure si sta così profondamen-te all’erta.

Alessandro DantonioÈ nato nel ’62 a Torino, dove vive e lavora. Ama osservare gli spazi, anche quelli urbani, fatti dalla gente. E qualche volta fissarne alcuni tratti, che scrive su piccoli taccuini.

Maria Giovanna LanfranchiDopo la laurea in Storia dell’arte alla Statale di Milano, ha iniziato a dedicarsi alla sua passione, l’illustrazione. Oggi vive e lavora tra Padova, sua città natale, e Milano.

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