il fenomeno dell'inurbamento - il caso di korogocho a nairobi 17
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea triennale in Scienze Umane dell’Ambiente, del Territorio e del Paesaggio
Il Fenomeno dell’Inurbamento:
Il caso di Korogocho a Nairobi
Elaborato Finale di:
Luca Massimo PANZERI
Matricola: 659556
Relatore:
Chiar.ma Prof. Maristella BERGAGLIO
Anno Accademico 2006/2007
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SOMMARIO:
Introduzione………………………………………………………………….p 2
1. Cap1…Il Fenomeno dell’Inurbamento…………………………………..p 4
1.1.Un fenomeno di vecchia data……………………………………p 4
1.2.Un fenomeno globale. La situazione demografica mondiale……p 6
1.3.Lo sviluppo dei PVS. Le metropoli del terzo mondo……………p 10
1.4.La nascita degli Slum……………………………………………p 13
2. Cap2…Il Caso di Nairobi………………………………………………..p 16
2.1.Nairobi: Una città giovane…………………………………………..p 16
2.2.Storia e origini degli Slums a Nairobi……………………………….p 19
3. Cap3…Il Caso di Korogocho……………………………………………p 24
3.1.Confusione e Caos: vivere a Korogocho…………………………….p 24
3.2 Progetti in corso a Korogocho……………………………………….p 28
3.3 Analisi necessaria sui recenti avvenimenti a Nairobi…..……………p 34
Conclusione…………………………………………………………………p 39
Bibliografia………………………………………………………………….p 41
Indice Immagini……………………………………………………………..p 44
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INTRODUZIONE A lato della strada il matatu aspetta paziente di essere pieno, o meglio stracolmo, della
gente più diversa. L’autista grida a gran voce il percorso che il piccolo pullman
effettuerà, unico mezzo di trasporto per tanti abitanti di Nairobi. La musica al suo
interno è assordante, un mix tra i bassi possenti da discoteca e un canto tradizionale
africano. Le piccole cose mi danno subito una vaga idea del caos di questa città; un
miscuglio di suoni, odori, immagini. Una signora robusta si siede di fianco a me, lo
spazio negli stretti sedili è veramente poco, faccio fatica a non avere un contatto con lei.
Nei sedili a fianco Roberta ed Emanuel, sembrano molto più comodi; sento già bisogno
di spazio. Il matatu si mette in moto e parte. Ad ogni fermata, qualche nuovo
passeggero prende il posto di altri arrivati a destinazione: sembra che tutti siano
indaffaratissimi. Dopo circa mezz’ora di strada Emanuel ci avvisa che è il nostro turno:
il matatu si ferma e scendiamo. Un piccolo tratto di strada asfaltata percorsa a piedi ci
porta verso Korogocho. Ai lati della strada, dai balconi delle case, si affacciano tanti
bambini…How are you? Ripetono in maniera cantilenante. Per la maggior parte di loro
sono le uniche tre parole in inglese conosciute, ma in qualche modo ti mettono più a tuo
agio, ti senti benvenuto. Ed ecco: in un istante che mi è sembrato chiaro e netto siamo
entrati nello slum. L’odore dei fumi della discarica e delle fogne a cielo aperto entra
subito aggressivo nelle narici e anche una volta fuori dalla baraccopoli fatica ad
andarsene. Le sensazioni di un’unica giornata passata a girare per le stradine sterrate tra
le strette baracche, sono troppo poche e troppo superficiali probabilmente. Ma il
desiderio, dopo 4 anni da quell’esperienza, di compiere un lavoro di tesi su quel luogo,
dimostra come Korogocho, anche se conosciuto in un tempo brevissimo, ti entri dentro;
che le impressioni avute in quel caldo e secco pomeriggio africano ristagnino dentro,
pronte a saltar fuori in un qualche momento futuro. Girovagando in mezzo alle baracche
di lamiera della quarta baraccopoli di Nairobi, mi vergogno della mia necessità di
spazio provata precedentemente. Qua dentro lo spazio è una delle cose che più manca.
Le baracche sono ammassate una accanto all’altra lasciando spazio talvolta a
strettissime stradine. Korogocho è solamente una delle moltissime baraccopoli nel
mondo. Il mio lavoro di ricerca parte proprio da questo aspetto. Ciò che ho vissuto, è
una minima parte della situazione mondiale.
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Questo percorso vuole affrontare il fenomeno dell’inurbamento e della formazione degli
slums su tre livelli: partendo da un’analisi a livello globale fino ad arrivare ad un caso
specifico. I semplici dati che analizzano l’incremento della popolazione inurbata,
aiutano a capire l’entità del fenomeno su scala mondiale, ma non permettono di farsi
un’idea di come si viva tutti i giorni nello slum. La mia minima esperienza in
baraccopoli non mi consente certo una conoscenza completa dei meccanismi che la
regolano, ne tanto meno una visione come quella di chi la baraccopoli la vive
quotidianamente. Ma la ricerca, la lettura e lo studio di esperienze di chi ha vissuto e
vive tuttora a contatto con gli emarginati, è stato spunto per cercare di comprendere la
difficoltà di una vita ‹‹[…]al di sotto della linea fognaria››1, con la speranza che,
cercando di stare vicino con le proprie forze a chi combatte tutti i giorni in prima linea,
si possa insieme creare un mondo più umano possibile.
1 ZANOTELLI A., (2003), Korogocho. Alla scuola dei poveri, Milano, Feltrinelli
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CAP. 1 IL FENOMENO DELL’INURBAMENTO
1.1 Un fenomeno di vecchia data
Nasce tutto da un sogno, da una speranza...
…La principale motivazione per la quale le persone, decidono di spostarsi dalla
campagna per insediarsi in una città, si basa proprio sulla diffusione di informazioni,
relative all’occasione di ottenere migliori possibilità di sostentamento, di condizioni di
vita e di lavoro. La fuga dai villaggi è determinata dalla scelta di cercare un “altrove”
dove soddisfare la pluralità di bisogni, che la vita nei villaggi non è in grado di
soddisfare. Questa ricerca si concentra nella sola alternativa possibile: la città2.
Ogni giorno circa 175.000 persone si muovono verso la città. Il termine stesso che
descrive questa migrazione, inurbamento, dà il senso di movimento: “in urbs”, verso la
città3.
Questo fenomeno ha radici antiche: le prime società sedentarie di pastori\agricoltori,
che rimpiazzarono quelle nomadi dei cacciatori\raccoglitori, furono il primo caso di
sviluppo delle abitazioni permanenti. Con il progredire delle tecniche di coltivazione,
aumentava anche il sostentamento che un territorio poteva offrire ad un numero molto
maggiore di uomini e donne, di conseguenza si svilupparono sia l’estensione che la
popolazione di questi primi insediamenti stabili4. Questa situazione esercitava una forte
attrattiva sulle popolazioni limitrofe che, sia per motivi naturali (carestie), economici
(scambi commerciali), politici (difesa, vie di comunicazione), diedero inizio ad un
movimento migratorio verso la città.
Nelle epoche successive, lo spostamento di masse dalla campagna, si legò sempre di più
ad un fattore di tipo economico, vale a dire la possibilità di lavoro, soprattutto di tipo
artigianale, e di commercio, favorito dagli sviluppi e dai traffici commerciali,
decisamente superiori in un ambiente urbano.
L’inurbamento è forse l’unica tendenza perpetua nella storia dell’umanità. L’incremento
di questo processo, infatti, fu continuo nel susseguirsi dei secoli, ma il radicale
mutamento del rapporto fra città e campagna, si verificò agli inizi del secolo
2 FLORIS F., (2007), “Il pianeta bidonville”, Missioni Consolata, p. 34 3 LEONE U., (2006), La metropoli sostenibile è un’utopia?, in L’ Unità 4 BAGNASCO A., BARBAGLI M., CAVALLI A., (2001), Sociologia. Cultura e società, Bologna, il Mulino, p. 24
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diciannovesimo, con quella che passerà alla storia come rivoluzione agricola.
L’importanza di quest’ultima sta nel suo strettissimo legame con la rivoluzione
industriale del 1800. Con l’utilizzo di macchine e nuove tecniche agricole, la
produzione dei campi aumentò a dismisura, creando sia un surplus sempre maggiore ma
anche un numero notevole di contadini disoccupati, perché non più necessari, che
decidevamo di trasferirsi nei centri urbani, che si popolavano quindi di grandi masse di
disoccupati. Con l’avvento della rivoluzione industriale e quindi l’ulteriore aumento di
emigrati rurali, si verificò un’estensione sempre maggiore dei mercati, di conseguenza
dei mezzi di trasporto, per spostare quantità sempre maggiori di beni e infine della
superficie delle città stesse, che man mano inglobavano le cittadine limitrofe. E’ una
crescita direttamente proporzionale, fra i nuovi spazi occupati dal suolo urbano e il
numero di “nuovi” abitanti che lo occupano. Le zone periferiche diventano
inevitabilmente quella parte delle città, svantaggiata rispetto al centro, dove si ammassa
la parte povera della popolazione urbana in un ambiente di degrado e povertà.
I tassi di urbanizzazione5, aiutano meglio a capire come l’effetto della rivoluzione
industriale sia stato dirompente nel movimento migratorio campagna-città.
Considerando tutte le differenziazioni e le evoluzioni che portano naturalmente con sé
50 secoli di sviluppo, la storia della città può essere definita comunque un percorso
omogeneo, e per certi versi pure statico6. Dalle prime città del 2700 a.c., fino alle
capitali europee del ’700, ci sono stati certamente cambiamenti notevoli, ma un dato è
rimasto sostanzialmente costante: il tasso di urbanizzazione appunto. In questo periodo,
in un mondo a economia tradizionale, il tasso si è sempre mantenuto tra il 7 e il 13%7.
Con l’avvento della rivoluzione industriale, nel 1850 l’Europa toccò un livello di
urbanizzazione del 16%, che mai era stato raggiunto da un grande insieme economico.
Agli inizi del ‘900, il 40% della popolazione europea viveva in città, anche se con una
notevole differenza tra le nazioni. Durante tutto il XX secolo l’evolversi
dell’urbanizzazione rispecchiò le fasi di vita economica e politica del periodo
(rallentamento durante gli anni 30 e le guerre, incremento nel secondo dopo guerra). I
5 Il tasso di Urbanizzazione indica in percentuale la crescita urbana di una città, sommando all’interno di quella conurbazione i tassi di natalità, mortalità, immigrazione e emigrazione. 6 BAIROCH P., (1996), Storia della Città, Milano, Jaca Book, p 23 7 Cfr.: Ibidem BAIROCH P., (1996), Storia della Città, Milano, Jaca Book, p. 34
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tassi di crescita in Europa però, non raggiungeranno più i tassi toccati nella seconda
metà dell’Ottocento.
1.2 Un fenomeno globale. La situazione demografica mondiale
La crescita della popolazione urbana, si spostò soprattutto nei paesi del Terzo Mondo,
che a partire dagli anni 20 e 30 del Novecento, registrarono tassi di incremento mai
visti8. Nel corso del XX secolo, la popolazione inurbata dei paesi in via di sviluppo, è
passata da 150\160 milioni a un miliardo e 400 milioni, con un ritmo di crescita annuo
medio del 4,5 % (in Europa alla fine dell’Ottocento, in cui la crescita urbana è stata più
elevata, si sono raggiunti al massimo tassi del 2,1% annuo), passando da un tasso di
urbanizzazione del 12% ad uno del 32%9.
Questi dati, che dimostrano la presenza di un fenomeno in netta crescita, di rilevante
importanza, ci introducono ai giorni nostri, dove l’attenzione al processo di
urbanizzazione si è spostata quasi totalmente ai paesi del sud del mondo.
Citando Mike Davis: ‹‹Nei prossimi uno o due anni, una donna partorirà nello slum di
Ajegunle a Lagos, un giovane abbandonerà il suo villaggio a Giava ovest per le mille
8 BAIROCH P., (1996), Storia della Città, Milano, Jaca Book 9 Cfr.:Ibidem
Grafico n°1: The Urban and Rural Population of the World, 1950-2030
Fonte: United Nations, Department of Economic and Social Affairs
8
luci di Giacarta, un contadino si trasferirà con la sua famiglia impoverita in uno degli
innumerevoli pueblos jovenes di Lima. L’evento specifico in sé non sarà niente di
speciale, e passerà del tutto inosservato. E però costituirà uno spartiacque nella storia
umana[…]. Per la prima volta la popolazione urbana della Terra supererà
numericamente quella rurale››10.
Secondo le stime del World Urbanization Prospects: The 2003 Revision11 (grafico. 1),
la popolazione urbana ha superato la popolazione rurale nel 2005, ma come ricorda lo
stesso Davis, l’imprecisione dei censimenti nel Terzo Mondo, rende difficile stabilire
con esattezza l’entità di questo fenomeno12. Sta di fatto, che il processo di
urbanizzazione del pianeta, è stato molto più rapido di quanto fosse stato predetto nel
1972 dal Club di Roma, con il suo “I limiti dello sviluppo”13. Questa crescita ha subito il
suo più ampio incremento a partire all’incirca dal 1950: in poco più di mezzo secolo il
genere umano è passato da 2,5 miliardi a 6 miliardi di abitanti. Il 60% di questo
incremento si è verificato proprio nelle aree urbane ed in particolar modo nelle aree dei
paesi in via di sviluppo, dove la popolazione è cresciuta di più di 6 volte in soli
cinquant’anni. Nel 1950, le città con una popolazione superiore al milione di abitanti
erano 86 in tutto il mondo; oggi sono 400 e le previsioni per il 2015 sono di 550
metropoli14. All’alba del nuovo millennio, il pianeta presenta 19 città con più di 10
milioni di abitanti, 22 città con popolazione compresa fra i 5 e i 10 milioni, 370 città da
1 a 5 milioni di abitanti, 433 città con popolazione da 0,5 a 1 milione. Inoltre circa un
altro miliardo e mezzo di persone vive in aree urbane inferiore al mezzo milione di
abitanti. I dati ci presentano lo stato di trasformazione dell’umanità verso un modello
decisamente urbano, considerando il fatto che probabilmente questi numeri
rappresentano un processo giunto a metà del suo percorso. Le stime che descrivono
l’aspetto globale futuro, prevedono infatti che nel 2030, oltre il 60% di tutti gli abitanti
del pianeta (5 miliardi su 8,1 miliardi) vivrà in una città15. La popolazione rurale,
10 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed., p 11 11 World Urbanization Prospects: The 2003 Revision, (2004), New York, http://www.un.org/esa/population/publications/wup2003/2003Highlights.pdf 12 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed. 13 MEADOWS D.H., (1972), The Limits to Growth, New York, Universe Books 14 World Urbanization Prospects: The 2003 Revision, (2004), New York 15 UN-Habitat, State of the World Cities, (2007), Nairobi http://www.unhabitat.org/documents/media_centre/sowcr2006/SOWCR%201.pdf
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invece, sempre secondo i dati studiati dall’agenzia Un-Habitat16, subirà una
contrazione, che porterà il tasso di crescita media annua ad un -0,32%, vale a dire meno
155 milioni di persone che abiteranno le campagne.
E’ molto importante sottolineare, che l’esperienza di intensa urbanizzazione, che
caratterizzò l’Europa, il Nord America e l’America Latina a metà del XX secolo, si
spostò in questi dati di previsione futura, principalmente sui continenti di Africa e Asia.
Figura n°1: Incremento della popolazione mondiale urbana e rurale
Fonte: elaborazione su dati United Nations, Population Divisions, 2005
16 United Nations Human Settlements Programme, agenzia delle Nazioni Unite, fondata nel 1978, con sede a Nairobi, Kenya, che ha il compito di favorire un’urbanizzazione socialmente ed ambientalmente sostenibile.
10
Secondo la prospettiva ricavata, le aree maggiormente interessate dall’incremento
urbano saranno le zone dell’africa sub-sahariana con un tasso di crescita urbana del
4,58%, seguito dal sud-est asiatico (3,82%), l’Asia dell’Est (3,39%), dall’Asia
dell’Ovest(2,96%), dal Sud Asia (2,89%) e infine dal Nord Africa con il 2,48%. La
crescita urbana delle città del mondo sviluppato sarà intorno allo 0,75% annuo (fig1).
Queste cifre si aggiungono ai dati in nostro possesso per stabilire che gli anni futuri,
saranno decisamente caratterizzati dall’esplosione demografica nelle città. Ad oggi, la
popolazione mondiale aumenta di 70 milioni di unità, l’equivalente di 7 megacittà17;
considerando che il numero di abitanti delle campagne ha raggiunto la sua soglia limite,
circa 3,2 miliardi di persone, e che comincerà a decrescere a partire dal 2020, spetterà
alle zone urbane dover assorbire la futura crescita della popolazione.
Questo sviluppo esagerato, dovrebbe, sempre secondo i dati delle Nazioni Unite,
attestarsi intorno al 2100, quando il pianeta arriverà ad ospitare 9 miliardi di persone,
soglia massima che dovrebbe mantenersi anche nei secoli successivi18.
Un aspetto che è importante sottolineare riguardo questi dati, è che i paesi in cui si
pensa esploderà la cosiddetta “bomba demografica”, sono quelli che presentano la
minore densità di popolazione. E’ opinione comune, ritenere che i paesi del Terzo
Mondo siano zone fortemente sovrappopolate, mentre se si osservano gli indici e i
grafici a livello globale, si può notare come i paesi sviluppati abbiano una densità molto
maggiore rispetto ai PVS (fig. 2). Ma perché mai nessuno pensa ad un paese europeo
come sovrappopolato? Il concetto di sovrappopolamento non viene definito
semplicemente sulla base della densità della popolazione, ma anche sull’adeguatezza
delle risorse di un paese a sostenere la sua popolazione. I paesi “ricchi” possono
sostenere il loro alto incremento di popolazione, proprio perché tanti altri paesi non
possono farlo.
17 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, p 5 18 UN, (2004), World population to 2300, New York,
11
Figura n°2: Densità della Popolazione a livello globale
Fonte: Un-Habitat, http://www.unchs.org , 2007 Questa idea, è la base di una diversa visione, sostenuta dai coniugi Ehrlich19, riguardo al
problema della densità demografica. Il concetto è, che l’impatto dell’umanità sul pianeta
e quindi il limite di sopportazione di quest’ultimo, non è dato solamente dal numero di
persone che lo abitano, ma anche dal loro comportamento. Questa diversa osservazione,
incentra il problema non tanto sull’aumento della popolazione nei paesi poveri, ma
piuttosto sul metodo di comportamento dei paesi ricchi. E’ un approccio diverso alla
questione, che però deve essere considerato, quanto meno per offrire un’idea diversa sui
problemi demografici mondiali.
In ogni caso, sotto qualunque punto di vista si consideri la questione, i dati dimostrano
che le nazioni ma soprattutto le città, in particolar modo quelle dei paesi in via di
sviluppo, devono affrontare problemi enormi, per fornire un’ assistenza adeguata a
miliardi di persone vale a dire abitazioni, servizi e infrastrutture.
1.3 Lo sviluppo dei PVS. Le metropoli del terzo mondo
Come detto in precedenza, l’enorme tasso di inurbamento che sta investendo il pianeta,
interessa principalmente i paesi del Sud del mondo. Questa tesi è dimostrata dal fatto
19 Paul e Ann Ehrlich sono rispettivamente professore e coordinatrice del centro di conservazione biologica all’università di Stanford, California. Sono co-autori di diversi libri sulla sovrappopolazione e sull’ecologia.
12
che il maggior numero delle grandi e grandissime conurbazioni urbane si trovano, non
nei paesi occidentali, bensì in quelli in via di sviluppo.
Delle numerose mega-città20 che sono presenti sul nostro pianeta, la maggior parte
appartengono a stati del Terzo Mondo: Bombay (13milioni), Lagos (9milioni), San
Paolo (11milioni), Città del Messico (8,5milioni), Dhaka (7milioni), Karachi
(12milioni), Delhi (13milioni), Calcutta (4,5milioni)21…Osservando l’elenco delle 30
città più popolose al mondo possiamo notare come negli ultimi venti\trent’anni la
posizione delle città dei paesi sviluppati sia stata sostituita da quelle dei paesi in via di
sviluppo. Va considerato che le metropoli dell’ “occidente”, non avranno un regresso di
popolazione nei prossimi 10\15 anni, ma semplicemente un tasso di incremento pari ad
¼ rispetto a quello per esempio delle città asiatiche. Questo è dimostrato dal fatto che
l’Asia sta diventando un continente urbanizzato nella metà del tempo che è stato
necessario all’Europa o all’America del Nord per mettere in atto questo processo. E non
è solo un processo che riguarderà le capitali o i grandi centri urbani, si conta infatti che
le città, con popolazione superiore al milione di abitanti, presenti in Asia nel 2015,
saranno ben 26722.
Il recente rapporto di UN-Habitat, definisce ed identifica, quante e quali città nel 2020
saranno da considerarsi meta-città o iper-città23. E’ molto importante notare, dando
ancora più sostegno a questa tesi, che delle 9 iper-città che si presenteranno al mondo
nel 2020, solo 2 (Tokyo e NewYork) fanno parte di nazioni sviluppate; le altre 7
(Bombay, Delhi, Città del Messico, San Paolo, Dhaka, Jakarta e Lagos), si trovano in
paesi poveri o per lo meno considerati in via di sviluppo24.
La domanda quindi è legittima: quali sono le cause che hanno portato ad un' esplosione
così rapida ed immediata dell’urbanizzazione e soprattutto come mai proprio in quei
paesi in via di sviluppo?
Il processo di urbanizzazione dei paesi sottosviluppati, si discosta moltissimo da quello
che si verificò in Occidente nell’Ottocento e agli inizi del Novecento, sia come entità
che come rapidità del fenomeno. Basti solo pensare alla città di Lagos in Nigeria che nel
20 Mike Davis definisce così le città con 10 o più milioni di abitanti 21 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra 22 UN-Habitat, (2001), The State of the World Cities, Productions MR, Montreal 23 Conurbazioni con una popolazione superiore ai 20 milioni di abitanti 24 UN-Habitat, (2006/2007), State of the world’s cities, Nairobi, http://www.unhabitat.org/documents/media_centre/sowcr2006/SOWCR%202.pdf
13
1956 ospitava 300.000 abitanti e che oggi ne conta quasi 10 milioni25. Un incremento
inimmaginabile e spropositato rispetto alle città, per esempio, europee. La causa di
questo incremento non va cercata solamente nell’aumento totale della popolazione; o
meglio, questo non è il motivo principale di uno sviluppo così gigantesco, ma si basa
piuttosto sugli eventi storici dei paesi. L’Ottocento è il periodo dove le città europee
vivono il momento di massima crescita, ma con l’avvento del nuovo secolo, si sviluppa
l’idea, nei paesi “ricchi”, di svilupparsi oltre i confini nazionali. L’influenza dei paesi
colonizzatori sullo sviluppo dei grandi agglomerati urbani del terzo mondo, non è da
ricercarsi però sotto un aspetto economico o urbano-architettonico, dato che le città
create sotto il dominio coloniale, dipendevano in tutto e per tutto dalla madre patria. Si
trattava quindi di conurbazioni che sostanzialmente erano estranee al territorio
circostante, in quanto create come avamposto per la nazione dominante piuttosto che
grande centro del paese colonizzato. Gli aspetti principali che segnarono l’incremento
urbano di queste città, sono principalmente due. Il primo aspetto è da ricercarsi nella
crescita naturale dei cittadini. Questa causa che può sembrare ovvia e banale, è stata la
differenza principale fra l’entità del fenomeno nei paesi sviluppati e in quelli in via di
sviluppo. Le città europee, prendendole come esempio, erano estranee a questo
fenomeno, in quanto la popolazione era mantenuta costante dall’afflusso dalle
campagne. Nei paesi del Terzo Mondo, questo fenomeno è diventato fondamentale agli
inizi del Novecento, quando la modernizzazione, soprattutto in campo sanitario, ha
portato ad un calo delle morti non affiancato da una riduzione delle nascite26. Inoltre,
questi contesti sociali erano e sono tuttora caratterizzati da gravi carenze sia sul campo
dell’istruzione che dell’educazione in particolare fra le donne. Questo fatto, ha
comportato che le giovani popolazioni inurbate continuassero a adottare stili riproduttivi
della campagna, causando appunto tassi di crescita impensabili e mai visti nei paesi
occidentali.
Questo elevato numero di nascite si è lievemente abbassato negli ultimi anni, sia per un
aumento (se pur minimo in certe parti del mondo) del livello di istruzione ma
soprattutto per le politiche di controllo delle nascite di certi paesi (uno su tutti il caso
cinese).
25 SUDJIC D., (2008), Cities on the Edge of Chaos, in The Observer, Phaidon, New York 26 PETRILLO A., (2000), La città perduta, Bari , Edizioni Dedalo
14
L’aumento quindi della popolazione inurbata mondiale sembra quindi strettamente
collegata all’aumento di quest’ultima nei paesi del Terzo Mondo, ma dal loro punto di
vista le città del sud del mondo subiscono se così può dire, un’evoluzione e una
modernizzazione nel campo della medicina e della salute che ha portato ad un aumento
dell’allungamento della vita ma soprattutto una diminuzione notevole dei tassi di
mortalità infantile. Si possono aggiungere a questi fattori fondamentali anche
motivazioni sempre importanti, ma di minore intensità, come la frequente presenza di
conflitti e instabilità politica in questi paesi, che hanno generato masse di profughi in
fuga verso le città.
Non esiste quindi un nesso fra l’urbanizzazione di tipo industriale che ha caratterizzato i
paesi occidentali dell’Ottocento e l’urbanizzazione dei paesi del Terzo Mondo, proprio
perché in questi paesi le grandi metropoli presentano sempre tassi altissimi di
disoccupazione. La ragione per cui i centri urbani in queste zone esercitano sempre una
grandissima attrattiva sulle popolazioni rurali è dovuta al fatto che la vita in città anche
in condizioni di assoluta povertà è spesso percepita come migliore rispetto alla vita
povera rurale; interviene, dunque, un fattore di tipo psicologico. La città diventa
un’aspirazione per riuscire finalmente a cambiare vita.
1.4 La nascita degli Slums
L’inadeguata situazione delle città del Terzo Mondo, non attrezzate, a livello di strutture
e servizi, ad accogliere un numero così elevato di immigrati, costringe questi ultimi a
costruirsi spazi illegali per poter sopravvivere. Questo diventa l’unico modo per
appropriarsi di risorse vitali cui altrimenti non potrebbero avere accesso: il suolo per
un’abitazione, l’acqua, l’elettricità e un lavoro, per la maggior parte dei casi irregolare.
Il rapporto di UN-Habitat descrive la relazione fra slum e povertà27; questa
considerazione è fondamentale per chiarire chi sono i poveri degli slums ed evitare facili
classificazioni degli abitanti di una baraccopoli. La povertà non è da considerarsi solo
ed esclusivamente come una semplice misurazione monetaria: le persone povere sono
anche coloro che vivono in un’abitazione insicura e sovraffollata, coloro che non hanno
accesso ai servizi (acqua, servizi igienici, sanità, educazione), coloro che non sono
27 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, pp 28-29
15
protetti da leggi o che non hanno voce nel panorama politico28. Certo, non tutti i poveri
urbani vivono in slum, ma la possibilità di accedere a risorse che altrimenti sarebbe
impossibile ottenere rende la baraccopoli una delle poche soluzioni possibili.
Ma cos’è uno slum? Le prime volte che si sentì parlare di slum, fu nei primi anni
dell’Ottocento, anche se diversi scrittori utilizzavano questo nuovo termine con le più
diverse accezioni. In comune, però, avevano tutti l’idea di un luogo malfamato e
caratterizzato da abitazioni fatiscenti, sovraffollamento, malattia e miseria29. L’idea
comune era data dalla realtà della Londra vittoriana, che come detto in precedenza,
avendo subito il processo di industrializzazione e l’arrivo di grandi masse di contadini,
non era riuscita ad assorbire la numerosa quantità di nuovi operai, che andarono ad
affollare aree della città, solitamente situate in periferia, che divennero presto ambienti
miseri, poveri e degradati. Nell’Inghilterra forte della rivoluzione industriale, le
condizioni di questi luoghi migliorarono abbastanza in fretta, sia per l’impegno di
diversi movimenti e pensatori politici, ma soprattutto grazie ad un notevole progresso
economico. Il già più volte citato rapporto The challenge of Slums sostiene proprio che
la differenza principale tra l’urbanizzazione (e di conseguenza la formazione degli slum)
del XVIII e XIX secolo in Inghilterra rispetto a quella dei paesi del Terzo Mondo sta
proprio nel fatto che a questi ultimi non si accompagna un’adeguata crescita economica.
Si possono riscontrare alcune caratteristiche comuni fra gli slum odierni e quelli del
1800, anche se le peculiarità delle baraccopoli del Terzo Mondo sono nuove e tipiche
solo di questa realtà. La definizione principale che descrive uno slum di oggi lo
dimostra: …a contiguous settlement where the inhabitants are characterized as having
inadequate housing and basic services. A slum is often not recognized and addressed by
the public authorities as an integral or equal part of the city30.
Un’altra definizione descrive i caratteri principali degli slum moderni: “Slums are
neglected parts of cities where housing and living conditions are appallingly poor.
Slums range from high-density, squalid central city tenements to spontaneous squatter
28 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, pp 28-29 29 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed. 30 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, p10 (“Insediamenti adiacenti dove gli abitanti sono caratterizzati dall’avere abitazioni e servizi di base inadeguati. Uno slum spesso non è riconosciuto e considerato dalle pubbliche autorità come una parte integrante o uguale della città”)
16
settlements without legal recognition or rights, sprawling at the edge of cities. Slums
have various names, favelas, kampungs, bidonvilles, tugurios, yet share the same
miserable living conditions.” 31.
Nonostante ci siano delle immagini comuni nelle diverse definizioni, è difficile
descrivere con chiarezza ma soprattutto universalmente cosa sia uno slum. Questo per
diversi motivi: innanzitutto la complessità degli slums non permette di identificarli sotto
un singolo parametro; essi sono una realtà in continua crescita e cambiamento, quindi i
criteri con cui si identificano spesso non sono duraturi nel tempo. Inoltre molto spesso
aree che sono considerate slum in alcune città vengono ritenuti spazi adeguati in altre.
Questa difficoltà di definizione è dimostrata dai molti termini, anche nella stessa lingua,
che vengono utilizzati per nominare queste aree32.
E’ proprio grazie al rapporto delle Nazioni Unite, che per la prima volta viene
presentato un quadro globale del fenomeno delle baraccopoli. Il termine Slum diventa
quindi il più appropriato per identificare proprio quelle zone caratterizzate da
isolamento sociale ed economico, proprietà terriera irregolare e condizioni sanitarie e
ambientali sotto gli standard33. Gli elementi chiave per identificare una zona come slum
sono dunque i seguenti: alta densità, bassi standard abitativi e “squallore”.
Visto la difficoltà di definire con chiarezza cosa sia uno slum, i dati elaborati danno
un’idea di quanto sia immenso sulla Terra il problema delle baraccopoli.
Nel 2001 le stime delle Nazioni Unite riportavano che gli abitanti degli slums erano
almeno 921 milioni, vale a dire il 31% della popolazione urbana mondiale. Nel 2005
avevano già superato il miliardo. La maggioranza di queste persone si trovano nei paesi
31 Definizione data da Cities Alliance Action Plan, citata in The challenge of Slums, p 10 (“Gli slum sono parti dimenticate di città dove le condizioni di abitazione e di vita sono terribilmente povere. Gli slum vanno da alloggi squallidi e ad alta densità nei centri cittadini a insediamenti occupati spontaneamente ai margini delle città. Gli slum hanno vari nomi, favelas, kampungs, bidonvilles, tugurios, ma indicano le stesse miserrime condizioni di vita”) 32UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, p 10 • Francese: bidonvilles, taudis, habitat précaire, habitat spontané, quartiers irréguliers; • Spagnolo: asentamientos irregulares, barrio marginal, barraca (Barcellona), conventillos (Quito), colonias populares (Messico), tugurios and solares (Lima), bohíos or cuarterias (Cuba), villa miseria; • Tedesco: Elendsviertel;• Arabo: mudun safi, lahbach, brarek, medina achouaia, foundouks and karyan (Rabat-Sale), carton, safeih, ishash, galoos and shammasa (Khartoum), tanake (Beirut), aashwa’i and baladi (Cairo)• Russo: trushchobi • Portoghese: bairros da lata (Portogallo), quartos do slum, favela, morro, cortiço, comunidade, loteamento (Brasile) • Turco: gecekondu • Americano: ‘hood’ (Los Angeles), ghetto• Sud-Asia: chawls/chalis (Ahmedabad, Mumbai), ahatas (Kanpur), katras (Delhi), bustee (Kolkata),zopadpattis (Maharashtra), cheris (Chennai), katchi abadis (Karachi), watta, pelpath, udukku or pelli gewal (Colombo) • Africa: umjondolo (Zulu, Durban), mabanda (Kiswahili, Tanzania). 33 Cfr.: Ibidem
17
in via di sviluppo, dove costituiscono il 43% della popolazione urbana, contro il 6% di
quella dei paesi sviluppati. Secondo UN-Habitat, le più alte percentuali di abitanti di
slum si trovano in Etiopia con il 99,4% della popolazione urbana, in Ciad (99,4%),
Afghanistan (98,5%) e in Nepal (92%). Considerando il numero totale di abitanti delle
baraccopoli, la capitale globale è Bombay con dieci o dodici milioni di occupanti
abusivi seguita da Città del Messico e Dhaka (in Bangladesh) con 9\10 milioni. Gli
sviluppi e le previsioni future delineano un quadro ancora più drammatico: nei prossimi
30 anni si pensa che gli abitanti delle bidonville aumenteranno di altri 2 miliardi.
Sulla terra esistono probabilmente più di 250.000 baraccopoli. Karachi, Bombay, Nuova
Delhi, Calcutta e Dhaka contengono da sole 15.000 slums con una popolazione stimata
intorno ai 20 milioni di persone. Anche in questo caso però i dati statistici non sono
precisi, sia per la difficoltà di reperire informazioni in un mondo di abusivismo e
illegalità, ma anche e soprattutto perché le popolazioni povere degli slum sono spesso
intenzionalmente e in maniera massiccia sottostimate dalle autorità34.
Queste cifre mettono in luce l’entità e la diffusione planetaria di questo fenomeno e
dimostrano come in nessuna parte del mondo si sia riusciti a risolvere o per lo meno ad
arginare il problema, lasciando che questa tendenza continui a crescere.
34 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed., p 29
18
CAP. 2 IL CASO DI NAIROBI
2.1 Nairobi: Una città giovane
Prima di approfondire la storia e lo sviluppo della città di Nairobi e poter comprendere
la nascita delle baraccopoli, è importante dare uno sguardo generale al fenomeno di
migrazione campagna\città dell’intero paese, dato che la capitale keniota ha rivestito da
sempre un ruolo centrale nel processo di inurbamento.
L’urbanizzazione in Kenya ha una storia recente, per lo meno per quanto riguarda le
zone interne del paese. Anche il Kenya seguendo il trend mondiale dei paesi in via di
sviluppo, ha subito un incremento notevole dalla seconda metà del XX secolo, che ha
portato ad un aumento importante del numero di abitanti dell’area urbana. I tassi di
urbanizzazione mostrano come da una percentuale dell’8% del 1963, anno
dell’indipendenza, si è passati al 20% nel ’9535, fino a raggiungere un tasso di
urbanizzazione nel 2007 del 40%36. Di conseguenza, con l’aumento dell’inurbamento
della popolazione, sono aumentati anche i centri urbani. Nel 1948, erano presenti 17
centri urbani che raccoglievano un totale di 176.000 persone, delle quali l’83% erano
concentrate nelle zone di Nairobi e Mombasa. Dal censimento del 1962 risulta che il
numero di centri urbani è raddoppiato, arrivando a 34 e la loro popolazione raggiunse le
671.000 unità. Nel 1979, la percentuale del totale degli abitanti delle città era salita al
9,9%, il 36% del quale si trovava nella capitale Nairobi. Il censimento dello stesso anno
indicava un numero di 90 centri urbani con un totale di 2,3 milioni di abitanti, che
divennero 3,7 milioni nel 1989. In quell’anno la percentuale di popolazione residente in
aree urbane era salita al 18% e il numero di città era notevolmente aumentato
raggiungendo la quota di 139 centri, dei quali Nairobi restava ancora il più grande, ma
conservando una percentuale simile a quella del ’79 sul totale della popolazione
inurbata (circa il 36%)37. I dati attuali dimostrano un aumento della popolazione del
Kenya a ritmi elevati: nel giro di vent’anni è pressoché raddoppiata (36.913.721 al
luglio 2007), facendo incrementare in modo sostanzioso anche il tasso di
urbanizzazione che si attesta intorno al 40%. Diminuisce solamente, rispetto ai dati del
35 OBUDHO R. A., (1997), The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities, New York, The United Nations University 36 Dati elaborati dall’ University of Nairobi reperibili al sito: www.uonbi.ac.ke/governance/history.php 37 OBUDHO R. A., (1997), The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities, New York, The United Nations University
19
’89, il rapporto tra la percentuale della popolazione inurbata dell’intera nazione e quella
residente a Nairobi (intorno al 23%). Questo calo non dimostra una diminuzione del
fenomeno dell’urbanizzazione nella capitale keniota, che anzi ha raggiunto una
popolazione di quasi 4 milioni di abitanti, ma è dovuto all’aumentare del numero di
centri urbani su cui viene calcolato il rapporto38.
La città di Nairobi deve la sua nascita e crescita alla Kenya Uganda Railway (KUR), la
linea ferroviaria che era in costruzione tra Mombasa e l’Uganda. La città fu fondata nel
1899 come deposito degli approvvigionamenti della KUR. Lo spostamento della sede
ferroviaria da Mombasa a Nairobi da parte dell’ingegnere capo, Sir G. Whitehouse, fece
in modo che la città di Nairobi si sviluppasse successivamente come centro economico e
commerciale del protettorato britannico nell’Africa Orientale. Già dal 1900, Nairobi era
diventata una grande e fiorente città, caratterizzata da un insediamento formato
principalmente dagli edifici della ferrovia e da aree separate per gli Europei e gli
Indiani, quest’ultimi impiegati per la maggior parte come braccianti nella costruzione
della linea. Agli inizi del ‘900 un’epidemia di peste e l’incendio della città originaria
portò alla distruzione totale della città, che venne interamente ricostruita. Con lo
sviluppo successivo e la considerevole crescita, divenne nel 1907 capitale del
protettorato dell’Africa orientale Britannica e nel 1963 capitale del Kenya indipendente.
Dal 1909 molte strutture interne subirono un notevole sviluppo, soprattutto la rete
stradale. Il confine cittadino si ampliò nel 1927 in maniera considerevole, grazie
all’espansione sia in termini di popolazione che di infrastrutture del centro cittadino che
raggiunse i 77 km² di superficie. Dal 1928 al 1963, invece questo confine, rimase grosso
modo lo stesso con solamente qualche piccola aggiunta. Dal 1963, la superficie di
Nairobi fu estesa fino a raggiungere l’attuale area di circa 686 km². Grazie a questa
precoce crescita, le attività della città si svilupparono ed espansero, raggiungendo un
notevole dominio a livello politico, sociale, culturale ed economico sia per la gente del
Kenya ma anche per l’intera regione dell’Est-Africa39. Questo ha fatto sì che Nairobi
diventasse la più vasta conurbazione dell’Africa orientale, nonostante sia la città più
giovane della regione.
38 Elaborazioni statistiche a partire dai dati reperiti su http://www.nationsencyclopedia.com/Africa/Kenya-poluation.html 39 SITUMA F., (2002) “The Environmental Problems in the City of Nairobi” African Urban Quarterly
20
La storia della crescita demografica della città ci aiuta meglio a comprendere quale sia
l’entità del fenomeno dell’inurbamento nella capitale del Kenya e a capire di
conseguenza anche perché proprio in questa città si siano formati numerosi slums, tra i
più popolati al mondo.
Come detto in precedenza lo sviluppo della città iniziò agli inizi del XX secolo: con
l’estensione dei confini amministrativi la popolazione subì un aumento dalle 8 mila
unità del 1901 alle 118.579 del 1948. Al tempo dell’indipendenza nel 1963, la
popolazione crebbe e raggiunse all’incirca 350 mila individui, proprio perché gli anni
che seguirono all’indipendenza dall’Inghilterra, furono quelli di massima espansione dei
confini cittadini. La popolazione della città nel 1994 fu stimata essere intorno a 1,5
milioni di abitanti con un tasso di crescita del 5% annuo, per raggiungere ai giorni nostri
i 4 milioni di persone (grafico. 2).
Grafico n°2: La crescita della Popolazione di Nairobi, 1901 - 2007
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
4000Migliaia
1901 1921 1929 1939 1948 1957 1962 1969 1989 1999 2007
Fonte:elaborazione su dati Un-Habitat, City Mayors Society, 2007
La crescita è notevole e per questo Nairobi continua ad essere, tra le città del Kenya,
quella con il maggior numero assoluto di abitanti, nonostante il suo tasso di crescita sia
inferiore alla media nazionale di aumento della popolazione urbana, il quale si stima
essere intorno al 7.7%. Anche in questo caso, i dati ci hanno dimostrato che la
popolazione della capitale è in aumento, ma la continua crescita di piccole e medie città,
21
sta creando una strategia di decentralizzazione che fortunatamente limita, anche se di
poco, la rapida urbanizzazione di Nairobi40.
2.2 Storia e origini degli Slums a Nairobi
La nascita degli slums a Nairobi è il risultato di una varietà di fattori sia storici che
contemporanei. Le forze che hanno contribuito alla segregazione degli spazi urbani
sono molte e varie41. Alcune sono di tipo legale ed economico mentre altre sono
culturali. Più di tutto però è stato considerevole l’impatto del colonialismo sulle forme
di distribuzione della terra. Nell’epoca pre-coloniale, in tutta l’Africa sub-sahariana,
nonostante le rilevanti differenze esistenti tra le varie popolazioni indigene, il possesso
della terra poggiava sul concetto di proprietà comune. La terra apparteneva alla
comunità e veniva amministrata dagli anziani. Ogni adulto aveva diritto di usare la terra
e questo diritto variava a seconda dell’età, dello status ecc. di ogni individuo. Il capo
della comunità aveva il potere e la responsabilità di destinare la terra non utilizzata,
oltre che di arbitrare le dispute e i diritti di usufrutto ereditabili. I modelli
dell’organizzazione coloniale hanno modificato sia i rapporti esistenti tra le tribù, sia le
relazioni all’interno delle tribù, con effetti progressivamente negativi42. La conflittualità
è così aumentata, favorendo anche l’insorgere di guerre. Ma l’impatto più radicale si è
notato nelle città dove si è stato instaurato il concetto europeo di proprietà terriera.
Nasce il mercato della terra, le transazioni derivano dalla capacità economica dei
contraenti e si sviluppa il sistema della domanda e dell’offerta che determina un
incremento dei prezzi e una crescita della speculazione.
Nel periodo coloniale, agli africani fu negato il diritto di essere proprietari di terreni,
così come era vietato loro costruire case. Di conseguenza, chi fra loro aveva il permesso
di lavorare in città adattò il proprio concetto di utilizzo della terra all’interno della
nuova realtà urbana. Le leggi della madre patria, non permettevano ai locali di essere
proprietari dell’abitazione, e questa misura serviva da garanzia del loro ritorno al
villaggio una volta terminato il periodo lavorativo. Durante la loro residenza in città,
questi lavoratori erano muniti di un permesso di occupazione a durata predefinita, di un
40 UN-Habitat, (2006) Nairobi: Urban Sector Profile, Nairobi 41 OLIMA W.H.A., (2001), “The Dynamics and Implication of Sustaining Urban Spatial Segregation in Kenya – Experiences from Naiorbi Metropolis” Lincoln Institute of Land Policy in Cambridge 42 FLORIS F., (2007), “Il pianeta bidonville”, Missioni Consolata, p.34
22
permesso di abitazione revocabile in ogni momento e non trasferibile o ereditabile. Il
governo della colonia limitava le possibilità di risiedere in modo permanente nelle aree
urbane, esclusivamente a chi possedeva un regolare contratto di lavoro. Nacquero così,
e furono mantenuti, speciali “insediamenti indigeni” per gli africani, i quali, a causa
dell’eccessiva espansione della città, furono successivamente trasferiti verso la
periferia43. A Nairobi in particolare, il governo dispose una segregazione spaziale basata
sulla razza. La segregazione\divisione lungo le linee razziali divise la città in 4 distinti
settori; il Nord e l’Est erano definiti i settori Asiatici; l’Est e il Sud-Est i settori Africani
e infine la zona del Nord e dell’Ovest assegnato all’area Europea44. Con la fine del
colonialismo, gli stati africani indipendenti hanno ereditato questo sistema di possesso
della terra: da un lato quindi, è stato applicato il modello europeo di proprietà terriera, di
cui usufruivano ovviamente gli europei, mentre dall’altro lato gli africani hanno dovuto
inventare forme di adattamento loro proprie. In pratica, l’accesso alla terra risultava
bloccato per gli africani. Ne è derivata, di conseguenza, la costruzione di case abusive,
senza alcun tipo di servizio e in aree prive di infrastrutture.
Figura n° 3 Nairobi: tetti di lamiera nello slum di Libera
Fonte: Affordable Housing Institute, 2005
43 FLORIS F., (2007), “Il pianeta bidonville”, Missioni Consolata, p.34 44 OLIMA W.H.A., (2001), “The Dynamics and Implication of Sustaining Urban Spatial Segregation in Kenya – Experiences from Naiorbi Metropolis” Lincoln Institute of Land Policy in Cambridge
23
Col tempo, il problema ha assunto dimensioni imponenti. Gli insediamenti si sono
consolidati e per certi versi organizzati: è iniziata la commercializzazione delle
abitazioni abusive, si sono diffusi i contratti d’affitto, sono nate e cresciute sia le attività
commerciali sia quelle artigianali. In pratica, quelli che inizialmente erano dei dormitori
temporanei per lavoratori provvisori, sono diventati luoghi permanenti, si sono
trasformati in vere e proprie “città” all’interno della città.
L’indipendenza del Kenya nel 1963 dalla madre patria Inghilterra, ha segnato un altro
momento importante della crescita delle baraccopoli a Nairobi.
L’autonomia, con il conseguente ammorbidimento nelle politiche e leggi che proibivano
la migrazione della popolazione verso la città, ha causato un maggior spostamento verso
il centro urbano di gente in cerca di un’occupazione, senza essere però accompagnata da
un adeguato sviluppo delle dimore. Questo inurbamento massiccio ha di conseguenza
causato una crescita degli slums a Nairobi, sia a livello di numeri che di popolazione. I
numeri delle abitazioni negli insediamenti informali crebbero da circa 500 dimore nel
1952 alle 22.000 nel 1972 e si moltiplicò fino a 111.000 nel 197945. Molti degli
insediamenti che esistono oggi a Nairobi furono costituiti dopo l’Indipendenza. Dal
1963 fin verso la fine degli anni ’70 la politica era quella di sradicare gli insediamenti
informali. Questo atteggiamento ostile tuttavia, venne sostituito da una posizione
conciliatoria e remissiva. C’era un tacito consenso di mantenere gli insediamenti, con le
autorità che adottarono un approccio del “lasciar fare” in base a cui generalmente non
demolivano le abitazioni, ma non provvedevano nemmeno a creare programmi di
miglioramento46. Questa politica ha causato di conseguenza un’espansione e
prolificazione incontrollata delle baraccopoli che col tempo ha assunto dimensioni
imponenti. Si è tornati quindi ad una politica ostile, cercando di dare una soluzione al
problema attraverso le demolizioni. Si pensava che, in questo modo, le persone
sarebbero ritornate ai villaggi di origine, ma il risultato, di certo non atteso, è stato un
semplice spostamento di questi gruppi verso periferie vicine e più esterne. Anzi, questo
sistema non ha fatto altro che ingigantire il problema, mantenendo di fatto lo stesso
numero di abitanti ma riducendo notevolmente lo spazio disponibile.
45 NGAU P.,(1995), Informal Settlements in Nairobi, Nairobi 46 OLIMA W.H.A., (2001), “The Dynamics and Implication of Sustaining Urban Spatial Segregation in Kenya – Experiences from Naiorbi Metropolis” Lincoln Institute of Land Policy in Cambridge
24
I dati ci aiutano meglio a capire le dimensioni che ha raggiunto il problema attualmente.
Nonostante i dati sugli slums siano limitati, per il fatto che sia molto difficile censire
questo tipo di zone, è comunque presente una discreta quantità di numeri che analizzano
la situazione. Come già ricordato, la popolazione attuale di Nairobi è di quasi 3 milioni
di abitanti nell’area urbana, 4 milioni considerando l’area metropolitana. Circa il 65%
della popolazione, vale a dire circa 2,5 milioni di persone, vive negli slums che
occupano solamente il 5% del territorio urbano, terreno che è di proprietà del comune e
dello Stato. In questa zona ristretta prendono posto 199 baraccopoli, alcune di piccole
dimensioni con meno di 2000 abitanti, altre di dimensioni enormi come Kibera che ha
raggiunto il milione di abitanti, la più popolosa dell’Africa e la seconda a livello
mondiale47.
Un sondaggio eseguito nella baraccopoli di Korogocho (la quarta per popolazione a
Nairobi), mette in luce lo stato di vivibilità di questi luoghi. Lo studio indica che in
media una famiglia vive in una piccola stanza di 3m x 3.5m dove vengono svolte tutte le
funzioni domestiche. Il nucleo famigliare più comune è composto da 5 individui. Una
famiglia di 4 unità vive con meno di 6.100 scellini al mese (circa 70 €) e l’85% delle
persone è sotto la soglia di povertà assoluta. Uno studio della Shelter Afrique48,
dimostra inoltre che sia ben raro che gli abitanti delle baraccopoli siano anche
proprietari dalla baracca stessa. Infatti l’80% dei baraccati sono affittuari della loro
abitazione49. Da qui nasce la grande contraddizione che caratterizza gli slums; luoghi di
povertà assoluta, che diventano però un business notevole per i privati proprietari delle
baracche.
Anche gli insediamenti informali sono diventati di fatto un punto dell’economia urbana,
non solo per gli affitti ma anche perché la baraccopoli si è in qualche modo organizzata
per autosostenersi. Si formano così mille piccole attività economiche illegali, che vista
l’immensa quantità di persone garantisce il 20% del PIL del Kenya.
In conclusione, gli spazi informali e non pianificati, non solo forniscono un posto dove
vivere, offrono piccole opportunità di crescita. Tuttavia, ci sono ostacoli ed enormi
difficoltà per riuscire a sradicare la segregazione spaziale urbana. Quello di cui c’è
47 Da www.kibera.net 48 Organizzazione fondata nel 1982 con lo scopo di garantire un adeguato sviluppo degli insediamenti informali in Africa 49 MITULLAH W., (2005), “The Case of Nairobi, Kenya”, Nairobi, University of Nairobi, Kenya
25
bisogno, è l’integrazione dei vari settori delle baraccopoli in un programma di
pianificazione urbana e uno sviluppo dei meccanismi di controllo. Il vero cambiamento
si potrà avere solamente quando la soluzione alla segregazione spaziale sarà basata sulla
comprensione dei bisogni della popolazione.
26
CAP. 3 IL CASO DI KOROGOCHO
3.1 Confusione e Caos: vivere a Korogocho
Korogocho vuol dire “confusione” in lingua kikuyo. E’ il nome di uno dei tanti slums di
Nairobi, è nato agli inizi degli anni ‘80 ed è ancora considerato dal governo come un
insediamento abusivo. E’ «l’Out-città, il posto dove nessuno vuole stare, che si
definisce per differenza a tutto ciò che non è. Pur essendo dentro la città o ai suoi
estremi confini ha uno spazio mentale differente››50.
Padre Daniele Moschetti51, definisce una baraccopoli come: ‹‹gruppi di costruzioni
irregolari messi insieme con materiale di recupero (soprattutto bidoni appiattiti) prive di
qualsiasi pianificazione e persino di un minimo di infrastrutture preliminari; abitati da
una popolazione ad alta densità che risiede in tuguri sovraffollati, occupando
temporaneamente e illegalmente aree isolate e malsane assolutamente inadatte a scopi
abitativi, e vivendo alla giornata, senza un lavoro fisso o semplicemente sopravvivendo
attraverso forme di guadagno informali e addirittura illegali››52. (fig. 4)
Figura n° 4: Veduta di Korogocho
Fonte: www.korogocho.org
50 FLORIS F., (2003), Baracche e burattini? La città-slum di Korogocho in Kenya, Torino, L’Harmattan Italia 51 Padre Daniele Moschetti, missionario comboniano che da 6 anni vive e lavora nello slum di Korogocho 52 MOSCHETTI D., (1997), Urban ministry in Africa: need for new models, p.12, AMECEA Gaba Publications, Eldoret
27
Korogocho sorge su un’area di proprietà del governo keniota a 11 chilometri a Est dal
centro città, lunga un chilometro e larga un chilometro e mezzo. La zona è delimitata
dal fiume che dà il nome alla capitale del Kenya e la discarica di Dandora. Qui vivono
circa 150.000 “slums dwellers” (abitanti dello slum), stipati in 11.500 baracche costruite
con fango, lamiere arrugginite o altro materiale di scarto, tutte di carattere temporaneo e
non conformi agli standard minimi di abitabilità. Padre Alex Zanotelli ha definito
questo fenomeno di elevatissima densità di popolazione come la ‹‹sardinizzazione dei
poveri››. Ogni baracca è composta da 5 o 6 stanze, in ognuna delle quali vive una
famiglia; un lenzuolo divide la zona giorno dalla zona notte, il pavimento è di terra
oppure, nel migliore dei casi, di cemento. Ogni residente dispone per le sue esigenze
abitative e di movimento di uno spazio pari a 10-15 metri quadrati. Le baracche sono
separate solo dalle fogne a cielo aperto, che si presentano come piccoli canaletti scavati
con una zappa nel mezzo delle stradine sterrate(fig. 5).
Figura n° 5: Le fogne a cielo aperto
Fonte: www.korogocho.org
28
Durante la stagione delle piogge fango ed escrementi formano fiumi in piena. Non ci
sono ospedali o ambulatori a portata della gente, solo qualche piccolo dispensario,
qualche clinica privata o gestita da organizzazioni umanitarie: Korogocho è un’enorme
incubatrice di batteri e di malattie come tifo, colera, tubercolosi, malaria, malattie
respiratorie (causate dai fumi della vicina discarica) e soprattutto AIDS, che colpisce il
50% della popolazione della baraccopoli. I rifiuti non vengono raccolti, ma gettati lungo
le strade più ampie in attesa che vengano bruciati. Avere l’elettricità è un lusso
permesso a pochi perché sia un contatore che l’allacciamento alla rete elettrica costano
troppo, ma è un fattore essenziale per la sicurezza e per svolgere attività lavorative.
L’acqua arriva tramite un collegamento con l’acquedotto comunale e poi viene venduta
da chioschi privati in bidoni da venti litri. Non ci sono servizi igienici, solo pochi gruppi
di case hanno una latrina, che consiste in una buca racchiusa fra quattro vecchie lamiere
e una porta di legno; il resto della popolazione getta i suoi rifiuti direttamente
all’esterno, nella fogna.
Korogocho è un enorme campo profughi. In questo luogo di transito ci sono keniani di
tutte le etnie, rifugiati di ogni regione del corno d’Africa: regnano sovrane l’insicurezza
e la povertà, a cui si aggiungono la bassa attesa di vita, l’alta mortalità infantile e
l’analfabetismo53. Uno dei problemi più rilevanti è la violenza: una “tremenda
abitudine” che fa vivere la gente in uno stato di paura permanente. Violenza generata
dalle privazioni, dalla povertà, dalla vulnerabilità, dal sovraffollamento, dall’instabilità,
dalle rivalità etniche, dalla mancanza di diritti: qui si vive alla giornata, ogni giorno
senza sapere se sarà concesso arrivare fino a sera54.
Questa tragica realtà è tipica di ogni baraccopoli ma Korogocho è anche un simbolo dei
baraccati perché ha tre peculiarità. Il terreno su cui è costruita non è di proprietà di chi
ci vive ma dello stato del Kenya, che lo gestisce attraverso la figura del responsabile di
governo per il quartiere (Chief), il quale rilascia dei permessi di occupazione
temporanea e revocabili in ogni momento. Questo è un fattore davvero unico, perché
solitamente la prima rivendicazione che riescono a ottenere i baraccati è la proprietà
della terra sulla quale risiedono, seguita da quella della baracca. Il secondo aspetto è
proprio la non proprietà della baracca, infatti a Korogocho la maggior parte dei residenti
paga l’affitto agli “structures owners” (proprietari delle strutture abitative). Alcuni studi 53 RADICE R., (2004), R-esistere a Korogocho, Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca 54 Cfr.:Ibidem
29
attestano che oltre il 65% dei residenti è in affitto, il 70% non ha terra nelle zone di
origine e il 40% dei proprietari delle case non vive a Korogocho55. Ultima particolarità è
che lo slum di Korogocho è adiacente alla discarica municipale di Dandora, il più
grande sito di raccolta rifiuti di Nairobi, situato a 8 chilometri dal centro economico
della città. La discarica si trova in quel posto da oltre 30 anni e i suoi effetti colpiscono
anche la popolazione di Dandora, Kariobangi e Baba Dogo, con un totale di
popolazione coinvolta di circa 900.000 abitanti. Il consiglio della città di Nairobi, aprì la
discarica a metà degli anni ’70 all’interno di una cava in disuso. Quest’area è ora la casa
di un milione di persone circa. L’intenzione era quella di colmare la cava ma ora l’area
si è trasformata nel più grande disastro ambientale e umano per la popolazione della
capitale keniana, in particolare appunto per i residenti nelle zone di Korogocho,
Kariobangi e Dandora. Padre Moschetti si sta battendo da anni coinvolgendo la
popolazione locale per ricollocare il deposito di rifiuti in un’area meno densamente
popolata.
Il problema non è solo ambientale. Dandora costituisce una risorsa preziosa per i
numerosi scavengers che sopravvivono grazie alla loro attività di recupero e riciclaggio
dei rifiuti. La discarica è diventata sopravvivenza per i poveri residenti delle zone
limitrofe ma anche oggetto di grandi interessi economici di poche persone. Tutti i rifiuti
delle industrie, alberghi, ristoranti, aeroporto e aree residenziali di Nairobi sono gettati
qui. Il sito è diventato inevitabilmente un affare multimilionario, interessando i politici
locali che hanno tutta l’intenzione di mantenere la discarica in una posizione
conveniente per i propri interessi personali. Sono presenti un buon numero di
cooperative di giovani e donne che lavorano per smistare e riciclare alcuni di questi
rifiuti. Questa gente lavora in condizioni durissime senza nessun tipo di protezione con
un misero salario, guadagnando tra i 50 e 150 scellini (da 0.75 a 2.3 dollari) al giorno. I
datori di lavoro non garantiscono nessuna copertura sanitaria. Le malattie in questa zona
sono molto comuni, dovute ai vapori nauseabondi e velenosi generati dal continuo
ardere dei rifiuti56. Un’indagine medica Unep57 svolta su 328 bambini e ragazzi di
55 FLORIS F., (2003), Baracche e burattini? La città-slum di Korogocho in Kenya, Torino, L’Harmattan Italia 56 OLUOCH J.O., MOSCHETTI D., Dandora Dumpsite:Struggling for health, security and dignità, da www.korogocho.org 57 UNEP (United Nations Environment Programme), (2007), Environmental Pollution and Impacts on Public Health: Implications of the Dandora Municipal Dumping Site in Nairobi, Nairobi, Kenya
30
Dandora di età compresa tra i 2 e i 18 anni ha documentato la presenza di metalli
pesanti in quantità più che velenose. Come dato esemplare, il rapporto confronta i valori
medi di analoghe analisi in Olanda e quelli riscontrati a Dandora: 150 ppm (parti per
milione) di piombo per i bambini europei a confronto con 13.500 ppm dei bambini di
Korogocho e 5 ppm di cadmio rispetto ai 1058 ppm. Per quanto espressa in termini
tecnici, la differenza è evidentemente vertiginosa e analizza l’elevato tasso di tossicità
della zona. Una situazione decisamente tragica, aggravata inoltre dalla presenza di gang
criminali che controllano la discarica, le quali chiedono il pizzo a coloro che vogliono
rovistare tra i rifiuti58.
E’ fondamentale quindi riuscire a trovare una soluzione sostenibile al problema della
discarica di Dandora. Oltre alla necessità principale di trovare un altro sito dove
ricollocarla è inoltre indispensabile garantire alternative di lavoro per coloro che vivono
dei “prodotti” della discarica. Sono infatti molti e di ogni età coloro che sopravvivono
recuperando quotidianamente nell’immondizia tutto il recuperabile, respirando in tal
modo ogni giorno veleni e sostanze tossiche. Come dice padre Daniele, in prima linea
nel trovare una soluzione realmente sostenibile: ‹‹Quando si ha fame, poco importa se i
fumi dei fuochi accesi su queste vere e proprie colline di immondizia sono tossici e
bruciano i polmoni. Qui la gente soffre di svariati mali, anche gravi, ma la
preoccupazione quotidiana è tentare di sopravvivere…anche ai veleni››59.
3.2 Progetti in corso a Korogocho
All’interno di questa situazione fortemente problematica e caotica, vivono e lavorano
persone che hanno deciso di dedicare totalmente la propria vita ai poveri, creando
progetti per rendere lo slum di Korogocho un luogo dove sia possibile vivere. I
missionari comboniani hanno cominciato la loro attività a Korogocho nel 1983, quando
la parrocchia di Kariobangi apre all’interno dello slum la cappella di St.John. Nel 1990
Padre Alex Zanotelli sceglie di vivere nelle baracche condividendo lo stato di disagio
dei baraccati. Per ben 12 anni Padre Alex ha portato avanti molti progetti di promozione
umana come la scuola informale, l’asilo, cooperative di riciclaggio di rifiuti e cura degli
58 MOSCHETTI D., (2007), I veleni di Dandora:il punto di vista di un missionario, da www.korogocho.org 59 Cfr.: Ibidem
31
ammalati. Dal 2002 la comunità è guidata da Padre Daniele Moschetti che porta avanti
questi programmi per migliorare la condizione della baraccopoli e dei baraccati.
I progetti in corso coinvolgono le fasce di popolazione più a rischio, dalla rieducazione
dei bambini di strada, all’assistenza dei malati, dalle donne, ai cercatori della discarica.
L’analisi dei diversi tipi di progetto attuati dimostrerà come in tutta questa miseria ci sia
voglia di vita e di cambiamento. Ci sono decine di attività economiche: negozi e piccole
rivendite di ogni tipo, artigiani di qualsiasi genere, baracche che si improvvisano
ristoranti, alberghi o cinema60. In tutta questa miseria pulsa la vita.
Come detto, i progetti spaziano all’interno delle problematiche della baraccopoli.
Il Boma Rescue Center nasce nel 1995, per arginare la carenza dei bisogni più basilari
dei bambini di Korogocho e Dandora. La necessità di cibo, riparo, vestiario costringe
quest’ultimi ad inoltrarsi nella discarica per soddisfare i propri bisogni primari. Questo
li espone ad una condizione di estrema vulnerabilità. Lo scopo del centro è quello di
intervenire e salvare i bambini dalla discarica e da altre forme di abusi. Circa 100
bambini, con un’età compresa tra gli 8 e i 16 anni sono stati accolti nel centro. Lo scopo
è quello di riabilitare e reintegrare i bambini che si trovano a vivere in condizioni
difficili, grazie ad un programma basato su diverse attività: gruppi di ascolto, terapia di
gruppo, sport e giochi, manufatti, arte, attività culturali, acrobatiche, scoutismo,
programma nutrizionale, pulizia ed igiene. Nonostante l’instabile e malsano ambiente
nel quale molti bambini vivono, un buon numero riesce ad avviarsi ad una
trasformazione positiva che dà loro la possibilità di essere reintegrati nella società.
Sempre a sostegno dei bambini, una delle fasce più a rischio in un ambiente
caratterizzato dalla mancanza di opportunità di lavoro, programmi sanitari, servizi
sociali e infrastrutture di base, la comunità cattolica di St. John, ha avviato nel 1997 un
progetto per i bambini di strada di Korogocho (KSCP). Il programma mira ai bambini,
sia maschi che femmine, che vivono in strada e nella discarica e che usano diversi tipi di
droghe come colla, hascisc, tabacco. Il KSCP (Korogocho Street Children Program),
prova a migliorare la vita di questi bambini che vivono in circostanze difficili
agevolando un processo di riabilitazione e di reintegrazione nelle famiglie. Il centro è
sostanzialmente un ritrovo dove i bambini tolti dalla strada possono avere un’istruzione
di base, attività ricreative, attività culturali e sportive, cure mediche e cibo. A questo 60 RAITANO P., (gennaio 2007), Korogocho non esiste, in “Altraeconomia: l’informazione per agire”, 79 p. 22
32
progetto si lega strettamente la Napenda Kuishi Home. Un centro di riabilitazione creato
nel 2006 e situato a 40 km di distanza da Korogocho. La casa è un luogo residenziale
per quei bambini di strada che arrivano dal KSCP. L’obbiettivo del progetto è quello di
riabilitare e reintegrare i bambini in circostanze difficili, cercando di dare l’opportunità
e la libertà di migliorare le proprie condizioni di vita.(fig. 6)
Figura n°6: Bambini del Korogocho Street Center Program
Fonte: www.korogocho.org
Affiancato a questi due ultimi progetti, è sorto un Servizio per lo Sport, ricavato
all’interno di un cortile, dove più di 250 giovani, di etnie e religioni diverse, si allenano
ogni giorno. L’educazione allo sport è completata dalla formazione settimanale che
prevede svariati corsi: prevenzione all’AIDS, religiosità, lavoro, pulizia dello slum e
degli ambienti.
Tra le categorie di popolazione che più soffrono in un contesto di disperazione e
povertà, vi sono certamente le donne. Padre Zanotelli analizza la grave situazione
femminile nelle baraccopoli: ‹‹[…]C’è ancora un gruppo profondamente emarginato a
Korogocho: quello delle ragazzine che si prostituiscono soprattutto in città. Partono la
sera e vanno negli alberghi, nei night-club, nei pub. E’ prostituzione spicciola, fatta per
poter vivere. A Korogocho quasi tutte le ragazzine a quattordici-quindici anni hanno un
bimbo. Devono mantenersi e mantenere il loro piccolo. E intanto sono esposte al
33
disprezzo generale e alla violenza maschile, che è paurosa››61. Per arginare questo
problema, nel 1991 è stato formato il primo gruppo Pro Life. Lo scopo del progetto è
stato quello di individuare ragazze incinte disperate e propense all’aborto. Alcune di
loro sarebbero disposte a tenere i propri bambini ma l’impossibilità di far fronte ai
bisogni basilari di un bambino le spinge all’aborto. Le ragazze sono seguite con
counseling ed insegnanti, che aiutano le ragazze ad accettare la loro situazione. A
sostegno di coloro che non hanno un posto dove stare o che non riescono a far fronte
alle difficoltà economiche, sono stati avviati due progetti satellite: la Jamaa Home, una
casa per giovani donne abbandonate e la Kutetea Uhai (scuola per parrucchiere), proprio
per aiutare quelle ragazza che hanno bisogno di lavorare e provvedere ai loro bambini
piuttosto che rischiare di essere assorbite dal giro della prostituzione.
‹‹Non sono solo le ragazze a soffrire a Korogocho; un po’ tutto l’universo femminile
paga pesantemente. Le mamme, soprattutto quelle senza marito, portano il peso della
famiglia. Il 60-70% delle famiglie di Korogocho è guidato da donne sole. Ci sono
mamme talmente schiacciate dai problemi che ti domandi come facciano a non
suicidarsi››62. Uno dei problemi principali dell’universo femminile è sicuramente quello
della disoccupazione. Il Bega Kwa Bega, che significa “spalla a spalla”, è una società di
cooperative autonome di autosostentamento. Ha cominciato la sua attività nel 1991 con
due gruppi chiamati Udada e Vyondo , con lo scopo di creare diversi tipi di manufatti.
L’obbiettivo del progetto è quello di dare la possibilità alle giovani disoccupate di
produrre le entrate sufficienti per se stesse e per le loro famiglie. Attualmente la
cooperativa è composta da 4 gruppi: Udada, attualmente conta 10 donne che creano e
cuciono collane, cinture, ecc, Mama wa Vyondo, conta 20 membri per la maggior parte
ragazze madri, Kochikanga, dove vengono prodotti tovaglie, magliette, lenzuola e borse
e infine Dolls, specializzata nella manifattura di bambole. I prodotti sono venduti
localmente ma in particolar modo all’estero attraverso la catena del commercio equo e
solidale.
Di fondamentale importanza infine, sono i due progetti di educazione scolastica attivati
all’interno dello slum: la scuola informale di St. John e la scuola materna St. John.
61 ZANOTELLI A., (2003), Korogocho. Alla scuola dei poveri, Milano, Feltrinelli 62 Ibidem
34
L’idea generale della scuola è quella di avere una Korogocho dove tutti i bambini
possano accedere ad un’istruzione di qualità, a dispetto dell’ambiente economico e
sociale nel quale vivono.
La scuola di St. John è stata fondata nel 1990, recuperando i bambini di strada e quelli
più vulnerabili dello slum. Le attività all’interno del progetto scolastico sono molte e
mirano ad accrescere l’auto-stima, a vivere una vita fondata sull’onestà e a rendere i
ragazzi responsabili. Nella scuola vengono assicurati uguali opportunità per tutti i
bambini indipendentemente dalla loro religione e vengono sostenuti coloro che non
possono permettersi la retta mensile. Attualmente la scuola conta 24 insegnanti e circa
850 alunni che possono usufruire di attività sportive, di teatro, di educazione alla pace e
alla vita. La scuola materna conta invece 4 insegnanti e 4 classi, per un totale di circa
150 bambini.(Fig. 7)
Figura n° 7: I bambini della scuola materna St. John
Fonte: www.korogocho.org Quelli che frequentano la scuola, sono per lo più orfani e poveri. Gli obbiettivi
principali sono quelli di dare un’istruzione di base, consigliando e preparando bambini
che una volta usciti dalla struttura scolastica, dovranno affrontare problemi e condizioni
35
di assoluta povertà. Una biblioteca aperta nel 2001, aiuta a fornire un’istruzione basilare
e necessaria per i più bisognosi di Korogocho. La presenza di queste strutture dimostra
una notevole voglia e necessità di educazione, alimentata da un desiderio anche degli
adulti a sviluppare un programma d’istruzione. Sorge per questo nel 2003 il programma
d’istruzione per gli adulti, che conta circa 80 alunni. Il principale obbiettivo del
programma è quello di insegnare a leggere e a scrivere alle donne, agli uomini e a quei
giovani che non hanno mai avuto un’istruzione. Il Ndoto Arts People si unisce a questo
desiderio, a questo “Ndoto”(in lingua swahili “sogno”), di creare uno slum migliore
dove poter raggiungere i propri traguardi. Sin da quando è stato costituito nel 2002, il
gruppo si è sempre mosso in prima linea nell’utilizzo di un’arte che fosse utile per
l’educazione e lo sviluppo della comunità.
“People united for a new Korogocho”, tutti uniti per una nuova Korogocho si legge tra
le pagine del sito d’informazione dello slum. L’impegno e la determinazione
nell’attuare questi progetti, in un ambiente dove regnano miseria e disperazione,
dimostrano il desiderio dei baraccati di lottare e resistere quotidianamente per la vita,
per mangiare, per un lavoro, per poter studiare, semplicemente per poter sopravvivere63.
Le parole di padre Daniele esprimono tutta la voglia di cambiamento:‹‹Il nome
Korogocho è sempre stato legato a una dimensione negativa, che indubbiamente esiste.
Tuttavia, in questa situazione di profondo disagio si deve trovare il modo di rendere
vivibile lo slum. In questa “confusione” c’è un ordine, una dimensione di grande
positività. Pur essendo povera, non tutta la gente è disperata. C’è una forte ricerca di
vita e di uscita dalla miseria. L’informalità del lavoro è normale. In generale la gente
non è passiva. Il problema è dare loro almeno qualche sicurezza. E l’opportunità di
migliorare le proprie vite››.
63 RADICE R., (2004), R-esistere a Korogocho, Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca
36
3.3 Analisi necessaria sui recenti avvenimenti a Nairobi
I recenti avvenimenti che hanno scosso lo stato keniota tra la fine dell’anno 2007 e
l’inizio del 2008 in concomitanza con le elezioni politiche necessitano, all’interno di
questo lavoro, di essere analizzati, per il fatto che le zone delle baraccopoli ed in
particolare lo slum di Korogocho, sono state punti nodali delle violenze che hanno
colpito il paese. Il motivo apparente che ha fatto scoppiare il conflitto tra le diverse
etnie che compongono la popolazione del Kenya, sono state le elezioni del 27 Dicembre
2007. Questa è stata la scintilla che ha acceso uno scontro tra etnie, ma che maschera un
conflitto che è prima di tutto economico e sociale. In ogni caso serviva solamente un
“collante” che facesse confluire la frustrazione e il risentimento individuale nel
collettivo, in qualcosa che riguardasse tutti64. I brogli elettorali che hanno segnato le
ultime elezioni sono stati un ottimo pretesto per far uscire la rabbia e la violenza che
covava all’interno delle persone.
E’ necessario però fare un passo indietro per comprendere l’assetto politico del paese e
di conseguenza gli stretti legami che uniscono gli uomini al potere e le loro etnie di
appartenenza. Il paese è suddiviso in 8 province abitate da diverse 8 etnie.(Fig. 8)
Fig n° 8: Presenza etnica nelle 8 diverse province del Kenya
Fonte: www.korogocho.org
Come si vede in figura 8, la più popolosa è l’etnia Kikuyu con 7 milioni di appartenenti,
seguita da quella Luo con 6.4 milioni.
64 FLORIS F., (2008), Kenya. La violenza e il risentimento, riflessioni di Fabrizio Floris
37
I 3 diversi presidenti che si sono susseguiti alla guida del paese dal 1963, anno
dell’indipendenza, ad oggi, hanno sempre cercato innanzitutto l’interesse del proprio
gruppo di appartenenza adottando una politica clientelare ed elitaria ad esclusivo
sostegno della propria etnia65. Questo tribalismo è da sempre un fattore importante nella
politica keniana, ma non è il problema centrale. Il popolo del Kenya cerca innanzitutto
di eleggere quei leader che possono offrire cambiamenti positivi nelle loro vite.(Fig. 9)
Nel 2002 Mwai Kibaki, l’attuale presidente del Paese, fu eletto raccogliendo i voti di
tutti i gruppi etnici perché rappresentava il cambiamento rispetto al passato regime di
Daniel arap Moi, dato che il suo governo fu caratterizzato da una forte corruzione,
autoritarismo, incompetenza e deliberata divisione etnica. I cambiamenti promessi dal
presidente Kibaki purtroppo non si sono realizzati facendo in modo che molti
spostassero, nelle ultime elezioni, il proprio supporto in favore del partito di
opposizione Odm, il Movimento Democratico Arancione, guidato da Raila Odinga.
Fig. n° 9: Desiderio di cambiamento
Fonte: www.korogocho.org Il fattore etnico viene sfruttato soprattutto dai partiti, come strumento per nascondere
agli occhi della popolazione povera le cause profonde dello sfruttamento economico,
65 MOSCHETTI D. (2008), Intervista ad ANSA
38
politico e sociale. E’ un meccanismo per attirare l’attenzione altrove66. I partiti non si
basano su una politica efficace per il popolo e quindi fondata sulla coscienza degli
oppressi. L’Odm include tra le sue fila alcune delle persone più ricche del paese. La
stessa famiglia Odinga è proprietaria della fabbrica di melassa Spectre International e ha
legami con una multinazionale petrolifera e mineraria per l’estrazione dei diamanti. Di
conseguenza anche un partito di opposizione come l’Odm, non si lega al popolo grazie
ad una politica di lavoro con e per il popolo stesso, ma può solamente sollevare il
malcontento puntando sul fattore etnico, generando inevitabilmente conflitti fra diverse
tribù.
Gli scontri, in un paese dove la povertà colpisce il 60% degli abitanti, sono
inevitabilmente aspri e violenti, fomentati dai fatti e anche da false informazioni che
danno nuova linfa agli attacchi, causando in breve tempo, circa 4 mesi, un notevole
numero di morti (1.500) e di sfollati (300.000).
Le notizie che direttamente sono arrivate da Korogocho, da padre Daniele e padre
Paolo, che in prima persona hanno vissuto i momenti critici di questi incidenti,
dimostrano sia l’entità e la violenza che hanno caratterizzato i combattimenti tra le
diverse etnie, ma anche come ci fosse l’interesse da parte dei politici oppositori al
governo a fomentare la rivolta. Il prof. Fabrizio Floris dichiara come sia stata verificata
la presenza di bande debitamente retribuite per creare disordini.
La cronologia dei fatti mostra come un susseguirsi di reazioni a catena abbia scatenato
una crescente violenza e scontri tribali che hanno avuto l’epicentro proprio negli slums,
tra cui Korogocho, luoghi di povertà in cui convivono persone di origini diverse.
Il 27 Dicembre 2007 è il giorno stabilito per il voto elettorale. Le elezioni tanto attese
dalla popolazione keniana, fiduciosa nel cambiamento, si svolgono con ordine e calma.
Il giorno seguente si attende la proclamazione del vincitore, con la previsione di una
vittoria, con un margine di circa 1 milione di voti, del capo dell’opposizione Raila
Odinga. L’annuncio dei risultati da parte della commissione elettorale viene però
rinviata più volte e in seguito annunciata per il giorno seguente. Il 29 Dicembre, la
tensione in città aumenta man mano che i voti del presidente Kibaki crescono,
raggiungendo e superando quelli di Odinga. I primi scontri si verificano nella
baraccopoli di Kibera, circoscrizione del candidato Odinga, espandendosi poi anche a
66 MUKOMA W.N., (2008), Non cerchiamo rivoluzionari dove non esistono
39
Korogocho dove si verificano i primi 7 morti di etnia Luo, tribù di origine del
presidente in carica. Con il passare dei giorni lo scontro tra le diverse etnie, verificati
anche gli evidenti brogli elettorali compiuti da Kibaki, si allargano aprendo così una
grave crisi politica e sociale per il paese. Le prime offensive di vendetta da parte dei
gruppi Luo contro i gruppi Kikuyo, si scatenano nella baraccopoli di Korogocho. In
tutto il paese si svolgono atti di violenza verso i Kikuyo come anche verso i Luo. Il fatto
più grave si verifica nella città di Eldoret (città a Nord-Ovest del paese) dove 200
persone di etnia Kikuyo si rifugiano in una chiesa e 50 vengono arse vive. Le violenze
sembrano non fermarsi, anche perché i due leader dei principali partiti politici non
riescono a trovare una soluzione d’intesa.
Fig n° 10: Disordini nello Slum di Korogocho
Fonte: www.korogocho.org Il 28 Febbraio 2008, le pressioni internazionali e la mediazione di Kofi Annan, ex
segretario generale dell’Onu, favoriscono un accordo tra i due contendenti per la
creazione di un governo di coalizione67. La riforma principale garantita da questo
accordo è l’introduzione della carica di primo ministro, che spetta al leader
67 Da Unimondo.org, (2008) Kenya: progressi nei negoziati, permane l'emergenza sfollati, http://www.unimondo.org/article/view/157675/1/5033
40
dell’opposizione Odinga, che consente la divisione dei poteri con il presidente Kibaki.
La soluzione garantita dalla nuova riforma costituzionale sembra risolvere i problemi
politici del paese. Nel mese di Marzo però le trattative tra i due contendenti trovano
nuove difficoltà sull’ assegnazione di posti chiave all’interno del governo. Un ulteriore
intervento di Annan, incaricato alla mediazione nella crisi keniana, garantisce un
accordo tra le due parti firmato il 13 Aprile 2008, che stabilisce un governo di
coalizione tra i partiti capeggiati da Kibaki e Odinga, e assegna a quest’ultimo il ruolo
di primo ministro.
L’incontro tra i due contendenti sembra avere riportato il paese ad una situazione di
stabilità. Il difficile percorso che ha portato alla creazione di questo nuovo governo, si
spera possa essere un punto di partenza per lo sviluppo di una nazione che nonostante i
grossi problemi che ha dovuto affrontare è stata sempre capace di uscire indenne dai
momenti drammatici, con una capacità di sopportazione della gente senza precedenti68.
68 ZANOTELLI A., (2008), Kenya:Guerra tra i poveri, in Il grido dei poveri, mensile di riflessione non-violenta
41
CONCLUSIONE Più ci si inoltra negli stretti vicoli di Korogocho, abbandonando la via principale, e più
si ha la sensazione di un aumento della povertà e del degrado. Questo nostro percorso
ha cercato di addentrarsi nei “vicoli stretti” della povertà, provando ad analizzare un
fenomeno che è sicuramente uno dei più problematici attualmente: l’inurbamento nei
paesi in via di sviluppo. Lo studio dei dati a livello globale, ci ha permesso di
inquadrare l’entità di un processo in continua crescita. Lo smisurato aumento del
fenomeno in tempi brevissimi, dimostra come la città sia diventata l’unica alternativa
possibile per la popolazione rurale di soddisfare i propri bisogni nel momento in cui la
vita nel villaggio non sia più sufficiente. Una crescita incontrollata che nel 2005 ha fatto
si che la popolazione urbana superasse quella rurale. Un evento storico, un momento di
vera svolta per le dinamiche globali. L’analisi di una città come Nairobi, investita in
pieno dall’effetto migratorio campagna-città, ha aiutato a comprendere gli sviluppi di
questo processo. L’aumento indiscriminato di popolazione in spazi ristretti come quelli
urbani, ha inevitabilmente creato segregazione spaziale, confinando le parti di
popolazione più svantaggiate in luoghi sempre meno adatti per vivere. Infine il nostro
percorso ci ha portato all’interno di questi luoghi. Roberto Radice, concludendo il suo
lavoro di tesi sulla baraccopoli di Korogocho dice: ‹‹con umiltà è necessario affermare
che non si è arrivati ad alcuna conclusione, nel senso di certezza››69. E in effetti in
questi luoghi la certezza e la sicurezza faticano ad esistere. Le considerazioni sulla
situazione attuale, dimostrano come i meccanismi di convivenza tra persone di etnie,
religioni, abitudini così diverse siano fragili e pronti ad esplodere, generando conflitti e
violenze. Una lettera di Padre Daniele riguardo gli scontri nello slum dimostra come il
rapporto fra le popolazioni della baraccopoli siano difficili e complesse: ‹‹[…] non
dovevamo essere noi a farci la guerra e nessuno sarebbe venuto ad aiutarci se non
trovavamo noi una soluzione[…]ora chi si faceva la guerra erano proprio poveri contro
poveri››70. Questo lavoro però non vuole finire con questo punto di totale perdita di
sentimenti e valori; ma vuole tentare di raccontare di tutti quegli uomini, donne e anche
bambini, che lottano ogni giorno all’interno di tutti gli slums della terra. Vuole , senza
69 RADICE R., (2004), R-esistere a Korogocho, Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca 70 MOSCHETTI D., (2008), Lettere:Una lunga quaresima
42
pretese, cercare di essere un punto di partenza, una speranza per chi questo mondo lo
crede realmente un posto bello dove vivere.
43
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45
Indice Immagini
Grafico n° 1: The Urban and Rural Population of the World, 1950-2030........p 6
Figura n° 1: Incremento della popolazione mondiale urbana e rurale……….p 8
Figura n° 2: Densità della Popolazione a livello globale…………………….p 10
Grafico n° 2: La crescita della Popolazione di Nairobi, 1901 – 2007………...p 19
Figura n° 3: Nairobi: tetti di lamiera nello slum di Libera…………………..p 21
Figura n° 4: Veduta di Korogocho…………………………………………...p 25
Figura n° 5: Le fogne a cielo aperto………………………………………….p 26
Figura n° 6: Bambini del Korogocho Street Center Program………………..p 31
Figura n° 7: I bambini della scuola materna St. John………………………...p 33
Figura n° 8: Presenza etnica nelle 8 diverse provincie del Kenya……………p 35
Figura n° 9: Desiderio di cambiamento………………………………………p 36
Figura n°10: Disordini nello Slum di Korogocho……………………………p 38
46
RINGRAZIA (MO) MENTI
Finire un lavoro di Tesi e di conseguenza il mio percorso di studi, non è solamente il
raggiungimento di un obbiettivo, ma diventa piuttosto un MOMENTO di cambiamento,
l’inizio di un nuovo periodo della mia vita, fatto di nuove e future esperienze, sogni,
incontri. La strada fatta finora, che mi ha portato fino a qua, è ricca di persone,
discussioni, litigate, confronti e tanta crescita. Questa tesi è stata il culmine di questa
parte di viaggio che è la mia vita, raccogliendo tanti di quei MOMENTI che mi hanno
portato ad essere come sono ora: sognatore ma consapevole che la bellezza e la
grandezza dei propri sogni sia totalmente legata all’impegno e alla voglia che bisogna
metterci affinché questi si realizzino.
Sono tante le persone che hanno contribuito a farmi capire come i MOMENTI belli
della vita siano quelli che, con fatica, ti fanno sentire soddisfatto; in modi molto diversi
ognuno ha aggiunto un pezzetto importante.
Papà Mario: perché cerca, credendo in me, di mettermi di fronte alla realtà, che spesso
cerco di evitare
Mamma Giglio: che mi ha fatto capire quanto sia fondamentale l’impegno di chi lavora
dietro le linee
Dani, Vale, Ali e Pietrino: perché le scelte che comportano più impegno e difficoltà
sono in fondo quelle che più soddisfano
La Robi: con cui ho avuto la fortuna di fare questo viaggio africano e con la quale mi
sono confrontato sulle disparità del mondo. Da Korogocho a Lamu, pochi chilometri
che racchiudono differenze e disuguaglianze enormi. E’ stato bello vivere questa
esperienza con te.
Le persone d’Africa, padre Daniele e Fabrizio Floris: persone che vivono ogni giorno
situazioni di povertà assoluta e nonostante questo, disponibili e capaci di aiutare chi
questo mondo vuole conoscerlo e tentare di capirlo. Persone che mettono i loro grandi
sogni a disposizione di chi non può permettersi di sognare.
Gli Amici: quelli con cui è più facile raccontarsi, mettersi a nudo e farsi capire
Il Kiki: perché si sa mettere in gioco e vuole che anche tu lo faccia. Per quella sera a
Monte, perché è stato un MOMENTO di vero cambiamento, senza mai lasciare che la
47
pendenza influenzi il verso ( a Sem, che questa frase l’ha pensata e ci butta anima e
corpo per fare in modo che sia vera)
Sbrizio e la Ele: che sanno lanciarsi in scelte coraggiose per vivere a fianco della
persona che ami
Il Bertz: con cui è bello affrontare i MOMENTI divertenti e perché non mi fa mettere la
testa a posto
Bi: con cui ho capito cosa vuol dire costruirsi il proprio futuro, sia in un alba in mezzo
al Danubio sia una sera a Campsirago
La Lusy e la Vage: perché anche se le scelte e i MOMENTI ci hanno portato un po’
lontani, vi sento vicine
La Francy: perchè quello che c’è stato non è stato solo bello, ma lo tieni dentro e ti fa
pensare e crescere
Marco, Skazzo, Frà, Maurino, la Giò: per i discorsi e gli appunti, il br1 e il quinto piano,
i racconti, le prese male e i confronti. Amici veri con cui ho vissuto MOMENTI forse
brevi ma intensi
Miki, Mala e quelli del Basket: amici nuovi ma da cui è impossibile separarsi
Luigi e la Capanna, Ino e il Boe e le corse: perché ho scoperto quanto sia bello staccarsi
dal quotidiano, fare fatica su un sentiero, credere nei sogni e cambiare la propria vita a
quarant’anni (passati…). E poi dalla cima, giù veloce, rischiando un po’, ma con il
desiderio di fare sempre meglio
E poi Ire,Lemon (!!!), Ce, Billa, Linda, Giulia, Vala, Envi, Sel, Coto e il Ve amici vicini
e altri forse ormai lontani. Da tutti ho avuto qualcosa….
Gli Scout: perché sono tutto quello detto finora…discorsi, amori, amici, montagna,
fatica… MOMENTI…
Un ringraziamento particolare alla prof.ssa Maristella Bergaglio, che ha saputo
incentivare la mia voglia di riscoprire l’Africa, sperando che questo lavoro sia stata
un’occasione per far ripensare a luoghi visti e vissuti.
E un grazie all’Africa. Terra che ti fa vivere MOMENTI di rabbia, di gioia, di
desolazione e amicizia. Un paese dove c’è poco, ma c’è tutto. Sperando di poter passare
ancora su quelle strade rosse…un giorno