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IL CICLONE Italia, 1996 regia: Leonardo Pieraccioni sceneggiatura: L. Pieraccioni e Giovanni Veronesi interpreti: L. Pieraccioni, Lorena Forteza, Barbara Enrichi, Massimo Ceccherini, Sergio Forconi, Tosca D’Aquino, Patrizia Corti, Benedetta Mazzini, Natalia Estrada, Paolo Hendel, Alessandro Haber produzione: Vittorio e Rita Cecchi Gori Dobbiamo confessare una cosa: chi scrive non ha visto Il ciclone di Leonardo Pieraccioni se non dopo un anno dalla sua uscita. E l’ha visto perché l’hanno invitato a farlo, quasi costretto. Intendiamoci, non era per snobismo culturale che l’avevamo evitato, ma semplicemente perché non ci interessava. È vero comunque che un film che arriva ad incassare settanta miliardi è di per sé un fenomeno interessante; inoltre ci aveva spesso colpito l’unanimità di giudizio da parte di chi l’aveva visto, pur appartenendo a categorie di pubblico ben diverse: «Non è un granché, ma ti fa passare due ore spensierate...». All’udire questo immancabile commento ci veniva alla mente l’immagine delle platee che all’uscita dal cinema rientravano nel loro campo di lavori forzati, riconoscenti a Pieraccioni per aver loro alleviato per due ore il peso di vivere. Come succedeva nel finale de I dimenticati (1942) di Preston Sturges, film di cui ci piacerebbe parlare a lungo, ma siamo convinti che non l’ha visto nessuno, per cui soprassediamo. (Comunque lo passano spesso in televisione al mattino o di notte: registratelo quando vi capita, così ne riparliamo). Altra cosa che ci ha colpito in un anno di mania pieraccioniana (solo a Lucca il film è passato almeno quattro volte, e nella programmazione estiva in piazza Guidiccioni il 17 agosto c’è stato bisogno di una doppia proiezione per soddisfare le 831 presenze) è che tutta la stampa specializzata ne ha parlato - ne ha dovuto parlare - analizzando il fenomeno, chiedendosi se fosse un buon segno per il nostro cinema, se indicava un’inversione di tendenza nelle affluenze degli spettatori, ma senza affrontare il valore e i contenuti del film. Perché ci sono i contenuti, alla faccia della spensieratezza, anche se sono posti in modo tale da risultare “invisibili”. Ed è questo il motivo per cui ne scriviamo oggi su queste pagine. Tra gli incassi nelle sale e l’uscita in videocassetta possiamo calcolare approssimativamente che Il ciclone è stato visto da dieci milioni di italiani: una bella cifretta. Tra questi, per le regole dei grandi numeri, ci saranno di sicuro tanti ragazzi che frequentano i nostri gruppi, i loro genitori, i catechisti e qualche prete (pochi, visto che vanno poco al cinema). A chi invece non l’avesse ancora visto, consigliamo vivamente di farlo - dato che la cassetta si trova facilmente, anche in edicola - perché potrebbe essere un’ottima occasione di riflessione sui “valori” del nostro tempo, da offrire a: - ragazzi, - giovani, - seminaristi, - famiglie, - adulti e anziani. Il ciclone non è un film spensierato, tutt’altro, ma fa quell’effetto. Fa, cioè, passare i suoi contenuti in modo inavvertito, come bere un bicchier d’acqua fresca. Vediamo come. Al centro della vicenda c’è lui, Levante, l’io narrante interpretato da Pieraccioni. Il nome del personaggio non è casuale, come pure quelli dei fratelli Libero e Selvaggia: risalgono alla militanza comunista del padre. Levante, che è il perno della famiglia, non ha particolari caratteristiche: è il bravo ragazzo diplomato ragioniere, moderno senza esagerare, legato alle tradizioni (si veda il vecchio motorino, il nonno, il rapporto con i paesani), gentile, sano, di bell’aspetto: è il giovanotto che molte donne vorrebbero per genero, quello con la testa sulle spalle, equidistante dagli eccessi. Normale. È questo, forse, il segreto di Pieraccioni: a differenza dei vari Benigni, Nuti, Verdone, Benvenuti, Troisi, lui non esagera, ma si contorna di personaggi esagerati. Non fa nemmeno ridere più di tanto, ma affida la comicità alla costellazione di tipi che lo circonda; in questo caso: Hendel, D’Aquino, Enrichi, Ceccherini, ecc. Intorno a sé Levante ha una serie di figure chiave: - il padre, vetero comunista, nostalgico, con desideri non ancora sopiti, pronto a dividere lo spinello (ideologico il suo) con gli autisti del pulmino; - Selvaggia, la sorella, omosessuale dalla vita sentimentale tormentata, pronta a competere col fratello nella

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IL CICLONE

Italia, 1996regia: Leonardo Pieraccionisceneggiatura: L. Pieraccioni e Giovanni Veronesiinterpreti: L. Pieraccioni, Lorena Forteza, Barbara Enrichi, Massimo Ceccherini, Sergio Forconi, Tosca D’Aquino, Patrizia Corti, Benedetta Mazzini, Natalia Estrada, Paolo Hendel, Alessandro Haberproduzione: Vittorio e Rita Cecchi Gori

Dobbiamo confessare una cosa: chi scrive non ha visto Il ciclone di Leonardo Pieraccioni se non dopo un anno dalla sua uscita. E l’ha visto perché l’hanno invitato a farlo, quasi costretto. Intendiamoci, non era per snobismo culturale che l’avevamo evitato, ma semplicemente perché non ci interessava. È vero comunque che un film che arriva ad incassare settanta miliardi è di per sé un fenomeno interessante; inoltre ci aveva spesso colpito l’unanimità di giudizio da parte di chi l’aveva visto, pur appartenendo a categorie di pubblico ben diverse: «Non è un granché, ma ti fa passare due ore spensierate...».All’udire questo immancabile commento ci veniva alla mente l’immagine delle platee che all’uscita dal cinema rientravano nel loro campo di lavori forzati, riconoscenti a Pieraccioni per aver loro alleviato per due ore il peso di vivere. Come succedeva nel finale de I dimenticati (1942) di Preston Sturges, film di cui ci piacerebbe parlare a lungo, ma siamo convinti che non l’ha visto nessuno, per cui soprassediamo. (Comunque lo passano spesso in televisione al mattino o di notte: registratelo quando vi capita, così ne riparliamo).Altra cosa che ci ha colpito in un anno di mania pieraccioniana (solo a Lucca il film è passato almeno quattro volte, e nella programmazione estiva in piazza Guidiccioni il 17 agosto c’è stato bisogno di una doppia proiezione per soddisfare le 831 presenze) è che tutta la stampa specializzata ne ha parlato - ne ha dovuto parlare - analizzando il fenomeno, chiedendosi se fosse un buon segno per il nostro cinema, se indicava un’inversione di tendenza nelle affluenze degli spettatori, ma senza affrontare il valore e i contenuti del film.Perché ci sono i contenuti, alla faccia della spensieratezza, anche se sono posti in modo tale da risultare “invisibili”. Ed è questo il motivo per cui ne scriviamo oggi su queste pagine.Tra gli incassi nelle sale e l’uscita in videocassetta possiamo calcolare approssimativamente che Il ciclone è stato visto da dieci milioni di italiani: una bella cifretta. Tra questi, per le regole dei grandi numeri, ci saranno di sicuro tanti ragazzi che frequentano i nostri gruppi, i loro genitori, i catechisti e qualche prete (pochi, visto che vanno poco al cinema). A chi invece non l’avesse ancora visto, consigliamo vivamente di farlo - dato che la cassetta si trova facilmente, anche in edicola - perché potrebbe essere un’ottima occasione di riflessione sui “valori” del nostro tempo, da offrire a:- ragazzi,- giovani,- seminaristi,- famiglie,- adulti e anziani.

Il ciclone non è un film spensierato, tutt’altro, ma fa quell’effetto. Fa, cioè, passare i suoi contenuti in modo inavvertito, come bere un bicchier d’acqua fresca. Vediamo come.Al centro della vicenda c’è lui, Levante, l’io narrante interpretato da Pieraccioni. Il nome del personaggio non è casuale, come pure quelli dei fratelli Libero e Selvaggia: risalgono alla militanza comunista del padre. Levante, che è il perno della famiglia, non ha particolari caratteristiche: è il bravo ragazzo diplomato ragioniere, moderno senza esagerare, legato alle tradizioni (si veda il vecchio motorino, il nonno, il rapporto con i paesani), gentile, sano, di bell’aspetto: è il giovanotto che molte donne vorrebbero per genero, quello con la testa sulle spalle, equidistante dagli eccessi. Normale.È questo, forse, il segreto di Pieraccioni: a differenza dei vari Benigni, Nuti, Verdone, Benvenuti, Troisi, lui non esagera, ma si contorna di personaggi esagerati. Non fa nemmeno ridere più di tanto, ma affida la comicità alla costellazione di tipi che lo circonda; in questo caso: Hendel, D’Aquino, Enrichi, Ceccherini, ecc.Intorno a sé Levante ha una serie di figure chiave: - il padre, vetero comunista, nostalgico, con desideri non ancora sopiti, pronto a dividere lo spinello (ideologico il suo) con gli autisti del pulmino;- Selvaggia, la sorella, omosessuale dalla vita sentimentale tormentata, pronta a competere col fratello nella

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conquista delle ballerine;- Libero, il fratello ritardato, preso dalle sue ricerche mistiche («Dio c’è?»), mischiate con desideri molto più carnali.A questi vanno aggiunti l’amico meccanico dalle voglie sessuali insaziabili, l’amica innamorata che non si arrende, la cameriera del bar che si presta alle sfrenatezze erotiche del meccanico, la farmacista gay cattiva, il nonno voce (di Mario Monicelli, evidente omaggio al padre della commedia all’italiana) senza corpo, lo scemo del paese che cerca il “gratta e vinci”, il verduraio con gli stessi clienti, ecc.Ma soffermiamoci sui familiari: sono loro a vivere gli eccessi rispetto a Levante. Si badi a come ognuno dei tre venga presentato ben legato a un tema o uno stile di vita:- il comunismo schietto di un tempo;- l’uso di droghe leggere;- l’omosessualità vissuta senza inibizioni;- una religiosità in ricerca;- il desiderio sessuale come perenne sottofondo esistenziale.Non sappiamo quanti degli spettatori che hanno passato due ore di spensieratezza sarebbero favorevoli alla liberalizzazione delle droghe leggere, o hanno simpatie comuniste, o sono tolleranti verso l’omosessualità, o concepiscono la procacità femminile come prova dell’esistenza di Dio. Sta di fatto che in questo film accettano questi temi - che sono seri in sé stessi - mentre non li accetterebbero da film “impegnati”, da quelli “pallosi” d’autore, che costringono a pensare.Nel Ciclone tutte queste cose sono presentate in piccole dosi, diluite in un clima rilassante e in un paesaggio armonioso. Ma stiamo attenti: come diceva Mary Poppins (la cui visione nella vita si rivelerà sempre più educativa col passare degli anni): «basta un poco di zucchero e la pillola va giù...». Pieraccioni dà agli spettatori pillole edulcorate: tocca temi importanti ma senza disturbarci, anzi ci diverte. Di fronte alla pesantezza della vita quotidiana, alle notizie del telegiornale, ai guai della società qui troviamo una terza via tra l’impegno e il menefreghismo: la mediocrità.«La virtù sta in mezzo», dicevano i latini. Può darsi; ma a noi continua a risuonare la voce di Dio nell’Apocalisse che dice: «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16). Il ciclone è il trionfo della tiepidezza, della norma (Levante) che ha bisogno delle eccezioni (tutti gli altri personaggi) per essere confermata. Ma provate a pensare: qual è il primo effetto dell’arrivo del ciclone (le ballerine) nella famiglia di Levante? Anziché portare un sommovimento, qualcosa di diverso, di rivoluzionario, il primo effetto della loro presenza è che il televisore e il telefonino cellulare cominciano a funzionare! Ecco il ciclone: finalmente anche quella famiglia supera le ultime barriere verso l’uniformazione generale. Evviva! Possiamo rilassarci: anche quell’ultimo angolo di mondo non raggiunto dagli status symbol del consumismo è stato colonizzato. Grazie Leonardo che ci togli simili paure.Perché in definitiva cos’è che rendeva quella famiglia diversa dalle altre, al punto che non si riceveva nemmeno il segnale tv? La mancanza della donna. Non ci sono mogli o madri in quella famiglia. L’unica donna che c’è è gay.La donna, possibilmente bella, è il motore che mette in moto le varie istanze sopite: quelle nostalgiche del padre, quelle omosessuali della sorella, quelle mistiche del fratello.Fermiamoci un attimo su quest’ultimo. Il suo itinerario ha uno sviluppo preciso. All’inizio viene presentato nella sua ricerca di Dio: i quadri presentano la domanda «Dio c’è?». Dopo l’arrivo delle donne, dalla domanda si passa all’affermazione: «Dio c’è!». A seguito della partenza delle ballerine la costatazione: «Dio c’è: è stato qui!». Ora se leggiamo il Cantico dei cantici troviamo pagine meravigliose che descrivono la bellezza femminile in rapporto all’amore di Dio. Anche le esperienze mistiche di santa Teresa d’Avila abbisognano spesso di metafore coniugali per esprimere la pienezza di quell’amore. Ci permettiamo di dubitare che quando Libero dice: «Se non *** stanotte tanto vale morire», l’affermazione si possa inserire in questa tradizione.Nel Ciclone Dio esiste perché esistono delle belle donne da ***, basta. Non c’è innamoramento, non c’è incontro personale: c’è la voglia e la possibilità di soddisfarla. Perciò Dio esiste. E qui dobbiamo anche notare una certa ipocrisia da parte della sceneggiatura che fa sì che solo Levante possa raggiungere il suo scopo: Libero e Selvaggia si limitano a intravedere la terra promessa dove scorre latte e miele, ma senza penetrarvi. Essere tolleranti con i diversi va bene, ma fino a un certo punto!E che dire di quel matrimonio in chiesa che comincia con l’alleluia? Beh, il matrimonio si celebra in chiesa, l’alleluia è un canto della messa, quindi basta abbinarli. Per la massa spensierata è sufficiente.

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(Nota: provate a mettere in un film, anche spensierato, una partita di calcio con dodici giocatori per squadra o dove l’arbitro anziché fischiare usa una trombetta, e sentirete le reazioni indignate degli spettatori).In definitiva perché ha avuto successo Il ciclone? Perché è rassicurante, perché mescola sesso, ideologia e religione in parti uguali in un beverone dietetico dal sapore gradevole. Per questo è avvenuto il tam tam tra gli spettatori, è nata una sorta di solidarietà affinché tutti potessero salire su questa giostra che fa girare la testa appena appena. Perché tutti vorremmo che il nostro vicino di casa fosse come Levante, che fosse amico di nostro figlio e sposasse nostra figlia, perché un mondo come quello del Ciclone è un mondo pacificato, dove si prova l’ebbrezza della trasgressione salvo ritornare subito nel proprio alveo. Perché la donna più bella tocca al più bonaccione. Perché ci si sposa in chiesa con l’abito bianco e si canta l’alleluia (non l’Ave Maria di Shubert, che è ci starebbe così bene, ma i preti - chissà perché? - non vogliono). Perché poi si apre un’azienda agrituristica e si coniuga il nuovo che avanza col vecchio che è nel cuore (il nonno).Che male c’è?, qualcuno chiederà.Come catechisti proviamo a rispondere: che bene c’è?

Marco Vanelli