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LO SVILUPPO E LA CRISI DELLIMPERO CAROLINGIO NEL SISTEMA FEUDALEPROF. MARCELLO PACIFICO

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Università Telematica Pegaso Lo sviluppo e la crisi dell’impero carolingio

nel sistema feudale

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LA SUCCESSIONE ALL’IMPERO ---------------------------------------------------------------------------------------- 3

2 LE NUOVE MIGRAZIONI O INVASIONI ------------------------------------------------------------------------------ 6

3 L’EVOLUZIONE DEI RAPPORTI FEUDALI ------------------------------------------------------------------------- 10

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 La successione all’impero

Carlo Magno fu un sovrano di grande fama ma il persistere di elementi di origine franca

costituirono sempre degli elementi di debolezza della sua costruzione politica; Carlo sapeva che

quello della sua successione sarebbe stato un grande problema così nell’806 divise i suoi domini tra

i tre figli senza però nominare il successore al titolo imperiale; così: al primogenito Carlo assegnò

gran parte della Francia e le terre orientali, a Ludovico (il Pio) l’Aquitania, a Pipino l’Italia e la

Baviera.

La morte prematura di Carlo e Pipino fece sì che Ludovico ereditasse il titolo e tutti i domini

dal padre.

Ludovico aveva un carattere diverso dal padre e molto più incline a ricercare in ogni aspetto

della vita anche nell’ambito del potere imperiale, un carattere sacro; di conseguenza durante il suo

regno la collaborazione tra Stato e Chiesa divenne sempre più stretta.

Anche lui si preoccupò della sua successione poiché non voleva mettere in crisi l’unità

dell’impero. Nell’817 con l’ordinatio imperii dichiarò suo erede il figlio Lotario mentre agli altri

due figli destinò il dominio su territori periferici: a Pipino l’Aquitania e la marca spagnola e a

Ludovico, detto poi il Germanico, la Baviera.

Lotario venne subito associato al governo e mandato in Italia dove iniziò ad emanare

capitolari e nell’824 impose al papato la Constitutio romana con la quale si stabiliva che il papa,

dopo essere stato eletto dal clero, avrebbe dovuto giurare fedeltà all’imperatore prima di essere

consacrato.

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Ludovico, con il suo carattere debole e poco intraprendente, non riuscì a fronteggiare le

richieste dei figli minori; seguirono tensioni e scontri che videro tutti e tre fratelli ribellarsi al padre.

Ludovico cercò di allargare la sua base di consenso concedendo nuovi benefici ai vassalli facendo

impoverire sempre di più il patrimonio del fisco.

Anche la Chiesa ebbe un comportamento ambiguo perché da un lato sanciva l’indivisibilità

del sacro impero, dall’altro però l’arcivescovo di Lione, Agobardo, affermò pubblicamente che un

imperatore non fosse stato capace di governare e garantire stabilità e pace sarebbe stato compito del

pontefice intervenire al suo posto. Premesse queste per interventi della Chiesa in campo politico.

Nell’840 Ludovico il Pio morì e la situazione precipitò a causa degli scontri tra Lotario e i

fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo (succeduto a Pipino); l’alleanza dei due fratelli ebbe

la meglio su Lotario che nell’843 fu costretto ad accettare il trattato di Verdun che sanciva la

divisione dell’impero: a Carlo il Calvo andò la parte occidentale (Neustria, Aquitania e Marca

hispanica), a Ludovico il Germanico la parte orientale (Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia e

Sassonia), a Lotario la parte centrale (nord Italia, Provenza, Borgogna, Lorena e Olanda) e il titolo

imperiale che però era privo di ogni validità fuori dai suoi confini.

Lotario si trovò inoltre a dover governare territori molto diversi tra loro, poco omogenei sia

culturalmente che linguisticamente; morì nell’855.

A Lotario succedette il figlio Ludovico II che morendo nell’876 lasciò il suo regno e la

corona allo zio Carlo il Calvo; poiché né Ludovico II né Carlo avevano lasciato eredi il figlio di

Ludovico il Germanico, Carlo il Grosso, poté di nuovo riunire sotto il suo controllo tutto l’impero

che aveva conquistato Carlo Magno.

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Purtroppo Carlo il Grosso non fu capace di fronteggiare le incursioni dei Normanni, gli

intrighi di corte tessuti dall’aristocrazia; il suo carattere debole lo indusse ad abdicare nell’887 e

ritirarsi in un monastero dove morì l’anno dopo.

La parte orientale con la dignità imperiale andò ad Arnolfo di Carinzia; la Francia andò al

conte di Angers, re Oddone; il regno d’Italia fu attribuito al marchese del Friuli Berengario il quale

era lontanamente imparentato con i Carolingi.

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2 Le nuove migrazioni o invasioni

La dissoluzione dell’impero sembrò veramente definitiva: ne fu colpita l’intera

organizzazione dell’impero e a tutti i livelli.

Il potere centrale non era in grado di frenare i poteri locali: i feudi e le stesse cariche erano

diventate ereditarie. Si crearono delle piccole realtà anche all’interno delle contee che sfuggirono al

controllo del conte il quale riuscì a mantenere una certa autorità solo nei territori del feudo e suoi

possedimenti privati.

L’unico mezzo che i conti avevano per dare stabilità al loro potere erano i rapporti

vassallatici ma spesso superavano i confini delle loro circoscrizioni creando tensioni con le grandi

signorie monastiche e vescovili che però tendevano ad espandersi molto , forti dell’immunità di cui

godevano.

Queste immunità creavano Stati nello Stato e causarono la nascita di signorie più o meno

ampie all’interno delle quali i titolari svolgevano tutti i compiti di un vero e proprio sovrano (potere

militare, fiscale, giudiziario, amministrativo, legislativo).

Per indicare queste nuove realtà dell’Europa tra il IX-X secolo si usa l’espressione di

«signoria bannale» (banno= potere di comando per una finalità pubblica): spesso grandi proprietari

terrieri esercitavano abusivamente i poteri di comando poiché non avevano mai ricevuto deleghe dal

re né dai suoi funzionari.

La debolezza dell’amministrazione carolingia era stata causata dal carattere rudimentale del

suo ordinamento; il sistema della terra come forma di stipendio radicava il funzionario al regno,

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cercando di sottrarlo al patrimonio regio. Tale processo tra la fine del IX secolo e l’inizio del X subì

un’accelerazione a causa delle migrazioni di nuovi popoli e delle incursioni dei Saraceni sulle coste

francesi e italiane.

La formazione dell’impero franco non aveva fermato le migrazioni dei popoli seminomadi

che continuavano a spostarsi nelle zone che non avevano ancora una sistemazione etnico-

territoriale.

Durante la seconda metà del IX secolo nell’area che si estendeva dal Baltico fino al

Mediterraneo, dalla Russia centrale fecero incursione gli Ungari; tra l’895 e l’896 di stanziarono in

Pannonia (l’attuale Ungheria) e da lì partivano per compiere incursioni predatorie sia nell’Europa

carolingia sia in Germania. In Francia (nel 937 raggiunsero Parigi) e in Italia: devastarono

Pavia(899) giungono in Campania(922) in Puglia(947); nel X secolo gli Ungari si spinsero fino in

Spagna(943) e in Belgio(954)

Le formazioni politiche nate dopo la dissoluzione dell’impero furono del tutto inadeguate a

far fronte alla minaccia di questo popolo: essi infatti non disponevano di adeguate risorse militari e

cercarono di fermarli offrendogli denaro e cercando di indirizzarli verso territori nemici.

I monasteri, privi di difese e ricchi di beni, furono i più colpiti dai saccheggi mentre le città

non subirono gravi danni poiché i nemici non sapevano organizzarsi per porre la città in assedio per

lunghi periodi.

La minaccia degli Ungari cessò quando in Germania Ottone I riorganizzò il regno di

Germania e li sconfisse in una battaglia presso Augusta (955).

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Tra il popolo ungaro, inoltre, si diffuse la religione cristiana (la conversione fu sanzionata

nel 1001 con l’incoronazione di Stefano da Papa Silvestro II) che ebbe il merito di dare una forte

limitazione alla loro spinta espansionistica.

L’Europa cristiana fu inoltre minacciata dagli attacchi dei Saraceni: questi dopo aver

completato la conquista della Sicilia nel 902 iniziarono ad attaccare e compiere razzie in tutto

l’Occidente.

Il territorio che venne letteralmente investito dalle razzie arabe fu l’Italia che pagava il

prezzo per la sua fragilità causata dalla disgregazione politica; i Saraceni furono liberi di creare

emirati a Bari e Taranto, dove costruivano insediamenti fortificati e poi da lì partivano per le loro

incursioni.

Mete preferite delle razzie erano le abbazie ricche di oggetti preziosi e le città costiere anche

se nemmeno quelle nell’entroterra dove erano al sicuro se si pensa che arrivarono a saccheggiare

Capua, Isernia e la stessa Roma nell’846.

Nelle città i Saraceni andavano alla ricerca di Giovani e donne che poi rivendevano come

schiavi nei mercato arabi.

Molte città dell’Italia meridionale per fermarli accettò di pagare pesanti tasse; solo con

molta fatica le flotte di Gaeta, Napoli e Amalfi si allearono e riuscirono a ottenere due vittorie a

Gaeta e a Ostia rispettivamente nell’846 e nell’849.

Nonostante ciò ancora molta strada gli Stati cristiani dovevano fare per sconfiggerli e ciò è

dimostrato dal fatto che ancora nel XII secolo nuclei di pirati saraceni erano attivi in tutto il

Mediterraneo.

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I Paesi dell’Europa dovettero affrontare anche la minaccia di popoli che provenivano dalla

Scandinavia e che, con le loro imbarcazioni, compivano scorrerie e razzie muovendosi in varie

direzioni: i popoli Normanni e Vichinghi.

Gruppi di Vichinghi si diressero verso la Russia, altri verso l’Islanda e la Groenlandia,

alcuni verso l’Inghilterra, l’Irlanda e la Francia e altri ancora verso il Mediterraneo.

Con le loro imbarcazioni risalivano i fiumi navigabili, costruivano insediamenti fortificati e

compivano razzie se monasteri e città non avessero accettato di versare grossi contributi in denaro.

Negli anni 859 e 860 si spinsero anche nel Mediterraneo, raggiungendo Catalogna, Provenza

e Toscana.

Lo stesso Carlo in Grosso li pagò per salvare Parigi e il suo successore, Carlo il Semplice

(893-922) concesse al loro capo Rollone un feudo (l’attuale Normandia) nel tentativo di renderli

sedentari.

I Vichinghi, in poco più di 50 anni riuscirono a costituire un vasto territorio e a dargli un

inquadramento politico e amministrativo molto stabile grazie alla fitta rete di rapporti vassallatico-

beneficiari che però avevano sempre come riferimento il duca.

Un altro gruppo di Normanni, i Danesi, si era diretto in Inghilterra e anche loro rilevarono la

tendenza a trasformarsi da nomadi in sedentari; questi sul finire del IX secolo avevano conquistato

tutta la parte centrale dell’isola ma il loro dominio non fu stabile perché mancò la figura forte di un

capo com’era avvenuto in Normandia.

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3 L’evoluzione dei rapporti feudali

Gli assalti di Ungari, Saraceni e Normanni provocarono un profondo mutamento nelle

strutture politiche e sociali degli stati nati dopo la dissoluzione dell’impero carolingio.

Tali strutture ebbero come comune denominatore la difesa dei territori: vennero innalzate

fortificazioni e mura difensive che non bastarono però a far fronte alla grande mobilità dei nemici

che spesso attaccavano di sorpresa e poi si ritiravano.

Un fenomeno che si verificò in quel periodo fu quello dell’incastellamento: i grandi

proprietari terrieri, sia laici che ecclesiastici, non badavano a spese né chiedevano le licenze regie

per fortificare le loro ville o addirittura costruire nuovi castelli in grado di reggere gli assalti dei

nemici.

Un castello condizionava molto la vita e l’organizzazione di tutto il territorio; per edificarlo

infatti, il signore obbligava gli abitanti delle terre a lui assegnate a contribuire, pretendendo servizi

di guardia e militari e a svolgere lavori manuali.

Il signore diventava anche il giudice di tutti coloro che vivevano nei territori protetti dal suo

castello e si preoccupò anche di provvedere all’assistenza religiosa facendo costruire una chiesa

all’interno del castello che si configurava così come un organismo politico completo e dotato anche

di una natura pubblica .

Il potere si esercita quindi in maniera autonoma.

La presenza di un castello influenzava la sfera politica, economica e sociale di un territorio;

è importante precisare che quando si parla di castello nell’epoca medievale si devono tener presenti

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due significati: il castello come fortezza presidiata militarmente dove risiedeva il castellano con la

sua famiglia e dove la popolazione si rifugiava solo in caso di necessità; un villaggio fortificato

preesistente che viene circondato di fossato e mura difensive con all’interno la dimora fortificata del

signore.

Con la costruzione dei castelli la distribuzione della popolazione nel territorio fu molto

modificata in quanto i piccoli agglomerati sparsi cominciarono a unirsi all’ombra della fortezza per

essere meglio protetti ; ne risultò che rimasero in funzione le reti viarie che collegavano i centri

fortificati e le pievi rurali scomparvero per far posto alle parrocchie che nacquero nell’ambito

territoriale del castello.

L’Europa del X secolo non fu comunque caratterizzata dalla completa assenza di un

ordinamento pubblico che esercitasse un potere sul territorio.

La società, abbandonata a se stessa, dava vita a una moltitudine di poteri che entravano in

conflitto tra di essi e diedero vita a quel che si definisce «il secolo di ferro».

Vi erano segni di vitalità per la struttura sociale, poiché si iniziò a riorganizzare le strutture

iniziando dal basso con nuove metodologie più adeguate alla società di quel periodo: ad esempio

una famiglia poteva avere in affitto terre appartenenti a signori diversi, i domini signorili non erano

definiti e il territorio risultava perciò molto frantumato.

Anche l’istituzione del vassallaggio entrò in crisi poiché subì un profondo cambiamento di

significato: se in origine il feudo era la ricompensa per una già consolidata fedeltà adesso il

processo si era invertito, un signore doveva dare un feudo per avere in cambio la fedeltà di un

vassallo.

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Un cavaliere poteva anche prestare l’omaggio e fedeltà a più signori per ottenere più feudi e

se i due signori fossero entrati in conflitto si sarebbe schierato dalla parte del signore che gli aveva

concesso il feudo più grande; il feudo, inoltre, divenne patrimonio familiare ed ereditario.

La tendenza ad inserire il feudo nel patrimonio familiare e a considerarlo ereditario si

rafforzava grazie a provvedimenti legislativi; Solo i grandi complessi feudali riuscirono a mantenere

una struttura più o meno stabile e a far valere i propri principi.

Con il Capitolare di Quierzy, emanato da Carlo il Calvo nell’877 si stabiliva l’eredità dei

feudi maggiori, cioè di quelli concessi dal re o dall’imperatore.

“Se sarà morto un conte, il cui figlio sia con noi, nostro figlio, insieme con gli altri nostri

fedeli disponga di coloro che furono tra i più familiari e più vicini al defunto, i quali insieme con i

ministeriali della stessa contea e col vescovo amministrino la contea fino quando ciò sarà riferito a

noi. Se invero [il defunto] avrà un figlio piccolo, questo stesso insieme con i ministeriali della

contea e il vescovo, nella cui diocesi si trova, amministri la medesima contea, finché non ce ne

giunga notizia. Se invece non avrà figli, nostro figlio, insieme con i rimanenti nostri fedeli, decida

chi, insieme con i ministeriali della stessa contea con il vescovo, debba amministrare la stessa

contea, finché non arriverà la nostra decisione. E a causa di ciò nessuno si irriti se affideremo la

medesima contea a un altro, che a noi piaccia, piuttosto che a colui il quale fino ad allora la

amministrò. Ugualmente, dovrà essere fatto anche dai nostri vassalli. E vogliamo ed espressamente

ordiniamo che tanto i vescovi, quanto gli abati e i conti, o anche gli altri nostri fedeli cerchino di

applicare le stesse regole nei confronti dei loro uomini.

10. Se qualcuno dei nostri fedeli, dopo la nostra morte, […] vorrà rinunciare al mondo,

lasciando un figlio o un parente capace di servire lo stato, egli sia autorizzato a trasmettergli i suoi

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honores […]. E se vorrà vivere tranquillamente sul suo allodio, nessuno osi ostacolarlo in alcun

modo né si esiga da lui null’altro che l’impegno di difendere la patria”

Per i feudi minori concessi dai vassalli ai loro fedeli(valvassini) si attenderà la Constitutio de

feudis, emanata nel 1037 da Corrado II.

Si generò un’intensa frantumazione politica esistevano solo i complessi feudali più grandi,

che facevano capo a principi territoriali con poteri simili a quelli del re.

In Francia, ad esempio, la famiglia dei Robertingi assunse la corona con Ugo Capeto (987-

996) ma il potere regio si esercitava solo su una zona ristretta compresa tra la Senna e la Loira, tra

Parigi e Orléans. Mentre il resto del territorio era strutturato in tanti piccoli organismi territoriali

autonomi.

All’Europa del X secolo mancarono le risorse materiali ed intellettuali per far funzionare

delle grandi strutture organizzative e la prova è data dal fatto che oltre alla crisi dell’ordinamento

pubblico carolingio si assistette alla contemporanea crisi dell’ordinamento ecclesiastico.

Durante il regno di Carlo Magno e dei suoi immediati successori si cercò di innalzare il

livello culturale del clero, di destinare ingenti somme per l’efficiente funzionamento di chiese e

monasteri che avevano il compito di evangelizzare e aiutare i poveri.

Tra il IX e il X secolo però questa buona riforma fu abbandonata e il clero attraversò un

periodo di profonda crisi poiché i vescovi cominciarono ad occuparsi delle questioni materiali

tralasciando le attività spirituali e religiose per dedicarsi a intessere rapporti di vassallaggio.

Alcuni membri del clero arrivarono al punto di assegnare in feudo le stesse risorse della

Chiesa, interferendo nella gestione patrimoniale dei monasteri; i vescovi inoltre avevano il controllo

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su molte chiese. La legislazione canonica prevedeva che il proprietario di una chiesa avesse solo il

dovere di presentare al vescovo il chierico che lui aveva scelto ma sia le funzioni di carattere

religioso (come i programmi dell’attività pastorale- officium) sia i compiti inerenti

all’amministrazione dei beni spettavano al vescovo stesso (beneficium).

Nella realtà invece al vescovo restava poco o nulla dei vecchi compiti in quanto poteva

opporsi alla scelta dei laici solo in caso di apparente indegnità del candidato; le chiese si sentì forte

l’ingerenza dei laici, questo fenomeno si manifesto però anche a livelli più alti visto che re e

principi non esitavano a imporre propri prescelti alla guida di diocesi e abbazie per assicurarsi un

sostegno. In Italia e Germania al tempo di Ottone I alcuni vescovi vennero addirittura nominati

conti (vescovi-conti) e furono così direttamente coinvolti in affari di natura temporale.

Già Lotario, figlio di Ludovico il Pio aveva imposto al papato nell’824 la Constitutio

romana con la quale il papa eletto avrebbe giurato fedeltà all’imperatore prima di essere consacrato.

I successori di Lotario riuscirono a controllare anche il papa; Ludovico II esercitò un diretto

controllo sulla stessa elezione dei pontefici ma si scontrò con il carattere energico e deciso di

Niccolò I (858-867) il quale cercò, senza però ottenere risultati degni di nota, di far nuovamente

affermare il primato della Chiesa sui poteri temporali. Il papato era troppo debole e pressato da due

fronti: il potere imperiale da un lato e quello dell’aristocrazia romana dall’altra.

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Bibliografia

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Einaudi, 179

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Medioevo All’età Contemporanea, Torino, Utet, 1988