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L’ITALIA NEL CINEMA DEL DOPOGUERRA 70 ANNI DI UN ANNIVERSARIO DA NON DIMENTICARE i quaderni del cineforum 41 GIORGIO DE GIORGIO

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L’ITALIA NEL CINEMA DELDOPOGUERRA

70 ANNI DI UN ANNIVERSARIO DA NON DIMENTICARE

i quaderni del cineforum 41GIORGIO DE GIORGIO

GIORGIO DE GIORGIO

L’ITALIA NEL CINEMA DELDOPOGUERRA

CIRCOLO FAMILIARE DI UNITÀ PROLETARIACINEFORUM DEL CIRCOLO

FEBBRAIO - MARZO 2015

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INTRODUZIONEINTRODUZIONEScegliere un tema per organizzare una rassegna è una piccola e stimolante prova perché tante sono le idee

possibili pescando nel grande mare della storia del cinema che tutto ha visto, tutto ha ricordato, tutto hadocumentato. Ecco allora che può venire in aiuto, per restringere il campo, ed essere nello stesso tempo

agganciati all’attualità del presente, l’idea di evidenziare un anniversario, una data, un avvenimento. Già il2014 è stato un anno particolarmente stimolante per rassegne dedicate a circostanze che si sono via via pre-sentate all’attenzione Se solo pensiamo alle celebrazioni per gli 80 anni di Brigitte Bardot e Sofia Loren, maanche ai 30 anni dalla scomparsa di Truffaut e i 40 di De Sica. Ai 90 anni della radio (sì anche sul tema radiosi sarebbe potuto fare qualcosa), i 60 anni della televisione, o ai 125 anni del Moulin Rouge parigino, i 50 annidal Nobel per la pace di Martin Luther King o gli 80 del Nobel di Luigi Pirandello, ai 100 anni dell’apparizionedi Charlot, e così via. Tuttavia un argomento ha avuto un rilievo predominante e una celebrazione generalizzatadei media praticamente di tutto il mondo: i 100 anni dell’inizio della Grande Guerra. Il cinema, in effetti, nonsi è per niente risparmiato nel documentare e riproporre quegli avvenimenti di così grande impatto nella storiadi tutti noi. Nel riflettere sul questo tema tuttavia si poteva cogliere un distinguo che poco a poco ha portato,come si vedrà, alla scelta della rassegna che ora proponiamo. È pur vero che la Grande Guerra è incominciatanel 1914, ma l’Italia entrava in guerra solo nel 1915 e pertanto il centenario, almeno da noi, forse occorrevaricordarlo nell’anno seguente, cioè in questo. Ma chissà quante altre ricorrenze nel 2015…Ma non ci si è fer-mati alle prime (i 90 anni di Silvana Pampanini, i 100 della nascita di Frank Sinatra, di Orson Welles, di MarioMonicelli, di Steno, di Ingrid Bergman, gli 80 dalla nascita di Elvis Presley, ecc.). Perché, per la magia del-l’assonanza misteriosa dei numeri, un’altra data è balzata all’attenzione ed era il 1945. Anno anch’esso legatoad una guerra, la Seconda Guerra Mondiale, ma alla sua fine invece che al suo inizio. Era come dire che invecedi ricordare la guerra si poteva ricordare la pace. E così è scattata l’idea di cercare nella storia del nostro cinemafilm che potessero parlarci e mostraci l’immediatezza del dopoguerra, il punto d’origine di quello che siamooggi dopo 70 anni. Tanto diversi, tanto uguali. In più c’era il vantaggio che nella stessa circostanza, la finedella guerra, a fare il cinema c’era un’aria frizzante di autori nuovi mai vista primi. Incominciava un’avventuradel cinema che lasciava alle sue spalle un ventennio piccolo piccolo per affermare la grande voglia di mostrareliberamente i nuovi tempi anche grazie al nuovo modo di realizzare cinema. C’era un altro aspetto poi che siincuneava strada facendo nel proposito che stava maturando. Poteva essere una rassegna che “parlava” ai vivi,a tutti noi che ancora abbiamo legami diretti o familiari con quei tempi e quei luoghi che si vedranno in questarassegna.

LA NOSTRA STORIA E IL NOSTRO CINEMALa rassegna ha subito escluso qualunque film che non fosse stato girato nell’immediatezza degli avvenimentidella fine della guerra. L’ideale sarebbe stato trovare film, e buoni film, realizzati a ridosso della Liberazione.Ce ne sono stati nei decenni successivi che ricostruiscono quei tempi, magari con accuratezza, onestà e bravura,ma quello che sembrava più importante era cercare di cogliere lo spirito del momento. È per questo che nonfaremo affidamento, per citare qualche esempio, su Dino Risi (Una vita difficile, 1961), su Nanni Loy (Il padredi famiglia, 1967, su Ettore Scola (C’eravamo tanto amati, 1976), tutti bei film ma ricostruiti a posteriori,filtrati dalla riflessione e dalla personale esperienza. Ma non potendo chiedere l’impossibile, film perfettamenteadatti al nostro scopo in pratica non esistevano, allora occorreva definire meglio e accuratamente il “momento”individuabile come “dopoguerra”. Questo momento è circoscrivibile nel susseguirsi degli eventi tumultuosiche portarono l’Italia dalle conseguenze della caduta del regime e dalla sconfitta militare (1945), al referendumistituzionale che proclamò la Repubblica (1946), alla conferenza dei vincitori (ricordiamo le dignitose paroledi Alcide De Gasperi: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra per-sonale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputatoe l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga efaticosa elaborazione…”) e successivo trattato di pace del 1947 e alle gravose condizioni (tra l’altro la cessione

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alla Jugoslavia di parte del territorio della valle dell’Isonzo e del Vipacco, dell’Altipiano carsico, dell’Istriacomprese le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa, la città di Zara, nonché la città di Fiume. La cessioneinoltre di Trieste e le aree circostanti alla Zona A del Territorio libero di Trieste, affidato al controllo del Governomilitare anglo-americano dell’Istria), il successivo viaggio di De Gasperi a Washington e i primi consistentiaiuti economici, la promulgazione della Carta Costituzionale, le prime elezioni del 1948. E forse può esserericordato in questo turbinoso periodo anche il fallito attentato a Palmiro Togliatti del 14 luglio che avrebbe po-tuto fermare o addirittura ribaltare la ricostruzione che politicamente era stata avviata con non poca fatica. Maappunto con le elezioni politiche del 1948 l’Italia, dopo l’affannosa rincorsa di un lungo triennio era entratadefinitivamente e stabilmente nello schieramento occidentale. E, quindi, era in grado di passare al “dopoguerra”e dal dopoguerra alla “ricostruzione”. Fase quest’ultima che era già avviata negli Stati Uniti, tanto che la con-versione da economia di guerra era già manifestata da piccoli ma significativi eventi (in relazione alla storiadel cinema) come la nascita a New York dell’Actors Studio. Insomma, altrove si pensava decisamente ad altro.Ma com’era l’Italia del dopoguerra, quella per esempio del primo concorso di Miss Italia (da cui in praticascaturì mezzo cinema italiano futuro con la scoperta e il lancio di Silvana Pampanini, Gina Lollobrigida, Sil-vana Mangano, Lucia Bosé, Sophia Loren), e quella del rinvenimento del petrolio e del metano nella pianuraPadana da parte di Enrico Mattei, eventi entrambi del 1946. L’Italia non se la passava per niente bene. Sebbenela struttura industriale del Paese non fosse stata gravemente danneggiata, anche per l’intervento di salvaguardiadegli operai delle più importante fabbriche del nord, sussistevano grandi difficoltà per la riconversione indu-striale alla produzione di pace e per i rifornimenti di materie prime. Disastrose le condizioni invece delle mag-giori città italiane distrutte dai bombardamenti, delle strutture stradali (il campionato di calcio 1945-46 sidovette disputare in due gironi, uno a Nord e l’altro a Sud – vinse poi il Torino), dell’agricoltura, non tanto perla produzione di grano che nel 1945 era al 75% di quella di prima della guerra, quanto per quella dello zuccheroe della carne scesa al 10% e al 25% di quella anteguerra. Turbolente manifestazioni, come quella di Milanodel 1945, si susseguirono in tutta Italia per il razionamento dei generi alimentari che favoriva il mercato illegaledella “borsa nera”. Mentre la disoccupazione cresceva, aumentava la perdita di valore della lira tanto che ilcosto della vita era di 20 volte maggiore rispetto al 1938, e nel 1946, nel giro di un anno, i prezzi raddoppia-rono.Ecco che a questo quadro storico bisognava cercare di affiancare il cinema del momento per cercare di co-glierne il valore documentario intrinseco, al di là delle singole storie narrate.Avendo a disposizione solo cinque serate occorreva ulteriormente circoscrivere la scelta possibile. Non ricor-deremo il disagio nell’ eliminare titoli pertinenti al periodo individuato ma per qualche altra considerazione,

come dire, ridondanti. Perché troppo noti o troppo carat-terizzati nel descrivere lo stesso territorio, principalmenteRoma. Ecco dunque perché non vedremo De Sica e Ros-sellini di quegli anni. Invece ricorderemo cinque film pra-ticamente dimenticati fin dalla loro uscita, chi più chimeno, tanto è difficile trovarne traccia sui media deltempo e su quelli di oggi. Con in più la caratteristica diparlare ciascuno di un territorio preciso. In modo da rap-presentare un’immagine dell’Italia più documentata e al-largata possibile. Si parlerà così dell’Emilia del delta, diTorino e del Piemonte, di Livorno, di Napoli e di Pola(Istria).

FUORI DALLA RASSEGNASe è vero che il cinema nel dopoguerra era rinato, è anchevero che il cinema è sempre un’attività commerciale eindustriale. Non bisogna credere che fosse facile per chisi avvicinava alla regia in quei tempi realizzare i propriprogetti, ammesso di averne in quel periodo così poveroma così ricco di confusione ideologica e finanziaria. Ilcinema del ventennio aveva cercato perlopiù di imporreoltre alla propaganda diretta modelli di leggera frivolezzaManifesti elettorali durante le prime elezioni del 1948

pseudo-hollywoodiana, perfino e ancor più du-rante gli anni di guerra. Il pubblico dovette pas-sare dai telefoni bianchi alla borsa nera. Il saltofu in parte mediato dalla continuità della produ-zione di film “canori”. Per anni il cinema avevamostrato i virtuosismi dei vari cantanti lirici deltempo come Beniamino Gigli, Mario del Mo-naco, Giuseppe Lugo, Tito Schipa, Gino Sinim-berghi, Gino Bechi, Tito Gobbi, Italo Tajo, MariaCebotari, Nelly Corradi. Film anteguerra come Elucean le stelle (1935) e Amami, Alfredo! (1940)di Carmine Gallone, Ridi, pagliaccio! (1941) diCamillo Mastrocinque, Il re si diverte (1941) diMario Bonnard, ebbero una naturale continuità con Rigoletto e La signora delle camelie, 1947; La leggendadi Faust e Il trovatore, 1949; La forza del destino, 1950; Madama Butterfly, 1954; Tosca, 1956, tutti di CarmineGallone. E ancora, fra gli altri, Mario Costa, regista di Il barbiere di Siviglia, grande successo del 1946 con ilquale si apre il filone, e quindi di L’elisir d’amore (1947) e di Pagliacci ‒ Amore tragico (1948), e FernandoCerchio, autore di Cenerentola (1949). La continuità cinematografica dal fascismo al dopoguerra fu propiziata e “garantita” principalmente dalla pre-senza di due attori, icone rappresentative di questo periodo: Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Quest’ultimo entranella nostra rassegna nella serata “livornese” del 2 marzo; la prima stava per essere presente con L’onorevoleAngelina (Luigi Zampa, 1947), opera poi uscita dalla programmazione a vantaggio del film “istriano” dell’ul-tima serata e se ne vedrà bene perché. Ma Anna Magnani e Aldo Fabrizi sono entrambi presenti in Roma cittàaperta (Roberto Rossellini, 1945). Che tutti conosciamo quasi come un momento iniziale e che forse erronea-mente inseriamo nell’immaginario del dopoguerra. Perché come tante altre opere in seguito in realtà raccon-teranno le vicende partigiane e la lotta anti-nazifascista, e non il periodo subito successivo. Il primo film inveceche ci mostra l’immediato dopoguerra è Abbasso la miseria! (Gennaro Righelli, 1945). Nonostante si tratti diuna commedia, non mancano numerose inquadrature di macerie e di rovine delle città distrutte dai bombarda-menti e vi sono continui e insistiti riferimenti alla borsa nera. Così il successivo Abbasso la ricchezza!, sempredi Gennaro Righelli (1946), dove la borsa nera diventa la protagonista attraverso lo smodato arricchimentodalla “fruttarola” Anna Magnani, che già nel precedente film spingeva il marito a praticarla come facevano glialtri.Un altro tema fece capolino ma non troppo nel cinema del dopoguerra: il ritorno a casa dei reduci. I nostrisoldati avevano combattuto su fronti lontani e disparati: Francia, Africa (dalla Tunisia all’Egitto), Grecia, Ju-goslavia, Russia; provenivano da prigionie quasi sempre lontanissime: Nord Africa francese, Egitto, India, Sud

Soldati italiani prigionieri dopo l’armistizio5

La squadra del Torino vincitrice del primo campionato del dopoguerra

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Africa, Stati Uniti, Russia, e naturalmente anche dalla più vicina Germania. Natale al campo 119 (di PietroFrancisci, 1947) mostra alcuni soldati italiani, subito dopo l’armistizio, provenienti da un po’ tutte le parti delpaese, reclusi nel campo di prigionia americano, I loro racconti danno luogo a piccoli flashback e, in quattrocasi, ad altrettanti episodi. Bisogna arrivare addirittura al 1997 con La tregua (di Francesco Rosi) per rivivereil racconto di Primo Levi del viaggio che ha dovuto affrontare insieme ad altri deportati italiani per fare ritornoa casa sua a Torino. Il loro percorso attraverso l’Europa centrale è ricco di imprevisti e spesso li costringe apercorrere su e giù molta strada a piedi o su treni di fortuna. E bisogna arrivare perfino al 2002 con Texas ’46(di Giorgio Serafini) per vedere soldati italiani in un campo di prigionia americano. Ma tanto poco il cinemaha mostrato il fenomeno del ritorno a casa dei nostri soldati che bisogna aspettare la televisione che nel 1962produsse un documentario-inchiesta intitolato La lunga strada del ritorno, realizzato da Alessandro Blasetti.Questi fece effettuare le ricerche nelle principali cineteche italiane ed estere. Ci sono i volti dei contadini delsud , dei montanari friulani, ci sono gli uomini che attraversano le frontiere, le donne che aspettano e i reduciche Blasetti stesso andò ad intervistare per tutta Italia. Per molti il 1945 nel loro racconto resta il migliore annodella loro vita. Ma se il cinema è stato avaro nel rappresentare i reduci nella loro “numerosità”, più facilmente il singolo reduceha avuto un suo ruolo nel cinema del primo dopoguerra. È Alberto Lattuada a disegnarlo per primo nel film Ilbandito (1946) con grande consapevolezza come lui stesso ricorda: “Girando per le strade ascoltavo i discorsie pensavo allo ‘choc’ dei reduci che trovavano l’Italia ribaltata dopo la prigionia e trovavano rovesciati tutti ivalori precedenti, perciò Il bandito nacque dai dialoghi ascoltati all’angolo della strada. Questa specie di de-siderio di farsi giustizia da sé, questa insofferenza e lo scivolare fuori dalla legge: l’uomo che non riesce più ainserirsi. …”. Il racconto di questo film è quasi paradigmatico. Dopo anni di guerra e dopo la prigionia inGermania, Ernesto (Amedeo Nazzari) fa ritorno in Italia, a Torino, e ritrova una città devastata: la sua casanon c’è più, la madre e, da quanto apprende, anche la sorella Maria (Carla Del Poggio) sono morte. Avvilito,senza casa né lavoro, incontra per la sua strada più egoismo ed indifferenza che aiuto (specialmente verso i re-duci). L’unica consolazione è scrivere al fraterno amico Carlo (Carlo Campanini), con cui ha condiviso i giornidi prigionia, e alla figlia di lui, Rosetta, che lo considera uno zio acquisito. Per le strade d’una Torino notturna,spettrale e trafficata da faccendieri d’ogni sorta, Ernesto nota una bella ragazza e decide di seguirla: poco doposi ritrova in un bordello e scopre che la donna che aveva seguito è la sorella Maria che credeva morta, e che siè data alla prostituzione con il nome di Iris. Sconvolto, vorrebbe portarla via con sé, ma i due s’imbattono neltenutario del bordello con cui nasce una violenta colluttazione. Un colpo di pistola accidentale colpisce mor-talmente Maria. Ernesto, preso dall’ira, reagisce uccidendo l’uomo e diventando così un bandito tallonato dalleforze dell’ordine. In fuga e ferito, sfugge per poco alla cattura, trovando nascondiglio nella casa di Lidia (AnnaMagnani), una cinica e procace donna di mondo incontrata qualche ora prima. Ernesto diventa l’amante e ilcomplice della donna e viene reclutato come membro della banda criminale di cui ella è a capo insieme a Mirko(Mino Doro), l’altro amante. Inizia così una vita di rapine e delitti, ma anche di momenti di umanità, che por-teranno Ernesto a donare ai poveri il bottino di una rapina effettuata durante il veglione di capodanno e ad in-viare regali a Carlo e Rosetta. Nel tentativo di fuggire oltre confine, la banda viene tradita da Lidia, e si ritrovaaccerchiata dai carabinieri. I malviventi abbandonano la loro automobile e ne assaltano un’altra, uccidendo ilconducente. Ernesto riconosce nella bimba svenuta, seduta nel posto del passeggero, la “nipotina” Rosetta.Decide di rinunciare a fuggire coi complici per riaccompagnare a casa la bambina, ma preferisce non rivelarsicome lo “zio” Ernesto, vista la sua condizione di bandito. In prossimità della casa, si congeda dalla bambinae, mentre si sta allontanando, viene sorpreso e ucciso dai carabinieri. Dopodiché anche Carlo, accorso sulposto, rivede per l’ultima volta il volto di quell’amico reduce, divenuto sì un bandito, ma per la durezza quasiinsostenibile dei tempi.Nel 1950 c’erano ancora migliaia di reduci che dovevano ritornare. Ciò non poteva non avere conseguenzeper le mogli lasciate sole. La vita ricomincia (di Mario Mattoli, 1945) coglie immediatamente l’occasione dirappresentare il reduce Paolo che, partito per la guerra nel 1940 e con alcuni anni sulle spalle di prigionia neicampi in India, ritorna finalmente a casa, dove ritrova la moglie Patrizia e il figlio. La normalità sembra cosìriprendere finalmente il proprio corso. Ma il colpo di scena è dietro l’angolo: Patrizia viene arrestata con l’ac-cusa di omicidio. La vittima è un oscuro personaggio facoltoso e potente. Negli anni più bui della guerra, Pa-trizia (Alida Valli, che fu chiamata a Hollywood per l’ammirazione che suscitò in questo film) si era prostituitacon questo uomo per affrontare le dure difficoltà a cui stava soccombendo. Ora l’uomo, rivedendola con il ma-rito, vuole riprendere la relazione sotto minaccia di raccontare tutto. Nell’incontro segreto dei due che si con-

clude con la morte dell’uomo, ucciso dalla donna nel tentativo di difendersi. La situazione familiare crolla;il reduce, seppure assolta la moglie, vorrebbe lasciarla, essendo incapace di superare il tradimento subito.Ma è tempo di comprendere e capisce e cerca di “ricominciare a vivere”. Oltre che negli affetti familiari così pericolosamente messi a rischio dalla lontananza forzata della guerra, ilritorno a casa può essere l’occasione di regolare i conti di un altro tipo di tradimento. Il rancore politico e ilrichiamo del sangue fanno capolino. È il caso, per esempio, de Il Cristo proibito (Curzio Malaparte, 1950).Un soldato (Raf Vallone, già reduce nell’altro capolavoro di De Santis, Non c’è pace tra gli ulivi, 1950),che ha fatto la guerra in Russia ed ha sofferto la prigionia, ritorna al suo paese. Egli sa che suo fratello èstato fucilato dai tedeschi in seguito alla delazione d’un compaesano. Ed è tornato col fermo proposito divendicarlo, uccidendo il delatore. Ma ne ignora il nome e quando cerca di scoprirlo, interrogando i compae-sani, s’accorge che, stanchi di lotte, di tragedie e di sangue, tutti sono risolutamente decisi a tacere…

UN ALTRO “PICCOLO” DOPOGUERRANel panorama della produzione del primo dopoguerra c’è un piccolo fenomeno che ha per protagonisti dueartisti torinesi. Infatti, subito dopo la guerra due carriere cinematografiche vennero a incrociarsi producendoun circostanziato fenomeno a sé stante. Da una parte, quella di Carlo Borghesio (Torino, 1905) che dopoavere esordito nel cinema nei primi anni Trenta, come assistente regista di Mario Mattoli e di AlessandroBlasetti e come sceneggiatore per Oreste Biancoli e Mario Soldati, passò alla regia nel 1936, dirigendo incollaborazione con Mario Soldati Due milioni per un sorriso.Ma nell’attività di regista non andò oltre un decoroso artigia-nato. Dall’altra quella dell’attore comico, Erminio Macario(Torino, 1902). Esordisce nel 1933 con il film Aria di paese,che si rivelerà una esperienza poco felice. E dopo il più for-tunato Imputato, alzatevi! (1939, Mario Mattoli) e una idealetrilogia dei tempi del fascismo, i film Lo vedi come sei... lovedi come sei? (1939), Il pirata sono io! (1940) e Non me lodire! (1940). È dal loro incontro, l’uno regista, l’altro attorecomico, che esplode un sorprendente successo, prima con ilcampione di incassi Come persi la guerra (1947) e poi conL’eroe della strada (1948) e infine con Come scopersi l’Ame-rica (1949).

Leo Bianchetti (Macario)ha appena terminato il servizio militare ma viene richiamatoalle armi, dopo 10 anni passati su vari fronti si ritrova in Italiaalla guardia di un ponte appena minato dai tedeschi che luinon vuole lasciare. Viene catturato dagli americani e rinchiusoin un campo dove stringe amicizia con Checco (Nando Bruno). Per casodiventa un cobelligerante e contribuisce all’arresto di una pattuglia tede-sca. In licenza premio va si reca a casa di Gemma (Vera Carmi) che in-trattiene una corrispondenza epistolare con un eroe di guerra con lo stessonome ma a causa dei bombardamenti si devono separare. Dopo un po’ ditempo ritrova Checco ma i due sono arrestati dai tedeschi. Nel campo unsoldato lo riconosce come un eroe per la storia del ponte così non vienepiù trattato come un prigioniero. Leo comunque a organizzare una fugadi massa ma evita il peggio grazie alla dichiarazione di fine delle ostilità.Può tornare quindi da Gemma che però ha conosciuto il vero Leo dellelettere e sta organizzando il matrimonio con lui. In tempo di pace la ri-cerca di un lavoro non è poi così semplice, l’unica proposta interessanteprevede una nuova divisa, quella di vigile del fuoco, ma in questo modoha modo di incontrare una balia, sua grande passione.

Locandine di Come persi la guerra a L’eroedella strada

COME PERSI LA GUERRA (1947)

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Felice Manetti (Macario) è un povero vagabondo di Torino che, a causadella sua ingenuità, si trova spesso nei guai. Viene processato per il furto di un organetto da strada e si salvasolo grazie alla testimonianza a suo favore di Gaetano (Carlo Ninchi), un altro vagabondo molto più scaltro dilui. Gaetano lo porta a mangiare alla mensa del Centro Assistenza e poi a dormire in una macchina parcheggiatain un garage notturno. Il giorno dopo Felice si risveglia mentre l’autista del Commendator Zanotti sta guidandola macchina nel traffico cittadino. Riesce a scendere, ma viene scambiato per il Commendator Zanotti da Giu-lietta Marchi (Delia Scala), una povera ragazza madre, vedova, che vive in una baracca e vende sigarette dicontrabbando. Felice si innamora di lei. Cerca di guadagnarsi qualcosa aiutando un agitatore politico a creareconfusione, ma senza fortuna. Incontra di nuovo Gaetano, gli chiede e ottiene del denaro per comprare unaculla a Luigino, il bimbo di Giulietta. Si accorda per pitturare sui muri disegni elettorali, ma ancora una voltafallisce. Dopo aver incontrato Giulietta al parco, finisce a lavorare proprio nel calzaturificio del CommendatorZanotti. Istigato dagli operai si ribella inconsapevolemente al padrone e viene cacciato dalla fabbrica, diven-tando il paladino dei loro diritti. Resosi conto dell’errore si reca a casa del Commendatore dove arriva ancheGiulietta che ha bisogno di denaro per comprare delle medicine per Luigino. Gaetano lo convince ad andarecon lui, travestiti da poliziotti, a sequestrare merce di contrabbando in una farmacia. Qui trovano le medicinenecessarie a Luigino, ma mentre si allontana dal negozio Felice viene preso da una camionetta di veri poliziottie portato a sedare una rivolta degli operai che stanno manifestando proprio contro il suo licenziamento. Feritodai manifestanti viene portato in commissariato dove scoprono il travestimento e lo mettono in carcere. Uscitodi prigione, Felice si reca a visitare Giulietta ma scopre che il marito, creduto morto in guerra, è tornato a casa.Pertanto se ne va con il vecchio organetto da strada che gli ha regalato Gaetano, ma visto che suona solocanzoni patriottiche anteguerra, è costretto ad abbandonarlo e fuggire via. Monta sulla macchina di Gaetano,ma si accorge troppo tardi che la macchina è rubata e la polizia li sta inseguendo.

Un ingenuo giovanotto (Macario), disoccupato e affamato, incontra unasera un vagabondo (Carlo Ninchi), affamato come lui, col quale fa amicizia. Dormono entrambi nell’alloggiodell’amico furfante, che è una vecchia chiatta. Questa serve per le esercitazioni di tiro della flotta, cosicché lamattina dopo, i due riescono a stento a salvarsi a nuoto. Tornati sulla terra ferma, decidono d’emigrare. Il di-soccupato riesce a imbarcarsi clandestinamente su un piroscafo in partenza per l’America del Sud, ficcandosiin mezzo ad una compagnia di riviste. L’amico furfante viaggia come passeggero della classe di lusso, a spesedi una vecchia dama, che vuol sposarlo. Giunto in America, l’ingenuo disoccupato si fa assegnare un tratto di ter-reno incolto, ma naturalmente non ne cava nulla di buono. Poi si lascia convincere a partecipare ad un rodeo, ca-valcando un toro, che l’amico promette di rendere innocuo con un’iniezione. Ma sbaglia toro e l’ingenuogiovanotto ne passa di tutti i colori. Poi crede d’aver scoperto del petrolio nel terreno assegnatogli; ma si tratta diun condotto, che passa di lì. Essendosi convinti che l’America non è quelparadiso, che tutti dicono, i due amici ripartono in barchetta per l’Italia.

Questi tre film, visti nel loro insieme, sono una specie di compendio delletraversie vissute negli ultimi anni da gran parte della popolazione. Vicis-situdini presentate con il sorriso sulle labbra e con l’apparente e consola-torio distacco dalle cose che ormai sono quasi passate. Sono opere senzanessun dubbio appartenenti alla commedia e al piacere negli spettatori divedersi rappresentati e raccontati ciascuno in qualche modo e per qualcheparte. Dalla lunga permanenza con una divisa o più di una, al ritorno dallaguerra senza lavoro, dalla miseria quotidiana, dalla mancanza di una casa,dalla frustrazione di confrontarsi con una società che ora, che rivoluzione,si esprimeva attraverso la dialettica dei partiti, fino al sogno di andare via,di emigrare e cercare fortuna altrove. In realtà lo spirito che emerge èquanto di più vicino sia mai rappresentato dell’ideologia del settimanaleprima ( “Questo è il giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cuisolo, ardente desiderio, è che nessuno gli rompa le scatole”), movimentopolitico e successivamente anche partito a sé, fondato dal giornalista (eregista: Duetto vagabondo, 1939 – Il nemico, 1943 – Grattacieli, 1943 –Quattro ragazze sognano, 1943) Gugliemo Giannini che prese il nome di

COME SCOPERSI L’AMERICA (1949)

Erminio Macario (Torino, 1902 - Torino 1980)

L’EROE DELLA STRADA (1948)

L’Uomo Qualunque. Il successodel settimanale generò la nascitadel partito, che fu presente alleelezioni per l’Assemblea Costi-tuente (1946) ottenendo più del5% di adesioni con 30 deputati. IlFronte dell’Uomo Qualunque con-cepisce uno Stato non di naturapolitica, ma semplicemente ammi-nistrativa, senza alcuna base ideo-logica. Uno stato tecnico chefunga da organizzatore di una“folla” e non di una “nazione”. Se-

condo Giannini per governare: “...basta un buon ragioniere che entri in carica il primo gennaio e se ne vada il31 dicembre. E non sia rieleggibile per nessuna ragione”. L’economia deve essere lasciata totalmente ai privati,in un sistema totalmente liberista, lottando contro il comunismo e il capitalismo della grande industria, limitandoall’osso il prelievo fiscale e negando la presenza dello Stato nella vita sociale del Paese. Ma il movimento de-clinò dopo poco tempo principalmente per l’inadeguatezza e inconsistenza del suo pensiero. In vista delle ele-zioni politiche del 18 aprile, il partito di Giannini entrò in una coalizione elettorale di centrodestra, che ottennesolo 19 deputati e 10 senatori. Il Fronte è di fatto finito. I qualunquisti confluiranno nelle sue componenti mag-gioritarie nel Partito Nazionale Monarchico e nel PLI; qualche altro esponente minore aderirà al neonato Mo-vimento Sociale Italiano. Alle elezioni politiche del 1953 Guglielmo Giannini si candidò nella lista lazialedella Democrazia Cristiana raccogliendo solo 13.439 preferenze e risultando il 12º dei non eletti, e in praticasparendo dalla scena politica. Forse riapparendo in qualche modo molti decenni dopo…

MICHAEL FOX ARRIVA NEL 2015Chi invece irrompe sicuramente sulla scena cinematografica è Ritorno al futuro II (Robert Zemeckis, 1989).È infatti arrivato l’anno X. Quello che tutti i fan della saga aspettavano da 26 anni. È infatti scoccato il 2015,l’anno in cui, nella seconda puntata della trilogia che hacome protagonisti Marty McFly (Michael J. Fox) e DocBrown (Christopher Lloyd), il giovanotto viene catapultatodal 1989 nel futuro. Proprio in un immaginario 2015. Ladata esatta è il 21 ottobre. Marty arriva in un mondo ina-spettato e colmo di trovate e invenzioni che a lui paiono paz-zesche. E davvero quest’anno ci capiteranno tutte lebizzarre avventure che sono capitate a McFly? Intanto, ec-cone alcune, vediamole più da vicino. Non un forno, bensìun “idratatore per alimenti”. Funziona così: si prende dallatasca la bustina di pizza disidratata con tanto di salame everdura e la si fa rinvenire in pochi minuti piazzandola neldispositivo. E la cena è pronta. Stanchi di portare a passeg-gio il cane? Nel futuro di Doc Brown i cani si portano aspasso da soli con il collare elettronico e automatico. Fruttae verdura sempre fresche? Ecco una pronta consegna: le pri-mizie piombano in tavola direttamente dal soffitto. Video-chiamate e fax personale, tutto a casa propria: un mix ditecnologie “antiche” e moderne che sperimentiamo ognigiorno, ma che per Marty erano davvero impensabili. Gli“occhiali telefono”: che bizzarria per chi non aveva ancoraconosciuto quelli che noi, oggi, nel vero 2015, abbiamo im-parato a conoscere come Google glass. La prossima non hafunzionato: secondo Ritorno al futuro 2, nel 2015 le mac-chine sono elettriche e si ricaricano da sole. Non è andata

Una tessera di iscrizione al Fronte dell’Uomo Qualunque

Marty McFly (Michael J. Fox) alle prese con le“scarpe autoallaccianti”

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proprio così. Mentre le vecchie chiavi sono del tutto inutili, perché la porta di casa si apre con il riconoscimentodell’impronta digitale. Anche le scarpe si allacciano da sole, stringendosi nel modo più confortevole attorno alpiede. Basta un click. Vedere Nike per credere.

ANNIVERSARIO DA NON PERDERE ASSOLUTAMENTE: 2115 Quest’anno sono 900 anni, ma non appare un numero tondo, tondo abbastanza. È per questo che rimandiamodi un po’ la rassegna celebrativa della Magna Carta, aspettando senz’altro il 2115. Ma ne varrà la pena. Inco-minciamo fin d’ora a ricordarla e a far tesoro della sua portata. La Magna Carta Libertatum è stata interpretataa posteriori come il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini,sebbene essa vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale in cui, durante il XII e XIII secolo, laconcessione di privilegi (libertates) da parte di sovrani a comunità o sudditi, offre altri esempi di natura analoga(Federico Barbarossa alla Lega Lombarda nel 1183, ecc. ). In sostanza la Magna Carta conferma i privilegi delclero e dei feudatari, eliminando o diminuendo l'influenza del re. Tra i suoi articoli ricordiamo: il divieto peril sovrano di imporre nuove tasse ai suoi vassalli diretti senza il previo consenso del "commune consiliumregni" (consiglio comune del regno, formato da arcivescovi, abati, conti e i maggiori tra i baroni, da convocarsicon un preavviso di almeno quaranta giorni e deliberante a maggioranza dei presenti (articoli 12 e 14); la ga-ranzia, valida per tutti gli uomini di condizione libera, di non poter essere imprigionati senza prima aver so-stenuto un regolare processo, da parte di una corte di pari, se la norma era incerta o il tribunale non competente,o secondo la "legge del regno" (articolo 39, in cui si ribadisce il principio del " habeas corpus integrum"); laproporzionalità della pena rispetto al reato (articolo 20); l'istituzione di una commissione di venticinque baroni,che, nel caso in cui il re avesse infranto i suoi solenni impegni, doveva fargli guerra, chiedendo la partecipazionedi tutti i sudditi (articolo 61, in cui si manifesta il futuro principio della legittima resistenza all'oppressione diun governo ingiusto)… In materia economica, la Carta faceva salve le antiquas libertates della città di Londra, dei borghi, delle villee dei porti (articolo 13) e concedeva a tutti i mercanti, esclusi quelli provenienti da paesi in guerra con il re, ildiritto gratuito di ingresso e di uscita dal paese (articolo 41); infine per agevolare il commercio, imponeva chein tutto il regno fossero adottate identiche misure per vino, birra e grano ed inoltre che le stoffe fossero confe-zionate in misure standardizzate (articolo 35). Benché la Magna Carta nel corso dei secoli sia stata ripetutamentemodificata da leggi ordinarie emanate dal parlamento, conserva tuttora lo status di Carta fondamentale dellamonarchia britannica. Una copia ben conservata si trova nella cattedrale di Salisbury.

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I FILM DELLA RASSEGNAI FILM DELLA RASSEGNACACCIA TRAGICA

FUGA IN FRANCIA

TOMBOLO, PARADISO NERO

PROIBITO RUBARE

LA CITTÀ DOLENTE

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CACCIA TRAGICACACCIA TRAGICARegia Giuseppe De SantisAnno 1946Interpreti: Vivi Gioi (Daniela- Lilì Marlene), Andrea Checchi (Alberto), Massimo Girotti (Michele), CarlaDel Poggio (Giovanna), Vittorio Duse (Giuseppe), Folco Lulli (il fattore)

Giuseppe De Santis (Fondi, 11 feb-braio 1917 – Roma, 16 maggio1997). Nell’ultimo periodo del fa-

scismo la situazione del cinema italiano eraancora più depressa, a causa del divieto au-tarchico decretato dal fascismo contro l’im-portazione di film stranieri: imperversava lamoda dei telefoni bianchi, ecc. A tale situa-zione reagì il gruppo di intellettuali raccoltiintorno alla rivista quindicinale Cinema (di-retta da Vittorio Mussolini, figlio di Benito ), su cui già dal 1940 De Santis curò una rubrica fissa: discutendoe collaborando con giovani di talento, quali Carlo Lizzani, Gianni Puccini e Antonio Pietrangeli, contribuìallora a fare di “Cinema” la rivista che durante il fascismo riuscì a svolgere, tra le righe, un’opposizione semprepiù chiara e significativa alla politica culturale del regime (Gianni Rondolino, Storia del cinema italiano). Pe-raltro negli anni 1940 e 1941 De Santis frequentò a Roma il Centro Sperimentale di Cinematografia, dove sidiplomò brillantemente e poté realizzare le prime prove di regia. In quegli anni entrò anche in contatto con unimportante gruppo di giovani romani antifascisti, segnatamente Mario Alicata, Giaime Pintor, Antonello Trom-badori e il conterraneo Pietro Ingrao tutti fuoriusciti dal fascismo sociale ed antisemita di Bottai per approdaregradatamente al comunismo. La frequentazione di questo gruppo fu determinante per l’orientamento politicoe culturale del giovane De Santis, che militando nel PCI incontrò spontaneamente la classe operaia e il mondocontadino, dai quali attingerà non solo temi e questioni che tratterà nelle sue opere mature, ma anche uno stileappropriato, realista e epico come lo erano le tradizioni narrative e cantate della cultura popolare.

Filmografia La gatta (corto, 1942), Giorni di gloria (co-regia, 1945), Caccia tragica (1947), Riso amaro(1949), Non c’è pace tra gli ulivi (1950), Roma ore 11 (1952), Un marito per Anna Zaccheo, (1953), Giornid’amore (1954), Uomini e lupi (co-regia, 1956), La strada lunga un anno (1958), La garçonnière (1960),Italiani brava gente (1965), Un apprezzato professionista di sicuro avvenire (1972), Oggi è un altro giorno(co-regia, 1995)

IL LORO PARERECi sembra si debba poter contare su Giuseppe De Santis, il quale sa raccontare con evidenza plastica e ritmicaefficacia una storia abilmente congegnata in cui i cari problemi del momento oltre che trovare qui la loro piùadeguata rappresentazione, costituiscono altresì il pretesto per dar modo al regista di esprimere una sua perso-nalità. Francesco Pasinetti, Bianco e Nero, n. 2 aprile 1948

Il risultato (presentato con successo alla mostra di Venezia nel settembre 1947) è sorprendente e si può tran-quillamente considerare il migliore lungometraggio della lunga e disomogenea carriera di De Santis nonchéuna tra le cose più significative del periodo. L’esordiente non sfugge alla scontato e propagandistico manichei-

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smo che vuole tutto il bene con il popolo (i contadini della cooperativa nel caso specifico) e tutto il male coni padroni e gli ex fascisti. Però, come avveniva nell’unica altra pellicola compiuta e condivisibile finora apparsasull’argomento, Due lettere anonime di Camerini, De Santis riesce a mettere in scena in entrambe le fazioni,l’un contro l’altra armate, anziché penose marionette, dei protagonisti a tutto tondo, credibili e dotati di unaloro particolare umanità (pur con alcune eccezioni). Inoltre l’autore evita le secche dell’improvvisazione e del“neorealismo” più sperimentale di Rossellini per affidarsi ad una solida e ben costruita sceneggiatura (prodottada un piccolo esercito di scrittori tra i quali Alvaro, Lizzani, Antonioni e Zavattini) in cui le reazioni dei per-sonaggi emergono quale prodotto di situazioni stringenti, memori del noir americano. Concisione narrativahollywoodiana e lirismo tutto italiano propongono, per la prima volta, una delle “ricette” vincenti del nostrofuturo cinema; basti pensare che almeno due capolavori posteriori quali Salvatore Giuliano (Rosi, 1961) e No-vecento (Bertolucci, 1976) in alcune scene di massa (le donne in piazza a Montelepre, i contadini assiepatisugli argini del Po) sembrano ricordarsi e citare proprio l’ “antico” Caccia tragica.Giuseppe Rausa, www.giusepperausa.it

[…] Non si tratta solo della volontà, quasi testarda, di “mostrare” i luoghi dell’Italia, anzi le tante Italie quoti-diane – quel settentrione dove soffia il “vento del nord”, le pianure, i fiumi, le case, le fattorie, gli uomini, iloro problemi – che nel cinema del ventennio erano rimaste celate dietro il mito di un’Italia unitaria, integra,imperiale, tanto fastosa quanto incorporea. Si tratta, soprattutto, di un modo di narrare, personalissimo, cheprocede per accumulazioni, che non conosce o non vuol conoscere le leggi dell’economia del discorso. È unmodo di narrare abbastanza lento – anche se, poi, è capace di impennarsi in accelerazioni improvvise che sonocome un lampo nella notte – un modo di narrare fatto di ristagni, di tante cose messe in fila l’una dietro l’altra,come i vagoni di un treno (e, guarda caso, il treno ricorre spesso nei film di De Santis) ma con meno ordine.Stefano Masi, Giuseppe De Santis, 1981

[…] In questa galleria mancano ancora gli “eroi” del dopoguerra, gli uomini che, riallacciandosi alle tradizionidi lotta della Resistenza e cercando di far leva sui valori positivi, attraverso di essa conquistati, cerchino di ar-ginare la marea di corruzione da cui è invaso il Paese e si propongono di costruire una società nuova e più so-lidale. Giuseppe De Santis si propone, con Caccia tragica di colmare questa lacuna e di indicare alcuni aspettiimportanti della nuova vita democratica italiana; e cioè la capacità organizzativa delle masse lavoratrici, laloro tenacia nella riconquista delle terre tormentate dalla guerra, allagate, minate, la loro volontà decisa distroncare il banditismo. […]Carlo Lizzani, Il Cinema Italiano, 1954

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FUGA IN FRANCIAFUGA IN FRANCIARegia Mario SoldatiAnno 1946Interpreti Folco Lulli (Riccardo Torre), Rosi Mirafiore (Pierina), Pietro Germi (Tembien), Enrico Olivieri(Fabrizio Torre), Mario Vercellone (Gino), Cesare Olivieri (don Giacomo)

Mario Soldati (Torino, 17 novembre 1906 – Tel-laro, 19 giugno 1999). Nella sua carriera di sce-neggiatore e regista cinematografico ha diretto

ventotto film fra gli anni trenta e cinquanta, allestendo castcon i più grandi attori dell'epoca, ma il fatto di essere ancheuno scrittore di talento e di successo ha rischiato spesso difar passare Soldati come un regista mancato o come unoscrittore frustrato dall'incapacità di trasferire nelle pellicoleun uguale talento artistico. Soldati ricordava infatti che i ci-neasti storcevano il naso di fronte al 'letterato' e i letteratidisapprovavano 'l'uomo di spettacolo'. In realtà il regista,come sostenne egli stesso, era per lui una cosa diversa dalloscrittore: “Il cinema non è come lo scrivere, appartienemeno a chi la fa ed i registi sono meno individuali, più col-lettivi, sono più a contatto con il popolo”. Soldati pertanto alternò l'attività di scrittore, vissuta come prolun-gamento romantico di un esercizio privato e soggettivo dello spirito, a quella di regista, vissuta in costantecompromesso con la dimensione commerciale e in "ascolto" dei gusti del pubblico: “Il cinematografo talvoltaè arte, ma è sempre industria; l'artista che fa del cinema deve per forza venire a patti con questa industria... “Il filo che tiene unita tutta la produzione cinematografica di Soldati, così varia e multiforme, consiste proprionella messa a punto di una pratica creativa plasmata sulle logiche dell'industria culturale e dell'impatto colpubblico.Il primo filone è caratterizzato da opere come Piccolo mondo antico, Malombra e Daniele Cortis, tratte tuttedai romanzi di Antonio Fogazzaro, romantici e romanzeschi, melodrammatici e popolari. Nel 1948 dirige Fugain Francia e nel 1954 La provinciale, due classici del cinema italiano. Il secondo filone, con Botta e risposta,È l'amor che mi rovina, O.K. Nerone e Italia Piccola, film girato ad Arena Po in provincia di Pavia nel 1957purtroppo andato perduto (non esiste più una copia proiettabile) è invece la coabitazione tra popolare ed élite,che caratterizza i primi anni cinquanta Le varie fasi della cinematografia di Soldati hanno sempre in comuneil contatto ravvicinato con il popolo, e, sia pure con tanti stili diversi, uno per ogni film, con un minimo dicontinuità poetica.

Filmografia La principessa Tarakanova (1938), La signora di Montecarlo (1938), Due milioni per un sorriso(1939), Tutto per la donna (1939), Dora Nelson (1939), Piccolo mondo antico (1941), Tragica notte (1942),Malombra (1942), Chi è Dio (1945), Quartieri alti (1945), Le miserie del signor Travet (1946), EugeniaGrandet (1947), Daniele Cortis (1947), Fuga in Francia (1948), Quel bandito sono io (1950), Botta e risposta(1950), Donne e briganti (1950), È l'amor che mi rovina (1951),O.K. Nerone (1951), Il sogno di Zorro (1952),Le avventure di Mandrin (1952), I tre corsari (1952), Jolanda, la figlia del Corsaro Nero (1952), La provin-ciale (1953), Il ventaglino (1954), La mano dello straniero (1954), La donna del fiume (1955), Era di venerdì17 (1957), Italia piccola (1957) Policarpo, ufficiale di scrittura (1959).

IL LORO PAREREIl film è cinematograficamente ben fatto, anche se, in qualche tratto, il ritmo appare troppo lento. Efficace l'in-terpretazione. Segnalazioni Cinematografiche, vol. 24, 1948

Il fascismo diviene dunque l’orrore assoluto, secondo una facile semplificazione che diverrà di lì a poco monetacorrente nel cinema italiano, disinteressato a interpretare con onestà i complicati eventi del passato. Al contrarioil popolo più misero continua a essere l’emblema del bene assoluto, secondo un canone interpretativo già am-piamente in uso nel cinema mussoliniano (come si è avuto modo di rilevare in decine di pellicole dei primianni del decennio). In tal senso il bravo e simpatico ex alpino (un ottimo Pietro Germi) raffigura il popolotradito dal regime, pronto ora a fare giustizia con le proprie mani (il che appare tra l’altro piuttosto inverosimile).Per le gerarchie cattoliche invece c’è evidente riprovazione in quanto il criminale fascista trova aiuto proprionel collegio religioso (dove si trova il figlio) per mano del rettore, un sacerdote un tempo suo amico. In tale si-tuazione il film adombra ovviamente le responsabilità del Vaticano il quale diede assistenza a numerose per-sonalità del regime per sottrarle alla giustizia italiana e facilitarne la fuga all’estero. Per contro il CentroCattolico Cinematografico, fino ad allora favorevole nei giudizi morali riguardanti le pellicole di Soldati, ripagail film con simile moneta, classificando in modo negativo (valutazione di “escluso”) Fuga in Francia.Giuseppe Rausa, www.giusepperausa.it

[…] Così, se da un lato il film possiede un carattere apparentemente “corale” e cronachistico, e intercetta ungran numero di temi legati al clima postbellico, dall’insistenza sull’assenza di lavoro in Italia alle segrete spe-ranze dei fascisti in attesa di riconquistare il potere (“Un giorno, molto meno lontano di quello che pensi, ri-tornerò”, dice Torre), dal mancato risarcimento ai reduci di guerra, a cui tutto è stato tolto e niente è statoridato, al più delicato problema della coscienza di chi, nel nome della politica e del contesto bellico, ha dovutouccidere, dall’altro lato fa dell’attualità un semplice punto di partenza e assume lo “spontaneismo” del lessiconeorealista già in di genere e retorica […]Luca Malavasi, Mario Soldati, 2004

Tra i tanti film italiani che meritano di essere riscoperti, magari anche contro le intenzioni del suo stesso regista[…] Fuga in Francia di Mario Soldati dovrebbe stare in cima alla lista, tra i capolavori che gridano vendettaal cielo per la dimenticanza a cui è stato costretto e che solo alcune recenti rivalutazioni complessive dell'operacinematografica di Mario Soldati hanno aiutato a riconsiderare.Paolo Mereghett, I dvd del Corriere della Sera, Bianco e nero all'italiana, 2009

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TOMBOLO, PARAISO NEROTOMBOLO, PARADISO NERORegia Giorgio FerroniAnno 1947Interpreti Aldo Fabrizi (Andrea Rascelli), Adriana Benetti (Anna), Luigi Tosi (Renzo), Luigi Pavese (Pu-gliese), Franca Marzi (Lidia), Dante Maggio (Agostino), John Kitzmiller (Jack)

Giorgio Ferroni (Perugia, 12 aprile 1908 – Roma,17 agosto 1981). Iniziò a lavorare negli stabili-menti Cines in qualità di assistente di Gennaro Ri-

ghelli (1932). Nell'immediato secondo dopoguerra diressealcuni film legati al movimento neorealista (fra cui Piandelle stelle e Tombolo, paradiso nero). Durante la sua lungacarriera ha alternato produzioni di carattere documentari-stico a produzioni cinematografiche tradizionali, spesso nel-l'ambito del cinema di genere (peplum, horror, western,storico, avventuroso, mitologico). Nella seconda metà deglianni sessanta ha usato anche lo pseudonimo di Jackson Cal-vin Padget, nome americanizzato come si usava per i We-stern italiani di quel periodo.

Filmografia Pompei (1936), Criniere al vento (1938), Ar-monie pucciniane (1938), Terra di fuoco (1939), In vacanza con i principini (1940), Cinque minuti con la na-zionale di calcio (1940), L'ebbrezza del cielo (1940), L'accademia dei vent'anni (1941), Il fanciullo del West(1942), Arcobaleno (1943), Macario contro Zagomar (1944), Casello n. 3 (1945), Senza famiglia (1946),Ritorno al nido (1946), Pian delle stelle (1946), Tombolo, paradiso nero (1947), Vivere a sbafo (1949), Ma-rechiaro (1949), Vertigine bianca (1956), L'oceano ci chiama (1957), Ricordi pucciniani (1958), Il mulinodelle donne di pietra (1960), Le baccanti (1961), La guerra di Troia (1961), Ercole contro Molock (1963), Ilcolosso di Roma (1964), Il leone di Tebe (1964), Coriolano eroe senza patria (1964), Un dollaro bucato(1965), New York chiama Superdrago (1966), Wanted (1967), Per pochi dollari ancora (1967), Il pistolerosegnato da Dio (1968), La battaglia di El Alamein (1969), L'arciere di Sherwood (1970), La notte dei diavoli(1972), Antonio e Placido - Attenti ragazzi... chi rompe paga (1976).

IL LORO PAREREIl lavoro è ben fatto, sceneggiatura, regia e interpreti meritano un elogio. Il film si inse-risce senza fatica nel filone neorealistico del cinema italiano. L'Operatore, Intermezzo, 21-22 novembre 1947

La pellicola, girata con buon senso del ritmo e dell’intreccio e innervata da una sincerapartecipazione emotiva dell’autore agli eventi di questa umanità diseredata, possiedenumerosi meriti. E’ probabilmente l’unico film italiano a indagare e mostrare senzaipocrisie la realtà di una prostituzione diffusa, certamente generata dalla miseria maanche alimentata dalle spregiudicate necessità delle truppe di occupazione (di coloree non). A differenza di quel che accade nei lavori improntati al neorealismo “mar-xista” qui le responsabilità rimangono però sempre individuali e la polizia è guar-data con occhio benevolo. Lo stesso protagonista è un ex poliziotto che attende di esserereintegrato nelle proprie funzioni e che si sacrifica per il bene di sua figlia. Al contrario i malviventi sono tali

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per scelta e per avidità, spesso hanno anche un lavoro (come nel caso del napoletano che fa da basista al depositoper il colpo del “ciclista) o di Renzo che ogni giorno è tentato di lasciare la malavita e di andare a fare il mec-canico, ma che poi si lascia trascinare dall’inerzia. Dunque la ricca e cruda pittura sociale di una società poverae affamata, in balia dei “liberatori” per avere sigarette e sapone, non porta a una assoluzione generalizzata dichi ha scelto la via del crimine ma semplicemente offre un quadro completo e schietto di un contesto in cui de-linquere resta la via più facile, la scorciatoia verso l’ambito benessere anche quando esso costa la vendita quo-tidiana del proprio corpo e della propria dignità.Giuseppe Rausa: www.giusepperausa.it

[…] Già in passato non erano mancati film del tipo Tombolo, paradiso nero (1947), ispirati alle vicende san-guigne del più turbolento dopoguerra e volti a sfruttare in chiave scandalistica le formule adottate dai nostrimaggiori registi. […]Vittorio Spinazzola, Cinema e pubblico, 1974

Ispiratosi a un’inchiesta di Indro Montanelli, il primo titolo vede come protagonista Andrea Rascelli (Aldo Fa-brizi), un guardiano di un magazzino che ritrova la figlia scomparsa da cinque anni.All’eroe viene fatto credere che la ragazza conduca una vita tranquilla, regolare e che sia in procinto di sposarsi.Tutto ciò è però un inganno, in quanto la figlia è in realtà una prostituta sfruttata da un malvivente, il qualecercherà di far accusare Andrea di un furto che non ha commesso e di cui è indirettamente vittima.Anche se probabilmente non è pienamente ascrivibile alla corrente neorealista, la pellicola ne risente i richiamie le tematiche. Infatti, il contesto storico e sociale appare piuttosto delineato: il trauma di una guerra finita dapochi anni, il mercato nero, le difficoltà economiche e la presenza di ex soldati statunitensi non solo fanno dasfondo alla vicenda narrata, ma in certi casi ne sono persino il motore (ad esempio, la figlia è scomparsa proprionegli anni del conflitto).Contesto sociale a parte, il film è un mix di noir e melodramma, in cui la vicenda criminale e poliziesca s’in-treccia e fa da collante a due storie d’amore e al tema del rapporto tra padre e figlia, con i suoi commoventiesiti drammatici.Aldo Fabrizi dimostra ancora una volta di essere un ottimo attore, interpretando con intensità il ruolo di unuomo ancora scioccato dalla guerra e condotto da un amore paterno incondizionato che lo porterà a una sortadi sacrificio finale.Ma il maggiore motivo d’interesse del film è la seconda parte, in quanto viene ambientata soprattutto nei pressidella pineta del Tombolo, zona in cui risiedevano prostitute, criminali e disertori.Anche se la zona esiste e nell’opera viene descritta in maniera realista, il risultato è complessivamente straniantee a tratti quasi “irreale”. Questo è probabilmente dovuto alla narrazione, la quale passa improvvisamente da

un ambiente prevalentemente ur-bano a un paesaggio un pocoesotico e comunque completa-mente diverso, composto datende, capanne, barche e localicon strane statue. Ed è forse taleimprevisto passaggio a generareuno scarto che rende misteriosae affascinante l’ambientazione.Effetto probabilmente non vo-luto, ma comunque presente epositivo, in quanto trasmette alfilm un’atmosfera che sta tra ilrealismo e il sognante, rendendoil tutto piuttosto curioso e coin-volgente.Juri Saitta, FilmDOC

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PROIBITO RUBAREPROIBITO RUBARERegia Luigi ComenciniAnno 1948Interpreti Adolfo Celi (don Pietro), Tina Pica (Maddalena), Mario Russo (Peppiniello), Luigi Dermasti(Ciccillo), Clemente De Michele (Totonno), Ettore Mattia (commissario)

Luigi Comencini (Salò, 8 giugno 1916 –Roma, 6 aprile 2007). Lombardo, padre dellesorelle Comencini (Paola, Cristina e France-

sca, avute dalla felice unione con la figlia della prin-cipessa Grifeo di Partanna, Giulia) e archiviata lalaurea in architettura presso il Politecnico di Milano,dopo aver svolto l'attività di critico e giornalista,fonda con Alberto Lattuada e Mario Ferreri la Cine-teca Italiana. Poi decide di dedicarsi alla regia esor-dendo con cortometraggi in 16 mm per il Cine-gufdel capoluogo lombardo e con i documentari La No-velletta (1937), Bambini in città (1946) e L'ospedaledel delitto (1950). Nel 1943, si affinerà anche comesceneggiatore (oltre che come aiuto regista) per IvoPerilli ne La Primadonna, ma il suo primo film a sog-getto troverà la luce solo nel 1948, si tratta di Proibito rubare con Tina Pica e Adolfo Celi. Pellicola che lomise subito in vista da critica e pubblico per il suo talento; seguiranno: Persiane chiuse (1951) e La tratta dellebianche (1952), entrambi con Eleonora Rossi Drago. Dopo aver diretto Totò in una delle sue avventure (L'imperatore di Capri), troverà un enorme successo con lapellicola Pane, amore e fantasia (1953), storia d'amore tra un maresciallo e un'ostetrica di paese, incrociata aquella di una fanciulla poverissima, soprannominata "la Bersagliera" (interpretata da una memorabile GinaLollobrigida che da quel momento in poi farà suo quel soprannome) e un carabiniere impacciato. Il film vincel'Orso d'Argento al Festival di Berlino e lancerà ufficialmente la nascita di un nuovo genere cinematograficotutto di casa nostra: la commedia all'italiana, che prosegue con Pane, amore e gelosia, La bella di Roma eMariti in città. Nei decenni successivi, continua a dare prove della sua bravura come regista.Luigi Comencini diresse i più grandi e indimenticabili attori italiani: Giulietta Masina, la triade Gassman-To-gnazzi-Mastroianni, Alberto Sordi, il duo comico Franco e Ciccio, Gino Cervi, Stefania Sandrelli e l'etereaSilvana Mangano. Ma non si fece mancare star straniere come Fernandel, Gérard Depardieu e la terribile BetteDavis. Il tutto con una vocazione al cinema che si fa viva, totale e presente particolarmente in tutte quelle storieche sono accomunate dalla stessa matrice tipicamente italiana. Trame e scene intense che avvolgono lo spet-tatore rendendo plausibili sentimenti che, a volte, non lo sono affatto, e lo guidano fino all'ultima scena. In-ventivo, coraggioso, disposto a rischiare e a provare diverse situazioni, anche quando potrebbe rendere i suoipersonaggi dei comuni stereotipi di casa nostra, Comencini è, oltre che un mentore, un conoscitore del valoredelle parole. Soprattutto di una: italiani.

Filmografia La novelletta (corto, 1937), Bambini in città (corto, 1946), La città dei ragazzi (1948), Proibitorubare (1948), L'imperatore di Capri (1949), L'ospedale del delitto (corto, 1950), Persiane chiuse (1951), Latratta delle bianche (1952), Heidi (1952), La valigia dei sogni (1953), Pane, amore e fantasia (1953), Pane,

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amore e gelosia (1954), La bella di Roma (1955), La finestra sul Luna Park(1957), Mariti in città (1957), Mogli pericolose (1958), E ciò al lunedì mat-tina (1959), Le sorprese dell'amore (1959), Tutti a casa (1960), A cavallodella tigre (1961), Il commissario (1962), La ragazza di Bube (1963) Trenotti d'amore - episodio "Fatebenefratelli", 1964), La mia signora - episodio"Eritrea", 1964), Le bambole - episodio "Il trattato di eugenetica", 1965),La bugiarda (1965), Il compagno Don Camillo (1965), Incompreso (1966),Italian Secret Service (1968), Infanzia, vocazione e prime esperienze diGiacomo Casanova, veneziano (1969), Senza sapere niente di lei (1969),I bambini e noi (serie TV, 1970 ), Le avventure di Pinocchio (miniserieTV, 1972), Lo scopone scientifico (1972), Delitto d'amore (1974), MioDio, come sono caduta in basso! (1974), La donna della domenica(1975), Signore e signori, buonanotte (1976), Basta che non si sappiain giro - episodio "L'equivoco", 1976), Quelle strane occasioni - epi-sodio "L'ascensore", 1976), Il gatto (1977), L'ingorgo - Una storia im-possibile (1979), Voltati Eugenio (1980), Il matrimonio di Caterina(TV, 1982 ), Cercasi Gesù (1982), Cuore (TV, 1984), La Storia (TV, 1986),Un ragazzo di Calabria (1987), Les français vus par (miniserie TV, 1988), La bohème (1988),Buon Natale... buon anno (1989), Marcellino (1991).

IL LORO PAREREIl film ci offre, con uno stile essenzialmente cinematografico, una descrizione pittoresca, esatta, impressionantedella miseria e della vita popolare napoletana.Segnalazioni cinematografiche, vol. 24, 1948

Il neorealismo zavattiniano e desichiano trova in questo primo film di Comencini un'applicazione intelligente,con risultati personali e non disprezzabili. […] E' il primo germe di […] neorealismo minore e 'rosa'.Gianni Rondolino, Catalogo Bolaffi del Cinema Italiano - 1945/1955

Sebbene in modo semplicistico l'autore illumina con efficacia a tratti quasi documentaristica (gli scugnizzisono interpretati da ragazzi realmente "sottratti" alla vita quotidiana di Napoli) una situazione di miseria diffusae sebbene l'opera appaia acerba e spesso prigioniera degli stereotipi, tuttavia vi si respira un sentimento di sin-cerità non banale e nobilmente controllato nell'evitare volgari forzature spettacolari. Forse anche a causa diquesta sua sobrietà l'opera non ebbe alcun successo commerciale e l'autore sarà costretto a ripiegare per qualchetempo su lavori meno ambiziosi.Giuseppe Rausa, www.giusepperausa.it

[…] L’impianto narrativo è costruito secondo regole classiche: un personaggio, un coro e un oggetto che divieneil “deux ex machina” in grado di innescare l’intreccio. Quest’oggetto è la valigia di un prete missionario: “idea-lista che arriva a Napoli con la sua bella barba per partire oltremare”, come lo descrive Comencini. Ma lavaligia viene rubata, come in un gag all’americana, da un gruppo di monelli e Don Pietro si deve impegnarein una rincorsa a perdifiato fino a trovarsi, con la valigia di nuovo nelle mani, nel cuore del suo territorio dievangelizzazione: i bassi della città. Nella sua mentalità semplice e ingenua di prete cresciuto in un paesottodel Veneto (un contrasto di formazione, quello fra la gente del Sud e i veneti, o comunque i nordici, che ilregista riprenderà molto spesso), la verità è abbagliante: sarà lui l’eroe in grado di convertire i bambini-ladriche lo circondano con curiosità, lo prendono in giro, stanno al gioco.[…]Giorgio Gosetti, Luigi Comencini, 1988

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LA CITTÀ DOLENTELA CITTÀ DOLENTERegia Mario BonnardAnno 1949Interpreti Luigi Tosi (Berto), Constance Dowling (Lubitza), Elio Steiner (Martini), Barbara Costanova(Silvana), Gianni Rizzo (Sergio), Milly Vitale (Maria)

Mario Bonnard (Roma, 21 giugno 1889 – Roma, 22 marzo 1965).Sin dai tempi del muto è attivo in veste di attore, partecipando anumerosi film in ruoli brillanti e languidi e dando vita a un per-

sonaggio ricorrente, un tipo di dandy all'italiana che ispirerà a Ettore Petro-lini la macchietta del latin-lover Gastone. Nel 1917 si cimenta nella suaprima regia con il film L'altro io. Nel 1919 dirige Ettore Petrolini nella suaprima interpretazione cinematografica, nel film Mentre il pubblico ride,tratto da un'opera teatrale dello stesso Petrolini. Prima dell'avvento del so-noro lavora a lungo in Germania dove dirige diverse pellicole interpretateda Luis Trenker. Ritornato in Italia nel 1932, gira numerosi film "leggeri"interpretati dai maggiori divi del tempo: Assia Noris, Elsa Merlini, AmedeoNazzari, Luisa Ferida, Enrico Viarisio, il più celebre dei quali è Il feroceSaladino (1937).Negli anni della guerra Bonnard gira due opere non prive di fresca grazia:Avanti c'è posto... (1942), su soggetto di Aldo Fabrizi e Cesare Zavattini, eCampo de' Fiori (1943) con Fabrizi e Anna Magnani. Vasta è anche la suaproduzione cinematografica nel dopoguerra in cui dimostra doti di ottimoprofessionista dirigendo film di vario genere, attento ai gusti del pubblico,spaziando dalla commedia al film storico, dal melodramma popolare al peplum fino all'impegnato.Insuperabile direttore di masse (Fra Diavolo) e confezionatore di intrecci storici (Il ponte dei sospiri), conCittà dolente (1948), film praticamente ignorato dal pubblico, documenta ad esempio l'esodo da Pola, mentrecon Gli ultimi giorni di Pompei (1959), film interrotto per una malattia e poi portato a termine da Sergio Leone,dà prova di sapiente artigianato, riuscendo con mezzi limitati a fare concorrenza alle grandi produzioni statu-nitensi. Sua, la nota argomentazione fatta propria da Alberto Sordi sull'impossibilità di contrarre matrimonio:«Che faccio? Mi metto un fagottone nel letto? Un'estranea in casa?».

Filmografia Treno di lusso (1917), L'altro io (1917), Mentre il pubblico ride (1919), Papà Lebonnard (1920),Il milione (1920), Il rosso e il nero (1920), L'amica (1920), I promessi sposi (1922), La maschera che ride(1924), Die Sünderin (1928), I cavalieri della montagna (Der Sohn der weißen Berge) - codiretto con LuisTrenker (1929), Fra Diavolo (1931), Cinque a zero (1932), Il trattato scomparso (1933), La marcia nuziale(1934), Milizia territoriale (1935), L'albero di Adamo (1936), Il feroce Saladino (1937), Il conte di Bréchard(1938), Jeanne Doré (1938), Trenta secondi d'amore (1938), Frenesia (1939), Papà per una notte (1939),Io suo padre (1939), La fanciulla di Portici (1940), La gerla di papà Martin (1940), Il ponte dei sospiri(1940), Il re si diverte (1941), L'uomo del romanzo (1941), Marco Visconti (1941), Avanti c'è posto... (1942),Rossini (1942), Campo de' Fiori (1943), Che distinta famiglia! (1943), Il ratto delle Sabine (1945), Addio,mia bella Napoli! (1945), La città dolente (1948), Margherita da Cortona (1950), Il voto (1950), Staserasciopero (1951), L'ultima sentenza (1951), I figli non si vendono (1952), Tormento del passato (1952), Frine,cortigiana d'Oriente (1953), Tradita (1953), La ladra (1955), Mi permette, babbo! (1956) Afrodite, dea del-l'amore (1958), Gastone (1959), Gli ultimi giorni di Pompei (1959). I masnadieri (1961).

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IL LORO PARERELa città dolente si avvale della fotografia dell’allora giovanissimo Tonino Delli Colli, alle cui scene ricostruitein studio o girate in esterni vengono efficacemente collegate e inframezzate in sede di montaggio parti docu-mentaristiche relative all’esodo da Pola filmate da Enrico Moretti e dall’operatore cinematografico triestinoGianni Alberto Vitrotti, in particolare brani dei documentari Pola, una città che muore e Addio, mia cara Pola,tra cui le immagini, diventate famose, dell’imbarco dei profughi con le loro masserizie sulla motonave “To-scana”, che, messa a disposizione dal Comitato esodo del governo italiano, compie dodici viaggi tra Pola eVenezia e Pola e Ancona tra il 3 febbraio e il 20 marzo 1947. Anche l’incipit di La città dolente, secondo unostile molto in voga nel cinema italiano dell’epoca, è di tipo apertamente documentaristico. Dopo la scritta “AllaMadre che sempre conosce ed accetta lo spirito di sacrificio”, un’ampia magnifica panoramica, partendo dal-l’arena, mostra il golfo di Pola, con la voce fuori campo che illustra: “Questa è Pola, adagiata su sette colli, asomiglianza di Roma... l’anfiteatro, uno dei più grandiosi della latinità, costruito durante l’impero di Augusto,tutto in pietra d’Istria chiara e purissima. Tutto è tipicamente italiano... alle voci della latinità si uniscono isegni di Venezia...”. Dopo le immagini del glorioso passato, ecco sintetizzato, sempre con materiale documen-tario, il drammatico presente: “Alle 11 del 10 febbraio 1947 a Parigi la fine di Pola era suggellata... la tragediaè nell’aria... lo sgombero è già cominciato... è un’intera città che muore...” Nello stretto intreccio tra drammaprivato e tragedia storica costruito dalla sceneggiatura viene inserito anche un riferimento a un fatto famoso diquel giorno: l’attentato di Maria Pasquinelli nei confronti del comandante della guarnigione britannica di Pola.Carlo Gabersceck, Messaggero Veneto, 8 febbraio 2011

I “neorealisti”, tanto sensibili alle problematiche sociali, attenti alle biciclette rubate e ai pescatori in difficoltà,“stranamente” non si accorgono del gigantesco dramma in atto ai confini orientali della nazione. Il silenzio èd’obbligo in questi casi. Solo il meritevole Mario Bonnard, già autore di pregevoli pellicole quali Rossini(1942), Campo de’ Fiori (1943) e Il ratto delle Sabine (1945), osa infrangere il muro del silenzio con un filmche verrà da tutti boicottato (incasserà pochissimo) ossia La città dolente, sceneggiato con l’aiuto di AntonGiulio Majano, Aldo De Benedetti e Federico Fellini e ottimamente musicato dal Giulio Bonnard. Nella parteiniziale l’autore mischia in modo abile immagini di repertorio e fiction, raccontando le vicende della famigliadi Berto (Luigi Tosi) poste sul fondale dell’esodo (febbraio 1947). Tutti lasciano Pola ma Berto, convinto dal-l’amico Sergio (Gianni Rizzo), un comunista illuso e sciocco, decide di rimanere, nonostante l’opposizionedella moglie Silvana (Barbara Costanova), preoccupata soprattutto per il futuro della loro bimba. La città vieneripopolata dagli slavi i quali trattano con la prevedibile durezza e diffidenza i pochi italiani rimasti, al di làdelle affinità ideologiche. La miseria e le difficoltà fanno presto ricredere Berto che capisce il proprio errore eottiene di mandare in Italia moglie e figlia per delle cure. Egli si ripromette di raggiungerle poco dopo, ma lecose precipitano. L’uomo è sempre più irritato dai modi autoritari e “padronali” dei compagni titini e reagisce

in maniera istintivo e imprudente (e per la verità comple-tamente inverosimile; è questa la parte certamente più de-bole e artificiosa della pellicola). Di conseguenza finisce,con Sergio, in un gulag a spaccar pietre (formalmenteper essere “rieducato”) dal quale riesce a fuggire e, at-traverso una lunga odissea, a raggiungere il mare doveperò una raffica di mitra lo uccide; l’amico inveceviene ammazzato nel lager.Giuseppe Rausa, www.giusepperausa.it

Nel 1947 l'antica città costiera istriana di Pola (oggiPula), già colonia romana e poi veneziana, passataall'Austria nel 1797 e all'Italia nel 1918, fu asse-gnata alla Jugoslavia (Croazia), provocandol'esodo di migliaia di abitanti italiani. Attirato dal-

l'idea di diventare padrone dell'officina dove lavora, l'ope-raio Berto decide di rimanere, ma i macchinari sono confiscati dal governo.

Grazie a una funzionaria del partito comunista riesce a far partire per Trieste la moglie e ilfiglio che ha bisogno di cure. Diventato amante della commissaria, Berto è inviato in un campo di concentra-

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mento come dissidente. Evade, raggiunge la costa, rema verso l'Italia, muore, colpito da una raffica di mitra-gliatrice. Scritto dal regista con Anton Giulio Majano, Aldo De Benedetti e F. Fellini, il dramma appartiene aun gruppo di film patriottici, quasi tutti mediocri, che nel dopoguerra toccarono temi scabrosi e difficili suiquali calarono le censure di parte e le rimozioni politiche della sinistra. Prodotto da Istria e Scalera Film, èun'opera inerte, "non ha ritmo, convinzione, tensione, la parte romana è pseudoneorealista e didascalico-cat-tolica e non ha il coraggio di nominare mai la parola tabù: ‘comunisti’" (Goffredo Fofi).Laura, Luisa e Morando Morandini: Il Morandini. Dizionario dei film

La città dolente (1949) è stato girato a ridosso della assegnazione di Pola alla Jugoslavia (1947) in un periodoin cui i registi del neorealismo non si sarebbero sognati di mettersi in rotta di collisione con il partito (IL PAR-TITO) e in cui, d'altra parte i democristiani avevano tutto l'interesse a tenere la questione giuliana tra le cosedi cui era meglio tacere. Si tratta in effetti di uno dei pochi film dedicati all'esodo italiano, lungamente dimen-ticato e rimesso in circolo dopo la istituzione della giornata del ricordo […]. Le scene della partenza del Toscanacon i polesi affacciati a guardare la loro città che si allontana sono accompagnate dal canto dell'esodo verdianodegli ebrei (O Signore dal tetto natio …) e risultano molto efficaci, così come le danze orientali del ballo po-polare in onore del comandante Vidarich; c'è un mondo quieto e triste che se ne va e uno ritmato, danzante eduro che sta arrivando. Tra i due mondi ci sono i comunisti istriani che prima si schierano a fianco della societàgiusta rappresentata dai titini e ben presto si rendono conto della fregatura. I due protagonisti maschili sonoBerto, un operaio che si innamora dell'idea di appropriarsi delle macchine e il comprimario Sergio che sembradisegnato, anche fisicamente, per prendere in giro il militante comunista da "contrordine compagni" … Sergiofa il contabile nella fabbrica di Berto ed è un propagandista attivo della necessità di rimanere; subirà una seriedi delusioni a partire dallo smantellamento degli impianti e finirà fucilato per aver consentito a Berto di fuggireda una campo di rieducazione in cui faceva da controllore (in altri ambiti si sarebbe detto Kapo).Claudio Cereda, Pensieri in libertà, 4, marzo 2013

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PICCOLO GLOSSARIOPICCOLO GLOSSARIOGIUSEPPE RAUSA Giornalista e storico del cinema, ha scritto centinaia di articoli di cri-tica cinematografica per il quotidiano Il Giorno (1983-87) e saggi per numerose rivistespecializzate (Segnocinema, Schermo). Ha inoltre pubblicato un libro sul regista Fred Zin-nemann (Nuova Italia, 1985). Ha poi intrapreso una intensa attività storico-critica sul suo sito inaugurato nel 2001. Lamonografia L’enigmatico cinema di Stanley Kubrick. A partire dal 2003 scrive Storia delcinema italiano. Gli anni quaranta.Dal 2006 scrive Storia del cinema italiano. Gli anni cinquanta-sessanta-settanta 2007). Dall’autunno 2007 redige, nel sito, una ricerca storico-fotografica sulle sale cine-matografiche milanesi, monzesi e sestesi.È del 2009 un saggio sul cinema di Alfred Hitchcock.

FRANCESCO PASINETTI Insieme al fratello Pier Maria fondò e diresse la rivista del GUFIl Ventuno, ed è il primo studente italiano a discutere la tesi sulla storia del cinema all’Uni-versità di Padova nell’anno accademico 1933-34; inoltre è l’autore della prima “Storia delcinema dalle origini ad oggi” pubblicata in Italia (1939). Scrive di cinema su numerose ri-viste, come Cinema e Bianco e Nero, distinguendosi per precisione e competenza in unpanorama di critici che trattarono a lungo il cinema come “arte minore”. Nel 1946 è diret-tore del Centro Sperimentale di Cinematografia. Scompare a soli 38 anni nel 1949. Dopola sua prematura morte varie iniziative sono state intitolate a suo nome, tra cui la più affer-mata è il Premio Pasinetti, uno dei premi collaterali della Mostra Internazionale d’ArteCinematografica di Venezia, assegnato dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani.

CONSTANCE DOWLING Attrice cinematografica americana in voganegli anni quaranta, insieme alla sorella Doris (Riso amaro), Con-stance Downling visse in Italia dal 1947 al 1950 e recitò in alcuni filmitaliani, fra i quali cui Miss Italia, accanto a una giovane Gina Lollo-brigida. Ebbe una relazione amorosa con il poeta e scrittore CesarePavese, con il quale ruppe senza alcuna spiegazione nel 1950. Taleevento fu per Pavese motivo di sconforto, tanto da condurlo al suici-dio, nell’agosto di quell’anno, in un albergo di Torino. Nei cassettidello scrittoio della camera in cui fu rinvenuto morto, vennero trovatele sue ultime poesie, tra cui “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, de-

dicata proprio all’attrice. La versione ufficiale della morte di Constance Dowling, avvenuta nel 1969, parla diattacco cardiaco, mentre Lawrence G. Smith, autore di un saggio su Pavese, riporta la testimonianza del nipotesu un suicidio con sonniferi.

SEGNALAZIONI CINEMATOGRAFICHE La Rivista del cinematografo, periodico mensilefondato nel gennaio 1928 per coordinare l’attività delle sale parrocchiali, è la più anticatra le riviste italiane di cinema ancora in attività; ebbe sede fino al 1937 a Milano e in seguitoa Roma. Organo inizialmente del Consorzio utenti cinematografi educativi (CUCE, dal1933 Consorzio per il cinema educativo), dal 1935 del Segretariato centrale per il cinematografodell’Azione cattolica, dal 1937 del Centro cattolico cinematografico (CCC) e dal 1977 dell’Entedello spettacolo. Nella prospettiva della difesa dei valori cristiani e della morale cattolica, ifilm da vedere e quelli sconsigliati vengono indicati attraverso apposite segnalazioni (dal 1934

regolarmente raccolte in volumetti intitolati Segnalazioni cinematografiche e pubblicati a cura del CCC).

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BORSA NERA Il fenomeno della “borsa nera” fu comune a tutto il territorio italiano, ma le sue vicende acca-dute nella capitale sono forse le più rappresentative. Dal punto di vista politico, la liberazione di Roma segnòun passaggio molto importante nella storia italiana: il maresciallo Badoglio, infatti, si dimise e fu sostituitoalla presidenza del Consiglio da Ivanoe Bonomi, mentre Umberto di Savoia assunse la carica di luogotenentedel Regno, in sostituzione di suo padre Vittorio Emanuele III. Mentre la guerra continuava nell’Italia centro-settentrionale, quindi, Roma si trovò ad essere la capitale di un’Italia dimezzata, anzi di un’Italia non solo di-visa in due parti in guerra tra loro, ma anche caratterizzata da tre amministrazioni diverse, quella tedesca, quellaalleata e, in alcune zone quella del governo italiano. Nonostante il ruolo politico di primissimo piano, i problemi economici e sociali che affliggevano Roma eranogravi e, come nel resto di Italia, si trascinarono a lungo,creando una situazione permanente di disagio e di con-flittualità sociale: un lungo dopoguerra, quindi, spesso vissuto come un periodo di continuità con la guerra.Aumento sproporzionato del costo della vita, disoccupazione, impossibilità di reinserimento dei reduci, carenzadegli alloggi, furono una realtà con cui si trovarono a convivere centinaia di migliaia di persone, a Roma comenel resto d’Italia. L’elemento che sembra caratterizzare questo periodo, dal punto di vista delle condizioni divita, è quello della “continuità” con il periodo bellico. Le autorità (governo centrale ed enti comunali), infatti,non si impegnarono a fondo nella risoluzione dei problemi della popolazione – anche per limiti oggettivi, qualila mancanza di risorse economiche e una complessiva disorganizzazione – e, anzi, la rimandarono a dopo leelezioni del 18 aprile del 1948, che facevano temere un cambiamento della collocazione internazionale del-l’Italia.Il primo dei problemi da affrontare fu quello dell’alimentazione. Al momento dell’arrivo degli alleati, la razionedi pane giornaliera, ridotta dopo l’attacco partigiano di via Rasella a soli 100 grammi a persona, era assoluta-mente insufficiente. Il 21 giugno del1944 fu innalzata a 150 grammi, ma solo nel luglio 1946, due anni dopo,raggiunse i 250 grammi. Per quanto riguarda gli altri generi alimentari, isolata dall’Italia settentrionale, Roma,città di consumo più che di produzione, dipendeva per gli approvvigionamenti dalla linea ferroviaria con Napolie dal porto di Civitavecchia, utilizzati però quasi esclusivamente per i rifornimenti militari: gli arrivi di alimentierano, quindi, irregolari e insufficienti e permanevano forme di razionamento tipiche del contesto bellico. Igeneri distribuiti dall’amministrazione comunale erano quindi scarsi e, spesso, inesistenti. Per sopperire al-l’insufficienza di generi alimentari, la maggior parte dei beni erano acquistati al mercato nero, un’attivitàillegale a cui quasi tutti i romani partecipavano, nelle vesti di compratori o di venditori. Si trattava di un feno-meno iniziato già nei mesi precedenti – con la guerra e l’occupazione nazista – e che proseguì a lungo: mentrefino ad allora erano stati commerciati illegalmente i prodotti delle campagne intorno alla città, però, nel do-poguerra i protagonisti assoluti dei traffici furono i beni americani. Il radicamento del mercato nero era tantoforte che alcuni quotidiani, come “Il Tempo”, pubblicavano periodicamente una rubrica intitolata “Listino dellaborsa nera”, in cui venivano riportati i prezzi delle merci che vi erano vendute. Dopo un generale periodo ditolleranza da parte delle autorità – la borsa nera era considerata , per quanto illegale, una vera e propria valvoladi sfogo necessaria a non far morire di fame la popolazione e a impiegare le decine di migliaia di disoccupatidella città – nel febbraio 1945 iniziarono alcune vaste operazioni della Polizia contro i vari mercati neri, in al-cuni casi dirette personalmente dal sindaco Filippo Andrea Doria Pamphili: secondo i quotidiani, fu sequestratamolta merce, nonostante le opposizioni dei borsari neri e della popolazione di alcuni quartieri, e soprattuttodella loro componente femminile, che resero necessario anche l’intervento della Celere. Con la liberazione to-tale dell’Italia, ripresero i trasporti di merci anche dal Nord: nonostante i miglioramenti nella distribuzione ela lieve flessione della borsa nera, però, per la maggior parte della popolazione la vita continuò ad essere dif-ficile. La situazione alimentare migliorò leggermente nel giugno 1947, quando ricominciarono le distribuzionidi pasta e di riso,anche se la carne e la frutta continuavano scarseggiare.

L’UOMO QUALUNQUE Il settimanale fondato da Guglielmo Giannini il 27 dicembre 1944, inseriva nella Umaiuscola un torchio che schiaccia una striminzita immagine di uomo: è il simbolo della classe politica cheopprime il piccolo borghese, il travet, insomma l’uomo qualunque. Sotto la testata c’è una rozza vignetta doveun poveraccio scrive su un muro: Abbasso tutti. I nomi degli avversari vengono storpiati: Calamandrei è chia-mato Caccamandrei, Salvatorelli diventa Servitorelli, Vinciguerra è Perdiguerra. I personaggi presi più di miracompaiono in una vignetta che ha per titolo PDF (ossia “pezzo di fesso”). È una forma di umorismo, o megliodi satira, piuttosto pesante, che arriva a trasformare l’espressione “vento del nord” (ossia la spinta a un rinno-vamento morale, prima che politico, venuta dalla vittoria della Resistenza) in “rutto del nord”. Ma è un umo-

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rismo che fa presa sugli scontenti (che sono milioni nel clima cosìdifficile del dopoguerra), sugli epurati e su chi teme d’essere epurato.Lo scopo dell’ideatore era quello di dare voce alle opinioni del-l’uomo della strada, contrario al regime dei partiti e ad ogni formadi statalizzazione. Fin dal primo numero la posizione del settimanaleè chiara; contraria al fascismo, di cui condanna il centralismo deci-sionale, ma anche al comunismo e agli “antifascisti di professione”,accostati al primo fascismo per l’accento epurazionista dei primianni del dopoguerra. Paradossalmente, quindi, il giornale viene ac-cusato di essere cripto-fascista e per questo motivo verrà chiesta a

più voci la soppressione della testata. Il 5 febbraio 1945 Giannini viene denunciato dall’alto commissario del-l’epurazione, Grieco, senza esito alcuno.

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INDICEINDICEIntroduzione.....................................................................................................................................................3I film della rassegna......................................................................................................................................11

Caccia Tragica....................................................................................................................................13Fuga in Francia...................................................................................................................................15Tombolo paradiso nero.......................................................................................................................17Proibito rubare....................................................................................................................................19La città dolente...................................................................................................................................21

Piccolo glossario.............................................................................................................................................24