i nuovi confini del divieto di abuso del diritto prof...

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1 I NUOVI CONFINI DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO Prof. Thomas Tassani Ordinario di Diritto Tributario - Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Bologna 1. Esigenze di certezza giuridica e portata generale della nuova disposizione Il D.lgs. n. 128 del 5/8/2015 ha introdotto il nuovo articolo 10-bis allo Statuto dei Diritti del Contribuente (legge n. 212/200) dedicato alla “disciplina dell’abuso del diritto o elusione fi- scale”. La traduzione in una specifica disposizione del principio del divieto dell’abuso del diritto, ela- borato fino ad ora solo a livello giurisprudenziale, persegue l’obiettivo di garantire una mag- gior certezza giuridica e, quindi, una miglior tutela del contribuente. La nuova disposizione, infatti, delinea in modo sufficientemente chiaro i presupposti per l’applicazione del principio, le regole in tema di ripartizione dell’onere della prova e, soprat- tutto, l’iter procedimentale volto a realizzare il contraddittorio tra amministrazione e contri- buente. Al medesimo tempo, tuttavia, la disciplina dell’abuso contenuta nell’art. 12-bis rispecchia sostan- zialmente i caratteri delineati in questi anni dalla giurisprudenza di legittimità, in modo da potersi affermare che l’articolo rappresenti la trasposizione del medesimo principio a livello di diritto posi- tivo. In primo luogo, la norma chiarisce la totale equivalenza, nel diritto tributario, tra i concetti di “elu- sione” e “abuso del diritto”, derivandone l’impossibilità di utilizzare il principio del divieto di abuso del diritto come clausola passe-partout. Agendo solo sul piano della elusione fiscale, il divieto di abuso del diritto consente all’Amministrazione finanziaria di “riqualificare” fiscalmente i fatti, gli atti ed i contratti dei singo- li, indipendentemente da una previa valutazione di invalidità/inefficacia civilistica, secondo uno schema tipico delle norme antielusive. Ne deriva che il singolo negozio o comportamento rimane valido ed efficace sul piano civilistico ma, l’Amministrazione finanziaria può “disconoscere” i vantaggi fiscali, determinando i tributi da versare sulla base delle “norme e dei principi elusi”, dovendo però anche tenere conto (per determi- nare il carico complessivo) di quanto eventualmente versato dal contribuente (art. 10-bis, comma 1). In secondo luogo, l’art. 10-bis si presenta come norma di carattere generale, in grado di applicarsi all’intero sistema fiscale e, quindi, a tutti i tributi erariali e locali 1 . A questa soluzione era già giunta la giurisprudenza, ma con l’art. 1 del D.lgs. 128/2015 viene con- testualmente abrogato l’art. 37-bis Dpr 600/73 e precisato che le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono riferite al nuovo art. 10-bis Statuto. 1 Ad eccezione dei diritti e tributi doganali che sono regolati da una specifica disciplina, come previsto dall’art. 1., comma 4, D.lgs. n. 128/2015.

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1

I NUOVI CONFINI DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO

Prof. Thomas Tassani

Ordinario di Diritto Tributario - Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Bologna

1. Esigenze di certezza giuridica e portata generale della nuova disposizione

Il D.lgs. n. 128 del 5/8/2015 ha introdotto il nuovo articolo 10-bis allo Statuto dei Diritti del

Contribuente (legge n. 212/200) dedicato alla “disciplina dell’abuso del diritto o elusione fi-

scale”.

La traduzione in una specifica disposizione del principio del divieto dell’abuso del diritto, ela-

borato fino ad ora solo a livello giurisprudenziale, persegue l’obiettivo di garantire una mag-

gior certezza giuridica e, quindi, una miglior tutela del contribuente.

La nuova disposizione, infatti, delinea in modo sufficientemente chiaro i presupposti per

l’applicazione del principio, le regole in tema di ripartizione dell’onere della prova e, soprat-

tutto, l’iter procedimentale volto a realizzare il contraddittorio tra amministrazione e contri-

buente.

Al medesimo tempo, tuttavia, la disciplina dell’abuso contenuta nell’art. 12-bis rispecchia sostan-

zialmente i caratteri delineati in questi anni dalla giurisprudenza di legittimità, in modo da potersi

affermare che l’articolo rappresenti la trasposizione del medesimo principio a livello di diritto posi-

tivo.

In primo luogo, la norma chiarisce la totale equivalenza, nel diritto tributario, tra i concetti di “elu-

sione” e “abuso del diritto”, derivandone l’impossibilità di utilizzare il principio del divieto di abuso

del diritto come clausola passe-partout.

Agendo solo sul piano della elusione fiscale, il divieto di abuso del diritto consente

all’Amministrazione finanziaria di “riqualificare” fiscalmente i fatti, gli atti ed i contratti dei singo-

li, indipendentemente da una previa valutazione di invalidità/inefficacia civilistica, secondo uno

schema tipico delle norme antielusive.

Ne deriva che il singolo negozio o comportamento rimane valido ed efficace sul piano civilistico

ma, l’Amministrazione finanziaria può “disconoscere” i vantaggi fiscali, determinando i tributi da

versare sulla base delle “norme e dei principi elusi”, dovendo però anche tenere conto (per determi-

nare il carico complessivo) di quanto eventualmente versato dal contribuente (art. 10-bis, comma

1).

In secondo luogo, l’art. 10-bis si presenta come norma di carattere generale, in grado di applicarsi

all’intero sistema fiscale e, quindi, a tutti i tributi erariali e locali1.

A questa soluzione era già giunta la giurisprudenza, ma con l’art. 1 del D.lgs. 128/2015 viene con-

testualmente abrogato l’art. 37-bis Dpr 600/73 e precisato che le disposizioni che richiamano tale

articolo si intendono riferite al nuovo art. 10-bis Statuto.

1 Ad eccezione dei diritti e tributi doganali che sono regolati da una specifica disciplina, come previsto dall’art. 1., comma 4, D.lgs. n. 128/2015.

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E’ quindi oggi chiaro non solo che la clausola antielusiva si può applicare a tutto il sistema fiscale

ma, anche, che la contestazione dell’elusione (abuso) effettuata dall’Agenzia delle Entrate non può

che avvenire attraverso l’art. 10-bis; quindi rispettando sia i presupposti sostanziali sia quelli proce-

dimentali indicati dalla norma.

2. Definizione e presupposti applicativi dell’abuso del diritto

Come è noto, l’elaborazione giurisprudenziale del principio del divieto di abuso del diritto, a

partire dalle sentenze del dicembre 2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione2, ha

portato a ritenere sussistete un principio generale non scritto, derivante dall’art. 53, commi 1

e 2 Cost., in forza del quale il contribuente “non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo

distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici ido-

nei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che

giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”.

Rispetto a tale definizione, la nuova disposizione dell’art. 10-bis Statuto rivela una forte conti-

guità.

Secondo l’art. 10-bis, l’abuso del diritto (o elusione fiscale) è configurato da quelle operazioni

(“una o più”) “prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realiz-

zano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.

Risultano dunque essenziali due aspetti: quello della assenza di sostanza economica e quello dei

vantaggi fiscali indebiti.

Rispetto al primo, il comma 2 considera operazioni prive di sostanza economica quei fatti, atti e

contratti, “anche tra loro collegati”, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fi-

scali.

In particolare, risultano indici di assenza di sostanza economica la “non coerenza della qualifica-

zione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme” e la non conformità a

“normali logiche di mercato”.

E’ dunque la “anormalità” della operazione, determinata sulla base degli strumenti giuridici utiliz-

zati (si pensi al caso della cessione di azienda c.d. “spezzatino”) e/o della prassi di mercato, ad evi-

denziarne l’assenza di sostanza economica; l’operazione potrà allora ritenersi come posta in esse-

re solo per ragioni di interesse fiscale.

Affinché vi sia abuso è però necessario anche il secondo aspetto, ossia che i vantaggi fiscali realiz-

zati dall’operazione siano “indebiti” alla luce delle finalità e dei principi del sistema tributario. Il

2 A partire dalle sentenze nn. 30055/30056/30057 del 23/12/2008. Sul tema, senza pretesa di com-pletezza, M. MICCINESI, Riflessioni sull'abuso del diritto, in AA.VV. Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, 593 ss.; G. FALSITTA, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in Maisto (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, 3 ss.; M. BASILAVECCHIA, Surrogati interpretativi in difetto di norma antielusiva?, in Giur.trib., 2009/593 ss.; G. FRANSONI, Appunti su abuso di diritto e “valide ragioni economiche”, in Rass.trib., 2010, 932 ss.; A. GIOVANNINI, Il divieto d’abuso del diritto in ambito tributario come principio generale dell’ordinamento, in Rass.trib., 2010, 982 ss.; M. BEGHIN, L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2013, passim; G. ZIZZO, Clausola antielusiva e capacità contributiva, in Rass.trib., 2009, 491 ss.

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che vuol dire che vi possono essere ipotesi in cui il contribuente pone in essere una operazione al

solo fine del vantaggio fiscale ma questo non appare indebito alla luce del sistema.

Si pensi a quelle scelte imprenditoriali motivate dalla necessità di sfruttare una agevolazione fisca-

le territoriale; si pensi ancora alla fattispecie dell’art. 176, c.3, Tuir.

Questi due requisiti dell’abuso del diritto risultano, a ben vedere, già presenti nella elaborazione

giurisprudenziale del principio dell’abuso di questi anni; averli espressamente previsti nel corpo

della disposizione legislativa è però importante perché gli stessi diventano elementi strutturali

dell’abuso.

Inoltre, l’art. 10-bis contiene alcune specificazioni in grado di superare alcune perplessità derivanti

dall’applicazione, eccessivamente ampia, che è stata fatta del principio giurisprudenziale.

In primo luogo, si chiarisce che non si possono considerare abusive, “in ogni caso”, le operazioni

giustificate da ragioni non marginali di “ordine organizzativo o gestionale”, che “rispondono a fina-

lità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del

contribuente” (comma 3).

Alla luce di questa previsione, si può affermare che non può essere contestato l’abuso quando il

comportamento dell’imprenditore o del professionista, benché anomalo perché non in linea con la

prassi normale del settore, sia tuttavia giustificato da ragioni organizzative o gestionali effettive.

Importante è anche la previsione del comma 4 che sancisce la “libertà di scelta del contribuente

tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fisca-

le”.

La disposizione chiarisce, a nostro avviso, ciò che spesso non è stato adeguatamente colto in pas-

sato, ossia che l’abuso del diritto non può applicarsi quando il contribuente consegue un vantaggio

fiscale avendo la possibilità di scegliere tra operazioni giuridiche alternative.

Si pensi ad una operazione di riorganizzazione societaria che può essere realizzata tramite stru-

menti diversi quali fusione, scissione, trasformazione, cessione di rami di azienda. Se la scelta cade

sullo strumento che comporta il carico fiscale minore, non vi può essere abuso del diritto posta

l’alternatività (sul piano giuridico, economico e degli effetti fiscali) degli strumenti medesimi.

Si pensi, ancora, al caso della cessione totalitaria o quasi totalitaria delle quote di una società,

spesso in questi anni riqualificato dall’Agenzia delle Entrate quale cessione di azienda, sicuramente

non legittima alla luce dell’art. 10-bis.

Infatti, cessione di azienda e cessione di quote rappresentano operazioni giuridiche alternative,

comportanti un carico fiscale diverso, la cui scelta è rimessa alla volontà (insindacabile dal Fisco)

del contribuente.

3. La contestazione dell’elusione nel tributo di registro e nelle imposte ipo-catastali ed

il (vero) ruolo dell’art. 20 TUR

Se, come detto, una delle finalità che ha portato il legislatore delegato alla introduzione della

“disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”, è quella della certezza giuridica, occorre

porsi il problema del rapporto tra art. 10-bis e art. 20 Testo Unico del Registro.

Ci si riferisce, in particolare, al tema della configurabilità di fattispecie di abuso/elusione fisca-

le nei tributi sui trasferimenti (imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali), da cui di-

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pende la risoluzione di concrete problematiche particolarmente rilevanti, oltre che, più in ge-

nerale, la fissazione dei confini applicativi dell’art. 10-bis.

In termini operativi, le fattispecie più frequenti sono note ed alcune di queste sono state ri-

cordate anche da Assonime nella recente circolare n. 21 del 4/8/2016.

In primo luogo, si tratta delle ipotesi in cui la circolazione dell’azienda avvenga non attraverso

un atto di alienazione, bensì per il tramite della cessione delle partecipazioni della società in

cui gli asset sono stati precedentemente conferiti.

L’operazione può avere diverse varianti (per esempio, si può trattare di una società preesi-

stente o di una newco; di azienda o ramo di azienda), anche in grado di incidere sulla possibile

valutazione di elusività della stessa (si pensi all’elemento temporale, ossia alla scansione nel

tempo del conferimento prima e della cessione poi).

In secondo luogo, si devono considerare i casi in cui siano conferiti in società immobili gravati

da passività derivanti da finanziamenti contratti prima del conferimento medesimo e che non

abbiano una reale inerenza con il bene stesso (si pensi al mutuo contratto per scopi personali,

garantito da immobile che poi è conferito in società, che si accolla il mutuo medesimo).

In terzo luogo, vi sono le “sistemazioni patrimoniali” tra privati, soprattutto quelle in ambito

familiare, attraverso cui si precostituiscono le condizioni per godere di determinati regimi

speciali o agevolativi (si pensi alla estromissione di un immobile dal regime di comunione per

consentire all’altro coniuge l’acquisto di un nuovo immobile beneficiando delle agevolazioni

“prima casa”).

Le tre tipologie di fattispecie testé menzionate presentano il tratto comune di garantire al

contribuente un vantaggio fiscale, ossia una minore tassazione, attraverso l’utilizzo di uno

strumento negoziale che è prescelto in vista di tale risultato.

Attraverso il conferimento di azienda con successiva cessione delle partecipazione si deter-

mina una imposizione fissa di registro ed ipo-catastale, in luogo di quella proporzionale deri-

vante dalla cessione diretta del complesso aziendale.

Attraverso il conferimento dell’immobile gravato da mutuo si abbatte l’imponibile ai fini della

tassazione proporzionale.

Attraverso la sistemazione familiare del patrimonio immobiliare si raggiunge il fine di realiz-

zare le condizioni per beneficiare delle agevolazioni fiscali, che altrimenti non sarebbero ap-

plicabili.

Proprio considerando il vantaggio fiscale raggiunto, in casi come questi l’Amministrazione fi-

nanziaria ha in passato contestato l’elusione fiscale, ai fini dei tributi sui trasferimenti, per ri-

qualificare fiscalmente le operazioni poste in essere (come vendita di azienda o di immobile) o

per disconoscere l’accesso ai regimi agevolativi.

Nella prassi degli Uffici, tale contestazione si fondava sull’art. 20 Dpr 131/1986 (TUR), che

dispone che “l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti

presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

In particolare, ad avviso della dell’Agenzia delle Entrate e di buona parte della giurisprudenza di

legittimità, tale disposizione avrebbe consentito di applicare l’imposta in base alla “sostanza eco-

nomica” degli atti.

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Secondo tale impostazione, l’art 20 TUR avrebbe una natura di tipo antielusivo perché condurrebbe

a riqualificare, ai soli fini fiscali, gli atti negoziali dei contribuenti, indipendentemente da una valu-

tazione di efficacia o invalidità degli stessi.3

L’entrata in vigore dell’art. 10-bis ha però messo in crisi simile lettura, perché oggi ogni contesta-

zione di tipo elusivo/abusivo da parte dell’Amministrazione finanziaria deve necessariamente pas-

sare da tale articolo.

Non solo, ma il D.lgs. n. 128/2015 ha contestualmente abrogato l’art. 37-bis Dpr 600/73, specifi-

cando che le disposizioni normative che ancora richiamano tale articolo si devono intendere riferite

all’art. 10-bis dello Statuto.

In buona sostanza, è possibile affermare che, nel sistema attuale:

a) l’unica clausola generale antielusiva dell’ordinamento tributario è quella contenuta nell’art. 10-

bis dello Statuto;

b) la contestazione dell’abuso o dell’elusione deve avvenire esclusivamente attraverso il procedi-

mento e alle condizioni previste da tale ultima norma;

c) nessun’altra disposizione vigente può avere carattere di norma generale antielusiva, compreso

l’art. 20 TUR.

Se si accettano, come peraltro fatto dalla unanime dottrina, questi corollari discendenti della intro-

duzione dell’art. 10-bis Statuto, non può che giungersi ad una conclusione: che l’art. 20 TUR “ri-

torna” ad essere una norma sulla interpretazione degli atti negoziali, che impone all’ufficio di valu-

tare i (complessivi) effetti giuridici dell’atto, ma non, invece, la sostanza economica.4

L’Ufficio deve quindi cercare di ricostruire l’assetto di interessi risultante dall’atto portato alla regi-

strazione, ma attenendosi agli ordinari canoni interpretativi, che fanno riferimento alla volontà

espressa dalle parti ed alle conseguenze giuridiche da queste realmente perseguite.5

In questa prospettiva, nei casi sopra esaminati, l’art. 20 TUR non potrebbe essere utilizzato per una

ripresa fiscale, perché le parti realmente vogliono e perseguono gli effetti del conferimento di

azienda con successiva cessione delle partecipazioni o del conferimento dell’immobile gravato dal

mutuo o della sistemazione patrimoniale in ambito familiare.

Il che però non determina un buco nell’ordinamento ed una lesione dell’interesse fiscale, visto che

gli Uffici, per contestare l’abuso del diritto nei tributi sui trasferimenti, avrebbero comunque a di-

sposizione l’art- 10-bis, Statuto, norma che si applica a tutto l’ordinamento tributario e dunque an-

che alle imposte di registro, ipotecaria e catastale.

3 Corte Cassazione, sentenza n. 10660 del 7/7/2003; ID., sentenza n. 2713 del 25/2/2002. 4 Questa peraltro è l’impostazione tradizionale e tuttora prevalente della dottrina: DE MITA, Diritto tributa-rio e diritto civile: profili costituzionali, in Riv.dir.trib., 1995, 154; UCKMAR-DOMINICI, Registro (imposta di), in Dig.disc.priv.sez.comm., XII, Torino, 1999, 260 ss.; MELIS, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, 293; CIPOLLINA, La legge civile e la legge fiscale, Padova, 1992, 118 ss. 5 Si può discutere se gli Uffici siano limitati in questa attività ai soli elementi risultanti dall’atto oppure se possano fare riferimento ad elementi “extratestuali”, anche valorizzando il collegamento negoziale con altri atti. L’impostazione della dottrina è tendenzialmente negativa, si veda Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 95/2003/T, Imposta di registro - elusione fiscale, interpretazione e riqualificazione degli atti, estensore PETRELLI, in www.notariato.it (sezione Studi).

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